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Dario Palladino 1 Introduzione alle geometrie non euclidee 1. PREMESSA Nel diciannovesimo secolo furono sviluppate le geometrie non euclidee, vale a dire due nuove teorie geometriche, in seguito dette rispettivamente geometria iperbolica e geometria ellittica, che si pongono in alternativa sia tra di loro, sia alla tradizionale geometria euclidea. La loro introduzione avvenne al termine di un lungo processo storico iniziato già nel III secolo a.C., ossia ai tempi di Euclide, ed è senza alcun dubbio da annoverare fra gli eventi che hanno maggiormente influenzato l’evoluzione della matematica e del pensiero scientifi- co. Si può tranquillamente affermare che ogni persona colta dovrebbe sapere, almeno a grandi linee, che cosa sono e quali influenze hanno avuto nello sviluppo della matematica e della scienza. Il loro studio, tra l’altro, consente di illustrare la struttura della matematica e il mutamento che la disciplina ha subito nel passaggio dalla concezione classica a quella mo- derna, ed è quindi importante che gli studenti della scuola secondaria ne conoscano le prin- cipali caratteristiche. A tal fine illustreremo alcune decisive tappe del loro sviluppo partendo da una sintetica analisi degli Elementi di Euclide, una delle più importanti opere della storia del pensiero scientifico 2 . 2. GLI ELEMENTI DI EUCLIDE E IL V POSTULATO Nel periodo dal VI al III secolo a.C. nell’antica Grecia la geometria è stata sviluppata e organizzata secondo i canoni del metodo assiomatico classico, la cui caratteristica principale è che vanno esplicitate le proposizioni assunte inizialmente come vere e che tutte le altre proposizioni devono essere dimostrate a partire da esse. All’inizio del primo dei 13 libri degli Elementi, subito dopo un elenco di 23 definizioni degli enti geometrici, dette termini (ad esempio: “Angolo acuto è quello minore di un ango- lo retto”) 3 , Euclide enuncia le proposizioni che si assumono inizialmente a fondamento dell’edificio della geometria, dividendole in due gruppi, i postulati e gli assiomi. I 5 postula- 1 Docente di Logica Matematica all’Università di Genova, ora in pensione. Questo articolo costituisce una versione rielaborata di due conferenze sulle geometrie non euclidee tenute al Liceo Scientifico Statale “G. Ferraris” di Varese il 29 novembre 2012 e il 21 febbraio 2013. 2 Per non allungare la trattazione, quasi sempre enunceremo le proposizioni geometriche senza accompagnar- le dalle loro dimostrazioni. Il lettore potrà trovarle nel recente volumetto introduttivo D. e C. Palladino, Le geometrie non euclidee, Carocci, Roma, 2008, nel quale sono sviluppati con maggiori particolari tutti gli ar- gomenti di cui ci occuperemo nel seguito. 3 Sulle definizioni euclidee e sul metodo assiomatico torneremo nel paragrafo conclusivo. © PRISMI on line PRISMI on line 2013 2013 pagina pagina 1 http://prismi.liceoferraris.it http://prismi.liceoferraris.it

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Dario Palladino1

Introduzione alle geometrie non euclidee

1. PREMESSA

Nel diciannovesimo secolo furono sviluppate le geometrie non euclidee, vale a dire duenuove teorie geometriche, in seguito dette rispettivamente geometria iperbolica e geometriaellittica, che si pongono in alternativa sia tra di loro, sia alla tradizionale geometria euclidea.

La loro introduzione avvenne al termine di un lungo processo storico iniziato già nel IIIsecolo a.C., ossia ai tempi di Euclide, ed è senza alcun dubbio da annoverare fra gli eventiche hanno maggiormente influenzato l’evoluzione della matematica e del pensiero scientifi-co. Si può tranquillamente affermare che ogni persona colta dovrebbe sapere, almeno agrandi linee, che cosa sono e quali influenze hanno avuto nello sviluppo della matematica edella scienza. Il loro studio, tra l’altro, consente di illustrare la struttura della matematica e ilmutamento che la disciplina ha subito nel passaggio dalla concezione classica a quella mo-derna, ed è quindi importante che gli studenti della scuola secondaria ne conoscano le prin-cipali caratteristiche.

A tal fine illustreremo alcune decisive tappe del loro sviluppo partendo da una sinteticaanalisi degli Elementi di Euclide, una delle più importanti opere della storia del pensieroscientifico2.

2. GLI ELEMENTI DI EUCLIDE E IL V POSTULATO

Nel periodo dal VI al III secolo a.C. nell’antica Grecia la geometria è stata sviluppata eorganizzata secondo i canoni del metodo assiomatico classico, la cui caratteristica principaleè che vanno esplicitate le proposizioni assunte inizialmente come vere e che tutte le altreproposizioni devono essere dimostrate a partire da esse.

All’inizio del primo dei 13 libri degli Elementi, subito dopo un elenco di 23 definizionidegli enti geometrici, dette termini (ad esempio: “Angolo acuto è quello minore di un ango-lo retto”)3, Euclide enuncia le proposizioni che si assumono inizialmente a fondamentodell’edificio della geometria, dividendole in due gruppi, i postulati e gli assiomi. I 5 postula-

1 Docente di Logica Matematica all’Università di Genova, ora in pensione. Questo articolo costituisce unaversione rielaborata di due conferenze sulle geometrie non euclidee tenute al Liceo Scientifico Statale “G.Ferraris” di Varese il 29 novembre 2012 e il 21 febbraio 2013.2 Per non allungare la trattazione, quasi sempre enunceremo le proposizioni geometriche senza accompagnar-le dalle loro dimostrazioni. Il lettore potrà trovarle nel recente volumetto introduttivo D. e C. Palladino, Legeometrie non euclidee, Carocci, Roma, 2008, nel quale sono sviluppati con maggiori particolari tutti gli ar-gomenti di cui ci occuperemo nel seguito.3 Sulle definizioni euclidee e sul metodo assiomatico torneremo nel paragrafo conclusivo.

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ti enunciano le proprietà degli enti geometrici che vanno accettate senza dimostrazione (adesempio: “Per due punti passa una e una sola retta”, “Tutti gli angoli retti sono uguali fraloro”). Gli 8 assiomi, da Euclide chiamati nozioni comuni, enunciano proprietà generalidelle grandezze, validi anche per enti non geometrici (ad esempio: “Cose uguali a una terzasono uguali tra loro”, “Metà di cose uguali sono uguali”). Tutte le successive proposizioni(ossia i teoremi della geometria, tra i quali rientrano anche le costruzioni) sono dimostrate apartire dai postulati e dagli assiomi. Gli attuali testi scolastici mantengono l’impostazionedegli Elementi, ma i postulati vengono detti assiomi e gli assiomi di Euclide sono fatti rien-trare nella logica con la quale si conducono le dimostrazioni4. Postulati e assiomi, essendo igaranti della verità delle proposizioni da essi dedotte, dovevano essere evidenti, ossia la loroverità accettata al di là di ogni ragionevole dubbio.

Il protagonista delle vicende che qui ci interessano è il quinto postulato (VP) di Euclide:

(VP) “Se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessaparte minori di due retti, le due rette, prolungate illimitatamente5, verranno ad incon-trarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti”.

Figura 1

L’analisi del I libro degli Elementi, che affronteremo nel prossimo paragrafo, rivela cheVP ha un ruolo alquanto anomalo, diverso da quello degli altri postulati, e ciò induce a rite-nere che Euclide abbia esitato prima di introdurlo tra i postulati. Lo ha utilizzato per la pri-ma volta nella Proposizione 29 del primo libro della sua opera. Nell’attuale terminologia, si

4 Gli assiomi usualmente oggi adottati, in numero più ampio e quasi tutti formulati in modo diverso rispetto aEuclide, sono ispirati a quelli del matematico tedesco David Hilbert (1862-1943), e costituiscono un amplia-mento articolato e rigoroso dei postulati presenti negli Elementi. Nelle attuali impostazioni si distinguono gliassiomi specifici della teoria e gli assiomi logici. Questi ultimi governano l’esecuzione delle dimostrazionidei teoremi.5 Per ragioni sulle quali possiamo sorvolare, nell’antica Grecia le rette non erano considerate nella lorototalità (di lunghezza infinita), ma infinite solo potenzialmente, ossia come segmenti senza estremiprolungabili a piacere nei loro due versi. Il secondo postulato di Euclide afferma che “Ogni retta terminatapuò essere prolungata per diritto” ed equivale, nella sostanza, all’infinità della retta così come oggi laconcepiamo.

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dice euclidea la geometria degli Elementi e geometria assoluta la parte di essa che si ottienesenza l’impiego di VP. Le prime 28 proposizioni degli Elementi rientrano, quindi, nellageometria assoluta. Come vedremo, gli storici della matematica ritengono che Euclide abbiacercato di far rientrare VP nella geometria assoluta e, non essendovi riuscito, lo abbiainserito come ulteriore postulato accanto agli altri solo in un secondo tempo. La ragionedella riluttanza ad accettare il quinto come postulato viene usualmente attribuita, comeemerge anche dalla complessità del suo enunciato, alla sua minore evidenza rispetto aglialtri, di molto più semplice formulazione6.

Di fatto, già dall’antichità è iniziata una lunga serie di tentativi di far rientrare VP nellageometria assoluta, ossia di dimostrarlo rigorosamente a partire dagli altri quattro postulati edagli assiomi. Una seconda via intensamente perseguita fu quella di impostare la geometriaeuclidea inserendo come postulato, accanto a quelli della geometria assoluta, una proposi-zione P più semplice di VP, assumendo la quale si potesse dedurre VP come teorema (nelparagrafo 4 proporremo un lungo elenco di tali P). In una terza via si è cercato di cambiarela definizione di rette parallele (definite da Euclide come rette che non hanno alcun punto incomune), in modo che da essa si potesse sviluppare la geometria senza assumere VP, maadottando semplicemente una definizione diversa da quella euclidea.

I tentativi di dimostrare VP nella geometria assoluta sono tutti falliti, anche se alcuni stu-diosi hanno ritenuto di essere riusciti nell’impresa. Le dimostrazioni di VP, quando non vi-ziate da veri e propri errori, si sono rivelate sempre del secondo tipo: in esse si utilizzavauna proposizione P equivalente7 a VP che non si è mai riusciti a dimostrare nella geometriaassoluta. Anche le proposte di sostituire la definizione di rette parallele non raggiunsero loscopo, o perché inadeguate, o poiché richiedevano l’assunzione di una nuova proposizioneP equivalente a VP, e quindi venivano a rientrare anch’esse nel secondo tipo.

Alla fine del Settecento e all’inizio dell’Ottocento, dato che nessuno era riuscito né a di-mostrare VP in geometria assoluta, né a individuare una P ad esso equivalente e più eviden-te di esso, alcuni studiosi iniziarono a convincersi che VP non fosse dimostrabile in geome-tria assoluta, e quindi che fosse logicamente possibile sviluppare una nuova geometria (inseguito detta iperbolica), in cui si assume come postulato, accanto a quelli della geometriaassoluta, la negazione non-VP di VP8. Pertanto, sono teoremi della geometria iperbolica, ol-tre ai teoremi della geometria assoluta, le negazioni delle proposizioni equivalenti a VP9.Nei paragrafi 3 e 4 enunceremo molte proposizioni sia della geometria assoluta, sia equiva-lenti a VP.

6 Le scarse e spesso frammentarie conoscenze della matematica antica, che ci sono pervenute con unpercorso assai tortuoso di traduzioni e ritrascrizioni, non ci consentono di stabilire con un elevato grado disicurezza come mai VP fu considerato meno evidente degli altri già ai tempi di Euclide. Una possibileragione sarà esposta nella nota 23.7 In questa sede, “P equivalente a VP” significa che in geometria assoluta si dimostrano i due teoremi “Se P,allora VP” e “Se VP, allora P”. Il secondo dei due equivale ad affermare che P è un teorema della geometriaeuclidea. Se si riuscisse a dimostrare P nella geometria assoluta, allora dal primo teorema seguirebbe che an-che VP è un teorema della geometria assoluta e non sarebbe più necessario inserire VP fra i postulati: la geo-metria euclidea coinciderebbe con la geometria assoluta.8 In logica si dimostra che, se in una teoria coerente T non si può dimostrare né una proposizione A (A è indi-mostrabile), né la negazione non-A di A (A non è refutabile), allora sono coerenti le due teorie ottenute ag-giungendo A oppure aggiungendo non-A agli assiomi di T.9 Infatti, se “Se P, allora VP” è un teorema della geometria assoluta, lo è anche, per la legge logica dicontrapposizione, la proposizione “Se non-VP, allora non-P”, la quale equivale ad affermare che, se siaggiunge non-VP agli assiomi della geometria assoluta, ossia nella geometria iperbolica, si ha come teoremanon-P.

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3. IL I LIBRO DEGLI ELEMENTI DI EUCLIDE

Secondo la concezione classica dell’assiomatica, postulati e assiomi devono essere pro-posizioni evidenti. Come si è detto in precedenza, di fatto, l’evidenza di VP fu messa in dub-bio già dall’antichità e un esame accurato del I libro degli Elementi corrobora l’ipotesi chelo stesso Euclide abbia esitato prima di annoverarlo fra i postulati. Infatti, si possono evi-denziare tre vere e proprie anomalie:

(I) VP è utilizzato molto avanti nel testo, a partire dalla Proposizione 29.(II) La proposizione inversa di VP è un teorema.(III) La Proposizione 32 è molto più “informativa” delle due Proposizioni 16 e 17.

Esaminiamole separatamente.

(I) In primo luogo rileviamo che, dopo i tre gruppi delle proposizioni primitive, ossia ledefinizioni (termini), i postulati e gli assiomi (nozioni comuni), Euclide inizia a dimostrarele proposizioni della geometria (teoremi e costruzioni) e conclude il I libro con le Proposi-zioni 47 e 48, che enunciano il teorema di Pitagora e il suo inverso. Ebbene, VP non inter-viene che nella dimostrazione della Proposizione 29. Questo fatto costituisce una prima ano-malia, poiché Euclide sfrutta fin dall’inizio tutte le altre proposizioni primitive indipenden-temente dal loro ordine progressivo. Pertanto, le prime 28 proposizioni, essendo conseguen-za delle altre proposizioni primitive, sono teoremi della geometria assoluta (e anche dellageometria iperbolica). Tra esse rientrano le seguenti: triangoli isosceli hanno gli angoli allabase uguali e, viceversa, se in un triangolo vi sono due angoli uguali allora il triangolo è iso-scele; i tre criteri di uguaglianza dei triangoli; l’esistenza e l’unicità della bisettrice di un an-golo, del punto medio di un segmento, della perpendicolare condotta da un punto a una ret-ta; le proprietà degli angoli adiacenti, consecutivi e opposti al vertice; le disuguaglianze tralati e angoli di un triangolo (un lato è minore della somma degli altri due e maggiore dellaloro differenza, a lato maggiore è opposto angolo maggiore e, viceversa, ad angolo maggio-re è opposto lato maggiore).

(II) Nella prima parte del I libro degli Elementi Euclide dimostra la Proposizione 16 (“Inogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, l’angolo esterno è maggiore di ciascuno dei dueangoli interni non adiacenti ad esso”) e, come immediata conseguenza, la Proposizione 17(“In ogni triangolo la somma di due angoli, comunque presi, è minore di due retti”), la qualesi può riformulare come segue:

“Se due rette r e s tagliate rispettivamente in A e B dalla trasversale t si incontrano in P(dato il triangolo ABP), allora la somma degli angoli che formano con t dalla parte delpunto di intersezione (ossia dei due angoli in A e B di ABP), è minore di due retti” (fig. 2):

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Figura 2

La Proposizione 17 è quindi la proposizione inversa di VP. È una seconda anomalia ilfatto che, di due proposizioni una inversa dell’altra ed entrambe ritenute vere in geometria10,una sia un teorema e la seconda un postulato.

Con le Proposizioni 27 e 28 Euclide inizia a esaminare le proprietà delle rette paralleledimostrando che, se due rette qualsiasi tagliate da una trasversale formano con quest’ultimaangoli alterni interni uguali, o angoli corrispondenti uguali, o angoli coniugati interni sup-plementari, allora le due rette sono parallele.

Nella dimostrazione della Proposizione 29 (“Una retta trasversale forma con due retteparallele angoli alterni interni uguali, angoli corrispondenti uguali e angoli coniugati internisupplementari”, che è l’inversa delle 27 e 28) interviene VP. Si riproduce un’anomalia in uncerto senso analoga alla precedente, in quanto le Proposizioni 27 e 28 rientrano nella geo-metria assoluta, mentre, per dimostrare le loro inverse (Proposizione 29), Euclide è costrettoa utilizzare VP.

(III) Illustriamo ora la terza ancora più evidente anomalia. Una volta ottenuta la Proposi-zione 32 (“In ogni triangolo l’angolo esterno è uguale alla somma degli angoli interni nonadiacenti ad esso, e la somma dei tre angoli interni del triangolo è uguale a due retti”), leProposizioni 16 e 17 divengono superflue: se l’angolo esterno di un triangolo è la sommadei due angoli interni non adiacenti, allora è maggiore di ciascuno di essi, e, se la somma deitre angoli interni di un triangolo è uguale a due retti, la somma di due di essi è minore di dueretti. Per quale ragione Euclide dimostra prima due proposizioni per così dire meno infor-mative e in seguito una che le comprende? Si potrebbe essere tentati di rispondere che ciòsia stato motivato dall’intento di proporre un percorso dimostrativo più lineare e di più age-vole comprensione, ossia, in altri termini, per facilitare l’apprendimento da parte dei lettorigraduando in qualche misura le difficoltà. Questa giustificazione, ai nostri occhi del tuttoplausibile, è in realtà del tutto insostenibile perché completamente estranea allo spirito concui è compilata l’intera opera: nessun espediente di natura didattica è presente negli Ele-menti di Euclide!

Per spiegare le tre anomalie è ragionevole ipotizzare che Euclide abbia esitato a introdur-re VP tra i postulati e cercato di ottenerlo come teorema, dimostrando il maggior numero

10 Per evitare fraintendimenti, i matematici del passato non mettevano in dubbio che VP fosse vero. Ciò che sicontestava era che la sua verità fosse incontrovertibile. Il problema si poteva eliminare dimostrandolo nellageometria assoluta. Infatti, ai teoremi non è richiesta l’evidenza. Anzi, in generale, un teorema matematico ètanto più significativo quanto meno è evidente, in quanto, in tal caso, enuncia una proprietà inattesa e talorasorprendente.

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Ipotesi: r e s si incontrano

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possibile di proposizioni senza impiegarlo: le Proposizioni 16 e 17, a differenza della 32, sidimostrano senza ricorrere ad esso. Solo dopo aver fallito nei suoi tentativi di dimostrarlo eritenendolo essenziale per continuare lo sviluppo della geometria, pur trattandosi dellaproposizione inversa di un teorema, lo ha inserito tra i postulati, iniziando a utilizzarlo soloa partire dalla Proposizione 29.

Le Proposizioni 29 e 32 sono teoremi della geometria euclidea che non rientrano nellageometria assoluta. Inoltre, in geometria assoluta si può dimostrare che, da ciascuna di esse,segue VP, e quindi le Proposizioni 29 e 32 sono equivalenti al V postulato.

Prima di concludere questo paragrafo osserviamo che, in geometria assoluta, si dimostra-no i due seguenti teoremi relativi alla somma S degli angoli di un triangolo:

“ S non è mai maggiore di 2 retti (S ≤ 2R)”.“Se S = 2R in un solo triangolo, allora S = 2R in tutti i triangoli”.

Pertanto, in geometria assoluta si dimostra che non vi può essere alcun triangolo in cuiS > 2R. In geometria euclidea tutti i triangoli hanno somma degli angoli interni uguale a 2R,e questa proprietà equivale al V postulato. Basta che in un solo triangolo valga S = 2R,affinché valga S = 2R in tutti i triangoli. Ne segue che, se in un solo triangolo S < 2R, alloraS < 2R in tutti i triangoli.

Queste considerazioni si estendono facilmente ai quadrilateri e ai poligoni con più lati, iquali si possono scomporre in triangoli tracciando opportunamente alcune diagonali. In geo-metria euclidea la somma degli angoli interni di tutti i quadrilateri è 4R, di tutti i pentagoni è6R, di tutti gli esagoni è 8R, e così via. Ciascuna di queste proposizioni è equivalente al Vpostulato. Basta che vi sia un quadrilatero con somma degli angoli 4R, affinché sia 4R lasomma degli angoli di ogni quadrilatero, e analoghe proposizioni valgono per i pentagoni,gli esagoni, e così via.

4. PROPOSIZIONI EQUIVALENTI AL V POSTULATO

In questo paragrafo proponiamo un elenco di proposizioni P equivalenti a VP. Tali Psono teoremi della geometria euclidea e, in geometria assoluta, si può dimostrare “Se P, al-lora VP” 11.

È equivalente a VP il seguente postulato dell’obliqua:

(PO) “Una perpendicolare s e un’obliqua r a una stessa retta t si incontrano sempre inun punto P dalla parte dove l’obliqua forma con la retta un angolo acuto β” (figura 3)

11 Per le dimostrazioni ed ulteriori esempi rinviamo al testo citato nella nota 2. Si osservi che, ovviamente,anziché “Se P, allora VP”, si può dimostrare “Se P, allora Q”, dove Q è una proposizione che si è giàdimostrato essere equivalente a VP. Se si sostituisce VP con una P ad esso equivalente si ottiene una diversaassiomatizzazione della geometria euclidea.

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Figura 3

il quale è il caso particolare di VP quando uno dei due angoli è retto.

Abitualmente, nelle attuali sistemazioni assiomatiche della geometria euclidea si assume,anziché VP, l’equivalente proposizione di unicità della parallela:

(UP) “Dati nel piano un punto e una retta esterna ad esso, per il punto passa al più unaretta parallela alla retta data”.

In molti testi si assume come assioma “Dati nel piano un punto e una retta esterna adesso, per il punto passa una e una sola parallela alla retta data”, che sancisce sia l’esistenzadella parallela (“passa una”), sia la sua unicità (“una sola”, “al più una”). In questa sede èimportante tener presente che l’esistenza della parallela si può dimostrare nella geometriaassoluta12, e non è necessario assumerla tra gli assiomi.

La storia, come si è detto, ci ha lasciato un lungo elenco di proposizioni equivalenti al Vpostulato, nessuna di esse tale da essere ritenuta un sostituto più accettabile di VP tra gli as-siomi della geometria. Alcune delle più importanti dal punto di vista storico sono le seguenti(la (1) è UP):

(1) Unicità della parallela. Dati in un piano una retta r e un punto P non appartenente adessa, per P passa al più una retta parallela a r (Proclo 412-485 d.C., John Playfair1748-1819).

(2) Transitività del parallelismo. Due rette parallele a una terza sono parallele tra loro(Proclo).

(3) Se una retta interseca una di due rette parallele interseca anche l’altra (Proclo).(4) Il luogo dei punti equidistanti da una retta e posti da un stessa parte di essa è una retta

(Posidonio II-I sec. a.C., Gemino I sec. d.C.).(5) Dato un triangolo, si può costruire un triangolo simile ad esso avente un lato assegnato

(John Wallis 1616-1703).(6) Per tre punti non allineati passa sempre una circonferenza (Wolfgang Bolyai 1775-

1856).

12 Euclide la dimostra nel I libro degli Elementi (Proposizione 31) senza far intervenire VP, utilizzando laProposizione 27 dalla quale segue che due perpendicolari a una stessa retta sono parallele. Dati r e un puntoP esterno ad essa, da P si abbassa la perpendicolare PH a r e poi si traccia la retta s perpendicolare a PH inP. In tal modo r e s risultano entrambe perpendicolari a PH, e quindi sono parallele. UP afferma che la s cosìottenuta è l’unica retta del piano passante per P e parallela a r.

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Ipotesi: retto, acuto

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(7) Non esiste un’unità di misura assoluta per i segmenti (Johann Heinrich Lambert 1728-1777).

(8) Per un punto interno ad un angolo acuto si può sempre condurre una retta che intersecaentrambi i lati dell’angolo (Adrien Marie Legendre 1752-1833).

(9) Si può costruire un triangolo di area arbitrariamente grande (Karl Friedrich Gauss1777-1855).

(10) Non è in alcun caso possibile costruire con riga e compasso un quadrato equivalente aun cerchio (János Bolyai 1802-1860).

e, oltre a quelle richiamate alla fine del paragrafo precedente (le Proposizioni 29 e 32 degliElementi), ve ne sono molte altre, tra le quali:

(11) Le tre altezze di un qualsiasi triangolo passano sempre per uno stesso punto.(12) I tre assi dei lati di un qualsiasi triangolo passano sempre per uno stesso punto.(13) Un angolo alla circonferenza è metà del corrispondente angolo al centro.(14) Un angolo inscritto in una semicirconferenza è retto.(15) Il teorema di Pitagora.

Figura 4

Indicando con S la somma degli angoli di un triangolo, si ha:

in ABC : S = α + β + γin ABD : S = α1 + β + δ1

in ACD : S = α2 + γ + δ2

Sommando membro a membro le due ultime uguaglianze si ha:2S = α1 + β + δ1 + α2 + γ + δ2

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Dato che α1 + α2 = α e δ1 + δ2 = 2R, si ottiene:

2S = α + β + γ + 2R, ossia 2S = S + 2R, da cui S = 2R

Se questo ragionamento fosse inattaccabile, avremmo ottenuto una facilissima dimostra-zione di S = 2R, e quindi di VP! Le cose non stanno così, anche se non vi è alcun errore neicalcoli. Il punto è che il ragionamento non si è svolto interamente nella geometria assoluta.Probabilmente senza che il lettore se ne sia accorto, abbiamo impiegato nella dimostrazioneuna proposizione che non era lecito sfruttare poiché non è né una proposizione primitiva, néun teorema già dimostrato. Ciò è avvenuto quando si è indicata con S la somma degli angolidei tre triangoli. Si è così implicitamente assunta la proposizione P che afferma: “La sommadegli angoli interni è uguale in tutti i triangoli”. Pertanto, quanto si è effettivamente dimo-strato è che “Se P, allora S = 2R” (da cui segue “Se P, allora VP”). Abbiamo ricordato che,in geometria assoluta, sono aperte le due possibilità S = 2R o S < 2R. Dato che P implica laprima, si è stabilita la seguente proposizione della geometria assoluta: “Se S < 2R, alloranon tutti i triangoli hanno la stessa somma degli angoli interni”.

γ uguali. Di-

Nel quadrilatero BCED, evidentemente, gli angoli in B e C sono supplementari degli an-goli in D ed E, e quindi la somma degli angoli interni è 4R.

Come si è osservato alla fine del paragrafo precedente, basta che vi sia un solo quadrila-tero in cui S = 4R per poter concludere che lo stesso avviene in ogni quadrilatero, e che val-ga VP13. Pertanto la proposizione “Esistono due triangoli simili e non uguali” è equivalentea VP: se non si assume VP o una P ad esso equivalente, non si può dimostrare che esistano

13 Infatti, se dividiamo mediante una diagonale un quadrilatero in due triangoli, la somma degli angoli delquadrilatero risulta uguale alla somma degli angoli dei due triangoli. Se la somma degli angoli del quadrilate-ro è 4R, ne segue che la somma degli angoli di ciascuno dei due triangoli è 2R. Infatti, se la somma degli an-goli di uno dei due triangoli fosse minore di 2R, l’altra dovrebbe essere maggiore di 2R, contro quanto valein geometria assoluta. Come già si è detto, se vi sono triangoli in cui la somma degli angoli è 2R, allora valeVP.

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triangoli simili non uguali, e quindi non ha senso procedere allo sviluppo della teoria dellasimilitudine.

(III) Consideriamo un segmento AB e i due segmenti uguali AD e BC perpendicolari adAB. Se uniamo D con C otteniamo il quadrilatero ABCD detto quadrilatero birettangoloisoscele (figura 6)

Figura 6

Si dimostra facilmente che gli angoli in C e D sono uguali14. In geometria euclidea, es-sendo 4R la somma degli angoli di un quadrilatero, C e D sono retti (ABCD è un rettangolo).In geometria assoluta, come già detto, è aperta la possibilità che C e D siano acuti (non pos-sono essere ottusi, altrimenti la somma degli angoli del quadrilatero sarebbe maggiore di 4Re vi sarebbero triangoli con somma degli angoli maggiore di 2R, eventualità esclusa nellageometria assoluta).

Consideriamo ora una retta s e supponiamo che siano dati tre punti A, B e C allineati suuna retta r ed equidistanti da s, ossia tali che AH = BK = CL (figura 7)

Figura 7

I quadrilateri AHKB, BKLC e AHLC sono birettangoli isosceli, e quindi sono uguali iloro angoli in A e B, in B e C e in A e C. Pertanto gli angoli in A, B, C sono tutti e tre uguali.Dato che A, B, C sono allineati, i due angoli in B sono retti. Ne segue che i tre quadrilaterisono rettangoli, e quindi che vale VP.

Si è così dimostrato che la proposizione della geometria euclidea “Esistono tre punti alli-neati equidistanti da una retta” è equivalente a VP.

14 Se si tracciano le diagonali AC e BD, risultano uguali i due triangoli rettangoli ABC e BAD (I criterio diuguaglianza), e quindi AC = BD. Ne segue che sono uguali i due triangoli DCA e CDB (III criterio di ugua-glianza), e pertanto sono uguali gli angoli in C e D.

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A B

C D

A B C

H K L

r

s

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Fin dall’antichità è stato riconosciuto che la proposizione “Il luogo dei punti equidistantida una retta e posti dalla stessa parte di essa è una retta” è equivalente a VP. Alcuni mate-matici del passato hanno proposto di cambiare la definizione di rette parallele: invece di de-finire, come in Euclide, parallele due rette che non si incontrano, si definiscono paralleledue rette equidistanti. Dall’equidistanza delle due rette parallele si ottiene nel modo appenavisto VP. Sembra allora che si sia risolto il problema di VP mediante il semplice cambia-mento di una definizione. In realtà si può adottare la nuova definizione solo se vale la pro-posizione “Il luogo dei punti equidistanti da una retta e posti dalla stessa parte di essa è unaretta”. Ma questa proposizione è equivalente a VP. Pertanto, per assumere la nuova defini-zione di rette parallele si deve assumere una proposizione P equivalente a VP.

5. L’OPERA DI GIROLAMO SACCHERI

Esaminiamo ora brevemente l’Euclides ab omni naevo vindicatus del gesuita ligure Ge-rolamo Saccheri (1667-1733), opera in cui sono sviluppate due lunghe e articolate dimostra-zioni di VP nella geometria assoluta. Ciò che lo rende diverso dai moltissimi tentativi chehanno percorso più di due millenni di storia della matematica è il particolare procedimentoper assurdo che Saccheri ha adottato.

La figura centrale nei ragionamenti di Saccheri è il quadrilatero birettangolo isoscele difigura 6, a proposito del quale formula le tre ipotesi possibili sugli angoli uguali in C e D: Ce D acuti, C e D retti e C e D ottusi.

Saccheri riesce a dimostrare che l’ipotesi che si verifica in un solo quadrilatero birettan-golo isoscele si verifica in tutti gli altri. Detta S la somma degli angoli di un triangolo, le treipotesi dell’angolo acuto, retto, ottuso sui quadrilateri birettangoli isosceli equivalgono,come si può dimostrare facilmente, a supporre rispettivamente S < 2R, S = 2R, S > 2R, equindi le tre possibilità sono mutualmente esclusive: o in tutti i triangoli S < 2R, o in tutti itriangoli S = 2R, o in tutti i triangoli S > 2R.

La strategia di Saccheri consiste nel dimostrare che le due ipotesi dell’angolo ottuso edell’angolo acuto conducono a contraddizione. In tal modo risulterebbe dimostrato che valesolo l’ipotesi dell’angolo retto, dalla quale segue VP.

Nella prima parte della sua opera Saccheri riesce a dimostrare che, assumendo l’ipotesidell’angolo ottuso, si giunge a una contraddizione. Più precisamente, egli dimostra la propo-sizione “Nell’ipotesi dell’angolo retto e dell’angolo ottuso vale il postulato dell’obliqua PO”e ottiene così due risultati. Il primo è che l’ipotesi dell’angolo retto implica PO, e quindi èequivalente a VP. Il secondo, ancora più importante, è che anche l’ipotesi dell’angolo ottusoimplica PO, e quindi VP. Ma quest’ultimo implica l’ipotesi dell’angolo retto, e quindidall’ipotesi dell’angolo ottuso segue che non vale l’ipotesi dell’angolo ottuso. Nella Propo-sizione 14 Saccheri può quindi concludere: “L’ipotesi dell’angolo ottuso è completamentefalsa, perché distrugge se stessa”15.

Pertanto, è stato Saccheri il primo a dimostrare i teoremi della geometria assoluta“S ≤ 2R” (è assurda l’ipotesi dell’angolo ottuso che equivale a S > 2R), “Se S = 2R in unsolo triangolo, allora S = 2R in tutti i triangoli” e “S = 2R è equivalente a VP”.

15 La legge logica applicata da Saccheri, detta consequentia mirabilis, è una forma particolare di dimostrazio-ne per assurdo: se una proposizione A implica la sua negazione non-A, allora vale non-A.

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Nel proseguimento della sua opera Saccheri procede cercando di confutare l’ipotesidell’angolo acuto (che equivale a non-VP) e, ragionando in tale ipotesi per trovare una con-traddizione, ottiene di fatto per la prima volta vari teoremi della geometria iperbolica. Inparticolare, egli stabilisce il complesso comportamento che le rette vengono ad assumerenell’ipotesi dell’angolo acuto, ossia se vale non-VP, e quindi non-UP ed esistono più paral-lele per un punto a una retta (figura 8).

Figura 8

Se vi sono almeno due rette passanti per P che non intersecano r, allora ve ne sono infi-nite (ossia tutte quelle comprese fra le due la cui esistenza segue da non-UP) e si dimostrache tra esse ve ne sono due, m e n, che non intersecano r e sono le rette di separazione fraquelle che intersecano r e quelle che non la intersecano. In geometria iperbolica le rette m en sono dette le parallele a r nei suoi due versi, e le altre rette che non incontrano r le iperpa-rallele a r per P.

Saccheri dimostra varie proprietà, visualizzate in figura 9, che le rette incidenti, parallelee iperparallele vengono a possedere nell’ipotesi dell’angolo acuto.

Figura 9

Le rette incidenti divergono oltre ogni limite e la proiezione ortogonale di r su s è unsegmento aperto di quest’ultima. Le rette parallele in un verso (a sinistra in figura) divergo-no oltre ogni limite e, nell’altro verso (a destra in figura), si avvicinano sempre di più senza

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r

m

n

P

H

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mai incontrarsi (la proiezione ortogonale di r su s è una semiretta aperta di quest’ultima). Lerette iperparallele, sulle quali Saccheri non si sofferma a lungo, hanno una e una solaperpendicolare comune su cui si trova il segmento di minima distanza fra esse e divergonooltre ogni limite in entrambi i versi (le proiezioni ortogonali di una sull’altra sono segmentiaperti). Per poter visualizzare tali proprietà abbiamo dovuto rappresentare curve alcunerette. Si tenga tuttavia presente che, anche nell’ipotesi dell’angolo acuto, tutte le rette sonouguali.

Pertanto, Saccheri dimostra che la retta m di figura 8, oltre a non avere una perpendicola-re comune con r, si avvicina sempre di più a r senza incontrarla. Si può dire che m e r hannoun comportamento asintotico, poiché avviene per esse quanto accade a curve già notedall’antichità, quali l’iperbole, che si avvicinano sempre di più a rette (dette asintoti) senzamai intersecarle.

Stabilita l’esistenza di rette che hanno un comportamento asintotico, Saccheri enuncia laProposizione 33: “L’ipotesi dell’angolo acuto è assolutamente falsa, perché ripugna alla na-tura della linea retta”. Se la si paragona alla Proposizione 14 prima enunciata, balza evidenteche Saccheri non dice “distrugge se stessa”: egli è conscio di non trovarsi di fronte a unavera e propria contraddizione, ma a qualcosa di contrario all’intuizione, e ciò non costituisceaffatto una confutazione rigorosa dell’ipotesi dell’angolo acuto. In sostanza il ragionamentodi Saccheri fa ricorso a una proposizione P (“Non esistono rette che hanno un comporta-mento asintotico”) equivalente a VP16.

Per questa ragione, nella seconda parte del I libro della sua opera, Saccheri propone unaseconda confutazione dell’ipotesi dell’angolo acuto. In tale ipotesi, come si è visto, il luogodei punti equidistanti da una retta e dalla stessa parte di essa non è una retta, ma una nuovalinea che viene detta linea equidistante. Saccheri individua una contraddizione nelle pro-prietà di questa linea e, nella Proposizione 38, perviene ad affermare: “L’ipotesi dell’angoloacuto è completamente falsa, perché distrugge se stessa”. Tuttavia, il suo ragionamento, chesi addentra in considerazioni di analisi matematica, è questa volta viziato da un vero e pro-prio errore.

Concludiamo osservando che l’opera di Saccheri è stata scoperta solo dopo la diffu-sione della geometria iperbolica e quindi non ha avuto un particolare ruolo nelle vicendestoriche successive. Ci siamo soffermati su di essa poiché, seppur costituendo un tentativofallito di dimostrare VP nella geometria assoluta, contiene i primi teoremi di geometria iper-bolica della storia: il comportamento delle rette nell’ipotesi dell’angolo acuto è quello che lerette hanno nella geometria iperbolica.

6. LA GEOMETRIA IPERBOLICA

A questo punto illustriamo brevemente le tappe principali della svolta avvenuta all’iniziodell’Ottocento, quando alcuni studiosi, adducendo considerazioni sulle quali possiamo sor-

16 Evidentemente, se vale VP, le rette parallele sono equidistanti, e quindi non hanno un comportamento asin-totico. In realtà, le considerazioni di Saccheri sono più lunghe e articolate di come le abbiamo esposte in que-sta sede. Egli dimostra, tra l’altro, che le rette parallele non hanno una perpendicolare comune. Alcuni stu-diosi avevano pensato di risolvere il problema di VP assumendo come nuova definizione di rette parallele laseguente: sono parallele due rette che hanno una perpendicolare comune. Tuttavia, segue dal risultato di Sac-cheri che in geometria assoluta non vale l’equivalenza tra il non avere punti in comune e avere una perpendi-colare comune, ma solo che la seconda proprietà implica la prima.

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volare, maturarono la convinzione che la geometria che si ottiene sostituendo VP con non-VP, ossia la geometria iperbolica. non fosse contraddittoria.

Sono ritenuti precursori delle geometrie non euclidee due figure minori del panoramamatematico, Ferdinand Karl Schweikart (1780-1857) e Franz Adolph Taurinus (1794-1874),i quali svilupparono alcuni aspetti della geometria iperbolica, chiamandola rispettivamentegeometria astrale e geometria logaritmo-sferica.

Un ruolo ben più importante, come emergerà anche nel seguito, ebbe Karl FriedrichGauss, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, il quale, pur non pubblicando i suoi ri-sultati, riteneva che la nuova geometria fosse coerente.

I fondatori unanimemente riconosciuti della geometria iperbolica sono l’ungherese JánosBolyai (1802-1860) e il russo Nikolaj Ivanovič Lobačevskij (1792-1856). Il primo pubblicònel 1832 un’appendice ad un libro del padre Wolfgang in cui espose in modo sistematico al-cuni aspetti basilari della geometria iperbolica. Il secondo dedicò, a partire dal 1829, variememorie e volumi alla geometria iperbolica, da lui chiamata geometria immaginaria, svi-luppandola ampiamente sia nel piano che nello spazio, e affiancandola con la trigonometria,la teoria della misura e la trattazione analitica nel piano cartesiano.

A questo punto conosciamo già numerosi teoremi della geometria iperbolica: oltre aquelli della geometria assoluta, sono teoremi tutte le negazioni delle proposizioni equivalen-ti a VP individuate nel paragrafo 4. Ad esempio: non vale l’unicità della parallela, la sommadegli angoli di un triangolo è minore di due angoli retti e non è costante, se due triangolihanno gli angoli uguali allora sono uguali (vale cioè un IV criterio di uguaglianza dei trian-goli), il luogo dei punti equidistanti da una retta non è una retta, non vale il teorema di Pita-gora, non sempre esistono il circocentro e l’ortocentro di un triangolo. Negare VP equivalead assumere l’ipotesi dell’angolo acuto di Saccheri, e quindi sono teoremi della geometriaiperbolica le proposizioni ottenute dal gesuita ligure nel suo tentativo di confutare tale ipote-si, ad esempio quelle che enunciano le proprietà delle rette incidenti, parallele e iperparalle-le illustrate in figura 9, e in particolare il comportamento asintotico delle rette parallele.

Esaminiamo ora qualche ulteriore aspetto della geometria iperbolica con riferimento allafigura 10.

Figura 10

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Consideriamo tre rette uscenti da un punto che formano tra loro angoli uguali di 120°.Unendo tre punti equidistanti dal loro punto comune si ottiene un triangolo equilatero edequiangolo. In geometria iperbolica (in cui S < 2R) i tre angoli uguali di ciascun triangoloequilatero hanno ampiezza minore di 60° e si dimostra che essa tende a 60° quando i verticidel triangolo tendono al centro, ossia tende a 0 il lato del triangolo equilatero, e tende a 0°più si allontanano da esso, ossia quando i lati del triangolo tendono all’infinito (per visualiz-zare in figura 10 questo comportamento abbiamo dovuto incurvare i lati). Il fatto che l’am-piezza dell’angolo del triangolo equilatero tende a 60° quando il lato del triangolo equilaterotende a 0 dimostra che la geometria euclidea è un caso limite di quella iperbolica e ciò siesprime affermando che “In zone piccole del piano iperbolico vale la geometria euclidea”.

Le rette r, s e t, parallele nel senso prima richiamato alle tre rette date, formano una figu-ra caratteristica della geometria iperbolica, detta triangolo limite. Si dimostra che esso haarea finita e che ogni triangolo ha area inferiore al triangolo limite17.

I vari triangoli equilateri hanno angoli diversi e, se si fissa un angolo qualsiasi compresotra 0° e 60°, ad esempio 45°, il lato del triangolo equilatero risulta fissato. Si può quindi as-sumere come unità di misura dei segmenti tale lato, che quindi viene a costituire una unità dimisura assoluta per i segmenti18. Ecco perché assumere la non esistenza di un’unità di misu-ra assoluta per i segmenti contraddice l’ipotesi dell’angolo acuto ed è equivalente a VP19. Ingeometria iperbolica due triangoli con i tre angoli uguali hanno uguali i tre lati (vale unquarto criterio di uguaglianza per i triangoli), e si possono ricavare le formule che esprimo-no tali lati in funzione delle ampiezze degli angoli.

Nella figura 11, analoga alla precedente, ma in cui si parte da due rette perpendicolari, èrappresentato il quadrato limite, avente un’area finita che è l’estremo superiore delle aree ditutti i quadrati.

Figura 11

17 Si confronti questo risultato con la Proposizione (9) di Gauss del paragrafo 4. L’area A dei triangoli iperbo-lici è proporzionale al loro difetto angolare 2R – S, ossia A = k(2R – S), e quindi è superiormente limitata da2kR, che è l’area del triangolo limite.18 Gli angoli hanno una unità di misura assoluta poiché, ad esempio, il grado o il radiante sono fissati in modounivoco con considerazioni geometriche. Per le lunghezze, invece, l’unità di misura (ad esempio il metro) èfissata in modo convenzionale (il metro mediante un campione fisico). In geometria iperbolica le unità di mi-sura assolute degli angoli individuano univocamente unità di misura assolute per i segmenti.19 Si veda la Proposizione (7) del paragrafo 4, individuata da Lambert, uno dei precursori delle geometrie noneuclidee.

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In geometria iperbolica il rapporto fra la diagonale e il lato di un quadrato non è costantecome in geometria euclidea, ma tende al numero irrazionale 2 (valore costante che il rap-porto ha in geometria euclidea) quando il lato tende a zero (in zone piccole del piano iperbo-lico vale la geometria euclidea) e tende a 1 quando il lato aumenta indefinitamente. Datoche fra 1 e√2 vi sono infiniti numeri razionali, vi sono infiniti quadrati in cui la diagonaleè commensurabile col lato (ad esempio, vi sono quadrati in cui la diagonale è 4/3 oppure 5/4del lato).

Un’interessante considerazione si può fare a proposito dei cerchi. In geometria euclideala lunghezza L della circonferenza e l’area A del cerchio di raggio r sono:

L = 2 π r A = π r2

Il rapporto fra L e il diametro e fra A e il quadrato del raggio è sempre uguale al numeroπ, il quale, oltre ad essere irrazionale, è trascendente, ossia non è soluzione di alcuna equa-zione a coefficienti interi. Da ciò segue che è impossibile con riga e compasso sia rettificarela circonferenza (costruire un segmento di lunghezza uguale a quella di una circonferenza),sia quadrare il cerchio (costruire un quadrato di area uguale a quella di un cerchio). In geo-metria iperbolica le formule della lunghezza della circonferenza e dell’area del cerchio, indi-viduate per la prima volta da Gauss, sono più complesse e si dimostra che si possono co-struire con riga e compasso circonferenze e segmenti di stessa lunghezza e cerchi e quadratidi stessa area20.

Queste schematiche considerazioni mostrano come le varie proprietà della geometriaiperbolica si collegano fra loro, costituendo un nuovo mondo, di non facile rappresentazioneper la variabilità di forma delle figure, ma dotato di un’organicità tale da far passare in se-condo piano l’apparente stranezza di ciascuna singola proprietà e la difficoltà di visualizzar-la nelle figure.

7. LA COERENZA DELLA GEOMETRIA IPERBOLICA

Le opere dei precursori e dei fondatori della geometria iperbolica non ebbero immediatarisonanza. Infatti, tale geometria si presenta strana e complessa, e non è facile convincersidella sua coerenza. In altri termini, la maggior parte dei matematici ha continuato a lungo aritenere che prima o poi qualcuno sarebbe riuscito a pervenire all’obiettivo fallito da Sac-cheri, vale a dire a confutare rigorosamente anche l’ipotesi dell’angolo acuto, e quindi a di-mostrare che la geometria euclidea è l’unica logicamente possibile.

L’interesse verso la geometria iperbolica iniziò a diffondersi dopo la morte di Gauss,quando i matematici vennero a conoscenza del fatto che il sommo matematico tedesco laaveva ritenuta perfettamente legittima, ossia immune da contraddizioni.

Chiediamoci come si può essere sicuri di tale coerenza, ossia che qualcuno non possariuscire dove Saccheri aveva fallito. Si noti la diversità dei due seguenti compiti: per confu-tare un’ipotesi basta riuscire a trovare la dimostrazione che da essa segue una contraddizio-

20 Si confronti questo risultato con la Proposizione (10) del paragrafo 4.

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ne21; per dimostrare che un’ipotesi non è confutabile bisogna riuscire a far vedere che daessa non può e non potrà mai essere dedotta una contraddizione. Il secondo compito è dinatura completamente diversa dal primo in quanto l’attenzione non è più rivolta agli entidella geometria, ma a tutte le proposizioni geometriche che conseguono dall’ipotesi stessa,comprese quelle non ancora ottenute, per poter escludere che fra di esse vi sia unacontraddizione.

Il problema della coerenza di una teoria geometrica era del tutto nuovo nello scenariomatematico poiché, secondo la concezione classica dell’assiomatica, i postulati e gli assiomierano ritenuti veri: deducendo logicamente da proposizioni vere si ottengono proposizionivere, e quindi non si può ottenere una contraddizione che è, per la sua stessa struttura, unaproposizione falsa.

In pochi decenni, a seguito di intense e articolate ricerche, fu elaborato un metodo, dettometodo dei modelli, che consente di affrontare ed eventualmente risolvere il secondo dei duecompiti22. Esso consiste sostanzialmente in questo: si fa vedere che, in base ad un’opportunainterpretazione dei concetti primitivi, gli assiomi di una teoria risultano veri relativamente aun certo universo di oggetti; ne segue che la teoria è coerente poiché da proposizioni verenon si può dedurre logicamente una proposizione falsa qual è una contraddizione. Nel casodella geometria iperbolica tali oggetti sono stati individuati tra gli enti della geometria eucli-dea, ed è per questo che si parla di modelli euclidei della geometria iperbolica.

Illustriamone brevemente uno, detto modello di Klein in onore del matematico tedescoFelix Klein (1848-1925).

Consideriamo una circonferenza Γ di centro O nel piano euclideo. Chiamiamo I-punti ipunti del piano interni a Γ e I-rette le corde di C, diametri compresi, esclusi i loro estremi.In figura 12 sono rappresentati vari I-punti (A, B, C, D, E, F, G, O) e alcune I-rette (tra cuiQR, ST, UV) e EFG è l’I-triangolo avente lati gli I-segmenti EF, FG, EG. Gli estremi dellecorde non sono I-punti, ed è per questa ragione che li abbiamo rappresentati con circolettivuoti. Il modello di Klein è ottenuto assumendo come universo di oggetti l’insieme dei puntiinterni a Γ e interpretando i concetti primitivi di “punto” e “retta” rispettivamente in “I-pun-to” e “I-retta”.

21 Tale dimostrazione si svolge nell’ambito della geometria, come ad esempio è avvenuto per la confutazionedi Saccheri dell’ipotesi dell’angolo ottuso.22 L’elaborazione del metodo dei modelli è avvenuta nel periodo del passaggio tra la concezione classica e laconcezione moderna dell’assiomatica sul quale torneremo nel paragrafo conclusivo.

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Figura 12

Consideriamo l’assioma della geometria assoluta: “Per due punti passa una ed una solaretta”. Se sostituiamo “punti” con “I-punti” e “retta” con “I-retta”, ossia se lo formuliamonel modo seguente: “Per due I-punti passa una ed una sola I-retta”, si riconosce immediata-mente che esso è vero nel modello, in quanto esiste una ed una sola corda che unisce duepunti interni alla circonferenza Γ. Ad esempio, dati gli I-punti A e B, esiste una ed una solaI-retta, ossia r (la corda QR), che passa per A e B, e la I-retta s (la corda ST) è l’unica I-rettache passa per i due I-punti C e D.

Ebbene, si può dimostrare che, ampliando opportunamente l’interpretazione, la stessacircostanza si verifica per tutti gli assiomi della geometria iperbolica. In particolare, è imme-diato constatare che nel modello non vale l’unicità della parallela, e quindi è vera la nega-zione di VP.

Figura 13

Dati l’I-punto P e la I-retta r (la corda QR) (figura 13), per P passano infinite I-rette cheintersecano r, ad esempio a e b, e infinite I-rette che non intersecano r, ad esempio h e k. LeI-rette m e n sono gli elementi di separazione fra le secanti e le non secanti, e sono le I-retteparallele a r nei suoi due versi. Si osservi che m e n non intersecano r in un I-punto poichéQ e R sono esclusi dagli I-punti. In generale, due corde senza punti comuni sono I-rette iper-

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C

O

B A

Q

R

C D S

T

r

E

U V

s

F

G

C

Q

R r

P

n

S

a b

m

T

h

k

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parallele e due che hanno in comune un punto di Γ sono I-rette parallele. La figura 13corrisponde nel modello alla figura 823.

Si riesamini la figura 12. Il segmento AB della I-retta r è più lungo dell’intera I-retta s e,se si sposta il segmento AB lungo r fino a far coincidere A con B, il secondo estremo fuorie-sce dal cerchio Γ. Affinché siano verificati gli assiomi relativi all’uguaglianza, occorre chesi possa trasportare un segmento infinite volte sopra una retta e che tutte le rette siano ugua-li. Se r è una I-retta (la corda ST), dato su di essa il segmento AB, si devono poter trovare sudi essa dei punti C, D, E,… tali che i segmenti BC, CD, DE,…, seppur divenendo più cortise misurati con l’usuale misura euclidea, possano essere ritenuti uguali ad AB (figura 14):

Figura 14

Ebbene, utilizzando opportune funzioni matematiche, si può introdurre una I-misura deisegmenti diversa da quella usuale, tale che, quando il segmento si avvicina verso l’estremoT (che non è un I-punto) e si accorcia da un punto di vista euclideo, mantiene tuttavia lastessa I-misura. In tal modo, ad esempio, fra E e T si può determinare un I-punto F tale cheil segmento EF abbia come I-misura un numero reale comunque scelto. Dato un qualsiasisegmento su una I-retta, lo si può trasportare su una qualsiasi altra I-retta a partire da unqualsiasi I-punto di quest’ultima, in modo che mantenga la stessa I-misura. Senza entrare inparticolari tecnici, adottando questa I-misura e definendo uguali due segmenti che hanno lastessa I-misura, sono verificati nel modello tutti gli assiomi della geometria relativi all’ugua-glianza dei segmenti.

Un discorso analogo va ripetuto relativamente agli angoli. Nel modello di Klein gliI-triangoli coincidono con triangoli euclidei (ad esempio EFG della figura 12). Se adottassi-mo l’usuale misura degli angoli, la somma degli angoli degli I-triangoli sarebbe uguale adue retti. Affinché valgano le proprietà della geometria iperbolica, come sappiamo, occorreche tale somma sia minore di due retti. Ciò si può realizzare adottando una opportuna I-misura degli angoli diversa da quella euclidea.

In definitiva, si può dimostrare rigorosamente che, adottando opportune I-misure per isegmenti e gli angoli, tutti gli assiomi della geometria iperbolica sono veri nel modello. Nesegue che, se vi fosse una contraddizione nella geometria iperbolica, questa stessa contrad-dizione risulterebbe dimostrabile a proposito degli enti del modello (punti e corde di Γ) e sa-rebbe una contraddizione della stessa geometria euclidea. Quindi: se la geometria euclideaè coerente, allora lo è anche la geometria iperbolica. Ecco la ragione per la quale siamo si-curi che nessuno potrà trovare una contraddizione nella geometria iperbolica. Se qualcuno ciriuscisse, non distruggerebbe soltanto la geometria iperbolica, ma renderebbe al contempoincoerente la più che bimillenaria e consolidata geometria euclidea.

23 Aver limitato il piano all’interno di Γ rende falsa UP e quindi VP. Dato che gli antichi credevano chel’Universo fosse contenuto interamente nella sfera delle stelle fisse, potrebbero avere avuto qualche dubbiosull’evidenza di VP, poiché vi sono rette che soddisfano l’ipotesi di VP il cui punto in comune va a cadere aldi fuori dell’Universo.

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S T A B C D E

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8. LE GEOMETRIE SFERICA ED ELLITTICA

Per dare un’idea dell’altra geometria non euclidea, la geometria ellittica, è opportunoprocedere accompagnandola con alcune considerazioni di geometria sferica, la quale corri-sponde alla geometria euclidea della superficie di una sfera.

Nelle geometrie sferica ed ellittica vale l’ipotesi dell’angolo ottuso di Saccheri ed essesono caratterizzate dall’assioma detto, per ragioni storiche sulle quali possiamo sorvolare,assioma di Riemann: “Tutte le rette si intersecano”, oppure: “Non esistono rette parallele”.In esse valgono teoremi quali “La somma S degli angoli interni di un triangolo è maggioredi due retti”, “Se due triangoli hanno uguali gli angoli, allora sono uguali”; “L’area deitriangoli è proporzionale al loro eccesso angolare S – 2R”, “Un angolo inscritto in una semi-circonferenza è ottuso”, “In un quadrilatero ABCD birettangolo in A e B e isoscele (AD =BC), gli angoli in C e D sono ottusi”.

Come si conciliano queste proprietà col fatto che si può confutare l’ipotesi dell’angoloottuso? Nella geometria assoluta si dimostra che esistono rette parallele e che la somma de-gli angoli di un triangolo non può superare due retti. Pertanto, se si aggiunge l’assioma diRiemann o l’ipotesi dell’angolo ottuso agli assiomi della geometria assoluta si ottiene unateoria contraddittoria. Se si vuole costruire una geometria coerente nella quale si assumel’assioma di Riemann occorre modificare alcuni degli assiomi della geometria assoluta e, inparticolare, non deve essere dimostrabile la Proposizione 16 degli Elementi di Euclide dallaquale segue l’esistenza di rette parallele. Non entreremo nel merito di tali non semplici mo-difiche. Osserviamo comunque, per curiosità, che l’assioma di Riemann implica VP (se tuttele rette si intersecano, allora si intersecano anche quelle che soddisfano l’ipotesi di VP). Sela geometria iperbolica si ottiene assumendo non-VP al posto di VP, nelle geometrie sfericaed ellittica si assume l’assioma di Riemann e si modificano alcuni degli assiomi della geo-metria assoluta24.

Consideriamo ora la geometria sferica, che ci è familiare poiché viviamo su una superfi-cie che possiamo assimilare a una sfera. Supponiamo di agire restando sopra la superficie diuna sfera S e, per ora, in una porzione non troppo vasta di essa, ossia tale da non conteneredue punti diametralmente opposti. Siano A e B due punti qualsiasi di S e supponiamo di vo-ler andare da A a B percorrendo il tragitto più breve possibile. Si può dimostrare che la lineadi minima lunghezza è l’arco di circonferenza massima ottenuta intersecando la sfera colpiano passante per A, B e per il centro O della sfera (figura 15).

24 In entrambe le geometrie VP è un teorema. Non ne segue però che in esse valgano le P equivalenti a VPprima enunciate, poiché risulta modificata la geometria assoluta nell’ambito della quale è stata dimostratal’equivalenza. Valgono PO e UP, ma, ad esempio, il luogo dei punti equidistanti da una retta non è una retta,non esistono triangoli simili non uguali e l’area dei triangoli non cresce oltre ogni limite.

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Figura 15

Pertanto, gli archi di circonferenza massima rivestono il ruolo dei segmenti della geome-tria euclidea. Nel seguito chiamiamo S-punti e S-rette rispettivamente i punti e le circonfe-renze massime di S.

Consideriamo ora la figura 16:

Figura 16

In essa ABC e PAB sono S-triangoli i cui tre lati sono archi di circonferenze massime edè evidente che la somma degli angoli interni del triangolo PAB è maggiore di due retti, inquanto sono retti i due angoli in A e in B. Si noti anche che le due S-rette perpendicolari allaS-retta r negli S-punti A e B si intersecano in P.

Se ora guardiamo l’intera sfera, balza evidente che le S-rette (le circonferenze massime),a differenza delle rette euclidee, (a) sono linee chiuse e (b) per due S-punti estremi di undiametro della sfera passano infinite S-rette (per due punti diametralmente opposti come ipoli passano infiniti meridiani). La proprietà (b) va contro uno degli assiomi fondamentalidella geometria di Euclide: “Per due punti passa una ed una sola retta”. Per quanto riguardala (a), essa viola il fatto che la retta euclidea è una linea aperta di lunghezza infinita25. Perassiomatizzare la geometria sferica occorre cambiare la geometria assoluta in modo che lerette e l’intero piano possano avere misura finita. Anche senza illustrare quali siano tali

25 Non vale quindi il postulato euclideo richiamato nella nota 5, il quale interviene nella dimostrazione eucli-dea della Proposizione 16.

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cambiamenti, il modello della sfera, oltre a consentire di visualizzare i teoremi della geome-tria sferica, ne garantisce la coerenza relativa alla geometria euclidea.

Nella geometria ellittica si assume l’assioma di Riemann (“Tutte le rette si intersecano”),ma si vuole conservare l’assioma euclideo: “Per due punti passa una ed una sola retta”. Perrealizzare un modello in cui si verificano queste due circostanze, l’idea è la seguente: perdue punti di una sfera passa una e un sola circonferenza massima a meno che essi non sianodiametralmente opposti. Riduciamo allora la sfera a una semisfera S′ (eliminando cosi i pun-ti diametralmente opposti a quelli della semisfera). Rimangono ancora punti diametralmenteopposti solo sulla circonferenza Γ che delimita la semisfera. Imponiamo allora che due puntidiametralmente opposti di tale circonferenza Γ coincidano in un unico punto, ossia siano lostesso punto (figura 17). Chiamiamo E-punti i punti di S′ (e due punti diametralmente op-posti di Γ costituiscono un unico E-punto) ed E-rette le semicirconferenze massime giacentisu S′ compresa Γ (tutte le E-rette incontrano Γ in due punti diametralmente opposti, e quindiin un E-punto).

Figura 17

Ci si convince facilmente che, dati due E-punti qualsiasi della semisfera (ad esempio C eD), per essi passa una ed una sola E-retta r (r è l’intersezione di S′ con il piano passante peri tre punti O, C, D) e lo stesso avviene sia se uno dei due E-punti è una coppia di punti dia-metralmente opposti della circonferenza Γ che delimita la semisfera, sia se entrambi gli E-punti sono coppie di tali punti (e in questo caso la E-retta è proprio la circonferenza Γ).Come nella geometria sferica è soddisfatto l’assioma di Riemann, ma due S-rette si incon-trano sempre in due S-punti (che sono punti diametralmente opposti della sfera S), mentre,in geometria ellittica, due E-rette si incontrano sempre in uno ed un solo E-punto. Inoltre, leE-rette sono linee chiuse: se, ad esempio, si percorre la E-retta r da C a D e si prosegue finoa raggiungere Γ in A, ci si trova nello stesso punto diametralmente opposto, e si può conti-nuare a percorrere r. L’esistenza del modello della semisfera brevemente descritto assicurala coerenza relativa della geometria ellittica rispetto alla geometria euclidea (“Se la geome-tria euclidea è coerente, allora lo è anche la geometria ellittica”)26.

26 Il modello delle geometria ellittica è più complicato di quello della geometria sferica. L’identificazione deipunti diametralmente opposti di C comporta che il piano ellittico abbia proprietà che lo differenziano dai pia-ni euclideo, iperbolico e sferico. La geometria ellittica ha in comune con la geometria sferica i teoremi chenon coinvolgano rette nella loro totalità, ad esempio quelli relativi alle usuali figure piane e il fatto che nellezone piccole vale la geometria euclidea. Esse si differenziano su proprietà più globali. Ad esempio, in geo-metria sferica vale: “Tutte le perpendicolari a una stessa retta si incontrano in due punti”, mentre in geome-tria ellittica vale: “Tutte le perpendicolari a una stessa retta si incontrano in un punto”. Nei piani euclideo,iperbolico e sferico una retta r divide il piano in due semipiani separati da r. Ciò non avviene nel piano ellit-

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9. CONCLUSIONI

Molte sono state le conseguenze della scoperta delle geometrie non euclidee e del rico-noscimento della loro coerenza relativa alla geometria euclidea. Come si è detto, la scoperta,avvenuta dopo la morte di Gauss, che uno dei più grandi matematici di tutti i tempi ritenessecoerente la geometria iperbolica comportò una svolta decisiva, e molti studiosi affrontaronoil problema della legittimazione della nuova geometria, alla quale venne affiancata la geo-metria ellittica. A questo proposito, si possono distinguere tre filoni di ricerca: nell’indirizzometrico-differenziale, inaugurato da Gauss e ripreso da Bertrand Riemann (1826-1866), fufondamentale l’opera del matematico italiano Eugenio Beltrami (1835-1899), in quello pro-iettivo fu centrale la figura del già citato Felix Klein e nell’indirizzo analitico il riferimentoè il matematico francese Henri Poincaré (1854-1912). Sorvolando su considerazioni tecni-che qui fuori luogo, ciò che accomuna queste intense e produttive ricerche fu che esse die-dero rapidamente una indiscutibile legittimazione matematica alle geometrie non euclidee,che divennero parte integrante di molti settori avanzati.

Il discorso sulla loro legittimazione logica (ossia la dimostrazione rigorosa della lorocoerenza) è più intricato. Nella seconda metà dell’Ottocento maturò lentamente la concezio-ne moderna dell’assiomatica, nella quale ha un ruolo centrale il problema della coerenzadelle teorie matematiche. Come abbiamo visto in precedenza, tale problema venne affronta-to individuando opportuni modelli delle teorie stesse (ad esempio, il modello di Klein dellageometria iperbolica).

Segnaliamo comunque che le geometrie non euclidee, contrariamente a quanto spesso silegge, ebbero storicamente un ruolo secondario nell’evoluzione del metodo matematico.Tuttavia consentono di illustrare in modo efficace il passaggio dalla concezione classica aquella moderna dell’assiomatica.

All’inizio del paragrafo 2 abbiamo indicato come caratteristica principale del metodo as-siomatico il fatto che si esplicitano le proposizioni assunte inizialmente (assiomi) e che tuttele altre proposizioni (teoremi) devono essere dimostrate a partire da esse. Un analogo di-scorso va condotto a proposito dei concetti geometrici: alcuni di essi vanno assunti comeprimitivi e tutti gli altri vengono poi definiti a partire da essi. La necessità di assumere con-cetti primitivi e assiomi deriva dal fatto che definizioni e dimostrazioni sono relazioni: inuna definizione un concetto nuovo viene definito a partire da altri concetti il cui significato èassunto come già noto, e una dimostrazione mostra come una proposizione segue logica-mente da altre assunte come premesse. Se si vogliono evitare circolarità o regressi all’infini-to, occorre stabilire i punti di partenza di una teoria (i concetti primitivi e gli assiomi), daiquali far iniziare i procedimenti definitori e dimostrativi. Come abbiamo visto nel caso degliElementi di Euclide, nella concezione classica dell’assiomatica la distinzione tra assiomi e

tico: le due parti in cui la E-retta r sembra dividere la semisfera di figura 17 non sono separate poiché, adesempio, il punto B appartiene ad entrambe. Pertanto, una retta non divide il piano in due semipiani: la rettache unisce due qualsiasi punti, che è una linea chiusa, contiene due segmenti complementari aventi comeestremi i due punti, uno che interseca la retta e l’altro che non la interseca (in geometria sferica o i due seg-menti complementari intersecano entrambi la retta, oppure uno non interseca la retta e l’altro la interseca indue punti: nel primo caso i due punti stanno in semipiani opposti, nel secondo appartengono allo stesso semi-piano).

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teoremi è ben presente. Tuttavia, non si è operata una altrettanto esplicita divisione traconcetti primitivi e concetti definiti.

Per illustrare questa manchevolezza, torniamo all’inizio del I libro degli Elementi.

Il primo gruppo di proposizioni primitive assunte da Euclide contiene le definizioni deiconcetti geometrici (dette termini dal matematico alessandrino). Esse possono essere suddi-vise nei due tipi che illustriamo in linguaggio moderno.

Nelle definizioni nominali un concetto nuovo viene definito mediante concetti già defini-ti. Ad esempio (i numeri progressivi sono quelli degli Elementi):

(10) Quando una retta innalzata su un’altra retta forma gli angoli adiacenti uguali fra loro,ciascuno dei due angoli uguali è retto, e la retta innalzata si chiama perpendicolare aquella su cui è innalzata.

(12) Angolo ottuso è quello maggiore di un retto.(22) Parallele sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate illimi-

tatamente dall’una e dall’altra parte, non s’incontrano fra loro da nessuna delle dueparti.

Altri termini, spesso qualificati definizioni reali, hanno lo scopo di caratterizzare, intuiti-vamente e per quanto possibile, l’universo degli enti geometrici. Ad esempio:

(1) Punto è ciò che non ha parti.(2) Linea è lunghezza senza larghezza.(4) Linea retta è quella che giace ugualmente rispetto ai suoi punti.(8) Angolo piano è l’inclinazione reciproca di due linee su un piano, le quali si incontrino

fra loro e non siano in linea retta.

I termini di questo secondo tipo non sono vere e proprie definizioni, in quanto il concettonuovo non viene definito mediante concetti già definiti (non è stato preliminarmente esplici-tato cosa voglia dire “non avere parti”, “lunghezza”, “larghezza”, “giacere ugualmente ri-spetto ai suoi punti”, “inclinazione reciproca di due linee”). Come si è detto, non tutto si puòdefinire, e quindi necessariamente alcuni concetti vanno assunti come primitivi. Si può direche le definizioni reali euclidee introducano i concetti primitivi e, tra l’altro, non vengonoutilizzate nello sviluppo delle dimostrazioni. In sintesi, nella concezione classica dell’assio-matica, i concetti primitivi venivano definiti per individuare l’universo degli enti geometrici,in modo da poter riconoscere che in esso erano verificati gli assiomi.

Nella concezione moderna le teorie matematiche sono concepite come sistemi ipotetico-deduttivi: i concetti primitivi non vengono definiti, e quindi non è necessario collegarli adenti esterni. Di conseguenza, gli assiomi non sono più considerati né veri, né falsi: gli assio-mi sono le proposizioni che stabiliscono i legami tra i concetti primitivi dalle quali si puòiniziare a dedurre logicamente i teoremi27. In tal modo le teorie matematiche assumono la27 Ciò è possibile per il fatto che le dimostrazioni sono condotte in base a leggi e regole logiche la cuiapplicazione fa riferimento solo alla forma delle proposizioni, e non ai loro contenuti. In altri termini, unteorema segue dagli assiomi mediante un procedimento in cui la verità non riveste alcun ruolo. Ad esempio,in una dimostrazione, l’assioma “Per due punti passa una ed una sola retta” si sfrutta senza sapere che “Puntoè ciò che non ha parti” e “Linea retta è quella che giace ugualmente rispetto ai suoi punti”. Nella concezionemoderna dell’assiomatica si tengono separati il piano sintattico, in cui conta solo la forma delle proposizioni

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veste di linguaggi non interpretati e passa su un diverso piano il problema della verità degliassiomi.

Si assume inoltre che il requisito della coerenza degli assiomi sia non solo necessario,ma anche sufficiente per dichiarare legittima una teoria matematica. Le geometrie non eucli-dee, quindi, essendo coerenti se lo è la geometria euclidea, sono sistemi ipotetico-deduttivisullo stesso piano della geometria euclidea. Pur mantenendo un’uguale terminologia, datoche non hanno gli stessi assiomi, i loro modelli sono costituiti da enti diversi: i punti, le rettee le figure della geometria iperbolica o ellittica non possono essere gli stessi enti della geo-metria euclidea.

Passiamo ora ad esaminare brevemente alcuni altri sviluppi delle geometrie non eucli-dee28. Come si è detto, nella seconda metà dell’Ottocento esse vennero utilizzate da moltimatematici. Ciò non significa che furono accettate da tutti, poiché il problema di VP riguar-dava i fondamenti della geometria e non aveva un’influenza diretta sulla gran parte delle ri-cerche matematiche. Molti studiosi, anche di notevole levatura, dato che le geometrie noneuclidee sono alternative a quella euclidea, continuarono a considerarle teorie del tutto inuti-li poiché prive di applicazioni concrete. Il matematico, infatti, non scrive liste di assiomipreoccupandosi solo della loro coerenza, ma è soprattutto interessato a teorie con le quali siaffrontano problemi rilevanti per altre discipline, utili per aumentare la nostra conoscenzadel mondo.

La geometria è una disciplina matematica con caratteristiche peculiari, in quanto da sem-pre è stata collegata con lo spazio fisico, le nostre esperienze percettive, le discipline figura-tive, le misurazioni di lunghezze, aree e volumi, e applicata in svariate attività dell’uomo.

Nelle tre geometrie euclidea, iperbolica ed ellittica, al triangolo viene attribuita la pro-prietà di avere somma degli angoli interni rispettivamente uguale, minore, maggiore di dueangoli retti. Perché allora non considerare triangoli disegnati su un foglio, o aventi per verti-ci le vette di tre monti, o addirittura tre corpi celesti, misurarne con la massima accuratezzagli angoli, e sommarne le ampiezze29? Esperimenti del genere sono stati condotti e, nei limitidella precisione sperimentale, la somma degli angoli dei triangoli non si è mai discostata dadue retti. Le misure in accordo con la geometria euclidea sembrano escludere le geometriealternative.

Invece le cose non stanno così: è vero che nella geometria iperbolica un triangolo coi latimolto grandi ha somma degli angoli interni alquanto minore di due retti, ma la teoria nondice in alcun modo quanto lunghi debbano essere i lati perché la differenza da due retti siarilevabile con gli strumenti di misura: ad esempio, potrebbero essere necessari lati di lun-ghezza di mille anni luce per ottenere una differenza da due retti uguale a un millesimo di

delle teorie e si sviluppano le dimostrazioni, dal piano semantico, nel quale si interpretano i concettiprimitivi e le proposizioni risultano vere o false in base a tale interpretazione. Una teoria può avere modelliin base a più interpretazioni (quando i suoi assiomi risultano tutti veri), e quindi essere applicabile in variambiti teorici o applicativi.28 È doveroso segnalare che quanto ci apprestiamo a illustrare, coinvolgendo tematiche di ampio respiro di fi-losofia della scienza, meriterebbe di essere esposto in modo molto più articolato di quanto è sufficiente inquesta sede.29 Si ricordi che già gli antichi avevano sottolineato che le figure reali sono solo rappresentazioni approssima-te di quelle ideali della geometria. Solo enti astratti possono avere proprietà universali come quelle espressenelle proposizioni geometriche. Sulla natura di tali enti si sono registrate e si registrano tuttora opinioni con-trastanti, che però non influenzano lo sviluppo matematico della geometria.

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secondo. E un discorso analogo si può fare a proposito della geometria ellittica. Il fatto chein zone piccole dei piani iperbolico ed ellittico valga la geometria euclidea non consente dirisolvere mediante misure fisiche la questione di quale delle tre sia più adatta a descrivere larealtà.

La scelta della geometria euclidea appare tuttavia ampiamente giustificata dalla sua mol-to maggiore semplicità e dalle sue più che bimillenarie applicazioni. Ebbene, nei primi de-cenni del Novecento, Albert Einstein (1880-1952) ha scoperto che i raggi di luce si incurva-no (non vanno secondo le linee rette della geometria euclidea) in presenza di masse. Lo stes-so fenomeno può essere interpretato dicendo che i raggi di luce vanno secondo le linee rettedi un’opportuna30 geometria ellittica determinata dalle masse presenti nello spazio. Le duedescrizioni sono del tutto equivalenti, ma nella prima lo spazio conserva la geometria eucli-dea e nella seconda si assume (per mantenere la legge fondamentale dell’ottica geometricasecondo cui i raggi di luce vanno in linea retta) che la geometria sia ellittica. Einstein hascoperto che, adottando la seconda descrizione, la teoria globale risultante è regolata da leg-gi fisiche molto più semplici. Nella teoria della relatività generale Einstein ha preferito adot-tare una geometria non euclidea, in sé più complicata, per formulare una teoria fisica com-plessivamente più semplice, ma avrebbe potuto continuare a usare la geometria euclidea for-mulando leggi fisiche più sofisticate.

In definitiva, anche le geometrie non euclidee hanno trovato significative applicazioninelle scienze della natura. Se quasi tutte le teorie matematiche nascono da problemi che sor-gono nella ricerca scientifica, non è raro che alcune di esse, introdotte per affrontare que-stioni interne alla disciplina, abbiano trovato una dimensione applicativa in un momentosuccessivo alla loro elaborazione. E questo è quanto accaduto proprio alle geometrie non eu-clidee, le quali sono emerse dai tentativi di risolvere il problema sollevato da VP, ma sonoora divenute una componente di primo piano di fondamentali teorie scientifiche, quale ap-punto la teoria della relatività generale.

30 Nelle formule delle geometrie non euclidee compare un parametro legato alla variabilità di forma delle fi-gure, e quindi, in realtà, al variare di tale parametro vi è uno spettro continuo di geometrie iperboliche ed el-littiche. La geometria euclidea, che invece è unica, è il caso limite delle geometrie non euclidee al tendereall’infinito di tale parametro. Questi risultati tecnici sono stati rilevanti per l’accettazione delle geometrie noneuclidee da parte dei loro precursori e fondatori, molti decenni prima della dimostrazione rigorosa della lorocoerenza.

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