Decarta 25 - Viterbo

14
VITERBO

description

Fontane monumentali tra sprechi e danni

Transcript of Decarta 25 - Viterbo

VITERBO

città

ricerca

storia

• Fontane monumentali tra sprechi e danni

• 60mila euro per pulizia e manutenzione…

• La Tuscia su Marte

• Il Casaletto del Padreterno

VITERBO

Sostieni la nostra rivista sottoscrivendo un abbonamento. Riceverai ogni mese la copia di “DECARTA” direttamente acasa tua. Compila questo modulo e invialo a: Lavalliere Società cooperativa - Via della Palazzina, 81/a - 01100 Viterbooppure mandaci una email con le stesse informazioni a: [email protected]

Il/la sottoscritto/asottoscrive un abbonamento annuale (11 numeri) per l’anno 2016 (barrare la casella che interessa):

� abbonamento ordinario € 20� abbonamento sostenitore € 50� abbonamento benemerito € 100

La rivista dovrà essere inviata al seguente in indirizzo:Nome e CognomeVia/piazza n.Cap CittàCodice Fiscale

Allega (barrare la casella che interessa):� assegno bancario intestato a Lavalliere Società cooperativa� copia bonifico intestato a Lavalliere Società cooperativa IBAN IT15 B051 0414 500C C055 0001 820

musica• Intervista a Luigi Stefanini

DECARTA GIUGNO 2016IV

V ITERBO – Città delle belle donne e dellebelle fontane. È questo un brand che po-trebbe tirare parecchio ancora oggi per il

capoluogo della Tuscia.Delle prime qualcosa ancora rimane, delle se-

conde la bellezza è sempre meno evidente.Anzi. Stadi fatto che ogni anno i viterbesi pagano di tascapropria migliaia di euro l’acqua per alimentarle. Iltutto forse per la gioia di Talete.

Non è facile conoscere la cifra esatta, eppurenon si tratta dell’ultimo mistero di Fatima. Sta difatto che il polverone su questo l’ha alzato lo scorsoanno il Movimento Cinque Stelle, con un interventodel consigliere Gianluca De Dominicis in fase di di-scussione di bilancio. Allora il pentastellato avevaspiattellato un numero da far tremare le vene aipolsi: 400mila euro.

Oggi, da bilancio comunale, risulta che il Co-mune di Viterbo spende 520mila euro di acqua.L’assessore Alvaro Ricci ha precisato che si trattadi una cifra complessiva (idranti, irrigatori, etc) e laquota per le fontane è intorno agli 80mila euro. Altriconsiglieri di minoranza sostengono che la spesa

Le fontane viterbesi infatti sono state alimen-tate per secoli non certo con l’acqua del rubinettoma con un sistema a caduta. Con delle condotte siportava acqua da Fontana Grande a tutto il resto,alimentando i giochi d’acqua con acqua sorgiva. Poinegli anni Novanta la “pazza idea”. Troppo costosofare la manutenzione, meglio fare diversamente.

Mai pensata poteva essere più sciocca. Doppiodanno: al portafoglio dei cittadini, ma a quello è notoche non pensa mai nessuno (altrimenti nonavremmo le tasse al massimo), e alle fontane mo-numentali. Avete fatto caso al peperino? Guardatelobene, biancheggia. È l’effetto del cloro presente nel-l’acqua dei rubinetti. Uniche immuni dal fenomenosono Fontana Grande e quella del cortile del Co-mune, ancora alimentate a caduta. La sorgente èsotto Santa Maria in Gradi. E il sistema di condottedi alimentazione poggia su un vecchio acquedottoromano, fatto costruire dal console Munio ValerioNigro. Un tizio che aveva una villa nei pressi del Ba-gnaccio. Non resta che riflettere.

Si ringrazia per la consulenza il giornalista estorico locale Giovanni Faperdue.

nello specifico sia un po’ più alta: 100mila eurocirca. De Dominicis, interpellato appositamente perquesto articolo, promette di fare chiarezza. A costodi dover prendere bolletta dopo bolletta e sommareil tutto. Prendiamo per buoni gli 80mila euro di fonte“governativa”. Stiamo parlando comunque di unabella cifra. Esattamente 20mila euro in meno ri-spetto a quanto il Comune ha intenzione di metterea sostegno delle famiglie in difficoltà con parentinelle Rsa, quella sì una roba davvero seria. Se sisceglie di mantenersi più leggeri si potrebbe dirlacosì: l’equivalente di due mostre di opere di SanMarino a Valle Faul.

L a riflessione va fatta perché esisterebberosistemi che permetterebbero risparmi con-siderevoli e riduzione di danni alle fontane

monumentali stesse. È possibile cercarli alla voce“sistemi di ricircolo dell’acqua”. Nelle città più “sve-glie” sono una realtà da anni e da due anni nei cas-setti del Comune c’è un progetto dell’Unitus chetraccia la prospettiva. Ma quello che stiamo per dirviè tanto ovvio quanto sconvolgente. Una buona so-luzione l’avevano anche “gli antichi”.

viterbo città

La soluzione ingegnosa degli antichi, le possibilità della tecnicae l’ottusità di chi amministra.

Fontane monumentalitra sprechi e danni

Roberto Pomi | www.lafune.eu - Foto di Manuel Gabrielli

DECARTA GIUGNO 2016 V

F ontana di Pio II, l’amministrazione Michelini si sta interessando.Si tratta della fontana in prossimità di Porta San Pietro, smem-brata da anni in due parti: il vascone e l’elemento monumentale;

e nel più totale abbandono e degrado.Al punto che la parte decorativa, a ridosso sul palazzo storico, è let-

teralmente “incorniciata” da centraline Enel e altri contatori. Per quantoriguarda il vascone si può dire che “vivacchia” tra la melma e l’immon-dizia lasciata dentro o nelle vicinanze dall’incivile di turno. In data 13 ot-tobre 2015 La Fune ha deciso di condurre una vera e propria campagnastampa per ridare dignità al monumento cinquecentesco.

Una serie di articoli sotto il titolo “Dignità per la fontana di Pio II, laFune sfida Michelini”. Un pezzo al giorno per fissare bene nella mentedegli amministratori lo scempio e alla fine si è aperta una breccia. Alpunto che nel mese di aprile il consigliere Maria Rita De Alexandris haportato la questione in consiglio comunale e si è attivata anche l’asses-sore Raffaella Saraconi. Quest’ultima ha informato che si sta studiandocome risolvere la criticità che riguarda la bella parte monumentale, pun-tando a rimuovere e spostare altrove le varie centraline. Per quanto ri-guarda il ricongiungimento anche del vascone occorrerà aspettare ancoraun po’, ma il tema è stato preso in considerazione.

Alla fine la tenacia ha portato risultati e speriamo che presto que-st'angolo, tra i più belli e caratteristici di Viterbo, possa recuperare losplendore che merita. Anche perché l’intera zona di Porta San Pietro me-riterebbe maggiore attenzione da Palazzo dei Priori, rappresentando la viad’accesso più sensata per i turisti al quartiere di San Pellegrino e Piano-scarano.

La campagna stampa de La Fune ha avuto origine da una richiestaavanzata nel corso di una conferenza stampa dal giornalista e appas-sionato di storia locale Mauro Galeotti.

F ontana Grande, detta anche del Sepale, è un gioiello. Non capitadi rado vedere gruppetti di turisti alle sue “pendici” attenti a but-tarci sopra gli occhi. Occhi sgranati, che scivolano lungo il fuso e

poi si avvicinano a ripercorrere i disegni e le decorazioni medioevali suglielementi metallici da cui esce l’acqua.

Ma in pochi sanno che tanta bellezza splende anche nel bel mezzodell’Egeo. I viterbesi che si sono spinti fino all’isola di Rodi sanno benedi cosa si sta parlando. Porto di Mandraki, dove tanti anni fa troneggiavail leggendario Colosso di Rodi. Lì fa bella mostra di sé la riproduzione, indimensioni ridotte, di un pezzo di storia viterbese.

È opera dello scalpellino etrusco Alfredo Maggini. Fu creata in scalauno a due per l’Esposizione Universale del 1911 a Castel S. Angelo aRoma e fu poi venduta a un notaio ebreo che la pose nel suo villino ai Pa-rioli. Venne in seguito acquistata dal Ministero della pubblica istruzioneche, a sua volta, la mandò a Rodi durante il periodo dell’occupazione ita-liana (1912-1943).

Uno spaccato di linee medioe-vali che bene s’intona con i palazzie le fortificazioni dell’isola. Perchémolti edifici furono costruiti, tra il1309 e il 1522, dai Cavalieri del-l’Ordine dell’Ospedale di Gerusa-lemme di Rodi e di Malta, piùnoti semplicemente come Cava-lieri di Malta. Un posto pieno distemmi papali, che si trovanoanche nella Tuscia. E andarci invisita è un po’ come sentirsi acasa.

DECARTA GIUGNO 2016VI

viterbo città

N el conto manca una fontana, anzi ne mancano due: quelle d’Ercole. L’ori-ginale, che si presentava tra Palazzo dei Priori e il Palazzo della Prefettura

nel Quattrocento e quella progettata dallo scenografo premio Oscar Gianni Quar-tanta, in occasione del Festival Quartieri dell’Arte nel 2015, ispirata a quella ori-ginale descritta su alcuni testi di storia viterbese.

La prima non si sa che fine abbia fatto e non si sa quando e perché sia statadistrutta. La seconda invece doveva rinascere con il contributo del Comune di Vi-terbo che si era impegnato a sostenere l’intervento che avrebbe portato alla na-scita della nuova fontana che sarebbe stata montata in via dell’Orologio Vecchio,nel largo all’altezza di via Angusta, proprio ad un passo da Palazzo Mazzatosta.

Il progetto era stato presentato in grande stile in piazza del Comune con unwall mapping, realizzato da Francesco Di Mauro e Daniele Pappalardo, che mo-strava il progetto della fontana realizzato da Quaranta, con la consulenza di EnzoBentivoglio e Simonetta Valtieri. Sulla fontana si stagliava un Ercole insolito, fem-mineo come lo definì Niccolò della Tuccia. Il cronista scrisse: “In cima della fontefu posto un Ercole mal fatto, formato come una vil femminella”.

Del progetto, in Comune, si è persa traccia nonostante la disponibilità mo-strata da Gianni Quaranta, da Quartieri dell’Arte e anche da una azienda del ter-ritorio che si era messa a disposizione per abbattere i costi della realizzazionedel monumento.

Nel conto mancano due fontane:quelle d’Ercole

Q uando aprì nel 1992, all’epoca di Giuseppe Fioroni sindaco e di LeonardoMichelini consigliere comunale, fu per l’interessamento dell’assessore re-

gionale Oreste Massolo e l’impegno dello scultore Claudio Capotondi. Quandochiuse, poco tempo dopo, sembra fu perché d’inverno i getti d’acqua si cristal-lizzavano e finivano sulla salita di via della Pila rendendo l’asfalto pericoloso.

La fontana però da lì in poi non riaprì più. Potrebbe rifarlo ora, nel 2016, gra-zie all’impegno bipartisan di Melissa Mongiardo e Gianluca Grancini, su fronti op-posti in Consiglio comunale (lei Pd, lui Fratelli d’Italia), ma sullo stesso lato perridar vita all’unica fontana contemporanea di Viterbo. Durante la scorsa tornatadi bilancio il Consiglio comunale di Viterbo ha inserito lo stanziamento di 20milaeuro, già promesso dal sindaco Leonardo Michelini, che servirà anche ad unapiccola riqualificazione della zona. I 20mila euro si sommeranno a qualche altramigliaia di euro che erano già stati trovati dai due consiglieri in collaborazione conl’assessore Raffaella Saraconi da alcuni ribassi d’asta del settore verde pubblico,che avevano messo a disposizione qualche soldo per rimettere in sesto la zona.

Dopo le carte, ora è il tempo delle azioni. Con i soldi stanziati probabilmentesi riattiverà la fontana, sistemando i guasti idraulici ed elettrici e procedendo auna nuova impermeabilizzazione. Una battaglia vinta dai consiglieri, ma ancheda Decarta che per primo si era attivato per raccontare la storia della fontana.Infine un vittoria anche per i cittadini della parrocchia del Murialdo, di Gens Novae di Viterbo Civica che si sono impegnati per ripulirla dai rifiuti dai quali era ri-coperta. E per La Fune, che ha tenuto la luce accesa.

La Fontanasferatornerà a splendere

“Habemus solutionem”, 60mila euro per la pulizia e la manutenzione delle fontane monumentali per il 2016. Se un indovino avesse previsto agli antichipadri e custodi della città di Viterbo che sarebbe arrivato il giorno in cui nelle fontane comunali avrebbe trionfato la melma e l'immondizia probabilmente l'avreb-bero giudicato pazzo.

E invece questi giorni sono venuti a farci visita. Sono poi diventati mesi e infine anni. Tanto che nel 2013 l’allora candidato alla carica di sindaco, e oggiprimo cittadino, Leonardo Michelini sentì il bisogno di pubblicare un libro proprio per accendere i riflettori sullo stato delle fontane. Mossa da campagna elet-torale azzeccata. Buona per vincere ma poi dimenticata per almeno tre anni. Solo ora, con l’approvazione del bilancio 2016, da Palazzo dei Priori arriva unarisposta al problema. L’appalto per la manutenzione e la pulizia adesso può partire, c’è la copertura economica.

Il bilancio approvato dalla giunta aveva inserito una voce di spesa di 30mila euro. Con un emendamento la cifra è stata rimpinguata di ulteriori 30mila.Tutti da spendere nei prossimi sei mesi, per la bellezza di 10mila euro ogni trenta giorni. Prima dell’approvazione del bilancio il Comune aveva stanziato, pertamponare, 10mila euro per tre mesi d’interventi urgenti.

Un’azione classica quella approvata, che punta a togliere l’imbarazzo di questi anni. Non certo un intervento strutturale, sul tipo dell’applicazione di im-pianti di ricircolo. Un’idea che però è tornata a ripresentarsi a Palazzo dei Priori, anche grazie a una proposta di emendamento (bocciata) presentata dal con-sigliere di Fondazione Gianmaria Santucci. Il membro dell’opposizione puntava a far passare la decisione di dare l’ok a un progetto dell’Unitus parcheggiatonei cassetti dell’assessorato da un paio d’anni. Uno spin-off dell’Università degli Studi della Tuscia che prevede una spesa di 80mila euro all’anno per dotarele dieci fontane monumentali di impianti di ricircolo dell’acqua e per effettuare la manutenzione necessaria.

60mila euro per pulizia e manutenzione fino al dicembre 2016

Bozzetto

realizzato

daGian

niQu

aran

ta

DECARTA GIUGNO 2016 VII

viterbo ricerca

Sara Morelli e Arianna Mugnari

La

Tusciasu

Marte

L o scorso 18 marzo, presso il dipartimento DEB dell’Università della Tuscia,ha avuto luogo il workshop Dialoghi di astrobiologia: origine, evoluzionee sopravvivenza nello spazio, organizzato dall’associazione universitaria

AUCS Viterbo (Associazione universitaria per la cooperazione e lo sviluppo) edall’Università della Tuscia. Sono intervenuti all’evento alcuni relatori dell’Ateneoviterbese (Raffaele Saladino, Silvano Onofri, Laura Selbman e Laura Zucconi) ealtri provenienti dalle sedi universitarie di Perugia (Nadia Balucani), Roma La Sa-pienza (Ernesto Di Mauro) e Roma Tor Vergata (Daniela Billi).

Erano presenti anche Enzo Gallori (presidente della Società Italiana di Astro-biologia, SIA), Marco Moracci (CNR, Napoli) e John Robert Brucato (Osservato-rio astronomico di Arcetri, Firenze).

Durante il workshop sono stati descritti diversi aspetti dell’astrobiologia,come la chimica prebiotica della formammide – la molecola alla base della vita– lo studio di organismi estremi e l’esplorazione di ambienti extraterrestri, evi-denziando il ruolo delle missioni spaziali per verificare la possibilità di vita su altripianeti, come nel caso di Marte.

Incuriosite dall’affascinante materia, abbiamo intervistato i docenti del-l’Ateneo della Tuscia presenti alla conferenza per approfondire alcuni aspetti re-lativi alle loro ricerche. Il primo ad essere stato intervistato non poteva che essereRaffaele Saladino, professore di Chimica organica, il quale ci ha illustrato il suo

DECARTA GIUGNO 2016VIII

DECARTA GIUGNO 2016 IX

lavoro nell’ambito pre-biotico, relativo alla identificazione delle vie chimichespontanee che hanno portato alla formazione delle biomolecole necessarie perl’origine della vita.

Uno degli scenari fondamentali dell’astrobiologia, riguarda proprio la for-mammide, una molecola ubiquitaria nell’universo che è in grado di trasformarsispontaneamente nelle biomolecole essenziali per la vita, quali gli acidi nucleici(DNA e RNA), gli zuccheri e le proteine.

«Intorno al 2001, nell’ambito del progetto di sequenziamento degli acidi nucleiciGenoma umano, ci siamo accorti che una semplice molecola, la formammide(necessaria in alcune procedure analitiche di sequenziamento), aveva la capa-cità di produrre biomolecole. Da questi risultati abbiamo esteso le nostre ricer-che all’origine della vita, grazie ai finanziamenti stanziati dalla Agenzia SpazialeItaliana (ASI) nell’ambito del progetto MoMa (dalle Molecole all’Uomo). Ciòha permesso di comprendere quanto fosse inevitabile la forma-zione della vita dal momento che gli ingredienti necessariper la sua origine sono particolarmente semplici dapreparare e facilmente reperibili in ogni ambientespaziale, incluso quello terrestre» spiega Sala-dino.

A fronte di questa scoperta è stata di-mostrata l’importanza che le di-verse forme di energia hanno per

la riuscita di questi processi. Per esem-pio, in presenza di vento solare, i meteo-riti diventano delle vere e propriefabbriche di questi precursori, documen-tando la teoria della “Panspermia” se-condo la quale la vita e i sui componentipossono derivare dall’esterno del nostro pia-neta. Inoltre è stato descritto il concetto diprecursore “multifunzionale” e di “chemiomi-mesi”, secondo cui le molecole necessarie per laformazione della cellula madre possano far parte dicicli di continua degradazione e ricomposizione, per es-sere sempre disponibili quando è necessario, rappresen-tando uno “stampo” per l’evoluzione di molecole sempre piùcomplesse.

Questi esperimenti saranno riprodotti nello spazio durante la missione BIO-PAN nel 2020, in collaborazione con il Joint Institute of Nuclear Research (JINR)di Dubna (Mosca), con il quale è attiva una convenzione da parte dell’Ateneodella Tuscia.

«LUCA (Last Universal Common Ancestor) è stata la prima forma di vita sullaTerra e queste ricerche si prefiggono di trovare le condizioni affinché la vitapossa originarsi anche sugli altri pianeti del sistema solare, o altrove nell’Uni-

verso, verificando anche la presenza di acqua o di organismi fotosintetici nellospazio eso-solare», conclude il professor Saladino.

L a nostra intervista prosegue con Silvano Onofri, docente di Biologia ve-getale, e Laura Selbmann, docente di Botanica e Micologia generale,che ci hanno guidato alla scoperta del progetto LIFE (Lichens and Fungi

Experiment), nato dalla teoria secondo cui è possibile trasferire la vita da un pia-neta all’altro tramite l’espulsione di meteoriti (Litopanspermia) e che ha spintogli astrobiologi a domandarsi quali fossero i microrganismi più adatti a supe-rare un viaggio nello spazio.

La scelta è caduta sulle comunità criptoendolitiche (comunità di microrga-nismi che abitano l’interno delle rocce) provenienti dall’Antartide, con le carat-teristiche ottimali allo scopo. Il progetto ha avuto inizio con il lancio dello shuttle

che ha portato campioni di rocce antartiche selezionate sulla piattaformaspaziale Expose-E dove sono state esposte alle radiazioni, al

vuoto ed alle temperature dell’ambiente spaziale per 18mesi, condizioni non riproducibili in laboratorio. Insieme

alle rocce colonizzate è stato esposto alle stessecondizioni anche un fungo microscopico, Cryo-

myces antarticus, da esse isolato e coltivato incoltura pura.

La docente Laura Selbmann ci ha descrittole particolarità del fungo, utilizzato comemodello sperimentale. Il Cryomyces an-tarticus è un microrganismo endemicodelle Valli Secche di McMurdo in Antar-tide, le quali rappresentano un’areadeglaciata nel mezzo della catena trans-antartica e perciò un’anomalia dovuta adun fenomeno geologico e climatico. Questo

territorio, per le basse temperature, scarsis-sima disponibilità di acqua e forte irraggia-

mento rappresenta dunque l’ambiente più similea quello marziano.

Il fungo Cryomyces antarticus è molto interessante dal puntodi vista morfologico: quando sottoposto a stress, entra in uno stato

di quiescenza e assume l’aspetto di un “sassolino”, dato che ha una parete cel-lulare (il rivestimento più esterno della cellula) molto ispessita e scura per l’ele-vato contenuto di melanina, che ha il compito di proteggerlo dagli stressambientali. Associate alla parete presenta delle placche che ricordano quasiun’armatura, come ulteriore protezione. Al contrario, nella sua fase di sviluppo,la cellula si gonfia idratandosi e con la separazione delle placche, prima unite traloro, si accresce.

«La sua resistenza a stress termici, condizioni di disidratazione, raggi UV e ra-

DECARTA GIUGNO 2016X

ricercadiazioni ionizzanti, le sue caratteristiche e la sua ecologia hanno fatto sì che ve-nisse scelto come modello sperimentale ottimale per gli esperimenti spaziali»,precisa Selbmann.

A seguito dell’esperimento Expose-E, i risultati ottenuti sono stati positivi.Infatti, una piccola percentuale degli organismi si è rivelata in grado disopravvivere in condizioni spaziali, seppur con lievi modificazioni del

patrimonio genetico. Da questo successo sono partiti altri esperimenti correlatial primo, come BioMEx (Biology and Mars Experiment) che ha come punto di ri-ferimento la piattaforma Expose-R. L’obiettivo è trovare le cosiddette biofirme,ovvero le tracce lasciate dai microrganismi vissuti all’interno delle rocce analo-ghe a quelle del territorio marziano, per poi andare a capire se sono anche pre-senti su Marte, verificando la possibilità di vita passata sul pianeta. Lì lecondizioni sono molto restrittive: atmosfera limitata (principalmente CO2), pres-sione estremamente bassa (6 millibar, a confronto con 1.013 millibar della Terra),variazione delle temperature particolarmente repentina (al Sole25°C, mentre al buio possono arrivare fino a -120°C). Per dipiù, a causa della bassa pressione, l’acqua può esisteresolo allo stato solido e a quello gassoso, ma non aquello liquido, se non in soluzioni saline estrema-mente concentrate.

Tuttavia, il fungo Cryomyces antarticus èriuscito a sopravvivere anche a condizionimarziane, simulate all’esterno della Sta-zione Spaziale Internazionale durantel’esperimento LIFE.

Un nuovo progetto, ExoMars, ha pre-visto un primo lancio sul Pianeta Rosso ene prevede un secondo nel 2020 per ana-lizzare il suolo ed il sottosuolo marzianomediante una trivella in grado di arrivare adun paio di metri di profondità per scovarepossibili analogie con le rocce esposte per quellungo periodo nello spazio, utilizzate negli espe-rimenti precedenti.

Solo così sarà possibile dimostrare se nel territorio di Marte sono presentibiomolecole simili o uguali a quelle rilasciate dai microrganismi alle condizioniprecedentemente esposte; questo potrà dirci qualcosa sulla possibilità di esi-stenza della vita soprattutto passata ma forse anche vita attuale su Marte.

«Questo cambia le nostre prospettive nei confronti dell’universo: sapere che lavita non è un’esclusiva della Terra sarebbe una rivoluzione, al pari di quella co-pernicana. Potremmo essere solo un esempio nell’universo e ciò è davvero si-gnificativo» sostiene con entusiasmo Onofri.

R iassumendo, possiamo affermare che l’Astrobiologia è una scienza re-cente che si rivolge alle domande basilari per la conoscenza scientifica:“In che modo si è originata la vita?”, “Può esistere vita al di fuori della

Terra?”, “Quali sono le condizioni estreme per la vita?”. Gli studi astrobiologicihanno anche un’ulteriore importanza, in quanto ogni scoperta teorica può avere

un risvolto applicativo in vari settori.

«Le informazioni che possiamo ottenere da questascienza ci permettono di comprendere anche come

la vita si è sviluppata sul nostro pianeta. L’Astro-biologia si propone di trovare la vita al di fuoridella Terra, ma anche di capire come si siaformata ed evoluta sulla Terra stessa chenon è un pianeta diverso dagli altri, ma tragli altri», spiega la professoressa Sel-bmann.

«Nell’astrobiologia c’è anche quella vo-glia di esplorare tipica della nostra speciee non solo: tutte le specie esplorano,quindi se misuriamo il successo di quellaumana come successo biologico, allora

dobbiamo ammettere che la nostra specie haavuto successo perché siamo degli esplora-

tori», conclude il professor Onofri.

Il casaletto del Padreterno.

P ercorrendo strada Capretta in direzione delquartiere Santa Barbara e poco prima dellastrettoia, si incontra sulla destra una cap-

pella isolata conosciuta dai viterbesi come il “Ca-saletto del Padreterno”. Questo piccolo edificio sicaratterizza per una pregevole ed interessante pit-tura monocroma eseguita a graffito, molto simile aquella della facciata di palazzo Ninni, in via Annio.Secondo alcuni studiosi la costruzione del casalettosarebbe legata al matrimonio combinato tra PierLuigi Farnese (primogenito del cardinale Alessan-dro e primo duca di Castro) e Gerolama Orsini deiconti di Pitigliano, avvenuto il 19 gennaio 1519presso la chiesa Collegiata di San Giovanni Apostolodi Valentano. In realtà, secondo gli storici, si tratte-rebbe di un ex-voto realizzato dopo il matrimonioche gli sposi vollero elevare al Padreterno per be-nedire eternamente la loro unione.

I coniugi amavano molto la nostra città e vi tra-scorrevano diverso tempo dimorando nel loro ma-gnifico palazzo di Viterbo, presso il ponte delDuomo, costruito nel Quattrocento da Ranuccio IFarnese. In una parete laterale del casaletto si tro-vava l’antica porta d’ingresso, ora murata, sul cuiarchitrave è l’incisione I.N.R.I. (Iesus Nazarenus RexIudaeorum); le lettere sono “divise” a metà da unacroce scolpita. Entrando dall’attuale porta d’accesso

è presente una croce affiancata dalle parole Ave-Maria; all’interno è presente un affresco piuttostorovinato, e “mostruosamente” ritoccato in epoca re-cente, che raffigura la Madonna col Bambino.

Nella parte superiore si nota un graffito con pit-tura monocroma; le figure della composizione mo-strano il Padreterno benedicente, che tiene un globoterracqueo con la mano sinistra, ed ai lati due an-geli “portaceri”. Sotto il tetto vi è un fregio, an-ch’esso a graffito, costituito da bandelle e fiocchidecorativi dove si alternano le figure araldiche delgiglio farnesiano e della rosa degli Orsini.

N el 1547 Pier Luigi venne ucciso nella con-giura di Piacenza e la duchessa Gerolamadieci anni più tardi fondò a Viterbo, presso

la chiesa della Visitazione in via San Pietro, l’omo-nimo monastero; chiamato dai viterbesi la “Chiesadelle Duchesse”.

Fino alla metà del secolo scorso, il casaletto eraabitato saltuariamente da vagabondi e girovaghi;mia suocera, che era nata poco distante, mi rac-contava che durante il mese di maggio, quello de-dicato alla Madonna, i contadini che abitavano neipoderi vicini portavano tutti i giorni i fiori freschi allaVergine dell’edicola e la domenica si riunivano da-vanti all’edificio per recitare il rosario ed altre pre-ghiere.

si può notare come la cappella era costituita da duepiani divisi da un solaio ormai distrutto; una scala inlegno permetteva di accedere al piano superiore,dove si trovava la camera da letto che prendevaluce ed aria da una piccola finestra. Ancora oggi ri-mangono le tracce di un largo camino posto propriosopra l’ingresso originale. Sulla facciata del fabbri-cato, rivolta su strada Capretta, si vede un’edicolacon una cornice in peperino ad arco e sulla chiave

viterbo storia

Gianluca Braconcini

Cantone ’nguattate (Angoli nascosti)

DECARTA GIUGNO 2016 XI

mie note che sia sfuggito al suo orecchio! Ci tenevoquindi in particolar modo a farvelo conoscere…

Benvenuto, Luigi, sulle pagine di Decarta Maga-zine. Oltre che come produttore hai una bellaesperienza anche come bassista, puoi raccon-tarci il tuo vissuto come musicista?«Ho suonato la chitarra, le tastiere ed il basso convarie formazioni, fino ad arrivare ad un lavoro sta-bile con una grossa major. Per anni, ho quindi vis-suto il mondo degli studi dalla parte del cliente;questo mi è stato poi molto utile per capire qualisono le difficoltà che può incontrare un musicistache entra in studio, magari per la prima volta, edevitare errori e “maltrattamenti” quali quelli chespesso mi è capitato di subire.»

Sappiamo che hai una passione fortissima perle apparecchiature vintage, come è nata questa

DECARTA GIUGNO 2016XII

La passione autentica di un produttore al passo con i tempi.

O gni volta che si registra un disco è semprecome chiudere un periodo di vita ed aprirneun altro, sai che finalmente potrai mettere

su “nastro” le track di cui hai curato ogni dettaglio,ogni nota, ogni parola.

Con la mia band, i The Shiver, siamo entrati instudio il mese scorso per registrare il quarto album.Ci era stato consigliato il New Sin Recording Stu-dio di Castelfranco Veneto e quindi, dopo aver pre-parato armi e bagagli e aver lasciato la nostraattività in mani fidate, siamo partiti per questanuova esperienza sparendo per circa un mese dallacircolazione.

Il miracolo che avviene ogni volta nella salad’incisione è sempre sorprendente. Siamo statiospiti a Castelfranco del produttore artistico e pro-prietario del New Sin, Luigi Stefanini. Quest’uomooltre ad essere un musicista formidabile ha un orec-chio pazzesco e conosce perfettamente tutte le

macchine di inestimabile valore con cui lavora. Daqui sono uscite belle produzioni metal (citiamo i La-byrinth e Roberto Tiranti) e lui è davvero un granprofessionista ed è perfettamente aggiornato sucome si lavora negli studi più famosi.

Dopo le registrazioni della batteria, avvenutealla Backstage Academy, siamo passati subito allechitarre e al basso: è infinita la serie di testate cheLuigi ci ha proposto. Abbiamo ascoltato le variecombinazioni di casse, testate, chitarre finché nonè stato trovato il suono giusto. Poi sono stati ag-giunti gli effetti, rigorosamente analogici, che lo stu-dio fornisce.

Tra le tante belle sorprese annoveriamo unaGibson SG “Diavoletto” dell’86, una Gibson Les Pauldel ’65 e poi una serie di synth vintage ed un The-remin che Luigi suona egregiamente.

È però con la sessione di voce che questo pro-duttore ha dato il meglio: non c’è un colore delle

viterbo musica

Federica Sciamanna | [email protected]

Intervista a Luigi Stefanini

DECARTA GIUGNO 2016 XIII

passione ed in che modo la coltivi? Quali sonogli oggetti a cui sei più legato? C'è una storiaparticolare dietro a qualcuno di essi?«Ho cominciato a lavorare con le bobine e ho vissutoin prima persona il lungo e travagliato passaggio aldigitale. Avendo usato tutti i tipi di macchine, so chesuono devo aspettarmi da una determinata appa-recchiatura e quale usare al meglio per ogni speci-fico uso. Molto spesso vedo alcuni studi sfoggiarerispettosamente delle macchine “vintage” che noiall’epoca non usavamo nemmeno, perché suona-vano male già allora!

Le macchine veramente belle erano spettaco-lari; costosissime e costruite senza compromessi.Inarrivabili per noi comuni mortali, le vedevamo solonegli studi di Milano e Londra. Ora che ho la possi-bilità, quando le trovo correttamente restaurate, nonme le lascio scappare; il suono che ne ricavi non èottenibile in nessun’altra maniera, non c’è simula-zione o plug-in che tenga.»

Come vedi il mondo della musica oggi? Qualiproduzioni ti colpiscono positivamente e per-ché?«La crisi e la democratizzazione delle tecnologie nonhanno giovato. Siamo sommersi da una valanga diproduzioni spesso inutili e scadenti; in mezzo cisono le perle, ma trovarle è diventato difficile e fa-ticoso, così alla fine ci accontentiamo di ascoltare

solo quello che ci viene imposto. Cosa servirebbe?Più cultura, è un nostro diritto e qualcuno è contentoche non lo esercitiamo.»

Il tuo studio è uno tra i più forniti e professio-nali in Italia, dal New Sin sono usciti dischi di li-vello altissimo che hanno avuto ampio successointernazionale. C’è qualche produzione a cui tisenti più legato?«Ogni scarrafone è bello a mamma sua. Guarda, micapita di lavorare a grosse produzioni, come agruppi esordienti, ma l’impegno e la passione daparte mia sono gli stessi, in entrambe le situazioni.Ogni lavoro è importante, anche quelli apparente-mente più piccoli. Anzi, devo dire che le richieste avolte ingenue di un principiante, sono spesso stateper me lo sprone a ricercare e sperimentare nuovetecniche!»

Come ti sei accostato al lavoro del produttore?cosa consiglieresti ai ragazzi che sono così co-raggiosi da intraprendere un percorso del ge-nere oggi?«Un aneddoto: tempo fa si faceva un lavoro in salacon un famoso e rinomato sound engineer. Io ero in

un angolo, solo come osservatore. Il bassista regi-stra la sua parte e, ad ogni giro, sbaglia clamorosa-mente una nota. Terminata l’esecuzione, il tecnicopreme lo stop e rimane fermo e zitto. Dopo cinqueminuti di imbarazzante silenzio, il bassista domandacome è andata. Ancora silenzio. Dopo un po’, unodella band dice “beh… magari possiamo riascol-tare”; il tecnico riavvolge, mette in play, stop… e lascena si ripete. Ci hanno messo un’ora e mezza pertrovare lo sbaglio. Io ero sbigottito. Ma perché il fo-nico non gli ha detto subito dello sbaglio? Perchénon era il suo lavoro? Questo va bene se abbiamoin sala un produttore artistico pagato dall’etichettaaltrimenti bisogna comunque che qualcuno svolgaquesto ruolo, anche solo per ottimizzare i tempi insala e non far spendere inutilmente un capitale allaband!

Io, non riesco a stare zitto e, se c’è qualcosada migliorare, lo propongo sempre, lasciando co-munque libertà della scelta all’artista. Il consiglio,per farlo, è di rimanere comunque sempre moltoumili: nessuno ha il sacro Graal della musica e, perfortuna, c’è sempra da imparare!»

Grazie mille!

Per saperne di più www.newsinstudio.com