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Darwinaggini Questi appunti sono stati prelevati dal sito Geologia 2000 [ www.anisn.it/geologia2000 ] L’autore non si assume alcuna responsabilità riguardo eventuali danni morali, materiali o cerebrali attribuibili all’uso proprio o improprio di questi appunti. Appunti di Paleontologia - L’ evoluzione Adriano Nardi

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Darwinaggini

Questi appunti sono stati prelevati dal sito Geologia 2000 [ www.anisn.it/geologia2000 ] L’autore non si assume alcuna responsabilità riguardo eventuali danni morali, materiali o cerebrali

attribuibili all’uso proprio o improprio di questi appunti.

Appunti di Paleontologia - L’ evoluzione Adriano Nardi

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Cos’è la Vita? Il più elementare oggetto che si possa definire “vivente” è costituito da una miscela colloidale di: • Acqua • Grosse molecole di carbonio:

∗ Carboidrati ∗ Lipidi ∗ Proteine (composti di azoto e zolfo)

• Piccole quantità di composti inorganici Il tutto è reso “attivo” dalla presenza di enzimi (catalizzatori proteici) che determinano la manifestazione di alcune reazioni chimiche (funzioni metaboliche). Quest’oggetto si chiama Virus. La prima proprietà della vita è la riproduzione. L’individuo si replica grazie ad informazioni (geni) costituite da combinazioni di molecole specializzate che compongono il DNA. Differenti combinazioni determinano la produzione di sistemi enzimatici diversi e quindi ontogenesi diverse ovvero sviluppi in forme differenti. La riproduzione per autoreplicazione è in fin dei conti l’esasperazione dell’azione catalitica: una reazione che catalizza sé stessa (autocatalisi). La prima informazione da trasmettere è trasmettere informazioni. Nessun sistema non vivente è capace di autocatalisi. Il virus è nient’altro che una grossa molecola proteica contenente grossi polimeri di aminoacidi ovvero RNA (acido ribonucleico) o DNA (acido desossiribonucleico) che, in determinate condizioni (ovvero quando si trova all’interno di altre cellule viventi) gli consentono di replicare sé stessa. Da questo punto di vista il virus segna un passaggio - non netto - tra ciò che è inerte (atomi e molecole) e ciò che è vivo (cellule). Un’altra caratteristica della vita è l’autosintesi, ovvero la capacità di decomporre alcune parti della materia vivente per produrre energia (necessaria al metabolismo). Il virus anche in questo caso segna un passaggio non netto tra inerte e vivente, infatti: • tutti i sistemi viventi svolgono autosintesi • nessun sistema non vivente è in grado di svolgere autosintesi • i virus (e soltanto loro) sono in grado di svolgere questa funzione soltanto quando si

trovano all’interno di una cellula o un organismo vivente.

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La terza caratteristica dei sistemi viventi è l’adattamento all’ambiente circostante. L’adattamento può essere immediato (reazione organica come il sudore) o a lunga scadenza (lenta evoluzione delle caratteristiche fisiche). CONCLUSIONE: la Vita è una complessa combinazione di materia non vivente che si esprime come un caratteristico insieme di reattività chimica (autosintesi), riproduzione (autocatalisi) e adattamento. Si tratta di un equilibrio dinamico di natura fisico-chimica. Un normale equilibrio dinamico è in grado di mantenersi reagendo alle variazioni esterne ma può farlo soltanto entro un certo limite di variazione, oltre il quale si rompe. La vita è un equilibrio più raffinato in grado di produrre da sé l’energia necessaria al mantenimento e adattarsi permanentemente alle variazioni ambientali traslando l’intervallo di reattività. Può inoltre scavalcare il rischio potenziale di questi limiti replicando il medesimo equilibrio in altre unità. In definitiva la differenza tra la materia inerte (molecole) e la più elementare materia vivente (di fatto una particolare molecola proteica) è una sorta di “ostinazione” a preservare nel tempo l’equilibrio di cui è partecipe, a qualsiasi costo e in qualsiasi modo, perfino cedendo il compito ad un’altra unità. Qui nasce l’individuo, cosa che più facilmente riconosciamo come “vita”. Una cosa è “viva” perché il suo particolare equilibrio, a differenza di altri, ha potuto conservarsi nel tempo fino a potersi mostrare ai nostri occhi, sia pure modificato rispetto a quello originario. Da qui la sua apparente “determinazione”.

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Cos’è l’evoluzione ? La vita sulla Terra presenta due caratteristiche apparentemente opposte: diversità e uniformità. La diversità (pinne, zampe, ali) è dovuta alla filogenesi mentre l’uniformità (4 arti, due occhi, una testa) indica un’origine comune alla base della filogenesi. Definiamo brevemente due concetti che verranno sviluppati in seguito: Ontogenesi: sviluppo del singolo individuo (crescita). Si manifesta prevalentemente nella fase embrionale. Filogenesi: sviluppo di interi gruppi di individui. Si manifesta nel corso della storia. • Esempio: nella cultura possiamo riconoscere una sorta di filogenesi nel progresso storico della conoscenza e un’ontogenesi

nell’apprendimento scolastico individuale. • LEGGE DI HAECKEL: nello sviluppo embrionale di un individuo si possono riconoscere le varie fasi dell’evoluzione della sua

specie. In una bella frase fatta: “L’ontogenesi riepiloga la filogenesi”.

Dunque un qualcosa che chiamiamo evoluzione agisce modellando gli esseri viventi producendone la diversificazione nell’ambito di una certa uniformità. Ma per capire bene cos’è l’evoluzione, al di là del dualismo Lamark-Darwin (che vedremo in seguito), bisogna conoscere meglio il funzionamento della Vita. Vediamo dunque brevemente come e perché gli organismi si sviluppano e si riproducono. Lo sviluppo dell’individuo (ontogenesi) è regolato dai geni (DNA) che agiscono producendo particolari enzimi (catalizzatori di reazioni chimiche). I geni sono organizzati in gruppi (cromosomi) localizzati, nella maggior parte dei casi, nel nucleo della cellula. Alcuni organismi (batteri, alghe azzurre) non hanno un nucleo differenziato e i cromosomi sono dispersi all’interno della cellula. I virus rappresentano uno o più geni isolati e autonomi, come “frammenti vagabondi di materiale genetico” (ma che belle parole!). Il numero e il tipo di cromosomi sono costanti e caratteristici in ciascuna specie (poi vedremo bene cos’è una specie). I geni sono anche in grado di replicare sé stessi e quindi gli individui della stessa specie. Riproduzione: i cromosomi si presentano in coppie omologhe (c. diploidi) ma in alcuni organismi e in tutte le cellule riproduttive (gameti) si presentano singoli (c. aploidi). La

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replicazione del patrimonio genetico può avvenire secondo due modalità: mitosi e meiosi. Mitosi: è il tipo di riproduzione della maggior parte delle cellule (riproduzione asessuata) nella quale cromosomi diploidi si separano all’interno della cellula madre ripartendosi nelle due cellule figlie (scissione della cellula madre). Il patrimonio genetico delle cellule figlie è identico a quello della cellula progenitrice. Meiosi: è una riproduzione sessuata che avviene in alcuni organismi unicellulari e in tutte le cellule riproduttive (gameti) degli individui pluricellulari. I cromosomi diploidi si dividono con due mitosi successive dando origine a gameti con numero di cromosomi dimezzato (aploidi). Quindi due cellule progenitrici si fondono dando origine ad una cellula figlia con patrimonio genetico misto. • Esempio: in un organismo pluricellulare come l’uomo tutte le cellule che costituiscono l’organismo si riproducono per mitosi

salvo nelle gonadi dove i gameti (le cellule destinate alla riproduzione) sono prodotti per meiosi • Al di là della realtà biologia (che non ci compete) diciamo semplicemente che il DNA è costituito da una doppia catena di

molecole (le sequenze di molecole sono l’informazione genetica). Questa doppia catena occasionalmente si può dividere in due matrici ciascuna delle quali può ricombinarsi ad un’altra mezza catena (meiosi) o autoricostruire la parte mancante combinando ad ogni molecola sganciata un’altra molecola compatibile reperita nell’ambiente (mitosi).

Eventuali errori nella replicazione del DNA prendono il nome di mutazioni genetiche e, causando la produzione di enzimi differenti, determineranno una diversa ontogenesi e in definitiva la nascita di un individuo non conforme alla matrice originale. Premesso tutto ciò, vediamo ora di capire cos’è l’evoluzione e quindi che rapporto può avere, attraverso la riproduzione, con eventuali mutazioni genetiche. Chiariamo fin da subito infatti che l’evoluzione non è dovuta alla sola selezione naturale (come pensava Darwin che non conosceva la genetica) ne’ è necessariamente legata a mutazioni genetiche, come ritennero in seguito i genetisti. L’evoluzione è un processo più complesso che va visto in un quadro generale. Evoluzione secondo Lamark: “L’ontogenesi si tramanda nella filogenesi” (notare che è l’opposto della legge di Haekel!) Le necessità di un individuo possono sviluppare in lui una caratteristica che si tramanda poi alla sua discendenza. Evoluzione secondo Darwin: nel panorama della naturale differenziazione tra i vari individui, l’evoluzione seleziona quei particolari individui che hanno le caratteristiche necessarie alla sopravvivenza in quel determinato ambiente. L’esempio tipico è quello del collo delle giraffe: • Secondo Lamark a furia di protendersi verso rami più alti, alla ricerca di foglie da mangiare, le giraffe nel corso della loro

vita sviluppano un collo sempre più lungo (come l’atleta sviluppa i muscoli). Questa caratteristica poi (non si sa come) viene tramandata alla discendenza che quindi nasce già con il collo più lungo. Inutile dire che questa teoria non è supportata dalla genetica. Sarebbe come dire che il figlio di un tennista deve nascere con il braccio destro più sviluppato!

• Secondo Darwin invece in una popolazione di giraffe esiste una naturale varietà (alte, basse, magre, grasse, bionde, brune) e la selezione naturale filtra gli individui che casualmente hanno le caratteristiche più adatte all’ambiente in cui vivono. In altre parole, le giraffe basse moriranno di fame prima di riprodursi mentre quelle alte potranno mangiare di più, sopravvivere,

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riprodursi e quindi tramandare quella caratteristica vincente (genetica) alla loro discendenza. Vediamo dunque che Darwin (inconsapevolmente) fu d’accordo con la genetica, malgrado poi i genetisti (arrogantemente) non lo furono con lui in quanto non poteva aver ragione chi “non conosceva ancora la nuova scienza della genetica”.

Darwin infatti fa queste due osservazioni: ⇒ tutti gli organismi mostrano una certa variabilità; ⇒ tutti gli organismi producono molta più discendenza di quanta ne possa sopravvivere. Per capire a fondo le potenzialità dell’evoluzione bisogna definire i concetti di carattere, specie e popolazione ma soprattutto la loro differenza. Caratteri: caratteristiche morfologiche e fisiologiche che nel loro insieme (fenotipo) sono tipiche ed esclusive di una determinata specie. Ogni carattere è prodotto da una determinata informazione genetica o allele. Specie: insieme di organismi geneticamente compatibili (che possono riprodursi). Popolazione: individui della stessa specie che si trovano nella stessa area geografica in un dato momento. L’evoluzione agisce sulla popolazione turbandone l’equilibrio genetico cioè la costanza nell’ereditarietà dei caratteri di quella specie. Esistono due livelli di evoluzione: Evoluzione sequenziale: piccole variazioni casuali nelle sequenze dei geni che non comportano l’origine di una nuova specie. Alla variazione del genotipo (insieme delle informazioni genetiche, non visibile) corrisponde una variazione del fenotipo (aspetto visibile, insieme dei caratteri). In realtà l’equilibrio genetico perfetto non esiste e una piccola evoluzione sequenziale c’è sempre. Evoluzione divergente: agisce selezionando gli individui su intervalli di tempo molto lunghi e da origine a nuove popolazioni. L’evoluzione agisce mediante tre processi: mutazione, selezione e drift. Mutazione (e variazione): cambiamento spontaneo della sequenza genetica (per mutazione o introduzione di un nuovo allele) o cambiamento spontaneo nella combinazione genetica (variazione).

variazione del genotipo

t e m p o

Evoluzione sequenziale

Evoluzione divergente

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Selezione: Fattori ambientali possono favorire la riproduzione di alcuni individui (quindi della loro sequenza genetica). La selezione è un filtro e non può produrre nuovi geni o nuove combinazioni. Drift: (letteralmente “deriva”) fluttuazione casuale degli alleli. L’allele - ricordiamolo - è l’informazione genetica corrispondente ad un determinato carattere del fenotipo. In particolare la mutazione può essere di due tipi: • Mutazione genica: modificazione dell’organizzazione chimica del gene che viene replicata e trasmessa alla generazione

successiva. • Mutazione cromosomica:

- Cambiamento nel numero dei cromosomi; - Cambiamenti strutturali dei cromosomi; - Cambiamento delle posizioni dei geni.

La selezione favorisce geni che assicurano il più alto livello di efficienza nell’adattamento della popolazione al suo ambiente. Per gli organismi semplici (quelli unicellulari che con la mitosi praticamente si clonano) la mutazione genetica è la caratteristica evolutiva più importante ma per quelli complessi (popolazione ridotta, vita è lunga e ambiente instabile) è addirittura pericolosa. Il requisito essenziale in questo caso è invece la possibilità di mescolamento delle informazioni genetiche, reso possibile dalla riproduzione sessuata (meiosi). Esempio: nel lago di Knor abbiamo un organismo Adamo in grado di sintetizzare l’aminoacido A ma che trae l’aminoacido B dal brodo priomordiale. L’organismo Eva invece trae A dal brodo ma è capace di sintetizzare B. Dall’accoppiamento di Adamo ed Eva (riproduzione sessuata) potrebbe nascere un organismo in grado di sintetizzare sia A che B, quindi non più dipendente dalla chimica del brodo e potenzialmente immune a qualche variazione ambientale. La riproduzione sessuata si svolge con due assetti cromosomici diversi (padre e madre) e una complessa meiosi nella quale i cromosomi omologhi si scambiano segmenti per far si che i patrimoni genetici paterni e materni si trasmettano non intatti. Alla “clonazione” della mitosi si contrappone dunque l’assortimento dei geni con l’introduzione di qualche casuale “novità”. L’evoluzione degli organismi complessi (che hanno vita lunga e poca prole) non può dipendere dalla pura mutazione genetica. Una rapida variazione climatica sterminerebbe la popolazione prima che il caso possa fornirle una mutazione utile. Il sesso dunque è una soluzione che garantisce la sopravvivenza della specie attraverso una variabilità che favorisce la selezione naturale e quindi l’adattamento alle variazioni ambientali.

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Qual è il ruolo dei geni nell’evoluzione ? Il grado di diversificazione in una popolazione dipende da un equilibrio tra i meccanismi che favoriscono l’incrocio (caso estremo: autoincrocio) e quelli che favoriscono l’esoincrocio (caso estremo: ibridizzazione con altre specie). La specie (gruppo nel quale è possibile la riproduzione) è un’altra soluzione per garantire la sopravvivenza favorendo l’evoluzione. Infatti se tutti gli individui fossero compatibili il carattere innovativo e positivo di uno si disperderebbe nella media tra moltissimi individui. La compatibilità con un ristretto numero di individui invece conferisce maggior risalto al carattere vincente favorendo così l’adattamento per selezione naturale ma al contempo separa sempre più le due specie che quindi si evolvono in direzioni diverse. La speciazione dunque, come la riproduzione sessuata, è una soluzione evoluzionista. La speciazione si manifesta a causa di meccanismi isolatori (vedi più avanti: “speciazione geografica”). Una specie nuova però ha “senso” soltanto se vive in una nicchia ecologica diversa dalla prima, ovvero quando tra le due specie non c’è competizione sulle risorse ambientali. Esempio: la specie Pappaficus è in pericolo a causa della scarsità di frutti. Se da essa si dirama una nuova specie che si ciba solo di bucce sdegnando i fichi, la sopravvivenza è garantita ad entrambe. Se invece una si arrampicava mentre l’altra vola per riuscire a raggiungere e mangiare gli stessi fichi, scartando le bucce, allora la speciazione non sarà stata una soluzione al problema dei fichi. Per capire bene il ruolo della genetica nell’ambito dell’evoluzione bisogna chiarire che non esiste “quel gene” che modifica “quel carattere” ma l’insieme del “flusso di modificazioni” di moltissimi geni porta alla manifestazione di un certo carattere. La maggior parte dei geni (specialmente negli organismi superiori) sono pleiotropici, cioè influenzano un certo numero di caratteri mentre la maggior parte dei caratteri sono poligenici, cioè sono controllati simultaneamente da molti geni. Quindi deve essere chiaro che non è il gene che viene sottoposto alla selezione naturale. La selezione agisce soltanto sul fenotipo, cioè sull’insieme dei caratteri esteriori dell’individuo. Un unico gene può produrre una certa quantità di fenotipi, alcuni dei quali passano l’esame della selezione naturale consentendo così la conservazione, tra gli altri, anche di quel gene. Del resto non è soltanto la mutazione ma soprattutto la ricombinazione genetica che produce la variabilità che poi sarà sottoposta alla selezione naturale. La selezione agisce sul fenotipo, non sul genotipo, e la variabilità del fenotipo dipende soprattutto dalla ricombinazione dei geni, anche se la mutazione resta la base prima della variabilità. In definitiva ogni volta che la selezione “richiede” una forma nuova, la trova già disponibile nella popolazione, senza dover attendere una nuova mutazione.

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Qual è il ruolo della riproduzione nell’evoluzione ? Ad essere selezionata è qualsiasi caratteristica possa favorire la sopravvivenza o il successo nella riproduzione. Ma selezionata da cosa? Darwin affiancò alla selezione naturale una selezione sessuale ma quest’ultima fu ancor più contestata della prima. Da pochi fu accettata ma solo come “un caso particolare di selezione naturale”. Selezione sessuale: ulteriore selezione limitata all’efficienza nella riproduzione. Il vantaggio evolutivo è chiaro: se un individuo non riesce a riprodursi è inutile che sia perfettamente adattato al suo ambiente. Esempio: nel Mandrillus Deficiens il maschio ha un ciuffo azzurro mentre la femmina ha il cuiffo rosa. Ciò permette al maschio di distinguere la femmina dagli altri maschi, evitando accoppiamenti infruttuosi. La femmina dal canto suo fa la sdegnosa ma è attratta dai ciuffi azzurri e dunque tra i molti maschi che la corteggiano soltanto il Mandrillus con il ciuffo più folto e azzurro (dopo ore di parate, fischi e balletti) riuscirà a farsi scegliere, pur avendo la netta illusione di aver scelto lui. E’ stato selezionato. La selezione sessuale si manifesta quando una popolazione è sbilanciata (troppi maschi) o quando l’accoppiamento è particolare (poligamia). Oggi è noto che la colorazione è impiegata non soltanto per distinguere i sessi ma soprattutto come meccanismo isolatore (concetto ignorato da Darwin) cioè per distinguere meglio gli individui della stessa specie evitando accoppiamenti con specie affini che darebbero come risultato ibridi spesso sterili. Talvolta però il dimorfismo sessuale può anche essere causato dalle diverse abitudini di vita tra maschio e femmina (come osservò lo stesso Darwin) quando cioè occupano praticamente due nicchie diverse. In questo caso anche il dimorfismo sessuale è frutto della selezione naturale. Darwin separa nettamente la selezione naturale da quella sessuale ed anzi sostiene che esse si escludono a vicenda: la prima dipende dal successo di ambedue i sessi indistintamente ed è “finalizzata” alla conservazione dell’intera specie, la seconda invece dipende dal successo di un individuo rispetto ad altri dello stesso sesso e della stessa specie. Tuttavia il dimorfismo sessuale non può essere dovuto (come egli sosteneva) in massima parte alla sola selezione sessuale. Un’altra importante caratteristica della riproduzione è la strategia riproduttiva. Considerando che la discendenza è sottoposta ad una selezione, per assicurare il successo della progenie si dovrà scegliere tra due possibilità: strategia R: generare un grandissimo numero di discendenti e/o avere una rapidissima successione di generazioni;

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strategia K: generare pochi discendenti ma curarne la crescita finchè non saranno perfettamente in grado di badare a se stessi. Ciò implica una lenta successione generazionale. Questi due concetti però sono molto relativi. Le popolazioni di batteri adottano una strategia R mentre l’uomo presenta decisamente una strategia K. Il coniglio però è un K rispetto ai batteri e un R rispetto all’uomo. Per questo motivo le popolazioni vengono solitamente definite K o R “tendenti”.

Un tasso chiede a un altro tasso: - Ma tu, le paghi le tasse? - Io no, modestamente... piaccio!

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L’evoluzione segue un disegno ideale ? La mutazione genetica è un elemento incidentale mentre la ricombinazione dei geni (con la riproduzione sessuata) è casuale. L’azione della selezione invece ha come risultato il perfezionamento della compatibilità dell’individuo con l’ambiente in cui vive. L’apparente finalità dell’evoluzione è causata proprio dalla selezione. La selezione però è un filtro che lascia passare soltanto le caratteristiche positive (consentendo la sopravvivenza e/o la riproduzione) scartando quelle negative (la pena è la morte o l’impossibilità di riprodursi). Quindi è ovvio che il risultato del filtraggio è un individuo “ideale” dal punto di vista delle sue capacità di sopravvivenza. L’evoluzione non produce un essere bello, forte o simpatico ma semplicemente un essere “adatto” a vivere in quel luogo in quel tempo. Le tendenze evolutive o serie ortogenetiche, cioè i casi di evoluzione tendente in una certa direzione per lunghissimo tempo, non sono dovute ad una finalità verso “l’essere perfetto” ma ad una ortoselezione molto lunga a causa di una lenta mutazione ecologica. Se l’ambiente muta lentamente e costantemente si avrà infatti una lenta e lunga selezione di tutti i caratteri necessari a quella particolare situazione. Quando il fenotipo sarà divenuto “ideale” per quel particolare ambiente, la selezione inizierà ad agire quasi al rovescio, eliminando cioè ogni possibile deviazione dalla media della popolazione. Inizia così un periodo di stasi (omeostasi) che può durare anche molto a lungo (è il caso del Limulo) almeno finché le condizioni ambientali restano stabilmente nel margine di variazione tollerato. Una successiva fase di instabilità potrà però innescare periodi di esplosione evolutiva con la creazione di molte specie da una sola di partenza. In conclusione l’evoluzione non segue un progetto e il suo “ideale” è semplicemente quello di stabilire un equilibrio tra l’essere vivente e il suo ambiente. Per riprendere il discorso sulla Vita, potremmo vedere l’evoluzione come un accordo spontaneo, o meglio una sorta di risonanza, tra l’equilibrio Vita e l’equilibrio Ambiente. Questo super-equilibrio si chiama Ecosistema e non per nulla è così... armonico!

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Cosa determina l’evoluzione ? A questo punto c’è da chiedersi quando come e perché da una specie primordiale possono originarsi altre specie, ovvero come un’unica popolazione possa subire una diversificazione così radicale (speciazione). Darwin per primo comprende l’importanza delle isole nella speciazione, ovvero la necessità di ciò che oggi si chiama un meccanismo isolatore. Per comprendere come l’isolamento possa portare alla speciazione occorre però procedere per gradi. La più piccola unità di popolazione prende il nome di deme. Un deme è un “gruppetto locale” di individui che pur essendo temporaneamente isolato resta un sistema genetico aperto poiché sarà sempre possibile lo scambio di geni anche tra demi lontanissimi, sia pur attraversando demi intermedi. Tanto per fare un esempio, un deme umano potrebbe essere la popolazione di un paesino. Da un punto di vista urbano è un centro isolato (al contrario del quartiere di una citttà) ma è pur sempre possibile l’insediamento di forestieri o l’emigrazione verso altri centri. Demi che presentano una diversa costituzione genetica, tale da renderli visibilmente distinguibili, vengono denominati razze ( o ecotipi o sottospecie ). In questo caso possono esistere altri demi la cui popolazione presenta entrambe le caratteristiche. Cause ecologiche di lunghi ma pur sempre temporanei isolamenti possono causare l’origine di moltissime razze, naturalmente tutte compatibili geneticamente. Un esempio artificiale è quello dei cani: il pastore tedesco è nettamente distinguibile dal pastore scozzese ma possono accoppiarsi con successo dando vita ad un incrocio ancora diverso e a sua volta compatibile con entrambe le razze. Al contrario, la variazione graduale di un carattere tra demi adiacenti è detta cline. Si tratta di una sfumatura continua da un carattere ad un altro tale che la distinzione dei demi in razze ne risulta impossibile. Variazioni di questo genere sono solitamente correlate ad un gradiente ecologico. Un esempio di cline (forse un po’ forzato) potrebbe essere il colore dei capelli e della carnagione nella popolazione italiana. Al nord prevalgono le bionde dalla pelle chiara e al sud le brune dalla carnagione più scura, tuttavia la popolazione italiana nel suo insieme presenta una variabilità tale da non poter distinguere per ogni deme una determinata razza, ovvero un colore particolare per ogni regione. La specie, a differenza del deme e della razza, è costituita da una popolazione di individui che non può avere incroci con un’altra. Ma non possono proprio riprodursi o non ci riescono? Non importa. Due popolazioni rappresentano due specie diverse quando non gli è possibile uno scambio genetico a causa di una qualsiasi ragione che, in questo caso, prende il nome di meccanismo isolatore. Due gruppi di individui della stessa popolazione non possono incrociarsi quando:

Razze

Cline

Demi

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• sono geograficamente separati (da una distanza o da una barriera); • hanno comportamenti diversi (stagione dell’accoppiamento, rituali, ecc.); • non sono morfologicamente compatibili. Facciamo rispettivamente tre esempi:

Il leone marino che vive oltre il circolo polare artico è tutt’altro che indifferente alla “leonessa marina” che vive oltre il circolo polare antartico ma il loro è un amore impossibile a causa di migliaia di chilometri di mari tropicali che nessuno dei due ha intenzione di attraversare.

Il macaco maculato precocis si accoppia nel mese di aprile mentre il macaco maculato tarduvus si accoppia soltanto a giugno. In qualsiasi occasione dovessero incontrarsi macachi e macache delle due specie non troveranno mai “l’atmosfera giusta”.

Abbiamo visto che le razze di cani sono geneticamente compatibili ma tuttavia... un bassotto dovrebbe fare letteralmente i salti mortali per riuscire ad accoppiarsi con un’alana e viceversa, ammesso e non concesso che un alano possa incrociarsi con una bassotta, il parto della bassotta presenterebbe seri problemi...

Insomma quando in una popolazione agiscono dei meccanismi isolatori che impediscono il rimescolamento genetico si avrà una speciazione, ovvero una suddivisione in gruppi non più compatibili geneticamente (specie) che quindi da qui in poi si evolveranno indipendentemente. In altre parole le forze che abbiamo visto agire nell’evoluzione sequenziale (variazione, selezione, drift) sommate ad un meccanismo isolatore (che causa di una speciazione) provocano una divergenza evolutiva.

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Come avviene la speciazione ? Consideriamo una popolazione che si insedia in un nuovo areale, diciamo un’isola. Essa inizia a colonizzare l’isola diffondendosi radialmente dal punto di introduzione. Il territorio però non sarà ecologicamente uniforme e gruppi di individui si stabiliranno in quegli habitat che risultano più ospitali mentre al contrario alcune zone resteranno spopolate . Si formeranno così diversi demi separati da barriere ecologiche che pongono le basi per una divergenza genetica. Se la popolazione fosse uniformemente distribuita avremmo in gioco la sola evoluzione sequenziale ma con l’isolamento locale causato dal fattore ecologico (zone ospitali e non) l’evoluzione agisce su demi producendo notevoli variazioni nella popolazione. A questo punto, indipendentemente su ogni deme, iniziano ad agire variazione, selezione e drift per favorire l’adattamento a quel particolare habitat. La variazione fornisce caratteri innovativi, la selezione promuove i caratteri positivi e il drift stabilizza i caratteri irrilevanti. Si formeranno così razze o clini. La pressione selettiva favorirà gli stessi caratteri negli habitat analoghi oppure una variazione gradata di habitat adiacenti darà luogo ai clini. Qualora l’habitat non esercitasse una forte pressione selettiva, la differenziazione tra i demi potrebbe ugualmente verificarsi a causa del solo drift. Si avrebbe allora una variazione casuale di quei caratteri ininfluenti all’adattamento. Ad esempio, in assenza di predatori, si possono avere nella stessa specie colorazioni diverse non condizionati dal mimetismo. Fin qui abbiamo avuto tra i demi un parziale isolamento che permetteva ancora un modesto rimescolamento genetico ed ha portato alla formazione di razze simpatriche. Un totale isolamento dei demi porterebbe ancora alla formazione di razze (razze allotropiche) ma non di clini. Siamo arrivati dunque alla divergenza genetica tra gli individui di una stessa specie, ma non ancora alla divergenza evolutiva, ovvero ad una speciazione. Infatti tutte le razze sono ancora in grado di incrociarsi tra loro e lo faranno non appena si ristabiliscono dei collegamenti tra i demi. Supponiamo ora che alcuni demi mantengano un totale isolamento per un tempo molto lungo. In questo caso l’impossibilità del rimescolamento genetico con gli altri demi

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porterà la diversificazione ad un livello eccessivo, tale da rendere questo gruppo di individui incapace di incrociarsi con gli individui degli altri demi. E’ avvenuta dunque una speciazione allopatrica che è stata causata da: • separazione geografica; • lungo periodo di isolamento; • variazione ambientale che ha causato la differenziazione per selezione naturale. Speciazioni simpatriche sono ugualmente possibili grazie all’azione di altri meccanismi isolatori e assumono un’importanza primaria nel caso delle piante superiori. C’è però da considerare che un gruppo periferico totalmente isolato non dispone più della gamma genetica che era patrimonio dell’intera popolazione e quindi, se l’ambiente si mantiene uniforme a lungo, tende all’estinzione. Se tuttavia qualche individuo si insedia in una nicchia ecologica libera, la prolificazione nell’ambito della nuova nicchia può restituire alla popolazione locale la variabilità perduta. Una popolazione ristretta e isolata di questo tipo può rappresentare una soluzione ai casi di rapidissima evoluzione associata alla mancanza di una documentazione fossile, detti anche evoluzione quantica.

Mi sento una specie di idiota...

“Speciazione per isolamento”

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Microevoluzione, Macroevoluzione e Megaevoluzione L’interazione tra gli organismi e il loro ambiente (ciò che abbiamo visto fino ad ora) consente di definire una serie di zone adattative. Tutti i componenti di un grande gruppo (ad esempio i crostacei) condividono la medesima zona adattativa avendo in comune un insieme di adattamenti generali. Ciascuna specie occupa all’interno della zona un proprio spazio distinto e ristretto dovuto alla propria e caratteristica serie di adattamenti speciali. E’ possibile rappresentare graficamente questo concetto attraverso una serie di bande (zone adattative o nicchie ecologiche) separate da spazi (discontinuità ecologice o zone ecologiche instabili) e linee serpeggianti all’interno delle bande che rappresentano infine le linee evolutive. In un diagramma di questo tipo alcune linee evolutive (nell’esempio la A) sbandano pur rimanendo nell’ambito della propria zona (evoluzione sequenziale) a volte si biforcano (speciazione) e talvolta si troncano (estinzione). Fin qui siamo rimasti nel panorama già noto, ovvero la microevoluzione. Altre linee evolutive però (come la B) possono saltare su altre zone. Alcuni gruppi di individui possono attraversare una discontinuità ecologica ed insediarsi in un ambiente completamente diverso instaurando un nuovo equilibrio organismo-ambiente. Ciò può avvenire qualora tali individui presentino i caratteri necessari al grande salto e la nicchia ecologica di destinazione non sia già occupata da forti competitori. Questi salti si chiamano macroevoluzione e rappresentano un livello evolutivo superiore alla specie. Nella specie si aveva un’evoluzione stimolata dall’adattamento, ora invece si ha un’evoluzione dell’adattamento stesso.

Ambiente marino

Ambiente d’acqua dolce

Ambiente palustre

Ambiente terrestre

A B

macro mega

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Il salto macroevolutivo è consentito dalla presenza di caratteri di adattamento generale idonei al nuovo ambiente e infatti l’insediamento avviene nella fascia più ampia e meno specializzata della nicchia ecologica. Successivamente la microevoluzione provvede a fornire gli adattamenti speciali necessari per stabilirsi in una proprio settore specializzato. Per questo motivo spesso la macroevoluzione produce una convergenza evolutiva tra specie diverse, ovvero adattamenti speciali simili tra specie dotate di adattamenti generali diversi. E’ il caso di rettili come gli ittiosauri o mammiferi come i cetacei che hanno acquisito morfologia, comportamento o alimentazione simili a quelli dei pesci per competere nel medesimo ambiente. Altri esempi noti sono pipistrelli e uccelli, ammoniti e gasteropodi. Alcune linee possono mostrare una tendenza evolutiva, si dirigono cioè con una certa “decisione” da una zona all’altra seguendo un percorso abbastanza lineare, tanto da dare l’illusione (come abbiamo già visto a proposito della casualità o meno dell’evoluzione) di voler raggiungere un determinato obiettivo. La megaevoluzione però comporta il rischio di estinzione. L’adattamento speciale infatti è un equilibrio vita-ambiente molto precario. Le specie che sopravvivono alle rapide variazioni ambientali hanno adattamento molto generale o estremamente specializzato ma in questo caso la sopravvivenza è costantemente sull’orlo della crisi. La terza ed ultima tappa dell’evoluzione è quella che determina un salto decisivo come ad esempio il passaggio dagli anfibi ai rettili. E’ la megaevoluzione e si basa sull’azione combinata di micro e macro evoluzione. Le condizioni sono simili alle precedenti ma il meccanismo è diverso. Anche qui la zona ecologica da raggiungere deve essere facilmente accessibile e priva di competitori. Il salto però deve avvenire rapidamente o rischia di fallire e soprattutto richiede nuovi tipi di adattamenti generali raggiunti con numerosi tentativi di divergenza evolutiva (microevoluzione). Infine, una volta invasa la nuova zona, deve entrare in gioco la macroevoluzione per prenderne possesso.

Megaevoluzione

Certo che dalla macchina da scrivere al computer DOS, a Windows3.1, Win95, Win98, ed ora Windows 2000... Il mondo ha subìto un’ ENORME evoluzione !

Infatti mio nonno evadeva pratiche, mio padre evadeva pratiche, io evado pratiche...

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Riepilogo sull’evoluzione MICRO, MACRO e MEGA evoluzione sono tre livelli di complessità di un processo continuo messo in moto dai soliti tre fattori: mutazione, selezione e drift. Questi attivano la microevoluzione che procede azionando la macroevoluzione che consente la megaevoluzione. In tale processo il ruolo della selezione naturale diviene sempre più importante. L’osservatore tuttavia noterà principalmente la megaevoluzione (che comprende micro e macro), quindi la macroevoluzione (che comprende la micro) ed infine la microevoluzione. Ricordiamo brevemente come sono articolate: • Microevoluzione: mutazione, selezione e drift sono la combinazione di fattori

biologici e ambientali che portano all’evoluzione sequenziale. Questa a lungo andare diventa sempre divergente portando quindi alla speciazione (causa isolamento). Fin qui abbiamo ottenuto differenziazioni a livello di specie mediante adattamenti generali alle variazioni dello stesso ambiente.

• Macroevoluzione: consente la diffusione in altre zone ecologiche e in pratica lo

sfruttamento di tutte le risorse ambientali disponibili. Procede sondando le zone di instabilità ecologica fino a trovare un ambiente compatibile con gli adattamenti generali acquisiti, sviluppando successivamente gli adattamenti speciali più appropriati. Esempio classico è la diffusione dei rettili in tutti gli ambienti disponibili (terra, aria, acqua).

• Megaevoluzione: costituisce un salto di qualità che consente lo sfruttamento di

un’intera gamma di nuove risorse ambientali. Parte con lo sviluppo di nuovi adattamenti generali (microevoluzione) per trovare la chiave di accesso ad un nuovo modo di vita da sviluppare attraverso la macroevoluzione. Per rimanere in tema, l’esempio tipico potrebbe essere la comparsa dei rettili a partire dagli anfibi.

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Definizione e classificazione delle specie SPECIE TIPOLOGICA o MORFOSPECIE (detta anche specie “Linneana”): appartengono ad una data specie tutti gli individui che hanno determinate caratteristiche morfologiche. E’ un concetto di specie puramente descrittivo, basato sulle differenze tra gruppi di individui e finalizzato alla classificazione. Non si tratta di una specie “naturale” ma di una suddivisione artificiale e soggettiva di facile utilizzazione. SPECIE NON DIMENSIONALE (o specie “di Mayr”): appartengono alla stessa specie tutti quegli individui che possono incrociarsi tra loro e che, per qualsiasi motivo, non possono riprodursi con altri gruppi affini. Questo concetto di specie è più teorico e oggettivo e si basa sulla possibilità effettiva di poter scambiare le informazioni del proprio bagaglio genetico. Il concetto però è anche relativo perché richiede il confronto tra almeno due gruppi. CRIPTOSPECIE (o specie “nascosta”): è un caso a cavallo tra i due precedenti che evidenzia le rispettive differenze. Si tratta di gruppi morfologicamente identici ma non compatibili geneticamente. TIPI: la descrizione di una specie (concetto tipologico) si basa su campioni che manifestano i caratteri tipici.

• Olotipo: individuo che presenta tutti i caratteri rappresentativi della specie. • Paratipo: individuo prossimo all’olotipo, rappresenta la variabilità della specie.

(In teoria l’olotipo dovrebbe essere la media perfetta di tutta la variabilità della specie, ma chiaramente sarà quello che presenta le caratteristiche più rappresentative. Quindi viene affiancato da un paratipo il cui confronto mostra appunto tale variabilità).

• Sintipo: in assenza di olotipo, indica tutti gli esemplari utilizzati per la

descrizione della specie • Lecotipo: è il sintipo che viene scelto come olotipo

(Entrambi servono a rimediare alla mancanza di chi in passato ha istituito una specie senza indicarne l’olotipo)

• Topotipo: tipo raccolto nella stessa località dell’olotipo • Specie Tipo: specie rappresentativa del genere e sottogenere • Genere tipo: genere rappresentativo di una famiglia o sottofamiglia

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NOMENCLATURA: la nomenclatura binomiale (introdotta da Linneo) è oggi ufficialmente strutturata in questo modo: (----- BINOMIO -----)

Genere specie, Autore, anno Esempio: Scarafonius nardii, Nardi, 2000

Esempio di classificazione sistematica: REGNO: animale PYLUM: cordati CLASSE: mammiferi ORDINE: primati FAMIGLIA: ominidi GENERE: homo (---- BINOMIO ----) SPECIE: sapiens Homo sapiens La specie può portare il nome dello scopritore ma in questo caso va accordata grammaticalmente con il genitivo latino (nardii = di Nardi) e comunque deve essere indicata sempre con la lettera minuscola.

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Bibliografia: Appunti delle lezioni del prof. Nicosia (Roma 1991 - Univ. La Sapienza) L’origine delle specie - Charles Darwin. L’evoluzione - Jay M.Savage, ed. Zanichelli. Evoluzione e varietà dei viventi - Ernest Mayr, ed. Einaudi. Lezioni di paleontologia - Vittorio Vialli, ed. Pitagora, Bologna.

NOTA

Queste pagine sono state stampate dal file DARW.pdf che è stato prelevato gratuitamente dal sito

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