Dannunziana (Classic Edition)

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“Fresche le mie parole ne la sera, ti sien come il fruscio che fan le foglie...” Gabriele d’Annunzio DANNUNZIANA Il mondo poetico di Gabriele d’Annunzio VOCI RECITANTI Maria Giovanna Maioli Franco Costantini PRESENTAZIONE Roberto Pazzi www.area51publishing.com Audiolibro area51 Publi shing CLASSIC EDITION

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“Fresche le mie parole ne la sera, ti sien come il fruscio che fan le foglie...”Gabriele d’Annunzio

DaNNUNZIaNaIl mondo poetico di Gabriele d’Annunzio

voci recitanti

Maria Giovanna MaioliFranco costantini

presentazione

roberto pazzi

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Audiolibro

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ClassIC

EDItIoN

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UNA PRODUZIONERavennaPoesia/Parametri Musicali

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TESTI TRATTI DAGabriele d’Annunzio, Alcyone (Brani 01-12), Poema paradisiaco (Brano 13)

GRAFICAWilma Germani

IMPAGINAZIONEDavide Mancini

IMMAGINE DI COPERTINA© Vetta Collection – iStockphoto.com

COLLANAItaliana

Copyright © 2010 Area51 Publishing

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Un nuovo modo di leggere

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PREsENtaZIoNE Come il fruscio che fan le foglie

ogni classico ha bisogno di una voce mortale per continuare il suo viaggio nel tempo. Dall’incrocio fra effimero della voce ed eterno della Poesia nasce il miracolo di un gioiello come questa rilettura di D’annunzio fatta da Maria Giovanna Maioli e

Franco Costantini. la voce della Maioli nel tempo pare arricchirsi di tutte le sfumature disperse ed offerte ai suoi Marino Moretti, andrea Zanzotto, Mario luzi, Eugenio

Montale, a tutto quel Novecento lirico che sulle sue labbra ci aveva incantato. Qui è una panoplia di suoni smorzati, intimi, raccolti, appena suggeriti, accarezzati, in una

mirabile mostra di tutte le sfumature del dono della sua voce. Non diverso il cammino ormai giunto alla sua maturità espressiva di Franco Costantini, il cui timbro ci stupisce

per come varia dallo stupore alla gioia, dall’incanto della scoperta alla forza dell’inno, dalla felicità della nominazione alla insinuazione del suggerire appena, con un filo di

voce che sa con sapienza giocare quasi di scherma con il silenzio.

© Riproduzione riservata

Roberto Pazzi

l’aUtoREGabriele d’Annunzio (1863-1938)

Nato a Pescara e morto a Gardone Riviera (Brescia), ha respirato le atmosfere decadentistiche e ha lasciato la sua personalissima impronta nella letteratura,

con vivi filoni che arrivano ai nostri giorni, raggiungendo esiti alti sia nella poesia (Alcyone), sia nella narrativa (Il piacere) e nel teatro (La figlia di Jorio).

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MaRIa GIovaNNa MaIolI

Padovana di nascita, ravennate di adozione. Dopo una significativa carriera concertistica come cantante di musica da camera, si è specializzata in recital di poesia. Nel 1979 ha ideato il Mercatino della Poesia, oggi RavennaPoesia, di cui è tuttora direttrice artistica. Ha curato antologie per vari editori, tra i quali Crocetti. Eugenio Montale ha scritto di lei: “Giovanna Maioli sa cogliere come nessun altro l’intimo respiro di ogni composizione poetica. Fedele al testo sa darne un’autentica ricreazione. È stata per me una grande sorpresa”.

FRaNCo CostaNtINI

Attore, poeta, esperto di metrica, è da sempre tra i lettori di RavennaPoesia. Ha interpretato piccole parti in tv, ma come attore preferisce esprimersi nel “teatro di poesia”. Dal 2004 cura per conto del Comune di Ravennauno spazio dedicato a poesia e musicanel corso della manifestazione estiva“Ravenna Bella di Sera”.

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01• lUNGo l’aFFRICo(nella sera di giugno dopo la pioggia)

Grazia del ciel, come soavementeti miri ne la terra abbeverata,anima fatta bella dal suo pianto!O in mille e mille specchi sorridentegrazia, che da la nuvola sei natacome la voluttà nasce dal pianto,musica nel mio cantoora t’effondi, che non è fugace,per me trasfigurata in alta pacea chi l’ascolti.

Nascente Luna, in cielo esigua comeil sopracciglio de la giovinettae la midolla de la nova canna,sì che il più lieve ramo ti nascondee l’occhio mio, se ti smarrisce, a penati ritrova, pel sogno che l’appanna,Luna, il rio che s’avvallasenza parola erboso anche ti vide;e per ogni fil d’erba ti sorride,solo a te sola.

O nere e bianche rondini, tra nottee alba, tra vespro e notte, o bianche e nereospiti lungo l’Affrico notturno!Volan elle sì basso che la molleerba sfioran coi petti, e dal piacereil loro volo sembra fatto azzurro.Sopra non ha susurrol’arbore grande, se ben trema sempre.Non tesse il volo intorno a le mie tempiefresche ghirlande?

E non promette ogni lor breve gridoun ben che forse il cuore ignora e forse

indovina se udendo ne trasale?S’attardan quasi immemori del nido,e sul margine dove son trascorsepar si prolunghi il fremito dell’ale.Tutta la terra pareargilla offerta all’opera d’amore,un nunzio il grido, e il vespero che muoreun’alba certa.

02• la sERa FIEsolaNa

Fresche le mie parole ne la serati sien come il fruscio che fan le fogliedel gelso ne la man di chi le cogliesilenzioso e ancor s’attarda a l’opra lentasu l’alta scala che s’anneracontro il fusto che s’inargentacon le sue rame spogliementre la Luna è prossima a le sogliecerule e par che innanzi a sé distenda un veloove il nostro sogno si giacee par che la campagna già si sentada lei sommersa nel notturno geloe da lei beva la sperata pacesenza vederla.

Laudata sii pel tuo viso di perla,o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi [ove si tacel’acqua del cielo!

Dolci le mie parole ne la serati sien come la pioggia che bruivatepida e fuggitiva,commiato lacrimoso de la primavera,su i gelsi e su gli olmi e su le vitie su i pini dai novelli rosei diti

che giocano con l’aura che si perde,e su ’l grano che non è biondo ancorae non è verde,e su ’l fieno che già patì la falcee trascolora,e su gli olivi, su i fratelli oliviche fan di santità pallidi i clivie sorridenti.

Laudata sii per le tue vesti aulenti,o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salceil fien che odora!

Io ti dirò verso quali reamid’amor ci chiami il fiume, le cui fontieterne a l’ombra de gli antichi ramiparlano nel mistero sacro dei monti;e ti dirò per qual segretole colline su i limpidi orizzontis’incurvino come labbra che un divietochiuda, e perché la volontà di direle faccia belleoltre ogni uman desiree nel silenzio lor sempre novelleconsolatrici, sì che pareche ogni sera l’anima le possa amared’amor più forte.

Laudata sii per la tua pura morte,o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitarele prime stelle!

03• la PIoGGIa NEl PINEto

Taci. Su le sogliedel bosco non odoparole che dici

umane; ma odoparole più nuoveche parlano gocciole e foglielontane.Ascolta. Piovedalle nuvole sparse.Piove su le tamericisalmastre ed arse,piove su i piniscagliosi ed irti,piove su i mirtidivini,su le ginestre fulgentidi fiori accolti,su i ginepri foltidi coccole aulenti,piove su i nostri voltisilvani,piove su le nostre maniignude,su i nostri vestimentileggieri,su i freschi pensieriche l’anima schiudenovella,su la favola bellache ierit’illuse, che oggi m’illude,o Ermione.

Odi? La pioggia cadesu la solitariaverduracon un crepitio che durae varia nell’ariasecondo le frondepiù rade, men rade.Ascolta. Risponde

I tEstI

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al pianto il cantodelle cicaleche il pianto australenon impaura,né il ciel cinerino.E il pinoha un suono, e il mirtoaltro suono, e il gineproaltro ancora, stromentidiversisotto innumerevoli dita.E immersinoi siam nello spirtosilvestre,d’arborea vita viventi;e il tuo volto ebroè molle di pioggiacome una foglia,e le tue chiomeauliscono comele chiare ginestre,o creatura terrestreche hai nomeErmione.

Ascolta, ascolta. L’accordodelle aeree cicalea poco a pocopiù sordosi fa sotto il piantoche cresce;ma un canto vi si mescepiù rocoche di laggiù sale,dall’umida ombra remota.Più sordo e più fiocos’allenta, si spegne.Sola una notaancor trema, si spegne,risorge, trema, si spegne.Non s’ode voce del mare.Or s’ode su tutta la frondacrosciare

l’argentea pioggiache monda,il croscio che variasecondo la frondapiù folta, men folta.Ascolta.La figlia dell’ariaè muta; ma la figliadel limo lontana,la rana,canta nell’ombra più fonda,chi sa dove, chi sa dove!E piove su le tue ciglia,Ermione.

Piove su le tue ciglia neresì che par tu piangama di piacere; non biancama quasi fatta virente,par da scorza tu esca.E tutta la vita è in noi frescaaulente,il cuor nel petto è come pescaintatta,tra le palpebre gli occhison come polle tra l’erbe,i denti negli alveolison come mandorle acerbe.E andiam di fratta in fratta,or congiunti or disciolti(e il verde vigor rudeci allaccia i malleolic’intrica i ginocchi)chi sa dove, chi sa dove!E piove su i nostri voltisilvani,piove su le nostre maniignude,su i nostri vestimentileggieri,su i freschi pensieriche l’anima schiudenovella,

su la favola bellache ierim’illuse, che oggi t’illude,o Ermione.

04• lE stIRPI CaNoRE

I miei carmi son proledelle foreste,altri dell’onde,altri delle arene,altri del Sole,altri del vento Argeste.Le mie parolesono profondecome le radiciterrene,altre serenecome i firmamenti,fervide come le venedegli adolescenti,ispide come i dumi,confuse come i fumiconfusi,nette come i cristallidel monte,tremule come le frondedel pioppo,tumide come le naricidei cavallia galoppo,labili come i profumidiffusi,vergini come i caliciappena schiusi,notturne come le rugiadedei cieli,funebri come gli asfodelidell’Ade,pieghevoli come i salicidello stagno,tenui come i teli

che fra due stelitesse il ragno.

05• MERIGGIo

A mezzo il giornosul Mare etruscopallido verdicantecome il dissepoltobronzo dagli ipogei, gravala bonaccia. Non bavadi vento intornoalita. Non trema cannasu la solitariaspiaggia aspra di rusco,di ginepri arsi. Non suonavoce, se ascolto.Riga di vele in pannaverso Livornobiancica. Pel chiarosilenzio il Capo Corvol’isola del Faroscorgo; e più lontane,forme d’aria nell’aria,l’isole del tuo sdegno,o padre Dante,la Capraia e la Gorgona.Marmorea coronadi minaccevoli punte,le grandi Alpi Apuaneregnano il regno amaro,dal loro orgoglio assunte.

La foce è come salsostagno. Del marin colore,per mezzo alle capanne,per entro alle retiche pendono dalla crocedegli staggi, si tace.Come il bronzo sepolcralepallida verdica in pacequella che sorridea.

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Quasi letea,obliviosa, eguale,segno non mostradi corrente, non rugad’aura. La fugadelle due rivesi chiude come in un cerchiodi canne, che circonscrivel’oblio silente; e le cannenon han susurri. Più foschii boschi di San Rossorefan di sé cupa chiostra;ma i più lontani,verso il Gombo, verso il Serchio,son quasi azzurri.Dormono i Monti Pisanicoperti da inerticumuli di vapore.

Bonaccia, calura,per ovunque silenzio.L’Estate si maturasul mio capo come un pomoche promesso mi sia,che cogliere io debbacon la mia mano,che suggere io debbacon le mie labbra solo.Perduta è ogni tracciadell’uomo. Voce non suona,se ascolto. Ogni duoloumano m’abbandona.Non ho più nome.E sento che il mio voltos’indora dell’oromeridiano,e che la mia biondabarba rilucecome la paglia marina;sento che il lido rigatocon sì delicatolavoro dall’ondae dal vento è come

il mio palato, è comeil cavo della mia manoove il tatto s’affina.

E la mia forza supinasi stampa nell’arena,diffondesi nel mare;e il fiume è la mia vena,il monte è la mia fronte,la selva è la mia pube,la nube è il mio sudore.E io sono nel fioredella stiancia, nella scagliadella pina, nella baccadel ginepro: io son nel fuco,nella paglia marina,in ogni cosa esigua,in ogni cosa immane,nella sabbia contigua,nelle vette lontane.Ardo, riluco.E non ho più nome.E l’alpi e l’isole e i golfie i capi e i fari e i boschie le foci ch’io nomainon han più l’usato nomeche suona in labbra umane.Non ho più nome né sortetra gli uomini; ma il mio nomeè Meriggio. In tutto io vivotacito come la Morte.

E la mia vita è divina.

06• L’onda

Nella cala tranquillascintilla,intesto di scagliacome l’anticaloricadel catafratto,

il Mare.Sembra trascolorare.S’argenta? s’oscura?A un trattocome colpo dismaglial’arme, la forzadel vento l’intacca.Non dura.Nasce l’onda fiacca,subito s’ammorza.Il vento rinforza.Altra onda nasce,si perde,come agnello che pascepel verde:un fiocco di spumache balza!Ma il vento riviene,rincalza, ridonda.Altra onda s’alza,nel suo nascimentopiù leneche ventre virginale!Palpita, sale,si gonfia, s’incurva,s’alluma, propende.Il dorso ampio splendecome cristallo;la cima leggieras’arruffacome crinieranivea di cavallo.Il vento la scavezza.L’onda si spezza,precipita nel cavodel solco sonora;spumeggia, biancheggia,s’infiora, odora,travolge la cuora,trae l’alga e l’ulva;s’allunga,rotola, galoppa;intoppa

in altra cui ’l ventodiè tempra diversa;l’avversa,l’assalta, la sormonta,vi si mesce, s’accresce.Di spruzzi, di sprazzi,di fiocchi, d’iridiferve nella risacca;par che di crisopazziscintillie di berilliviridi a sacca.O sua favella!Sciacqua, sciaborda,scroscia, schiocca, schianta,romba, ride, canta,accorda, discorda,tutte accoglie e fondele dissonanze acutenelle sue voluteprofonde,libera e bella,numerosa e folle,possente e molle,creatura vivache godedel suo misterofugace.E per la riva l’odela sua sorella scalzadal passo leggeroe dalle gambe lisce,Aretusa rapaceche rapisce le fruttaond’ha colmo suo grembo.Subito le balzail cor, le raggiail viso d’oro.Lascia ella il lembo,s’inclinaal richiamo canoro;e la selvaggiarapina,

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l’acerbo suo tesorooblia nella melode.E anch’ella si godecome l’onda, l’asciuttafura, quasi che tuttala freschezza marinaa nemboentro le giunga!

Musa, cantai la lodedella mia Strofe Lunga.

07• L’asfodeLo

GLAUCOO Derbe, approda un fiore d’asfodelo!Chi mai lo colse e chi l’offerse al mare?Vagò sul flutto come un fior salino.

O Derbe, quanti fiori fiorirannoche non vedremo, su pe’ fulvi monti!Quanti lungh’essi i curvi fiumi rochi!

Quanti per mille incognite contradeche pur hanno lor nomi come i fiori,selvaggi nomi ed aspri e freschi e molli

onde il cuore dell’esule s’appenapoi che il suon noto par rendergli odorecome foglia di salvia a chi la morde!

DERBEIo so dove fiorisce l’asfodelo.Là nel chiaro Mugello, presso il Giogodi Scarperia, lo vidi fiorir bianco.

Anche lo vidi, o Glauco, anche lo colsiin quell’Alpe che ha nome Catenaia,e all’Uccellina presso l’Alberese

nella Maremma pallida ove forseei sorride all’imagine dell’Ade

morendo sotto l’unghia dei cavalli.

GLAUCOO Derbe, anch’io errando su i vestigidella donna letea, vidi fioriretra Populonia e l’Argentaro il fiore

della viorna. Tutto le sorellebianche il bosco aspro nelle delicatebraccia tenean tacendo, e i negri lecci

e i soveri nocchiuti al sol di giugnodormivan come venerandi eroientro veli di spose giovinette.

DERBEIn Populonia ricca di sambuchiio conobbi il marrubbio che rapiscel’odor muschiato al serpe maculoso

e l’ebbio che colora il vin novellodi sue bacche e lo scirpo che rivesteil gonfio vetro dove il vin matura.

GLAUCOLa madreselva come la viornaintenerire del suo fiato i tronchividi a Tereglio lungo la Fegana,

e il giunco aggentilir la Marinelladi Luni, e su pe’ monti della Vernal’avornio tesser ghirlandette al maggio.

DERBEI gigli rossi e crocei ne’ monti,alla Frattetta sotto il Sagro, io vidi;anche alla Cisa in Lunigiana, e all’Alpe

di Mommio dove udii nel ciel remotogridar l’aquila. Spiriti immortalipareano i gigli nell’eterna chiostra.

La bellezza dei luoghi era sì cruda

che come spada mi fendeva il petto.Con un giglio toccai la grande rupe,

che non s’aperse e non tremò. Mi parvetuttavia che un prodigio si compiesse,o Glauco, e andando mi sentii divino.

GLAUCONella bocca del Serchio, ove la pianasabbia vergano oscuramente l’ormedei corvi come segni di sibille,

il narcisso marino io colsi, mentrel’ostro premea le salse tamerici,i cipressetti dell’amaro sale.

Lo smilace conobbi attico; e al Gomboanche conobbi il giglio ch’è nomatopancrazio, nome caro ai greci efebi;

e tanto parve ai miei pensieri ardentedi purità, che ai Mani dell’Orfeocerulo io lo sacrai, al Cuor dei cuori.

DERBEO Glauco, noi facemmo della Terrala nostra donna ed ogni più segretagrazia n’avemmo per virtù d’amore.

Come il Sole entri nella Libra eguale,ti condurrò su i monti della Pievedi Camaiore, e alla Tambura, e ai fonti

del Frigido, e lungh’essa la Freddanadietro Forci, e nell’Alpe di Soraggio,ché tu veda fiorir la genzïana.

GLAUCOBella è la Terra, o Derbe, e molto a noicara. Ma quanti fiori fiorirannoche non vedremo, nelle salse valli!

Le Oceanine ornavan di ghirlande

i lembi della tunica a Demetrapiangente per il colchico apparito.

Com’entri nello Scorpio il Sole, o Derbe,ti condurrò su i pascoli del Giovoin mezzo ai greggi delle pingui nubi,

perché tu veda il colchico fiorire.

08• L’aLLoro oceanico

Oleandro d’Apollo, ambiguo arbustoche d’ambra aulisci nell’ardente sera;melagrano, e il tuo rosso balaustoquasi fiammella in calice di cera;

nautico pino, e il tuo scaglioso fustoe i coni entro la chioma tua leggera;olivo intorto da dolor vetusto,e l’oliva tua dolce che s’annera;

ginepro irsuto, mirto caloroso,lentisco, terebinto, caprifoglio,cento corone dell’Estate ausonia;

ma te, sargasso, re del Marerboso,vasto alloro del gorgo, anche te voglio,che bacche fai come la fronda aonia.

09• Le ore marine

Quale delle Oreche mi conducestiviventi e furon larvecinerinequando il sole disparvenella triste sera,o Ermione,quale delle Ore marinech’ebbero il tuo voltoe le tue mani e le tue vesti

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e la tua movenza leggerae ciascuno de’ tuoi gestie ogni grazia che tu avesti,o Ermione,quale delle vergini Oreche mansuefecero col solosilenzio il mar selvaggioquasi che accoltose l’avessero in grembocome un fanciullo torvoper blandire il suo duolosorridendo,o Ermione,quale delle Ore divine,con gli occulti beniche tu le desti,t’accompagna nel viaggiodi là dai fiumi sereni,di là dalle verdi colline,di là dai monti cilestri?

Quella che raccogliesu la sterile sabbiale negre fogliedella querce sacra,o Ermione,creature dei montimacere dal sale amaro,cui rapì dalla balzail vento e diede al flutto amaroche le travagliae le rifiuta?Quella che guarda il farolontano su la rupe nudaove il flutto si frange,o Ermione,l’insonne occhio ardenteche già volge i suoi fochiper il deserto specchioinfaticabilmente?Quella che inclinapensosa l’orecchiosu la conca marinae ascolta la romba

della volutae odevi la trombadel Tritone che chiamala Sirena perduta,o Ermione,e odevi il mar che piangela sua Sirena perduta?

Quale delle Ore,quale delle Ore marine,con gli occulti beniche tu le desti,col segreto linguaggioche le apprendesti,o Ermione,t’accompagna nel viaggiodi là dai fiumi sereni,di là dalle verdi colline,di là dai monti cilestri,o Ermione,di là dalle chiare cascine,di là dai boschi di querci,di là da’ bei monti cilestri?

10• UndULna

Ai piedi ho quattro ali d’alcedine,ne ho due per malleolo, azzurree verdi, che per la salsedinecurvi sanno errori dedurre.

Pellucide son le mie gambecome la medusa errabonda,che il puro pancrazio e la crambedifforme sorvolano e l’onda.

Io l’onda in misura conducoperché su la riva si spandacon l’alga con l’ulva e col fucoche fannole amara ghirlanda.

Io regolo il segno lucenteche lascian le spume degli orli:

l’antico il men novo e il recenteio so con bell’arte comporli.

I musici umani hanno modilor varii, dal dorico al frigio:divine infinite melodiio creo nell’esiguo vestigio.

Le tempre dell’onda trascrivosu l’umida sabbia correndo;nel tramite mio fuggitivogli accordi e le pause avvicendo.

O sabbia mia melodiosa,non un tuo granello di silicedarei per la pomice ascosadella fonte all’ombra dell’ilice.

Brilli innumerevole e immensaalla mia lunata scrittura;e l’acqua che bevi t’addensa,lo sterile sale t’indura.

Il rilievo t’è tanto sottile,dedotto con arte sì parca,che men gracile in puerilefronte sopracciglio s’inarca.

A quando a quando orma trisulcail lineamento intercide;pesta umana, se ti conculca,s’impregna di luce e sorride.

Figure di neumi elle sonoin questa concordia discorde.O cetera curva ch’io suono,né dito né plettro ti morde.

Io trascorro; e il grande concentoin me taciturna s’adempie,dall’unghie de’ miei piè d’argentoalle vene delle mie tempie.

Scerno con orecchia tranquilla

i toni dell’onda che viene,indago con chiara pupillapiù oltre ogni segno più lene;

così che la musica tracciam’è suono, e ne’ righi leggeri,mentre oggi odo ansar la bonaccia,leggo la tempesta di ieri.

Che è questo insolito alboreche per le piagge si spande?Teti offre alla madre di Coredogliosa le salse ghirlande?

L’albasia de’ giorni alcioniianzi il verno giunge precocee dagli arcipelaghi ioniiattinge del Serchio la foce?

Il molle Settembre, il tibicinedei pomarii, che ha violettigli occhi come il fiore del glicinetra i riccioli suoi giovinetti,

fa tanta chiaria con due ossidi gru modulando un parteniomentre sotto l’ombra dei rossicorbezzoli indulge al suo genio.

Respira securo il mar dolcequal pargolo in grembo materno.La pace alcionia lo molcequasi aureo latte, anzi il verno.

Onda non si leva; non s’oderisucchio, non s’ode sciacquio.Di luce beata si godela riva su mare d’oblio.

La sabbia scintilla infinita,quasi in ogni granello gioisca.Luccica la valva polita,la morta medusa, la lisca.

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In ogni sostanza si tacela luce e il silenzio risplende.La Pania di marmi feracealza in gloria le arci stupende.

Tra il Serchio e la Magra, su l’oziodel mare deserto di vele,sospeso è l’incanto. Equinoziod’autunno, già sento il tuo miele.

Già sento l’odore del mostofumar dalla vigna arenosa.All’alba la luna d’agostoera come una falce corrosa.

Di Vergine valica in Libral’amico dell’opere, il Sole;e già le quadrella ch’ei vibrahan meno pennute asticciuole.

Silenzio di morte divinaper le chiarità solitarie!Trapassa l’Estate, supinanel grande oro della cesarie.

Mi soffermo, intenta al trapasso.Onda non si leva. L’albedineè immota. Odo fremere in basso,a’ miei piedi, l’ali d’alcedine.

Bianche si dilungan le rive,tra l’acque e le sabbie dileguala zona che l’arte mia scrivefugace. Sorrido alla tregua.

A’ miei piedi il segno d’un’ondagravato di nero tritumes’incurva, una macera frondadi rovere sta tra due piume,

un’arida pigna dischiusache pesò nel pino sonorosta tra l’orbe d’una medusa

dispersa e una bacca d’alloro.

Vengono farfalle di nevetremolando a coppie ed a sciami:nella luce assemprano lievespuma fatta alata che ami.

Azzurre son l’ombre sul marecome sparti fiori d’aconito.Il lor tremolio fa tremarel’Infinito al mio sguardo attonito.

11• soGNI DI tERRE loNtaNE

I pastoriSettembre, andiamo. È tempo di migrare.Ora in terra d’Abruzzi i miei pastorilascian gli stazzi e vanno verso il mare:scendono all’Adriatico selvaggioche verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fontialpestri, che sapor d’acqua natiarimanga ne’ cuori esuli a conforto,che lungo illuda la lor sete in via.Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,quasi per un erbal fiume silente,su le vestigia degli antichi padri.O voce di colui che primamenteconosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral camminala greggia. Senza mutamento è l’aria.Il sole imbionda sì la viva lanache quasi dalla sabbia non divaria.Isciacquio, calpestio, dolci romori.

Ah perché non son io co’ miei pastori?

Le TermeSettembre, oggi veder vorrei l’azzurrodel tuo cielo riempiere la boccarotonda della maschera di pietrain cima alla colonna che si sfaldanei secoli, convolta dal rosaioche si sfoglia nell’ora, entro quel chiostroquadrato che di biondo travertinochiarisce il cotto delle antiche Terme.

Forse d’Orfeo ragionerei con Ermesul margine del fonte ove i delfinireggon la tazza in su le code erette;o forse udrei l’ammonimento gravedei due neri superstiti cipressiai due lor verdi cipressetti alunniche crescono ove caddero i maggioripercossi dalla folgore di luglio.

O forse mi parrebbe, oltre il cespugliosoave, udire l’ansito del servoalla stanga appaiato col giumentocirca la mola conica di lava;e più de’ nudi torsi, e più de’ bustie più de’ cippi mi sarebbe caral’ombra delle farfalle su pe’ doliirisarciti con piombo dal colono.

Settembre, là, sul fianco del bel Tronod’Afrodite, l’auletride dagli occhia mandorla e dal seno di cotognasta, sovrapposta l’una all’altra coscia,adagiata sonando le due tibiecon i frammenti dell’esperte dita;e il Re Pastore immoto nel basaltefigge all’Eternità gli occhi corrosi.

Ronzano l’api ne’ silenziosiorti dei bianchi monaci defunti;e nelle celle abitano gli iddii,lacerano le Menadi la vittima,Anassimandro medita, dal murosvegliasi il carme dei fratelli Arvali.

“Enos Lases iuvate”. Un’ape or entra,per la chioma di Iulia che l’illude.

Nell’alveo d’un ricciolo si chiude.

Lo stormo e il greggeSettembre, teco io sia sul Loricinoche fece blandi gli ozii del pretore:in sabbia quasi rosea fluiscescabra di rughe e sparsa di negrorecome il palato del mio dolce veltro.

Sorvolano le rondini quel vetrolieve cui godon rompere coi bianchipetti: una piuma cade e corre al mare.E di là dalle verdi canne i montidi Cori son cilestri come il mare.

Forza del Lazio quanto sei soave!Obliate città dei re vetusti,atrii del Citaredo imperiale,un bel fanciullo vien con le sue capree regna i lidi, impube re latino!

Il suo gregge è di numero divino,nero e bianco a sembianza delle frottealate che sorvolano il bel rivo,pari olocausto al Giorno ed alla Notte.Quasi fiore l’esigua foce s’apre.

Equa ride alle rondini e alle capre.

Lacus IuturnaeSettembre, chiare fresche e dolci l’acqueove il tuo delicato viso miri;e dolce m’è nella memoria il mionatale Aterno in letto d’erbe lente,e l’Amaseno quando muor domatopresso l’Appia col fratel suo l’Uffente,e la Cyane ascosa tra i papiri,e la Vella sì cara alla vitalba.

E pien di deità dai colli d’Alba

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lo specchio di Diana ancor mi luce.Ma un’altr’acqua al mio sogno è più divina.Quella m’attingi e ne riempi l’urna.Sotto la roggia mole palatinapresso il Tempio di Castore e Polluce,occhio di Roma è il Fonte di Iuturna.Deh mio misterioso amor lontano!

Alte sul Foro nel meridianosilenzio stan le tre colonne pariecome d’argento cui salsezza infoschi.Gli elci neri sul colle imperialesembran ruine dei primevi boschi.Di ferrigno basalte arde la ViaSacra tra gli oleandri giovinettie i sepolcreti dei Latini prisci.

Si tace il Fonte ne’ suoi marmi liscicome quando Tarpeia la Vestalevi discendea con l’anfora d’argilla.Tremola il capelvenere sul tufoe sul mattone, l’acqua è glauca, tingeil suo letto lunense; una lucertasu l’ara dei Dioscuri tranquillagode in grembo alla dea di lunga face.

Ombre delle farfalle in quella pace!Poc’acqua accolta, santità dell’Urbe!Le custodi del Fuoco sempiternoscendono alla marmorea piscina?o i Tindaridi rossi di latinastrage, per beverare i due cavalli?Deh lauri nuovi! Presso il putealecrescono, nel sacrario di Iuturna.

Li veglia la Speranza taciturna.

La loggiaSettembre, il tuo minor fratello Aprilefioriva le vestigia di San Marcoa Capodistria, quando navigammoil patrio mare cui Trieste addentaco’ i forti moli per tenace amore.

Capodistria, succiso adriaco fiore!Io vidi nella loggia d’un palagionidi di balestrucci appesi a travifosche, tra mazzi penduli di sorbe.Cinericcio era il tempo, umido e dolco.

Or laggiù, pel remeggio senza solco,tu certo aduni i neribianchi stormi,e quelli di Pirano e di Parenzo,che si rincontreranno in alto marecon l’altra compagnia che vien di Chioggia.

E son deserti i nidi nella loggia,e dei mazzi di sorbe son rimaseforse le canne appese pel lor cappio.S’ode nell’ombra quella parlaturache ricorda Rialto e Cannaregio.

Una colomba tuba dal bel fregio.

La mutaSettembre, ora nel pian di Lombardiaè già pronta la muta dei segugi,de’ bei segugi falbi e maculatidall’orecchie biondette e molli comefoglie del fiore di magnolia passe.La muta dei segugi a volpe e a dammaor già tracciando va per scope e sterpi.Erta ogni coda in bianca punta splende.

Presso il gran ponte sta Sesto Calende.Corre il Ticino tra selvette rare,verso diga di roseo granitocorre, spumeggia su la china eguale,come labile tela su telaiocelere intesta di nevosi fiori.Chiudon le grandi conche antichi ingegni,opere del divino Leonardo.

Il sorriso tu sei del pian lombardo,o Ticino, il sorriso onde fu pienol’artefice che t’ebbe in signoria;

e il diè constretto alle sue chiuse donne.Oh radure tra l’oro che rosseggiadello sterpame, tiepide e soavicome grembi di donne desiate,sì che al calcar repugna il cavaliere!

Vanno i cani tra l’eriche leggerecon alzate le code e i musi bassi,davanti il capocaccia che gli allenaper mezz’ottobre ai lunghi inseguimenti.S’ode chiaro squittire in que’ silenzii.Il suon del corno chiama chi si sbandae chi s’attarda e trae la lingua ed ansa.Già la virtù si mostra del più prode.

Il buon mastro dell’arte sua si gode:talor gli ultimi aneliti esalaresembra l’Estate aulenti sotto l’ugnedel palafren che nel galoppo falca.E, fornito il lavoro, ei torna al passoper la carraia ingombra di fascine:con la sua muta va verso il canile,va verso Oleggio ricca di filande.

Vapora il fiume le sterpose lande.

Le carrubeSettembre, son mature le carrube.Or tu pel caldo mare di Ciliciaconduci dalla riva cipriotala saica a scafo tondo e a vele quadre.Bonaccia, e nel saffiro non è nube.

Germa con sue maggiori quattro vele,garbo o schirazzo, legni levantinicarichi di baccelli dolci e bruniconduci verso l’isola dei Sardi.E vien teco un odor di tetro miele.

La siliqua, che ingrassa la mulettadall’ambio lene e in carestia disfamala plebe dalla bianca dentatura,lustra come i capelli tuoi castagni

mentre stai sulla coffa alla vedetta.

Certo, d’olio di sesamo son untequelle tue ciocche in forma di corimbi.Certo, ritrovi or tu nel gran dolcioredel Mar Cilicio l’obliato carmeche alla Cipride piacque in Amatunte.

Settembre, teco esser vorremmo ovunque!

12• iL noviLUnio

Novilunio di settembre!Nell’aria lontanail viso della creaturaceleste che ha nomeLuna, trasparente comela medusa marina,come la brina nell’alba,labile comela neve su l’acqua,la schiuma su la sabbia,pallido comeil piaceresu l’origliere,pallido s’inclinae smuore e languecon una collanasotto il mento sì chiarache l’oscura:silenzioso viso esanguedella creaturaceleste che ha nome Luna,cui sotto il mento s’incurvauna collanasì chiara che l’offusca,nell’aria lontanaov’ebbe nome Dianatra le ninfe eterne,ov’ebbe nome Selenedalle bianche bracciaquando amava quel pastore

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giovinetto Endimioneche tra le bianche bracciadormiva sempre.

Novilunio di settembre!Sotto l’ambiguo lume,tra il giorno senza fiammee la notte senza ombre,il mare, più soavedel cielo nel suo volumelento, più molledella nubelattea che la montagnaesprime dalle sue mammedelicate,il mare accompagnala melodiadella terra, la melodiache i flauti dei grillifan nei campi tranquilliroca assiduamente,la melodiache le ranefan nelle pantanemorte, nel fiume che stagnatra i salci e le cannelutulente,la melodiache fan tra i vinchiche fan tra i giunchidelle ripe rimoteuomini solinghitessendo le vermenein canestre,con sì lunghiindugi su quelle paroleche ritornano sempre.

Novilunio di settembre!Tal chiaritateil giorno e la notte commistisul letto del marenon lieti non tristi

effondono ancora,che tu vedi ancoranella sabbia le ondedel vento, le ormedei fanciulli, le conchevacue, le algheargentine,gli ossi delle seppie,le guainedelle carrube,e vedi nella sieperosseggiar le nudebacche delle rose caninee nel campo la pannocchiadalla barba d’orolucere, che al pleniluniosu l’aia il coroagreste monderà con canti,e nella vignail grappolo d’oroche già fu sonoro d’api,e nel verziere il ficoche dall’ombelico stillail suo miele,e su la soglia del tuguriobiancheggiar la conocchiadell’antica madre che fila,che fila sempre.

Novilunio di settembre,dolce come il visodella creaturaterrestre che ha nomeErmione, tiepido comele sue chiome,umido come il sorrisodella sua boccaumida ancoradella prima uva matura,breve come la sua cinturanel cielo verdecome la sua veste!Ha tremato

nella sua vesteverde che odoraad ogni passocome un cespo ad ogni fiato,ha trematoal primo gelo notturnoella che a mezzo il giornodormì con la guanciasul braccio curvoe si svegliò con le tempiemadide, con imperlatoil labbro, nella calura,vermiglia come un’auroraaspersa di calda rugiadae sorridente.E io le dico: – O Ermione,tu hai tremato.Anche agosto, anche agostoandato è per sempre!

Guarda il cielo di settembre.Nell’aria lontanail viso della creaturaceleste che ha nomeLuna, con una collanasotto il mento sì chiarache l’oscura,pallido s’inclina e muore... –Ma dice Ermione,non lieta non triste:– T’inganni. Quella ch’è sì chiaraè la falcedell’Estate, è la falceche l’Estate abbandonamorendo, è la falceche falciò le aristee il papavero e il cìanoquando fiorianoper la mia coronavincendo in lume il cielo e il sangue;ed è la faccia dell’Estatequella che languenell’aria lontana, che muore

nella sua chiaritatesopra le acque,tra il giorno senza fiammee la notte senza ombre,dopo che tanto l’amammo,dopo che tanto ci piacque;e la sua canzonedi foglie di ali di aure di ombredi aromi di silenzii e di acquesi tace per sempre;

e la melodia di settembre,che fanno i flauti campestried accompagna il marecol suo lento ploro,non s’ode lassù nell’arialontana ov’ella spirasolitariail suo spirto odoratodi alga di resina e di alloro;e l’uomo che s’attardain tessere vermenegià fece del grano mannelleed or fa canestriper l’uva, con un canto eguale,e tutto è obliato;obliato anche agostosarà nell’odor del mosto,nel murmure delle api d’oro;per tutto sarà l’oblio,per tutto sarà l’oblio;e niuno più sapràquanto sien dolcil’ombre dei volisu le sabbie saline,l’orme degli uccellinell’argilla dei fiumi,se non io, se non io,se non quella che andràdi là dai fiumi sereni,di là dalle verdi colline,di là dai monti cilestri,se non quella che andrà

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che andrà lungi per sempre,

e non con le tue rondini, o Settembre!

13• HoRtUs CoNClUsUs

Giardini chiusi, appena intraveduti,o contemplati a lungo pe’ cancelliche mai nessuna mano al viandantesmarrito aprì come in un sogno! Mutigiardini, cimiteri senza avelli,ove erra forse qualche spirto amantedietro l’ombre de’ suoi beni perduti!

Splendon ne la memoria i paradisiinaccessi a cui l’anima inquietaaspirò con un’ansia che fu vivaoltre l’ora, oltre l’ora fuggitiva,oltre la luce de la sera estivadove i fiori effondean qualche segretavirtù da’ lor feminei sorrisi,

e i bei penduli pomi tra la frondapuri come la carne verginaleparean serbare ne la polpa biondasapori non terrestri a non mortalebocca, e più bianche nel silenzio intentele statue guardavan la profondapace e sognavano indicibilmente.

Qual mistero dal gesto d’una grandestatua solitaria in un giardinosilenzioso al vespero si spande!Su i culmini dei rigidi cipressi,a cui le rose cingono ghirlande,inargentasi il cielo vespertino;i fonti occulti parlano sommessi;

biancheggiano ne l’ombra i curvi coridi marmo, ora deserti, ove s’adunail concilio degli ultimi poeti;tenue su la messe alta dei fiori

passa la falce de la nova luna;ne l’ombra i fonti parlano segreti;rare sgorgan le stelle, ad una ad una;

un cigno con remeggio lento fendeil lago pura imagine del cielo(desio d’amori umani ancor l’accende?memoria è in lui del nuzial suo lito?)e fluttua nel lene solco il velode l’antica Tindaride, risplendesu l’acque il lume de l’antico mito.

Di sovrumani amori visionisorgono su da’ vasti orti recintiche mai una divina a lo stranieroaprirà coronata di giacintiper lui condurre in alti labirintidi fiori verso il triplice misterocantando inaudite sue canzoni.

Ma quegli, folle del profumo effusodal cor degli invisibili rosai,chino a la soglia come quando adora,pieni d’un sogno non sognato maigli occhi mortali, giù per l’ombre esploranel profondo crepuscolo in confusoil dominio silente ch’egli ignora.

Così la prima volta io vi guardaicon questi occhi mortali. Voi, signora,siete per me come un giardino chiuso.

UNA PRODUZIONERavennaPoesia/Parametri Musicali

ORGANIZZAZIONE E SUPERVISIONEMassimo Mazzoni

TESTO ORIGINALEGabriele d’Annunzio, da Alcyone

e Poema paradisiaco

CONSULENZA TESTO ORIGINALEGalilea Maioli

VOCI RECITANTIMaria Giovanna Maioli

Franco Costantini

REALIZZAZIONEGiancarlo Di Maria

Studio Parametri Musicali, Bologna

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DaNNUNZIaNaIl mondo poetico di Gabriele d’Annunzio

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AL.IT.03/2010

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Un nuovo modo di leggere

Audiolibro

Collana: Italiana

Dannunziana segue il Poeta nell’incanto della stagione alcionia, un’estate ricca e piena che va a stemperarsi nell’incipiente autunno. Un D’Annunzio totalmente immerso nei tempi e negli spazi del mondo naturale, dal mistero sacro dei monti della Sera fiesolana alle tamerici salmastre ed arse della Pioggia nel pineto, dal mare che parla e disegna dell’Onda e di Undulna, fino ai pastori migranti e al Novilunio settembrino e, in chiusura, ai giardini sognanti di Hortus Conclusus. Voci perfettamente amalgamate, Maria Giovanna Maioli e Franco Costantini sanno comunicare il battere unisono del cuore del Poeta con il grande cuore pulsante della natura.

01 • Lungo l’Affrico 2’18” Maria Giovanna Maioli

02 •Laserafiesolana 2’53” Maria Giovanna Maioli

03•Lapioggianelpineto 4’48” Franco Costantini

04 •Lestirpicanore 1’10” Maria Giovanna Maioli

05 •Meriggio 4’59” Franco Costantini

06 •L’onda 3’14” Maria Giovanna Maioli

07 •L’asfodelo 5’16” Maria Giovanna Maioli Franco Costantini

08 •L’allorooceanico 0’52” Maria Giovanna Maioli

09 •LeOremarine 2’17” Maria Giovanna Maioli

10•Undulna 7’07” Franco Costantini

11 •Sogniditerrelontane 13’11” Maria Giovanna Maioli Franco Costantini 12•Ilnovilunio 7’34” Franco Costantini

13 •HortusConclusus 3’48” Franco Costantini

Durata complessiva: 59’27” ca.

UNA PRODUzIONE