DE MUSICA MARCO MÀIERO La ricerca di un linguaggio ... · con Bepi de Marzi, mio maestro...

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MARCO MÀIERO La ricerca di un linguaggio musicale oltre la costruzione tradizionale Conosciamo da vicino un raro esempio di coro d’autore, il “Vôs de mont”, e il pensiero ispirato del suo infaticabile e apprezzato animatore artistico. Giovanni Mayer intervista il maestro friulano Marco Màiero è nato a Tricesimo nel 1956. Nel 1981 si è diplomato in trombone presso il Conservatorio “J. Tomadini” di Udine. Insegna musica nella Scuola Media. Nel 1978 ha fondato il coro Vôs de mont, con il quale proporre canti originali di cui è compositore e autore. Nel 2000, assieme ad alcuni amici appassionati, dà vita al deci- mino di ottoni Brassevonde. I testi delle sue composizioni si ispirano ai colori della terra e della storia friulana. La sua musica, nel filone del canto d’autore popola- reggiante, è una sorta di polifonia etnica, nella quale melodia e armonizzazione sono alla ricerca delle potenzialità e dei colori della voce. I canti di Màiero sono specchi dell’anima e trovano diffusa acco- glienza nel repertorio di molti cori italiani e stranieri. Parliamo dei testi dei suoi canti, nei quali racconta di folletti e spiriti, di amore, ambiente, uomini e stagioni. Scandisce forse lo scorrere del tempo con poetica nostalgia? I testi sono originali, a parte alcuni casi; senza dubbio la lettura è cor- retta quando si afferma che tutto è legato allo scorrere del tempo. Nei riferimenti alle stagioni, ai tempi passati, alle tradizioni, ai suoni e alle voci andate non c’è però nostalgia, ma la considerazione che il tempo è il mistero che regola la vita e rappresenta il prezzo più caro da pagare per la vita stessa. Amo condividere emozioni e fatti, cer- care una visione ecumenica, senza voler imporre un proprio sentire, raccontando ciò che fa parte di noi in modo semplice. Ma così i suoi testi si prestano a molteplici interpretazioni, a uso del diverso sentire di ciascuno... Verissimo, si prestano a letture molteplici, alcune più semplici, altre più criptiche; lascio la libertà di interpretare ciò che scrivo, senza alcuna costrizione o imposizione. Ho ascoltato dei commenti che mi hanno piacevolmente stupito; a volte nemmeno io colgo aspetti che altri, animati da sensibilità diverse, riescono a fare emergere. Se i miei testi lo permettono, asse- condando così le esigenze di chi mi interpreta e ascolta, questo è motivo di grande soddisfazione. Un altro tema molto presente è quello del silenzio. Qual è il suo rapporto con questa dimensione? Amo l’introspezione e la ricerca di sé, cosa che dovremmo fare tutti. Il silenzio, come racconto nel brano “Sul volo chiaro”, è una dimensio- ne che abbiamo smarrito. Per molti quello di “far rumore” è il solo modo per esistere: nel silenzio abbiamo la possibilità di guardarci attorno e di riscoprirci; estremiz- zando il ragionamento, pensiamo alla scelta del monaco di clausura, che fa del silenzio lo strumento del dialogo mistico. I riferimenti ai silenzi perduti della montagna sono allegorie che mi permettono di intervenire a salvaguardia del- l’ambiente in una dimensione eco- logica. Nessuna censura da parte mia per chi ama il rumore, solo l’esortazione al dialogo e al rispetto. Testo e fotografie a cura del maestro Giovanni Mayer DE MUSICA Sopra Il coro Vôs de mont, in occasione di un concerto. In basso Il maestro Marco Màiero 52

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MARCO MÀIEROLa ricerca di un linguaggio musicaleoltre la costruzione tradizionaleConosciamo da vicino un raro esempio di coro d’autore, il “Vôs de mont”, e il pensieroispirato del suo infaticabile e apprezzato animatore artistico.

Giovanni Mayer intervista il maestro friulano

Marco Màiero è nato a Tricesimonel 1956. Nel 1981 si è diplomatoin trombone presso il Conservatorio“J. Tomadini” di Udine. Insegna musica nella Scuola Media.Nel 1978 ha fondato il coro Vôs demont, con il quale proporre cantioriginali di cui è compositore eautore. Nel 2000, assieme ad alcuniamici appassionati, dà vita al deci-mino di ottoni Brassevonde. I testi delle sue composizioni siispirano ai colori della terra e dellastoria friulana. La sua musica, nelfilone del canto d’autore popola-reggiante, è una sorta di polifoniaetnica, nella quale melodia earmonizzazione sono alla ricercadelle potenzialità e dei colori dellavoce. I canti di Màiero sono specchidell’anima e trovano diffusa acco-glienza nel repertorio di molti coriitaliani e stranieri.

Parliamo dei testi dei suoi canti, neiquali racconta di folletti e spiriti, diamore, ambiente, uomini e stagioni.Scandisce forse lo scorrere deltempo con poetica nostalgia?

I testi sono originali, a parte alcunicasi; senza dubbio la lettura è cor-retta quando si afferma che tutto èlegato allo scorrere del tempo. Neiriferimenti alle stagioni, ai tempipassati, alle tradizioni, ai suoni e allevoci andate non c’è però nostalgia,ma la considerazione che il tempoè il mistero che regola la vita erappresenta il prezzo più caro dapagare per la vita stessa. Amocondividere emozioni e fatti, cer-care una visione ecumenica, senzavoler imporre un proprio sentire,raccontando ciò che fa parte di noiin modo semplice.

Ma così i suoi testi si prestano amolteplici interpretazioni, a usodel diverso sentire di ciascuno...Verissimo, si prestano a letturemolteplici, alcune più semplici,altre più criptiche; lascio la libertàdi interpretare ciò che scrivo, senzaalcuna costrizione o imposizione.Ho ascoltato dei commenti che mi hanno piacevolmente stupito; a volte nemmeno io colgo aspettiche altri, animati da sensibilità

diverse, riescono a fare emergere.Se i miei testi lo permettono, asse-condando così le esigenze di chimi interpreta e ascolta, questo èmotivo di grande soddisfazione.

Un altro tema molto presente èquello del silenzio. Qual è il suorapporto con questa dimensione?Amo l’introspezione e la ricerca disé, cosa che dovremmo fare tutti.Il silenzio, come racconto nel brano“Sul volo chiaro”, è una dimensio-ne che abbiamo smarrito. Per moltiquello di “far rumore” è il solomodo per esistere: nel silenzioabbiamo la possibilità di guardarciattorno e di riscoprirci; estremiz-zando il ragionamento, pensiamoalla scelta del monaco di clausura,che fa del silenzio lo strumentodel dialogo mistico. I riferimentiai silenzi perduti della montagnasono allegorie che mi permettonodi intervenire a salvaguardia del-l’ambiente in una dimensione eco-logica. Nessuna censura da partemia per chi ama il rumore, solol’esortazione al dialogo e al rispetto.

Testo e fotografie a cura del maestro Giovanni Mayer

DE MUSICA

SopraIl coro Vôs de mont, in occasione

di un concerto.

In bassoIl maestro Marco Màiero

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DE MUSICA

SopraIl Vôs de mont ha finora realizzatosei lavori discografici: Anìn insieme(1987). Lidrîs (1992), Albadis (1996),Mateçs (2001), ‘L è ben vêr (2004),Carezze (2009).

Qual è la sua visione della musicadi oggi?L’esperienza di insegnante miconferma che in Italia siamo deglieterni adolescenti musicali. Infattil’attività musicale più strutturata èrelegata ai soli tre anni di scuolamedia, poi il nulla; evito commentisui programmi dei Conservatori,sui quali ci sarebbe molto da dire.L’approccio alla musica è emotivoe rimane tale, non si fa nulla permodificarlo e conduce a unasuperficiale categorizzazione chedistingue ciò che è di moda in“buona musica” e tutto il resto in“roba da vecchi”.

Gli studi musicali hanno influenzatolo stile delle sue composizioni?Ho iniziato a comporre per cercareun contatto affettivo con i mieicoristi. L’apprezzamento inaspet-tato da parte di molti, mi ha datograndi soddisfazioni e spinto acontinuare. In merito alla domanda,direi che è la pratica con il Vôs deMont che ha influenzato il miomodo di suonare strumentale. Nelgruppo di ottoni, dove suono, portol’esperienza corale, l’attenzionead ascoltare gli altri, la ricercadella “fusione” attraverso la condi-visione di tempo, spazio e respiro.

Nei suoi lavori le parti vocali sonomolto “cantabili”: ciò denota lapreferenza verso uno stile di com-posizione “orizzontale”, tipico dichi pratica strumenti “monofonici”... E’un’osservazione che mi fa pia-cere: sono un pragmatico e ritengofelice la scelta, da parte di francesie inglesi, di indicare l’azione delsuono con i verbi “jouer” o “toplay”, che indicano per noi il“giocare”. Quando compongo presto infatti attenzione affinchél’esperienza musicale sia “giocosa”.Chi canta le parti centrali di unacomposizione polifonica spesso ècostretto a tre minuti di note dritte,che sono tutto fuorché divertenti da

cantare. Per questa ragione concedoa tutte le voci del coro, pur neilimiti di una scrittura a quattro vocipari, il momento di liricità con cui“giocare” e godere dell’esecuzione.

Nei suoi temi è evidente la predile-zione per l’intervallo di sesta, chequalcuno ha etichettato come la“carezza” in musica: una specie dileit-motiv, un marchio di fabbrica?Con ogni probabilità il mio melo-dizzare subisce l’influsso inconsciodelle villotte, una delle espressionipiù originali del canto delle terrefriulane; piccole gemme, cammeimusicali che si aprono e chiudono inpochi secondi di esecuzione. Nonsi sa da dove vengono, ma sonosimili per certi slanci melodici auna cantabilità espressa in partico-lar modo nel meridione italiano.

Il “Vôs de Mont” è un laboratoriodi sperimentazione corale?Per certi versi lo è. Per esempio, ilcorista del Vôs de Mont è un coristaanomalo perché “costretto” a canta-re solo i miei brani, condizioneessenziale per un coro d’autore: puressendo un dilettante, è sfidato amettersi alla prova affrontando unpercorso difficile, abbandonandociò che nella tradizione corale rap-presenta la certezza e un camminorassicurante. Nessuno di loro,affrontando una nuova composizio-ne, ha idea dell’effetto complessivo,se non alla fine; tutto nasce notadopo nota, battuta dopo battuta, unaconsapevolezza progressiva. Il coronasce con la voglia di scommettere,una sfida personale e collettiva, chesi ripete in ogni esibizione. Anchela scelta dei brani da proporre inun concerto da un’ora e mezza,cercando di catturare l’attenzionedel pubblico, non è impresa facileper un repertorio come il nostro.

E il futuro?Coltivo il desiderio di mettermialla prova, alla ricerca di nuove vie

per la coralità maschile, con lavoglia di unire la musica corale al difuori degli schemi che distinguono icori in polifonici e popolari. Vorreitrovare una “strada” che unisca ilmondo della coralità. Negli anniho assistito alla ricerca ossessiva delrinnovo del repertorio, alla produ-zione di nuove composizioni,moderne, nel linguaggio e nello stilemusicale. Un fenomeno avvenutoin modo abbastanza scomposto eaffrettando i tempi. L’esito? Moltecomposizioni contemporanee sonotroppo complesse per coristi dilet-tanti e per un pubblico di “adole-scenti musicali”. Nei concorsi piùblasonati ascolto composizionistraordinarie, che però rimangonoepisodi e si perdono dopo la primaesecuzione. Perché costringere ilcorista a equilibrismi vocali eintonazioni difficilissime? Esiste dicerto un’alternativa percorribile.Sono alla ricerca di un linguaggioche superi la costruzione musicaletradizionale, alla lunga percepitacome scontata e banale, indivi-duando nuove soluzioni senzadisorientare e inserendo elementidi modernità. Un ultimo pensierocorre ai testi. Rilevo che i compo-sitori spesso riducono la parola alservizio del suono; noto che la pro-duzione di canti profani si avvalequasi esclusivamente di poesie nateper rimanere tali. Sono d’accordocon Bepi de Marzi, mio maestroispiratore da sempre, quando affer-ma che una poesia se è nata cosìnon ha bisogno di altro per vivere.Sarebbe come se i cantautoricostruissero le loro canzoni sullepoesie dei poeti. Non funziona! Sonoconvinto che, in un canto o in unacanzone, parola e suono debbanosvilupparsi in simbiosi: è un versoche genera l’inciso o è l’inciso cheispira un pensiero. Così funziona!

Una battuta finale?Una canzone non può cambiare ilmondo, ma lo aiuta a stare meglio.

Queste pagine sono curate dal maestro Giovanni Mayer, in collaborazione conAssociazione Culturale CORO VECCHIO PONTEVia Travettore, 6736061 Bassano del Grappa (VI)Sede ProveVia Ognissanti 31 - Palazzo PolidoroBassano del Grappa (VI)Martedì / Giovedì: ore 21.00-23.00Tel. direttore: 335 6766553 Tel. presidente: 338 [email protected]