Dante Alighieri Vita Nova 1295

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  • 7/29/2019 Dante Alighieri Vita Nova 1295

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    Letteratura italiana Einaudi

    Vita Nova

    di Dante Alighieri

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    Edizione di riferimento:a cura di M. Barbi,Bemporad, Firenze 1932

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    I 1II 1III 2

    IV 4V 5VI 6VII 6VIII 7IX 9X 11

    XI 11XII 12XII 15XIV 17XV 20XVI 21XVII 23

    XVIII 23XIX 24XX 28XXI 29XXII 31XXIII 33XXIV 39

    XXV 41XXVI 43XXVII 46XXVIII 46XXIX 47XXX 48

    Sommario

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    XXXI 49XXXII 52XXXIII 53

    XXXIV 54XXXV 56XXXVI 57XXXVII 57XXXVIII 59XXXIX 60XL 62

    XLI 64XLII 65

    Sommario

    ivLetteratura italiana Einaudi

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    1Letteratura italiana Einaudi

    I. In quella parte del libro de la mia memoria dinanzia la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica

    la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubricaio trovo scritte le parole le quali mio intendimentodassemplare in questo libello; e se non tutte, almeno laloro sentenzia.

    II. [I] Nove fiate gi appresso lo mio nascimento eratornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto,

    quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhiapparve prima la gloriosa donna de la mia mente, laquale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeanoche si chiamare. Ella era in questa vita gi stata tanto,che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso laparte doriente de le dodici parti luna dun grado, s chequasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed

    io la vidi quasi da la fine del mio nono. Apparve vestitadi nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta eornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si con-venia. In quello punto dico veracemente che lo spiritode la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera delo cuore, cominci a tremare s fortemente, che appariane li menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste

    parole: Ecce deus fortior me, qui veniens dominabiturmichi. In quello punto lo spirito animale, lo quale di-mora ne lalta camera ne la quale tutti li spiriti sensitiviportano le loro percezioni, si cominci a maravigliaremolto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, s dis-se queste parole: Apparuit iam beatitudo vestra. Inquello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quel-la parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominci apiangere, e piangendo disse queste parole: Heu miser,quia frequenter impeditus ero deinceps!. Dallora in-nanzi dico che Amore segnoreggi la mia anima, la qua-le fu s tosto a lui disponsata, e cominci a prendere so-pra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vert che li

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    dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti lisuoi piaceri compiutamente. Elli mi comandava molte

    volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanis-sima; onde io ne la mia puerizia molte volte landai cer-cando, e vedeala di s nobili e laudabili portamenti, checerto di lei si potea dire quella parola del poeta Omero:Ella non parea figliuola duomo mortale, ma di deo. Eavvegna che la sua imagine, la quale continuatamentemeco stava, fosse baldanza dAmore a segnoreggiare me,

    tuttavia era di s nobilissima vert, che nulla volta soffer-se che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de laragione in quelle cose l ove cotale consiglio fosse utile audire. E per che soprastare a le passioni e atti di tantagioventudine para alcuno parlare faboluso, mi partirda esse; e trapassando molte cose le quali si potrebberotrarre de lessemplo onde nascono queste, verr a quelle

    parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto mag-giori paragrafi.

    III. [II] Poi che furono passati tanti die, che appuntoerano compiuti li nove anni appresso lapparimento so-prascritto di questa gentilissima, ne lultimo di questi dieavvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita

    di colore bianchissimo, in mezzo a due gentili donne, lequali erano di pi lunga etade; e passando per una via,volse li occhi verso quella parte ovio era molto pauroso,e per la sua ineffabile cortesia, la quale oggi meritatanel grande secolo, mi salutoe molto virtuosamente, tantoche me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudi-ne. Lora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, erafermamente nona di quello giorno; e per che quella fula prima volta che le sue parole si mossero per venire a limiei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mipartio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo duna miacamera, e puosimi a pensare di questa cortesissima. [III]E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, ne lo

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    quale mapparve una maravigliosa visione: che me pareavedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco,

    dentro a la quale io discernea una figura duno segnoredi pauroso aspetto a chi la guardasse; e pareami con tan-ta letizia, quanto a s, che mirabile cosa era; e ne le sueparole dicea molte cose, le quali io non intendea se nonpoche; tra le quali intendea queste: Ego dominus tuus.Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormirenuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sangui-

    gno leggermente; la quale io riguardando molto intenti-vamente, conobbi chera la donna de la salute, la qualemavea lo giorno dinanzi degnato di salutare. E ne lunade le mani mi parea che questi tenesse una cosa la qualeardesse tutta, e pareami che mi dicesse queste parole:Vide cor tuum. E quando elli era stato alquanto, pa-reami che disvegliasse questa che dormia; e tanto si sfor-

    zava per suo ingegno, che le facea mangiare questa cosache in mano li ardea, la quale ella mangiava dubitosa-mente. Appresso ci poco dimorava che la sua letizia siconvertia in amarissimo pianto; e cos piangendo, si rico-gliea questa donna ne le sue braccia, e con essa mi pareache si ne gisse verso lo cielo; onde io sostenea s grandeangoscia, che lo mio deboletto sonno non poteo sostene-

    re, anzi si ruppe e fui disvegliato. E mantenente comin-ciai a pensare, e trovai che lora ne la quale mera questavisione apparita, era la quarta de la notte stata; s che ap-pare manifestamente chella fue la prima ora de le noveultime ore de la notte. Pensando io a ci che mera appa-ruto, propuosi di farlo sentire a molti li quali erano famo-si trovatori in quello tempo: e con ci fosse cosa che ioavesse gi veduto per me medesimo larte del dire paroleper rima, propuosi di fare uno sonetto, ne lo quale io sa-lutasse tutti li fedeli dAmore; e pregandoli che giudicas-sero la mia visione, scrissi a loro ci che io aveva nel miosonno veduto. E cominciai allora questo sonetto, lo qua-le comincia: A ciascunalma presa.

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    A ciascunalma presa e gentil corenel cui cospetto ven lo dir presente,

    in ci che mi rescrivan suo parvente,salute in lor segnor, cio Amore. 4

    Gi eran quasi che atterzate loredel tempo che onne s tella n lucente,quando mapparve Amor subitamente,cui essenza membrar mi d orrore. 8

    Allegro mi sembrava Amor tenendomeo core in mano, e ne le braccia aveamadonna involta in un drappo dormendo. 11

    Poi la svegliava, e desto core ardendolei paventosa umilmente pascea:

    appresso gir lo ne vedea piangendo. 14

    Questo sonetto si divide in due parti; che ne la primaparte saluto e domando risponsione, ne la seconda signi-fico a che si dee rispondere. La seconda parte cominciaquivi: Gi eran.

    A questo sonetto fue risposto da molti e di diverse

    sentenzie; tra li quali fue risponditore quelli cui io chia-mo primo de li miei amici, e disse allora uno sonetto, loquale comincia: Vedeste, al mio parere, onne valore.E questo fue quasi lo principio de lamist tra lui e me,quando elli seppe che io era quelli che li avea ci man-dato. Lo verace giudicio del detto sogno non fue vedutoallora per alcuno, ma ora manifestissimo a li pi sem-plici.

    IV. Da questa visione innanzi cominci lo mio spiritonaturale ad essere impedito ne la sua operazione, perche lanima era tutta data nel pensare di questa gentilis-sima; onde io divenni in picciolo tempo poi di s fraile e

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    debole condizione, che a molti amici pesava de la mia vi-sta; e molti pieni dinvidia gi si procacciavano di sapere

    di me quello che io volea del tutto celare ad altrui. Edio, accorgendomi del malvagio domandare che mi facea-no, per la volontade dAmore, lo quale mi comandavasecondo lo consiglio de la ragione, rispondea loro cheAmore era quelli che cos mavea governato. DiceadAmore, per che io portava nel viso tante de le sue in-segne, che questo non si potea ricovrire. E quando mi

    domandavano Per cui tha cos distrutto questo Amo-re?, ed io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro.

    V. Uno giorno avvenne che questa gentilissima sedeain parte ove sudiano parole de la regina de la gloria, edio era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine; e nelmezzo di lei e di me per la retta linea sedea una gentile

    donna di molto piacevole aspetto, la quale mi miravaspesse volte, maravigliandosi del mio sguardare, che pa-rea che sopra lei terminasse. Onde molti saccorsero delo suo mirare; e in tanto vi fue posto mente, che, parten-domi da questo luogo, mi sentio dicere appresso di me:Vedi come cotale donna distrugge la persona di co-stui; e nominandola, io intesi che dicea di colei che

    mezzo era stata ne la linea retta che movea da la gentilis-sima Beatrice e terminava ne li occhi miei. Allora miconfortai molto, assicurandomi che lo mio secreto nonera comunicato lo giorno altrui per mia vista. E mante-nente pensai di fare di questa gentile donna schermo dela veritade; e tanto ne mostrai in poco tempo, che lo miosecreto fue creduto sapere da le pi persone che di meragionavano. Con questa donna mi celai alquanti anni emesi; e per pi fare credente altrui, feci per lei certe co-sette per rima, le quali non mio intendimento di scri-vere qui, se non in quanto facesse a trattare di quellagentilissima Beatrice; e per le lascer tutte, salvo chealcuna cosa ne scriver che pare che sia loda di lei.

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    VI. Dico che in questo tempo che questa donna eraschermo di tanto amore, quanto da la mia parte, s mi

    venne una volontade di volere ricordare lo nome diquella gentilissima ed accompagnarlo di molti nomi didonne, e spezialmente del nome di questa gentile don-na. E presi li nomi di sessanta le pi belle donne de lacittade ove la mia donna fue posta da laltissimo sire, ecompuosi una pistola sotto forma di serventese, la qualeio non scriver: e non navrei fatto menzione, se non per

    dire quello che, componendola, maravigliosamente ad-divenne, cio che in alcuno altro numero non sofferse lonome de la mia donna stare se non in su lo nove, tra linomi di queste donne.

    VII. La donna co la quale io avea tanto tempo celatala mia volontade, convenne che si partisse de la sopra-

    detta cittade e andasse in paese molto lontano; per cheio, quasi sbigottito de la bella difesa che mera venutameno, assai me ne disconfortai, pi che io medesimonon avrei creduto dinanzi. E pensando che se de la suapartita io non parlasse alquanto dolorosamente, le per-sone sarebbero accorte pi tosto de lo mio nascondere,propuosi di farne alcuna lamentanza in uno sonetto; lo

    quale io scriver, acci che la mia donna fue immediatacagione di certe parole che ne lo sonetto sono, s comeappare a chi lo intende. E allora dissi questo sonetto,che comincia: O voi che per la via.

    O voi che per la via dAmor passate,attendete e guardateselli dolore alcun, quanto l mio, grave; 3e prego sol chaudir mi sofferiate,e poi imaginatesio son dogni tormento ostale e chiave. 6

    Amor, non gi per mia poca bontate,

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    ma per sua nobiltate,mi pose in vita s dolce e soave, 9

    chio mi sentia dir dietro spesse fiate:Deo, per qual dignitatecos leggiadro questi lo core have? 12

    Or ho perduta tutta mia baldanza,che si movea damoroso tesoro;ondio pover dimoro,

    in guisa che di dir mi ven dottanza. 16

    S che volendo far come coloroche per vergogna celan lor mancanza,di fuor mostro allegranza,e dentro da lo core struggo e ploro. 20

    Questo sonetto ha due parti principali; che ne la pri-ma intendo chiamare li fedeli dAmore per quelle paroledi Geremia profeta che dicono: O vos omnes qui tran-sitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolormeus, e pregare che mi sofferino daudire; ne la secon-da narro l ove Amore mavea posto, con altro intendi-mento che lestreme parti del sonetto non mostrano, e

    dico che io hoe ci perduto. La seconda parte cominciaquivi: Amor, non gi.

    VIII. Appresso lo partire di questa gentile donna fuepiacere del segnore de li angeli di chiamare a la sua glo-ria una donna giovane e di gentile aspetto molto, la qua-le fue assai graziosa in questa sopradetta cittade; lo cuicorpo io vidi giacere sanza lanima in mezzo di moltedonne, le quali piangeano assai pietosamente. Allora, ri-cordandomi che gi lavea veduta fare compagnia aquella gentilissima, non poteo sostenere alquante lagri-me; anzi piangendo mi propuosi di dicere alquante pa-role de la sua morte, in guiderdone di ci che alcuna fia-

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    ta lavea veduta con la mia donna. E di ci toccai alcunacosa ne lultima parte de le parole che io ne dissi, s co-

    me appare manifestamente a chi lo intende. E dissi allo-ra questi due sonetti, li quali comincia lo primo: Pian-gete, amanti, e lo secondo: Morte villana.

    Piangete, amanti, poi che piange Amore,udendo qual cagion lui fa plorare.Amor sente a Piet donne chiamare,

    mostrando amaro duol per li occhi fore, 4

    perch villana Morte in gentil coreha miso il suo crudele adoperare,guastando ci che al mondo da laudarein gentil donna sovra de lonore. 8

    Audite quanto Amor le fece orranza,chio l vidi lamentare in forma verasovra la morta imagine avvenente; 11

    e riguardava ver lo ciel sovente,ove lalma gentil gi locata era,che donna fu di s gaia sembianza. 18

    Questo primo sonetto si divide in tre parti: ne la pri-ma chiamo e sollicito li fedeli dAmore a piangere e dicoche lo segnore loro piange, e dico udendo la cagioneper che piange, acci che sacconcino pi ad ascoltar-mi; ne la seconda narro la cagione; ne la terza parlo dal-cuno onore che Amore fece a questa donna. La secondaparte comincia quivi: Amor sente; la terza quivi: Au-dite.

    Morte villana, di piet nemica,di dolor madre antica,giudicio incontastabile gravoso, 3

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    poi che hai data matera al cor dogliosoondio vado pensoso,

    di te blasmar la lingua saffatica. 6

    E sio di grazia ti voi far mendica,convenesi cheo dicalo tuo fallar donni torto tortoso, 9non per cha la gente sia nascoso,ma per farne cruccioso

    chi damor per innanzi si notrica. 12

    Dal secolo hai partita cortesiae ci ch in donna da pregiar vertute:in gaia gioventutedistrutta hai lamorosa leggiadria. 16

    Pi non voi discovrir qual donna siache per le propiet sue canosciute.Chi non merta salutenon speri mai daver sua compagnia. 20

    Questo sonetto si divide in quattro parti: ne la primaparte chiamo la Morte per certi suoi nomi propri; ne la

    seconda, parlando a lei, dico la cagione per che io mimuovo a biasimarla; ne la terza la vitupero; ne la quartami volgo a parlare a indiffinita persona, avvegna chequanto a lo mio intendimento sia diffinita. La secondacomincia quivi: poi che hai data; la terza quivi: E siodi grazia; la quarta quivi: Chi non merta salute.

    IX. Appresso la morte di questa donna alquanti dieavvenne cosa per la quale me convenne partire de la so-pradetta cittade e ire verso quelle parti dovera la gentiledonna chera stata mia difesa, avvegna che non tantofosse lontano lo termine de lo mio andare quanto ellaera. E tutto chio fosse a la compagnia di molti quanto a

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    la vista, landare mi dispiacea s, che quasi li sospiri nonpoteano disfogare langoscia che lo cuore sentia, per

    chio mi dilungava de la mia beatitudine. E per lo dol-cissimo segnore, lo quale mi segnoreggiava per la vertde la gentilissima donna, ne la mia imaginazione appar-ve come peregrino leggeramente vestito e di vili drappi.Elli mi parea disbigottito, e guardava la terra, salvo chetalora li suoi occhi mi parea che si volgessero ad uno fiu-me bello e corrente e chiarissimo, lo quale sen gia lungo

    questo cammino l ovio era. A me parve che Amore michiamasse, e dicessemi queste parole: Io vegno da quel-la donna la quale stata tua lunga difesa, e so che lo suorivenire non sar a gran tempi; e per quello cuore cheio ti facea avere a lei, io lho meco, e portolo a donna laquale sar tua difensione, come questa era. E nominol-lami per nome, s che io la conobbi bene. Ma tuttavia,

    di queste parole chio tho ragionate se alcuna cosa nedicessi, dille nel modo che per loro non si discernesse losimulato amore che tu hai mostrato a questa e che ticonverr mostrare ad altri. E dette queste parole, di-sparve questa mia imaginazione tutta subitamente per lagrandissima parte che mi parve che Amore mi desse dis; e, quasi cambiato ne la vista mia, cavalcai quel giorno

    pensoso molto e accompagnato da molti sospiri. Ap-presso lo giorno cominciai di ci questo sonetto, lo qua-le comincia: Cavalcando.

    Cavalcando laltrier per un cammino,pensoso de landar che mi sgradia,trovai Amore in mezzo de la viain abito leggier di peregrino. 4

    Ne la sembianza mi parea meschino,come avesse perduto segnoria;e sospirando pensoso venia,per non veder la gente, a capo chino. 8

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    Quando mi vide, mi chiam per nome,e disse: Io vegno di lontana parte,

    overa lo tuo cor per mio volere; 11

    e recolo a servir novo piacere.Allora presi di lui s gran parte,chelli disparve, e non maccorsi come. 14

    Questo sonetto ha tre parti: ne la prima parte dico s

    comio trovai Amore, e quale mi parea; ne la seconda di-co quello chelli mi disse, avvegna che non compiuta-mente per tema chavea di discovrire lo mio secreto; nela terza dico comelli mi disparve.La seconda cominciaquivi: Quando mi vide; la terza: Allora presi.

    X. Appresso la mia ritornata mi misi a cercare di que-

    sta donna che lo mio segnore mavea nominata ne locammino de li sospiri; e acci che lo mio parlare sia pibrieve, dico che in poco tempo la feci mia difesa tanto,che troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cor-tesia; onde molte fiate mi pensava duramente. E perquesta cagione, cio di questa soverchievole voce cheparea che minfamasse viziosamente, quella gentilissima,

    la quale fue distruggitrice di tutti li vizi e regina de le vir-tudi, passando per alcuna parte, mi neg lo suo dolcissi-mo salutare, ne lo quale stava tutta la mia beatitudine. Euscendo alquanto del proposito presente, voglio dare aintendere quello che lo suo salutare in me vertuosamen-te operava.

    XI. Dico che quando ella apparia da parte alcuna,per la speranza de la mirabile salute nullo nemico mi ri-manea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la qua-le mi facea perdonare a chiunque mavesse offeso; e chiallora mavesse domandato di cosa alcuna, la mia ri-sponsione sarebbe stata solamente Amore, con viso

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    vestito dumilitade. E quando ella fosse alquanto pro-pinqua al salutare, uno spirito damore, distruggendo

    tutti li altri spiriti sensitivi, pingea fuori li deboletti spi-riti del viso, e dicea loro: Andate a onorare la donnavostra; ed elli si rimanea nel luogo loro. E chi avessevoluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tre-mare de li occhi miei. E quando questa gentilissima sa-lute salutava, non che Amore fosse tal mezzo che potes-se obumbrare a me la intollerabile beatitudine, ma elli

    quasi per soverchio di dolcezza divenia tale, che lo miocorpo, lo quale era tutto allora sotto lo suo reggimento,molte volte si movea come cosa grave inanimata. S cheappare manifestamente che ne le sue salute abitava lamia beatitudine, la quale molte volte passava e redun-dava la mia capacitade.

    XII. Ora, tornando al proposito, dico che poi che lamia beatitudine mi fue negata, mi giunse tanto dolore,che, partito me da le genti, in solinga parte andai a ba-gnare la terra damarissime lagrime. E poi che alquantomi fue sollenato questo lagrimare, misimi ne la mia ca-mera, l ovio potea lamentarmi sanza essere udito; equivi, chiamando misericordia a la donna de la cortesia,

    e dicendo Amore, aiuta lo tuo fedele, maddormentaicome un pargoletto battuto lagrimando. Avvenne quasinel mezzo de lo mio dormire che me parve vedere ne lamia camera lungo me sedere uno giovane vestito dibianchissime vestimenta, e pensando molto quanto a lavista sua, mi riguardava l ovio giacea; e quando maveaguardato alquanto, pareami che sospirando mi chiamas-se, e diceami queste parole: Fili mi, tempus est ut pre-termictantur simulacra nostra. Allora mi parea che iolo conoscesse, per che mi chiamava cos come assai fia-te ne li miei sonni mavea gi chiamato: e riguardandolo,parvemi che piangesse pietosamente, e parea che atten-desse da me alcuna parola; ondio, assicurandomi, co-

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    minciai a parlare cos con esso: Segnore de la nobilta-de, e perch piangi tu?. E quelli mi dicea queste paro-

    le: Ego tanquam centrum circuli, cui simili modo se ha-bent circumferentie partes; tu autem non sic. Allora,pensando a le sue parole, mi parea che mavesse parlatomolto oscuramente; s chio mi sforzava di parlare, e di-ceali queste parole: Che ci, segnore, che mi parli contanta oscuritade?. E quelli mi dicea in parole volgari:Non dimandare pi che utile ti sia. E per cominciai

    allora con lui a ragionare de la salute la quale mi fue ne-gata, e domandailo de la cagione; onde in questa guisada lui mi fue risposto: Quella nostra Beatrice udio dacerte persone di te ragionando, che la donna la quale ioti nominai nel cammino de li sospiri, ricevea da te alcu-na noia; e per questa gentilissima, la quale contrariadi tutte le noie, non degn salutare la tua persona, te-

    mendo non fosse noiosa. Onde con ci sia cosa che ve-racemente sia conosciuto per lei alquanto lo tuo secretoper lunga consuetudine, voglio che tu dichi certe paroleper rima, ne le quali tu comprendi la forza che io tegnosopra te per lei, e come tu fosti suo tostamente da la tuapuerizia. E di ci chiama testimonio colui che lo sa, ecome tu prieghi lui che li le dica; ed io, che son quelli,

    volentieri le ne ragioner; e per questo sentir ella la tuavolontade, la quale sentendo, conoscer le parole de liingannati. Queste parole fa che siano quasi un mezzo, sche tu non parli a lei immediatamente, che non degno;e no le mandare in parte, sanza me, ove potessero essereintese da lei, ma falle adornare di soave armonia, ne laquale io sar tutte le volte che far mestiere. E dettequeste parole, s disparve, e lo mio sonno fue rotto. On-de io ricordandomi, trovai che questa visione mera ap-parita ne la nona ora del die; e anzi chio uscisse di que-sta camera, propuosi di fare una ballata, ne la quale ioseguitasse ci che lo mio segnore mavea imposto; e fecipoi questa ballata, che comincia: Ballata, i voi.

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    Ballata, i voi che tu ritrovi Amore,e con lui vade a madonna davante,

    s che la scusa mia, la qual tu cante,ragioni poi con lei lo mio segnore. 4

    Tu vai, ballata, s cortesemente,che sanza compagniadovresti avere in tutte parti ardire;ma se tu vuoli andar sicuramente,

    retrova lAmor pria,ch forse non bon sanza lui gire; 10

    per che quella che ti dee audire,s comio credo, ver di me adirata:se tu di lui non fossi accompagnata,leggeramente ti faria disnore. 14

    Con dolze sono, quando se con lui,comincia este parole,appresso che averai chesta pietate:Madonna, quelli che mi manda a vui,quando vi piaccia, vole,sed elli ha scusa, che la mintendiate. 20

    Amore qui, che per vostra bieltatelo face,come vol,vista cangiare:dunque perch li fece altra guardarepensatel voi, da che non mut l core. 24

    Dille: Madonna, lo suo core statocon s fermata fede,che n voi servir lha mpronto onne pensero:tosto fu vostro, e mai non s smagato.Sed ella non ti crede,d che domandi Amor, che sa lo vero: 30

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    ed a la fine falle umil preghero,lo perdonare se le fosse a noia,

    che mi comandi per messo cheo moia,e vedrassi ubidir ben servidore. 34

    E d a colui ch dogni piet chiave,avante che sdonnei,che le sapr contar mia ragion bona:Per grazia de la mia nota soave

    reman tu qui con lei,e del tuo servo ci che vuoi ragiona; 40

    e sella per tuo prego li perdona,fa che li annunzi un bel sembiante pace.Gentil ballata mia, quando ti piace,movi in quel punto che tu naggie onore. 44

    Questa ballata in tre parti si divide: ne la prima dico alei ovella vada, e confortola per che vada pi sicura, edico ne la cui compagnia si metta, se vuole sicuramenteandare e sanza pericolo alcuno; ne la seconda dico quel-lo che lei si pertiene di fare intendere; ne la terza la li-cenzio del gire quando vuole, raccomandando lo suo

    movimento ne le braccia de la fortuna. La seconda partecomincia quivi: Con dolze sono; la terza quivi: Gen-til ballata.

    Potrebbe gi luomo opporre contra me e dicere chenon sapesse a cui fosse lo mio parlare in seconda perso-na, per che la ballata non altro che queste paroleched io parlo: e per dico che questo dubbio io lo inten-do solvere e dichiarare in questo libello ancora in partepi dubbiosa; e allora intenda qui chi qui dubita, o chiqui volesse opporre in questo modo.

    XIII. Appresso di questa soprascritta visione, avendogi dette le parole che Amore mavea imposte a dire, mi

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    cominciaro molti e diversi pensamenti a combattere e atentare, ciascuno quasi indefensibilemente; tra li quali

    pensamenti quattro mi parea che ingombrassero pi loriposo de la vita. Luno de li quali era questo: buona lasignoria dAmore, per che trae lo intendimento del suofedele da tutte le vili cose. Laltro era questo: non buona la signoria dAmore, per che quanto lo suo fedele pifede li porta, tanto pi gravi e dolorosi punti li convienepassare. Laltro era questo: lo nome dAmore s dolce

    a udire, che impossibile mi pare che la sua propria ope-razione sia ne le pi cose altro che dolce, con ci sia co-sa che li nomi seguitino le nominate cose, s come scritto: Nomina sunt consequentia rerum. Lo quartoera questo: la donna per cui Amore ti stringe cos, non come laltre donne, che leggeramente si muova del suocuore. E ciascuno mi combattea tanto, che mi facea sta-

    re quasi come colui che non sa per qual via pigli lo suocammino, e che vuole andare e non sa onde se ne vada; ese io pensava di volere cercare una comune via di costo-ro, cio l ove tutti saccordassero, questa era via moltoinimica verso me, cio di chiamare e di mettermi ne lebraccia de la Piet. E in questo stato dimorando, migiunse volontade di scriverne parole rimate; e dissine al-

    lora questo sonetto, lo quale comincia: Tutti li mieipenser.

    Tutti li miei penser parlan dAmore;e hanno in lor s gran varietate,chaltro mi fa voler sua potestate,altro folle ragiona il suo valore, 4

    altro sperando mapporta dolzore,altro pianger mi fa spesse fiate;e sol saccordano in cherer pietate,tremando di paura che nel core. 8

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    Ondio non so da qual matera prenda;e vorrei dire, e non so chio mi dica:

    cos mi trovo in amorosa erranza! 11

    E se con tutti voi fare accordanza,convenemi chiamar la mia nemica,madonna la Piet, che mi difenda. 14

    Questo sonetto in quattro parti si pu dividere: ne la

    prima dico e soppongo che tutti li miei pensieri sonodAmore; ne la seconda dico che sono diversi, e narro laloro diversitade; ne la terza dico in che tutti pare chesaccordino; ne la quarta dico che volendo dire dAmo-re, non so da qual parte pigli matera, e se la voglio pi-gliare da tutti, convene che io chiami la mia inimica, ma-donna la Pietade; e dico madonna quasi per

    disdegnoso modo di parlare. La seconda parte cominciaquivi: e hanno in lor; la terza quivi: e sol saccorda-no; la quarta quivi: Ondio non so.

    XIV. Appresso la battaglia de li diversi pensieri av-venne che questa gentilissima venne in parte ove moltedonne gentili erano adunate; a la qual parte io fui con-

    dotto per amica persona, credendosi fare a me grandepiacere, in quanto mi menava l ove tante donne mo-stravano le loro bellezze. Onde io, quasi non sappiendoa che io fossi menato, e fidandomi ne la persona la qua-le uno suo amico a lestremitade de la vita condottoavea, dissi a lui: Perch semo noi venuti a queste don-ne?. Allora quelli mi disse: Per fare s chelle siano de-gnamente servite. E lo vero che adunate quivi eranoa la compagnia duna gentile donna che disposata era logiorno; e per, secondo lusanza de la sopradetta citta-de, convenia che le facessero compagnia nel primo se-dere a la mensa che facea ne la magione del suo novellosposo. S che io, credendomi fare piacere di questo ami-

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    co, propuosi di stare al servigio de le donne ne la suacompagnia. E nel fine del mio proponimento mi parve

    sentire uno mirabile tremore incominciare nel mio pettoda la sinistra parte e distendersi di subito per tutte leparti del mio corpo. Allora dico che io poggiai la miapersona simulatamente ad una pintura la quale circun-dava questa magione; e temendo non altri si fosse accor-to del mio tremare, levai li occhi, e mirando le donne,vidi tra loro la gentilissima Beatrice. Allora fuoro s di-

    strutti li miei spiriti per la forza che Amore prese veg-gendosi in tanta propinquitade a la gentilissima donna,che non ne rimasero in vita pi che li spiriti del viso; eancora questi rimasero fuori de li loro istrumenti, perche Amore volea stare nel loro nobilissimo luogo pervedere la mirabile donna. E avvegna che io fossi altroche prima, molto mi dolea di questi spiritelli, che si la-

    mentavano forte e diceano: Se questi non ci infolgoras-se cos fuori del nostro luogo, noi potremmo stare a ve-dere la maraviglia di questa donna cos come stanno lialtri nostri pari. Io dico che molte di queste donne, ac-corgendosi de la mia trasfigurazione, si cominciaro amaravigliare, e ragionando si gabbavano di me con que-sta gentilissima; onde lo ingannato amico di buona fede

    mi prese per la mano, e traendomi fuori de la veduta diqueste donne, s mi domand che io avesse. Allora io,riposato alquanto, e resurressiti li morti spiriti miei, e lidiscacciati rivenuti a le loro possessioni, dissi a questomio amico queste parole: Io tenni li piedi in quella par-te de la vita di l da la quale non si puote ire pi per in-tendimento di ritornare. E partitomi da lui, mi ritornaine la camera de le lagrime; ne la quale, piangendo e ver-gognandomi, fra me stesso dicea: Se questa donna sa-pesse la mia condizione, io non credo che cos gabbassela mia persona, anzi credo che molta pietade le ne ver-rebbe. E in questo pianto stando, propuosi di dire pa-role, ne le quali, parlando a lei, significasse la cagione

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    del mio trasfiguramento, e dicesse che io so bene chellanon saputa, e che se fosse saputa, io credo che piet ne

    giugnerebbe altrui; e propuosile di dire desiderandoche venissero per avventura ne la sua audienza. E alloradissi questo sonetto, lo quale comincia: Con laltredonne.

    Con laltre donne mia vista gabbate,e non pensate, donna, onde si mova

    chio vi rassembri s figura novaquando riguardo la vostra beltate. 4

    Se lo saveste, non poria Pietatetener pi contra me lusata prova,ch Amor, quando s presso a voi mi trova,prende baldanza e tanta securtate, 8

    che fere tra miei spiriti paurosi,e quale ancide, e qual pinge di fore,s che solo remane a veder vui: 11

    ondio mi cangio in figura daltrui,ma non s chio non senta bene allore

    li guai de li scacciati tormentosi. 14

    Questo sonetto non divido in parti, per che la divi-sione non si fa se non per aprire la sentenzia de la cosadivisa; onde con ci sia cosa che per la sua ragionata ca-gione assai sia manifesto, non ha mestiere di divisione.Vero che tra le parole dove si manifesta la cagione diquesto sonetto, si scrivono dubbiose parole, cio quan-do dico che Amore uccide tutti li miei spiriti, e li visivirimangono in vita, salvo che fuori de li strumenti loro. Equesto dubbio impossibile a solvere a chi non fosse insimile grado fedele dAmore; e a coloro che vi sono manifesto ci che solverebbe le dubitose parole: e per

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    non bene a me di dichiarare cotale dubitazione, acciche lo mio parlare dichiarando sarebbe indarno, o vero

    di soperchio.

    XV. Appresso la nuova trasfigurazione mi giunse unopensamento forte, lo quale poco si partia da me, anzicontinuamente mi riprendea, ed era di cotale ragiona-mento meco: Poscia che tu pervieni a cos dischernevo-le vista quando tu se presso di questa donna, perch

    pur cerchi di vedere lei? Ecco che tu fossi domandatoda lei: che avrest da rispondere, ponendo che tu avessilibera ciascuna tua vertude in quanto tu le rispondessi?E a costui rispondea un altro, umile, pensero, e dicea:Sio non perdessi le mie vertudi, e fossi libero tanto cheio le potessi rispondere, io le direi che s tosto comioimagino la sua mirabile bellezza, s tosto mi giugne uno

    desiderio di vederla, lo quale di tanta vertude, che uc-cide e distrugge ne la mia memoria ci che contra lui sipotesse levare; e per non mi ritraggono le passate pas-sioni da cercare la veduta di costei. Onde io, mosso dacotali pensamenti, propuosi di dire certe parole, ne lequali, escusandomi a lei da cotale riprensione, ponesseanche di quello che mi diviene presso di lei; e dissi que-

    sto sonetto, lo quale comincia: Ci che mincontra.

    Ci che mincontra, ne la mente more,quandi vegno a veder voi, bella gioia;e quandio vi son presso, i sento Amoreche dice: Fuggi, se l perir t noia. 4

    Lo viso mostra lo color del core,che, tramortendo, ovunque p sappoia;e per la ebriet del gran tremorele pietre par che gridin: Moia, moia. 8

    Peccato face chi allora mi vide,

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    se lalma sbigottita non conforta,sol dimostrando che di me li doglia, 11

    per la piet, che l vostro gabbo ancide,la qual si cria ne la vista mortade li occhi, channo di lor morte voglia. 14

    Questo sonetto si divide in due parti: ne la prima dicola cagione per che non mi tengo di gire presso di questa

    donna; ne la seconda dico quello che mi diviene per an-dare presso di lei; e comincia questa parte quivi: equandio vi son presso. E anche si divide questa secon-da parte in cinque, secondo cinque diverse narrazioni:che ne la prima dico quello che Amore, consigliato da laragione, mi dice quando le sono presso; ne la secondamanifesto lo stato del cuore per essemplo del viso; ne la

    terza dico s come onne sicurtade mi viene meno; ne laquarta dico che pecca quelli che non mostra piet di me,acci che mi sarebbe alcuno conforto; ne lultima dicoperch altri doverebbe avere piet, e ci per la pietosavista che ne li occhi mi giugne; la quale vista pietosa distrutta, cio non pare altrui, per lo gabbare di questadonna, lo quale trae a sua simile operazione coloro che

    forse vederebbono questa piet. La seconda parte co-mincia quivi: Lo viso mostra; la terza quivi: e per laebriet; la quarta: Peccato face; la quinta: per lapiet.

    XVI. Appresso ci che io dissi questo sonetto, mimosse una volontade di dire anche parole, ne le quali iodicesse quattro cose ancora sopra lo mio stato, le qualinon mi parea che fossero manifestate ancora per me. Laprima de le quali si che molte volte io mi dolea, quan-do la mia memoria movesse la fantasia ad imaginarequale Amore mi facea. La seconda si che Amore spes-se volte di subito massalia s forte, che n me non rima-

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    nea altro di vita se non un pensero che parlava di que-sta donna. La terza si che quando questa battaglia

    dAmore mi pugnava cos, io mi movea quasi discolori-to tutto per vedere questa donna, credendo che mi di-fendesse la sua veduta da questa battaglia, dimentican-do quello che per appropinquare a tanta gentilezzamaddivenia. La quarta si come cotale veduta non so-lamente non mi difendea, ma finalmente disconfiggea lamia poca vita. E per dissi questo sonetto, lo quale co-

    mincia: Spesse fiate.

    Spesse fiate vegnonmi a la mentele oscure qualit chAmor mi dona,e venmene piet, s che soventeio dico: Lasso!, avviene elli a persona?; 4

    chAmor massale subitanamente,s che la vita quasi mabbandona:campami un spirto vivo solamente,e que riman perch di voi ragiona. 8

    Poscia mi sforzo, ch mi voglio atare;e cos smorto, donne valor voto,

    vegno a vedervi, credendo guerire: 11

    e se io levo li occhi per guardare,nel cor mi si comincia uno tremoto,che fa de polsi lanima partire. 14

    Questo sonetto si divide in quattro parti, secondo chequattro cose sono in esso narrate; e per che sono di so-pra ragionate, non mintrametto se non di distinguere leparti per li loro cominciamenti: onde dico che la secon-da parte comincia quivi: chAmor; la terza quivi: Po-scia mi sforzo; la quarta quivi: e se io levo.

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    XVII. Poi che dissi questi tre sonetti, ne li quali parlaia questa donna per che fuoro narratori di tutto quasi lo

    mio stato, credendomi tacere e non dire pi per che miparea di me assai avere manifestato, avvegna che semprepoi tacesse di dire a lei, a me convenne ripigliare materanuova e pi nobile che la passata. E per che la cagionede la nuova matera dilettevole a udire, la dicer, quan-to potr pi brievemente.

    XVIII. Con ci sia cosa che per la vista mia moltepersone avessero compreso lo secreto del mio cuore,certe donne, le quali adunate serano dilettandosi lunane la compagnia de laltra, sapeano bene lo mio cuore,per che ciascuna di loro era stata a molte mie sconfit-te;e io passando appresso di loro, s come da la fortunamenato, fui chiamato da una di queste gentili donne. La

    donna che mavea chiamato era donna di molto leggia-dro parlare; s che quandio fui giunto dinanzi da loro, evidi bene che la mia gentilissima donna non era con es-se, rassicurandomi le salutai, e domandai che piacesseloro. Le donne erano molte, tra le quali navea certe chesi rideano tra loro; altre verano che mi guardavanoaspettando che io dovessi dire; altre verano che parla-

    vano tra loro. De le quali una, volgendo li suoi occhiverso me e chiamandomi per nome, disse queste parole:A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu nonpuoi sostenere la sua presenza? Dilloci, ch certo lo fi-ne di cotale amore conviene che sia novissimo. E poiche mebbe dette queste parole, non solamente ella, matutte laltre cominciaro ad attendere in vista la mia ri-sponsione. Allora dissi queste parole loro: Madonne,lo fine del mio amore fue gi lo saluto di questa donna,forse di cui voi intendete, e in quello dimorava la beati-tudine, ch era fine di tutti li miei desiderii. Ma poi chele piacque di negarlo a me, lo mio segnore Amore, lasua merzede, ha posto tutta la mia beatitudine in quello

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    che non mi puote venire meno. Allora queste donnecominciaro a parlare tra loro; e s come talora vedemo

    cadere lacqua mischiata di bella neve, cos mi pareaudire le loro parole uscire mischiate di sospiri. E poiche alquanto ebbero parlato tra loro, anche mi dissequesta donna che mavea prima parlato, queste parole:Noi ti preghiamo che tu ne dichi ove sta questa tuabeatitudine. Ed io, rispondendo lei, dissi cotanto: Inquelle parole che lodano la donna mia. Allora mi ri-

    spuose questa che mi parlava: Se tu ne dicessi vero,quelle parole che tu nhai dette in notificando la tuacondizione, avrest operate con altro intendimento.Onde io, pensando a queste parole, quasi vergognosomi partio da loro, e venia dicendo fra me medesimo:Poi che tanta beatitudine in quelle parole che lodanola mia donna, perch altro parlare stato lo mio?. E

    per propuosi di prendere per matera de lo mio parlaresempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima;e pensando molto a ci, pareami avere impresa troppoalta matera quanto a me, s che non ardia di cominciare;e cos dimorai alquanti d con disiderio di dire e conpaura di cominciare.

    XIX. Avvenne poi che passando per uno camminolungo lo quale sen gia uno rivo chiaro molto, a megiunse tanta volontade di dire, che io cominciai a pen-sare lo modo chio tenesse; e pensai che parlare di leinon si convenia che io facesse, se io non parlasse adonne in seconda persona, e non ad ogni donna, masolamente a coloro che sono gentili e che non sono pu-re femmine. Allora dico che la mia lingua parl quasicome per se stessa mossa, e disse: Donne chavete in-telletto damore. Queste parole io ripuosi ne la mentecon grande letizia, pensando di prenderle per mio co-minciamento; onde poi, ritornato a la sopradetta citta-de, pensando alquanti die, cominciai una canzone con

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    questo cominciamento, ordinata nel modo che si vedrdi sotto ne la sua divisione. La canzone comincia:

    Donne chavete.

    Donne chavete intelletto damore,i vo con voi de la mia donna dire,non perchio creda sua laude finire,ma ragionar per isfogar la mente. 4Io dico che pensando il suo valore,

    Amor s dolce mi si fa sentire,che sio allora non perdessi ardire,farei parlando innamorar la gente. 8E io non vo parlar s altamente,chio divenisse per temenza vile;ma tratter del suo stato gentilea respetto di lei leggeramente, 12

    donne e donzelle amorose, con vui,ch non cosa da parlarne altrui. 14

    Angelo clama in divino intellettoe dice: Sire, nel mondo si vedemaraviglia ne latto che procededunanima che nfin qua su risplende. 18

    Lo cielo, che non have altro difettoche daver lei, al suo segnor la chiede,e ciascun santo ne grida merzede.Sola Piet nostra parte difende, 22ch parla Dio, che di madonna intende:Diletti miei, or sofferite in paceche vostra spene sia quanto me piacel v alcun che perder lei sattende, 26e che dir ne lo inferno: O mal nati,io vidi la speranza de beati. 28

    Madonna disiata in sommo cielo:or voi di sua virt farvi savere.

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    Dico, qual vuol gentil donna parerevada con lei, che quando va per via, 32

    gitta nei cor villani Amore un gelo,per che onne lor pensero agghiaccia e pere;e qual soffrisse di starla a vederediverria nobil cosa, o si morria. 36E quando trova alcun che degno siadi veder lei, quei prova sua vertute,ch li avvien, ci che li dona, in salute,

    e s lumilia, chogni offesa oblia. 40Ancor lha Dio per maggior grazia datoche non p mal finir chi lha parlato. 42

    Dice di lei Amor: Cosa mortalecome esser p s adorna e s pura?Poi la reguarda, e fra se stesso giura

    che Dio ne ntenda di far cosa nova. 46Color di perle ha quasi, in forma qualeconvene a donna aver, non for misura:ella quanto de ben p far natura;per essemplo di lei bielt si prova. 50De li occhi suoi, come chella li mova,escono spirti damore inflammati,

    che feron li occhi a qual che allor la guati,e passan s che l cor ciascun retrova: 54voi le vedete Amor pinto nel viso,l ve non pote alcun mirarla fiso. 56

    Canzone, io so che tu girai parlandoa donne assai, quandio tavr avanzata.Or tammonisco, perchio tho allevataper figliuola dAmor giovane e piana, 60che l ve giugni tu diche pregando:Insegnatemi gir, chio son mandataa quella di cui laude so adornata.E se non vuoli andar s come vana, 64

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    non restare ove sia gente villana:ingegnati, se puoi, desser palese

    solo con donne o con omo cortese,che ti merranno l per via tostana. 68Tu troverai Amor con esso lei;raccomandami a lui come tu dei. 70

    Questa canzone, acci che sia meglio intesa, la divi-der pi artificiosamente che laltre cose di sopra. E

    per prima ne fo tre parti: la prima parte proemio dele sequenti parole; la seconda lo intento trattato; la ter-za quasi una serviziale de le precedenti parole. La se-conda comincia quivi: Angelo clama; la terza quivi:Canzone, io so che. La prima parte si divide in quat-tro: ne la prima dico a cu io dicer voglio de la mia don-na, e perch io voglio dire; ne la seconda dico quale me

    pare avere a me stesso quandio penso lo suo valore, ecomio direi sio non perdessi lardimento; ne la terza di-co come credo dire di lei, acci chio non sia impeditoda vilt; ne la quarta, ridicendo anche a cui ne intendadire, dico la cagione per che dico a loro. La seconda co-mincia quivi: Io dico; la terza quivi: E io non vo par-lar; la quarta: donne e donzelle. Poscia quando dico:

    Angelo clama, comincio a trattare di questa donna. Edividesi questa parte in due: ne la prima dico che di lei sicomprende in cielo; ne la seconda dico che di lei si com-prende in terra, quivi: Madonna disiata. Questa se-conda parte si divide in due: che ne la prima dico di leiquanto da la parte de la nobilitade de la sua anima, nar-rando alquanto de le sue vertudi effettive che de la suaanima procedeano; ne la seconda dico di lei quanto da laparte de la nobilitade del suo corpo, narrando alquantode le sue bellezze, quivi: Dice di lei Amor. Questa se-conda parte si divide in due; che ne la prima dico dal-quante bellezze che sono secondo tutta la persona; ne laseconda dico dalquante bellezze che sono secondo di-

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    terminata parte de la persona, quivi: De li occhi suoi.Questa seconda parte si divide in due; che ne luna dico

    deli occhi, li quali sono principio damore; ne la secondadico de la bocca, la quale fine damore. E acci chequinci si lievi ogni vizioso pensiero, ricordisi chi ci leg-ge, che di sopra scritto che lo saluto di questa donna,lo quale era de le operazioni de la bocca sua, fue fine deli miei desiderii mentre chio lo potei ricevere. Posciaquando dico: Canzone, io so che tu, aggiungo una

    stanza quasi come ancella de laltre, ne la quale dicoquello che di questa mia canzone desidero; e per chequesta ultima parte lieve a intendere, non mi travagliodi pi divisioni. Dico bene che, a pi aprire lo intendi-mento di questa canzone, si converrebbe usare di piminute divisioni; ma tuttavia chi non di tanto ingegnoche per queste che sono fatte la possa intendere, a me

    non dispiace se la mi lascia stare, ch certo io temodavere a troppi comunicato lo suo intendimento purper queste divisioni che fatte sono, selli avvenisse chemolti le potessero audire.

    XX. Appresso che questa canzone fue alquanto divol-gata tra le genti, con ci fosse cosa che alcuno amico

    ludisse, volontade lo mosse a pregare me che io li do-vesse dire che Amore, avendo forse per ludite parolesperanza di me oltre che degna. Onde io, pensando cheappresso di cotale trattato bello era trattare alquantodAmore, e pensando che lamico era da servire, pro-puosi di dire parole ne le quali io trattassi dAmore; e al-lora dissi questo sonetto, lo qual comincia: Amore e lcor gentil.

    Amore e l cor gentil sono una cosa,s come il saggio in suo dittare pone,e cos esser lun sanza laltro osacomalma razional sanza ragione. 4

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    Falli natura quand amorosa,Amor per sire e l cor per sua magione,

    dentro la qual dormendo si riposatal volta poca e tal lunga stagione. 8

    Bieltate appare in saggia donna pui,che piace a gli occhi s, che dentro al corenasce un disio de la cosa piacente; 11

    e tanto dura talora in costui,che fa svegliar lo spirito dAmore.E simil face in donna omo valente. 14

    Questo sonetto si divide in due parti: ne la prima dicodi lui in quanto in potenzia; ne la seconda dico di lui inquanto di potenzia si riduce in atto. La seconda comin-

    cia quivi: Bieltate appare. La prima si divide in due:ne la prima dico in che suggetto sia questa potenzia; nela seconda dico s come questo suggetto e questa poten-zia siano produtti in essere, e come luno guarda laltrocome forma materia. La seconda comincia quivi: Fallinatura. Poscia quando dico: Bieltate appare, dicocome questa potenzia si riduce in atto; e prima come si

    riduce in uomo, poi come si riduce in donna, quivi: Esimil face in donna.

    XXI. Poscia che trattai dAmore ne la soprascritta ri-ma, vennemi volontade di volere dire anche, in loda diquesta gentilissima, parole, per le quali io mostrasse co-me per lei si sveglia questo Amore, e come non solamen-te si sveglia l ove dorme, ma l ove non in potenzia,ella, mirabilemente operando, lo fa venire. E allora dissiquesto sonetto, lo quale comincia: Ne li occhi porta.

    Ne li occhi porta la mia donna Amore,per che si fa gentil ci chella mira;

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    ovella passa, ognom ver lei si gira,e cui saluta fa tremar lo core, 4

    s che, bassando il viso, tutto smore,e dogni suo difetto allor sospira:fugge dinanzi a lei superbia ed ira.Aiutatemi, donne, farle onore. 8

    Ogne dolcezza, ogne pensero umile

    nasce nel core a chi parlar la sente,ond laudato chi prima la vide. 11

    Quel chella par quando un poco sorride,non si p dicer n tenere a mente,s novo miracolo e gentile. 14

    Questo sonetto si ha tre parti: ne la prima dico s co-me questa donna riduce questa potenzia in atto secondola nobilissima parte de li suoi occhi; e ne la terza dicoquesto medesimo secondo la nobilissima parte de la suabocca; e intra queste due parti una particella, ch qua-si domandatrice daiuto a la precedente parte e a la se-quente, e comincia quivi: Aiutatemi, donne. La terza

    comincia quivi: Ogne dolcezza. La prima si divide intre; che ne la prima parte dico s come virtuosamente faegentile tutto ci che vede, e questo tanto a dire quantoinducere Amore in potenzia l ove non ; ne la secondadico come reduce in atto Amore ne li cuori di tutti colo-ro cui vede; ne la terza dico quello che poi virtuosamen-te adopera ne loro cuori. La seconda comincia quivi:ovella passa; la terza quivi: e cui saluta. Posciaquando dico: Aiutatemi, donne, do a intendere a cuila mia intenzione di parlare, chiamando le donne chemaiutino onorare costei. Poscia quando dico: Ognedolcezza, dico quello medesimo che detto ne la primaparte, secondo due atti de la sua bocca; luno de li quali

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    pietosamente?. Appresso costoro passaro altre donne,che veniano dicendo: Questi ch qui piange n pi n

    meno come se lavesse veduta, come noi avemo. Altredipoi diceano di me: Vedi questi che non pare esso, tal divenuto!. E cos passando queste donne, udio paro-le di lei e di me in questo modo che detto . Onde iopoi, pensando, propuosi di dire parole, acci che degna-mente avea cagione di dire, ne le quali parole io con-chiudesse tutto ci che inteso avea da queste donne; e

    per che volentieri laverei domandate se non mi fossestata riprensione, presi tanta matera di dire come siolavesse domandate ed elle mavessero risposto. E fecidue sonetti; che nel primo domando, in quello modoche voglia mi giunse di domandare; ne laltro dico la lo-ro risponsione, pigliando ci chio udio da loro s comelo mi avessero detto rispondendo. E comincia lo primo:

    Voi che portate la sembianza umile, e laltro: Se tucolui chai trattato sovente.

    Voi che portate la sembianza umile,con li occhi bassi, mostrando dolore,onde venite che l vostro colorepar divenuto de piet simile? 4

    Vedeste voi nostra donna gentilebagnar nel viso suo di pianto Amore?Ditelmi, donne, che l mi dice il core,perchio vi veggio andar sanzatto vile. 8

    E se venite da tanta pietate,piacciavi di restar qui meco alquanto,e qual che sia di lei, nol mi celate. 11

    Io veggio li occhi vostri channo pianto,e veggiovi tornar s sfigurate,che l cor mi triema di vederne tanto. 14

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    mitade, onde io continuamente soffersi per nove d ama-rissima pena; la quale mi condusse a tanta debolezza, che

    me convenia stare come coloro li quali non si possonomuovere. Io dico che ne lo nono giorno, sentendome do-lere quasi intollerabilemente, a me giunse uno pensero loquale era de la mia donna. E quando ei pensato alquantodi lei, ed io ritornai pensando a la mia debilitata vita; eveggendo come leggiero era lo suo durare, ancora che sa-na fosse, s cominciai a piangere fra me stesso di tanta

    miseria. Onde, sospirando forte, dicea fra me medesimo:Di necessitade convene che la gentilissima Beatrice al-cuna volta si muoia. E per mi giunse uno s forte smar-rimento, che chiusi li occhi e cominciai a travagliare scome farnetica persona ed a imaginare in questo modo:che ne lo incominciamento de lo errare che fece la miafantasia, apparvero a me certi visi di donne scapigliate,

    che mi diceano: Tu pur morrai; e poi, dopo questedonne, mapparvero certi visi diversi e orribili a vedere, liquali mi diceano: Tu se morto. Cos cominciando aderrare la mia fantasia, venni a quello chio non sapea oveio mi fosse; e vedere mi parea donne andare scapigliatepiangendo per via, maravigliosamente triste; e pareamivedere lo sole oscurare, s che le stelle si mostravano di

    colore chelle mi faceano giudicare che piangessero; e pa-reami che li uccelli volando per laria cadessero morti, eche fossero grandissimi tremuoti. E maravigliandomi incotale fantasia, e paventando assai, imaginai alcuno ami-co che mi venisse a dire: Or non sai? la tua mirabiledonna partita di questo secolo. Allora cominciai apiangere molto pietosamente; e non solamente piangeane la imaginazione, ma piangea con li occhi, bagnandolidi vere lagrime. Io imaginava di guardare verso lo cielo, epareami vedere moltitudine dangeli li quali tornassero insuso, ed aveano dinanzi da loro una nebuletta bianchissi-ma. A me parea che questi angeli cantassero gloriosa-mente, e le parole del loro canto mi parea udire che fos-

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    che io chiamasse questo nome, la mia voce era s rotta dalsingulto del piangere, che queste donne non mi pottero

    intendere, secondo il mio parere; e avvegna che io vergo-gnasse molto, tuttavia per alcuno ammonimento dAmo-re mi rivolsi a loro. E quando mi videro, cominciaro a di-re: Questi pare morto, e a dire tra loro: Proccuriamodi confortarlo; onde molte parole mi diceano da confor-tarmi, e talora mi domandavano di che io avesse avutopaura. Onde io, essendo alquanto riconfortato, e cono-

    sciuto lo fallace imaginare, rispuosi a loro: Io vi diroequello chi hoe avuto. Allora, cominciandomi dal prin-cipio infino a la fine, dissi loro quello che veduto avea,tacendo lo nome di questa gentilissima. Onde poi, sanatodi questa infermitade, propuosi di dire parole di questoche mera addivenuto, per che mi parea che fosse amo-rosa cosa da udire; e per ne dissi questa canzone: Don-

    na pietosa e di novella etate, ordinata s come manifestala infrascritta divisione.

    Donna pietosa e di novella etate,adorna assai di gentilezze umane,chera l vio chiamava spesso Morte, 3veggendo li occhi miei pien di pietate,

    e ascoltando le parole vane,si mosse con paura a pianger forte. 6E altre donne, che si fuoro accortedi me per quella che meco piangia,fecer lei partir via, 12e appressarsi per farmi sentire.Qual dicea: Non dormire, 14e qual dicea: Perch s ti sconforte?Allor lassai la nova fantasia,chiamando il nome de la donna mia. 17

    Era la voce mia s dolorosae rotta s da langoscia del pianto,

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    chio solo intesi il nome nel mio core; 20e con tutta la vista vergognosa

    chera nel viso mio giunta cotanto,mi fece verso lor volgere Amore.Elli era tale a veder mio colore,che facea ragionar di morte altrui:Deh, consoliam costuipregava luna laltra umilemente;e dicevan sovente:

    Che vedest, che tu non hai valore? 26E quando un poco confortato fui,io dissi: Donne, dicerollo a vui. 28

    Mentrio pensava la mia frale vita,e vedea l suo durar com leggiero,piansemi Amor nel core, ove dimora; 31

    per che lanima mia fu s smarrita,che sospirando dicea nel pensero: Ben converr che la mia donna mora . 34Io presi tanto smarrimento allora,chio chiusi li occhi vilmente gravati,e furon s smagatili spirti miei, che ciascun giva errando;

    e poscia imaginando,di caunoscenza e di verit fora, 40visi di donne mapparver crucciati,che mi dicean pur: Morrati, morrati . 42

    Poi vidi cose dubitose molte,nel vano imaginare ovio entrai;ed esser mi parea non so in qual loco, 45e veder donne andar per via disciolte,qual lagrimando, e qual traendo guai,che di tristizia saettavan foco. 48Poi mi parve vedere a poco a pocoturbar lo sole e apparir la stella,

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    e pianger elli ed ella;cader li augelli volando per lare,

    e la terra tremare;ed omo apparve scolorito e fioco, 54dicendomi: Che fai? Non sai novella?morta la donna tua, chera s bella . 56

    Levava li occhi miei bagnati in pianti,e vedea, che parean pioggia di manna,

    li angeli che tornavan suso in cielo, 59e una nuvoletta avean davanti,dopo la qual gridavan tutti: Osanna;e saltro avesser detto, a voi direlo. 62Allor diceva Amor: Pi nol ti celo;vieni a veder nostra donna che giace .Lo imaginar fallace

    mi condusse a veder madonna morta;e quandio lavea scorta,vedea che donne la covrian dun velo; 68ed avea seco umilit verace,che parea che dicesse: Io sono in pace . 70

    Io divenia nel dolor s umile,

    veggendo in lei tanta umilt formata,chio dicea: Morte, assai dolce ti tegno; 73tu dei omai esser cosa gentile,poi che tu se ne la mia donna stata,e dei aver pietate e non disdegno. 76Vedi che s desideroso vegnodesser de tuoi, chio ti somiglio in fede.Vieni, ch l cor te chiede.-Poi mi partia, consumato ogne duolo;e quandio era solo,dicea, guardando verso lalto regno: 82 Beato, anima bella, chi te vede! Voi mi chiamaste allor, vostra merzede. 84

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    Questa canzone ha due parti: ne la prima dico, par-lando a indiffinita persona, come io fui levato duna va-

    na fantasia da certe donne, e come promisi loro di dirla;ne la seconda dico come io dissi a loro. La seconda co-mincia quivi: Mentrio pensava. La prima parte si di-vide in due: ne la prima dico quello che certe donne, eche una sola, dissero e fecero per la mia fantasia quanto dinanzi che io fossi tornato in verace condizione; ne laseconda dico quello che queste donne mi dissero poi

    che io lasciai questo farneticare; e comincia questa partequivi: Era la voce mia. Poscia quando dico: Mentriopensava, dico come io dissi loro questa mia imaginazio-ne. Ed intorno a ci foe due parti: ne la prima dico perordine questa imaginazione; ne la seconda, dicendo ache ora mi chiamaro, le ringrazio chiusamente; e comin-cia quivi questa parte: Voi mi chiamaste.

    XXIV. Appresso questa vana imaginazione, avvenneuno die che, sedendo io pensoso in alcuna parte, ed iomi sentio cominciare un tremuoto nel cuore, cos comese io fosse stato presente a questa donna. Allora dicoche mi giunse una imaginazione dAmore; che mi parvevederlo venire da quella parte ove la mia donna stava, e

    pareami che lietamente mi dicesse nel cor mio: Pensadi benedicere lo d che io ti presi, per che tu lo dei fa-re. E certo me parea avere lo cuore s lieto, che me nonparea che fosse lo mio cuore, per la sua nuova condizio-ne. E poco dopo queste parole, che lo cuore mi dissecon la lingua dAmore, io vidi venire verso me una gen-tile donna, la quale era di famosa bieltade, e fue gi mol-to donna di questo primo mio amico. E lo nome di que-sta donna era Giovanna, salvo che per la sua bieltade,secondo che altri crede, imposto lera nome Primavera;e cos era chiamata. E appresso lei, guardando, vidi ve-nire la mirabile Beatrice. Queste donne andaro presso dime cos luna appresso laltra, e parve che Amore mi

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    parlasse nel cuore, e dicesse: Quella prima nominataPrimavera solo per questa venuta doggi; ch io mossi lo

    imponitore del nome a chiamarla cos Primavera, cioprima verr lo die che Beatrice si mosterr dopo la ima-ginazione del suo fedele. E se anche vogli considerare loprimo nome suo, tanto quanto dire prima verr,per che lo suo nome Giovanna da quello Giovanni loquale precedette la verace luce, dicendo: Ego vox cla-mantis in deserto: parate viam Domini. Ed anche mi

    parve che mi dicesse, dopo, queste parole: E chi voles-se sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbeAmore per molta simiglianza che ha meco. Onde iopoi, ripensando, propuosi di scrivere per rima a lo mioprimo amico (tacendomi certe parole le quali pareanoda tacere), credendo io che ancor lo suo cuore mirasse labieltade di questa Primavera gentile; e dissi questo so-

    netto, lo quale comincia: Io mi senti svegliar.

    Io mi senti svegliar dentro a lo coreun spirito amoroso che dormia:e poi vidi venir da lungi Amoreallegro s, che appena il conoscia, 4

    dicendo: Or pensa pur di farmi onore;e n ciascuna parola sua ridia.E poco stando meco il mio segnore,guardando in quella parte onde venia, 8

    io vidi monna Vanna e monna Bicevenire inver lo loco l vio era,luna appresso de laltra maraviglia; 11

    e s come la mente mi ridice,Amor mi disse: Quell Primavera,e quellha nome Amor, s mi somiglia. 14

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    Questo sonetto ha molte parti: la prima delle quali di-ce come io mi senti svegliare lo tremore usato nel cuore,

    e come parve che Amore mapparisse allegro nel miocuore da lunga parte; la seconda dice come me pareache Amore mi dicesse nel mio cuore, e quale mi parea;la terza dice come, poi che questi fue alquanto stato me-co cotale, io vidi e udio certe cose. La seconda parte co-mincia quivi: dicendo: Or pensa; la terza quivi: E po-co stando. La terza parte si divide in due: ne la prima

    dico quello che io vidi; ne la seconda dico quello che ioudio. La seconda comincia quivi: Amor mi disse.

    XXV. Potrebbe qui dubitare persona degna da di-chiararle onne dubitazione, e dubitare potrebbe di ci,che io dico dAmore come se fosse una cosa per s, enon solamente sustanzia intelligente, ma s come fosse

    sustanzia corporale: la quale cosa, secondo la veritate, falsa; ch Amore non per s s come sustanzia, ma uno accidente in sustanzia. E che io dica di lui come sefosse corpo, ancora s come se fosse uomo, appare pertre cose che dico di lui. Dico che lo vidi venire; onde,con ci sia cosa che venire dica moto locale, e localmen-te mobile per s, secondo lo Filosofo, sia solamente cor-

    po, appare che io ponga Amore essere corpo. Dico an-che di lui che ridea, e anche che parlava; le quali cosepaiono essere proprie de luomo, e spezialmente essererisibile; e per appare chio ponga lui essere uomo. Acotale cosa dichiarare, secondo che buono a presente,prima da intendere che anticamente non erano dicitoridamore in lingua volgare, anzi erano dicitori damorecerti poete in lingua latina; tra noi dico, avvegna forseche tra altra gente addivenisse, e addivegna ancora, scome in Grecia, non volgari ma litterati poete queste co-se trattavano. E non molto numero danni passati, cheappariro prima questi poete volgari; ch dire per rima involgare tanto quanto dire per versi in latino, secondo

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    alcuna proporzione. E segno che sia picciolo tempo, che se volemo cercare in lingua doco e in quella di

    s, noi non troviamo cose dette anzi lo presente tempoper cento e cinquanta anni. E la cagione per che alquan-ti grossi ebbero fama di sapere dire, che quasi fuoro liprimi che dissero in lingua di s. E lo primo che co-minci a dire s come poeta volgare, si mosse per chevolle fare intendere le sue parole a donna, a la quale eramalagevole dintendere li versi latini. E questo contra

    coloro che rimano sopra altra matera che amorosa, conci sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal princi-pio trovato per dire damore. Onde, con ci sia cosa chea li poete sia conceduta maggiore licenza di parlare chea li prosaici dittatori, e questi dicitori per rima non sianoaltro che poete volgari, degno e ragionevole che a lorosia maggiore licenzia largita di parlare che a li altri parla-

    tori volgari: onde, se alcuna figura o colore rettorico conceduto a li poete, conceduto a li rimatori. Dunque,se noi vedemo che li poete hanno parlato a le cose inani-mate, s come se avessero senso e ragione, e fattele parla-re insieme; e non solamente cose vere, ma cose non vere,cio che detto hanno, di cose le quali non sono, che par-lano, e detto che molti accidenti parlano, s come se fos-

    sero sustanzie e uomini; degno lo dicitore per rima difare lo somigliante, ma non sanza ragione alcuna, macon ragione la quale poi sia possibile daprire per prosa.Che li poete abbiano cos parlato come detto , appareper Virgilio; lo quale dice che Iuno, cio una dea nemicade li Troiani, parloe ad Eolo, segnore de li venti, quivinel primo de lo Eneida: Eole, nanque tibi, e che que-sto segnore le rispuose, quivi: Tuus, o regina, quid op-tes explorare labor; michi iussa capessere fas est. Perquesto medesimo poeta parla la cosa che non animataa le cose animate, nel terzo de lo Eneida, quivi: Darda-nide duri. Per Lucano parla la cosa animata a la cosainanimata, quivi: Multum, Roma, tamen debes civili-

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    ci fosse significato; e dissi allora questo altro sonetto,che comincia: Vede perfettamente onne salute, lo

    quale narra di lei come la sua vertude adoperava ne lal-tre, s come appare ne la sua divisione.

    Vede perfettamente onne salutechi la mia donna tra le donne vede;quelle che vanno con lei son tenutedi bella grazia a Dio render merzede. 4

    E sua bieltate di tanta vertute,che nulla invidia a laltre ne procede,anzi le face andar seco vestutedi gentilezza, damore e di fede. 8

    La vista sua fa onne cosa umile;

    e non fa sola s parer piacente,ma ciascuna per lei riceve onore. 11

    Ed ne li atti suoi tanto gentile,che nessun la si pu recare a mente,che non sospiri in dolcezza damore. 14

    Questo sonetto ha tre parti: ne la prima dico tra chegente questa donna pi mirabile parea; ne la seconda di-co s come era graziosa la sua compagnia; ne la terza di-co di quelle cose che vertuosamente operava in altrui.La seconda parte comincia quivi: quelle che vanno; laterza quivi: E sua bieltate. Questa ultima parte si divi-de in tre: ne la prima dico quello che operava ne le don-ne, cio per loro medesime; ne la seconda dico quelloche operava in loro per altrui; ne la terza dico come nonsolamente ne le donne, ma in tutte le persone, e non so-lamente ne la sua presenzia, ma ricordandosi di lei, mi-rabilemente operava. La seconda comincia quivi: La vi-sta sua; e la terza quivi: Ed ne li atti.

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    XXVII. [XXVIII] Appresso ci, cominciai a pensareuno giorno sopra quello che detto avea de la mia donna,

    cio in questi due sonetti precedenti; e veggendo nelmio pensero che io non avea detto di quello che al pre-sente tempo adoperava in me, pareami defettivamenteavere parlato. E per propuosi di dire parole, ne le qualiio dicesse come me parea essere disposto a la sua opera-zione, e come operava in me la sua vertude; e non cre-dendo potere ci narrare in brevitade di sonetto, comin-

    ciai allora una canzone, la quale comincia: Slungiamente.

    S lungiamente mha tenuto Amoree costumato a la sua segnoria,che s comelli mera forte in pria,cos mi sta soave ora nel core. 4

    Per quando mi tolle s l valore,che li spiriti par che fuggan via,allor sente la frale anima miatanta dolcezza, che l viso ne smore, 8poi prende Amore in me tanta vertute,che fa li miei spiriti gir parlando,ed escon for chiamando

    la donna mia, per darmi pi salute. 12Questo mavvene ovunque ella mi vede,e s cosa umil, che nol si crede. 14

    XXVIII. [XXIX] Quomodo sedet sola civitas plenapopulo! facta est quasi vidua domina gentium. Io eranel proponimento ancora di questa canzone, e compiutanavea questa soprascritta stanzia, quando lo segnore dela giustizia chiamoe questa gentilissima a gloriare sottola insegna di quella regina benedetta virgo Maria, lo cuinome fue in grandissima reverenzia ne le parole di que-sta Beatrice beata. E avvegna che forse piacerebbe a pre-sente trattare alquanto de la sua partita da noi, non lo

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    mio intendimento di trattarne qui per tre ragioni: la pri-ma che ci non del presente proposito, se volemo

    guardare nel proemio che precede questo libello; la se-conda si che, posto che fosse del presente proposito,ancora non sarebbe sufficiente la mia lingua a trattarecome si converrebbe di ci; la terza si che, posto chefosse luno e laltro, non convenevole a me trattare dici, per quello che, trattando, converrebbe essere melaudatore di me medesimo, la quale cosa al postutto

    biasimevole a chi lo fae; e per lascio cotale trattato adaltro chiosatore. Tuttavia, per che molte volte lo nume-ro del nove ha preso luogo tra le parole dinanzi, ondepare che sia non sanza ragione, e ne la sua partita cotalenumero pare che avesse molto luogo, convenesi di direquindi alcuna cosa, acci che pare al proposito conve-nirsi. Onde prima dicer come ebbe luogo ne la sua par-

    tita, e poi nassegner alcuna ragione per che questo nu-mero fue a lei cotanto amico.

    XXIX. [XXX] Io dico che, secondo lusanza dAra-bia, lanima sua nobilissima si partio ne la prima ora delnono giorno del mese; e secondo lusanza di Siria, ella sipartio nel nono mese de lanno, per che lo primo mese

    ivi Tisirin primo, lo quale a noi Ottobre; e secondolusanza nostra, ella si partio in quello anno de la nostraindizione, cio de li anni Domini, in cui lo perfetto nu-mero nove volte era compiuto in quello centinaio nelquale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de licristiani del terzodecimo centinaio. Perch questo nu-mero fosse in tanto amico di lei, questa potrebbe essereuna ragione: con ci sia cosa che, secondo Tolomeo esecondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che simuovono, e, secondo comune oppinione astrologa, lidetti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudineinsieme, questo numero fue amico di lei per dare ad in-tendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili

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    cieli perfettissimamente saveano insieme. Questa unaragione di ci; ma pi sottilmente pensando, e secondo

    la infallibile veritade, questo numero fue ella medesima;per similitudine dico, e ci intendo cos. Lo numero deltre la radice del nove, per che, sanza numero altro al-cuno, per se medesimo fa nove, s come vedemo manife-stamente che tre via tre fa nove. Dunque se lo tre fatto-re per se medesimo del nove, e lo fattore per semedesimo de li miracoli tre, cio Padre e Figlio e Spi-

    rito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue ac-compagnata da questo numero del nove a dare ad inten-dere chella era uno nove, cio uno miracolo, la cuiradice, cio del miracolo, solamente la mirabile Trini-tade. Forse ancora per pi sottile persona si vederebbein ci pi sottile ragione; ma questa quella chio neveggio, e che pi mi piace.

    XXX. [XXXI] Poi che fue partita da questo secolo,rimase tutta la sopradetta cittade quasi vedova dispo-gliata da ogni dignitade; onde io, ancora lagrimando inquesta desolata cittade, scrissi a li principi de la terra al-quanto de la sua condizione, pigliando quello comin-ciamento di Geremia profeta che dice: Quomodo se-

    det sola civitas. E questo dico, acci che altri non simaravigli perch io labbia allegato di sopra, quasi co-me entrata de la nuova materia che appresso vene. E sealcuno volesse me riprendere di ci, chio non scrivoqui le parole che seguitano a quelle allegate, escusome-ne, per che lo intendimento mio non fue dal principiodi scrivere altro che per volgare; onde, con ci sia cosache le parole che seguitano a quelle che sono allegate,siano tutte latine, sarebbe fuori del mio intendimentose le scrivessi. E simile intenzione so chebbe questomio primo amico a cui io ci scrivo, cio chio li scrives-si solamente volgare.

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    XXXI. [XXXII] Poi che li miei occhi ebbero per al-quanto tempo lagrimato, e tanto affaticati erano che non

    poteano disfogare la mia tristizia, pensai di volere disfo-garla con alquante parole dolorose; e per propuosi difare una canzone, ne la quale piangendo ragionassi di leiper cui tanto dolore era fatto distruggitore de lanimamia; e cominciai allora una canzone, la qual comincia:Li occhi dolenti per piet del core. E acci che questacanzone paia rimanere pi vedova dopo lo suo fine, la di-

    vider prima che io la scriva; e cotale modo terr da quiinnanzi. Io dico che questa cattivella canzone ha tre par-ti: la prima proemio; ne la seconda ragiono di lei; ne laterza parlo a la canzone pietosamente. La seconda partecomincia quivi: Ita n Beatrice; la terza quivi: Pietosamia canzone. La prima parte si divide in tre: ne la primadico perch io mi muovo a dire; ne la seconda dico a cui

    io voglio dire; ne la terza dico di cui io voglio dire. La se-conda comincia quivi: E perch me ricorda; la terzaquivi: e dicer. Poscia quando dico: Ita n Beatrice,ragiono di lei; e intorno a ci foe due parti: prima dico lacagione per che tolta ne fue; appresso dico come altri sipiange de la sua partita, e comincia questa parte quivi:Partissi de la sua. Questa parte si divide in tre: ne la

    prima dico chi non la piange; ne la seconda dico chi lapiange; ne la terza dico de la mia condizione. La secondacomincia quivi: ma ven tristizia e voglia; la terza quivi:Dannomi angoscia. Poscia quando dico: Pietosa miacanzone, parlo a questa canzone, disignandole a qualidonne se ne vada, e steasi con loro.

    Li occhi dolenti per piet del corehanno di lagrimar sofferta pena,s che per vinti son remasi omai. 3Ora, si voglio sfogar lo dolore,che a poco a poco a la morte mi mena,convenemi parlar traendo guai. 6

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    E perch me ricorda chio parlaide la mia donna, mentre che vivia,

    donne gentili, volentier con vui,non voi parlare altrui,se non a cor gentil che in donna sia;e dicer di lei piangendo, pui 12che si n gita in ciel subitamente,e ha lasciato Amor meco dolente. 14

    Ita n Beatrice in lalto cielo,nel reame ove li angeli hanno pace,e sta con loro, e voi, donne, ha lassate: 17no la ci tolse qualit di gelon di calore, come laltre face,ma solo fue sua gran benignitate; 20ch luce de la sua umilitate

    pass li cieli con tanta vertute,che f maravigliar letterno sire,s che dolce disirelo giunse di chiamar tanta salute;e fella di qua gi a s venire, 26perch vedea chesta vita noiosanon era degna di s gentil cosa. 28

    Partissi de la sua bella personapiena di grazia lanima gentile,ed ssi gloriosa in loco degno. 31Chi no la piange, quando ne ragiona,core ha di pietra s malvagio e vile,chentrar no i puote spirito benegno. 34Non di cor villan s alto ingegno,che possa imaginar di lei alquanto,e per no li ven di pianger doglia:ma ven tristizia e vogliadi sospirare e di morir di pianto,e donne consolar lanima spoglia 40

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    chi vede nel pensero alcuna voltaquale ella fue, e comella n tolta. 42

    Dannomi angoscia li sospiri forte,quando l pensero ne la mente gravemi reca quella che mha l cor diviso: 45e spesse fiate pensando a la morte,venemene un disio tanto soave,che mi tramuta lo color nel viso. 48

    E quando l maginar mi ven ben fiso,giugnemi tanta pena dogne parte,chio mi riscuoto per dolor chi sento;e s fatto divento,che da le genti vergogna mi parte.Poscia piangendo, sol nel mio lamento 54chiamo Beatrice, e dico: Or se tu morta?;

    e mentre chio la chiamo, me conforta. 56

    Pianger di doglia e sospirar dangosciami strugge l core ovunque sol mi trovo,s che ne ncrescerebbe a chi maudesse: 59e quale stata la mia vita, posciache la mia donna and nel secol novo,

    lingua non che dicer lo sapesse: 62e per, donne mie, pur chio volesse,non vi saprei io dir ben quel chio sono,s mi fa travagliar lacerba vita;la quale s nvilita,che ognom par che mi dica: Io tabbandono,veggendo la mia labbia tramortita. 68Ma qual chio sia la mia donna il si vede,e io ne spero ancor da lei merzede. 70

    Pietosa mia canzone, or va piangendo;e ritruova le donne e le donzellea cui le tue sorelle

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    erano usate di portar letizia;e tu, che se figliuola di tristizia,

    vatten disconsolata a star con elle. 76

    XXXII. [XXXIII] Poi che detta fue questa canzone,s venne a me uno, lo quale, secondo li gradi de lamista-de, amico a me immediatamente dopo lo primo; e que-sti fue tanto distretto di sanguinitade con questa gloriosa,che nullo pi presso lera. E poi che fue meco a ragiona-

    re, mi pregoe chio li dovessi dire alcuna cosa per unadonna che sera morta; e simulava sue parole, acci cheparesse che dicesse dunaltra, la quale morta era certa-mente: onde io, accorgendomi che questi dicea solamen-te per questa benedetta, s li dissi di fare ci che mi do-mandava lo suo prego. Onde poi, pensando a ci,propuosi di fare uno sonetto, nel quale mi lamentasse al-

    quanto, e di darlo a questo mio amico, acci che paresseche per lui lavessi fatto; e dissi allora questo sonetto, checomincia: Venite a intender li sospiri miei. Lo quale hadue parti: ne la prima chiamo li fedeli dAmore che miintendano; ne la seconda narro de la mia misera condi-zione. La seconda comincia quivi: li quai disconsolati.

    Venite a intender li sospiri miei,oi cor gentili, ch piet l disia:li quai disconsolati vanno via,e se non fosser, di dolor morrei; 4

    per che gli occhi mi sarebber rei,molte fiate pi chio non vorria,lasso!, di pianger s la donna mia,che sfogasser lo cor, piangendo lei. 8

    Voi udirete lor chiamar soventela mia donna gentil, che si n gitaal secol degno de la sua vertute; 11

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    e dispregiar talora questa vitain persona de lanima dolente

    abbandonata de la sua salute. 14

    XXXIII. [XXXIV] Poi che detto ei questo sonetto,pensandomi chi questi era a cui lo intendea dare quasicome per lui fatto, vidi che povero mi parea lo servigioe nudo a cos distretta persona di questa gloriosa. Eper, anzi chio li dessi questo soprascritto sonetto, s

    dissi due stanzie duna canzone, luna per costui vera-cemente, e laltra per me, avvegna che paia luna e lal-tra per una persona detta, a chi non guarda sottilmen-te; ma chi sottilmente le mira vede bene che diversepersone parlano, acci che luna non chiama sua don-na costei, e laltra s, come appare manifestamente.Questa canzone e questo soprascritto sonetto li diedi,

    dicendo io lui che per lui solo fatto lavea. La canzonecomincia: Quantunque volte, e ha due parti: neluna, cio ne la prima stanzia, si lamenta questo miocaro e distretto a lei; ne la seconda mi lamento io, cione laltra stanzia, che comincia: E si raccoglie ne limiei. E cos appare che in questa canzone si lamenta-no due persone, luna de le quali si lamenta come frate,

    laltra come servo.

    Quantunque volte, lasso! , mi rimembrachio non debbo gi maiveder la donna ondio vo s dolente, 3tanto dolore intorno l cor massembrala dolorosa mente,chio dico: Anima mia, ch non ten vai? 6ch li tormenti che tu porterainel secol, che t gi tanto noioso,mi fan pensoso di paura forte.Ondio chiamo la Morte,come soave e dolce mio riposo; 11

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    e dico Vieni a me con tanto amore,che sono astioso di chiunque more. 13

    E si raccoglie ne li miei sospiriun sono di pietate,che va chiamando Morte tuttavia: 16a lei si volser tutti i miei disiri,quando la donna miafu giunta da la sua crudelitate; 19

    perch l piacere de la sua bieltate,partendo s da la nostra veduta,divenne spirital bellezza grande,che per lo cielo spandeluce damor, che li angeli saluta 24e lo intelletto loro alto, sottilface maravigliar, s v gentile. 26

    XXXIV. [XXXV] In quello giorno nel quale si com-piea lanno che questa donna era fatta de li cittadini divita eterna, io mi sedea in parte ne la quale, ricordando-mi di lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette; ementre io lo disegnava, volsi li occhi, e vidi lungo me uo-mini a li quali si convenia di fare onore. E riguardavano

    quello che io facea; e secondo che me fu detto poi, ellierano stati gi alquanto anzi che io me ne accorgesse.Quando li vidi, mi levai, e salutando loro dissi: Altri eratest meco, per pensava. Onde partiti costoro, ritor-naimi a la mia opera, cio del disegnare figure dangeli: efaccendo ci, mi venne uno pensero di dire parole, qua-si per annovale, e scrivere a costoro li quali erano venutia me; e dissi allora questo sonetto, lo quale comincia:Era venuta; lo quale ha due cominciamenti, e per lodivider secondo luno e secondo laltro. Dico che se-condo lo primo questo sonetto ha tre parti: ne la primadico che questa donna era gi ne la mia memoria; ne laseconda dico quello che Amore per mi facea; ne la ter-

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    za dico de gli effetti dAmore. La seconda comincia qui-vi: amor, che; la terza quivi: Piangendo uscivan for.

    Questa parte si divide in due: ne luna dico che tutti limiei sospiri uscivano parlando; ne la seconda dico chealquanti diceano certe parole diverse da gli altri. La se-conda comincia quivi: Ma quei. Per questo medesimomodo si divide secondo laltro cominciamento, salvoche ne la prima parte dico quando questa donna era co-s venuta ne la mia memoria, e ci non dico ne laltro.

    Primo cominciamento

    Era venuta ne la mente miala gentil donna che per suo valorefu posta da laltissimo signorenel ciel de lumiltate, ov Maria. 4

    Secondo cominciamento

    Era venuta ne la mente miaquella donna gentil cui piange Amore,entro n quel punto che lo suo valorevi trasse a riguardar quel cheo facia. 4

    Amor, che ne la mente la sentia,sera svegliato nel destrutto core,e diceva a sospiri: Andate fore;per che ciascun dolente si partia. 8

    Piangendo uscivan for de lo mio pettocon una voce che sovente menale lagrime dogliose a li occhi tristi. 11

    Ma quei che nuscian for con maggior pena,venian dicendo: Oi nobile intelletto,oggi fa lanno che nel ciel salisti. 14

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    XXXV. [XXXVI] Poi per alquanto tempo, con cifosse cosa che io fosse in parte ne la quale mi ricordava

    del passato tempo, molto stava pensoso, e con dolorosipensamenti, tanto che mi faceano parere de fore una vi-sta di terribile sbigottimento. Onde io, accorgendomidel mio travagliare, levai li occhi per vedere se altri mivedesse. Allora vidi una gentile donna giovane e bellamolto, la quale da una finestra mi riguardava s pietosa-mente, quanto a la vista, che tutta la piet parea in lei ac-

    colta. Onde, con ci sia cosa che quando li miseri veg-giono di loro compassione altrui, pi tosto si muovono alagrimare, quasi come di se stessi avendo pietade, io sen-ti allora cominciare li miei occhi a volere piangere; eper, temendo di non mostrare la mia vile vita, mi partiodinanzi da li occhi di questa gentile; e dicea poi fra memedesimo: E non puote essere che con quella pietosa

    donna non sia nobilissimo amore. E per propuosi didire uno sonetto, ne lo quale io parlasse a lei, e conchiu-desse in esso tutto ci che narrato in questa ra