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Danno e responsabilità DIREZIONE SCIENTIFICA Vincenzo Carbone Pier Giuseppe Monateri Roberto Pardolesi Giulio Ponzanelli www .ipsoa.it/dannoeresponsabilita Responsabilità dei genitori per carenze educative Mancata proposizione dell’appello e responsabilità dell’avvocato Cesareo tardivo e risarcimento TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB MILANO ANNO XVII - Direzione e redazione - Strada 1 Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) 3 2012 Mensile di responsabilità civile e assicurazioni 5 0 0 0 0 0 1 2 9 5 4 4 8 00129544

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Dannoe responsabilità

DIREZIONE SCIENTIFICAVincenzo CarbonePier Giuseppe Monateri Roberto PardolesiGiulio Ponzanelli

www.ipsoa.it/dannoeresponsabilita

Responsabilità dei genitori per carenze educative

Mancata proposizione dell’appello e responsabilità dell’avvocato

Cesareo tardivo e risarcimento

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professionale con la formazione.

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Danno e responsabilitàSommario

OPINIONIPER UN QUASI COMMENTO SULLA RESPONSABILITÀ PER L’ESERCIZIODI ATTIVITÀ PERICOLOSEdi Attilio Gorassini e Federica Tescione 237

GIURISPRUDENZA

Legittimità

RESPONSABILITÀ DEI GENITORI PER CARENZE EDUCATIVE: DANNI PROVOCATIDAL FIGLIO MINORE IN UNA SOSTA DELLA PARTITA DI CALCIOCassazione civile, sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26200 257commento di Vincenzo Carbone 259

LA RESPONSABILITÀ DEI GENITORI PER IL TRASPORTO IN MOTORINODI UN PASSEGGERO DA PARTE DEL FIGLIO MINORENNECassazione civile, sez. III, 29 novembre 2011, n. 25218 267commento di Aldo P. Benedetti 269

LA CASSAZIONE INTERVIENE ANCORA SULL’AGGRESSIONEDA PARTE DI ANIMALICassazione civile, sez. III, 20 luglio 2011, n. 15895 273Cassazione civile, sez. III, 23 agosto 2011, n. 17528 274commento di Sergio Barbaro 276

DI CUSTODIA, CASO FORTUITO E RESPONSABILITÀ OGGETTIVACassazione civile, sez. III, 18 luglio 2011, n. 15720 282Cassazione civile, sez. III, 24 maggio 2011, n. 11430, ord. 284commento di Paolo Laghezza 285

MANCATA PROPOSIZIONE DELL’APPELLO E RESPONSABILITÀ DEL PROFESSIONISTA FORENSECassazione civile, sez. II, 13 maggio 2011, n. 10686 295commento di Laura Bugatti 298

Merito

TAGLIO CESAREO RITARDATO E GRAVE PATOLOGIA AL BAMBINO: I DANNI RISARCIBILITribunale di Bari, sez. II, 26 luglio 2011, n. 2605 305commento di Silvia Scalzini 309

UN GIUDICE A LUSSEMBURGO. PROPORZIONALITÀ, NON DISCRIMINAZIONEE DANNO NEL CONTO CORRENTE BANCARIOTribunale di Milano, 3 gennaio 2011 314commento di Gianni Colangelo 316

Osservatorio di legittimità

a cura di Antonella Batà e Angelo Spirito 335

Osservatorio sulla giustizia amministrativa

a cura di Gina Gioia 337

Osservatorio di giustizia penale

a cura di Carlo Piergallini 341

Obbligazioni e contratti

Responsabilitàsanitaria

Responsabilitàprofessionale

Cose incustodia

Dannocagionato da animali

Responsabilitàdei genitori

Attivitàpericolosa

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INDICE

INDICE DEGLI AUTORI 345

INDICE CRONOLOGICO DEI PROVVEDIMENTI 345

INDICE ANALITICO 345

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Danno e responsabilitàSommario

Per informazioni in merito a contributi, articoli ed argo-menti trattati scrivere o telefonare a:

IPSOA RedazioneCasella postale 12055 - 20120 Milanotelefono (02) 82476.411 - telefax (02) 82476.079e-mail [email protected]

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REDAZIONEIsabella Viscardi, Francesco Cantisani,Arianna Barsacchi

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COMITATO PER LA VALUTAZIONE

Mario Barcellona, Giovanni Comandè, Marco De Cristofaro, Maria Vita de Giorgi, Massimo Franzoni,Giorgio Lener, Francesco Macario, Marisaria Maugeri, Massimo Paradiso, Giovanni Pascuzzi, Barbara Pozzo, Antonino Procida Mirabelli di Lauro, Onofrio Troiano, Andrea Violante

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OpinioniAttività pericolosa

1. Topografia del codice e fattispecie

di responsabilità considerata dall’art. 2050

c.c. Gli elementi soggettivi, oggettivi

e le varianti di fattispecie rispetto

all’art. 2043 c.c.

L’art. 2050 c.c. non vanta antiche origini: il previ-gente codice civile non ne conosceva omologo. Lasua introduzione ha consentito di dar rilievo «al fe-nomeno, sempre più diffuso nell’età moderna, del-l’esercizio di attività, reputate utili o addirittura in-dispensabili nell’evoluzione socio-economica, e tut-tavia suscettibili di provocare danni con un notevo-le grado di probabilità» (1).Tale novità avviò da subito un ampio e nutrito di-battito intorno agli elementi caratterizzanti la fatti-specie, dibattito che non può certo dirsi ancora so-pito. Le problematiche interpretative alimentatedalla norma sono del resto molte e variegate.Appare opportuno avviare l’indagine da un primodato incontroverso, di topografica codicistica banal-mente osservabile, ma non per questo privo di rile-vanza in un tentativo di ricostruzione sistematicadella fattispecie: l’art. 2050 c.c. è strutturalmentecollocato a livello intermedio tra due blocchi di nor-me rispetto alle quali non presenta (evidenti) ele-menti di continuità (2).Tutte le altre fattispecie “speciali” di responsabilità,pur nella loro peculiare deviazione dalla regola ge-

nerale posta dall’art. 2043 c.c., appaiono passibili diun raggruppamento per dati omogenei: a) l’insor-genza di un obbligo risarcitorio in capo ad un sog-getto diverso dall’autore del comportamento danno-so (artt. 2047, 2048, 2049 c.c.); b) l’esistenza di re-sponsabilità di taluni soggetti per i danni cagionatida cose o animali riconducibili alla loro sfera di con-trollo (artt. 2051, 2052, 2053, 2054, comma 2 e 3,c.c.).A parte le ulteriori e note diversificazioni circa glioneri probatori posti a carico dei “responsabili”,sembra potersi affermare l’esistenza di due sottoin-siemi comunque avulsi dalla logica propria dell’art.2050 c.c. che, pur attestandosi ad un livello nuovo,presenta elementi di affinità solo con l’art. 2054,comma 1, c.c. ove non a caso trova particolareggia-

Responsabilità per esercizio di attività pericolosa

Per un quasi commentosulla responsabilità perl’esercizio di attività pericolosedi Attilio Gorassini e Federica Tescione (*) (**)

Le esigenze di protezione dei nuovi interessi e valori incidenti sulla realtà, da un lato, e l’inarrestabile evolu-zione tecnologica della società post-industriale, dall’altro, sembrano imporre una riflessione senza pre-giudi-zi sul significato attuale della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose quale autonomo frammentodi un sistema complessivo delle responsabilità speciali. Le attività suscettibili di divenire in concreto perico-lose sembrano superare, anche solo numericamente, quelle che con certezza non lo sono. Tale evidenza ri-schia di travolgere la valenza assiopratica della norma di cui all’art. 2050 c.c. e di falsarne la ratio originaria.Si appalesa necessaria una ricollocazione sistemica della fattispecie in una prospettiva che, sensibile al fa-scino pragmatico della EAL, rintracci il punto di massima efficienza idonea a ridurre i costi sociali di ogni ti-po di danno (anche non patrimoniale) relativo all’esercizio di attività pericolose.

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(**) Pur essendo frutto di una ricerca comune, i paragrafi 1 e 7sono stati curati da Attilio Gorassini. All’apporto individuale di Fe-derica Tescione è da attribuire la restante parte del lavoro.

(1) Scognamiglio, Responsabilità civile, in NN.D.I., XV, Torino,1968, 646 s.

(2) Nella stessa Relazione al codice civile del 1942 l’art. 2050 ve-niva proposto come «soluzione intermedia per la quale, sempremantenendo la colpa a base della responsabilità, non solo si è po-sta a carico del danneggiante la prova liberatrice, ma si è amplia-to il contenuto del dovere di diligenza che è posto a suo carico».

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ta disciplina una specifica ipotesi di attività reputa-ta pericolosa (3).Questa prima constatazione dovrebbe orientareun’indagine intorno all’art. 2050 c.c. scevra da col-legamenti artificiosi con le altre norme di settoreche disegnano il complesso sistema della attuale re-sponsabilità civile. Del resto, il meccanismo del-l’onere della prova in esso si atteggia in modo affat-to speculare rispetto alla clausola generale di re-sponsabilità: la disposizione contiene una regolanuova e le varianti sono di tale rilievo da scoraggia-re la ricerca, ad ogni costo, di una logica capace diricondurre ad unità il sistema.Non nuoce tuttavia evidenziare un dato, per certiversi unificante le varie ipotesi speciali di responsa-bilità: l’assenza nella formalizzazione legislativa delsintagma “danno ingiusto” di cui all’art. 2043 c.c.Non è questa la sede per un approfondimento delsuo significato: il “danno ingiusto” ha animato il di-battito non solo dottrinale sin dagli albori del codi-ce civile vigente. È, invece, sicuramente questa lasede per evidenziare la mancata previsione di questoelemento fondamentale per il perfezionamento del-la fattispecie di responsabilità contemplata nellanorma generale: l’art. 2050 c.c. non menzionaespressamente il danno ingiusto.Il dato negativo impone di verificare se l’art. 2050c.c., nella sua postulata originalità rispetto al quadronormativo di riferimento, possa essere comunque ri-condotto in logica sistemica ad una qualche altrafattispecie di responsabilità anch’essa carente del ri-ferimento al danno ingiusto o se invece, nonostanteil rilievo, rappresenti un unicum privo di elementi diomogeneità o di simmetria rispetto alle altre disposi-zioni che disegnano il sistema delle responsabilitàspeciali.Utili suggestioni potrebbero forse provenire dalla di-sciplina del risarcimento del danno derivante dainadempimento delle obbligazioni: l’art. 1218 c.c.,per seguire la suggestione di genesi, non contemplaapertis verbis la necessaria ricorrenza dell’ingiustiziadel danno. Ciò, però, ben si spiega in quell’ambitoposta la diversità della fonte dell’obbligo risarcito-rio. «Nella responsabilità debitoria è ingiusto il dan-no che incide su interessi espressamente dedotti nelrapporto obbligatorio: in presenza di una fonte con-trattuale dell’obbligo primario l’ingiustizia del dan-no da inadempimento trova un naturale criterionormativo di riferimento nell’art. 1322, idoneo adorientare la selezione degli interessi meritevoli di tu-tela quando l’illecito sia specificamente legato allaviolazione delle scelte dell’autonomia privata» (4).Non è nuova l’idea che la responsabilità extracon-

trattuale, oggi, sembra muoversi verso i modelli tipi-ci della responsabilità contrattuale (5) dai quali ta-lune fattispecie speciali di responsabilità aquilianapotrebbero trarre ispirazione nella stessa formulazio-ne codicistica (e per questo non menzionare l’ingiu-stizia del danno).La suggestione sembra prendere corpo di argomen-tazione attraverso il richiamo al meccanismo dellaprova liberatoria posto dall’art. 2050 c.c. (6), ai sen-si del quale il danneggiante deve provare di «avereadottato tutte le misure idonee ad evitare il danno».La pericolosità dell’attività, in altri termini, sembracondurre ad un ampliamento del dovere di diligenzasecondo un meccanismo non originale: l’art. 1176c.c. già sancisce che «Nell’adempimento delle ob-bligazioni inerenti all’esercizio di un’attività profes-sionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo allanatura dell’attività esercitata». E non è forse un ca-so che sempre più spesso, nelle concrete situazioni difatto sottoposte ad analisi giurisprudenziale, suolerinvenirsi nelle attività professionali un alto gradodi pericolosità rilevante anche ex art. 2050 c.c.Né dovrebbe destare sorpresa, ma anzi assumere va-lenza di possibile conferma, la circostanza che unaformula identica a quella usata dall’art. 2050 c.c. siacontenuta nell’art. 1681, comma 1, c.c. posto chegià nella Relazione al codice civile (che per vero ri-chiama espressamente l’art. 2054 c.c.) è contenutoun accostamento tra queste norme dovuto alla peri-colosità dell’attività disciplinata. Le tre ipotesi con-siderano «una responsabilità per attività che hannoconnaturale la pericolosità»; da ciò discenderebbeche «contenuto della prova liberatoria della respon-sabilità non può essere in tali casi, se non la dimo-strazione dell’adempimento del dovere di impedireche, dall’esercizio dell’attività stessa, derivi dannoper altri» (7).Eppure la tentazione di un accostamento tra respon-sabilità contrattuale e aquiliana tout court risulta in

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OpinioniAttività pericolosa

Note:

(3) La fattispecie contenuta nell’art. 2054 c.c. è considerata unasotto-ipotesi di attività pericolosa. V. al riguardo Busnelli, Illecitocivile, in Enc. Giur., Roma, 1989, 27.

(4) Giardina, Responsabilità contrattuale e responsabilità extra-contrattuale - Significato attuale di una distinzione tradizionale,Milano, 1993, 234.

(5) Significativo indice al riguardo sembra rinvenirsi nella moder-na propensione ad una sempre più diffusa “contrattualizzazio-ne” dei danni alla persona. Cfr. Breccia, Le obbligazioni, in Trat-tato di diritto privato a cura di Judica e Zatti, Milano, 1991, 673.

(6) Per come detto, già nella Relazione al codice civile, n. 795, silegge «di aver ampliato il contenuto del dovere di diligenza a ca-rico del danneggiante». V. retro, nota 2.

(7) Relazione al Codice civile, n. 571.

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precomprensione troppo debole o forse troppo facil-mente falsificabile sul piano assiologico e assioprati-co di sistema.Il punto dovrà risultare chiarito ad esito dell’indagi-ne e dovrà giustificare, in una logica diversa, la nonmenzione dell’ingiustizia del danno assorbita in rile-vanza da qualche altro elemento strutturale forseidoneo a verificare la possibilità di una funzionalitàsistemica di tutte le fattispecie di responsabilitàaquiliana, contenute nel codice, diverse dall’art.2043 c.c. e di cui l’art. 2050 c.c. sembra essere topo-graficamente il punto logico di equilibrio o di snodo.Occorre preliminarmente confinare con più rigorel’oggetto dell’indagine per come definito dalla pro-spettiva d’analisi assunta.La novità della variante posta dall’art. 2050 c.c.sembra giustificarsi, come detto, per la necessità difar fronte alle esigenze di protezione connesse a nuo-vi interessi emergenti dalla realtà e incidenti sul-l’etica sociale. La fattispecie di responsabilità consi-derata sembra costituire, nelle sue componenti og-gettive e soggettive, un attento adattamento deglieffetti della responsabilità da illecito alla peculiaritàdel fatto fonte di danno (attività pericolosa): perchédi fatto in essa si parla, anche se di un fatto non deltutto omogeneo a quello descritto dall’art. 2043 c.c.

2. La configurazione delle “attivitàpericolose”. Possibile distinzioneconcettuale tra “attività pericolose”e “condotte pericolose” e sua incidenza ermeneutica

L’analisi tesa a fotografare lo stato dell’arte sub temasembra dover prendere le mosse dall’analisi semanti-ca di una frazione del titolo con cui è rubricato l’ar-ticolo in commento. Occorre preliminarmentechiarire, per quanto possibile in prospettiva diacro-nica, cosa identifichi il lemma “esercizio di attività pe-ricolose”. Tra tante incertezze, oggi sembra esservi un’unica cer-tezza: «Le attività pericolose riconducibili nell’ambi-to di applicabilità dell’art. 2050 c.c. si identificano,oltre che con le attività che sono qualificate tali dallalegge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali,con quelle attività che per la loro stessa natura o perle caratteristiche dei mezzi adoperati comportino larilevante possibilità del verificarsi di un danno per laloro spiccata potenzialità offensiva» (8).L’art. 2050 c.c. può pertanto essere invocato quandola pericolosità sia identificabile in una potenzialitàlesiva del fatto di grado superiore alla media.Questo appena sintetizzato risulta essere, in base ad

una costante interpretativa ormai consolidata, ilperimetro entro cui definire, sotto il profilo squisi-tamente oggettivo, l’area di rilevanza e di pertinen-za della disciplina di cui all’art. 2050 c.c., diversa-mente idonea ad estendere il suo raggio di operati-vità sulla maggior parte delle attività umane che,oggi più di ieri, possiedono un’intrinseca compo-nente di aggressività della intangibile sfera giuridi-ca altrui (9).Del resto, se da una parte l’evoluzione della tecnicanella società post-industriale e l’innalzamento dellasoglia di tutela minima garantita dall’ordinamentogiuridico al valore fondante del sistema (la tuteladella Persona umana) hanno imposto - e impongo-no - una maggior severità nella costruzione delle re-gole (anche) di responsabilità, per altro verso si ren-de indispensabile uno sforzo teso a ricostruire siste-maticamente un ordine giuridico tale da non para-lizzare il non prevedibile (perché non definito e de-finibile) sviluppo della stessa Persona da tutelare,sempre libera di esprimersi mediante il compimentodi tutti quegli atti che, pur nella loro astratta perico-losità, si attestano sul piano della liceità possibile inragione del tipo e dello stile di vita realmente vissu-to da una comunità (10).Il tentativo di enucleare criteri uniformi di pericolo-sità ha posto l’accento sulla opportunità di valutare,con riferimento alle specifica attività considerata,l’incidenza dei danni sia sotto il profilo quantitativoche della gravità dei pregiudizi stessi. Il risultato ditale impostazione è che «L’attività sarà quindi peri-colosa quando statisticamente cagiona molti inci-denti, e quando minaccia di cagionarne di moltogravi» (11).

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Note:

(8) Cass. 6 aprile 2006, n. 8095, in Mass. Giur. it., 2006, il corsi-vo è nostro. In tal senso v. anche, tra le tante, Cass. 9 aprile2009, n. 8688, in Giust. civ., Mass. 2009, 4, 614.

(9) Cfr. Falzea, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debito-re, Milano, 1947, 69.

(10) Su questo sfondo va allora forse collocato il cammino inter-pretativo intorno all’art. 2050 c.c. il cui concreto contenuto nor-mativo, nella sinteticità della formulazione codicistica, ha impe-gnato generazioni di studiosi per come sembra confermare l’am-piezza della bibliografia specifica. Solo a livello monografico siveda: Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile,Napoli, 1965; Di Martino, La responsabilità civile nelle attività pe-ricolose e nucleari, Milano, 1979; De Martini, I fatti produttivi didanni risarcibili, Padova, 1983; Recano, La responsabilità civileda attività pericolose, in Enciclopedia diretta da Cendon, Padova,2001.

(11) Monateri, Le attività pericolose, in Tratt. Bessone, X, Torino,2002, 96. In tal senso da ultimo v. anche Comporti, Responsabi-lità per l’esercizio di attività pericolose, in Comm. Schlesinger,

(segue)

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Secondo la dottrina prevalente l’indagine sulla peri-colosità, con riferimento alle c.d. attività pericoloseatipiche, tali perché non normativamente previste,deve essere condotta «non ex post - considerandocioè pericolosa quell’attività che abbia causato dan-no - ma ex ante, con giudizio preventivo, diretto adaccertare se quella determinata attività aveva insitauna rilevante probabilità di danno» (12).La difficoltà pratica di enucleare un concetto assolu-to di “attività pericolose” ha orientato di contro lagiurisprudenza degli ultimi anni verso altra lineaevolutiva che valorizza le circostanze di fatto verifi-catesi al momento stesso dell’esercizio dell’attività(13): ove non si versi nelle ipotesi previste dall’art.46 ss. del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza o dallanormativa per la prevenzione degli infortuni o per latutela dell’incolumità pubblica (che costituirebbe labase minima del tipo e stile di vita imposta dallaconvivenza in un dato spazio-tempo), si suole rita-gliare un delicato ruolo per il giudice al quale com-peterebbe, secondo questa impostazione, una “pro-gnosi postuma” sulla pericolosità, in concreto, del-l’attività esercitata (14), avuto riguardo a tutti glielementi di fatto acquisiti al processo e funzionali aduna decisione che ben può fondarsi anche su nozio-ni di comune esperienza (15).Importanti indici per un giudizio di pericolosità pos-sono esser tratti dalla previsione normativa di parti-colari precauzioni per lo svolgimento di determinateattività, di concessioni o autorizzazioni della p.a.condizionanti lo svolgimento dell’attività stessa.Le indagini intorno all’art. 2050 c.c. hanno postoin evidenza come, nonostante il dato formale, peri-colose debbano ritenersi tutte quelle attività checomportino la rilevante probabilità del verificarsidel danno, per la loro stessa natura e per le caratte-ristiche dei mezzi usati (16), «non solo nel caso didanno che sia conseguenza di un’azione, ma anchenell’ipotesi di danno derivato da omissione di cau-tele che in concreto sarebbe stato necessario adot-tare in relazione alla natura dell’attività esercitataalla stregua delle norme di comune diligenza e pru-denza» (17).Parte della dottrina ritiene che la nozione di “omis-sione pericolosa” sia frutto di un fraintendimentopoiché una condanna ex art. 2050 c.c. presupponenecessariamente un’omissione pericolosa dacché sidovrebbe dedurre che «non è pensabile che la nor-ma dell’art. 2050 si rivolga a destinatari, che istitu-zionalmente decidano di non intervenire nelle fac-cende umane, quando vi siano pericoli» (18).Il riferimento testuale all’“esercizio di attività peri-colose” ha spinto taluni a ritenere che la norma at-

tenga alle sole attività continuative e organizzate,val quanto dire alle attività di impresa (19).

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Note:

(continua nota 11)Milano, 2009, 193. Contra: Cass. 7 luglio 2009, n. 15894, in Ban-ca Dati De Jure, secondo cui «(…) il giudizio sul carattere peri-coloso di una determinata attività dev’essere, infatti, formulatocon riferimento alle potenzialità lesive dell’attività stessa e nonsecondo la maggiore o minore frequenza di accadimenti danno-si, conseguenti all’attività considerata, il dato statistico potendoessere utilizzato - ovviamente, se rigorosamente accertato e nonsemplicemente e genericamente affermato - per escludere talipotenzialità lesive».

(12) Comporti, op. ult. cit., 193.

(13) In tal senso v. Cass. 30 agosto 1995, n. 9205, in questa Ri-vista, 1996, 2, 255, per la quale: «il giudizio sulla pericolosità del-l’attività (...) va espresso non sulla base dell’evento dannoso ef-fettivamente verificatosi, bensì, attraverso una prognosi postu-ma, sulla base delle circostanze di fatto che si presentavano almomento stesso dell’esercizio dell’attività ed erano conoscibilidall’uomo medio, o, comunque, dovevano essere conosciutedall’agente in considerazione del tipo di attività esercitata. Talevalutazione, nel caso in cui non sia stata compiuta direttamentedal legislatore, è rimessa all’apprezzamento del giudice del me-rito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente elogicamente motivata».

(14) In tal senso, ex pluribus, Trib. Potenza 11 luglio 2008, Mas-sima redazionale, 2008, secondo cui: «Posto che l’attività peri-colosa rientrante nell’ambito applicativo della norma di cui all’art.2050 c.c. è un’attività qualificata tale da specifiche disposizioni dilegge finalizzate a prevenire sinistri o poste a tutela della pubbli-ca incolumità, ovvero qualsiasi attività che per sua natura o perla natura dei mezzi utilizzati renda probabile il verificarsi del-l’evento dannoso in considerazione della sua elevata potenzialitàoffensiva, non può dirsi tale quel tipo di attività intrinsecamenteinnocua, la cui pericolosità, non configurabile in re ipsa, possaeventualmente insorgere per fatti estranei. Orbene, nel caso inesame non può essere invocata la presunzione di responsabilitàex art. 2050 c.c. a carico dell’ente organizzatore della recita na-talizia nel corso della quale il soggetto spettatore ha riportatouna lesione alle falangi derivante dalla improvvisa chiusura del-l’anta di una porta. Proprio in quanto la valutazione della perico-losità di un’attività va effettuata con una prognosi postuma, nonpuò certo dirsi pericolosa l’attività di organizzazione di uno spet-tacolo, che non presenta alcun profilo di potenzialità offensiva néper la sua natura, né per la natura dei mezzi adoperati, al quale,tra l’altro era presumibile partecipassero persone adulte o mino-ri da questi accompagnati».

(15) Cfr. Cass. 27 luglio 1990, n. 7571, in Giur. it., Mass. 1990.

(16) Val la pena ribadire che «La responsabilità per esercizio di at-tività pericolosa ex art. 2050 c.c. ben può prescindere dall’attivi-tà in sé e per sé considerata, il che si verifica quando il pericolosi sia materializzato e trasfuso negli oggetti dell’attività medesi-ma (ad es., materie infiammabili, proiettili di arma da fuoco, gasin bombole, ecc.), i quali, anche per un’imperfetta costruzione, alivello progettuale o di confezione, conservino un’intrinseca po-tenzialità lesiva collegata allo svolgimento dell’attività di cui co-stituiscono il risultato, anche quando il danno si produca in unafase successiva, purché ne dipenda in modo sufficientementemediato». Così, Cass. 30 agosto 2004, n. 17369, in Giur. it.,Mass. 2004.

(17) Cass. 7 maggio 2007, n. 10300, in Giur. it., Mass. 2007.

(18) Monateri, op. cit., 95.

(19) Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961,280.

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Pur essendo indubbio che, da un punto di vista sta-tistico, la maggior parte delle azioni ex art. 2050 c.c.siano intentate contro imprenditori, tanto non valead escludere che la legittimazione passiva sia radica-ta in capo a «chiunque» e pertanto anche al privatoche, foss’anche per finalità di svago (20), eserciti at-tività pericolose (21).D’altronde è facile intuire come sia spesso maggioreil pericolo insito in singoli atti indipendenti, non co-ordinati e avulsi da una logica di tipo imprenditoria-le, soprattutto se posti in essere da soggetti privi diesperienza e di adeguata organizzazione tecnica (22).Taluni, in posizione intermedia, osservano che, purnon dovendosi necessariamente circoscrivere l’areadi pertinenza dell’art. 2050 c.c. alle sole attività diimpresa o alle attività svolte in modo continuativo,sia comunque indispensabile riferire la norma «aduna attività, cioè ad una serie di atti» (23). La di-sposizione contiene, del resto, un esplicito riferi-mento tanto all’“esercizio” quanto allo “svolgimen-to” di tali attività.Superata ormai la tendenza a restringere l’applicazio-ne dell’art. 2050 c.c. alle sole attività esercitate perfini di lucro o di utilità personale, la giurisprudenza èperaltro incline a riconoscere la legittimazione passi-va in capo alla P.A. per come è avvenuto in casi di at-tività di produzione di energia elettrica ad alta ten-sione o di gestione delle ferrovie dello Stato (24).Tali notazioni consentono di appalesare il senso del-la distinzione concettuale tra attività pericolose econdotte pericolose che, pur nella apparente omo-geneità, segna il confine identificativo delle rispetti-ve discipline giuridiche di riferimento.La dottrina ha evidenziato come nel caso di perico-losità della condotta «il criterio di imputazione del-la responsabilità è sempre insito nella colpa, e cioènell’imprudenza e nella negligenza di chi si compor-ta in modo da creare pericolo», mentre nel caso dipericolosità dell’attività «il criterio di imputazionedella responsabilità comporta l’accertamento delgrado di pericolosità insito nell’attività stessa equindi in base ad un criterio oggettivo» (25).In linea con tali premesse appaiono pertanto i nu-merosi precedenti giurisprudenziali a tenore dei qua-li «Le attività pericolose, che per loro stessa naturaod anche per i mezzi impiegati, rendono probabile enon semplicemente possibile il verificarsi di un even-to dannoso e importano responsabilità ex art. 2050c.c., devono essere tenute distinte da quelle normal-mente innocue che possono diventare pericoloseper la condotta di chi le esercita e che comportanoresponsabilità secondo la regola generale ex art.2043 c.c.» (26).

In altri termini, l’art. 2050 c.c. esula da tutte quelleattività prive di pericolosità immanente per la loronatura o per la natura dei mezzi adoperati e che di-vengono pericolose per la condotta (pericolosa),colposa o dolosa, di chi le esercita (27).

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Note:

(20) Si pensi all’esercizio della caccia. V. al riguardo Cass. 30 no-vembre 1977, n. 5222, in Giur. it., Rep. 1977, voce Responsabi-lità civile, n. 133, 3487; Cass. 29 settembre 1964, n. 2442, inGiur. it., Rep. 1964, voce Responsabilità civile, n. 241, 3274.

(21) Visintini, Cos’è la responsabilità civile, Napoli, 2009, 197.

(22) In tal senso si veda anche Bonilini-Confortini-Granelli (a curadi), Codice civile ipertestuale, II, II ed., sub art. 2050, Torino,2005, 3569.

(23) Monateri, op. cit., 92, che esemplifica l’idea mediante unaconvincente serie di ipotesi. E così «Entrare in un ristorante al-l’ora di punta e giocherellare con una pistola carica non è una at-tività pericolosa, ma un atto isolato di imprudenza. Esercitare ar-mati il servizio di sorveglianza in una discoteca è un’attività peri-colosa. Organizzare una tantum una gara di tiro al piattello, a fa-vore dei curdi oppressi, non è un’attività di impresa, ma è un’at-tività pericolosa. Recarsi a quella gara col vecchio archibugio deltrisnonno bersagliere, mai tenuto in efficienza, non è un’attivitàpericolosa, ma un atto di imprudenza»: Monateri, op. cit., 92-93.

(24) V. in questa direzione Cass. 1° aprile 1995, n. 3829, in Giur.it., Mass. 1995, secondo cui «Con riguardo allo svolgimento delservizio ferroviario da parte della p.a., l’applicabilità dell’art. 2050c.c., sulla presunzione di responsabilità per l’esercizio di attivitàpericolosa, va riconosciuta quando il danno che ne derivi si ricol-leghi ad uno specifico aspetto o momento del servizio stesso, ilquale presenti connotati di pericolosità eccedenti il livello norma-le del rischio, così da richiedere particolari cautele preventive. Ciònon esclude che, pur non sussistendo un’ipotesi di pericolositàpresunta ex art. 2050 c.c., la responsabilità della p.a. per lo svol-gimento dell’indicato servizio può essere affermata qualora si siadeterminata una situazione anomala rispetto a quella ordinaria-mente richiesta per la sicurezza generale (nella specie, il venirmeno, ad opera di terzi, dell’integrità delle recinzioni dell’area fer-roviaria, con rischio che specialmente i minorenni potessero in-trodurvisi per svolgere pericolosissimi giochi), situazione nota al-l’amministrazione, la quale avrebbe dovuto attivarsi per preveniredetto rischio». Si discosta però dall’applicazione dell’art. 2050 c.c.alla p.a. Cass. 30 novembre 2006, n. 25479, in questa Rivista,2007, 6, 679 per la quale «Alle attività della P.A., che siano svolteper soddisfare imprescindibili esigenze della collettività, nellequali si identificano le sue stesse finalità istituzionali, non è appli-cabile la presunzione di colpa stabilita dall’art. 2050 c.c., doven-dosi escludere nel caso delle predette attività l’esistenza di un fi-ne utilitario proprio dell’amministrazione e non potendo il giudicesindacare l’idoneità e sufficienza delle misure e dei mezzi da es-sa posti in essere nell’organizzazione dei suoi servizi (nella spe-cie, si trattava dell’esercizio dell’attività di polizia)».

(25) Visintini, op. cit., 198.

(26) Cass. 26 aprile 2004, n. 7916, in Gius, 2004, 3480.

(27) E così ad esempio «Se un intagliatore di mobili o un rilegato-re di libri - esercitanti attività sicuramente non pericolose - per im-prudenza o distrazione manovrano un arnese con assoluta legge-rezza, sì da porre in essere una condizione di pericolo per il clienteentrato nel loro negozio, e cagionarne il ferimento, non può esse-re invocata la norma di cui all’art. 2050 c.c., perché l’attività in sénon era pericolosa; né può rilevare una mera condotta soggettivapericolosa, valevole a far scaturire la responsabilità solo secondola regola di cui all’art. 2043 c.c.»: Comporti, op. ult. cit., 190.

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L’argomento logico a contrario induce a ritenere cheal di fuori del novero delle attività pericolose si col-locano quelle attività che divengono pericolose pereffetto di cause esterne (28). Si considerano altresì sottratte al regime dell’art. 2050c.c. le attività oggetto di disciplina speciale, quali pos-sono essere la navigazione aera, la circolazione strada-le e l’impiego pacifico di energia nucleare (29).Il copioso materiale giurisprudenziale sul tema met-te comunque in chiaro i dati fenomenologicamenteessenziali per una ricostruzione sistematica.Appare così significativo che «nell’applicazione giu-risprudenziale dell’art. 2050 c.c., vi è stata un’evolu-zione e, progressivamente, da un esiguo numero dicasi si è passati ad una casistica molto più ricca; e so-prattutto da un atteggiamento dei giudici che rin-viano la tipizzazione delle attività pericolose alleprevisioni legislative e specialmente all’elenco con-templato nella legislazione di pubblica sicurezza, al-l’avvio di una tipizzazione giurisprudenziale vera epropria, fondata sull’accertamento concreto di unapericolosità intrinseca dell’attività o dei mezzi di la-voro impiegati» (30).Tale circostanza si pone su un piano di perfetta coe-renza con la constatazione che «il carattere della pe-ricolosità può variare con il tempo: attività che untempo erano ritenute pericolose, grazie al progressotecnologico, ora possono essere innocue, mentre al-tre attività, che un tempo erano innocue (o che nonesistevano), oggi possono essere considerate estre-mamente pericolose» (31).

3. Tra casistica e statistica: le attivitàqualificate come pericolose dai documentinormativi e/o considerate pericolosedalla giurisprudenza (nella componentedottrinale e giudiziale)

La pericolosità intrinseca di talune attività è motivoispiratore di interventi legislativi, volti a disciplinar-ne dettagliatamente l’esercizio, che rendono per lopiù pacifica l’applicazione dell’art. 2050 c.c. (32).Valga al riguardo il richiamo ai capi III “Delle rac-colte delle armi e delle passeggiate in forma milita-re”, V “Della prevenzione di infortuni e disastri” eVI “Delle industrie pericolose e dei mestieri rumoro-si e incomodi” del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (t.u.delle leggi di pubblica sicurezza), e agli artt. 81, 82 e96 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (regolamento perl’esecuzione del t.u. 18 giugno 1931, n. 773 delleleggi di pubblica sicurezza).Attività pericolose tipiche sono poi quelle conside-rate dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione del-

l’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in ma-teria di tutela della salute e della sicurezza nei luo-ghi di lavoro) che ha abrogato il d.P.R. 27 aprile1955, n. 547 contenente norme per la prevenzionedegli infortuni sul lavoro e successive integrazioni eil D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 di attuazionedelle direttive europee riguardanti il miglioramentodella sicurezza e della salute dei lavoratori durante illavoro.La l. 29 maggio 1974, n. 256 sulla “Classificazione edisciplina dell’imballaggio e dell’etichettatura dellesostanze e dei preparati pericolosi” all’art. 2, comma2, offre ragguagli sui preparati e le sostanze «consi-derati “pericolosi”».Si discute ancora se pericolosa debba ritenersi l’atti-vità di trattamento dei dati personali. Il dubbio è originato dalla circostanza che l’art. 18della l. 31 dicembre 1996, n. 675 sulla “Tutela dellepersone e di altri soggetti rispetto al trattamento deidati personali”, oggi art. 15 del D.Lgs. 30 giugno2003, n. 196 (Codice in materia di protezione deidati personali), prevede che «Chiunque cagionadanno ad altri per effetto del trattamento di datipersonali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’arti-colo 2050 del codice civile».Parte delle dottrina ritiene che il richiamo all’art.2050 c.c. abbia il solo fine di «invocare la ormaiconsolidata interpretazione della norma sul puntodella prova liberatoria dalla responsabilità» (33),importando per tal via la regola di responsabilitàpresunta.In questa logica il rinvio «non può significare sen-z’altro la classificazione dell’attività di trattamentocome attività pericolosa: vi avrebbe provveduto la

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Note:

(28) Così, Trib. Mantova, 29 dicembre 2005, in Resp. civ., 2006,5, 471: «Non può considerarsi pericolosa l’attività di commercia-lizzazione di un prodotto di tipo cosmetico, non finalizzato a cu-rare malattie ma da utilizzarsi per l’igiene quotidiana della pelle.Va peraltro esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 2050 c.c.l’attività che non è pericolosa di per sé ma resa tale dall’azione dicause esterne, quali la presenza di componenti nel prodotto -non noti al distributore - che rendono il medesimo potenzial-mente nocivo per la salute umana».

(29) Si veda al riguardo: Monateri, La responsabilità civile, in Trat-tato dir. civ., Torino 1998, 1023.

(30) Visintini, op. cit., 198.

(31) Bonilini-Confortini-Granelli (a cura di), op. cit., 3570.

(32) Vi è da dire, anzi, che fino agli anni ‘50 la giurisprudenza eraper lo più indirizzata verso una tesi restrittiva che concedeva l’ap-plicazione dell’art. 2050 c.c. alle sole attività legalmente tipizzatecome pericolose.

(33) Franzoni, L’illecito, in Tratt. della responsabilità civile, Mila-no, 2010, 676.

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legge direttamente senza l’inutile fictio del rinvio ap-punto. Il richiamo all’art. 2050 c.c., invece, consen-te di dare attuazione all’art. 23 della direttiva95/46/CE, lasciando alla giurisprudenza il compito diindividuare, alla luce dell’esperienza maturata nel-l’applicazione della disciplina delle attività pericolo-se e delle specificità sancite dalla l. n. 675 del 1996, ipossibili contenuti della prova liberatoria» (34).Di diverso avviso sono invece coloro che ravvisanonel trattamento dei dati personali «il rischio tipicodella violazione di diritti essenziali dell’uomo» (35),con ciò ritenendo assunta la pericolosità dell’attivi-tà in questione (36). L’art. 2050 c.c. è invece certa-mente messo fuori gioco dalla normativa specialeche, considerata la pericolosità specifica di taluneattività, detta regole di responsabilità proprie dellospecifico settore di riferimento.Si pensi, ad esempio, all’impiego pacifico di energianucleare (37) e alla navigazione aerea (38) o alla gui-da di veicoli e alle attività professionali, sottopostealle regole di cui all’art. 2054 c.c. e all’art. 2236 c.c.Andando oltre il dato desumibile dai documentinormativi, la casistica delle attività ritenute perico-lose si apre a dismisura, lasciando oggettivamenteperplesso l’interprete.L’attività edilizia, per sua natura non oggettivamen-te pericolosa, può divenirlo ove comporti rilevantiopere di trasformazione o di rivolgimento o di spo-stamento di masse terrose e scavi profondi ed inte-ressanti vaste aree (39). Del resto l’uso delle attrez-zature (impalcature, ponteggi, ecc.) e dei macchina-ri (escavatrici, betoniere, ruspe, ecc.) funzionali al-l’esercizio della specifica attività impone un obbligodi particolare prudenza onde prevenire danni a per-sone o cose.Il servizio ferroviario non è considerato attività peri-colosa (40), pur non mancando precedenti cheaprono la strada all’applicazione dell’art. 2050 c.c.in presenza di connotati di pericolosità, eccedenti illivello normale del rischio, che determinino «unasituazione anomala rispetto a quella ordinariamenterichiesta per la sicurezza generale» (41).L’attività di esecuzione di lavori sulla pubblica stra-da viene considerata pericolosa ex art. 2050 c.c.,poiché probabile fonte di pericolo per gli utentidella strada ove non si dimostri l’adozione di tuttele misure idonee ad evitare il danno. Queste sonosottratte alla discrezionalità dell’esercente quandola legge imponga l’obbligo di adottare talune misu-re: in tal caso la presunzione di responsabilità ope-ra per colui che abbia adottato misure diverse daquelle prescritte da norme legislative o regolamen-tari, non essendovi margine per la valutazione del-

l’idoneità di diverse precauzioni eventualmenteadottate (42).Non sembrano esservi dubbi sulla applicazione del-l’art. 2050 c.c. con riferimento alla produzione e di-stribuzione di gas in bombole, ipotesi in cui si suoldire che il pericolo si materializzi e si trasfonda neglioggetti dell’attività medesima che mantengono laloro intrinseca pericolosità anche quando il dannosi produca in una fase successiva alla consegna al-l’utente (43).

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Note:

(34) Comandè, sub art. 18 della l. 31 dicembre 1996, n. 675, inLe nuove leggi civili commentate, Padova, 1999, 488.

(35) Comporti, op. ult. cit., 253 anche per la bibliografia pertinen-te.

(36) V. Trib. Biella 29 marzo 2003, in Guida al dir., 2003, 15, 70 ovesi legge «La pubblicazione di una fotografia integra gli estremi deltrattamento dei dati personali di cui alla legge 675 del 1996 ed èquindi sottoposta agli obblighi e ai limiti previsti dalla normativa,la cui violazione, precisa l’articolo 18 di detta legge, comportaun’automatica responsabilità ex articolo 2050 del c.c.».

(37) Tale attività è compiutamente disciplinata dalla l. 31 dicem-bre 1962, n. 1860 sull’«Impiego pacifico dell’energia nucleare»,dal d.P.R. 10 maggio 1975, n. 519 contenente «Norme per l’ap-plicazione degli atti internazionali in materia di responsabilità ci-vile nel campo dell’energia nucleare ratificati e resi esecutivi conla legge 12 febbraio 1974, n. 109 e per il coordinamento dei pre-detti atti internazionali con le disposizioni di legge in vigore»,nonché dal d.m. 20 marzo 1979 «Esclusione di alcune categoriedi materie nucleari dal campo di applicazione delle convenzioni diParigi e Bruxelles sulla responsabilità civile nucleare».

(38) La navigazione aerea gode di autonoma disciplina contenu-ta nel codice della navigazione. Del resto «La navigazione aereanon è considerata dal legislatore come un’attività pericolosa, népuò ritenersi che essa possa oggettivamente definirsi tale per lasua natura, per le caratteristiche dei mezzi adoperati o per la suapotenzialità offensiva, tenuto conto che con essa si esercita untrasporto ampiamente diffuso, considerato, rispetto agli altri, abasso indice di rischio, in astratto e in generale. Tuttavia la peri-colosità dell’attività in esame può sussistere in concreto tutte levolte in cui essa non rientri nella normalità delle condizioni previ-ste, in osservanza dei piani di volo, di condizioni di sicurezza, diordinarie condizioni atmosferiche, con conseguente applicabilitàin tal caso della disposizione di cui all’art. 2050 c.c.»: Cass. 10novembre 2010, n. 22822, in Giust. civ., Mass. 2010, 11, 1427.

(39) Cass. 9 aprile 2009, n. 8688, cit.; Cass. 7 maggio 2007, n.10300, in Giur. it., Mass. 2007, relativa a scavi effettuati dall’am-ministrazione pubblica su un tratto di costa per la realizzazione diun nuovo porto; App. Bari 7 aprile 2006, Massima redazionale,2006, relativa al danneggiamento di un cavo telefonico ad operadi un escavatore impegnato nelle opere propedeutiche alla rea-lizzazione di un muro di contenimento; Cass. 10 febbraio 2003,n. 1954, in Giur. it., Mass. 2003.

(40) Trib. Reggio Calabria 30 ottobre 2003, in Giur. merito, 2004,695.

(41) Cass. 1° aprile 1995, n. 3829, in Giur. it., Mass. 1995.

(42) Cass. 24 novembre 2003, n. 17851, in Giur. it., Mass. 2003,con riguardo a fattispecie di lavori stradali eseguiti su di un mar-ciapiedi senza l’adozione di cartelli di pericolo e di appositi ripari,come stabilita dall’art. 8 lett. b) d.R.P. n. 393 del 1959, in vigoreall’epoca dei fatti. In senso conforme anche Cass. 13 maggio2003, n. 7298, in Giur. it., Mass. 2003.

(43) Cass. 30 agosto 2004, n. 17369, in Giur. it., Mass. 2004.

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OpinioniAttività pericolosa

Si ritiene poi che la presunzione posta dall’art. 2050c.c. possa essere invocata da soggetti (es. vigili delfuoco) non estranei al rischio connesso all’attivitàpericolosa (44).Esclusa dal novero delle attività pericolose è invecel’attività di carico e scarico di confezioni con conte-nitori spray (45).La produzione e la fornitura di energia elettrica è re-putata attività pericolosa (46); mentre l’esercizio diuna conduttura aerea di energia elettrica a bassa ten-sione si considera attività pericolosa solo ove non sia-no adottate le misure di sicurezza prescritte per la co-struzione e l’esercizio delle linee aeree esterne (47).Pericolosa è la produzione di rifiuti tossici, a nullavalendo, ai fini della esclusione di responsabilità,l’aver affidato a terzi le operazioni di stoccaggio esmaltimento (48). Si ritiene altresì pericolosa l’attività di disinfestazio-ne a causa dei mezzi adoperati e per l’inquinamentoche può seguirne (49).Analoga sorte merita l’attività d’importazione e dicommercializzazione di farmaci alla luce della pro-babilità statistica di eventi dannosi e della gravitàdei danni ragionevolmente prevedibili (50). Nel particolare, non è posta in dubbio la pericolosi-tà insita nella produzione e immissione in commer-cio di farmaci contenenti gammaglobuline umane edestinati all’inoculazione nell’organismo umano,considerati i rischi di contagio. Non è pertanto di-scussa la responsabilità ex art. 2050 c.c. del produt-tore, dell’importatore del farmaco e del produttoredelle dette gammaglobuline, soggetti che possonosuperare la presunzione di responsabilità solo assol-vendo all’onere probatorio dell’adozione di tutte lemisure idonee ad evitare il danno alla luce dellascienza medica, non essendo sufficiente la prova dinon essere incorsi in violazione di norme di legge odi comune prudenza (51).Non alimenta incertezze la pericolosità della praticaterapeutica della trasfusione del sangue e dell’usodegli emoderivati; ci si interroga invece sulla perico-losità delle attività di controllo e di vigilanza cui ètenuto il Ministero della salute. La giurisprudenzapiù recente esclude che la responsabilità di quest’ul-timo per i danni conseguenti ad infezione da HIV eda epatite, contratte da soggetti emotrasfusi peromessa vigilanza da parte dell’Amministrazione sul-la sostanza ematica e sugli emoderivati, sia ricondu-cibile alla violazione dell’art. 2050 c.c. ricadendo in-vece nell’alveo della disciplina di cui all’art. 2043c.c. (52).Attività pericolosa è la fangoterapia (53) che, per lanatura del mezzo adoperato (il fango), può essere

causa, con frequenza, di incidenti ai clienti che uti-lizzano gli impianti.La giurisprudenza non riconosce la pericolosità del-l’attività bancaria anche nel caso in cui i clienti sia-no esposti ai seri rischi delle azioni di malviventi,poiché queste non derivano dalla natura dell’attivi-tà bancaria che ne è semplice occasione (54).Volgendo lo sguardo alle attività sportive e ludichela griglia di attività sottoposte al regime dell’art.2050 c.c. si arricchisce ulteriormente.L’organizzazione di una gara sportiva non è di per sépericolosa con riguardo ai pregiudizi subiti dagliatleti a seguito di errori del gesto sportivo; la stessapuò esser invece oggetto di un giudizio di pericolosi-tà quando comporti, per fatto degli organizzatori, unaumento del rischio che gli atleti possano risentireun danno. In tal caso si ritiene che gravi sugli orga-nizzatori la prova di aver adottato tutte le misure ne-cessarie a contenere il rischio nei limiti propri del-l’attività sportiva specifica (55).Pericolosa è l’organizzazione di una gara motocicli-stica su circuito aperto al traffico (56).Note:

(44) Cass., sez. I, 11 dicembre 1995, n. 12640, in Giust. civ.,1995, I, 354.

(45) Cass. 8 giugno 1985, n. 3445, in Giur. it., Mass. 1985.

(46) Cass. 15 maggio 2007, n. 11193, in Giur. it., Mass. 2007.

(47) Cass. 29 maggio 1989, n. 2584, in Giur. it., 1990, I, 1, 234.

(48) Cass. 1° settembre 1995, n. 9211, in Giur. it., Mass. 1995.Si noti che la materia ambientale trova oggi dettagliata disciplinanel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’ambiente) e suc-cessive modificazioni, normativa emanata in recepimento delladirettiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia diprevenzione e riparazione del danno ambientale. Per un attentoesame delle scelte operate dal legislatore italiano in materia siveda Pozzo, La direttiva 2004/35/CE e il suo recepimento in Ita-lia, in Riv. giur. ambiente, 2010, 1, 1. Non infruttuosa potrebbeessere forse un’indagine volta a verificare eventuali punti di con-tatto, se non di sovrapposizione, tra la fattispecie di cui all’art.2050 c.c. e l’illecito ambientale, per come disegnato nella legi-slazione speciale, tutte le volte in cui scaturisca dall’esercizio diun’attività pericolosa. Sul disastro ambientale di Seveso e sulleconseguenti responsabilità civili e penali v. Seveso trent’anni do-po: percorsi giurisprudenziali, sociologici e di ricerca, a cura diBarbara Pozzo, Milano, 2008.

(49) App. Roma 25 marzo 2009, n. 1300, in Dir. e giur. agr. amb.,2009, 10, 630.

(50) App. Roma 21 novembre 2006, Massima redazionale, 2007.

(51) Cass. 20 luglio 1993, n. 8069, in Giur. it., Mass. 1993.

(52) Trib. Salerno 22 giugno 2010, n. 1502, in Banca Dati De Ju-re; Cass. 11 gennaio 2008, n. 576, in Giur. it., Mass. 2008.

(53) Trib. Perugia 4 ottobre 1991, in Rass. Giur. Umbra, 1995,146.

(54) Cass. 27 maggio 2005, n. 11275, in Giur. it., Mass. 2005.

(55) Si veda al riguardo Cass. 13 febbraio 2009, n. 3528, in Giust.civ., 2009, 7-8, 1561 con riferimento ai danni subiti da un atletadurante una gara di bob.

(56) Cass. 24. gennaio 2000, n. 749, in Giur. it., Mass. 2000.

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Ricade nell’ambito di operatività dell’art. 2050 c.c.l’organizzazione di incontri di calcio professionistico(57) anche per la ben nota, e altamente prevedibile,conflittualità che spesso contrappone i tifosi.Si tende a negare carattere di pericolosità al gio-co del calcio in sé considerato in quanto attivitàsportiva ludica tanto da esser praticata nellescuole nell’ambito della disciplina di educazionefisica (58).L’attività di gestione di un impianto sciistico puòqualificarsi come pericolosa, ai sensi dell’art. 2050c.c., se le modalità con cui è esercitata presentinouna notevole potenzialità di danno per i terzi (59).Tale orientamento non è pero pacifico, rinvenendo-si nei repertori molte decisioni nelle quali, assuntala natura atipica del contratto di trasporto tra scia-tore e gestore di un impianto di risalita, si esclude,nel caso di infortunio per difetto di manutenzionedelle piste, la responsabilità del gestore ex art. 2050c.c. non ritenendosi intrinsecamente pericolosa l’at-tività di esercizio di impianto di risalita (60).Si considera tendenzialmente pericolosa l’attivitàsciistica poiché «La velocità che possono comunqueacquistare gli sci, indipendentemente da un vero eproprio impegno agonistico, l’affollamento delle pi-ste, la mancanza di nette separazioni tra sciatori eterzi, la frequenza degli incidenti, sono tutti indici diuna potenzialità di pericolo che non può essere sot-tovalutata e che si ritiene consenta l’applicabilitàdell’art. 2050 c.c.» (61).È costantemente ritenuto esercente di attività peri-colosa il gestore del maneggio ove vengano imparti-te lezioni di equitazione, qualora gli allievi sianoprincipianti, del tutto ignari di ogni regola di equi-tazione ovvero giovanissimi (62) e pertanto incapa-ci di controllare l’imprevedibilità dell’animale senon sottoposto ad un comando valido.La maggiore esperienza degli allievi fa invece soggia-cere l’attività equestre alla presunzione di responsabi-lità di cui all’art. 2052 c.c. con conseguente variazio-ne dell’onere probatorio a carico del proprietario odell’utilizzatore dell’animale: non basta in tal casoprovare l’assenza di colpa, ma anche l’evento fortuito.Parimenti pericolosa è ritenuta l’attività sportiva dialpinismo allorquando sia svolta da soggetti privi diesperienza con conseguente responsabilità ex art.2050 c.c. per le società del settore che organizzinocorsi per principianti (63).Anche il gestore di un circuito per go-karts può es-ser chiamato a rispondere ex art. 2050 c.c., al pari diogni altro responsabile di attrezzature sportive o ri-creative, tutte le volte in cui l’uso delle attrezzaturetraduca l’attività in pericolosa (64).

Costituisce attività pericolosa la gestione di una pistad’autoscontro (65) o di un parco di divertimenti (66).Non è considerata pericolosa la gestione di una pi-scina (67), anche se la dottrina evidenzia che la pe-ricolosità insita nella gestione di una piscina «è no-toria e non va provata in modo particolare, rien-trando essa nelle nozioni di comune esperienza det-tate anche dai tragici e frequenti fatti di cronaca»(68). Di ciò si potrebbe trovar conferma nella nor-mativa deputata a disciplinare gli aspetti igienico-sanitari essenziali per la costruzione, manutenzionee vigilanza delle piscine ad uso natatorio.Pericolosa è invece l’attività venatoria a cagionedell’uso delle armi da fuoco, mezzi naturalmente de-stinati all’offesa (69), e la pratica sportiva del tiro avolo che sempre per l’utilizzo delle armi è ontologi-camente pericolosa per come confermato dalla ne-cessità del preventivo avviso all’autorità locale dipubblica sicurezza delle relative manifestazioni spor-tive (70).

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OpinioniAttività pericolosa

Note:

(57) Trib. Bari 11 ottobre 2007, n. 2301; Trib. Torino 8 novembre2004, in Resp. civ., 2005, 950.

(58) Cass. 19 gennaio 2007, n. 1197, in Giur. it., Mass. 2007 cheesclude la responsabilità dell’insegnante e, per esso, dell’istitu-to scolastico per le lesioni subite da un alunno a causa di un fat-to accidentale nel corso di una partita tenutasi durante la lezionedi educazione fisica.

(59) Cass. 26 aprile 2004, n. 7916, in Resp. civ., 2004, 1, 76.Contra: Trib. Modena 14 maggio 2009, in Banca Dati De Jure;Trib. Rovereto 4 luglio 2006, Massima redazionale, 2006; Trib.Brescia 2 gennaio 2003, in Mass. Trib. Brescia, 2004, 205; Cass.12 maggio 2000, n. 6113, in Giur. it., Mass. 2000.

(60) Trib. Modena 14 maggio 2009, Banca Dati De Jure; Cass. 15febbraio 2001, n. 2216, in Giur. it., Mass. 2001.

(61) Di Martino, op. cit., 115. Più recentemente v. Comporti, op.ult. cit., 232, anche per i puntuali riferimenti alla normativa chedisciplina oggi la pratica degli sport invernali da discesa e da fon-do.

(62) Così: Cass. 22 luglio 2010, n. 17216, in Dir. & Giust., 2010;Cass. 19 giugno 2008, n. 16637, in Giur. it., Mass. 2008; Trib.Nuoro 22 febbraio 2006, in Riv. Giur. Sarda, 2007, 2, 1, 393;Cass. 1° aprile 2005, n. 6888, in Resp. civ., 2005, 661; Trib. Bre-scia 23 ottobre 2003, in Mass. Trib. Brescia, 2004, 205; Trib. Mi-lano 29 giugno 2000, in Riv. giur. Polizia, 2002, 375; Cass. 24 set-tembre 1998, n. 9581, in Giur. it., Mass. 1998.

(63) Trib. Milano 21 novembre 2002, in Giur. mil., 2003, 2, 80.

(64) Cass. pen. 27 maggio 2003, n. 34620, in Riv. pen., 2005,506 con riguardo ad un circuito per go-karts carente di barriereidonee ad evitare l’uscita di pista dei veicoli.

(65) Trib. Modena 18 giugno 2008, in Resp. civ., 2008, 11, 952.

(66) Cass. 27 luglio 1990, n. 7571, in Giur. it., Mass. 1990.

(67) Trib. Roma 10 marzo 2009, n. 5458, in Banca Dati De Jure;Cass. 12 maggio 2005, n. 10027, in Giur. it., Mass. 2005.

(68) Comporti, op. ult. cit., 203.

(69) Trib. Cagliari 27 aprile 1985, in Riv. giur. Sarda, 1986, I, 500.

(70) Trib. Messina 29 dicembre 2007, in Banca Dati De Jure.

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OpinioniAttività pericolosa

Non desta poi sorpresa che pericolosi siano anche ri-tenuti gli spettacoli pirotecnici (71).Può soggiacere al disposto dell’art. 2050 c.c. il forni-tore del servizio di telefonia che, senza il consensoespresso del titolare del numero telefonico, abbiainoltrato comunicazioni indesiderate di caratterecommerciale a mezzo Sms così cagionando disagi aidestinatari e interferenze nella loro sfera privata (72). Si vuol chiudere questo, senz’altro incompleto, ex-cursus con una provocazione suggerita da un’ennesi-ma fattispecie ricondotta nel solco dell’art. 2050c.c.: può essere pericolosa anche l’organizzazione diuna festa prenatalizia considerando il rischio di dan-ni collegato all’alto numero di partecipanti (bambi-ni, genitori, atleti, animatori, operatori) (73). Dicontro non era ritenuta pericolosa l’attività di pro-duzione e commercializzazione di sigarette poichénocivo per la salute è l’abuso di sigarette, e non il so-lo l’uso (74).All’interprete si impone, a questo punto, un serio ri-pensamento sulla sistemica del settore oggetto di ri-cerca. Si insinua un dubbio: è forse metodologicamentepiù corretta e conducente un’operazione inversa ri-spetto a quella sin qui proposta per identificare ilcampo di operatività dell’art. 2050 c.c. Le attivitàche in concreto possono divenire pericolose sem-brano superare numericamente quelle che non losono con certezza e sembrano incidere sulla ratiooriginaria (di genesi) della disposizione codicisticache oggi è alla ricerca di una nuova giustificazioneassiologica.

4. La ricostruzione del nesso causale.Alla ricerca di un equilibrio assiologicodei fatti rilevanti nella fattispecie:la possibile utilizzazione dei criteri di analisi economica nella sequenzautilità/crescita-economica/necessità di prevenzione

L’art. 2050 c.c. addossa al danneggiato l’onere diprovare che l’attività pericolosa esercitata sia l’ante-cedente casuale dell’evento dannoso. Non si preten-de che il danneggiato dimostri il nesso di causalitàtra il danno e l’omissione di cautele da parte del-l’esercente l’attività pericolosa (75).Il profilo del nesso causale si atteggia in modo estre-memente oggettivo non rilevando la prova del nes-so eziologico tra un fatto specifico imputabile al-l’agente e l’evento dannoso.Risale nel tempo l’idea per cui «Il danno che deriva invia diretta dalla pericolosità dell’attività svolta non è

(…) necessariamente legato ad una negligenza delsoggetto che esercità l’attività ma, anzi, è normalmen-te una conseguenza della stessa pericolosità» (76).Per il perfezionamento della fattispecie prevista dal-l’art. 2050 c.c. non è sufficiente però la prova dellasola pericolosità dell’attività svolta tutte le volte incui non sia possibile dimostrare l’esistenza del nessoeziologico tra attività e danno.Si ritiene che l’applicazione dell’art. 2050 c.c. non siestenda ai danni procurati da attività accessorie,collaterali e successive all’attività pericolosa princi-pale poiché «la particolare disciplina prevista dalladisposizione presuppone una pericolosità intrinsecao, quantomeno, inerente ai mezzi utilizzati, sicché,se le attività in questione non sono esse stesse peri-colose, troverà applicazione la disciplina di dirittocomune» (77).Poiché il «presupposto per l’applicabilità della pre-sunzione di colpa di cui all’art. 2050 c.c. è che ildanno sia cagionato nell’esercizio di un’attività peri-colosa e che sussista un nesso di causalità fra lo svol-gimento di tale attività e l’evento dannoso» (78) è

Note:

(71) Cass. pen. 26 marzo 2009, n. 27425; Cass. pen. 9 novem-bre 2004, n. 3458, in Riv. pen., 2006, 2, 237.

(72) Giudice di pace Napoli 26 giugno 2004, in Foro it., 2004, 1,2908.

(73) Trib. Modena 18 luglio 2007, Massima redazionale, 2008.

(74) Trib. Roma 28 gennaio 2009, in Foro it., 2009, 4, 1234; Trib.Roma 5 gennaio 2008, n. 7242, in Giust. civ., 7-8, I, 1789; Trib.Roma 5 dicembre 2007, in Foro. it., 2008, 3, I, 985. Tale costan-te orientamento è da ultimo invertito da Cass. 17 dicembre2009, n. 26516, in Foro it., 2010, 3, I, 869, secondo cui «La pro-duzione e la vendita di tabacchi lavorati integrano un’attività pe-ricolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c., poiché i tabacchi, avendoquale unica destinazione il consumo mediante il fumo, conten-gono in sé, per la loro composizione bio-chimica e per la valuta-zione data dall’ordinamento, una potenziale carica di nocività perla salute». V. anche App. Roma, sez. I, 7 marzo 2005, in Corr.giur., 2005, 5, 668, ove si legge «Sussiste la responsabilità del-l’Ente Italiano Tabacchi per l’evento letale occorso ad un fuma-tore colpito da tumore in quanto l’avere messo in commercio iltabacco senza le debite informazioni sulla natura del prodotto in-tegra una responsabilità da attività pericolosa ai sensi dell’art.2050 c.c. per la ragione che i tabacchi, avendo quale unica desti-nazione il consumo mediante il fumo, contengono in sé, per laloro stessa natura e per la loro composizione bio-chimica, unapotenziale carica di nocività, potendo dal fumo derivare danno al-la salute e, in molti casi, il peggiore dei mali, il cancro ai polmoni.Conseguentemente la mancata informazione su tali rischi al di-ritto fondamentale alla salute che tale ente avrebbe potuto ese-guire, al di là degli obblighi di legge, comporta la sua piena re-sponsabilità».

(75) Cass. 4 dicembre 1998, n. 12307, in Giur. it., Mass. 1998.

(76) De Martini, op. cit., 243.

(77) Cfr. Corsaro, Responsabilità da attività pericolose, in Dige-sto civ., XVII, Torino, 1998, 87.

(78) Così già Cass. 21 giugno 1984, n. 3678, in Arch. civ., 1984,1302.

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diffusa l’opinione per cui la fattispecie speciale di re-sponsabilità possa essere invocata solo quando ildanno sia stato arrecato in costanza di attività peri-colosa. Ciò induce ad affermare che «Una volta chequesta attività sia cessata prima dell’evento dannosoviene meno la situazione prevista dall’art. 2050 c.c.e trova, invece, applicazione la normale disciplinadell’art. 2043 c.c. o, quella dell’art. 2051 c.c., nel-l’ipotesi in cui le cose con le quali è stata svolta l’at-tività pericolosa siano rimaste nella disponibilità esotto la custodia dell’esercente» (79). Del resto - siosserva - «(…) questa particolare disciplina della re-sponsabilità trova la propria ragion d’essere nel con-testo di un’attività «in fieri» la quale determini unagrave potenzialità di danno» (80) ond’è che resta in-certa la soluzione per il caso in cui l’attività perico-losa sia solo sospesa momentaneamente.È stata oggetto di dibattito la possibilità di riportareall’art. 2050 c.c. la fattispecie in cui il danno, pur ri-conducibile a cose prodotte nell’esercizio di un’atti-vità pericolosa, si sia verificato in un momento suc-cessivo ovvero quando la cosa sia entrata nella di-sponibilità materiale di altri (81). In questa ipotesisi suole invocare la responsabilità ex art. 2050 c.c.solo ove il danno dipenda da un difetto della cosa dital guisa che il fatto dannoso sia ascrivibile all’atti-vità pericolosa. Se il danno discende invece da undifetto di custodia appare, ancora una volta, più per-tinente il richiamo alla disciplina posta dall’art.2051 c.c. proprio per i danni cagionati da cosa in cu-stodia (82).L’attività pericolosa non deve essere solo occasionedel danno rispetto al quale deve invece posizionarsicome causa efficiente: «È necessario, in altri termi-ni, che il comportamento attivo od omissivo del-l’uomo, al quale viene ricollegato eziologicamente ildanno, non sia quello di un soggetto qualsiasi, ma dicolui che esercita un’attività pericolosa, nel mo-mento in cui pone in essere la potenzialità di dannoche è tipica, cioè insita oggettivamente ed inscindi-bilmente, in quella determinata attività» (83).Occore pertanto che sia provata la relazione direttatra il danno e il rischio specifico dell’attività perico-losa o dei mezzi adoperati: diversamente si gravitaintorno al criterio generale di cui all’art. 2043 c.c.che può essere applicato ove presenti i suoi presup-posti minimi (84). Per tale ragione si ritiene chel’art. 2050 c.c. configuri «(…) una responsabilitàper rischio tipico dell’attività intrapresa» (85).Si ammette che tale prova possa esser raggiunta an-che mediante presunzioni ex art. 2729 c.c. Si è rite-nuto così, ad esempio, che in tema di responsabilitàper danno causato da attività pericolosa da emostra-

sfusione, la prova del nesso causale tra la trasfusioneed il contagio possa esser offerta mediante meccani-smi presuntivi quando la struttura sanitaria non ab-bia predisposto o prodotto la documentazione obbli-gatoria sulla tracciabilità del sangue trasfuso al sin-golo paziente (86).La giurisprudenza, avuto riguardo al fatto obiettivodella derivazione causale del danno dall’esercizio del-l’attività pericolosa, reputa che la presunzione di re-sponsabilità possa riconnettersi non solo agli eventidannosi conseguenti direttamente ad un comporta-mento positivo, ma anche a quelli che discendanodall’omissione della condotta dovuta (87).Non vi è difficoltà a riconoscere che il nesso causalevenga reciso da una causa efficiente sopravvenutacapace di cagionare da sola l’evento anche in pre-senza di una situazione astrattamente idonea a fon-dare una responsabilità ex art. 2050 c.c. In tal casol’interruzione eziologica tra l’attività pericolosa el’evento dannoso produce effetti liberatori perl’esercente l’attività pericolosa anche nell’ipotesi incui non abbia adottato tutte le misure idonee ad evi-tare il danno (88).Le Corti ritengono, infatti, che ai fini dell’accerta-mento del nesso di causalità tra l’attività e il dannodebba ricorrere una duplice condizione: il fatto deve

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Note:

(79) Di Martino, op. cit., 126 s.

(80) Di Martino, op. cit., 126.

(81) La questione è senz’altro oggi di minor rilievo per effettodella particolareggiata disciplina dedicata alla responsabilità delproduttore. Sull’argomento si veda: Gorassini, Contributo per unsistema della responsabilità del produttore, Milano, 1990; Il dan-no da prodotti in Italia, Austria, Germania, Svizzera, a cura di Pat-ti, Padova, 1990; Franzoni, Dieci anni di responsabilità del pro-duttore, in questa Rivista, 1998, 823; Alpa-Bessone, La respon-sabilità del produttore, IV ed., a cura di Torcello, Milano, 1999;Ponzanelli, Responsabilità oggettiva del produttore e obbligo diinformazione, in questa Rivista, 2003, 1011; D’Arrigo, La re-sponsabilità del produttore, Profili dottrinali e giurisprudenzialidell’esperienza italiana, Milano, 2006; Bortone-Buffoni, La re-sponsabilità per prodotto difettoso e la garanzia di conformità nelcodice di consumo, Torino, 2007; Teti, La responsabilità del pro-duttore, in Fava, La responsabilità civile, Milano, 2009, 2113 ss.

(82) V. Cass. 13 gennaio 1982, n. 182, in Resp. civ. prev., 1982,746.

(83) Comporti, op. ult. cit., 208.

(84) Cass. 21 ottobre 2005, n. 20359, in Giur. it., Mass. 2005.

(85) Monateri, Le attività, cit., 111.

(86) In tal senso: Cass. 11 gennaio 2008, n. 582, in Giur. it.,Mass. 2008.

(87) Tanto si verifica allorquando, ad esempio, non venganoadottate le misure di sicurezza necessarie poiché anche in tal ca-so il danno deriva comunque dallo svolgimento dell’attività peri-colosa. In tal senso: Cass. 6 maggio 1978, n. 2189, in Giur. it.,Mass. 1978.

(88) Cass. 13 marzo 2007, n. 5839, in Giur. it., Mass. 2007.

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essere un antecedente necessario dell’evento cherientra tra le conseguenze normali ed ordinarie delfatto; l’antecedente non deve esser poi neutralizzatodalla sopravvenienza di un fatto idoneo a determi-nare l’evento. Pertanto la causa efficiente sopravve-nuta, che abbia i requisiti del caso fortuito - eccezio-nalità e oggettiva imprevedibilità - e sia idonea a ca-gionare l’evento, spezza il nesso eziologico (89) im-pedendo ogni declaratoria di responsabilità anchequando sia attribuibile al fatto di un terzo o del dan-neggiato (90).Il fattore esterno, attenendo alle modalità di causa-zione del danno, può anche concretizzarsi nel fattodello stesso danneggiato dotato dei caratteri dell’im-prevedibilità e dell’eccezionalità. Tutte le volte incui il comportamento colposo del danneggiato nonsia in grado di interrompere il nesso causale tra lacondotta del danneggiante ed il danno, esso può co-munque rilevare ed essere valutato ai sensi dell’art.1227, comma 1, c.c. con conseguente riduzione delrisarcimento in relazione all’incidenza della colpadel danneggiato (91).Nell’ipotesi di causa ignota, l’esercente di attivitàpericolosa può esser ritenuto responsabile ove risultinon interrotto il nesso di causalità con l’eserciziodell’attività pericolosa, ma non quando persista in-certezza sul fattore causale e sulla stessa riconducibi-lità del fatto all’esercente (92). In tal caso l’attivitàpericolosa sembra attestarsi quale occasione ma nonquale causa del danno (93). Allorquando sia raggiunta la prova del nesso causa-le tra il danno e la mancata adozione di misure di si-curezza, non giova all’esclusione della responsabili-tà ex art. 2050 c. c. la circostanza che il danneggia-to non abbia posto in essere autonome iniziativevolte a paralizzare l’effetto nocivo delle omissioniimputabili all’esercente l’attività pericolosa: l’art.2050 c. c. non sembra poter essere interpretato nelsenso di imporre a soggetti estranei obblighi di dili-genza, né può ritenersi che il suo ambito operativosia limitato alle ipotesi in cui «la pericolosità sia oc-culta, non avvertibile secondo un metro di ordina-ria diligenza e quindi tale da tradursi in una insidianascosta» (94).La ricomposizione di tutti questi dati sembra indiriz-zare verso l’esistenza di una nozione complessa dicausalità la cui prova può esser raggiunta all’esito dimolteplici valutazioni sulla dinamica propria del ca-so specifico. Sembra per questo cogliere nel segnoquella dottrina per la quale «la piena dimostrazionedella sussistenza del rapporto di causalità possa esse-re data solo in mancanza della prova liberatoria, po-sto che anche quest’ultima si pone sul piano del rap-

porto di causalità» (95). Da ciò deriva che pur gra-vando sul danneggiato la dimostrazione del nesso dicausalità, tale prova non appare in concreto estre-mamente rigorosa giacché «la sussistenza del rappor-to causale è frutto del concorso dell’attività probato-ria di entrambe le parti in causa: potrà dirsi raggiun-ta solo se l’esercente non riesca a fornire la dimo-strazione di aver adottato tutte le misure idonee adevitare il danno» (96).Al giudice di merito compete il relativo accerta-mento che rientra tra i suoi poteri ed è incensurabi-le in cassazione se sufficientemente e logicamentemotivato (97).La problematica del nesso causale si stempera se allabase dell’istituto si pone la ricerca dell’efficienzanella gestione del danno da attività che, sia pur dan-nosa con molta probabilità, vuole mantenersi possi-bile e libera, secondo i canoni propri dell’analisieconomica del diritto (EAL) (98). Attraverso unavalutazione comparata dei costi di prevenzione, delcosto del danno e dei costi transattivi, si individua ilpunto di allocazione e distribuzione dei danni repu-tato efficiente; in una fattispecie come quella in esa-me il punto di sistema efficiente sembrerebbe essereposizionato in una prevenzione bilaterale gestita si-no al limite della prevenzione unilaterale attraversoil meccanismo dell’inversione dell’onere della prova

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Note:

(89) Cass. 18 luglio 2011, n. 15733, in Dir. & Giust., 2011.

(90) Così: Corte d’Appello Roma 26 aprile 2011, n. 1843, in Gui-da al dir., 2011, 24, 70; Cass. 5 gennaio 2010, n. 25, in Red.Giust. civ., Mass. 2010, 1; Cass. 10 marzo 2006, n. 5254, in Giur.it., Mass. 2006.

(91) Cass. 8 maggio 2003, n. 6988, in Giur. it., Mass. 2003.

(92) V. Cass. 17 luglio 2002, n. 10382, in Giur. it., Mass. 2002.

(93) Franzoni, Dei fatti illeciti, sub art. 2050, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 510.

(94) Cass. 29 maggio 1989, n. 2584, in Giur. it., 1990, I, 1, 234.

(95) Franzoni, op. ult. cit., 507.

(96) Franzoni, op. ult. cit., 509.

(97) Cass. 17 luglio 2002, n. 10382, in Giur. it., Mass. 2002.

(98) Certo non è la sede per discutere della EAL e dei suoi me-todi ormai noti e utilizzati in diversi campi del diritto. Si richiama-no solo fra le opere generali recenti: F. Forte, Analisi economicadel diritto. Le istituzioni, Reggio Calabria Iriti, 2005 e S. Shavell,Analisi economica del diritto, Torino, 2007; per quanto riguardaspecificatamente la responsabilità oltre la classica opera di R.Posner, Economic analysis of Law, VII ed., Aspen New York, peri suoi recenti adattamenti Frezza-Parisi, Responsabilità civile eanalisi economica, Milano, 2006; J. Goldberg B. Zipursky, Tortsas Wrongs, Texas Law Review, 88, 5, 2010, 917 ss. e i contributidi J. Nockleby, K. Simons, J. Coleman e Wrigth in Loyola LawReview, 41, 4, Los Angeles 2008, 1143 ss. Utili indicazioni pos-sono anche trarsi da L. Mc Quillan H. Abramyan, U.S. Liability in-dex: 2010 report.

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e la difficoltà della prova liberatoria che finisce perincidere sulla portata stessa del nesso causale (99).Gli incentivi per un comportamento efficiente deisoggetti idoneo a ridurre i costi sociali dei danni, ca-pace di assicurare la internalizzazione delle esternalitàdell’attivita pericolosa (massimizzando comunque lapossibilità della ricchezza sociale complessiva conse-guente allo svolgimento dell’attività stessa) potrebberealmente fornire - al di là dei limiti di una analisieconomica (100) - una plausibile spiegazione dellastruttura sistemica della fattispecie di cui all’art.2050 c.c. e suggerire un suo possibile operare praticofuori dai modelli rigorosi o uniformi di nessi di causa-lità e causalità materiale accertati scientificamente.

5. Sulla natura della responsabilità exart. 2050 c.c. Ipotesi a confronto: il rischiodella deriva di sistema optandoper la responsabilità oggettiva

All’indomani dell’entrata in vigore del Codice vigen-te si osservò con riferimento all’art. 2050 c.c.: «Il dan-no di cui qui si parla è inevitabile per definizione,quand’anche si usi la più scrupolosa e accurata dili-genza; onde, se ben vediamo, i casi non possono esse-re che due, e cioè: o il danno è stato dovuto a colpadell’agente, e questi risponderà per il medesimo in ba-se all’art. 2043 c.c., o è stato dovuto invece alla peri-colosità per natura dell’attività stessa, o dei mezzi usa-ti, e l’agente o sarà libero da ogni responsabiltà o ri-sponderà sempre senza possibilità di discolpa» (101).Tali osservazioni critiche alla formulazione dell’art.2050 c.c., muovendo dalla ritenuta natura oggettivadella responsabilità in oggetto, spingevano a ritenereche «L’art. 2050 c.c. avendo ammesso, nel suo prin-cipio, che la responsabilità, in caso di attività perico-lose, o svolte con mezzi pericolosi, è obbiettiva, nonpoteva correttamente ammettere l’eccezione che di-spone nell’ultima sua parte. Si tratta tuttavia di unascorrettezza più teorica che pratica, perché la provache l’art. 2050 permette ha per suo contenuto la di-mostrazione di un fatto irrilevante» (102).Appare utile confrontare tali constatazioni, formula-te in un tempo ormai lontano (103), con la progres-siva evoluzione che ha interessato l’impostazionedella fattispecie di responsabilità in oggetto per comeoggi percepibile anche da un veloce esame degli in-terventi dottrinali e giurisprudenziali susseguitisi.Pur essendo vero, in termini rigorosi, che il datonormativo addossa all’esercente di attività pericolo-sa la responsabilità per i danni ai terzi, sembra po-tersi ritenere plausibile l’opinione per cui sia impo-sta un’intensificazione del dovere di diligenza (104)

richiesto per lo svolgimento di siffatte attività: «in-vero, modello comparativo non è, qui, l’individuomediamente diligente e prudente, ma quello rigoro-samente meticoloso ed estremamente perito, nonl’uomo medio munito di diligenza ordinaria, seppureaderente alla natura dell’attività esercitata, ma l’uo-mo provvisto di scrupolosissima virtù, che previenei danni producibili dalla propria attività pericolosamediante l’esauriente ricerca ed applicazione di tut-ti gli opportuni rimedi» (105). Secondo tale impo-stazione la colpa, da valutare in un giudizio compa-rativo con tale ampio dovere di diligenza, rilevereb-be anche se minima e la possibilità di provare l’as-senza di colpa impedirebbe di attribuire carattereoggettivo alla responsabilità per esercizio di attivitàpericolosa (106).Tale atteggiamento interpretativo fece però i conticon la constatazione che «Le possibilità di protezio-ne del danneggiato, fondate sui principi che regola-no la responsabilità per colpa, appaiono (…), ormai,estremamente ridotte di fronte alla complessità or-ganizzativa dell’impresa moderna, alle difficoltà diindividuazione dei soggetti cui va attribuito il com-portamento negligente, alla esistenza di disposizioniregolamentari e amministrative insufficienti, all’usodi sostanze dagli effetti nocivi non chiaramente ac-certati» (107).Su questo sfondo si sono innestate le varie teorieche prescindendo o sfumando il requisito della colpa

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Note:

(99) Cfr. Monateri, Responsabilità civile, in Digesto disc. priv., To-rino, 2002, 1 ss.

(100) Per una analisi sintetica dei metodi della EAL e dei loro li-miti v. Gorassini, Analisi economica del diritto: chiose sul ruoloattuale di un metodo nella responsabilità civile, in Roma e Ame-rica, Diritto romano comune, 11/2001, 173 ss.

(101) Pacchioni, Obbligazioni e Contratti, Padova, 1950, 153 s.

(102) Pacchioni, op. cit., 154.

(103) Lo stesso Pacchioni evidenzia del resto come «Ciò chenon ha fatto espressamente il codice, potrà tuttavia venir fattodalla dottrina civilistica, alla quale spetta il delicato compito diriordinare a sistema le positive disposizioni del legislatore, rial-lacciandole ai loro presupposti concettuali e storici e collocando-le nello sfondo suggestivo del movimento scientifico relativo»:Pacchioni, op. cit., 157.

(104) Si ritiene anche che, pur essendovi nella Relazione al codi-ce civile (n. 795) un espresso riferimento all’ampliamento delcontenuto del dovere di diligenza, «In realtà, si tratta pur sempredi applicare il generale criterio della normale diligenza, che ri-chiede un impegno adeguato alla natura dell’attività esercitata(1176² cc), e quindi un impegno professionale qualificato»: Bian-ca, Diritto civile, 5, Milano, 1994, 710.

(105) In tal senso già De Cupis, Il danno, Teoria generale della re-sponsabilità civile, vol. II, Milano, 1970, 172 ss.

(106) Così, De Cupis, op. cit., 191.

(107) Di Martino, op. cit., 140 s.

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fotografano il processo esegetico che ha condotto al-la ricerca di modelli di responsabilità fondati su cri-teri meglio rispondenti alle nuove esigenze socio-economiche.Si pensi all’idea per cui «il legislatore non intese,con l’art. 2050 c.c., riaffermare il principio dell’art.2043 c.c. aggiungendovi solo una inversione del-l’onere della prova. L’intenzione era non solo di in-vertire l’onere della prova, ma anche di dettare, conuna regola di diritto sotanziale, una responsabilitàpiù rigorosa della responsabilità per colpa» (108).In coerenza con queste premesse si è evidenziato chela mancata adozione di tutte le misure idonee adevitare il danno non necessariamente coincide conla violazione di un dovere di condotta, di talchél’art. 2050 c.c. disegnerebbe «una figura particolaredi responsabilità oggettiva, più limitata di quella cheha per limite il caso fortuito: una responsabilità perrischio oggettivamente evitabile (…)» (109).Questa conclusione veniva rafforzata dalla concretaosservazione del dato empirico dal quale si può evin-cere che «nella maggior parte dei casi, la c.d. “colpa”sarà imputabile non all’imprenditore, bensì ai diri-genti dell’impresa o agli atri dipendenti; ma è fuoridi dubbio che l’art. 2050 c.c. prevede una responsa-bilità dell’imprenditore (ove l’attività pericolosa -come è normale - sia esercitata da un’impresa), eperciò questi risponde senza colpa» (110).Non è stato nel tempo condiviso il pensiero per cuila responsabilità ex art. 2050 c.c. sia collegata allamancata adozione delle misure di prevenzione, rite-nendo più corretto, da un punto di vista sistematico,riconnettere il danno all’esercizio dell’attività peri-colosa, con la conseguente prova liberatoria di ave-re adottato tutte le misure idonee ad evitare il dan-no. Pur nella affermazione della natura oggettivadella responsabilità in questione si è argomentatoche la prova liberatoria non equivale all’assenza dicolpa poiché nell’art. 2050 c.c. «la causa di esonerodella responsabilità appare più rigorosa, in quantogiunge fino all’adozione preventiva di una certa or-ganizzazione tecnica: e perciò, non solo comprendel’inevitabilità in concreto del danno (ossia l’assenzadi colpa), ma va al di là di essa, perché non bastaprovare l’assenza di colpa in continenti, occorrendoaltresì dimostrare che era stata preventivamente at-tuata una organizzazione tecnica astrattamente ido-nea ad impedire incidenti» (111). Dalla costruzionesu basi oggettive, sia per quanto riguarda il fatto co-stitutivo che il fatto impeditivo, si desume la collo-cazione della fattispecie all’interno del sistema dellaresponsabilità oggettiva seppur la prova liberatoriasia meno rigorosa di quella del caso fortuito (112).

Volendo proprio cedere al fascino pragmatico delleteorie oggettivistiche, appare comunque più convin-cente tale ultima ricostruzione poiché l’espunzionedel requisito della colpa dalla fattispecie sembra por-si in ineludibile contrasto con la formula normativache pone al centro della prova liberatoria una circo-stanza che dalla colpa non può prescindere. Si può alpiù discutere se non sia da sola sufficiente, ma la suatotale obliterazione non può persuadere: «(…) è ne-cessario tenere comunque presente che la responsa-bilità ex art. 2050 c.c. è una responsabilità aggravatarispetto a quella ex art. 2043 c.c., ma certamente nonè una responsabilità assoluta, basata cioè sul puro esemplice nesso causale, per cui sarebbe contra legempretendere (…) una prova diabolica» (113).L’incertezza circa l’effettiva natura della responsabi-lità trova in ogni caso conferma in alcuni preceden-ti giurisprudenziali che ravvisano nella fattispecieuna ipotesi di responsabilità oggettiva (114).Non si può tuttavia tacere che l’orientamento giuri-sprudenziale maggioritario tende a fondare la re-sponsabilità di cui all’art. 2050 c.c. sulla presunzionedi colpa del danneggiante (115). Valga al riguardo il richiamo alla risarcibilità deldanno non patrimoniale ormai riconosciuta ancheove il danno discenda dall’esercizio di attività peri-colosa. Si ritiene che in tale ipotesi non sia d’osta-colo all’affermazione della risarcibilità la mancanzadi un accertamento in concreto della colpa dell’au-tore del danno, poiché essa è ritenuta sussistente inbase ad una presunzione di legge (116).

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Note:

(108) Trimarchi, op. cit, 276 s.

(109) Trimarchi, op. cit., 279.

(110) Trimarchi, op. cit., 278.

(111) Comporti, op. ult. cit., 160.

(112) Comporti, op. ult. cit., 162. L’autore sottolinea al riguardoche l’esercente di attività pericolosa può, nella vigenza dell’art.2050 c.c., andare esente da responsabilità nel caso di danni ine-vitabili nonostante l’adozione delle più attente misure tecniche odi danni derivanti da cause ignote quando riesca a provare l’as-senza di colpa e un’idonea organizzazione tecnica.

(113) Carnevali, Farmaco difettoso e responsabilità dell’importa-tore-distributore, in Resp. civ. prev., 2002, 1112.

(114) Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, cit.; Trib. Modena 18 lu-glio 2007, Massima redazionale, 2008; Cass. 4 maggio 2004, n.8457, in Foro it., 2004, 1, 2378.

(115) Cass. 19 luglio 2008, n. 20062, in Dir. e giust., 2008; Cass.15 luglio 2008, n. 19449, in Giust. civ., Mass. 2008, 7-8, 1142;Cass. 9 marzo 2006, n. 5080, in Giur. it., Mass. 2006; Cass. 30novembre 2006, n. 25479, in questa Rivista, 2007, 6, 679; Cass.9 marzo 2006, n. 5080, in Giur. it., Mass. 2006.

(116) Cass. 3 dicembre 2007, n. 25187, in Giur. it., Mass. 2007.

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D’altronde, a rigore, non avrebbe senso discutere diinversione dell’onere della prova senza l’assunzionein fatto di una colpa, in ipotesi, anche presunta.Non ci si può esimere dall’invocare il parallelo logi-co suggerito dai meccanismi propri della responsabi-lità contrattuale ove l’inversione dell’onere dellaprova assurge a modello unificante per via del detta-to normativo dell’art. 1218 c.c., poi specificato inuna serie di fattispecie particolarmente considerate(artt. 1681, 2087 c.c., ecc.).In sede contrattuale è pacifico, ad esempio, che ildovere di prevenzione imposto dal datore di lavorodall’art. 2087 c.c. non configuri un’ipotesi di respon-sabilità oggettiva (117).Potrebbe non essere allora azzardato un tentativo diricostruzione sistematica dell’art. 2050 c.c. coerentecon le fattispecie normative di fenomenologie assio-logicamente affini anche sotto il profilo degli oneriprobatori, pur se collocate strutturalmente all’internodi altro genus di responsabilità. Del resto la vicinanzadi quel modello alla fattispecie di responsabilità inesame è stato già evidenziato in questa analisi (118).Il problema però si sposta su un piano differente:quando può dirsi con un attendibile grado di proba-bilità, se non di certezza, quali siano le misure ido-nee a paralizzare la pericolosità intrinseca dell’atti-vità?La risposta non può che essere dubitativa in un con-testo, quale quello odierno, caratterizzato dalla rapi-da evoluzione della tecnica e del sapere scientificoper l’avanzamento continuo della ricerca in tutti isettori delle attività non solo produttive, con unaevidente opera integratice della giurisprudenza dimerito nell’accertamento.Proprio questo contesto operazionale necessitato percui sia la qualifica di pericolosità sia l’accertamentodelle misure idonee per evitare il danno dipendonoda una valutazione empirica mette in evidenza ladifficoltà dogmatica di aderire alla natura oggettivadella responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. Facendoleva sull’accollo del costo del danno, in base allamera qualificazione dell’attività svolta dal soggetto,l’estensione della responsabilità tipologica da attivi-tà pericolosa potrebbe diventare endemica e arriva-re così a fondarsi sulla mera causalità. Anzi, la stessainterpretazione dell’art. 2050 c.c. in chiave di re-sponsabilità oggettiva potrebbe, paradossalmente,qualificarsi come “attività pericolosa”: il rischio dideriva implosiva del sistema della responsabilità ci-vile insito in una differenziazione della fattispeciesulla base dell’elemento della condotta rispetto aquello dell’attività potrebbe provocare l’erosione ditutte le altre fattispecie tipologiche di responsabilità

speciale e della stessa regola dell’art. 2043 c.c. Delresto la giurisprudenza, nella sua interpretazioneestensiva, ha, già adesso, ampliato il giudizio di peri-colosità ex art. 2050 c.c. anche al bene finale pro-dotto (119) rendendo non semplice l’operazione diconfinamento della disposizione dell’art. 2050 c.c.rispetto agli articoli immediatamente successivi (inparticolare rispetto all’art. 2051c.c.).

6. Il contenuto della prova liberatoria

tra prassi e ideologia

Secondo la regola generale di responsabilità, ove unsoggetto si prefiguri la pericolosità dell’attività chesi accinge a svolgere dovrebbe ravvisarsi già, per ciòsolo, una negligenza poiché il massimo grado di dili-genza imporrebbe la rinuncia dell’attività stessa,unica garanzia per escluderne la potenzialità danno-sa. A rigore, «Pericolosità (…) significa proprio“impossibilità di adottare misure preventive tali daescludere la possibilità di danno”: le misure cautela-tive potranno attenuare la pericolosità, ma maiescludere del tutto il rischio» (120). Del resto la pe-ricolosità è «l’idoneità effettiva e attuale di una atti-vità a produrre spontaneamente un danno, così co-me è esercitata dal singolo soggetto, nel determina-to momento, e con riferimento alle modalità con-cretamene usate e ai mezzi effettivamente impiega-ti» (121).L’art. 2050 c.c. concede però all’esercente l’attività

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Note:

(117) V. Cass. 11 aprile 2007, n. 8710, in questa Rivista, 2008, 6,657. Si tende a negare l’esistenza di un obbligo assoluto di ri-spettare ogni cautela possibile diretta ad evitare qualsiasi dannoe il datore di lavoro non è considerato responsabile per il sol fat-to che un danno si sia comunque verificato. Si ritiene invece chel’evento sia sempre ascrivibile a colpa per violazione di obblighidi comportamento imposti da una norma di fonte legale o sug-gerita dalla tecnica. Tali obblighi devono però essere sempre in-dividuati.

(118) V. supra, § 1.

(119) Cfr. Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, cit. ove si legge:«(…) dopo l’iniziale interpretazione restrittiva dell’art. 2050c.c., tale norma è stata dalla giurisprudenza oggetto di inter-pretazione estensiva, per cui può dirsi rientrare nel diritto vi-vente un’interpretazione giurisprudenziale che ha esteso il giu-dizio di pericolosità ex art. 2050 c.c., anche al bene finale del-l’attività produttiva, sempre che tale bene ne abbia conservatola potenzialità lesiva nei confronti dei consumatori-utenti (Cass.30 agosto 2004, n. 17639; Cass. 4 giugno 1998, n. 5484; Cass.19 gennaio 1995, n. 567; ed in relazione al carattere pericolosoex art. 2050 c.c., degli emoderivati, Cass. 27 gennaio 1997, n.814; Cass. 1° febbraio 1995, n. 1138; Cass. 15 luglio 1987, n.6241)».

(120) De Martini, op. cit., 241 s.

(121) De Martini, op. cit., 260.

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pericolosa la chance di dimostrare «di avere adottatotutte le misure idonee a evitare il danno» (122).Questi è pertanto gravato da una prova liberatoria,anche solo intuitivamente, molto difficile da offriree per di più soggetta ad un rigoroso giudizio da partedella giurisprudenza. Ciò induce ad affermare che sitratti di una probatio diabolica considerando che«(…) in molte sentenze si è ricorso all’espediente diravvisare una colpa laddove non sono indicate inconcreto quelle misure che, se adottate, avrebberoevitato l’evento» (123). Una simile impostazionecomporta come conseguenza che «(…) la prova del-l’insufficienza delle misure adottate è data propriodalla verificazione dell’evento» (124). Ma così si ar-riverebbe ad una responsabilità fondata sulla causa-lità, rendendo priva di significato la stessa previsio-ne di una prova liberatoria.È indubbio tuttavia che il dato normativo permetteampi spazi di interpretazione del contenuto concre-to della prova liberatoria: sulla “totalità” e “idonei-tà” delle misure atte ad evitare il danno dottrina egiurisprudenza seguono strade non sempre conver-genti.Secondo taluni «(…) in realtà non è possibile la pro-va di aver adottate tutte le misure idonee ad evitareil danno, poiché tale prova è indefinita; nessuno puòescludere che, oltre a quelle adottate, altre cautelesarebbero state opportune per rendere più sicura l’at-tività esercitata. È perciò possibile soltanto la provarivolta a dimostrare o l’insussistenza del nesso causa-le tra attività e danno, o l’inapplicabilità dello sche-ma dell’art. 2050 c.c. al soggetto chiamato a rispon-dere (in quanto l’esercente l’attività sia un altro sog-getto, oppure l’attività non sia pericolosa)» (125).Altri ritengono che «per attribuire effettività alcontenuto della prova liberatoria, si dovrebbe rite-nere che la “idoneità” e “totalità” delle misure chel’esercente è tenuto ad adottare per liberarsi dalla re-sponsabilità non possano assumere un carattere as-soluto» poiché «Se l’agente provasse che le misurepredisposte fossero state veramente idonee ad evita-re tutti i danni possibili, l’attività non potrebbe es-sere pericolosa, e la norma applicabile non sarebbel’art. 2050 c.c.» (126).Di diverso avviso sono coloro per i quali il danneg-giante deve dimostrare, ex art. 2050 c.c., «(…) l’ine-vitabilità in concreto del danno ed il “fatto tecnico”relativo all’organizzazione dell’attività pericolosaper l’adozione di quegli accorgimenti cautelari spe-cifici suggeriti astrattamente dalla tecnica e dal-l’esperienza: accorgimenti che, secondo un giudizioex ante, si reputino idonei ad evitare l’insorgere di si-nistri e danni» (127).

Anche solo da queste opzioni dogmatiche emerge laoggettiva complessità del contenuto della prova li-beratoria che rappresenta, comunque, il punto diequilibrio tra i due interessi coinvolti e contrastantinella fattispecie disegnata dall’art. 2050 c.c.D’altronde «In astratto, la disciplina delle attivitàpericolose avrebbe potuto seguire due direttrici: illegislatore avrebbe potuto vietare ogni iniziativa so-cialmente rischiosa, eventualmente predisponendoun sistema di sanzioni penali o amministrative per itrasgressori; oppure avrebbe potuto consentirle, acondizione che i danneggiati potessero ottenere ilrisarcimento più agevolmente. La seconda è stata lasoluzione accolta dal codificatore italiano, che, purnon nascondendo il rischio introdotto da certe atti-vità, tuttavia le ha ugualmente ritenute socialmenteutili» (128).Su questo sfondo si inserisce la ricerca concreta del-le “misure” reputabili “idonee” ai fini della esenzio-ne da responsabilità.Non vi è dubbio che tali siano quelle prescritte danorme legislative o regolamentari disciplinantil’esercizio dell’attività specifica: rispetto a questenessuna autonomia è riconosciuta all’esercente l’at-tività pericolosa che dispone, invece, di un certomargine di discrezionalità nella scelta delle misureaggiuntive che la situazione del caso concreto e iprogressi della tecnica consigliano, sempre in osse-quio della normale prudenza.Da ciò discende che qualora l’obbligo di adottare ta-lune misure sia normativamente imposto si ritienecomunque operante la presunzione di responsabilitànei confronti dell’esercente che abbia adottato mi-sure diverse da quelle prescritte (da norme legislati-ve o regolamentari): si esclude, in tal caso, la possi-bilità di valutare l’idoneità delle differenti cauteleeventualmente predisposte (129).Non si reputa tuttavia sufficiente la prova dell’as-

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Note:

(122) Non nuoce evidenziare che la prova del nesso causale trail danno e l’omissione di cautele dovute da parte dell’esercentel’attività pericolosa non incombe sul danneggiato, tenuto alla so-la dimostrazione del nesso eziologico tra l’attività pericolosa e ildanno subito. V. al riguardo Cass. 4 dicembre 1998, n. 12307, inGiur. it., Mass. 1998.

(123) Comporti, op. ult. cit., 210.

(124) Franzoni, L’illecito, cit., 439.

(125) Bernardini, La responsabilità oggettiva nella più recentegiurisprudenza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1967, 1178 ss.

(126) Franzoni, op. ult. cit., 438 s.

(127) Comporti, op. ult. cit., 209.

(128) Franzoni, op. ult. cit., 400.

(129) Cass. 13 maggio 2003, n. 7298, cit.

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senza di violazione delle norme di legge o di comuneprudenza, richiedendosi invece la dimostrazionedell’impiego di ogni ulteriore cura o misura ultroneaidonea ad impedire l’evento dannoso (130).L’apprezzamento del nesso di causalità tra la condot-ta omissiva (rispetto alla mancata adozione delle mi-sure idonee) e l’evento dannoso può essere compiutoanche in base ad un criterio probabilistico (131).Si suole ritenere che l’obbligo di informazione ai ter-zi del pericolo (132) rientri nel novero delle misurerichieste dall’art. 2050 c.c., ma «(…) la sola “infor-mazione” della pericolosità dell’attività - da partedel soggetto esercente - nei confronti dei potenzialisoggetti “danneggiandi” non esaurisce di per sél’adozione delle misure idonee ad evitare il danno.Se così fosse, la sola presenza di questa “informazio-ne” finirebbe sempre per scaricare sul comporta-mento (commissivo o omissivo) del danneggiato,per il solo fatto di essere stato “avvertito”, una capa-cità eziologica del danno, per giunta esclusiva, conun ampliamento non previsto dall’art. 1227 c.c., c.1, (nel combinato disposto con l’art. 2056 c.c.) cherichiede, invece, un comportamento colposo deldanneggiato nella produzione dell’evento» (133).La pretesa conoscenza del rischio da parte del dan-neggiato non è ritenuta idonea ad escludere la re-sponsabilità per esercizio di attività pericolosa poi-ché l’art. 2050 c.c. «(…) prescinde dal comporta-mento del soggetto danneggiato e la fattispecie siperfeziona sulla base del solo esercizio dell’attivitàpericolosa senza l’adozione delle misure idonee adevitare il danno» (134).È condivisa l’idea per cui anche qualora non sianostate adottate tutte le misure idonee ad evitare ildanno (situazione, questa, astrattamente idonea afondare la responsabilità ex art. 2050 c.c.), il nessoeziologico tra attività e danno deve intendersi recisoda una causa efficiente sopravvenuta che integri gliestremi del caso fortuito, anche quando sia attribui-bile al fatto di un terzo o del danneggiato stesso, tut-te le volte in cui sia di per sé idonea a causare da so-la l’evento (135).Giova comunque evidenziare che il fatto del dan-neggiato o del terzo non può produrre effetti libera-tori ove costituisca elemento concorrente nella pro-duzione del danno, ma solo allorquando, per la suaincidenza e rilevanza, sia capace di escludere, in mo-do certo, il nesso causale tra l’attività pericolosa el’evento (136).Non è pacifico se la prova liberatoria richiesta dal-l’art. 2050 c.c. sia più o meno agevole rispetto allaprova del caso fortuito richiesta espressamente in al-tre fattispecie di responsabilità speciali. Secondo ta-

luni «in realtà si tratta della stessa prova poichél’idoneità delle cautele adottate può essere dimo-strata solo in relazione al danno concretamente ve-rificatosi. L’onere della prova può allora essere assol-to solo dimostrando che il danno è dovuto ad unevento non prevedibile né superabile con l’adeguatadiligenza, ossia che il danno è dovuto ad un caso for-tuito» (137). Secondo altri, invece, «(…) la provaliberatoria prevista nell’art. 2050 appare meno rigo-rosa di quella del caso fortuito» (138).La varietà delle impostazioni offerte evidenzia comele problematiche relative all’esatta individuazionedelle “misure idonee” ex art. 2050 c.c. si intreccinoinevitabilmente con la pretesa natura della respon-sabilità connessa all’esercizio di attività pericolose.E così, per quanti ritengano che la fattispecie di cui

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Note:

(130) Cfr. Cass. 1° aprile 2005, n. 6888, in questa Rivista, 2005,7, 791.

(131) Trib. Genova 5 ottobre 2001, in Dir. marittimo, 2003, 199.

(132) L’avviso del pericolo può avvenire mediante istruzioni, car-telli o qualsiasi altro mezzo idoneo. Tanto può non esser comun-que sufficiente ove le circostanze del caso concreto suggerisca-no l’uso di altri strumenti idonei ad evitare l’ingresso altrui nelluogo ove viene esercitata l’attività pericolosa. Si ritengono cosìtalvolta necessari la sorveglianza dell’attività o la recinzione deiluoghi. Cfr. Pret. Taranto, 22 maggio 1986, in Arch. giur. circolaz.,1987, 972.

(133) Cfr. Cass. 13 maggio 2003, n. 7298, in Giur. it., Mass.2003, con riferimento a lavori stradali eseguiti senza l’adozionedi cartelli di pericolo e di appositi ripari pur prescritta dall’art. 8,lett. b), del d.P.R. n. 393 del 1959.

(134) Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, cit., secondo cui nel ca-so di danno da messaggio ingannevole (lights) apposto sul pac-chetto di sigarette, «il dovere di comportamento diligente deldanneggiato (e quindi il mancato rispetto dello stesso), è un ele-mento esterno al singolo paradigma normativo di responsabilità,per cui il dovere di prevenzione dell’incidente, che grava anchesul danneggiato sempre (se poi in concreto questi potesse farequalcosa o meno, è una questione che attiene alla situazione fat-tuale), non costituisce elemento del perfezionamento della fatti-specie legale. Tale comportamento colposo si inserisce dal-l’esterno nella serie causale tipizzata dalla specifica norma».

(135) Da ultimo v. Cass. 5 gennaio 2010, n. 25, in Banca Dati DeJure, che aderisce a Cass. 13 marzo 2007, n. 5839, in Giur. it.,Mass. 2007, ove viene negata la responsabilità ex art. 2050 c.c.del gestore di impianto di scivolo veloce in sottostante piscinaper le lesioni occorse ad un utente che, in violazione delle dispo-sizioni obbligatorie predisposte dal gestore, anziché lasciarsi sci-volare in piscina sull’apposito materassino, si era tuffato di testa,inarcando la schiena.

(136) V. Cass. 1° aprile 2005, n. 6888, cit.

(137) Bianca, op. cit., 710. In tal senso anche Monateri, Le attivi-tà, cit., 113, che osserva: «(…) il pregiudizio verificatosi deve ri-sultare estraneo alla signoria di controllo dell’esercente, il cheappunto si verifica quando il danno è derivato da una causaesterna a lui non imputabile». Sulla equivalenza tra la prova libe-ratoria di cui all’art. 2050 c.c. e la prova del fortuito ex artt. 2051e 2052 c.c. si veda De Martini, op. cit., 259.

(138) Comporti, op. ult. cit., 162.

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all’art. 2050 c.c. disegni una ipotesi di responsabilitàaggravata la prova liberatoria atterrebbe alla dili-genza professionale (che deve essere superiore allanormale diligenza già in forza dell’art. 1176, comma2, c.c.) (139), mentre per coloro che optano per ilmodello della responsabilità oggettiva la valutazio-ne del comportamento adottato in concreto dal-l’esercente l’attività pericolosa si assesta su un pianodi indifferenza poiché la prova liberatoria dovrebbeconcernere la mancanza del nesso causale tra attivi-tà pericolosa e danno.Al di là delle ricostruzioni dogmatiche, dalla giuri-sprudenza più recente emerge che «Il soggetto chia-mato a rispondere (nell’ipotesi che l’attività perico-losa assuma la forma di impresa) è colui che ha ilcontrollo dell’attività al momento del danno, sul so-lo presupposto dell’oggettiva mancanza delle misureprotettive idonee, non essendogli sufficiente, per ot-tenere l’esonero, la prova di essere personalmenteincolpevole. Tale esito discende dal fatto che la va-lutazione richiesta dalla norma concerne l’attivitànella sua interezza e non il comportamento persona-le dell’imprenditore, ed in questa attività vi è anchela mancanza oggettiva di misure idonee ad evitare ildanno» (140).Coglie pertanto nel segno l’osservazione per cui «Inconclusione la prova liberatoria dell’art. 2050 c.c.opera sul piano del rapporto di causalità. La dimo-strazione di aver adottato tutte le misure idonee adevitare il danno, quand’anche si voglia intenderecome prova della diligenza tecnica, esclude la re-sponsabilità soltanto quando criticamente abbia di-mostrato la interruzione del rapporto di causalità difatto o quantomeno la sua incertezza» (141).

7. Il possibile ruolo ordinante dell’art. 2050c.c. e il conseguente schizzo topologicod’insieme delle figure di responsabilitàspeciali

Per quanto osservato e in una dimensione di discor-so giuridico che - tenuto conto anche delle evidenzeemerse attraverso il metodo della EAL - elabori i ri-sultati ponendoli sul piano assiologico di una possi-bile topologia di settore, il meccanismo giuridico disistema in cui si inserisce la norma desumibile dalladisposizione di cui all’art. 2050 c.c. sembra far partedi una dinamica sistemica stringente:– le attività sicuramente dannose (che cioè per e conil loro svolgimento procurano con certezza danno)non sono lecite e non possono tendenzialmentesvolgersi, a meno che il gruppo sociale, di cui il si-stema giuridico è espressione, non le accetti e allora

divengono attività lecite dannose che assumono ri-levanza nel settore (di sistema) indennitario e nonin quello risarcitorio;– le attività sicuramente dannose sono, dunque, vie-tate o permesse e la loro rilevanza giuridica non puòche essere tipica e tipizzata (vietata o permessa no-minativamente) (142).Questa logica binaria si complica nelle società nelcui sistema giuridico è valore il libere agere della Per-sona Umana, perché l’evoluzione del sistema socialeimpone una dinamica dialettica tra:a) ciò che non si sa con certezza se sia sempre danno-so (perché ancora non scientificamente assodato edunque non entra nella dimensione della tipicità bi-naria del vietato o permesso tipico del danno lecito)b) ciò che con “probabilità” se non svolto con mol-ta attenzione produce danno (ma non lo producecon certezza necessariamente, cioè esistono modali-tà attraverso le quali è certo che non si produca dan-no) ma deve essere permesso altrimenti si viola ilprincipio del libere agere.L’equilibrio assiologico è allora trovato attraverso unmeccanismo tutto strutturale di sistema• l’attività non classificata secondo la logica binariaè permessa a chi vuole liberamente agere ma se si ve-rifica “danno” (e si rientra tra le attività e non tra lecondotte) scatta l’operatività del meccanismo giuri-dico di salvaguardia sistemica (il nostro art. 2050c.c.):• il danneggiato deve provare il nesso causale tra at-tività e danno (non la condotta illecita del danneg-giante);• il danneggiante deve dimostrare di avere fatto tut-to il possibile per evitare il verificarsi del danno,cioè - in definitiva - che l’attività nel suo svolgi-mento è necessariamente dannosa o il danno si è ve-rificato per un evento esterno (sostanziale dimostra-zione di perizia ex art. 1176, comma 2, c.c.).La dinamica nuova permette l’assestarsi di un equi-librio assiopratico efficiente al verificarsi nel tempodi eventi dannosi: l’accesso o il non accesso dell’at-tività di cui trattasi alla dimensione giuridica bina-ria dell’attività lecita/illecita dannosa (con l’inseri-mento in futuro di quell’attività in normativa spe-

Note:

(139) V. Bianca, op. cit., 709.

(140) Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, cit.

(141) Franzoni, op. ult. cit., 443.

(142) Il carattere della pericolosità può infatti variare nel temposecondo il progresso delle conoscenze tecnico scientifiche e/o ilmutare degli stili di vita sociali. Il dato della variabilità è rilevatoda Monateri, La Responsabilità, cit., 1020.

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ciale) o il dimensionamento dell’attività tra quelleche richiedono particolare “attenzione” (potendocon certezza essere svolte senza il causarsi di danni)e porteranno comunque a una conformazione Am-ministrativa in funzione di sicurezza.Il meccanismo giuridico di salvaguardia descrittopermette di alterare l’equilibrio assiologico comples-sivo di sistema solo in modo discreto (attraversol’operare sistemico della facilitazione della traslazio-ne del costo dei danni) e di posizionare in tempimolto rapidi all’interno dell’ordinamento comples-sivo quell’attività quale attività socialmente tipizza-ta come pericolosa (rectius, che può svolgersi senzadanno solo con particolare attenzione e perizia)(143) prima di una sua valutazione generale comeattività vietata o permessa da accettare o vietare infunzione del tipo e stile di vita realmente vissuto ealla sua evoluzione.La evidenziazione del meccanismo di equilibrio as-siologico mette in rilievo la peculiarità della fatti-specie di cui all’art. 2050 c.c. e giustifica i suoi pre-supposti, giustamente considerati dalla giurispru-denza diversi (perché lo sono) da quelli dell’art.2043 c.c. Per cui rappresenta domanda nuova unaresponsabilità considerata fondata sui presuppostidel 2043 c.c. (144) e non può essere assunta comedecisione d’ufficio (145), né è deducibile per la pri-ma volta in Cassazione (146).In realtà è come se il soggetto agente esercitando ilsuo diritto di libere agere con il suo comportamentoavesse stipulato un contratto con la collettività as-sumendosi il rischio di una diligenza valutata “conriguardo alla natura dell’attività esercitata” in quan-to assunta come attività professionale e ritenuta nel-la libertà di agire a lui concessa dal sistema giuridicocome non necessariamente dannosa ma al limite so-lo pericolosa (e ciò prima di una adeguata valutazio-ne sociale di permesso/conformazione in funzionedella sua utilità).Sembra sia rintracciabile proprio in questa caratteri-stica del meccanismo giuridico la necessità di far ri-ferimento alla attività e non alla condotta: attivitànon necessariamente imprenditoriale ma sicura-mente di natura professionale anche se svolta - inmancanza ancora di specifiche conformazioni nor-mative - da un soggetto privo di abilità accertate eattestate ma proprio per questo chiamato a rispon-dere come se le possedesse. E come in tutte le attivi-tà professionali o para-professionali è ipotizzabileuna sorta di inadempimento da ruolo sociale che vaoltre il tipico rapporto obbligatorio (evidente connettezza nel ruolo del medico nelle società post-mo-derne) (147).

Se si vuol aderire ad una simile impostazione e sel’osmosi di regole proprie dei due ambiti di responsa-bilità è tale da travalicare, per questa via, la rigidagriglia concettuale ricavabile da un esame topografi-co delle fattispecie, non dovrebbe più meravigliarel’assenza nell’art. 2050 c.c. del requisito dell’ingiusti-zia del danno, requisito necessario, ma non sufficien-te, per il fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. Nell’art.2050 c.c., come in altre fattispecie (responsabilitàper fatto dannoso da cose o animali), «esiste una sor-ta di naturale tipicità in re ipsa del danno. Il fattodannoso tende a configurarsi, in quest’ultima serie diipotesi, come una causa efficiente che opera nella re-altà materiale determinando lesioni identificabili so-prattutto in relazione alle persone o alle cose» (148).Giuridicamente, stante i peculiari presupposti dellafattispecie, è rilevante sempre e solo il c.d. dannoconseguenza collegato causalmente con lo svolgi-mento dell’attività nella sua dinamica specialmente“quantitativa” non qualitativa (149).

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Note:

(143) Del resto appare come fondata su questa valutazione giuri-dica dei fatti la peculiare competenza riconosciuta come accerta-mento sulla pericolosità al giudice di merito: cfr. Trib. Roma 20aprile 2002, in Resp.civ. prev., 2002, 1103 ss., con nota di Carne-vali. E questo rende la casistica giudiziaria delle Corti e dei Tribunalidirettamente integrativa della disposizione codicistica. «La qualifi-ca di pericolosità di un’attività dipende, quindi, da una valutazioneempirica: la quantità di pericolo che la connota. Un primo indice ri-levatore della pericolosità così intesa si ha quando dall’eserciziodell’attività derivi un’elevata probabilità o una notevole potenzialitàdannosa, considerate in relazione al criterio della normalità mediae rilevate attraverso dati statistici ed elementi tecnici e di comuneesperienza»: Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, cit.

(144) Cfr. Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, cit.; Cass. 19 gen-naio 2007, n. 1195, in Giur. it., Mass. 2007; Cass. 6 aprile 2006,n. 8095, in Resp. civ., 2006, 7, 662; Cass. 22 ottobre 2002, n.14905, in Giur. it., Mass. 2002; Cass. 6 marzo 1998, n. 2483, inGiur. it., Mass. 1998.

(145) Cass. 31 luglio 2002, n. 11356, in Giur. it., Mass. 2002;Cass. 28 novembre 1998, n. 12088, in Giur. it., Mass. 1998.

(146) Cass. 1° luglio 1998, n. 6418, in Giur. it., Mass. 1998.

(147) Se si spostasse l’osservazione dal cono di luce della letturadell’art. 2050 c.c. il quadro dogmatico complessivo forse sarebbeanche capace di coniugare in una prospettiva altra la manifesta la-bilità essenziale dell’area che sta tra contratto e torto e portare aduna ulteriore generalizzazione l’emergere dal sottoinsieme evi-denziato in modo attento da Castronovo (si v. da ultimo Ritornoall’obbligazione senza prestazione, in Europa e diritto privato,2009, 579 ss.) oltre la responsabilità precontrattuale e recuperarein cifra sistemica i modelli che rappresentano detto spazio in ter-mini di danno ingiusto atipico (cfr. Navarretta, Riflessioni in mar-gine all’ingiustizia del danno, in Liber amicorum per FrancescoBusnelli, I, Milano 2008, 626 ss.) come sottoinsieme altro (e for-se non unico con l’altro) rendendo l’insieme compatibile.

(148) Giardina, op. cit., 225.

(149) Ma non si può aprioristicamente escludere la possibilerilevanza di una dinamica qualitativa incidente sulla gravità dipregiudizi quali, ad esempio, quelli alla persona. Il

(segue)

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La rilevanza del “danno evento” (elemento struttu-rale dell’art. 2043 c.c.) è già tutta assorbita nellaqualificazione come lecita dell’attività causativa deldanno conseguenza e nell’assunto strutturale chequella attività lecita può essere svolta senza alcun ef-fetto dannoso, e anzi è utile socialmente che si svol-ga (150) anche se “pericolosa” (cioè richiede atten-zione ma può presuntivamente svolgersi senza dan-no), almeno in funzione della libertà di iniziativadel soggetto, prima di allocarsi topologicamente trail permesso o vietato.Proprio la sistemica operazionale degli equilibri or-dinativi di sistema attraverso i meccanismi di salva-guardia degli assetti assiologici generali descrittisembra abbia permesso l’affermazione in dottrinache non esistono grosse novità sull’art. 2050 c.c. e“l’assetto è consolidato” (151).Per confermare lo schizzo operazionale di sistemadescritto in realtà sarebbe necessaria una attentaanalisi sociologica e storica al fine di rendere evi-dente come nel tempo si sia realizzata la dialetticatra fattualità dei danni da attività, qualificazione so-ciale delle attività come pericolose, conformazioneamministrativa/legislativa delle attività tipizzate co-me pericolose; e valutare così scientificamente infunzione di assetto temporale del sistema l’efficienzadel meccanismo strutturale normativo. Ma manca-

no dati e non sembra questa la sede per cercare di re-perirli e verificare complessivamente la tenuta delparadigma sistemico proposto (152).

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OpinioniAttività pericolosa

Note:

(continua nota 149)

coinvolgimento dei danni alla persona spinge il sistema aposizionare l’attività con celerità nella dinamica vietato/permesso, stante la posizione sistemica assoluta del valorePersona negli attuali ordinamenti giuridici avanzati. Anche inquesto caso il sottoinsieme della responsabilità medica docet.

(150) Monateri, op. ult. cit., 1007.

(151) Cfr. Commentario al codice civile diretto da P. Cendon, subart. 2050 c.c., Torino, 2002, 1755.

(152) Occorrerebbe stabilire il numero di attività qualificate comepericolose nel tempo dalla giurisprudenza rispetto a quelle quali-ficate tali da documenti normativi o atti amministrativi e valutar-ne l’andamento stocastico. Una verifica scientifica seria del pa-radigma dovrebbe del resto aprirsi alle ipotesi di responsabilitàcivile reperibili fuori dal codice civile (ad es. responsabilità delproduttore, responsabilità nel codice della navigazione, ecc.) conle varianti di parificazione legale altre rispetto all’art. 2050 c.c. (sipensi alla privacy); dovrebbe poi estendersi a verificare la tenutadella rappresentazione dogmatica anche rispetto agli effetti ri-flessi della dichiarazione di responsabilità (come ad esempio laregola della solidarietà ex art. 2055 c.c. o il realizzarsi in fatto del-la possibilità del risarcimento in forma specifica), per chiuderecon il capitolo tutto da indagare della class action rispetto alle at-tività pericolose e da ruolo sociale. Ma questo programma di ri-cerca appare ancora più difficile da perseguire a fronte di esi-genze accademiche sempre meno aperte alla complessità dellaricerca di base o epistemica, spesso utilizzata strumentalmentecome giudizio di demerito per chi la persegue.

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

Svolgimento del processo… Omissis …

Motivi della decisioneIl ricorso è stato proposto per impugnare una sentenzapubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 feb-braio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di proce-dura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’ap-plicazione, quindi, delle disposizioni dottate nello stessodecreto al Capo 1.Secondo l’art. 366 bis c.p.c. - introdotto dall’art. 6 del de-creto - i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pe-na di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in parti-colare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4),l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con laformulazione di un quesito di diritto, mentre, nel casoprevisto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione diciascun motivo deve contenere la chiara indicazione delfatto controverso in relazione al quale la motivazione siassume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per lequali la dedotta insufficienza della motivazione la rendeinidonea a giustificare la decisione. Segnatamente, nelcaso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione diciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibili-tà, un momento di sintesi (omologo del quesito di dirit-to), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in manierada non ingenerare incertezze in sede di formulazione del

ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un.1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione ri-sponda con l’enunciazione di un corrispondente princi-pio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve esse-re formulato in modo tale da collegare il vizio denuncia-to alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008,n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità - a norma del-l’art. 366 bis c.p.c. - del motivo di ricorso per cassazioneil cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione dicarattere generale ed astratto, priva di qualunque indica-zione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibi-lità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna rispo-sta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorren-te, non potendosi desumere il quesito dal contenuto delmotivo od integrare il primo con il secondo, pena la so-stanziale abrogazione del suddetto articolo). La funzionepropria del quesito di diritto - quindi - è quella di farcomprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura delsolo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica dellaquestione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dalgiudice di merito e quale sia, secondo la prospettazionedel ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass. 7aprile 2009, n. 8463; v. anche Sez. Un. ord. 27 marzo2009, n. 7433).Il ricorso rispetta i requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c.Con unico motivo i ricorrenti denunciano la violazione

La prova di non aver potuto impedire il fatto

Responsabilità dei genitoriper carenze educative: danniprovocati dal figlio minore inuna sosta della partita di calcio

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26200 - Pres. Amatucci - Est. Vivaldi - P.M.Russo - T.P. c. N.G.

Ai sensi dell’art. 2048 c.c., i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi,

per quanto concerne gli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell’attività educativa, che si manifestino nel

mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il

soggetto si trovi ad operare.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Cass., sez. III, 22 aprile 2009 n. 9556; Cass., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18804.

Difforme Cass., sez. III, 18 gennaio 2006, n. 831; Cass., sez. III, 28 marzo 2001, n. 4481.

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e/o falsa applicazione dell’art. 2048 c.c. in relazione al-l’art. 360 c.p.c., n. 3.Il motivo è fondato.I criteri in base ai quali va imputata ai genitori la respon-sabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori consi-stono, sia nel potere-dovere di esercitare la vigilanza sulcomportamento dei figli stessi, sia anche, e soprattutto,nell’obbligo di svolgere adeguata attività formativa, im-partendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole dellacivile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nellosvolgimento delle attività extrafamiliari (Cass. 14 marzo2008 n. 7050; Cass. 20 ottobre 2005 n. 20322; Cass. 11agosto 1997 n. 7459).La norma dell’art. 2048 c.c. è costruita in termini di pre-sunzione di colpa dei genitori (o dei soggetti ivi indicati).In relazione all’interpretazione di tale disciplina, quindi,è necessario che i genitori, al fine di fornire una suffi-ciente prova liberatoria per superare la presunzione dicolpa desumibile dalla norma, offrano, non la prova legi-slativamente predeterminata di non aver potuto impedi-re il fatto (e ciò perché si tratta di prova negativa), maquella positiva di aver impartito al figlio una buona edu-cazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza ade-guata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, fami-liari, all’età, al carattere ed all’indole del minore (v. an-che Cass. 14 marzo 2008 n. 7050).Inoltre, l’inadeguatezza dell’educazione impartita e dellavigilanza esercitata su di un minore, può essere ritenuta,in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stes-so fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di ma-turità e di educazione del minore, conseguenti al manca-to adempimento dei doveri incombenti sui genitori, aisensi dell’art. 147 c.c. (Cass. 7 agosto 2000 n. 10357).Nella specie, non solo una tale prova liberatoria non èstata fornita, ma le modalità stesse del fatto sono tali da aessere interpretate come indice di un deficit educativo.La sentenza non offre alcuna indicazione di una prova li-beratoria fornita o richiesta dagli attuali resistenti; néuna supposta mancata pronuncia sul punto è stata ogget-to di rilievo da parte degli stessi in questa sede. La rico-struzione del fatto operata dalla Corte di merito - come siricava dalla sentenza impugnata - è del seguente tenore:“... il N., nel corso di una partita di calcio, ebbe a colpirecon una violenta testata alla bocca il giocatore dellasquadra avversaria T.M. e ciò mentre il gioco era fermo esenza avere in precedenza subito un’aggressione da partedel T.”.Ora, in considerazione di questo accertamento in fatto -rilevante e non contestato -, la Corte si sarebbe dovutaporre il problema se un comportamento anomalo di talgenere, volontario e violento, in alcun modo giustificabi-le, per non essere stato neppure commesso durante unafase del gioco e nella concitazione del momento, ma agioco fermo e deliberatamente, fosse indice di una educa-zione inadeguata rispetto ai dettami civili della vita di re-lazione e sportivi, la cui responsabilità - in difetto di unapuntuale prova liberatoria - non poteva che ricadere pre-suntivamente sui genitori, venuti meno ai doveri suglistessi incombenti ai sensi dell’art. 147 c.c. Una corretta

applicazione della norma dell’art. 2048 c.c. - sulla basedelle considerazioni che precedono - avrebbe imposto untale esame; ma di ciò non vi è traccia nella sentenza im-pugnata.Erra, inoltre, la Corte di merito quando afferma ... “Nediscende che in tale contesto non ha alcun rilievo l’edu-cazione e la vigilanza spettante ai genitori in linea gene-rale posto che gli stessi non avrebbero in alcun modo po-tuto intervenire nel corso della competizione sportiva perimpartire direttive al figlio o comunque prevedere o im-pedire l’evento trattasi di un ambito del tutti escluso dalloro intervento, dovendosi il comportamento del N. at-tribuire in via esclusiva al soggetto stesso ben consapevo-le delle regole del gioco e del comportamento a cuiavrebbe dovuto attenersi e che invece ha deliberatamen-te violato”.Nessun rilievo, infatti, acquista nell’economia della vi-cenda, né la impossibilità di intervento nel corso dellacompetizione da parte dei genitori, né un dovere di vigi-lanza che, in questo caso, potrebbe ritenersi spettare agliorgani sportivi.Ciò che è rilevante è il difetto di un adeguato insegna-mento educativo che ha permesso al minore di ritenerelecito od anche solo consentito - nell’ambito di un even-to sportivo ed in assenza di una qualche giustificazioneanche solo presunta - un comportamento così violento,impulsivo ed ingiustificato in danno di un altro minore,giocatore anch’egli.Questa regola di diritto, d’altra parte, è il frutto di un bi-lanciamento di interessi contrapposti (balancing test) che,nel complesso giudizio sulla responsabilità per i danni in-giusti alla persona, intende allocare il rischio sul danneg-giante; con le conseguenze qui indicate. La sentenza im-pugnata è pertanto cassata, con rinvio della causa allaCorte di appello di Bologna, in diversa composizione, af-finché decida la controversia uniformandosi al seguenteprincipio di diritto: Ai sensi dell’art. 2048 c.c., i genitorisono responsabili dei danni cagionati dai figli minori cheabitano con essi, per quanto concerne gli illeciti ricondu-cibili ad oggettive carenze nell’attività educativa, che simanifestino nel mancato rispetto delle regole della civilecoesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto socia-le in cui il soggetto si trovi ad operare.Conclusivamente, il ricorso è accolto, la sentenza cassatae la causa rinviata alla Corte d’Appello di Bologna in di-versa composizione.Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.... Omissis...

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

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Un contrasto tra merito e legittimità in una controversia sulla responsabilità dei genitori

Suscita riflessioni, e perciò merita di essere segnala-ta, questa decisione sulla responsabilità dei genitori,che interviene nell’evoluzione giurisprudenziale,non sempre omogenea e coerente sull’immodificatotessuto normativo dell’art. 2048 c.c. La norma rima-sta inalterata dal 1942, per quanto riguarda la re-sponsabilità genitoriale deve, oggi, trovare applica-zione in un contesto familiare del tutto diverso ri-spetto a quello in cui fu concepita.Si è passati dalla “famiglia legittima” alle “fami-glie”ed in particolare alla “famiglia di fatto” (nonpiù convivenza more uxorio), alla “famiglia allargata”sulla base di prevalenti rapporti economici, ed oraanche alla “famiglia ricomposta” in cui al genitore“naturale” si sostituisce quello “sociale” (1). Note-volmente modificati i rapporti familiari tra genitori,dovuti anche all’introduzione del divorzio, rimastofuori del codice civile, alla modica della separazionepersonale, da ultimo novellata dalla l. 8 febbraio2006, n. 54 (2).Anche i rapporti tra genitori e figli, oggetto dellanorma in esame, sono profondamente diversi e nonsolo per il passaggio da una generazione ad un’altra.Plurimi i fattori determinanti da ricondurre al muta-to contesto sociale ed economico, alle mutate abitu-dini di vita, ancorata ad una tecnologia globalizzatacon il prevalere dell’Homo videns, ma anche alla sco-perta del DNA, avvenuta solo nel 1953, da parte diWatson, che ha fatto tramontare il padre putativo ela famiglia legittima che lo garantiva, in base al no-to brocardo “Pater is est quem iustae nuptiae de-monstrant” (Can. 1115 §1 codex iuris canonici del1917).Vanno infine ricordate le continue modifiche legi-slative che hanno rivoluzionato all’interno e al-l’esterno il nucleo familiare, tra cui quella sull’affi-damento condiviso (3) ed il recente progetto appro-vato da uno dei rami del parlamento sui rapporti tra

filiazione e parentela per cui tutti i figli devono esse-re considerati uguali (4) senza ulteriore specificazio-ne, e il rapporto di parentela cede il passo a quello difiliazione, tout court. Il rapporto tra genitori, nonchétra genitori e figli, risente profondamente dei cam-biamenti di valori, di abitudini, di costumi, di mode,di vita sociale e tecnologica globalizzata, in cui l’in-dividuo e le sue regole, divenute personali ed auto-nome, tendono sempre più a superare quelle delgruppo familiare.Non deve meravigliare che il mutato contesto hadato luogo a “nuove prospettive” (5) e a “nuoviorientamenti giurisprudenziali” (6) sulla responsabi-lità dei genitori, e soprattutto sulla prova liberatoriaprevista dal comma 3 dell’art. 2048 c.c., evitando itradizionali orientamenti giurisprudenziali rigorosisulla mancata prova di non aver potuto impedire ilfatto, in un divenire di moderni modelli comporta-mentali sempre più disarticolati, di genitori e di figli,con reciproci spazi di autonomia reciproca, ma conun crescendo dell’autonomia del minore, sempre più

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

IL COMMENTOdi Vincenzo Carbone

La decisione si inserisce nel divenire interpretativo della clausola di esonero della responsabilità civile dei ge-nitori, prevista dall’art. 2048 c.c., spostando la funzione e l’oggetto dell’onere della prova a loro carico “dalnon aver potuto impedire il fatto dannoso commesso dal minore” ai parametri “di una corretta educazioneed istruzione impartita dai genitori”, livello che finisce con l’essere desunto per lo più dalla gravità del fattoillecito commesso dal minore, valutato secondo parametri soggettivi e mutevoli, con conseguenti inevitabi-li oscillazioni giurisprudenziali.

Note:

(1) Verso un nuovo diritto di famiglia, Sesta, Manuale di diritto difamiglia, IV ed., Padova, 2011, 14 ss., 195 e 196 sulla famiglia ri-composta e sul genitore “sociale”.

(2) Airola Tavan, Il mantenimento diretto dei figli alla luce della l.8 febbraio 2006 n. 54, nota a Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2010,n. 22502, in Giur. it., 2011, 286; Calafà, Pari opportunità e divietidi discriminazione (d.lgs. 25 gennaio 2010, n. 5) - Il codice dellepari opportunità dopo il recepimento della dir. 2006/54/Ce: profilisostanziali, in Nuove leggi civ., 2010, 537; Guariso, Pari opportu-nità e divieti di discriminazione (d.lgs. 25 gennaio 2010, n. 5) - Ilcodice delle pari opportunità dopo il recepimento della dir.2006/54/Ce: profili processuali.

(3) Greco, La responsabilità civile nell’affidamento condiviso, inLa responsabilità civile, 2006, 731 ss.

(4) Le nuove proposte su filiazione e rapporti di parentela, appro-vate dalla Camera e in attesa della approvazione del Senato sonosu Corr. giur., 2011, 1314.

(5) Ferrante, Illecito del figlio minore: nuove prospettive, in que-sta Rivista, 2009, 585 ss., specie 591 ss. dove si confronta il no-stro sistema con quello di common law.

(6) Comporti, Nuovi orientamenti giurisprudenziali dei genitori exart. 2048 c.c., in questa Rivista, 2002, 353 ss.

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motorizzato a seconda delle possibilità familiari (7),in attività lecite lavorative e spesso anche social-mente utili, ovvero in attività illecite collegate allanecessità di spendere se si è senza lavoro, ovvero astimoli di autoreferenzialità che non trovano piùconfronto, neppure nel servizio di leva.In questo modificato contesto in cui la giurispru-denza di legittimità ha difficoltà ad interpretare eapplicare la vecchia norma, torna ad essere severanei casi di palese maleducazione o di enfant terrible,come l’accendere una sigaretta e con la fiamma, an-cora viva, dare fuoco ai vestito del compagno (8).Cosi anche alcune pronunce di merito meritano diessere ricordate: la Corte d’Appello di Genova haescluso la responsabilità dei genitori, dopo averascoltato anche l’arbitro, in un fallo di gioco cheaveva dato luogo alla frattura della mandibola enon di un arto (9). Invece, di fronte ad un caso diparticolare gravità, il Tribunale di Milano condan-na sei minorenni per violenza sessuale di gruppo,con responsabilità civile anche dei genitori, sia peri danni patrimoniali che per quelli non patrimonia-li ex art. 2059 c.c., subiti da una ragazza che «avevasubito una coazione psicologica» per poter passaredal «gruppo degli sfigati» cui apparteneva, ad ungruppo «amicale vincente» (10).Il nuovo diritto di famiglia, tra il finire del vecchio ei primi lustri del nuovo secolo, è profondamentecambiato anche se si riconosce e si ribadisce in giu-risprudenza il diritto prioritario del minore di cre-scere nell’ambito della propria famiglia d’origine,considerata, pur nelle dimensioni attuali, comel’ambiente più idoneo ai fini del suo armonico svi-luppo psicofisico, diritto che l’ordinamento garanti-sce attraverso la predisposizione di interventi direttia rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio fami-liare (11).Nella metamorfosi dei rapporti familiari, meritanodi essere segnalati, perché peculiari e rilevanti, gliestremi della fattispecie che ha dato luogo al contra-sto tra i giudici di merito, che concordemente han-no escluso la responsabilità dei genitori, e quelli dilegittimità, che l’hanno, invece, affermata. Duranteuna partita di calcio, mentre il gioco era fermo, unminore colpisce con una violenta testata alla boccail giocatore dell’altra squadra, anch’egli minorenne,causandogli ingenti e gravi danni. Occorre precisareche il fatto, imprevedibile e violento, non avvienecome fallo di gioco in uno scontro per il possessodella palla, ma in occasione di una sosta della parti-ta, quando l’autore dell’illecito si muove volontaria-mente e deliberatamente per raggiungere e colpireviolentemente un ragazzo della squadra avversaria

con il quale, in precedenza, non vi erano stati scon-tri o contrasti.Il richiamato contrasto tra i giudici di merito e giu-dici di legittimità verte proprio sulla prova liberato-ria richiesta, dall’art. 2048 c.c., ai fini dell’esonerodella loro responsabilità, ai genitori dell’autore delfatto dannoso. Secondo i giudici di merito, i genito-ri, non potendo intervenire sul campo, durante lapartita, hanno dimostrato di non aver potuto impe-dire il fatto illecito commesso dal figlio minore, ca-pace di intendere e di volere ma non emancipato,senza bisogno di alcun richiamo all’educazione eistruzione impartita. Tribunale di Bologna e Corted’Appello, dichiarano infatti che l’infortunio si èverificato per colpa esclusiva del minore, autore del-la violenta ed improvvisa testata in una pausa dellapartita, condannandolo al risarcimento dei danni,mentre rigettano le domande risarcitorie nei con-fronti dei genitori, escludendone la responsabilità,ai sensi dell’art. 2048 c.c., perché non avrebbero po-tuto impedire il fatto, intervenendo nel corso della

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

Note:

(7) Cass., sez. III, 28 marzo 2001, n. 4481, in questa Rivista,2001, 498 ss., con nota di Carbone, Non rispondono i genitoriper gli incidenti causati dal minore in motorino, «La norma di cuiall’art. 2048 c.c. contempla una ipotesi di responsabilità non in-diretta, bensì diretta dei genitori per il fatto illecito dei figli mino-ri imputabili, nonché presunta, sia pure iuris tantum (in deroga al-la generale previsione di cui all’art. 2043 c.c.), fino a quando nonsia stata offerta la positiva dimostrazione, da parte dei medesi-mi, dei precetti posti dall’art. 147 c.c.; la relativa valutazione è ri-messa al giudice di merito e, come tale, deve considerarsi insin-dacabile se sorretta da adeguata e corretta motivazione».

(8) Cass., sez. III, 10 luglio 1998, n. 6741, con nota di Di Ciom-mo, Minore “maleducato” e responsabilità dei genitori, in que-sta Rivista, 1998, 187 ss. La disposizione di cui all’art. 2048 c.c.- secondo cui i genitori (i tutori, i precettori e i maestri d’arte) so-no liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non averpotuto impedire il fatto - pur escludendo la configurabilità di unaresponsabilità oggettiva (incompatibile con la possibilità di offri-re l’indicata prova liberatoria) addossa a detti soggetti il rischiodelle impossibilità della prova stessa, nel caso in cui si rivelinoinadeguate le circostanze, che in concreto si potrebbero prova-re, alla luce delle carenze, rese evidenti da un contegno del mi-nore particolarmente riprovevole e pericoloso, che avrebbero re-sa necessaria la dimostrazione di una vigilanza più continua e piùintensa rispetto a quella abitualmente richiesta nei confronti diun soggetto di una data età e di una data educazione.

(9) App. Genova 9 novembre 2004, in Il Corriere del merito,2005, 171 ss., con nota di Barca, Fallo di gioco: presupposti e li-miti del risarcimento del danno.

(10) Trib. Milano 16 dicembre 2009, in Resp. civ., 2010, 1614,con nota di Mastrangelo, Violenza sessuale di gruppo e respon-sabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.: il risarcimento del dannonon patrimoniale come “internazionalizzazione del rischio edu-cativo”?, in Riv. giur. scuola, 2010, 501 ss., con nota di Flores, Illimite della responsabilità del genitore sulla vigilanza e sull’edu-cazione del minore (art. 2048 c.c.). Analisi matematica nel diritto.

(11) Cass., sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1837, in Foro it., Rep.2011, voce Adozione, n. 24.

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competizione sportiva per dare direttive al figlio ocomunque per impedire l’evento. Ne discende che,in tale peculiare situazione, non assume alcun rilie-vo l’educazione impartita e la vigilanza spettante aigenitori, posto che trattasi di un ambito del tuttoescluso dal loro intervento, dovendo il grave com-portamento del minore attribuirsi, in via esclusiva,allo stesso, ben consapevole delle regole del gioco edel comportamento cui avrebbe dovuto attenersi eche invece ha coscientemente e deliberatamenteviolato.Del tutto opposta la tesi dei giudici di legittimitàche ritengono, invece, la responsabilità dei genitoriper i danni cagionati dal figlio minore che vive conloro, riconducendo l’illecito, commesso durante lasosta della partita di calcio, ad oggettive carenze del-l’attività educativa, al mancato rispetto delle regoledella civile coesistenza, vigenti nei diversi ambitidel contesto sociale in cui il minore si trova ad ope-rare. In tal modo, non si valuta se i genitori avesseropotuto o meno impedire il fatto illecito commessodal figlio minore, ma si introducono nuovi parame-tri esterni alla norma, spostando il ruolo, la funzionee l’oggetto della prova liberatoria richiesta ai genito-ri dall’art. 2048 c.c. Elementi determinanti sono idiritti e i doveri dei genitori e del figlio, previsti nel-la carta costituzionale, oltre che nel codice civile.L’art. 30, comma 1, Cost. prescrive che «è dovere ediritto dei genitori di mantenere, istruire ed educarei figli anche se nati fuori dal matrimonio». A suavolta l’art. 147 c.c. fa riferimento ad «ambedue i co-niugi» novellato, dall’art. 28 della riforma del dirit-to di famiglia 151 del 1975 (12), dove l’aggiunta su-perflua di “ambedue” a “coniugi” voleva solo signifi-care il mutamento rispetto alla precedente discipli-na dell’art. 1153 c.c.1865 che considerava responsa-bile solo «il padre e in sua mancanza la madre».L’indirizzo giurisprudenziale dei giudici di legittimità(13) ribadisce che l’onere della prova di non averpotuto impedire il fatto illecito commesso dal figliominore, che incombe sui genitori al fine di evitare laresponsabilità, si concretizza, normalmente, nelladimostrazione, non di una continua sorveglianza fi-sica e concreta, ma nell’adempimento del dovere diaver svolto adeguata attività di istruzione e forma-zione, impartendo ai, o al, minore un’educazioneconsona alle proprie condizioni sociali e familiari, esoprattutto al rispetto delle regole della civile coesi-stenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgi-mento delle attività extrafamiliari, esercitando alcontempo una consapevole e responsabile vigilanzaadeguata, ma inversamente proporzionata all’età(14). Del resto la stessa giurisprudenza di legittimità

(15) ai fini dell’affermazione di responsabilità deigenitori ex art. 2048 c.c., precisa che l’inadeguatezzadell’educazione impartita e della vigilanza esercitatasu un minore può desumersi, in mancanza di provacontraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito,che ben possono rivelare il grado di immaturità e didiseducazione del minore, conseguenti al mancatoadempimento dei doveri incombenti sia sui genitoriche sui figli, ai sensi degli artt. 30 Cost., 147 e 315c.c. (16).E così, nonostante il testo normativo sia rimasto im-mutato ed ancorato al «non aver potuto impedire ilfatto» - comune denominatore delle norme previstedagli artt. 2047 e 2048 c.c. - nel contesto etico so-ciale, profondamente mutato, ha acquistato rilevan-za determinante il valore dell’educazione familiare,impartita e ricevuta, il rispetto delle regole della ci-

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Note:

(12) Nel testo originale si faceva riferimento anche alla “mora-le”: cfr. Pandolfelli, Scarpelli, Stella Richter, Dallari, Codice civile,libro I, Milano, 1939, 189 s.

(13) Cass., sez. III, 7 agosto 2000, n. 10357, in questa Rivista,2001, 260, con nota di Di Ciommo, Figli, discepoli e discoli in unagiurisprudenza «bacchettona»?, in Fam. e dir., 2001, 51, con no-ta di Finelli, Ancora sulla responsabilità del genitore per i dannicausati dal figlio minore: «È legittimo desumere dalle modalitàdel fatto illecito commesso dal minore l’inadeguatezza dell’edu-cazione impartita e della vigilanza esercitata, atteso che - in as-senza di una concludente prova contraria - quelle modalità benpossono rivelare lo stato di maturità e l’educazione del minore ecosì le debite incombenze alle quali i suoi genitori sono manca-ti»; Cass., sez. III, 11 agosto 1997, n. 7459: «Ai fini della respon-sabilità del genitore per il fatto illecito del minore, a norma del-l’art. 2048 c.c., la circostanza che il figlio abbia frequentato lascuola e sia avviato ad un mestiere, se può valere ad escluderela presunzione di culpa in vigilando, non è idonea a fornire la pro-va liberatoria della presunzione di culpa in educando all’uopo oc-correndo che sia stata impartita al figlio un’educazione normal-mente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione inrapporto al suo ambiente, alle sue abitudini, alla sua personali-tà», in Giust. civ., 1997, I, 2390.

(14) Negli stessi termini, Cass., sez. III, 20 aprile 2007, n. 9509,in questa Rivista, 2007, 1025, con nota di Taccini, Comporta-mento violento e controllo della famiglia, in La responsabilità ci-vile, 2007, 797, con nota di Corea, La responsabilità dei genitorisecondo una recente pronuncia della Cassazione, in Rass. dir.civ., 2008, 238 ss., con nota di Parini, Responsabilità dei genito-ri ex art. 2048 c.c.: i genitori sempre devono essere chiamati a ri-spondere?

(15) Cass., sez. III, 20 ottobre 2005, n. 20322, in Fam. e dir.,2006, 135, con nota di Facci, La responsabilità dei genitori in ca-so di incidente stradale del figlio minore: per colpa o oggettiva,in Arch. circolaz., 2006, 511, in Nuova giur. civ., 2006, I, 990, connota di Quarticelli, La prova liberatoria dei genitori responsabiliper culpa in educando ed in vigilando del fatto illecito compiutodal figlio minore imputabile, ex art. 2408 c.c.

(16) Sui doveri di istruzione e di educazione, Sesta, Manuela didiritto di famiglia, cit., 236 ss. Un rilievo dell’appartenenza del fi-glio ad nucleo di base, con attenzione ai figli “contesi” o a quel-li “abbandonati”, Trabucchi, Note introduttive agli artt. 147 e148, in Cian, Oppo, Trabucchi, Comm. dir. it. della famiglia, tomoII, Padova, 1992, 538 ss.

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vile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nellosvolgimento delle attività extrafamiliari.Facendo leva su “fatto illecito” commessi da minori“capaci di intendere e di volere” (17), rispetto agli“incapaci” regolati dall’art. 2047 c.c., l’interpretazio-ne ha collegato la capacità alla comprensione degliinsegnamenti educativi che sono divenuti per la giu-risprudenza l’oggetto della prova a favore dei genito-ri per evitare la responsabilità, tenendo conto dellamutata educazione, della maggiore autonomia dei fi-gli non solo a casa e a scuola, in relazione alla diffusapartecipazione sportiva dei minori, con un diversoatteggiamento giurisprudenziale secondo se il dan-neggiato chieda il risarcimento e la responsabilità alsorvegliante (18) o ai genitori. Questa responsabilitàvicaria (19) dei genitori si basa su due fattori, unopositivo, il fatto dannoso commesso dal minore fon-te della responsabilità, e l’altro negativo, il non averpotuto impedire il verificarsi del fatto. Per effetto,come è stato detto, di una “création prétorienne, di di-ritto non scritto” (20) o di “libera creazione del dirit-to” (21) l’interpretazione giurisprudenziale ha tra-sformato il contenuto negativo della prova liberato-ria richiesta, compatibile con la responsabilità ogget-tiva (cfr. art. 2051 c.c.), nella dimostrazione positivadell’aver adempiuto ai propri doveri di genitori, im-partendo una corretta educazione, ai fini di evitareuna responsabilità presunta (22).

Dall’unitarietà della responsabilità vicariaalla peculiarità della responsabilitàgenitoriale

I sei commi dell’art. 1153 del codice del 1865 eranochiaramente ispirati dall’analoga disposizione del-l’art. 1384 Code civil o Code Napoléon del 1804.Precisamente dall’art. 1384 alinéa 4, passata indenneattraverso l’art. 1153, comma 2, c.c. del 1865, perchésolo nel 1970 la disposizione francese del comma 4 èstata riscritta dalla loi 4 giugno 1970, n. 459, nel sen-so che prima la responsabilità era del padre e dellamadre solo «après le décès du mari» (la disposizioneera stata tradotta dal codice italiano del 1865 «il pa-dre e in sua mancanza la madre») ora, invece, en-trambi i genitori sono messi sullo stesso piano (23).La previsione unitaria della responsabilità civilenon per fatto proprio ma per il danno arrecato dalfatto «delle persone delle quali deve rispondere»,per legge o per contratto, precisa quali sono i sogget-ti dei cui atti illeciti si deve rispondere: i “figli mi-nori”, gli “allievi” i “commessi e domestici”. La pre-occupazione dell’epoca era il dover giustificare la re-sponsabilità di chi per legge o per contratto sia ob-

bligato alla sorveglianza e quindi la diversità dellaresponsabilità civile per il danno cagionato per ilfatto proprio da quella della responsabilità vicariaper il danno arrecato dal fatto illecito “delle personedelle quali deve rispondere”, indicando espressa-mente quali sono i soggetti dei cui atti illeciti si de-ve rispondere: il padre o in sua mancanza la madre,la cui funzione vicaria è cessata con il codice del1942 (24) per i figli minori, i tutori per gli ammini-strati, i padroni e committenti per domestici e com-messi, i precettori e artigiani per i loro allievi.Prima del codice del 1942, che ha frammentatol’unitarietà della responsabilità vicaria regolata dal-l’art. 1153 del codice civile del 1865, attuando unatripartizione negli artt. 2047, 2048 e 2049 c.c., vige-

Note:

(17) Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja, Branca, sub art.2048, Bologna-Roma, 1993; 347.

(18) Cass., sez. III, 30 marzo 2011, n. 7247, in Foro it., Rep.2011, voce Responsabilità civile, n. 136: Ai fini del riconosci-mento della responsabilità del sorvegliante, a norma dell’art.2047 c.c., è necessario che il fatto commesso dall’incapace pre-senti tutte le caratteristiche oggettive dell’antigiuridicità e cioèche sia tale che, se fosse assistito da dolo o colpa, integrerebbeun fatto illecito; ne consegue che, nell’ipotesi di lesione perso-nale inferta da un minore ad un altro nel corso di una competi-zione sportiva, occorre verificare, al fine di escludere l’antigiuri-dicità del comportamento dell’incapace e la conseguente re-sponsabilità del sorvegliante, se il fatto lesivo derivi o meno dauna condotta strettamente funzionale allo svolgimento del gio-co, che non sia compiuto con lo scopo di ledere e che non sia ca-ratterizzato da un grado di violenza od irruenza incompatibile conlo sport praticato.

(19) Chiarella, Minore danneggiante e responsabilità vicaria, inquesta Rivista, 2009, 973 ss.

(20) Bessone, Fatto illecito del minore e regime della responsa-bilità per mancata sorveglianza, in Riv. dir. fam., 1982, 1011; Ma-jello, Responsabilità dei genitori per il fatto illecito del figlio mi-nore e valutazione del comportamento del danneggiato ai finidella determinazione del contenuto della prova liberatoria, in Dir.giur., 1960, 45.

(21) Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964,153.

(22) Alpa, Trattato di diritto civile, vol. IV, La responsabilità civile,Milano, 1999, 668 ss.

(23) Su «la responsabilté des père et mère du fait de leurs en-fants habitant avec eux», prevista nell’art. 1385 cod. Nap. novel-lato nel 1970, Le Tourneau, Cadiet, Droit de la responsabilité, Pa-ris, 1996, 711; Starck, Roland e Boyer, Obligations. Responsabi-lité delictuelle, Paris, 1991, 453. La ratio della disposizione si in-centra sulla responsabilità del gruppo familiare e, in particolare,sul mancato o difettoso esercizio dello ius corrigendi del genito-re, che risponde direttamente ed immediatamente del fatto dan-noso commesso dal figlio «indisciplinato» che vive ancora nelgruppo e che ha arrecato danno a terzi.

(24) Afferma il Relatore Pettini, negli atti delle Commissione del-l’Assemblea legislative che la coobbligazione tra genitori è «unadisposizione ispirata a giustizia oltre che a rafforzare i vincoli fa-miliari»: Pandolfelli, Scarpelli, Stella Richter, Dallari, Codice civi-le, libro delle obbligazioni, Milano 1942, 682 ss.

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va un’unica regola della responsabilità di chi per leg-ge è obbligato alla sorveglianza, sancito sia nell’art.1384 del Code civil, sia nel § 832 del Bürgerliches Ge-setzbuch.L’art. 1384 Code Napoléon afferma «On est respon-sable non seulement du dommage que l’on cause parson propre fait, mais encore de celui qui est causépar le fait des personnes dont on doit répondre».Nasce così la «responsabilité du fait d’autrui», tracui la «responsabilitè des parents».A sua volta il § 832 del Bürgerliches Gesetzbuch ac-comuna, sotto la rubrica “Haftung des Aufsichtspfli-chtigen” la responsabilità del soggetto obbligato allasorveglianza per legge o per contratto, prevedendo,tra gli obbligati, i genitori per i figli minori a causadella minore età “Minderjährigkeit”.Com’è evidente si trattava di un’unica previsione,avente quale comune denominatore la responsabili-tà di chi avrebbe dovuto sorvegliare per legge o percontratto e che risponde del danno causato dal fattoillecito delle persone da sorvegliare senza distingue-re, tra maggiorenni e minorenni, tra capacità ed in-capacità, dell’autore materiale del danno, con laprecisazione che «la detta responsabilità non ha luo-go allorché i genitori, i tutori, i precettori o gli arti-giani provano di non aver potuto impedire il fatto dicui dovrebbero essere responsabili».Dal sistema unitario della responsabilità vicaria, inrelazione alle persone, si è passati alla disciplina delvigente codice, articolata in tre distinte norme: l’art.2047 per il danno cagionato da soggetto incapace,per minore età o per infermità di mente; l’art. 2048sulla responsabilità dei genitori per i figli minori,nonché dei precettori e maestri d’arte per i dannicommessi dagli allievi, anche se non minorenni, inquanto il comma 2 dell’art. 2048 che non ripete laparola “minore” o “minori”, riferita agli allievi edagli apprendisti; infine l’art. 2049 che regola la re-sponsabilità dei padroni e committenti per i dannicagionati da domestici e commessi.La frammentazione ha innestato alcuni problemi,anche se resta un “elenco chiuso” (25) per quantoriguarda i soggetti che per legge o per contratto ri-spondono dei fatti di terzi. Solo per il minore di età- ma la disposizione vale anche per l’affiliante - siapplica la regola che ancora la responsabilità vica-ria ai genitori che abitano con il minore, mentreper tutte le altre ipotesi la convivenza non è in al-cun modo prevista. Tuttavia la giurisprudenza (26)ha avuto modo di precisare che i genitori sono re-sponsabili, ai sensi dell’art. 2048 c.c., dei danni ca-gionati dai figli minori anche se temporaneamentenon abitano con essi, sia per quanto concerne gli il-

leciti comportamenti che siano frutto di omessa ocarente sorveglianza, sia con riguardo agli illeciti ri-conducibili ad oggettive carenze nell’attività edu-cativa che si manifestino nel mancato rispetto del-le regole della civile coesistenza, vigenti nei diversiambiti del contesto sociale in cui il soggetto si troviad operare.Appare evidente il diverso profilo che sta assumen-do l’interpretazione della clausola di esonero di re-sponsabilità dell’illecito posto in essere volontaria-mente da un minore non emancipato, rispetto aquello commesso da un incapace, nonostante l’ori-ginaria formulazione normativa, sostanzialmenteidentica. Infatti l’esonero della responsabilità dei ge-nitori ex art. 2048 c.c., rispetto a quella prevista peril danno cagionato dall’incapace ex art. 2047 c.c.,aveva il comune denominatore dell’impossibilità diaver potuto impedire il verificarsi del fatto dannoso.Con una formulazione al singolare per l’addetto allasorveglianza nell’art. 2047 c.c. «salvo che provi dinon aver potuto impedire il fatto» e al plurale trat-tandosi di genitori nell’art. 2048 c.c.«se provano dinon aver potuto impedire il fatto».Anche il plurale, significativo per stigmatizzare laresponsabilità solidale di entrambi i genitori, ha da-to luogo a problemi, in caso di separazione persona-le o di divorzio, perché mentre alcuni (27) ritengo-no che la sentenza di separazione o di divorzio abbia

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Note:

(25) Sull’elenco chiuso, non applicabile a soggetti che non sianotassativamente indicati, Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scia-loja, Branca, sub art. 2048, cit., 355.

(26) La giurisprudenza non considera essenziale la convivenza:Cass., sez. III, 14 marzo 2008, n. 7050, in Foro it., 2008, I,2883, in Nuova giur. civ., 2008, I, 1214, con nota di Barbanera,L’allontanamento del minore dalla casa familiare: sono ancoraresponsabili i genitori per il fatto illecito del figlio?, in Giur. it.,2008, 2167, con nota di Esposito, Responsabilità dei genitori e“convivenza” col minore, in La responsabilità civile, 2008, 703,con nota di Greco, Il temporaneo allontanamento del minoredalla casa dei genitori non esclude la responsabilità ex art.2048 c.c., in Fam. e dir., 2009, 359, con nota di Valente, La re-sponsabilità dei genitori per il fatto illecito del figlio minore nonconvivente, in Fam., pers. e succ., 2009, 104, con nota di Fan-tetti, L’illecito del minore e la responsabilità dei genitori, inGiust. civ., 2010, I, 19: «La responsabilità dei genitori, per idanni cagionati a terzi da fatti illeciti commessi dai figli minori,sussiste anche nel caso in cui il figlio non coabiti più con il pa-dre e la madre, qualora la condotta indisciplinata, negligente odirresponsabile del medesimo (consistente, nella specie, nel-l’inosservanza di norme relative alla circolazione stradale) sia ri-conducibile ad un’oggettiva inadeguatezza ed insufficienza del-l’educazione impartitagli».

(27) Comporti, Fatti illeciti: le responsabilità presunte, in Comm.Schlesinger, sub artt. 2044-2048, Milano, 2002, 227; Morozzodella Rocca, La responsabilità civile dei genitori, tutori, maestri,in Cendon, La responsabilità civile, Torino, 1998, 64.

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fatto venir meno, oltre che la coabitazione (28) deiminori con entrambi i genitori, anche l’eserciziocongiunto della potestà e quindi la responsabilità dientrambi, altri (29), facendo perno sia sull’art. 155,comma 3 che riconosce prerogative per il coniugenon affidatario, sia sulla responsabilità di un’educa-zione ed istruzione non impartita adeguatamente eriferibile anche al periodo di convivenza, preferisco-no optare per la responsabilità anche del coniugenon affidatario, per il mancato adempimento dei do-veri incombenti sui genitori ai sensi dell’art. 147.

La prova dell’esonero della responsabilità:dal non aver potuto impedire il fatto alla corretta educazione impartita

Come può rilevarsi, la responsabilità genitoriale peril risarcimento dei danni - patrimoniali e non patri-moniali, dopo la lettura costituzionalmente orienta-ta dell’art. 2059 c.c. - ha assunto in questi anni unosviluppo interpretativo costituzionalmente orienta-to, anche alla luce dell’art. 30 Cost. che riconosce ildiritto e il dovere dei genitori di istruire ed educare ifigli, anche se nati fuori del matrimonio, mentre ledisposizioni codicistiche sono ripartite tra figli legit-timi e figli naturali, in quanto per i primi, l’art. 147c.c. afferma che «il matrimonio impone ad ambeduei coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educarela prole», mentre l’art. 261 c.c. per i figli naturali ri-conosciuti si limita a richiamare i doveri previsti peri figli legittimi con rinvio all’art. 147 c.c. e, infine,l’art. 315 c.c. richiama anche il dovere del figlio dirispettare i genitore e contribuire alla crescita e svi-luppo della famiglia.Il rinvio all’educazione impartita ha spostato l’otticainterpretativa nell’utilizzo non di una prova negati-va “salvo che provi di non aver potuto impedire ilfatto” ma di una prova positiva “salvo che non pro-vi di aver impartito un’adeguata educazione”.Appare evidente come l’interpretazione abbia forte-mente differenziato l’applicazione concreta del-l’onere della prova sullo stesso concetto “salvo cheprovi di non aver potuto impedire il fatto” rimastofermo in relazione all’art. 2047 c.c. relativo alla re-sponsabilità di chi sorveglia un incapace di intende-re e di volere, ma fortemente modificato, nonostan-te l’identica espressione contenuta dall’art. 2048 c.c.che disciplina la responsabilità dei genitori per idanni arrecati a terzi da minori non emancipati, in-terpretata diversamente perché il “salvo che provi dinon aver potuto impedire il fatto”, viene collegatocon “il fatto illecito” commesso dal minore (art.2048, comma 1, c.c.), trasformando l’onere della

prova liberatoria richiesta (non aver potuto impedi-re il fatto), nella dimostrazione positiva dell’averadempiuto ai propri doveri di genitori, impartendouna corretta educazione, ai fini di evitare la com-missione di illeciti (30).Dall’esame della casistica emerge che non si contro-verte più tanto sulla natura della responsabilità ge-nitoriale tra responsabilità oggettiva, che sta acqui-stando nuovi consensi, e responsabilità per colpa(31), ma sulla prova dei doveri di educazione e di vi-gilanza, tenuto conto della personalità del minore edelle condizioni ambientali e sociali, con la conse-guenza che un ruolo rilevante viene attribuito allagravità ed anche alle modalità del fatto illecito delminore. Se si tratta di casi meno gravi (piccoli inci-denti con il motorino (32), o lievi danni durante

Note:

(28) La coabitazione o “consuetudine di vita comune” è uno de-gli elementi costitutivi della fattispecie della responsabilità deigenitori ed è in stretto rapporto con i doveri di educare e di vigi-lare, che non possono essere assolti se non si vive a stretto con-tatto con il minore: Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja,Branca, sub art. 2048, cit., 363; Monateri, La responsabilità civi-le, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, 952; Mantovani, Responsabilitàdei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte, in Alpa,Bessone, La responsabilità civile, II, 1, in Giur. sist. Bigiavi, Tori-no, 1987, 17.

(29) Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja, Branca, sub art.2048, cit., 359; Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. Sacco,cit., 956; Mantovani, Responsabilità dei genitori, dei tutori, deiprecettori e dei maestri d’arte, cit., 164; Patti, Famiglia e re-sponsabilità civile, Milano, 1984, 278.

(30) Cass., sez. III, 18 gennaio 2006, n. 831, in Resp. civ., 2006,1071, con nota di Gavazzi, Più leggero l’onere della prova per igenitori, nell’ipotesi di danni cagionati dai figli minori, in Resp. erisarcimento, 2006, fasc. 2, 50, con nota di Sacchetti, afferma«che valutare se tale onere sia stato o meno assolto costituiscequestione di fatto, come tale rimessa al giudice del merito, la cuidecisione è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta daadeguata e corretta motivazione. Nella specie, la suprema corteha confermato la sentenza del giudice del merito che avevaescluso la responsabilità dei genitori per i danni provocati dal lo-ro figlio ad un altro minore con un manganello di plastica in oc-casione di una festa di carnevale organizzata presso un oratorioparrocchiale, ritenendo che il curriculum scolastico, militare e la-vorativo del ragazzo, all’epoca quasi maggiorenne, nonché il suocontesto familiare, dimostrassero che egli aveva ricevutoun’educazione adeguata».

(31) Taccini, Il sistema della responsabilità civile dei genitori: traprofili di protezione e di garanzia, in questa Rivista, 2008, 5 ss.;Cocchi, Art. 2048 c.c.: orientamenti giurisprudenziali sulla re-sponsabilità da illecito cagionato da minore “capace”, in Resp.civ., 2010, 1969 ss.

(32) Cfr. Cass., sez. III, 28 marzo 2001, n. 4481, cit., 502, con no-ta di Carbone, «La prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art.2048 c.c. di non aver potuto impedire il fatto illecito commessodal figlio minore capace di intendere e di volere si concreta, nor-malmente, nella dimostrazione, oltre che di aver impartito al mi-nore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e fa-miliari, anche di aver esercitato sullo stesso una vigilanza ade-guata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non cor-retti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educati-

(segue)

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«un’attività di gioco ordinariamente seguita» in unaclasse elementare (33)), la giurisprudenza tende asostenere che i genitori non sono responsabili deldanno provocato dal figlio minore se possono dare lapositiva dimostrazione di aver impartito una corret-ta educazione, desunta dal curriculum scolastico, mi-litare e lavorativo del ragazzo, oltre che dal contestofamiliare in cui è cresciuto.Diversamente nei casi più gravi, o con modalità (34)allarmanti, la responsabilità dei genitori resta ferma,perché il giudice desume l’inadeguatezza dell’educa-zione impartita proprio dalle circostanze stesse concui è stato commesso dal minore il fatto illecito. Trai casi più rilevanti l’aver provocato, da parte di un fi-glio minorenne, ancorché prossimo alla maggioreetà, la morte del proprio compagno di frequentazioniomosessuali, che dimostra l’inadempimento ai dove-ri di educazione e formazione della personalità delminore (35). Anche per l’incidente stradale provo-cato dal conducente minorenne con la morte dell’al-tro viaggiatore si afferma la responsabilità genitoria-le per non aver provato di aver impartito al figlioun’educazione sufficiente a condurre una corretta vi-ta di relazione in rapporto all’ambiente, alle abitudi-ni e alla personalità del minore che si desume dal fat-to che il minore era a bordo del ciclomotore privo dicasco con un passeggero anch’esso senza casco (36).Ed ancora, l’inefficacia dell’educazione impartita alminore è legittimamente desumibile dalla specificacondotta causativa del danno, consistente nella gui-da spericolata, in guisa di esibizione, di un ciclomo-tore non abilitato al trasporto di due persone (37).In tali casi la giurisprudenza afferma la responsabili-tà ex art. 2048 c.c., alla luce delle carenze, rese evi-denti da un contegno del minore particolarmente ri-provevole e pericoloso, che avrebbero resa necessa-ria la dimostrazione di una vigilanza più continua epiù intensa rispetto a quella abitualmente richiestanei confronti di un soggetto di una data età e di una

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

Note:

(continua nota 32)va. Nella specie, la corte ha escluso la responsabilità dei genito-ri di un minore che, alla guida di un motociclo, aveva investito unuomo provocandogli gravi danni alla persona, per avere essi for-nito la prova di aver fatto tutto il possibile per educare adeguata-mente il figlio e prepararlo alla necessaria autonomia, in partico-lare, per ciò che rilevava nella fattispecie, avviandolo al lavoro efacendogli conseguire la patente “A”». Cass., sez. III, 9 aprile1997, n. 3088, in Fam. e dir., 1997, 221, con nota di Pardolesi,Danni cagionati dai minori: pagano sempre i genitori?: «Ai finidella prova liberatoria richiesta dall’art. 2048 c.c., non occorreche il genitore dimostri la sua costante ed ininterrotta presenzaaccanto al figlio quando, per l’educazione impartita, per l’età, eper l’ambiente in cui viene lasciato libero di muoversi, risultinocorrettamente impostati i rapporti del minore con l’ambiente ex-trafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rap-

porti non possano mai costituire fonte di pericoli per sé e per iterzi».

(33) Trib Bologna, 24 aprile 2001, in Resp. civ., 2001, 996, connota di Facci, La prova liberatoria dei genitori per l’illecito del fi-glio minore dipende dalle modalità con cui è avvenuto il fatto,«Non sussiste alcuna responsabilità dei genitori per l’illecito delfiglio minore, nel caso in cui le circostanze con le quali si è veri-ficato il fatto non facciano evincere una inadeguatezza nell’edu-cazione impartita».

(34) Sulle modalità dello stesso fatto illecito, che si ritiene pos-sano rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, cfr.la citata Cass., sez. III, 20 ottobre 2005, n. 20322, in Fam. e dir.,2006, 135, con nota di Facci, La responsabilità dei genitori in ca-so di incidente stradale del figlio minore: per colpa od oggettiva?«Ai fini dell’affermazione di responsabilità dei genitori ex art.2048 c.c., l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigi-lanza esercitata su un minore può desumersi, in mancanza diprova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che benpossono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore,conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti suigenitori, ai sensi dell’art. 147 c.c.; non è, invece, ammissibile ilcontrario: e cioè che dalle modalità del fatto illecito possa desu-mersi l’adeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanzaesercitata». Cass., sez. III, 29 maggio 2001, n. 7270, in Nuovagiur. civ., 2002, I, 326, con nota di Solinas, «L’inadeguatezza del-l’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore,fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecitodal suddetto commesso, può esser ritenuta, in mancanza di pro-va contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che benpossono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore,conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti suigenitori, ai sensi dell’art. 147 c.c.».

(35) Cass., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18804, in La Resp. civ.,2011, 361 ss., con nota di Mastroianni, La responsabilità dei ge-nitori per il fatto del minore: la lettura degli artt.1227 e 2048 c.c.proposta dalla cassazione: «Ai fini della responsabilità del geni-tore per il fatto illecito commesso al dal figlio minorenne, la cir-costanza che questi sia prossimo alla maggiore età, se può vale-re a escludere la presunzione di culpa in vigilando, non è idoneaa fornire la prova liberatoria della presunzione di culpa in edu-cando, occorrendo, all’uomo, che gli sia stata fornita un’educa-zione, fatta non solo di parole ma anche e soprattutto di com-portamenti e presenza, idonea a impostarne la capacità di frena-re i propri istinti o di incanalarli in modalità espressive meno gra-vi e violente; ne consegue, trattandosi di valutazione rimessa algiudice di merito, l’insindacabilità in sede di legittimità ove sor-retta da corretta e adeguata motivazione (nella specie, è stato ri-tenuto responsabile il padre, il quale di fronte alle dicerie sullesue frequentazioni omosessuali con la vittima, non aveva maichiarito la propria situazione con il figlio, in modo da impedireche questi reagisse in modo violento, al punto di provocare lamorte del presunto compagno omosessuale)».

(36) Cass., sez. III, 22 aprile 2009, n. 9556, in questa Rivista,2010, 167, con nota di Pardolesi e Di Mattia, Responsabilità deigenitori per l’illecito dei minori: un esercizio di precomprensio-ne?, in Giust. civ., 2010, I, 965, con nota di Cocuccio, Sulla re-sponsabilità civile dei genitori per il fatto illecito commesso dal fi-glio minore: «I genitori sono responsabili per l’illecito commessodal figlio minorenne, ancorché prossimo alla maggiore età, senon provano di aver impartito al figlio un’educazione sufficientea condurre una corretta vita di relazione in rapporto all’ambiente,alle abitudini e alla personalità del minore (nella specie, il manca-to adempimento dell’obbligo educativo è stato dedotto dalla cir-costanza che il minore, al momento del sinistro, era a bordo diun ciclomotore privo di casco e trasportava un passeggero an-ch’esso senza casco)».

(37) Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2005, n. 2518, in La responsa-bilità civile, 2007, 514, con nota di Vardi, Responsabilità dei ge-nitori ex art. 2048 c.c.: la conferma di una sempre più difficileprova liberatoria, in La responsabilità civile, 2007, 514 ss.

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data educazione (38). Non basta provare che il mi-nore abbia ricevuto una buona educazione di fondo,se le modalità del fatto doloso di cui il minore si siareso responsabile rivelino in se stesse una suscettibi-lità ed una carenza di autocontrollo tali da imporreun grado di vigilanza più stretto di quello in concre-to esercitato (39).La sentenza in esame di fronte alla gravità del fattodichiara di voler applicare «un bilanciamento di in-teressi contrapposti (balancing test)», ritenendo chel’impossibilità di vigilarlo, perché affidato a terzi,non fa venir meno la culpa in educando, che sussisteper il solo fatto dell’obbligo di risultato (40). L’affi-damento del minore alla custodia di terzi solleva igenitori dalla presunzione di culpa in vigilando, manon anche da quella di culpa in educando, rimanendocomunque i genitori tenuti a dimostrare, per liberar-si da responsabilità per il fatto compiuto dal minorein un momento in cui lo stesso si trovava soggettoalla vigilanza di terzi, di avere impartito al minorestesso un’educazione adeguata a prevenirne compor-tamenti illeciti (41), con una valutazione dell’edu-cazione impartita (42) nell’interesse degli stessi mi-nori, ma anche a salvaguardia dei terzi (43).Con la conseguenza che, nell’ipotesi di lesione per-sonale inferta da un minore ad un altro nel corso diuna competizione sportiva, occorre verificare, al finedi escludere l’antigiuridicità del comportamento del-l’incapace e la conseguente responsabilità del sorve-gliante, se il fatto lesivo derivi o meno da una con-dotta strettamente funzionale allo svolgimento delgioco, che non sia compiuto con lo scopo di ledere eche non sia caratterizzato da un grado di violenza odirruenza incompatibile con lo sport praticato (44).In conclusione, dopo quasi due lustri, si è ancora al-la ricerca del superamento delle oscillanti(in)certezze alla base di una prova liberatoria forni-ta dai genitori e dei diversi orientamento interpreta-tivi (45) anche se la giurisprudenza sembra conside-rare la responsabilità vicaria dei genitori sempre piùancorata ad una responsabilità oggettiva, trattando-si di responsabilità civile per danni patrimoniali enon patrimoniali conseguenti ad un fatto illecitocommesso da un soggetto diverso dal responsabile,abbandonando la presunzione di colpa (46).Come si è cercato di rilevare, il problema si va ag-gravando, e la prova liberatoria diventa sempre piùdifficile (47), quando l’attenzione si sposta non sul-la tipologia di responsabilità, ma sulla gravità o me-no dell’illecito commesso, che ci riporta al dirittocome «un concetto-fisarmonica dilatabile o restrin-gibile ... in base alla “precomprensione” (48) delgiudice alla ricerca di quale debba essere la migliore

soluzione del caso concreto, tenuto conto della gra-vità dell’illecito».Precomprensione o Vorverständniss è il titolo di unnoto libro di Esser (49) che coniuga esigenze diversema non contrapposte, evitando però “pre-giudizi”nella sussunzione della fattispecie concreta nel Tat-bestand normativo, adottando criteri sistematicicoerenti e omogenei, anche se modificabili nel tem-po per il mutato contesto, in cui la norma deve ope-rare - trattandosi di regole giuridiche fatte dall’uomoper l’uomo che non sono fisse e immutabili comequelle scientifiche - evitando da un lato «un dirittostrettamente dogmatizzato» e dall’altro «un dirittocompletamente ideologizzato» (50).Il diritto vivente, specie in tema di responsabilità ci-vile, richiede nuove frontiere e nuovi “coerenti”orientamenti, ma occorre evitare incongruenze,oscillazioni, disparità di trattamento, valutazionidifferenziate dello stesso fatto e soprattutto una pro-batio diabolica o una prova diversificata in funzionedella ritenuta gravità del fatto illecito commesso.

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

Note:

(38) Cfr. la citata Cass., sez. III, 10 luglio 1998, n. 6741, in questaRivista, 1998, 1090, con nota di Di Ciommo, Minore maleducatoe responsabilità dei genitori.

(39) Cass., sez. III, 4 giugno 1997, n. 4971, in questa Rivista,1998, 252, con nota di Montaguti, Genitori sempre responsabiliper le condotte illecite dei figli minori.

(40) Di Biase, La prova liberatoria nel sistema della responsabili-tà civile dei genitori, tra colpa presunta e obbligo di risultato, inquesta Rivista, 2010, 886 ss.

(41) Cass., sez. III, 21 settembre 2000, n. 12501, Dir. e giust.,2000, fasc. 35, 12, con nota di Rossetti.

(42) Mantovani, Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei pre-cettori e dei maestri d’arte, cit., 166.

(43) Bianca, Diritto civile, La responsabilità, V, Milano, 1994, 693.

(44) Cfr. la citata Cass., sez. III, 30 marzo 2011, n. 7247, in Foroit., Rep. 2011, voce Responsabilità civile, n. 136.

(45) Carbone, Non rispondono i genitori per gli incidenti causatidal minore in motorino, cit., specie 503.

(46) Parini, Responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.: i genitorisempre devono essere chiamati a rispondere?, cit., 248 ss. Fac-ci, L’illecito del figlio minore, la prova liberatoria dei genitori e laresponsabilità oggettiva, in La responsabilità civile, 2005, 162 ss.

(47) Vardi, Responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.: la confer-ma di una sempre più difficile prova liberatoria, cit., 518 ss.

(48) Cfr. la richiamata nota di Pardolesi e Di Mattia, in questa Ri-vista, 2010, 167 ss., specie 172, ov’è richiamato il concetto di“precomprensione” che fa parte anche del titolo.

(49) Esser, Vorverständniss und Methodenwahl in der Rechtsfin-dung, Frankfurt am Maine, 1972, tradotto in italiano da Patti eZaccaria, con prefazione di Rescigno 1983, Precomprensione escelta del metodo nel processo di individuazione del diritto; Zac-caria, Ermeneutica e giurisprudenza. I fondamenti filosofici nellateoria di Hans Georg Gadamer, Milano, 1984, passim.

(50) Esser, op. cit., 132 ss, specie 137.

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

Svolgimento del processo... Omissis...

Motivi della decisioneCon le prime tre doglianze, intimamente connesse tra lo-ro, i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsaapplicazione dell’art. 342 c.p.c. (con i primi due motivi)nonché il vizio di motivazione contraddittoria (con ilterzo) deducendo che la Corte di merito avrebbe sbaglia-to nel dichiarare inammissibile il terzo motivo di appelloper difetto di specificità e sarebbe incorsa nel vizio moti-vazionale sopra indicato omettendo di prendere in consi-derazione la parte descrittiva dell’atto di impugnazione.Ed invero, i giudici di secondo grado avrebbero dovutoconsiderare che gli appellanti, facendo riferimento nellaparte narrativa dell’appello ad una serie di danni richiestiin prime cure, avevano inteso in tal modo contrapporrealla liquidazione dei danni operata dal giudice di primecure una loro più corretta determinazione. Del resto, apag. 12 dell’atto di citazione d’appello, ultima riga, ave-vano formulato la doglianza nei seguenti termini “il dan-no è stato liquidato in prime cure in misura assai inferio-re a quanto è stato richiesto e, perciò, si insta per l’imple-mentazione secondo le voci indicate in narrativa che ap-paiono suscettibili di accoglimento perché maggiormen-

te meritevoli di accoglimento rispetto all’operata liquida-zione” (cfr pag. 15 del ricorso).Le censure sono manifestamente infondate. A riguardo,giova premettere che, al fine di soddisfare il requisito dispecificità richiesto dall’art. 342 c.p.c., occorre che alleargomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultinocontrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare ilfondamento logico-giuridico delle prime. Se è vero infat-ti che l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, in-vocate a sostegno dell’appello, possono sostanziarsi an-che nella prospettazione delle medesime ragioni addottenel giudizio di primo grado, è necessario però che ciò de-termini una critica adeguata e specifica della decisioneimpugnata e consenta al giudice del gravame di percepi-re con certezza il contenuto delle censure, in riferimentoalle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr. Sez. Un.n. 28057/08).In particolare, nel formulare un motivo di appello riguar-dante la pretesa erroneità della liquidazione dei danni, ef-fettuata dal primo giudice, l’appellante non può esaurirela sua ragione di doglianza nella reiterazione delle sue ri-chieste e nell’affermazione che esse devono essere accol-te perché “maggiormente meritevoli di accoglimento ri-spetto all’operata liquidazione” ma ha l’onere di indicarespecificamente, per ciascuna delle voci censurate, gli er-

Danni da circolazione stradale cagionati da minorenne

La responsabilità dei genitoriper il trasporto in motorinodi un passeggero da partedel figlio minorenne

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 29 novembre 2011, n. 25218 - Pres. Preden - Rel. Carleo - P.M. Sgroi(conf.) - F.F. e altri c. ALLIANZ SPA GIÀ RAS ASSICURAZIONI SPA e R.R.

Costituisce massima d’esperienza comune la circostanza che l’impianto frenante di un ciclomotore, progetta-

to per una sola persona, abbia un’efficacia ben minore quando il mezzo sia appesantito per effetto del mag-

gior peso determinato dalla presenza di un passeggero a bordo.

Sussiste responsabilità dei genitori per i danni cagionati dal figlio minorenne, ai sensi dell’art. 2048, comma 1,

c.c., in caso di mancanza di un’adeguata vigilanza sull’utilizzo, da parte del minore stesso, di un ciclomotore.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Cass. 20 aprile 2007, n. 9509; Cass. 8 febbraio 2005, n. 2518.

Difforme Non sono stati rinvenuti precedenti difformi.

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rori di fatto e di diritto attribuibili alla sentenza in mododa contrapporre con sufficiente grado di specificità leproprie ragioni di censura alle ragioni poste dal giudice abase delle sue valutazioni. In difetto, ove l’appellante sol-leciti una più congrua quantificazione del risarcimentosenza chiarire gli errori, rispetto all’equo ed al giusto, incui sarebbero incorsi i primi giudici, la censura deve esse-re dichiarata inammissibile. Ne deriva l’infondatezza del-le doglianze in esame.Con la quarta doglianza, per violazione o falsa applicazio-ne dell’art. 171 C.d.S., commi 1-3, i ricorrenti hannocensurato la sentenza impugnata per avere i giudici di ap-pello fondato la propria decisione su una circostanza difatto assolutamente inesistente, vale a dire quella secon-do cui il ciclomotorista circolava di notte senza tenere leluci accese, avendo i verbalizzanti contestato al F. l’infra-zione di cui all’art. 171 C.d.S., comma 3. In tal modo, laCorte di appello aveva erroneamente applicato la normacitata perché essa, in realtà, non riguarda assolutamentela circolazione senza fari in ora notturna bensì l’inosser-vanza dell’obbligo del casco protettivo. Con la conse-guenza che la contestazione della relativa infrazione daparte dei verbalizzanti non autorizzava “minimamente ilgiudice a ritenere sussistente, nel caso concreto, il man-cato uso dei fari da parte del motociclo in ora notturna”(così, nel quesito conclusivo).La censura è inammissibile. Come si desume dallo stessocontenuto della doglianza, riportata nella sua essenziali-tà, i ricorrenti lamentano che la decisione della Corte dimerito si fonda su una falsa percezione della situazione difatto (circolazione senza fari in ora notturna), in realtàinsussistente. E ciò per effetto di un errore dei giudicicirca l’infrazione effettivamente contestata dai verbaliz-zanti, errore che però risulta obiettivamente ed imme-diatamente rilevabile in quanto l’art. 171 sopra citatoconcerne un’infrazione assolutamente diversa. Ma qua-lora il giudice del merito fondi la sua decisione suppo-nendo l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmen-te escluso dagli atti e documenti, la sentenza non è vizia-ta da un errore logico-giuridico bensì da un errore di fat-to, essendo il giudice incorso nel c.d. travisamento deifatti, consistente nell’inesatta percezione di circostanzepresupposte come base del suo ragionamento, in contra-sto con quanto risulta dagli atti del processo. Ed è appe-na il caso di osservare come il travisamento dei fatti nonpossa costituire motivo di ricorso per cassazione, nonconsistendo in vizi logici o giuridici, ma costituisce unerrore denunciabile con il mezzo della revocazione exart. 395 c.p.c., n. 4.Passando al quinto motivo, per violazione e/o falsa appli-cazione dell’art. 115 c.p.c., deve rilevarsi che, ad avvisodei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe sbagliatoquando ha qualificato come notorio il fatto che la pre-senza di un passeggero a bordo di un ciclomotore, deter-minando un carico eccessivo, riduce non solo la stabilitàdel mezzo ma anche la sua capacità di frenata.La doglianza è infondata. A riguardo, occorre premettereche, secondo l’orientamento di questa Corte, ove il giu-dice del merito abbia posto alla base della decisione un

fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qua-lificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto ilprofilo della violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, e laCorte di cassazione eserciterà il proprio controllo riper-correndo il medesimo processo cognitivo dello stato diconoscenza collettiva operato dal giudice del merito.(Cass. n. 22880/08).Ciò premesso, torna utile sottolineare che delle nozionidi comune esperienza, intese come proposizioni di ordinegenerale tratte dalla reiterata osservazione dei fatti, il giu-dice è certamente facultato ad avvalersi come regola digiudizio destinata a governare sia la valutazione delle pro-ve che l’argomentazione di tipo presuntivo. Ed è quantoavvenuto nel caso di specie in cui i giudici di merito, pre-messo che il minore F. al momento del sinistro stava tra-sportando G.M. nonostante il ciclomotore fosse omolo-gato per il trasporto del solo conducente, sulla base di no-zioni tecniche di patrimonio comune, hanno tratto laconseguenza logica che tale fatto avesse certamente in-fluito sulla determinazione del sinistro in termini di ma-novrabilità del mezzo e di possibilità d’arresto. E non èdubitabile che costituisca massima d’esperienza comunela circostanza che l’impianto frenante di un ciclomotore,progettato per una sola persona, abbia un’efficacia, benminore, quando il mezzo sia appesantito per effetto delmaggior peso determinato dalla presenza di un passegge-ro a bordo.Restano da esaminare le ultime due censure, rispettiva-mente per violazione dell’art. 2048 c.c. e nullità dellasentenza per error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 4 inrelazione al medesimo art. 2048 c.c., con cui i ricorrentihanno dedotto l’erroneità della decisione per aver il giu-dice attribuito ai genitori una responsabilità per fatti diun figlio diciassettenne, comportatosi sempre come unostudente modello (sesto motivo), e per non aver esplici-tato le ragioni della loro condanna, se avvenuta “permancata educazione o per omesso controllo” (settimomotivo).Entrambe le censure sono inammissibili. La prima delledue (la sesta secondo l’ordine del ricorso) è inammissibi-le per il difetto di correlazione del quesito (vero che vio-la l’art. 2048 c.c. il giudice che accolla ai genitori la re-sponsabilità per fatti di un figlio diciassettenne che èsempre stato uno studente modello) con le ragioni dellasentenza, fondata invece sulla mancata dimostrazione diadeguata vigilanza dei genitori sulla condotta del minorein ordine alle modalità di utilizzo del ciclomotore. L’ulti-ma doglianza è inammissibile perché il motivo di impu-gnazione lamenta espressamente la nullità della sentenzaper error in iudicando ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.Ora, quest’ultima norma si riferisce a vizi di attività, deri-vanti cioè dalla violazione di norme processuali, sia quel-le che riguardano la sentenza come atto (artt. 132, 161) ela costituzione del giudice (art. 158), sia quelle che at-tengono al procedimento in senso stretto che per deriva-zione si estendono alla sentenza stessa, e non concernonoinvece le eventuali omissioni e carenze motivazionali,che correttamente devono essere dedotte sotto il profilodell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Considerato che la

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

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Il fatto e la decisione

Come spesso accade, due giovani amici viaggianoinsieme sullo stesso motociclo, idoneo al trasportodi un solo passeggero; da questa comune “avventu-ra” si dipana la vicenda che ha originato la sentenzain commento. Infatti, gli sfortunati protagonisti del-la vicenda rimanevano vittima di un sinistro strada-le; i due, all’epoca del fatto ancora minorenni, a cau-sa dell’improvviso impatto con un’autovettura, ri-portavano danni fisici con postumi permanenti. Igenitori di entrambi i ragazzi citavano in giudizio ilconducente (nonché proprietario) dell’autoveicoloe la compagnia assicuratrice, per ottenere il risarci-mento dei danni subiti dai rispettivi figli. Il giudicedi primo grado, dopo aver riunito i giudizi, ritenevala concorrente responsabilità (in applicazione dellapresunzione di cui all’art. 2054, comma 2, c.c.) delconducente del veicolo e del conducente del moto-ciclo (rispettivamente nella misura del 75% e del25%) e provvedeva, di conseguenza alla liquidazio-ne dei danni richiesti dalle vittime (1). Tale decisio-ne era completamente confermata dalla Corte diAppello di Bologna in seguito all’appello propostodai genitori del minore conducente del ciclomotore.Anche il ricorso in Cassazione - completamente re-spinto dalla Corte di legittimità - è stato propostodai genitori del minore conducente, che hanno cen-surato la decisione di merito in ordine sia a presuntivizi procedurali che a questioni sostanziali. In parti-colare la Suprema Corte non ha mostrato di apprez-zare né le doglianze (articolate in tre motivi di ricor-so) circa la dichiarazione di inammissibilità di unodei motivi di appello da parte dei giudici di secondogrado, né, tantomeno, quella relativa al travisamen-to dei fatti operato dai giudici di merito in ordine al-la violazione di norme del codice della strada (2).La Corte di cassazione ha confermato la decisione di

appello anche in relazione alle censure mosse dai ri-correnti alla attribuzione di una quota di responsabi-lità al conducente del ciclomotore. A detta dei ri-correnti, la decisione di appello meritava di essereriformata sia perché aveva attribuito una correspon-sabilità al conducente del ciclomotore in considera-zione della riduzione di stabilità ed efficienza del-l’apparato frenante del mezzo dovuta alla presenza diun passeggero a bordo (il mezzo era infatti omologa-to per la circolazione con un solo passeggero), siaperché aveva comunque errato nel ritenere applica-bile ai genitori del minorenne la responsabilità pre-vista dall’art. 2048 c.c.Secondo la Cassazione, invece, l’affermazione deigiudici di appello, per cui costituisce fatto notorioche la presenza di un passeggero a bordo di un ciclo-motore rappresenta un fattore in grado di ridurrestabilità del mezzo e capacità di frenata, è corretta.Infatti nel caso di specie i giudici non hanno fattoaltro che trarre una regola di giudizio dalla reiterataosservazione dei fatti: è massima di esperienza comu-ne che il funzionamento di un mezzo progettato per

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GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

IL COMMENTOdi Aldo P. Benedetti (*)

Nel commento l’A. illustra la decisione della Cassazione e le sue motivazioni. In particolare l’analisi della sen-tenza si sofferma sul problema della responsabilità dei genitori per il fatto illecito del figlio minore. In tale pro-spettiva viene presentata e discussa criticamente la prevalente interpretazione rigorosa dell’art. 2048 c.c.operata dalla giurisprudenza.

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valuta-zione di un referee.

(1) Il giudice di primo grado accoglieva anche la domanda di man-leva che era stata proposta dalla compagnia assicuratrice e, per-tanto, condannava i genitori del minore conducente del ciclomo-tore a tenere indenne la compagnia per una quota pari al 25% delrisarcimento, corrispondente alla quota di responsabilità attribui-ta al loro figlio.

(2) I giudici di merito avrebbero infatti argomentato nella loro de-cisione che il ciclomotore circolava di notte senza tenere i fari ac-cesi, mentre, in realtà, i verbalizzanti avevano contestato al con-ducente del ciclomotore l’infrazione di cui all’art. 171 C.d.S., re-lativa alla circolazione senza casco protettivo. Tale travisamento,che potrebbe dare luogo ad un errore di fatto (consistente nelc.d. travisamento dei fatti) che costituisce però errore denuncia-bile con il mezzo della revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4,c.p.c. e non un motivo di ricorso in Cassazione.

sentenza impugnata appare esente dalle doglianze dedot-te il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato,deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la con-

danna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese diquesto giudizio di legittimità, liquidate come in dispositi-vo.

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una sola persona non possa essere il medesimo quan-do trasporti due passeggeri, e che tale ridotta funzio-nalità interessi sia la stabilità in generale che, in par-ticolare, il funzionamento efficiente dell’apparatofrenante. Peraltro tali considerazioni - delle qualinon risultano precedenti in termini - paiono senz’al-tro condivisibili. La circolazione di un veicolo incondizioni di sicurezza è dovere che incombe sulconducente; trasportare un passeggero su un mezzoche non è idoneo non può quindi che rappresentareun fattore di (almeno potenziale) pericolo (3). Talecircostanza risulta particolarmente significativa inuna vicenda come quella in esame: il conducente haposto in circolazione un mezzo in condizioni eviden-temente pericolose (per la presenza di un passegge-ro), quindi a tale condotta non può che conseguirel’attribuzione di una quota di responsabilità in casodi sinistro, tanto più che nel caso di specie operavala presunzione dell’art. 2054, comma 2, c.c.

La responsabilità dei genitori

Nella sentenza in commento i giudici della Cassa-zione affrontano - invero molto rapidamente - an-che il problema della responsabilità dei genitori perl’illecito del figlio minorenne. Secondo il SupremoCollegio l’attribuzione ai genitori della responsabili-tà - ex art. 2048 c.c. - per il fatto illecito commessodal figlio, sancita dai giudici di merito, è corretta. Inparticolare la Corte di cassazione ha confermato lasentenza di appello che aveva ritenuto sussistentetale responsabilità per «mancata dimostrazione diadeguata vigilanza dei genitori sulla condotta delminore in ordine alle modalità di utilizzo del ciclo-motore», valutando inammissibile il ricorso inquanto non correlato con le motivazioni della deci-sione appellata (4).Questo aspetto della sentenza in commento - che siinserisce nel copioso filone giurisprudenziale relati-vo alla responsabilità dei genitori (5) - presenta mo-tivi di interesse che meritano attenzione. In partico-lare - come si è accennato - la decisione ascrive laresponsabilità ai genitori alla violazione dell’obbligodi vigilanza, evidente per la modalità di utilizzo delciclomotore da parte del figlio minore, presentandoin questo modo un primo aspetto di originalità. In-fatti la giurisprudenza è solita “giustificare” (6) l’at-tribuzione della responsabilità ex art. 2048 c.c. ai ge-nitori non tanto per culpa in vigilando - il cui margi-ne di ampiezza si restringe quanto più il minore siavvicina alla maggiore età (7) - quanto (almeno a li-vello declamatorio) per culpa in educando (8): peral-tro il difetto di vigilanza dovrebbe rappresentare

l’elemento che caratterizza la responsabilità ex art.2047, comma 1, c.c. piuttosto che quella disciplina-ta dall’art. 2048 c.c. (9).

Danno e responsabilità 3/2012270

GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

Note:

(3) Sul tema sia consentito rimandare a A.P. Benedetti, Circola-zione di un motoveicolo in condizioni insicure e condotta del dan-neggiato, tra assunzione del rischio e concorso di colpa, in que-sta Rivista, 2012, 36.

(4) Il motivo di ricorso formulato dai ricorrenti era riferito all’edu-cazione impartita dai genitori al minore quasi maggiorenne («ve-ro che viola l’art. 2048 c.c. il giudice che accolla ai genitori la re-sponsabilità per fatti di un figlio diciassettenne che è semprestato uno studente modello») e, quindi, pareva tendenzialmenterivolto a sostenere che era stata data la prova di assenza di cul-pa in educando. Di contro - secondo la Cassazione - tale motivoè stato ritenuto inammissibile in quanto non correlato con l’as-sunto della corte di appello che fondava la responsabilità sul di-fetto di vigilanza (c.d. culpa in vigilando).

(5) Senza alcuna pretesa di completezza si segnalano, tra le piùrecenti: Cass. 28 agosto 2009, n. 18804, in Foro it., 2010, I,1563, con nota di A. Palmieri, Cass. 22 aprile 2009, n. 9556, inquesta Rivista, con commento di P. Pardolesi e M. Dimattia, Trib.Benevento 9 gennaio 2009, in Fam. minori, 2009, f. 5, 71, Cass.20 aprile 2007, n. 9509, in Rass. dir. civ., 2008, 236, con com-mento di G.A. Parini. Per un’analitica e dettagliata rassegna del-la giurisprudenza sul tema si segnala A. Cocchi, Art. 2048 c.c.:orientamenti giurisprudenziali sulla responsabilità da illecito ca-gionato da minore «capace», in Resp. civ. prev., 2010, 1969.

(6) Come è stato opportunamente rilevato da attenta dottrina, lagiurisprudenza dominante pare essere guidata, al di là delle mo-tivazioni addotte di volta in volta, dall’esigenza di giungere, co-munque, ad una pronuncia di condanna nei confronti dei genito-ri: cfr. S. Taccini, Il sistema della responsabilità civile dei genitori:tra profili di protezione e di garanzia, in questa Rivista, 2008, 7.

(7) La vigilanza dei genitori sui figli minorenni, anche alla luce del-la riforma del diritto di famiglia del 1975, dovrebbe essere im-prontata alla valorizzazione progressiva dell’autonomia e dell’au-todeterminazione del minore, per cui all’avvicinarsi della mag-giore età del figlio dovrebbe conseguire una riduzione dell’inten-sità della vigilanza dei genitori. Sul punto si vedano: F. Giardina, Irapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto difamiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, 1352, M. Giorgianni,Potestà dei genitori, in Commentario alla riforma del diritto di fa-miglia, a cura di L. Carraro, G. Oppo, A. Trabucchi, I, 2, Padova,1977, 754, M. Comporti, Fatti illeciti: le responsabilità presunte.Artt. 2044-2048, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da P.Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2002, 252, S. Tac-cini, Il sistema della responsabilità civile dei genitori: tra profili diprotezione e di garanzia, cit., 8.

(8) Si segnalano, recentemente: Cass. 28 agosto 2009, n.18804, cit., Cass. 22 aprile 2009, n. 9556, cit., Cass. 20 aprile2007, n. 9509, cit., Cass. 20 ottobre 2005, n. 20322, in Fam. dir.,2006, 135, con nota di G. Facci, Cass. 8 febbraio 2005, n. 2518,in La resp. civ., 2007, 514. Anche una delle non frequenti deci-sioni che non riconosce la responsabilità dei genitori argomentaproprio dall’adeguata educazione fornita dai genitori al figlio qua-si maggiorenne, Cass. 18 gennaio 2006, n. 831, in Resp. civ.prev., 2006, 1071, con commento di L. Gavazzi.

(9) Come noto la norma dell’art. 2047, comma 1, c.c. disciplina laresponsabilità per i danni causati dall’incapace, prevedendo la re-sponsabilità dei genitori per il fatto dannoso (e non per il fatto il-lecito, come prevede l’art. 2048 c.c.) del figlio incapace; i genito-ri del minore incapace possono esimersi da responsabilità soloprovando di aver vigilato con diligenza (Cass. 16 giugno 2005, n.12965, in Foro it., Rep. 2006, voce «Responsabilità civile», n.

(segue)

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La sentenza in esame, invece, trascura completa-mente il profilo relativo all’educazione impartita alminore per sottolineare la mancata vigilanza da par-te dei genitori. Tale assunto non pare affatto con-vincente; se solo si tengono in debita considerazionele indicazioni che giungono dalla riforma del dirittodi famiglia (soprattutto dall’art. 147 c.c.), l’età (di-ciassette anni) del minore e le normali dinamichesocio-familiari della società contemporanea, paredel tutto improponibile ricostruire un dovere distringente vigilanza che gravi sui genitori di un figlioormai prossimo alla maggiore età (10).Ma la decisione in esame (e tutta la rigorosa giuri-sprudenza in materia) non convince neppure in ter-mini generali. Non è questa la sede per ripercorreredettagliatamente la peculiare interpretazione dellaresponsabilità dei genitori nel nostro sistema di re-sponsabilità civile. È sufficiente ricordare - come lagran parte della dottrina ha avuto modo di eviden-ziare in numerose occasioni - l’atteggiamento parti-colarmente rigoroso che la giurisprudenza ha costan-temente assunto. Infatti, a fronte di ripetute afferma-zioni circa la natura di responsabilità per colpa dellaprevisione dell’art. 2048 c.c. (11), nella prassi le Cor-ti hanno trasformato questa ipotesi in una responsa-bilità quasi oggettiva. Tenacemente arroccata nel-l’attribuzione della responsabilità ai genitori in basead un criterio di colpa (presunta) (12), la giurispru-denza italiana ha finito in realtà per attestarsi sul po-sizioni assolutamente rigorose e difficilmente supera-bili (13). Tale risultato è stato possibile attraverso ilricorso all’espediente delle due culpae (in educando ein vigilando) per cui il genitore cade in un circolo vi-zioso e perverso (14), all’interno del quale la prova li-beratoria diviene in pratica impossibile (15).Questo approdo è evidentemente insoddisfacente.La ricerca di un soggetto cui attribuire la responsabi-lità con il precipuo fine di fornire una tutela più am-pia a favore della vittima ha comportato esiti impro-pri, tali da stravolgere completamente la ratio e lafunzione della norma (16). Peraltro tale obiettivo -agevolmente comprensibile in un sistema di respon-sabilità come il nostro, soffocato da diffuse ansie ri-sarcitorie - potrebbe essere più proficuamente rag-giunto mediante altri strumenti (quello assicurativoin primis (17)), lasciando tornare la norma dell’art.2048 c.c. alla sua originaria funzione di garanzia “fa-miliare” per l’attività dannosa dei figli.

Danno e responsabilità 3/2012 271

GiurisprudenzaResponsabilità dei genitori

Note:

(continua nota 9)301). In tal senso il sistema di responsabilità per i danni cagiona-ti dal minore si configura, almeno prima facie, abbastanza chia-

ramente, distinto in base al criterio della capacità d’intendere edi volere del minore, che funge da spartiacque tra le due fatti-specie di responsabilità degli artt. 2047 e 2048 c.c.: in base al-l’art. 2047 c.c. i genitori sono chiamati a rispondere come sor-veglianti dei figli minori incapaci, mentre in base alla previsionedell’art. 2048 c.c. rispondono dell’illecito commesso dal minorecapace. Le due norme si vengono quindi a porre in relazione dialter natività e non di concorrenzialità (Cass. 30 marzo 2011, n.7247, in Resp. civ. prev., 2011, 2250, Cass. 26 giugno 2001, n.8740, in questa Rivista, 2002, 283). Sul punto si veda G.A. Pari-ni, Responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.: i genitori sempredevono essere chiamati a rispondere?, in Rass. dir. civ., 2008,240 ss. Evidenzia la peculiarità del sistema italiano, in relazionealle esperienze degli altri ordinamenti, A. Ferrante, Illecito del fi-glio minore: nuove prospettive, in questa Rivista, 2009, 587.

(10) S. Taccini, Il sistema della responsabilità civile dei genitori:tra profili di protezione e di garanzia, cit., 8.

(11) Una coerente e corretta applicazione del criterio di imputa-zione della responsabilità dei genitori fondato sulla colpa avreb-be dovuto portare ad una graduale riduzione del raggio di appli-cazione della responsabilità con la progressiva maturazione delminore che, col trascorrere degli anni, aumenterebbe il propriospazio di autodeterminazione: sul punto vedi F.D. Busnelli, Ca-pacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam. persone,1982, 63.

(12) A. Palmieri, nota a Cass. 28 aprile 2008, n. 18804, in Foro it.,2010, I, 1579.

(13) E. Carbone, La responsabilità aquiliana del genitore tra ri-schio tipico e colpa fittizia, in Riv. dir. civ., 2008, II, 4. La dottrinapiù attenta, peraltro, non ha mancato di svolgere considerazionicritiche di questo tipo fin dai primi anni successivi all’entrata invigore del codice: E. Capaccioli, Responsabilità del genitore peril fatto illecito del figlio minore, in Riv. dir. comm., 1946, II, 259.Sul punto si vedano, per tutti: L. Rossi Carleo, La responsabilitàdei genitori ex art. 2048 c.c., in Riv. dir. civ., 1979, II, 132, F. Giar-dina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, 133.

(14) E. Capaccioli, Responsabilità del genitore per il fatto illecitodel figlio minore, cit., 259 è stato il primo ad evocare questo cir-colo vizioso in cui sarebbe caduta l’applicazione della norma. Iltema è stato poi ripreso da altri autori, tra cui si segnalano: L.Rossi Carleo, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.,126, L. Corsaro, Funzione e ragioni della responsabilità dei geni-tori per i danni commessi dai figli minori, in Giur. it., 1988, IV,227.

(15) La conseguenza è quella - per certi versi paradossale - percui i genitori vengono comunque ritenuti responsabili del fatto il-lecito del figlio minore: se presenti per non aver adeguatamentevigilato (culpa in vigilando), se assenti, o in caso di “particolari”caratteristiche dell’illecito commesso, per non aver adeguata-mente educato il minore (culpa in educando), desumibile (attra-verso il ricorso alla tecnica del res ipsa loquitur) dalle stesse cir-costanze del fatto. Sul punto si vedano: M. Comporti, I fatti ille-citi, cit., 248, M. Franzoni, L’illecito, in Trattato della responsabi-lità civile diretto da M. Franzoni, I, Milano, 2004, 645, S. Taccini,Il sistema della responsabilità civile dei genitori: tra profili di pro-tezione e di garanzia, cit., 7.

(16) F. Giardina, La condizione giuridica del minore, cit., 129 ss.,E. Carbone, La responsabilità aquiliana del genitore tra rischio ti-pico e colpa fittizia, 14 (che pure sottolinea le finalità anche pre-ventive che la responsabilità genitoriale può svolgere)

(17) Soluzione già proposta da L. Rossi Carleo, La responsabilitàdei genitori ex art. 2048 c.c., cit., 142. Per i riferimenti si veda S.Taccini, Il sistema della responsabilità civile dei genitori: traprofili di protezione e di garanzia, cit., 11.

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Danno e responsabilità 3/2012 273

GiurisprudenzaRisarcimento del danno

Svolgimento del processo… Omissis …

Motivi della decisione1. Con il primo motivo viene denunziata violazione e fal-sa applicazione dell’art. 2052 c.c., in relazione all’art. 360c.p.c., n. 3.L’art. 2052 c.c. prevede un caso di responsabilità oggetti-va del proprietario dell’animale per i danni da questo ca-gionati, che viene meno solo in presenza di prova positi-va del caso fortuito e che il comportamento della minorein tenera età che si era introdotta in un giardino attra-verso un cancello facilmente apribile non poteva consi-derarsi caso fortuito.2. Come secondo motivo viene denunziata violazione ofalsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. in relazione all’art.360 c.p.c., n. 3.La Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare la incapa-cità a testimoniare della teste b., moglie del V. in regimedi comunione di beni, persona indicata da B.A. come cu-

stode del cane al momento dell’evento e quindi respon-sabile dell’accaduto.3. Come terzo e quarto motivo di ricorso viene denunzia-ta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione suun fatto decisivo del giudizio individuato: il motivo 3nell’aver ritenuto le lesioni riportate dalla minore comeconseguenza dell’omessa vigilanza del padre, condotta in-dividuata come causa autonoma dell’evento; il motivo 4nella prevedibilità per il proprietario del cane che la pic-cola potesse introdursi nel giardino.4. Il primo motivo è fondato.– La responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., prevista a ca-rico del proprietario in relazione ai danni cagionati da unanimale di cui è proprietario, trova un limite solo nel ca-so fortuito, ossia nell’intervento di un fattore esterno nel-la causazione del danno, che presenti i caratteri della im-prevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezio-nalità: con la conseguenza che all’attore compete solo diprovare l’esistenza del rapporto eziologico tra il compor-tamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre il conve-

Danno cagionato da animali

La Cassazione interviene ancorasull’aggressione da partedi animali

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 20 luglio 2011, n. 15895 - Pres. Chiarini - Rel. Armano - P.M. Russo(diff.) - M.M. e B.G. c. B.A.

La responsabilità per danno provocato da un animale in custodia di cui l’art. 2052 c.c. trova un limite solo nel

caso fortuito, ossia nell’intervento di un fattore esterno alla causazione del danno, che presenti i caratteri della

imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità. Non integra l’ipotesi del caso fortuito, per

mancanza dei caratteri di eccezionalità e imprevedibilità, il comportamento di una minore in tenera età che,

entrata in un giardino in cui si trovava un cane, veniva aggredita subendo lesioni, poiché il cancello che deli-

mitava il giardino non era dotato di idonea chiusura, tanto da essere facilmente aperto da una bambina di tre

anni.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Cass. 23 novembre 1998, n. 11861, in questa Rivista, 1999, 653, con nota di Filograna; Cass. 22 feb-braio 2000, n. 1971, in Foro it., Rep. 2000, voce Responsabilità civile, n. 343; Cass. 22 febbraio 2000,n. 1971, in Giust. civ. Mass., 2000, 428; Cass. 30 marzo 2001, n. 4742, in Arch. civ., 2001, 977; Cass.19 marzo 2007, n. 6454, in Foro it., Rep. 2007, voce Responsabilità civile, n. 475; Cass. 19 luglio 2008,n. 20063, in Foro it., Rep. 2008, voce Responsabilità civile, n. 468; Cass. 21 novembre 2008, n. 27673,in Foro it., Rep. 2008, voce Responsabilità civile, n. 470; Cass. 20 aprile 2009, n. 9350, in questaRivista, 2010, 154, con nota di Barbaro.

Difforme Cass. 9 dicembre 1970, n. 2615, in Foro it., Rep.1971, voce Responsabilità civile, n. 169; Cass. 13 otto-bre 1972, n. 3047, in Foro it., Rep.1974, voce Responsabilità civile, n. 127; Cass. 18 ottobre 1974, inForo it., Rep. 1974, voce Responsabilità civile, n. 128, Cass. 23 febbraio 1983, n. 1400, in Foro it., Rep.1984, voce Responsabilità civile, n. 168.

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nuto, per liberarsi, deve provare l’esistenza di un fattore,estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interromperedetto nesso causale, non essendo sufficiente la prova diaver usato la comune diligenza nella custodia dell’anima-le principio costantemente ribadito da questa Corte di le-gittimità (da ultimo Sez. III, Sentenza n. 9037 del 2010).5. È erronea in diritto l’individuazione come caso fortui-to dell’ingresso della minore nel giardino, sul rilievo cheil cane si trovava in un luogo privato, recintato e chiusoda un cancello.Infatti risulta che il cane era stato lasciato libero in un giar-dino con un cancello che non aveva idonea chiusura, tan-to da essere facilmente aperto da una bambina di tre anni,e che di conseguenza il custode non aveva adottato caute-le idonee in concreto ad evitare l’ingresso di estranei.

In tale fattispecie l’introduzione di una bambina, comedel resto di qualunque altra persona estranea,non presen-ta il carattere della eccezionalità e della imprevedibilitàche connotano il caso fortuito ex art. 2052 c.c.6. Il terzo e quarto motivo sono assorbiti dall’accoglimen-to del primo.7. Il secondo motivo deve essere rigettato in quanto ladecisione del primo giudice di rigetto dell’eccezione diincapacità a testimoniare della teste b. non ha formatooggetto di impugnazione in appello.8. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivoaccolto e rinviata alla Corte di appello di Bologna in di-versa composizione che provvederà anche sulle spese delpresente giudizio.... Omissis...

Danno e responsabilità 3/2012274

GiurisprudenzaRisarcimento del danno

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 23 agosto 2011, n. 17528 - Pres. Morelli - Rel. Scarano - P.M. Velardi(conf.) - P.R. c. INA ASSITALIA e COMUNE DI META

In materia di randagismo, sulla base dell’interpretazione della legge quadro in materia di animali di affezione

e prevenzione del randagismo n. 281 del 1991 e della l. reg. Campania n. 16 del 2001, risulta evidente come

compiti di organizzazione, prevenzione e controllo dei cani vaganti spettino non solo alla ASL ma anche ai

Comuni. Pertanto anch’essi, in correlazione con altri soggetti pubblici (e non) indicati dalla legge, sono tenuti

ad adottare concrete iniziative ed assumere provvedimenti volti ad evitare che animali randagi possano arre-

care danni alle persone nel territorio di competenza.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Cass. 28 aprile 2010, n. 10190, in questa Rivista, 2010, 1119, con nota di Barbaro; Cass. 20 luglio 2002n. 10638, in questa Rivista, 2003, 274, con nota di Bitetto; Trib Trapani 16 marzo 2006, in Giur. meri-to, 2006, 11, 2411; Giudice di pace di Ruvo di Puglia 12 gennaio 2004, in D&G, 2004, 16, 95; Giudicedi pace di Manduria 22 ottobre 2003, in Merito, 2004, 16.

Difforme Cass. 3 aprile 2009, n. 8137, in questa Rivista, 2009, 869, con nota di Foffa; Cass. 7 dicembre 2005,n. 27001, in Resp. e risarcimento, 2006, 3, 60, con nota di Sacchettini; Trib. L’Aquila 25 febbraio 2011,in Banca dati Lex24 Premium; Trib. Bari 11 giugno 2007, in Resp. civ. prev., 2007, 9, 1950; Giudice dipace di Canosa di Puglia 8 luglio 2011, in Banca dati Lex24 Premium; Giudice di pace di Pozzuoli 15febbraio 2010, in Banca dati Lex24 Premium; Giudice di pace di Fasano 7 gennaio 2010, in Banca datiLex24 Premium.

Svolgimento del processo… Omissis …

Motivi della decisioneCon il 1° motivo la ricorrente denunzia violazione e falsaapplicazione dell’art. 2907 c.c., in riferimento all’art. 360c.p.c., comma 1, n. 3, artt. 112, 113, 163 c.p.c., in riferi-mento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonché “con-traddittoria, erronea, insufficiente ed illogica motivazio-ne” su punto decisivo della controversia, in riferimentoall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenu-to essere stata nel caso contestata la mancata prevenzionedel fenomeno “del randagismo in sé, con totale avulsionedal fatto concreto”, laddove ha agito per ottenere il risarci-mento dei danni lamentaci in conseguenza del subito at-tacco da parte del cane randagio, e quindi a causa più ge-neralmente del mancato controllo del randagismo.

Lamenta che il giudice di merito “avrebbe dovuto pro-nunciare su tutta la domanda dopo aver assolto al potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione esperita e diattribuire il nomen iuris al rapporto sostanziale dedotto ingiudizio, anche in difformità rispetto alla prospettazionegiuridica svolta nella domanda”.Con il 3° motivo la ricorrente denunzia violazione e falsaapplicazione dell’art. 43 c.p., artt. 2051, 2043 c.c., D.Lgs.n. 285 del 1992, artt. 3, 13, 50, l. n. 281 del 1991, artt. 2,4, l.r. Campania n. 36 del 1993, artt. 1, 5, 11, in riferi-mento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonché “omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione” su punto de-cisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 5.Si duole che la corte di merito abbia erroneamente limi-tato l’indagine alla prevenzione del randagismo da partedel Comune senza alcuna relazione con la tutela dellapubblica incolumità.Lamenta che i giudici di merito abbiano “ingiustificata-

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mente separato il fatto-custodia/condizioni della stradadal fatto-aggressione del cane randagio”, e che la corte dimerito abbia omesso ogni valutazione in merito alla delpari lamentata “pericolosità del tracciato e del mantostradale di (omissis)”, oltre che della “presenza del cane”.Si duole non essersi considerato che il Sindaco ha, nongià quale ufficiale di governo bensì come rappresentantedel Comune, il potere - dovere di controllare che leA.S.L. svolga i poteri ad esse delegati in materia di ran-dagismo.I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi inquanto connessi, sono fondati nei termini di seguito indi-cati.Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo,la legge quadro in materia di animali di affezione e pre-venzione del randagismo n. 281 del 1991 demanda alleRegioni l’istituzione dell’anagrafe canina e l’adozione diprogrammi per la prevenzione ed il controllo del randagi-smo.Al riguardo, la l.r. Campania n. 36 del 1993 (successiva-mente abrogata dalla L. n. 16 del 2001, ma nel caso ratio-ne temporis applicabile) dispone in particolare che allasua attuazione “provvedono, nei rispettivi ambiti di com-petenza, la Regione, i Comuni e le USL, con la collabo-razione di enti ed associazioni protezionistiche, zoofile eanimalistiche” (art. 1, comma 4).Prevede quindi l’istituzione dell’anagrafe canina (art. 3),la realizzazione di vaccinazioni e controlli sanitari (art.4), la costruzione di “rifugi municipali per cani” (già ca-nili municipali) (art. 5), il controllo del randagismo (art.7), la promozione di iniziative di informazione e di edu-cazione (art. 10) nonché l’esplicazione di attività di vigi-lanza a mezzo (anche) di guardie zoofile comunali (art.11).Orbene, emerge già alla stregua di tali richiami evidentecome compiti di organizzazione, prevenzione, e controllo(anche) dei cani vaganti (siano essi “tatuati”, e cioèscomparsi o smarriti dai proprietari, ovvero “non tatua-ti”) spettano (pure) ai Comuni (non può pertanto condi-vidersi quanto affermato da Cass. 7 dicembre 2005, n.27001), tenuti anch’essi, in correlazione con gli altri sog-getti pubblici (e non) indicati dalla legge, ad adottareconcrete iniziative e assumere provvedimenti volti adevitare che animali randagi possano arrecare danni allepersone nel territorio di competenza (cfr. Cass., 28 aprile2010, n. 10190).Risulta allora non corretta la limitazione della domandanel caso operata dalla corte di merito al mero “dovereistituzionale di ogni amministrazione comunale di preve-nire il randagismo”, nonché alla rilevanza del fenomenoalla mera attività di “accalappiamento dei cani randagi”;come del pari non corretta è l’affermazione secondo cuiall’epoca del sinistro de quo in base al quadro normativoall’epoca vigente siffatta “funzione pubblica” spettava “invia esclusiva” all’unità sanitaria locale territorialmentecompetente”, non potendo pertanto avallarsi la ravvisatairrilevanza della verifica circa la configurabilità della re-sponsabilità del Comune di Meta in merito al sinistro dequo.

Atteso che risulta in effetti erronea ed apodittica la limi-tazione della disamina “al mero profilo della funzionepubblica svolta dalla P.A., atteso che la stessa corte dimerito da atto in motivazione come l’oggetto della prete-sa della odierna ricorrente sia costituito dal risarcimentodei danni lamentati in conseguenza del sinistro, dallaconsiderazione anche di tale (aspetto della) domandanon può dunque prescindersi, spettando ai giudici di me-rito dare la corretta qualificazione dell’ipotesi di respon-sabilità nel caso ricorrente, se quella generale ex art. 2043c.c., ovvero un’ipotesi di responsabilità speciale aggrava-ta ex art. 2051 c.c. o art. 2052 c.c., a tale stregua com-piendo quella valutazione nella specie adombrata ma poiin effetti non compiuta, in ragione della - come detto-ravvisata relativa irrilevanza ai fini della decisione.Va al riguardo osservato che in caso di ravvisata integra-zione dell’ipotesi generale di responsabilità aquiliana nonpuò prescindersi dal rilievo che, come da questa Corteanche recentemente precisato, la P.A. è responsabile peri danni causalmente riconducibili alla violazione deicomportamenti dovuti, i quali costituiscono limiti ester-ni alla sua attività discrezionale e integrano la norma pri-maria del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. (cfr.,con riferimento a diversa ipotesi, Cass. 27 aprile 2011, n.9404).In presenza di obblighi normativi la discrezionalità am-ministrativa invero si arresta, e non può essere invocataper giustificare le scelte operate nel peculiare settore inconsiderazione.Va altresì posto in rilievo che il modello di condotta cuila P.A. è tenuta postula l’osservanza di un comportamen-to informato a diligenza particolarmente qualificata, spe-cificamente in relazione all’impiego delle misure e degliaccorgimenti idonei ai fini del relativo assolvimento, es-sendo essa tenuta ad evitare o ridurre i rischi connessi al-l’attività di attuazione della funzione attribuitale.Comportamento cui la P.A. è d’altro canto tenuta già inbase all’obbligo di buona fede o correttezza, quale genera-le principio di solidarietà sociale - che trova applicazioneanche in tema di responsabilità extracontrattuale - in ba-se al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapportidella vita di relazione un comportamento leale, specifi-cantesi in obblighi di informazione e di avviso nonchévolto alla salvaguardia dell’utilità altrui - nei limiti del-l’apprezzabile sacrificio-, dalla cui violazione conseguonoprofili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti an-che solo colposamente ingenerati nei terzi (cfr. Cass. 20febbraio 2006, n. 3651; Cass. 27 ottobre 2006, n. 23273;Cass. 15 febbraio 2007, n. 3462; Cass. 13 aprile 2007, n.8826; Cass. 24 luglio 2007, n. 16315; Cass. 30 ottobre2007, n. 22860; Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n.28056. Da ultimo cfr. Cass., 27 aprile 2011, n. 9404).Condotta che ove tardiva, carente o comunque inidoneaprovoca o non impedisce la lesione di quei diritti ed inte-ressi la cui tutela è propriamente rimessa al corretto etempestivo esercizio dei poteri “attribuiti per l’assolvi-mento della funzione (cfr. Cass. 25 febbraio 2009, n.4587. V. anche Cass., sez. un., 27 luglio 1998, n. 7339).A tale stregua, in caso di concretizzazione del rischio che

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GiurisprudenzaRisarcimento del danno

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la norma violata tende a prevenire, la considerazione delcomportamento dovuto e della condotta mantenuta assu-me allora decisivo rilievo, e il nesso di causalità che idanni conseguenti a quest’ultima astringe rimane inveropresuntivamente provato (cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio2008, n. 584; Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 582. E,da ultimo, Cass., 27 aprile 2011, n. 9404).Alla fondatezza - nei suindicati termini - dei motivi con-segue, assorbiti gli altri con i quali la ricorrente denunziaviolazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 101,190, 281 quater, 342, 343, 345 c.p.c., in riferimento all’art.360 c.p.c., comma 1, n. 3, nullità del procedimento perviolazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360c.p.c., comma 1, n. 4; nonché “fittizia, omessa, contrad-dittoria, erronea, insufficiente ed illogica motivazione” supunto decisivo della controversia, in riferimento all’art.360 c.p.c., comma 1, n. 5 (2^ motivo); violazione e falsa

applicazione degli artt. 75, 100, 101, 159, 82, 83, 85, 88,167, 168, 180, 182 c.p.c, in riferimento all’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 3, nullità dei procedimenti e delle sentenzedi 1^ e 2^ grado, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma1, n. 4 (4^ motivo); violazione e falsa applicazione degliartt. 88, 91, 92 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 3, c.p.c., nullità del procedimento per viola-zione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 4; nonché omessa motivazione su punto de-cisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 5 (5^ motivo), l’accoglimento in relazionedel ricorso, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli che,in diversa composizione procederà a nuovo esame, facen-do dei suesposti principi applicazione.Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spe-se del giudizio di cassazione.… Omissis …

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GiurisprudenzaRisarcimento del danno

IL COMMENTOdi Sergio Barbaro (*)

Le due pronunce in esame hanno per oggetto due diverse ipotesi di risarcimento del danno cagionato da ani-mali. Con la prima sentenza la Cassazione affronta il tema del danno provocato da animali in custodia, riba-dendo principi ormai consolidati in materia. Con la seconda pronuncia la Suprema Corte si occupa ancorauna volta del fenomeno del randagismo, tornando ad affermare l’esistenza di un generale obbligo di pre-venzione e controllo che la normativa in materia attribuirebbe ai Comuni e che troverebbe il proprio fonda-mento nella necessità di preservare l’incolumità dei cittadini nel territorio di competenza.

I due casi

Le due pronunce in esame prendono in considera-zione fattispecie giuridiche sostanzialmente diffe-renti, sebbene accumunate entrambe dall’aggressio-ne di un cane. La prima sentenza ha per oggetto ildanno lamentato da una bimba, assalita da un canedi proprietà dei vicini, all’interno del giardino diuna abitazione. La seconda pronuncia ha per ogget-to l’aggressione di un passante da parte di un canevagante.La prima delle due pronunce in esame trae origine,difatti, dalla richiesta di risarcimento dei danni for-mulata dai genitori di una bambina di tre anni cheera stata aggredita da un cane che si trovava all’in-terno di un giardino recintato. Il Tribunale di Bolo-gna in primo grado aveva ritenuto che l’evento sifosse verificato per pari colpa concorrente dei geni-tori della bambina, che avevano lasciato la stessa li-bera di spingersi da sola fino al giardino dei vicini, edel proprietario dell’animale. La Corte di appello diBologna, in riforma della sentenza di primo grado,aveva ritenuto che la circostanza che il cane si tro-vasse all’interno di un giardino privato completa-

mente recintato e che fosse stata la minore ad aprireil cancello e ad introdursi all’interno dovesse rite-nersi causa autonoma dell’evento danno. Pertantola violazione dell’obbligo di vigilanza da parte deigenitori della bambina aveva integrato l’ipotesi delcaso fortuito, in quanto non era prevedibile che laminore si sarebbe introdotta in luogo chiuso dalcancello. La Cassazione, con la prima delle sentenzein esame, ribalta l’esito del giudizio di appello san-cendo la responsabilità esclusiva ex art. 2052 c.c. delproprietario per i danni cagionati dall’animale allaminore.La seconda pronuncia in commento ha per oggettola richiesta di risarcimento dei danni formulata dauna donna che alla guida di un ciclomotore era sta-ta aggredita da un cane randagio. La richiesta di ri-sarcimento formulata nei confronti del Comune diMeta, luogo in cui era avvenuto il sinistro, era statarigettata sia in primo che in secondo grado. La Cor-

Nota:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

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te di Cassazione, richiamandosi ad alcuni propri pre-cedenti in materia, ha ribadito come non si possaescludere nell’ipotesi di danno provocato da canivaganti la responsabilità dei Comuni, tenuti an-ch’essi, come le Asl, ad evitare che «animali randa-gi possano arrecare danni alle persone nel territoriodi competenza».

Il quadro legislativo e giurisprudenzialein materia di responsabilità per dannoprovocato da animali in custodia

La prima delle due pronunce in esame sancisce la re-sponsabilità del proprietario del cane per i danniprovocati alla minore ai sensi dell’art. 2052 c.c. Indottrina non è ancora pacifico quale sia la natura ditale responsabilità.Una parte della dottrina sostiene che la fattispecie dicui all’art. 2052 c.c. costituisca una ipotesi di respon-sabilità aggravata per colpa presunta a carico del cu-stode per i danni cagionati dall’animale (1). La nor-ma comporterebbe, dunque, una presunzione di re-sponsabilità per la violazione del dovere di diligentecustodia dell’animale, ovvero della mancata adozio-ne della diligenza normalmente adeguata in relazio-ne alla natura dell’animale. Per sottrarsi a tale re-sponsabilità, il proprietario dell’animale deve prova-re di aver adottato «tutte le misure ragionevolmenteidonee ad evitare quei danni che i caratteri fisici del-l’animale rendono suscettibile di arrecare» (2), ossia«le opportune precauzioni per impedire ai terzi di su-bire danni dall’animale» (3), ad esempio collocandoquest’ultimo in luoghi vietati al pubblico.Una diversa tesi (4), invece, sostiene che l’art. 2052c.c. configurerebbe una ipotesi di responsabilità og-gettiva fondata in realtà non sulla colpa ma su unmero rapporto di fatto con l’animale (5). Il proprie-tario risponde per i danni provocati dall’animale inogni caso e per l’intero, a meno che non dia la pro-va del caso fortuito, ossia dell’intervento di un fatto-re esterno idoneo a interrompere il nesso di causali-tà tra il comportamento dell’animale e l’evento lesi-vo, comprensivo anche del fatto del terzo o del fattocolposo del danneggiato che abbia avuto efficaciacausale esclusiva nella produzione del danno (6).La giurisprudenza della Suprema Corte è orientataverso la natura oggettiva alla responsabilità ex art.2052 c.c. per i danni cagionati da animali sia sotto lacustodia del proprietario, sia smarriti o fuggiti, esclu-dendone la responsabilità solo nei casi in cui l’even-to sia imputabile a caso fortuito. Secondo questomodello di responsabilità, una volta provato chel’animale ha cagionato il danno, non sarà necessario

prendere in esame la questione della colpa del pro-prietario o dell’utente, poiché il fatto stesso che sisia verificato l’evento è di per sé sufficiente a dimo-strare che la custodia non è stata diligentementeesercitata, senza possibilità alcuna per il convenutodi fornire prova contraria.Pertanto, se la prova liberatoria richiesta dalla nor-ma non viene fornita, non rimane al giudice checondannare il proprietario al risarcimento dei danniper l’intero (7). Il proprietario dell’animale rispon-derebbe, quindi, secondo la giurisprudenza dellaCassazione, ai sensi dell’art. 2052 c.c. non sulla basedi un comportamento o di una attività da lui stessoassunta, ma della mera relazione tra lui e l’animale,nonché del nesso di causalità sussistente tra il com-portamento di quest’ ultimo e l’evento dannoso (8).

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GiurisprudenzaRisarcimento del danno

Note:

(1) Bianca, Diritto civile, La responsabilità, vol. V, Milano,1994,726; dello stesso orientamento:Jannarelli, Istituzioni di diritto pri-vato (a cura di Bessone), Torino, 2000, 1007.

(2) Tra coloro che si richiamano alla presunzione di colpa si vedaDe Cupis, Dei fatti illeciti, Commentario del Codice civile, a curadi Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1971, 91.

(3) Bianca, op.cit., 724.

(4) Franzoni, La responsabilità oggettiva. Il danno da cose e daanimali, vol. II, Padova, 1988, 547; Valsecchi, in Riv. dir. comm.,1947, II, 49; Colasurdo, in Giur. agr. it., 1958, 9.

(5) Sostanzialmente dello stesso orientamento si veda in dottri-na: Salvi, La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato a cu-ra di Iudica e Zatti, 1998, 117; Resta, Danno cagionato da ani-mali, in Alba-Bessone, La responsabilità civile, Aggiornamento1988-1996 nella Collana Giurisprudenza sistematica di diritto ci-vile e commerciale fondata da W. Bigiavi, 283.

(6) Resta, op. cit., 284.

(7) Cass. 19 marzo 2007, n. 6454, in Dir. e giur .agr., 2008, 9,558, con nota di Cimatti. Nel caso di specie la Corte, accoglien-do il ricorso di una signora che chiedeva il risarcimento in totodei danni subiti in conseguenza di un morso al volto ricevuto dalcane di proprietà di una coppia di amici mentre era in visita pres-so la loro abitazione, ha precisato che «la responsabilità del pro-prietario dell’animale, prevista dall’art. 2052 c.c., è presunta, fon-data non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con l’animale. Neconsegue che per i danni cagionati dall’animale al terzo il pro-prietario risponde in ogni caso e in toto, a meno che non dia laprova del caso fortuito, ossia dell’intervento di un fattore ester-no idoneo a interrompere il nesso di causalità tra il comporta-mento dell’animale e l’evento lesivo, comprensivo anche del fat-to del terzo o del fatto colposo del danneggiato che abbia avutoefficacia causale esclusiva nella produzione del danno. Ne con-segue altresì che se la prova liberatoria richiesta dalla norma nonviene fornita, non rimane al giudice che condannare il proprieta-rio dell’animale al risarcimento dei danni per l’intero, e non inparte, secondo una graduazione di colpe tra il medesimo e il dan-neggiato».

(8) Cass. 7 settembre 1966, n. 2333, in Temi nap.,1967, I, 115,con nota di Cesaro. La sentenza così recita: «L’art. 2052 c.c. pre-vede una ipotesi di responsabilità a prevalente carattere oggetti-vo a carico del proprietario dell’animale che ha cagionato il dan-no. L’impulso che determina in un animale mansueto un com-

(segue)

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GiurisprudenzaRisarcimento del danno

Pertanto l’attore che agisce per il risarcimento deldanno dovrà fornire semplicemente la prova del-l’esistenza della relazione tra animale in custodia edevento dannoso, nonché dell’esistenza dell’effettivopotere di controllo e vigilanza che il custode deveesercitare sull’animale al fine che questi non produ-ca danni a terzi. Mentre spetterà al custode offrire laprova contraria alla presunzione juris tantum dellasua responsabilità mediante la dimostrazione positi-va del caso fortuito. L’art. 2052 c.c., infatti, esonerada responsabilità il custode solo ove abbia dimostra-to l’intervento del caso fortuito nella realizzazionedell’evento.Per caso fortuito deve intendersi ogni circostanzaestranea al proprietario o utente che si ponga comecausa autonoma dell’evento dannoso, non imputa-bile al responsabile presunto e da lui non evitabile(9). Non è di conseguenza sufficiente la prova diavere usato la comune diligenza nella custodia del-l’animale (10). Il caso fortuito «non va quindi de-terminato secondo una misura soggettiva e cioè inrelazione alla impossibilità per colui che ha il pos-sesso dell’animale di incidere sulla di lui condotta,ma secondo una misura oggettiva e cioè in relazionealla interferenza di un fattore causale eccezionale alquale soltanto - e non all’animale - il danno possaessere attribuito» (11). Pertanto ai fini della provaliberatoria il proprietario sarà tenuto a dimostrarenon solo l’esistenza di un fatto estraneo alla propriasfera di custodia, ma altresì che tale fattore abbiaavuto impulso causale autonomo nella determina-zione dell’evento e carattere di imprevedibilità e diassoluta eccezionalità (12). Profili particolari del caso fortuito sono rappresenta-ti, oltre che dalla causa di forza maggiore, anche dal-la colpa del danneggiato o dal fatto cagionato dalterzo (13).La colpa del danneggiato, per avere effetti liberato-ri, deve consistere in un comportamento coscienteche assorba l’intero rapporto causale e cioè in unacondotta che, esponendo il danneggiato al rischio erendendo questo possibile in concreto, si inserisca indetto rapporto con forza determinante (14). Quindi,per avere effetti liberatori, il comportamento negli-gente deve avere costituito la causa esclusiva del-l’evento dannoso, essendosi posto, rispetto alla sferadi azione del custode, come un fattore assolutamen-te eccezionale, non previsto né prevedibile e di persé sufficiente a produrre l’evento (15).Il fatto del terzo, infine, è anch’esso idoneo a supe-rare la presunzione di responsabilità del custode aisensi dell’art. 2052 c.c., solo ove si inserisca nelladeterminazione dell’evento dannoso con impulso

causale autonomo rispetto alla sfera del custode e siada quest’ultimo non prevedibile né evitabile.

La prima pronuncia in esame: Cass. n. 15895/2011

La prima delle due pronunce in epigrafe si collocaall’interno del quadro giurisprudenziale descritto. LaCassazione conferma come l’art. 2052 c.c. prevedaun caso di responsabilità oggettiva del proprietariodell’animale per i danni da questo cagionati. Tale re-sponsabilità, secondo la Corte, viene meno solo inpresenza di una prova positiva del caso fortuito, «os-sia nell’intervento di un fattore esterno nella causa-zione del danno, che presenti i caratteri della impre-vedibilità, dell’inevitabilità e dell’assoluta eccezio-nalità». Da ciò discende che all’attore compete solola prova dell’esistenza del rapporto eziologico tra ilcomportamento dell’animale e l’evento lesivo, men-tre «il convenuto, per liberarsi, deve provare l’esi-stenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggetti-va, idoneo ad interrompere detto nesso causale, nonessendo sufficiente la prova di aver usato la comune

Note:

(continua nota 8)portamento dannoso, ancorché imprevedibile o inevitabile, nonconcreta l’ipotesi del fortuito necessaria per escludere la re-sponsabilità del proprietario o dell’utente dell’animale stesso».Per l’orientamento della Cassazione circa la responsabilità da cu-stodia si vedano, Cass. 20 agosto 2003, n. 12219 in Giust. civ.,Mass. 2003, 7-8 e Cass. 9 novembre 2005, n. 21684, in Giust.civ., Mass. 2005, 11. Entrambe le sentenze statuiscono che laresponsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia ab-bia natura oggettiva, essendo sufficiente la mera sussistenza delrapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luo-go all’evento lesivo, senza che assuma in sé rilievo la violazionedell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode.

(9) Cass. 29 ottobre 1975, n. 3674 in Giur. agr. it., 1977, II, 440;per il merito Trib. Roma 24 marzo 2011, 2011, in Banca dati So-le 24ore Lex24 Premium.

(10) Per tutte Cass. 19 aprile 1983, n. 2717 in Giust. civ., 1983,I, 2987, nonché in Dir. economia assicur., 1984, 409 e in Arch.giur. circol. e sin., 1983, 638.

(11) Pret. Ferrara 9 maggio 1978, in Riv. giur. circ. trasp., 1978,729, con nota di Ventrella.

(12) Cass. 30 marzo 2001, n. 4742, in Arch. civ., 2001, 977.

(13) Sul punto si veda Figone, Il caso fortuito, in La responsabili-tà civile: giurisprudenza sistematica di diritto civile e commercia-le fondata da W. Bigiavi, diretta da G. Alpa-M. Bessone, Torino,1986, 241.

(14) Cass. 23 febbraio 1983, n. 1400 in Resp. civ. e prev., 1983,632; nonché in Giur. agr. it., 1984, II, 31, con nota di Mazza. Indottrina si veda: Galgano, Dizionario enciclopedico del diritto,vol. II, Padova, 1996, 1227, in cui viene riportato il caso del visi-tatore di uno zoo che imprudentemente, introduca la mano fra leinferiate della gabbia di un animale feroce, venendo morso dallabestia.

(15) In tal senso Cass. 28 agosto 1995, n. 9047, in Resp. civ.,1996, 181, con nota di Passerone.

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diligenza nella custodia dell’animale». La sentenzain esame ribadisce, quindi, principi consolidati nel-la giurisprudenza di legittimità.Di particolare interesse è il ragionamento che laCorte elabora, ribaltando l’esito dei precedenti gra-di di giudizio, per escludere che il comportamentodella bimba introdottasi nel giardino dei vicini pos-sa integrare gli estremi del fortuito. La bambina, se-condo la Corte, aveva potuto accedere con estremafacilità al giardino in cui il cane era stato lasciato li-bero, perché il cancello che lo delimitava non eraidoneamente chiuso. Ne discende che l’introduzio-ne di una bambina, come del resto di qualunque al-tra persona estranea, nel giardino in cui si trovava ilcane non presenta il carattere della eccezionalità edella imprevedibilità che connotano il caso fortuitoex art. 2052 c.c.La Cassazione, pur confermando che l’art. 2052 c.c.costituisce un’ipotesi di responsabilità oggettiva,sembra in alcuni passaggi della sentenza ravvisarenella fattispecie in esame piuttosto una responsabi-lità colposa dei proprietari del cane. Questi, puravendo lasciato l’animale libero di vagare per ilgiardino, non avevano adottato tutte le cautele ido-nee ad evitare che qualcuno potesse entrarvi, finen-do quindi per consentire anche una bambina di te-nera età di accedervi e pertanto di venire aggreditadall’animale.

Lo stato dell’arte in materia di randagismo

La seconda delle due sentenze in esame si occupa del-le fattispecie del danno provocato da cani randagi.Il quadro legislativo in materia è costituito dalla l. n.281 del 14 agosto 1991, «legge quadro in materia dianimali di affezione e prevenzione del randagismo».La normativa stabilisce i principi generali in meritoalla ripartizione delle responsabilità e delle incom-benze dei soggetti pubblici coinvolti. In primis l’art. 3della legge in esame dispone che «le regioni discipli-nano con propria legge ... l’istituzione dell’anagrafecanina presso i Comuni o le unità sanitarie localinonché le modalità per l’iscrizione a tale anagrafe eper il rilascio al proprietario o al detentore della sigladi riconoscimento del cane, da imprimersi mediantetatuaggio indolore». In secondo luogo la normativasancisce che regioni «provvedono a determinare conpropria legge ... i criteri per il risanamento dei canilicomunali e la costruzione di rifugi per cani». Lo stes-so art. 3, stabilisce, tuttavia, che tali strutture debba-no essere sottoposte al controllo sanitario dei serviziveterinari delle aziende sanitarie locali. Infine sem-pre la medesima disposizione statuisce altresì che le

regioni debbano determinare «i criteri e le modalitàper il riparto tra i Comuni dei contributi per la rea-lizzazione degli interventi di loro competenza» e for-mulare «un programma di prevenzione del randagi-smo». L’art. 4 dispone che i Comuni «provvedono alrisanamento dei canili comunali esistenti e costrui-scono rifugi per i cani nel rispetto dei criteri stabiliticon legge regionale e avvalendosi dei contributi de-stinati a tale finalità dalla regione».A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 281/1991diverse regioni hanno adottato normative che han-no dato attuazione a tale legge quadro in materia dirandagismo stabilendo nel dettaglio la ripartizionedelle incombenze tra Comuni e Asl (16).La seconda sentenza in commento ha per oggettoun’aggressione da parte di un randagio nei confrontidi una signora avvenuta del piccolo Comune cam-pano di Meta. La Campania ha emanato, in attuazione della nor-mativa quadro, la l.r. n. 36 del 1993, che è stata so-stituita e abrogata dalla l. 24 novembre 2001 n. 16,denominata “tutela degli animali d’affezione e pre-venzione del randagismo”. L’art. 1 della legge, alcomma 4, statuisce che «all’attuazione della presen-te Legge provvedano, nei rispettivi ambiti di compe-tenza, la Regione, le Province, i Comuni, le Comu-nità Montane e le Aziende Sanitarie Locali(AA.SS.LL.) con la collaborazione dei veterinari li-beri professionisti attraverso le organizzazioni che lirappresentano a livello regionale (ordini e sindaca-ti) oltre agli enti ed associazioni di volontariato pro-tezionistiche, zoofile ed animaliste regolarmente ri-conosciute ed iscritte nell’apposito Albo regionale».L’art. 4 della legge regionale prevede che spetti alleAA.SS.LL. distribuite sul territorio regionale l’isti-tuzione dell’Anagrafe canina e l’identificazione me-diante tatuaggio e microchip. Spetta poi sempre allaASL in base all’art. 5, predisporre ed effettuare in-terventi finalizzati alla profilassi delle malattie infet-tive, diffusive e delle zoonosi nei canili; l’attuazionedegli interventi mirati al controllo demografico deicani e l’attivazione del servizio di accalappiamentodei cani vaganti ed il loro trasferimento presso i ca-nili pubblici. Infine le ASL, sempre in base all’art. 5,hanno il compito di assicurare la gestione sanitariadei canili pubblici. Ai sensi dell’art. 6 della legge re-gionale Campania i Comuni e le Comunità monta-

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GiurisprudenzaRisarcimento del danno

Nota:

(16) Per una ricognizione di tali normative v.: Foffa, Chi paga peril morso del cane randagio?, in questa Rivista, 2009, 869; Racca,Normative buone ma in gran parte inattuate, in Il Sole 24 Ore,Guida agli Enti Locali, 2009, n. 19, 59.

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GiurisprudenzaRisarcimento del danno

ne provvedono alla costruzione dei canili e al risa-namento delle strutture esistenti ed ad assicurare ilricovero, la custodia ed il mantenimento dei caninelle strutture sotto il controllo sanitario dei serviziveterinari delle AA.SS.LL e all’esercizio delle fun-zioni di cui all’art. 3 del d.P.R. 31 marzo 1979, n. 94,in materia di protezione degli animali.Il dibattito giurisprudenziale in tema di randagismo èincentrato sull’individuazione del soggetto pubblicotenuto a rispondere dei danni provocati dagli anima-li randagi. Fino ad oggi si sono confrontati due orien-tamenti giurisprudenziali. Il primo stabilisce che lavigilanza sui cani randagi spetti unicamente alle uni-tà sanitarie locali e, per esse, alle aziende sanitarie lo-cali succedute per legge alle prime (17). Pertanto,nell’ipotesi in cui in un giudizio civile per il risarci-mento dei danni provocati da un cane randagio ven-ga convenuto il Comune teatro dell’aggressione, ilgiudice adito ne dovrà dichiarare il difetto di legitti-mazione passiva. La ratio di tale orientamento è cer-tamente costituita dalla volontà di non attribuire ul-teriori incombenze ai Comuni, se non in presenza diuna disposizione normativa che imponga specificata-mente agli stessi e alle Comunità montane il compi-to di vigilare sul fenomeno (18).L’altro orientamento afferma cha accanto alla re-sponsabilità della ASL è possibile rinvenire ancheuna responsabilità solidale della pubblica ammini-strazione (19). In particolare, la Cassazione con lasentenza n. 10638/2002 ha affermato il principio percui l’istituzione delle AASSLL non ha «completa-mente reciso il legame con l’ente territoriale localenel cui ambito esse operano, residuando in capo alComune la definizione delle linee di indirizzo nel-l’ambito della programmazione regionale e la verifi-ca dell’andamento generale dell’attività delle Usl,attraverso l’attività di vigilanza del sindaco, il qualeopera quale rappresentante dello stesso ente territo-riale e non quale ufficiale di governo (art. 3, comma14, d.l.n. 502 del 1992)». Tale orientamento è statorecentemente confermato dalla Cassazione con lasentenza n. 10190/2010 che ha sancito come sui iComuni gravi un obbligo generale di prevenzione evigilanza sul fenomeno del randagismo, la cui ratio ècostituita dalla necessità che si adeguatamente ga-rantita e preservata l’incolumità dei cittadini (20).Un ruolo fondamentale nell’orientare l’interpretericoprono, tuttavia, le normative regionali di attua-zione della legge quadro 281 del 14 agosto 1991. Se-condo una parte della dottrina, qualora le norme re-gionali prevedono espressamente l’obbligo dei Co-muni di provvedere alla cattura dei cani randagi; ilComune dove è avvenuta l’aggressione potrà dun-

que essere legittimamente convenuto in giudizio econdannato a risarcire i danni subiti dall’attore.Nell’ipotesi in cui la normativa non preveda taleonere a carico dell’ente locale, il Comune potrà es-sere ritenuto responsabile solo qualora venga prova-ta la violazione di una specifica e diversa incomben-za posta a carico dello stesso ente in base alla nor-mativa di attuazione, come ad esempio l’omessa co-struzione di canili sufficienti ad ospitare i randagi odi strutture alternative di ricovero (21).In ordine al criterio di imputazione della responsa-bilità è pacifico in giurisprudenza che l’aggressioneda parte di un cane randagio non possa essere adde-bitabile tout court a tali enti, ma - ai sensi dell’art.2043 c.c. - debba essere dimostrata una condottaomissiva o commissiva colposa (22). Non si può di-fatti configurare, secondo la giurisprudenza, una re-sponsabilità delle AASSLL e degli enti pubblici, aisensi del 2052 c.c., per i danni provocati da cani va-ganti, posto che in base alla normativa esistente ta-li enti non possono essere considerati custodi diquesti animali (23).

La seconda sentenza in esame:Cass. n. 17528/2011

Passiamo ora ad esaminare nel merito la secondadelle due sentenze in epigrafe.

Note:

(17) Si veda in particolare Cass. 3 aprile 2009, n. 8137, in questaRivista, 2009, 869, con nota di Foffa; Cass. 7 dicembre 2005, n.2700, in Resp. e risarcimento, 2006, 3, 60, con nota di Sacchet-tini; Trib. L’Aquila 25 febbraio 2011, in Banca dati Sole 24oreLex24 Premium; Trib. Bari 11 giugno 2007, in Resp. civ. prev.,2007, 9, 1950; Giudice di pace di Canosa di Puglia 8 luglio 2011,in Banca dati Sole 24ore Lex24 Premium; Giudice di pace di Poz-zuoli 15 febbraio 2010, in Banca dati Sole 24ore Lex24 Premium;Giudice di pace di Fasano 7 gennaio 2010, in Banca dati Sole24ore Lex24 Premium.

(18) Foffa, op. cit., 875.

(19) Cfr. Cass. 20 luglio 2002, n. 10638, in questa Rivista, 2003,274, con nota di Bitetto; Trib. Trapani 16 marzo 2006, in Giur. me-rito, 2006, 11, 2411; Giudice di pace di Ruvo di Puglia 12 genna-io 2004, in D&G, 2004, 16, 95; Giudice di pace di Manduria 22 ot-tobre 2003, in Merito, 2004, 16. Per un approfondimento sul di-battito in materia v. Foffa, op. cit., 869; Capanella, op. cit., 51;Nuzzo, Responsabilità per danni cagionati da animali randagi, di-sponibile in rete a http://www.plentedamaggiulli.it/Articoli/Cani-randagi-danni-responsabilita-comuni-asl-dott%20giuseppe-nuz-zo.html; Jazzetti-Polcini, Restano ancora tra Corti e Cassazionele divergenze sulla legittimazione passiva, in Il Sole 24 ore Re-sponsabilità e Risarcimento, n. 3, 2006, 2.

(20) Cass. 28 aprile 2010, n. 10190, in questa Rivista, 2010, 1119.

(21) Foffa, op. cit., 877.

(22) Così sul punto: Trib. Taranto 12 gennaio 2010, n. 63, Est.Maggi, Gambardella c. Comune di Taranto, inedita.

(23) Si veda: Cass. 20 luglio 2002, n. 10638, cit.; Trib. Taranto 12gennaio 2010, cit.

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Nella pronuncia in commento il Tribunale di primogrado e la Corte di appello avevano escluso qualsia-si addebito a carico del Comune di Meta per i dannicagionati dal cane vagante alla ricorrente.Quest’ultima pertanto presentava ricorso in Cassa-zione fondando il gravame sulla circostanza che sia ilTribunale di prime cure che la Corte di appello diNapoli avevano erroneamente limitato l’indaginesulla responsabilità dell’ente comunale alla sola pre-venzione del randagismo e l’accalappiamento deicani randagi, senza considerare che sul Comune gra-va comunque l’obbligo generale di vigilare sul feno-meno del randagismo al fine di garantire che l’inco-lumità pubblica venga preservata.La Corte di Cassazione con la sentenza in esame,dopo aver brevemente esaminato la normativa re-gionale Campania in materia di randagismo, ha af-fermato come risulti evidente dall’esame della me-desima normativa «come compiti di prevenzione econtrollo (anche) dei cani vaganti (siano essi ‘ta-tuati’, e cioè scomparsi o smarriti dai proprietari,ovvero ‘non tatuati’) spettano [anche] ai Comuni».Pertanto non si può condividere il precedenteorientamento della stessa Corte di legittimità(Cass. 7 dicembre 2005 n. 27001 (24), per cui i Co-muni non possono essere chiamati a rispondere peril danno provocato da cani randagi. Difatti, i Co-muni sono tenuti anch’essi in correlazione con altrisoggetti pubblici, come le ASL, «ad adottare con-crete iniziative e assumere provvedimenti volti adevitare che animali randagi possano arrecare dannoalle persone nel territorio di competenza». A soste-gno di tale ragionamento la Corte di Cassazione po-ne un proprio precedente costituito dalla summen-zionata sent. n. 10190/2010 (25), che aveva indivi-duato nella necessità di preservare l’incolumità deicittadini, la ragione dell’esistenza di un obbligo ge-nerale di vigilanza a carico dei Comuni sul fenome-no del randagismo. Pertanto, secondo la Corte, nonrisulta corretto limitare la responsabilità dei Comu-ni al mero dovere istituzionale di prevenire il ran-dagismo, o alla mera attività di “accalappiamentodei cani randagi”.La sentenza in epigrafe, dunque, sancisce la preva-lenza, almeno nella giurisprudenza di legittimità,dell’orientamento per cui sui Comuni vige in ognicaso un obbligo generale di vigilanza e controllo sulfenomeno del randagismo, che trova il proprio fon-damento giuridico nell’imprescindibile necessitàche la P.A. si faccia carico della tutela dell’incolu-mità della comunità.Orientamento condivisibile; tuttavia bisognerà at-tendere la prossime sentenze per capire se tale prin-

cipio troverà piena conferma nella giurisprudenzadella stessa Corte e in quella di merito (26).

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GiurisprudenzaRisarcimento del danno

Note:

(24) Cass., sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27001, cit.

(25) Cass., sez. III, 28 aprile 2010, n. 10190, cit.

(26) Bisogna altresì tener presente che sia la sentenza in esameche il precedente costituito da Cass., sez. III, 28 aprile 2010, n.10190, sancivano il principio dell’esistenza di un obbligo genera-le di vigilanza e controllo sul fenomeno del randagismo sulla ba-se dell’interpretazione della normativa in materia della regioneCampania, dalla quale emergono chiaramente obblighi di con-trollo e vigilanza gravanti su gli enti municipali. Si deve pertantoverificare se la Cassazione confermerà tale principio anche in re-lazione alle altre leggi regionali in materia di randagismo.

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Svolgimento del processo… Omissis …

Motivi della decisione1. La Corte di appello così motiva, essenzialmente, il ri-getto dell’impugnazione.I massi sono franati da terreni di proprietà di terzi, a mon-te per qualche centinaio di metri rispetto alla strada sta-tale. Tra la strada e i suddetti terreni, sempre a monte,corre la linea ferroviaria con il relativo muro di conteni-mento, innalzato dalle ferrovie, rispetto all’originariomuro, dopo la caduta di massi i quali, provenienti dai ter-reni dei terzi suddetti, avevano spostato i binari e dan-neggiato il muro di contenimento.La circostanza che la frana abbia avuto origine in luogodiverso da quello in custodia dell’ANAS rende l’eventoimprevedibile.Inoltre, la responsabilità dell’ANAS deve escludersi per-ché non avrebbe dovuto adottare un comportamento di-verso da quello tenuto, come ponendo un cartello di av-vertimento, atteso che le frane, di modesta entità, si era-no verificate circa otto anni prima e le Ferrovie avevanoprovveduto a predisporre opere in grado di evitarne altre,con conseguente imprevedibilità di episodi più gravi, co-me quello che ha determinato il sinistro.2. È applicabile ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c.2.1. Con il primo motivo si deduce, omessa, insufficien-te e contraddittoria motivazione rispetto alla premessa

argomentativa della decisione impugnata, laddove laCorte di merito afferma che il rigetto dell’appello neces-sita di precisazioni ulteriori rispetto alla decisione di pri-me cure nella parte in cui, per “mero errore materiale”vengono richiamate norme del codice della strada estra-nee alla fattispecie. Il motivo è inammissibile per l’as-senza del momento di sintesi in grado di evidenziare ladecisività della censura, atteso che la censura della mo-tivazione della sentenza non si concretizza in una esposi-zione chiara e sintetica del fatto controverso, in relazio-ne al quale la motivazione si assume omessa o contrad-dittoria, ovvero delle ragioni per te quali la dedotta in-sufficienza rende inidonea la motivazione a giustificarela decisione (principio consolidato, Cass. 30 dicembre2009, n. 27680).Peraltro, nella specie, appare dedotto un vizio motivazio-nale su profili giuridici e non di fatto.2.2. Il secondo e il settimo motivo si concludono conquesiti che chiedono alla Corte, rispettivamente, di veri-ficare la mancata applicazione dell’art. 2051 c.c. al-l’ANAS, quale custode (secondo) e, subordinatamente,la mancata applicazione dell’art. 2043 c.c. alla stessaANAS, quale responsabile per colpa individuabile nellamancata messa in sicurezza della strada.All’evidenza, si tratta di quesiti astratti e generici; conse-guente è l’inammissibilità per mancato rispetto dell’art.366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.2.3. Con il sesto motivo si deducono vizi motivazionali in

Cose in custodia

Di custodia, caso fortuitoe responsabilità oggettiva

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 18 luglio 2011, n. 15720 - Pres. Filadoro - Est. Carluccio - P.M.Scardaccione - A.R. c. ANAS S.P.A.

La disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è applicabile alle strade aperte al pubblico transito in riferimento alle situa-

zioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso

fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente pre-

vedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo

scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo

strettamente necessario a provvedere. Ai fini del giudizio sulla prevedibilità o meno della repentina alterazio-

ne della cosa, occorre aver riguardo, per quanto concerne in particolare i pericoli derivanti da situazioni strut-

turali e dalle caratteristiche della cosa, al tipo di pericolosità che ha provocato l’evento di danno e che, ove si

tratti di una strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto ed agli

eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato (nella specie, in relazione ai danni cagionati ad un’au-

tovettura da una frana staccatasi da terreni di proprietà di terzi, posizionati a monte della strada e divisi dalla

stessa da una linea ferroviaria con il relativo muro di contenimento, la Cassazione ha ritenuto insufficiente e

contraddittoria la motivazione della corte territoriale che aveva considerato imprevedibile l’evento franoso

nonostante avesse riconosciuto che si erano negli anni precedenti verificati fenomeni analoghi, che l’ANAS

aveva predisposto opere per far fronte al problema e che nella zona intermedia di spettanza delle Ferrovie,

erano già state predisposte delle opere).

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riferimento alla mancata ammissione di prove testimo-niali.In base al principio, secondo cui “Il ricorrente che, in se-de di legittimità, denunci il difetto di motivazione suun’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sullavalutazione di un documento o di risultanze probatorie oprocessuali,)ha l’onere di indicare specificamente le cir-costanze oggetto della prova o il contenuto del documen-to trascurato od erroneamente interpretato dal giudice dimerito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di con-sentire al giudice di legittimità il controllo della decisivi-tà dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che,per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassa-zione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla basedelle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non èconsentito sopperire con indagini integrative”, affermatoai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1 (Cass. 30 luglio2010 n. 17915), il motivo è inammissibile.Infatti, i capitolati della prova testimoniale sono soloparzialmente riprodotti, in sintesi.3. I motivi terzo, quarto e quinto muovono alla sentenzacensure per difetti motivazionali. Pur non contenendo unformale momento formale di sintesi, sono ammissibili, eda esaminare congiuntamente per la loro stretta connes-sione, perché dalla esplicazione si comprende la decisivi-tà della censura rispetto alla decisione della controversia.In particolare, con il terzo, si deduce, sostanzialmente,l’omessa considerazione che dalla relazione tecnica alle-gata dall’attore risultava la presenza di opere di conteni-mento sulla strada realizzate in periodi precedenti dal-l’ANAS. Con il quarto, il ricorrente evidenzia l’insuffi-ciente motivazione della sentenza laddove ritiene nonnecessario il cartello che avvisi gli utenti della possibilitàdi caduta di massi perché l’origine della frana si trova interreni di terzi proprietari, senza considerare che dallasuddetta relazione tecnica risultava che Sa stessa ANASaveva predisposto delle opere per lo stesso problema. Conil quinto, si censura la sentenza nella parte in cui ha rite-nuto l’evento imprevedibile nonostante avesse dato attoche anni prima si erano verificati episodi simili, anche sepiù lievi ed erano state predisposte opere per evitarli. Lecensure mosse alla sentenza sono meritevoli di accogli-mento.3.1. La Corte di merito, sia pure senza farvi mai espressoriferimento, ha ritenuto astrattamente applicabile la re-sponsabilità ex art. 2051 c.c., rispetto a un tratto di stradastatale “di pertinenza e di spettanza dell’ANAS”. In con-creto, ha poi escluso la responsabilità, valutando comeimprevedibile l’evento perché la frana proveniva da ter-reno di proprietà di terzi e, quindi, non dalla strada sog-getta a custodia; ma, anzi, si legge “il franamento ... si li-mita a incombere sulla e coinvolge la sede stradale”.Imprevedibile perché le frane precedenti erano state diminore entità e le Ferrovie avevano provveduto a predi-sporre opere necessarie ad evitarle; così che non era esi-gibile neanche un segnale che segnalasse il pericolo difrane.3.2. È costante nella giurisprudenza della Corte il princi-pio secondo cui la responsabilità ex art. 2051 c.c. sussistein relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua

intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agentidannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che puòessere rappresentato - con effetto liberatorio totale o par-ziale - anche dai fatto del danneggiato, avente un’effica-cia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziolo-gico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi comeulteriore contributo utile nella produzione del danno (daultimo Cass. 7 aprile 2010 n. 8229).Rispetto alle strade aperte al pubblico transito la Corteha ritenuto che la disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è ap-plicabile in riferimento alle situazioni di pericolo connes-se alla struttura o alle pertinenze della strada, essendoconfigurabile il caso fortuito in relazione a quelle situa-zioni provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repenti-na e non specificamente prevedibile alterazione dello sta-to della cosa che, nonostante l’attività di controllo e ladiligenza impiegata allo scopo di garantire un interventotempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per di-fetto del tempo strettamente necessario a provvedere. Aifini del giudizio sulla prevedibilità o meno della repenti-na alterazione della cosa, occorre, secondo la Corte, averriguardo, per quanto concerne i pericoli derivanti da si-tuazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa, al ti-po di pericolosità che ha provocato l’evento di danno eche, ove si tratti di una strada, può atteggiarsi diversa-mente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun trattoed agli eventi analoghi che lo abbiano in precedenza in-teressato (Cass. 3 aprile 2009, n. 8157).3.3. Nella specie, la Corte di merito ha individuato la sus-sistenza del fortuito nei fatto del terzo (frane provenientida terreni di terzi), ravvisando il carattere dell’oggettivaimprevedibilità ed inevitabilità con motivazione insuffi-ciente e contraddittoria.Infatti, ha ritenuto imprevedibile una frana di maggioreconsistenza, che ha determinato l’alterazione dello statodella cosa in custodia, pur riconoscendo: che negli anniprecedenti si erano verificate frane, proprio provenientidai terreni a monte (dando rilievo, invece, alla diversaconsistenza della frana); che dalla relazione tecnica risul-ta che la stessa AIMAS, negli anni precedenti, avevapredisposto opere per far fronte allo stesso problema; chenella zona intermedia a monte, di spettanza delle Ferro-vie, erano già state predisposte delle opere. Circostanze,tutte, che avrebbero dovuto condurre ad interrogarsi sulse l’alterazione della cosa per via della frana fosse, piutto-sto, prevedibile e se da parte dell’ANAS erano state po-ste in essere le idonee misure di sicurezza sulla strada.4. Pertanto, la sentenza impugnata è cassata in relazionealla censura accolta, prospettata con il terzo, quarto equinto motivo di ricorso. La causa è rinviata alla Corte diappello di Milano, che deciderà anche le spese processua-li del presente giudizio.... Omissis...

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GiurisprudenzaResponsabilità civile

Premesso in fattoIl 20 gennaio 2011 è stata depositata in Cancelleria la se-guente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:“1. - Con sentenza n. 784/2009, depositata il 15 giugno2009, la Corte di appello di Bologna, confermando lasentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Raven-na, ha respinto la domanda proposta da C.F. contro il Co-mune di Cervia, per ottenere il risarcimento dei dannisubiti a seguito della caduta su di una buca nella pavi-mentazione del marciapiede della via Granisci, in Comu-ne di Milano Marittima. La C. propone tre motivi di ri-corso per cassazione. Il Comune non ha depositato difese.2. - Il primo motivo di ricorso è inammissibile ai sensidell’art. 366 bis cod. proc., a causa dell’inidonea formula-zione del quesito che, lungi dal sottoporre Corte una que-stione di diritto, chiede l’accertamento di un fatto, per dipiù riservato alla discrezionale valutazione del giudice dimerito.Si chiede di accertare “... se la circostanza che la bucastradale fosse piena d’acqua possa configurare quell’even-to imprevedibile - inevitabile che, rappresentando il casofortuito, esclude la responsabilità del custode”.In primo luogo i lineamenti della fattispecie sono ripor-tati in termini a dir poco generici ed insufficienti a con-sentire di formulare un giudizio (a parte il fatto che nonrisulta per quali cause, da quanto tempo e perché la bucasi fosse riempita d’acqua, al pedone si potrebbe richiede-re di non andare a mettere i piedi nell’acqua od in luoghidei quali non vede il fondo).In secondo luogo e soprattutto, la questione relativa allasussistenza o meno del nesso causale fra il fatto e il danno- nella specie, fra la situazione del fondo stradale e l’inci-dente occorso alla ricorrente - attiene al merito dellacontroversia e richiede un accertamento in fatto che de-ve essere compiuto dal giudice del merito e che è suscet-tibile di riesame in sede di legittimità solo sotto il profilodegli eventuali vizi di motivazione. L’accertamento nonpuò essere demandato al giudice di legittimità, per di piùsotto forma di quesito di diritto.3. - Il secondo motivo, che denuncia contraddittorietà edinsufficienza della motivazione sotto vari profili (nonsempre rilevanti ai fini della decisione), non contiene unmomento di sintesi delle censure dal quale risulti la chia-ra indicazione del fatto controverso in relazione al quale

la motivazione è da ritenere omessa, insufficiente o con-traddittoria e le ragioni per cui è inidonea a giustificare lasoluzione adottata, come richiesto a pena di inammissibi-lità dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte(Cass. civ., sez. un., 1° ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno2008 n. 16258; Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2008 n.2652; Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2008 n. 8897, n.4646/2008 e n. 4719/2008, fra le tante).Ne emerge tuttavia che la Corte di appello, dopo averepremesso che la presenza di una buca sul fondo stradalecittadino giustifica l’addebito di responsabilità al Comu-ne per difetto di manutenzione e manifesta la sussistenzadel nesso causale fra la situazione della strada e l’infortu-nio occorso alla ricorrente, ha poi qualificato come casofortuito la circostanza che la buca fosse ricoperta dall’ac-qua e non visibile dall’infortunata, sul rilievo che si trat-tava di evento estemporaneo, nei confronti del quale ilComune non ha avuto la possibilità di intervenire tem-pestivamente.La sentenza impugnata ha cioè considerato come causaidonea ad esimere l’ente pubblico da responsabilità unacircostanza di fatto che ha invece aggravato gli effetti delvizio di manutenzione, che senza quel vizio non avrebbecausato il danno e che avrebbe potuto valere ad esclude-re non la responsabilità del Comune, bensì un eventualeconcorso di colpa dell’infortunata, per non avere vistotempestivamente la buca.Trattasi di motivazione illogica e contraria ai principi didiritto di cui all’art. 2051 c.c.La Corte di appello ha confuso un evento (normale e lar-gamente prevedibile) che ha contribuito a causare il dan-no (la pioggia che, nascondendo le asperità del suolo, leha rese ancor più insidiose) con una causa di interruzionedel nesso causale, quasi che si trattasse di evento esternoe non controllabile, di per sé solo sufficiente a produrre ildanno.4. - Il terzo motivo, che lamenta vizi di motivazione nel-la parte in cui è stata esclusa la responsabilità anche aisensi dell’art. 2043 c.c., risulta assorbito.5. - Propongo che il primo motivo sia dichiarato inam-missibile ed il secondo motivo sia accolto, con procedi-mento in Camera di consiglio”.– La relazione è stata comunicata al pubblico ministero eai difensori delle parti.

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 24 maggio 2011, n. 11430, ord. - Pres. Finocchiaro - Est. Lanzillo -C.F. c. COMUNE di CERVIA

In relazione alla responsabilità del Comune ex art. 2051 c.c. per la caduta su di una buca nella pavimentazione

del marciapiede, la circostanza che la buca fosse piena di acqua e non visibile dal viandante costituisce un fatto

che pur avendo contribuito a causare il danno nascondendo le asperità del suolo, è definibile come normale e

largamente prevedibile e che, in quanto tale, non può costituire una causa di interruzione del nesso causale,

non essendo di per sé solo sufficiente a produrre il danno.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Cass. 22 marzo 2011, n. 6550; Cass. 28 settembre 2009 n. 20754; Cass. 3 aprile 2009 n. 8157.

Difforme Cass. 20 febbraio 2006, n. 3651.

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Il pubblico ministero non ha depositato conclusioniscritte.

Ritenuto in diritto1. - Il Collegio, all’esito dell’esame del ricorso, ha condi-viso la soluzione e gli argomenti esposti nella relazione.2. - Il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato

inammissibile, mentre il secondo motivo deve essere ac-colto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Bo-logna, in diversa composizione, affinché decida la con-troversia con adeguata e logica motivazione.3. - Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del pre-sente giudizio.… Omissis …

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IL COMMENTOdi Paolo Laghezza (*)

A fronte di sporadici tentativi di riproporre una lettura dell’art. 2051 c.c. in termini di presunzione di colpa,adducendo come motivazione la presunta insufficienza dello schema oggettivo di responsabilità nel valu-tare la prevenzione bilaterale che le parti sono chiamate ad effettuare per scongiurare il verificarsi del-l’evento dannoso, la Cassazione adotta, con sempre maggiore agilità e coerenza, uno schema di giudiziofondato sull’esame concreto del procedimento eziologico che ha condotto al verificarsi dell’evento, mo-strando così la piena efficienza e la chiara funzionalità concreta di un’interpretazione della fattispecie inchiave oggettiva.

Di terra ed acqua in caduta libera

Le questioni più frequentemente discusse nelle auledi merito attengono alla valutazione giuridica di cir-costanze concrete che, nella dialettica processuale enelle contrapposte ricostruzioni delle parti in puntodi diritto, vengono invocate, da un lato, come argo-mento a sostegno della responsabilità del custode enel contempo, dall’altro, come evidenza del casofortuito esimente la stessa.È il caso delle due sentenze in rassegna, la più recen-te delle quali si riferisce ad un’ipotesi di danni ca-gionati ad una vettura da una frana proveniente daterreni posizionati a monte della strada. A caratte-rizzare la fattispecie vi è la circostanza che la frana siè staccata da terreni di proprietà di terzi posizionatia monte della strada, e divisi dalla stessa da una li-nea ferroviaria a protezione della quale, peraltro, eraanche stato eretto dalle Ferrovie un muro di conte-nimento. In primo grado la domanda di risarcimen-to veniva respinta e analoga sorte subiva anche in-nanzi alla Corte d’appello di Milano, che riconosce-va nella fattispecie il configurarsi del caso fortuito,in ragione dell’imprevedibilità ed inevitabilità del-l’evento. La Cassazione, invece, ha ritenuto insuffi-ciente e contraddittoria la motivazione della sen-tenza di appello, evidenziando come non possa con-siderarsi imprevedibile l’evento franoso, ove si siaaccertato che, negli anni precedenti, il tratto di stra-da era stato oggetto del verificarsi di fenomeni ana-loghi, che inoltre l’ANAS aveva predisposto opereper far fronte al problema e che, nella zona interme-

dia di spettanza delle Ferrovie, erano già state postein essere specifiche opere dirette ad evitare il rischiodi tali episodi. A Cass. n. 11430/2011 si chiede, ugualmente, dichiarire se la pioggia che abbia colmato d’acqua unabuca presente sul manto stradale rendendola invisi-bile al danneggiato, possa integrare gli estremi delcaso fortuito esimente la responsabilità del custode,o se invece, costituendo un fatto del tutto frequentee, quindi, largamente prevedibile, non possa in al-cun modo essere letto come causa di interruzione delnesso causale, non essendo di per sé sola sufficientea produrre il danno.Nelle pagine seguenti si tenterà, di dimostrare co-me le scelte operate, su questo versante, dal Giu-dice di legittimità, dipendano in larga misura dal-le soluzioni interpretative adottate, più a monte,sul piano della struttura della fattispecie, dove re-stano da sempre contrapposte, con alterne fortu-ne, la presunzione di colpa e la responsabilità og-gettiva.Ma prima di affrontare il cuore del problema, valesegnalare come le fattispecie oggi in esame costitui-scano al momento un vero e proprio tema caldo intema di custodia. Proprio in occasione di una franacaduta su una strada pubblica, la Cassazione ha, in-fatti, avuto modo di ribadire il principio secondo il

Nota:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

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quale agli enti pubblici proprietari di strade aperte alpubblico transito è, in linea generale, applicabilel’art. 2051 c.c. in riferimento alle situazioni di peri-colo immanentemente connesse alla struttura o allepertinenze della strada, essendo peraltro configura-bile il caso fortuito in relazione a quelle provocatedagli stessi utenti, ovvero da una repentina e nonspecificatamente prevedibile alterazione dello statodella cosa che, nonostante l’attività di controllo e ladiligenza impiegata allo scopo di garantire un inter-vento tempestivo, non possa essere rimossa o segna-lata, per difetto del tempo strettamente necessario aprovvedere (1).E il medesimo principio era per la prima volta statoaffermato, inoltre, in un fattispecie di danni subitida un trattore agricolo per lo sprofondamento in unavvallamento creatosi per il cedimento, al suo pas-saggio, del manto stradale (2).Dunque, fattispecie concrete di grande attualità chesi innestano sull’annosa diatriba fra colpa presunta eresponsabilità oggettiva; questo il tema dell’odiernariflessione, che non può non prendere le mosse dal-l’esame di alcuni recenti contributi espressi dalladottrina a sostegno della più tradizionale teoria col-pevolistica.

Responsabilità ex art. 2051 c.c.e prevenzione bilaterale

La nuova eccezione, che i nostalgici della presunzio-ne di colpa muovono all’attuale interpretazione del-l’art. 2051 c.c. in termini di responsabilità oggettiva,s’incentra sulla presunta incompatibilità della strut-tura oggettiva di responsabilità con le fattispecie ca-ratterizzate dalla possibile prevenzione bilateraledelle parti.. Posto cioè che l’obiettivo ideale dellaregola di responsabilità adottata dall’art. 2051 c.c.deve consistere nello spingere ciascuna parte ad in-vestire in precauzione le risorse ritenute necessarie,prescindendo dalla considerazione delle scelte pre-cauzionali adottate dalla controparte, tale obiettivonon potrebbe considerarsi raggiungibile in unoschema di responsabilità oggettiva, se non a pena direintrodurre in esso, sotto mentite spoglie, il para-digma della colpa (3). In altri termini, mentre inun’architettura incentrata sulla valenza probatoriadella colpa, il giudice non incontrerebbe soverchiedifficoltà nella valutazione della condotta del dan-neggiato, tale scorrevolezza di giudizio svanirebbe,come neve al sole, in un contesto di responsabilitàoggettiva. Sempre secondo la tesi che qui si contesta, poten-do l’imputazione della responsabilità del custode e

la valutazione del concorrente fatto del danneggia-to, essere ispirate, in un contesto oggettivo, solo aduna logica di causalità generale, la responsabilitàdel custode resterebbe esclusa nel sol caso in cui sipossa collocare la probabilità di realizzazione diquel particolare evento dannoso «fuori dalla classedi eventi dannosi tipicamente ascrivibili alla sferadi rischio fatta gravare oggettivamente dalla normasul custode» (4). A ciò conseguirebbe, in linea diprincipio, l’impossibilità nel giudizio di merito, diun’adeguata valutazione della prevenzione bilate-rale concretamente posta in essere dalle parti perevitare l’evento e l’impossibilità di comparare, inbase alla medesima idea (ovvero la colpa), la ripar-tizione di responsabilità fra custode e danneggiato.La riproposizione della struttura soggettivo-colpe-volistica per la decodificazione della fattispecie sa-rebbe, in definitiva, la naturale conseguenza diquesto presunto peccato originale, di questa inca-pacità naturale, legata indissolubilmente al criteriodi imputazione di responsabilità di matrice oggetti-va.

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Note:

(1) V.: Cass. 28 settembre 2009 n. 20754 che, in applicazione delsuddetto principio, ha cassato la sentenza della corte di meritocon cui si rigettava la richiesta di risarcimento avanzata nei con-fronti dell’Anas per i danni cagionati da una frana ad un’autovet-tura lungo la s.s. n. 203 «Agordina» e Cass. 3 aprile 2009 n.8157, relativa ad una frana verificatasi a monte di una strada pub-blica, in conseguenza della quale un masso aveva colpito unavettura che transitava in quel momento, determinando la mortedi una persona e il fermento grave di un’altra. Anche in questocaso,la suprema corte, nel cassare la sentenza che aveva riget-tato la domanda di risarcimento, ha affermato che la corte di me-rito aveva erroneamente condotto l’indagine sulla responsabilitàdella p.a. in relazione ai criteri di imputazione propri dell’art. 2043c.c., anziché dell’art. 2051 c.c., al quale è estraneo ogni apprez-zamento dell’elemento soggettivo della colpa. Entrambe le sen-tenze possono leggersi in questa Rivista, 2010, 40, con nota diLaghezza, Pericolo caduta massi: franano i privilegi del custodepubblico. In precedenza aveva invece ritenuto non configurabilela responsabilità ex art. 2051 c.c. del proprietario di un terreno si-tuato a monte per il movimento franoso di detriti e fango che sierano riversati su alcuni terreni a valle, ritenendo che la frana sifosse verificata per l’intervento di alcuni fattori aventi il caratteredel fortuito, quali la natura geomorfologica del terreno, Cass. 4febbraio 2004 n. 2062, in Foro it., Rep. 2004, voce Responsabili-tà civile, n. 454.

(2) V. Cass. 25 luglio 2008 n. 20427, in questa Rivista, 2008,1243. Con riferimento ad una buca piena d’acqua v. anche Cass.30 giugno 2005 n. 13982, in Arch. circolaz., 2006, 142 e Pret. Sa-lerno-Eboli 24 marzo 1998, in Arch. circolaz., 1998, 595.

(3) Izzo, Aree sciabili e responsabilità extracontrattuale: il diffici-le rapporto fra “responsabilità oggettiva” e colpa del danneggia-to (parte prima), in questa Rivista, 2011, 567; cfr. altresì l’opinio-ne di Benedetti, Condotta del danneggiato e responsabilità dacose in custodia: spunti di riflessione, in questa Rivista, 2011,234, cui per brevità si rinvia integralmente.

(4) Izzo, Aree sciabili e responsabilità extracontrattuale: il diffici-le rapporto fra “responsabilità oggettiva” e colpa del danneggia-to (parte seconda), in questa Rivista, 2011, 792.

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Ma è proprio così? L’orientamento in breve cosìriassunto, per quanto suggestivo, rivela non tra-scurabili punti deboli. In particolare: a) Presup-pone come ideale uno schema di funzionamentodella fattispecie che, di fatto, si è rivelato in pas-sato del tutto inefficiente; b) Confonde la logicae la finalità del criterio oggettivo di imputazionedella responsabilità, con il meccanismo concretodel suo funzionamento e, in particolare, conl’onere probatorio previsto a carico delle partinella fattispecie di riferimento; c) Giunge a con-clusioni che, di fatto, smentiscono proprio l’as-sunto che, in premessa, la stessa teoria intendevaprovare.

Responsabilità oggettiva vs presunzionedi colpa

Proviamo a testare singolarmente le tesi propostedalla dottrina neo-colpevolista. L’affermazione se-condo la quale il giudice non avrebbe incontrato inpassato, nel contesto di un’interpretazione dell’art.2051 c.c. in termini di colpa presunta, difficoltà al-cuna nel valutare la rilevanza giuridica della con-dotta del danneggiato, impatta duramente con lamemoria racchiusa nei repertori di giurisprudenzarisalenti agli ultimi decenni del secolo scorso. Nonoccorre scomodare, infatti, le contraddizioni e leincongruenze della (finalmente superata) giurispru-denza in tema di insidia e trabocchetto (5), per ri-cordare le discutibili decisioni concrete adottatesotto l’ombrello della presunzione di colpa (6). L’as-sunto presta il fianco a critiche già nella parte in cuisostiene che tale semplicità di giudizio sarebbe ri-conducibile al fatto che, in assenza di allegazioni oevidenze in ordine alla rilevanza della condotta deldanneggiato, il giudice avrebbe avuto in passatogioco facile nel pronunziare la responsabilità del cu-stode, in virtù appunto del meccanismo presuntivodi colpa; a salvare la semplicità di giudizio interver-rebbe il fatto che, sul danneggiato, non incombe-rebbe l’onere probatorio attinente al “contegnoprecauzionale violato” da parte del custode, non in-comberebbe, cioè, la dimostrazione della violazionedi un modello di condotta imposto al custode cosic-ché, in assenza di prova liberatoria da parte del cu-stode, la decisione finale non potrebbe che essere dicolpevolezza. In realtà, la dinamica processuale nel contesto diun’interpretazione dell’art. 2051 c.c. nel segno del-la colpa presunta, segue traiettorie del tutto diver-se. Per comprenderne la ragione, vale considerare,innanzitutto, che è la stessa prova del nesso causa-

le ad atteggiarsi diversamente a seconda che ci simuova nel contesto di uno schema soggettivo diresponsabilità, piuttosto che in un modello ogget-tivo di responsabilità ex art. 2051 c.c. In quest’ulti-mo caso il danneggiato deve isolare e dimostrare lospecifico segmento causale che lega l’evento allares in custodia (7). In un meccanismo presuntivodi colpa, invece, l’onere probatorio attinente alnesso causale non riguarda più tale legame, ma at-tiene alla diversa (e più profonda) dimostrazionedella riconducibilità causale dell’evento verificato-si alla condotta posta in essere dal convenuto nelcustodire il bene, poiché il custode risponde deldanno, proprio in ragione dell’omessa o insuffi-ciente attività di controllo posta a suo carico. Secioè il danneggiato è esentato dal dimostrare lospecifico grado di colpa del custode (in virtù del

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Note:

(5) Sul punto v.: Laghezza, Insidia e trabocchetto: un addio sen-za rimpianti, in questa Rivista, 2006, 1220; Palmieri, Custodia dibeni demaniali e responsabilità: dopo il tramonto dell’insidia, an-cora molte incertezze sulla disciplina applicabile, in Foro it.,2008, I, 2826; Caputi, Responsabilità della pubblica amministra-zione per omessa manutenzione delle strade: dalle fiabe al codi-ce civile, ossia la caduta dell’insidia e del trabocchetto e il recu-pero della disciplina positiva, id., 2004, I, 514.

(6) Insuperabile appare, in particolare, il dato testuale della nor-ma, incentrato sui concetti di cosa e di custodia intesa come re-lazione di appartenenza della cosa al soggetto in forza della qua-le questo è tenuto a risarcire il danno. V. sul punto le opinioniespresse da: Bessone, La responsabilità civile, Milano, 1980, 2;Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 100;Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1975, 153ss.; Geri, La responsabilità civile da cosa in custodia, animali erovine di edificio, Milano, 1974, 74; Franzoni, L’illecito, in Tratta-to della responsabilità civile, Milano, 2004, 441 ss.; Monateri, Laresponsabilità civile, in Trattato di Diritto civile diretto da R. Sac-co, 1998, 1038; P.Pardolesi, Responsabilità da custodia in cercadi identità, in questa Rivista, 2004, 161.

(7) E, infatti, in tema di responsabilità per omessa manutenzionedella sede stradale, la giurisprudenza si è di recente orientataverso la valorizzazione del requisito del pericolo immanente allastruttura del bene, che altro non è se non un modo sintetico (oinverso) di affermare che il danno è stato in concreto cagionatodal bene di cui la P.A. è custode, e non da altri e diversi antece-denti causali. In questo senso v. già Cass. 11 giugno 2009 n.13550, in Itinerari di Giurisprudenza: La responsabilità da cose incustodia, in questa Rivista, 2009 1209, relativa ad un’ipotesi didanni cagionati dall’allagamento del giardino di una villetta, inconseguenza del difetto di manutenzione dei canali e dei tombi-ni diretti allo smaltimento delle acque piovane. Pur confermandola sentenza di appello che aveva escluso la responsabilità del-l’ANAS, per l’assenza di adeguata prova in ordine al nesso dicausalità e per l’accertata sussistenza del caso fortuito costitui-to dalla particolare ed inusitata violenza della pioggia, la senten-za stabilisce con maggiore chiarezza il medesimo principio, af-fermando che agli enti pubblici proprietari di strade aperte altransito è, in linea generale, applicabile l’art. 2051 c.c., in relazio-ne alle situazioni di pericolo immanentemente connesse allastruttura o alle pertinenze della strada stessa. V. più di recente ilconsolidato orientamento espresso da: Cass. 3 aprile 2009, n.8157 e Cass. 28 settembre 2009, n. 20754, in questa Rivista,2010, 40.

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meccanismo presuntivo attribuito all’art. 2051),deve tuttavia fornire l’evidenza del nesso eziologi-co intercorrente fra l’evento e l’attività di custodiadel convenuto, che così, fatalmente, si trova ad es-sere (re)introdotta nel giudizio, proprio sul versan-te dell’onere probatorio posto a carico del danneg-giato.A ciò si aggiunga, come inevitabile conseguenza,che anche la prova del caso fortuito dovrebbe, intale contesto, necessariamente trasformarsi ed as-sumere i connotati del fortuito cd. “soggettivo”. Afronte della presunzione di colpa come ratio giusti-ficatrice della responsabilità del custode, non po-trebbe che collocarsi una nozione di caso fortuitoincentrata sull’assenza di colpa imputabile al cu-stode. Anche i più strenui fautori della tesi sogget-tivo-colpevolistica, infatti, non hanno mai potutodimostrare la compatibilità logico-giuridica delmeccanismo presuntivo di colpa, sul versante del-l’onere probatorio posto a carico del danneggiato,con il caso fortuito inteso in senso oggettivo (inte-so cioè come interruzione del nesso causale), sul-l’opposto piano della prova liberatoria (8). Ed èper questo che gli ultimi residuali tentativi di di-fendere le tesi colpevolistiche, hanno percorsoproprio la via - peraltro assolutamente impervia -di una reinterpretazione del fortuito in terminisoggettivi (9). Va da sé che, alla luce di questeconsiderazioni, un giudizio fondato sulla presun-zione di colpa a carico del custode appare tutt’al-tro che agevole (10).

La specifica ipotesi della causa ignota

Ma, in vista delle precedenti considerazioni, cado-no anche tutte le altre ragioni addotte a sostegnodella tesi colpevolistica: prima fra tutte, quella se-condo la quale, anche in un contesto colpevolisti-co, le fattispecie caratterizzate dalla cd. causa igno-ta, troverebbero la medesima conclusione di con-danna del custode, loro riservata in un contesto diresponsabilità oggettiva (11). Affermazione que-st’ultima che già in passato si è rivelata erronea nel-le ipotesi di responsabilità per incendio o allaga-mento. In particolare, Cass. n. 20335/2004 (12) è

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Note:

(8) Sul punto v. le riflessioni di Franzoni, op. ult. cit., 444, che ri-chiamando Alpa-Bessone, I fatti illeciti, in Trattato di diritto priva-to diretto da Rescigno, XIV, Torino, 1995, 340, sottolinea comenon è possibile imputare al custode una presunzione iuris tan-tum di colpa e poi affermare che tale presunzione può esserevinta solo con la prova del caso fortuito inteso come interruzionedel nesso causale.

(9) Come sembra ritenere anche Benedetti, La responsabilità da

cose in custodia tra prova liberatoria e condotta del danneggia-to, nota a Cass. 22 settembre 2009, n. 20415, in questa Rivista,2010, 459; Benedetti, La condotta del danneggiato ed i limitidella responsabilità da custodia, in questa Rivista, 2011, 735.Secondo l’A. il caso fortuito, comprendendo il fatto dello stessodanneggiato che abbia i requisiti dell’imprevedibilità e dell’inevi-tabilità, richiamerebbe in causa la diligenza del custode e, quin-di, la valutazione della condotta del responsabile; tale profiloprobatorio sarebbe, dunque, meglio inquadrabile in una nozionedi caso fortuito cd. soggettivo (inteso cioè come dimostrazionedell’assenza di colpa in capo al custode) piuttosto che nel fortui-to oggettivo (ovvero come dimostrazione dell’interruzione delnesso causale fra la res e l’evento dannoso). Il tentativo di un’in-terpretazione in tal senso era peraltro già stato proposto da For-ziati, La Cassazione e la responsabilità oggettiva del custode exart. 2051 c.c.: i limiti di una sentenza annunciata, in Resp. civ. eprev., 1998, 6, 1380. Contra v. le riflessioni critiche già mosse dachi scrive in: Rischio da custodia e responsabilità, in questa Ri-vista, 2010, 943 Per la giurisprudenza v. a fronte del consolidatoorientamento di legittimità a favore del fortuito oggettivo l’opi-nione contraria espressa da: Cass. 20 febbraio 2006, 3651, inForo it., 2006, I, 2801, che ha tentato di riproporre la preceden-te lettura dell’art. 2051 in termini di presunzione di colpa, affer-mando che il fondamento della responsabilità del custode deveindividuarsi nella violazione del dovere di sorveglianza posto asuo carico, ed in conseguenza propone una completa riletturadella prova liberatoria ex art. 2051 c.c., individuando la stessanella dimostrazione dell’assenza di colpa in capo al custode (cd.fortuito soggettivo) e precisando che essa si configura come di-mostrazione che il danno si è verificato in modo non prevedibilené superabile dall’adeguata diligenza del custode, valutata in re-lazione alle circostanze concrete del caso.

(10) L’introduzione di un profilo colpevolistico nell’accertamentodella prova liberatoria, posta a carico del custode, null’altro ot-tiene se non lo spostamento del problema poco più in là ed, an-zi, la sua complicazione, perché lascia aperto l’interrogativo sul-l’individuazione, caso per caso, dello standard di diligenza impo-sto non ad una, ma ad entrambe (ammesso che non siano dipiù) le parti coinvolte nella fattispecie. E, contrariamente a quan-to avviene in tema causalità - dove la medesima teoria di rico-struzione del nesso causale può tendenzialmente trovare appli-cazione in tutte le fattispecie - l’accertamento dello standard didiligenza dovuto (o violato) troverebbe soluzioni, queste sì, sem-pre diverse (e potenzialmente fra loro anche contraddittorie) infunzione della diversa condotta rilevante nella fattispecie.

(11) Così Izzo, op. ult. cit. (parte seconda), in questa Rivista,2011, 781. Secondo l’A. anche ricostruendo la fattispecie in ter-mini di colpa presunta la causa del danno rimasta ignota lasciavivere la responsabilità del custode, con l’effetto di convogliaresullo stesso il costo del danno nella sua integrità; per sosteneretale tesi, tuttavia, richiama i due precedenti costituiti da: Cass.25 novembre, 1988 n. 6340, in Foro it., Rep. 1988, voce Re-sponsabilità civile, n. 150; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2284, id.,2006, voce cit., n. 440, ma omette di considerare che in en-trambi i precedenti il caso fortuito è ricostruito in termini ogget-tivi, ovvero come evento interruttivo del nesso causale.

(12) Cass. 15 ottobre 2004, n. 20335, in questa Rivista, 2005,1103, con nota di Laghezza, Aquae et ignis, ovvero: dell’incen-dio, dell’allagamento e della causa ignota nell’art. 2051 c.c.. Ilcaso vede i comproprietari di un immobile al primo piano di unapalazzina lamentare i danni conseguenti ad un incendio e, assu-mendo che le fiamme si siano sviluppate in un punto imprecisa-to al piano terra dell’edificio, convenire in giudizio il proprietarioed il conduttore del locale adibito a negozio, sito, appunto, al pia-no terra dello stabile, nonché il proprietario di altro locale ad es-so adiacente, nel quale campeggiava un caminetto. Nei con-fronti di quest’ultimo anche i primi convenuti (proprietario e con-duttore del negozio) spiegano domanda riconvenzionale, chie-dendo di essere a loro volta risarciti dei danni subiti per l’incen-dio. La Cassazione, a conferma del giudizio impugnato, stabili-

(segue)

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stata, a suo tempo, chiamata a chiarire se incombasul danneggiato la prova della riconducibilità cau-sale dell’incendio a questa o a quell’altra parte del-l’immobile (con conseguente responsabilità alter-nativa del proprietario o del conduttore dello stes-so), oppure se spetti allo stesso solo la dimostrazio-ne che l’evento si sia sviluppato nel locale, conside-rato nel suo complesso, restando poi a carico deiconvenuti (proprietario e conduttore) la prova li-beratoria, consistente nella dimostrazione di unasua riconducibilità causale ad una specifica porzio-ne dello stesso, della quale è altro convenuto ad es-sere il custode. Per altro verso, Cass. n. 376/2005(13) si è chiesta se incomba sul danneggiato la ri-cerca dell’intero procedimento causale, con conse-guente necessità di risalire sino alla causa ultimadell’allagamento, o se sia invece sufficiente, per ildanneggiato, la dimostrazione della riconducibilitàdell’evento dannoso ad un’infiltrazione provenien-te dall’appartamento sovrastante, incombendo poisul custode la prova liberatoria di un’eventuale ul-teriore causa interruttiva del nesso di causalità(quale, ad esempio, l’ostruzione delle condotte diraccolta delle acque meteoriche condominiali).Dall’esame di entrambe le pronunzie è a suo tempoemerso che, nel contesto di una responsabilità distampo oggettivo, l’individuazione della causa dacui è derivato il fatto generatore del danno non ènecessaria per l’affermazione della responsabilità delcustode. In altri termini, per ottenere il risarcimen-to del danno è sufficiente che il danneggiato dimo-stri che l’evento è sorto nella (o è riconducibile ezio-logicamente alla) cosa soggetta all’altrui custodia,senza dovere fornire anche la prova del “perché” ilprocedimento dannoso si sia innescato. Incombe,infatti, sul custode, nel contesto della prova libera-toria del fortuito, fornire l’evidenza di quel fattoreesterno che ha trasformato il suo “appartamentonormale” in un “appartamento allagato”. La provadel “perché”, scrive testualmente la Corte, «in quan-to ciò serva a richiamare la responsabilità di altri ocomunque ad escludere quella del custode, incombea questi [sic], nell’ambito della prova del caso fortui-to, come fatto impeditivo» (14).Dunque, è questo il senso del principio secondo ilquale, nel contesto di un’interpretazione dell’art.2051 c.c. in termini di responsabilità oggettiva, in-combe sul danneggiato l’onere di dimostrare il nessoeziologico fra la res e l’evento mentre, una volta di-mostrato tale nesso, spetta al custode fornire l’evi-denza della presenza di un fatto ulteriore idoneo adinterrompere quel legame e ad essere consideratocausa esclusiva o quantomeno concorrente nella

produzione dell’evento dannoso considerato. Nonpuò il custode sperare di evitare la condanna sem-plicemente allegando l’ipotesi di una causa estraneao deducendo che è rimasta ignota la causa ulterioredell’evento (15), poiché tale allegazione, inerendoall’individuazione della causa estranea assorbente ilnesso causale, attiene alla dimostrazione del fortuitoe, quindi, impone il relativo onere probatorio a cari-co del medesimo custode.Ben differente sarebbe invece la soluzione adotta-ta nel contesto di una ricostruzione dell’art 2051c.c. in termini di colpa presunta. Qui, come detto,il danneggiato deve individuare lo specifico nessoche lega l’evento considerato all’inadeguata con-dotta di custodia del convenuto. Lo schema tipicodel criterio soggettivo di imputazione della re-sponsabilità (azione o omissione - nesso causale -evento) resta inalterato, ed il meccanismo di pre-sunzione alleggerisce, a favore del danneggiato,solo l’onere probatorio attinente all’elemento sog-gettivo, escludendo che debba fornirsi anche laprova di uno specifico grado di colpevolezza a cari-co del custode. Resta, invece, identica la dimo-strazione del nesso causale, intesa nel senso appe-na indicato, con la conseguenza che il danneggia-to dovrà fornire la dimostrazione che l’eventodannoso è riconducibile ad una specifica omissio-ne del custode. A ciò si aggiunga, sull’opposto ver-sante della prova liberatoria, che, per andare esen-te da responsabilità, il custode dovrà, in un conte-sto colpevolistico, solo dimostrare il caso fortuitosoggettivo, inteso come assenza di colpa nella cu-stodia della res e tale prova potrà essere fornita an-che dimostrando che, nonostante un adeguatogrado di diligenza, l’evento si è comunque verifi-

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GiurisprudenzaResponsabilità civile

Note:

(continua nota 12)sce il principio secondo il quale qualora non sia possibile deter-minare se l’incendio sia sorto in strutture murarie o impianti nel-la custodia del proprietario ovvero in parti o accessori nella di-sponibilità del conduttore, la responsabilità di cui all’art. 2051c.c. si configura a carico sia del proprietario che del conduttore,poiché nessuno dei due è stato in grado di dimostrare che la cau-sa autonoma del danno è da ravvisare nella violazione da partedell’altro dello specifico dovere di vigilanza . In tema di incendiov. anche Nicoli, Responsabilità da custodia per danni da propa-gazione di incendio e contratto di locazione, in Giust. civ., 1998,3, 843.

(13) V. Cass. 11 gennaio 2005, n. 376, ibid. cfr. altresì le articola-te osservazioni di De Tilla, Rapporti di locazione e responsabilitàex art. 2051 c.c., in Riv. giur. edilizia, 2004, 4.

(14) V. in questo senso già Cass. 26 giugno 1997 n. 5706, in Fo-ro it., 1997, I, 2861.

(15) V. in tema di incendio le argomentazioni di Cass. n.6340/1988, cit.; e cfr. Monateri, La custodia di cui all’art. 2051c.c., in Resp. civ., 1982, 746.

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cato per una causa rimasta ignota. La dimostrazio-ne del “perché” l’evento si sia verificato risulta,dunque, di fatto così traslata a carico del danneg-giato e la soluzione di casi analoghi a quelli innan-zi considerati è destinata a diventare di segno dia-metralmente opposto (16).

Rischio e prevenzione bilaterale

Non convince, in conclusione, l’affermazione se-condo la quale, solo uno schema soggettivo - colpe-volistico risponderebbe adeguatamente alle esigen-ze gius-economiche dettate da una fattispecie carat-terizzata dalla prevenzione bilaterale. Per averneconferma anche sul piano concreto, resisteremo al-la tentazione di esaminare la ben più ampia casisti-ca che l’art. 2051 c.c. mette a disposizione dell’in-terprete e resteremo all’esempio della responsabilitàdel gestore della pista da sci, fattispecie caratterizza-ta da una chiara successione temporale della con-dotta precauzionale posta in essere dalle parti. Il ge-store, ben prima che l’evento si verifichi, cura lamanutenzione dell’impianto di risalita e della pista,mentre lo sciatore interviene con la sua condottapoco prima del momento dell’innesco dello stessoevento dannoso. Proviamo, in questo contesto, a ri-baltare, come in un gioco di specchi, le argomenta-zioni valorizzate dai fautori delle tesi neo-colpevoli-stiche ed ipotizziamo che lo sciatore percorra unapista, consapevole della presenza di una situazioneche configuri una chiara ipotesi di colpa del gesto-re. Ipotizziamo, ad esempio, che uno sciatore per-corra una pista al centro della quale sia possibile(ma non inevitabile) il passaggio su di un piccoloponte di legno pericolante e privo di segnalazionealcuna. L’armamentario colpevolistico, per poterfunzionare, presuppone l’individuazione di unostandard minimo di diligenza, in ragione del qualevagliare la concreta condotta posta in essere dal cu-stode; presuppone, perciò, la progressiva messa afuoco di un vero e proprio ventaglio di specifichecondotte, dichiaratamente ritenute colpevoli, ri-spetto a quel modello base di condotta diligente.Una volta che lo sciatore abbia individuato nellapresenza di quel ponticello sbilenco, un’ipotesi tipi-ca di colpa del custode, è ragionevole supporre chelo stesso possa anche essere indotto ad accettare ilrischio di un adrenalinico passaggio sullo stesso,confidando nella circostanza che, ove pure il pontefinisca per cedere, il danno conseguente verrà quasicertamente imputato al gestore; per quest’ultimosarà, infatti, pressoché impossibile dimostrare l’esi-stenza del caso fortuito soggettivo, consistente nel-

la dimostrazione dell’assenza di colpa a proprio cari-co e, anche la mera comparazione dei diversi gradidi colpa imputabili al gestore ed allo sciatore, diffi-cilmente potrebbe condurre ad inclinare l’ago dellabilancia a sfavore del secondo. Il tutto, secondo unavalutazione prognostica che lo sciatore men chemalizioso può arrischiare anche al momento delladiscesa dal sellino della seggiovia.E in un contesto di responsabilità oggettiva? Per da-re risposta a quest’interrogativo è necessario fare unbreve passo indietro e aggiungere una precisazione:individuare la natura della responsabilità oggettivache grava sul custode nel rischio tipico attinente allares, è cosa ben diversa dal ribaltare il meccanismod’azione con cui deve operare un criterio oggettivo diimputazione della responsabilità. Più in chiaro, il ri-schio tipico che individua l’area di responsabilità delcustode non è un dato trascendente, né può essereconsiderato come un perimetro delimitato a priori,sul quale poter sovrapporre la fattispecie concreta(17). Il rischio tipico è, al contrario, l’area che emer-ge e viene progressivamente delimitata a valle delgiudizio concreto della fattispecie; è l’area che, in so-stanza, viene circoscritta in ragione di quella doppiavalutazione sul piano prettamente causale, che con-sente di isolare, da un lato, il singolo segmento delprocedimento causale che lega la res in custodia al-l’evento e, dall’altro, di accertare l’eventuale esisten-za di un ulteriore ed eventuale segmento causale chelega l’evento al caso fortuito oggettivo, per poi pro-cedere alla comparazione degli stessi e, in conse-guenza, all’addebito o all’eventuale ripartizione di re-sponsabilità. È in questa articolata valutazione, sulpiano della fattispecie concreta che interviene il rife-rimento agli standard di “certezza probabilistica” an-corati alla determinazione quantitativa-statisticadelle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilitàquantitativa o pascaliana), e verificati alla luce dielementi di conferma disponibili in relazione al casoconcreto (c.d. probabilità logica o baconiana)” (18).Come l’addebito dell’evento al custode o al danneg-giato, ovvero ad entrambi in concorso, è la conse-

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Note:

(16) Per alcune ulteriori riflessioni in tema di causalità v. ancheCass. 19 aprile 2010 n. 9259, in questa Rivista, 2011, 293. Sullacausa ignota v. anche le riflessioni di Medici, La causa ignota nel-lo scoppio di bombola a gas e simultanea operatività degli art.2050 e 2051 c.c. per la Cassazione, in Resp. civ. e prev., 1999, 1,117.

(17) Izzo, op. ult. cit., (parte seconda), in questa Rivista, 2011,786.

(18) V. le considerazioni già espresse in Laghezza, Causalità pro-babile e non: l’incendio di proprietà limitrofe, in questa Rivista,2011, 293.

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guenza di questa articolato procedimento di valuta-zione (19), così anche la delimitazione della sfera dirischio tipico imputabile al custode è una conse-guenza che giunge a valle di questo giudizio, incen-trato sulla valutazione e la comparazione dei diversigradi di efficienza causale attribuibili da un lato allares e, dall’altro, alla condotta dello sciatore (o al di-verso caso fortuito invocato sul piano della prova li-beratoria) (20).L’esito di questo giudizio è ugualmente prevedibi-le ex ante, o non risentirà invece, più incisiva-mente, delle evidenze probatorie introdotte in fa-se istruttoria sul piano causale e del vaglio opera-to in concreto dal giudicante alla luce delle stes-se? Non è difficile considerare come risulti moltopiù arduo, per lo sciatore innanzi considerato,confidare con sicurezza, mentre si accinge ad af-frontare la pista scegliendo di attraversare il peri-coloso ponticello invece di scegliere un passaggiopiù agevole, che l’esito finale di questo articolatoprocedimento valutativo condurrà certamente adescludere ogni sua concorrente responsabilità nel-l’evento, magari proprio in ragione della sua di-scesa particolarmente spericolata (21). Difficile,dunque, mettere in discussione l’attuale orienta-mento della giurisprudenza di legittimità, che mo-stra di disporre con sempre maggiore certezza i pa-rametri di giudizio propri di una struttura oggetti-va di responsabilità.

Il caso fortuito: imprevedibilità, inevitabilitàe condotta abnorme

Per averne conferma si può tentare un’analisi ap-profondita dei casi oggi in esame, entrambi risoltiin considerazione di una chiara delimitazione deiconfini del fortuito. Secondo la tesi più accredita-ta, in un contesto oggettivo, il fortuito può distin-guersi in: fortuito “autonomo”, che si configura nel-le ipotesi in cui il danno appare il prodotto esclusi-vo dell’evento esterno, senza che il bene in custo-dia abbia rivestito alcun ruolo nell’eziologia del-l’evento; fortuito “incidente”, in cui la res, pur par-tecipando al procedimento causale produttivo del-l’evento, riveste un ruolo di mera occasione, poi-ché è il fatto esterno ad assorbire interamente l’ef-ficienza causale; e fortuito “concorrente”, in cui ilfattore esterno non esclude l’efficienza causale delbene nella produzione dell’evento, ma concorrecon essa (22). Per distinguere il fortuito incidentedal fortuito concorrente (nell’ipotesi del fatto na-turale), vi è il parametro dell’imprevedibilità-ine-vitabilità, che consente di distinguere le ipotesi in

cui il fatto naturale si è inserito in una concatena-zione causale regolare senza alterarla, dalle ipotesinelle quali, invece, ha innescato un processo ezio-logico autonomo, in cui la cosa è ridotta la rango dimera occasione.Per effettuare, invece, analoga distinzione nell’ipo-tesi della concorrente condotta colposa del danneg-giato, e separare le fattispecie di fortuito incidente,nelle quali il risarcimento resta escluso del tutto,dalle ipotesi di fortuito concorrente, in cui trova ap-plicazione l’art. 1227 c.c. e il risarcimento vieneproporzionalmente ridotto, soccorre il requisito del-la “condotta abnorme” del danneggiato, che deveessere dimostrata dal custode e senza la quale può so-lo configurarsi l’eventuale fortuito concorrente(23). Quel che conta sottolineare è che, in questocontesto, entrambi requisiti dell’imprevedibilità -inevitabilità, da un lato, e della abnorme condotta,dall’altro, prescindono da considerazioni attinentialla colpa e si incentrano sul profilo eziologico, es-sendo destinati ad accertare se il fatto o la condotta,siano stati idonei a troncare una sequenza causaleregolare e costante.

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Note:

(19) Sempre su base probabilistica per classi di eventi, peraltro,si accerta anche il requisito della prevedibilità oggettiva, che co-stituisce di fatto il discrimen fra il fortuito incidente ed il fortuitoconcorrente.

(20) Il medesimo ragionamento può essere espresso anche conriferimento all’area di cd. “rischio anormale” che delimita l’areadi responsabilità del custode individuando quella nella quale in-vece le conseguenze dannose restano a carico di chi le ha subi-te. Si è infatti giustamente fatto notare che malgrado il diversolinguaggio adottato «vi è sostanziale equiparazione tra i concettidi rischio anormale e di fortuito oggettivo» v. Franzoni, L’illecito,in Trattato della responsabilità civile, Milano, 2004, 427.

(21) Sul punto cfr le argomentazioni di Cass. 19 gennaio 2010, n.713, in questa Rivista, 2011, 52 che in un caso di sinistro morta-le cagionato dall’uscita di strada di una vettura in un tratto dellerete stradale comunale privo di guard rail e dalla conseguente ca-duta in un burrone profondo circa 25 metri, ha ribadito che dallecircostanze dell’evento si evince come l’incidente non si sia ve-rificato a causa della situazione della strada o per effetto dellasua inadeguata manutenzione ma esclusivamente per la condot-ta di guida del danneggiato, con conseguente assenza della pro-va del nesso causale fra l’evento dannoso e la res in custodia.

(22) In questo senso v.: Franzoni, op. ult. cit., 429, che esempli-fica i tre casi come segue: nel fulmine che colpisce direttamen-te il passante; nel fulmine che colpisce un albero (la res in cu-stodia) il quale si abbatte a sua volta sul passante; nella folata divento che stronca parte di un albero a sua volta caduto sul pas-sante. L’A. ritiene, altresì, che nel caso del fortuito concorrentecostituito dal fatto naturale, l’apporto causale di quest’ultimo de-ve ritenersi irrilevante ai fini della responsabilità poiché il custo-de non otterrebbe alcuna riduzione del risarcimento.

(23) Sempre che il relativo onere probatorio venga soddisfattodal custode. Sul punto per brevità si rinvia a: Cass. 22 marzo2011, n. 6550, con commento di Laghezza, Condotta abnormedel danneggiato e responsabilità da custodia, in questa Rivista,2011, 1183.

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È, in sostanza, il percorso logico seguito dalle sen-tenze in rassegna: Cass. n. 15720/2011 vagliando latenuta della prova sul caso fortuito costituito dal-l’evento naturale (una frana), ha incentrato il pro-prio giudizio sull’accertamento del requisito del-l’imprevedibilità dell’evento, valutando che essonon può dirsi configurato nell’ipotesi in cui risultiaccertato che, negli anni precedenti, il tratto distrada era stato oggetto del verificarsi di fenomenianaloghi, che l’ANAS aveva predisposto opere perfar fronte al problema e che, nella zona intermediadi spettanza delle Ferrovie, erano già state predispo-ste specifiche opere dirette a scongiurare il rischiodi tali episodi. Il giudizio appare dunque totalmenterivolto all’individuazione di una regolarità nellaconcatenazione causale che ha condotto al verifi-carsi dell’evento. E il medesimo iter logico segueanche Cass. n. 11430/2011, secondo la quale nonpuò confondersi un evento normale e largamenteprevedibile come la pioggia che, cadendo, ha alla-gato la buca sul marciapiede rendendola ancora piùinsidiosa, con un causa di interruzione del nessocausale. La pioggia non interrompe la regolare con-catenazione causale fra la presenza della buca e ilverificarsi della caduta né, men che meno, la con-dotta del viandante che non si avvede della presen-za della buca ricoperta di acqua, può essere conside-rata abnorme. In entrambi i casi, comunque, nonsembra potersi rilevare alcuna difficoltà di giudizio,né alcuna incertezza nella parte motiva; solo il net-to e convinto abbandono di qualsivoglia considera-zione legata al presunto aspetto soggettivo della fat-tispecie.

Una contraddizione di fondonelle conclusioni della tesi colpevolista

Che l’adozione del meccanismo della presunzione dicolpa o comunque di un criterio soggettivo di impu-tazione della responsabilità risulti idonea a garanti-re, da sola, la più efficiente allocazione delle risorseprecauzionali in senso bilaterale è affermazione,dunque, che non convince in relazione alla fattispe-cie che qui occupa. Alla possibilità di ribaltare, sic etsimpliciter, le soluzioni altrove correttamente rag-giunte dall’analisi economica del diritto, osta la par-ticolare struttura della fattispecie di cui all’art. 2051c.c., caratterizzata dal centrale riferimento ad unares, piuttosto che ad una condotta o una specifica at-tività umana (24).Né l’insufficienza di una mera comparazione dei ri-spettivi gradi di colpa può essere aggirata semplice-mente proponendo il correttivo costituito dal ne-

cessario incrocio di tale dato, con una valutazionesotto il profilo causale di quanto la condotta colpe-vole del danneggiato abbia infine inciso sulla dina-mica di produzione del danno (25). La necessità diritornare ad un modello ibrido e complesso di giudi-zio, analogo a quello previsto dal modello di compa-rative negligence e caratterizzato, quindi, da unacommistione fra la valutazione del deficit precau-zionale, con una valutazione di quanto tale devia-zione abbia inciso sotto il profilo causale nel verifi-carsi dell’evento, finirebbe per provare troppo; fini-rebbe, cioè, per dimostrare l’impossibilità, nel giu-dizio ex art. 2051 c.c., di prescindere proprio daquella valutazione comparativa sul piano causale,che è al centro di un criterio oggettivo di imputa-zione della responsabilità. La tesi neocolpevolistica,finirebbe, in conclusione, per ribadire proprio quelruolo centrale della causalità che, in ragione di unapresunta supremazia della colpa, in premessa mira-va ad abbattere.Resta allora solo una domanda. Forse la tentata in-troduzione surrettizia dell’elemento (assente nellalettera della norma) costituito dalla colpa del custo-de, trova la sua ragione d’essere in un’atavica (quan-to immotivata) diffidenza nei confronti di un giudi-zio incentrato sul tema della causalità? (26).

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Note:

(24) È la medesima peculiarità che consente anche di lasciaresullo sfondo il dibattito sulla distinzione o sulla possibile sovrap-posizione fra causalità materiale e causalità giuridica. Se in senoall’art. 2043 c.c. l’indagine sulla colpa può sovrapporsi a quellasul nesso causale, nel senso che se non vi è colpa non vi è re-sponsabilità e può apparire, quindi, corretto collocare in un unicocontesto l’analisi sulla colpevolezza e quelle sulla causalità giuri-dica, al contrario, nel contesto dell’art. 2051 c.c., tale sovrappo-sizione non può aver luogo e, una volta risolto il dubbio sulla cau-salità materiale che stringe il bene all’evento prodotto, nei ter-mini innanzi considerati, il problema della causalità giuridica si li-mita all’individuazione del collegamento fra tale evento naturali-sticamente inteso ed il danno risarcibile.

(25) Così ancora Izzo, op ult. cit., (parte seconda), in questa Rivi-sta, 2011, 781.

(26) Se in seno all’art. 2043 c.c. l’indagine sulla colpa può so-vrapporsi a quella sul nesso causale, nel senso che se non vi ècolpa non vi è responsabilità e può apparire, quindi, corretto col-locare in un unico contesto l’analisi sulla colpevolezza e quellesulla causalità giuridica, al contrario, nel contesto dell’art. 2051c.c., tale sovrapposizione non può aver luogo. La norma si riferi-sce espressamente al danno cagionato “dalla cosa” e, perciò ildubbio sulla causalità materiale si incentra sul legame che strin-ge il bene all’evento verificatosi, il problema della causalità giuri-dica si limita all’individuazione del collegamento fra tale eventonaturalisticamente inteso ed il danno risarcibile. Nonostante ciòl’esame della fattispecie su questo piano sembra spesso esseredifficilmente gradita al punto da rigettare come alchimia verbaleanche la distinzione fra fortuito autonomo, fortuito incidente efortuito concorrente su cui v. invece nel dettaglio Franzoni, L’ille-cito, cit., 429.

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Se è vero che nel diritto, come nella fisica dei flui-di avviene secondo il principio dei vasi comuni-canti, che il concetto impossibilitato a fluire nelladirezione che gli viene preclusa, fluisce necessaria-mente nell’unica altra direzione che gli viene con-cessa, fino a raggiungere comunque il medesimorisultato finale (27), non può forse concludersiche la pregiudiziale ostilità verso un criterio di im-putazione oggettivo della responsabilità, vale adindicare il giudizio incentrato sulla colpa comel’unica via possibile, salvo poi a correggere tutta-

via lo stesso con sovrapposta valutazione ulterioresul piano causale? Rimbalzarsi, in un gioco infini-to, rimbrotti di fraseggi sapientemente camuffati èesercizio sterile, almeno quanto fuorviante è con-siderare come affrettato il cambio di passo dellagiurisprudenza verso un approccio oggettivo allafattispecie, che si è fatto attendere, invero, più dimezzo secolo.

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GiurisprudenzaResponsabilità civile

Nota:

(27) Così con un’efficace figura: Izzo, op. cit., 782.

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Svolgimento del processo... Omissis...

Motivi della decisioneVa preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsicisensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti contro la me-desima sentenza, e dichiarata l’ammissibilità del primo el’inammissibilità del secondo, per le seguenti rispettiveconsiderazioni:1) a seguito della sentenza delle S.U. n. 10817/08, cuiquesto collegio si conformala prima notificazione, esegui-ta presso il difensore di primo grado, della curatela, chetuttavia era poi rimasta contumace in appello, va consi-derata soltanto nulla, e non inesistente, con conseguenteeffetto conservativo dell’impugnazione e possibilità di di-sporre la rinnovazione ex art. 291 c.p.c., oltre all’integra-zione ex art. 331 c.p.c. del contraddittorio (v. Cass. n.17828/02) nei confronti dell’altra parte B.F., adempi-menti ai quali la parte ricorrente ha ottemperato nei ter-mini, come non risulta controverso;2) la notificazione, sia pure in forma invalida, della primaimpugnazione, determinando la legale conoscenza dellasentenza impugnata da parte del ricorrente alla data del16 ottobre 2003, aveva comportato la decorrenza dallastessa del termine breve ex art. 325 c.p.c. nei confrontidello stesso impugnante, con conseguente tardività dellaproposizione del secondo ricorso, notificato il 2 e 3 mar-zo 2004 (v. tra le altre, Cass. nn. 22957/10, 9265/10,9058/10, 5053/09, 15297/07).

Ancora in via preliminare deve dichiararsi l’inammissibi-lità della costituzione di B.G., che, in quanto dichiaratofallito nelle more del processo, aveva perso la capacità distare in giudizio, dovendo essere rappresentato in tutti irapporti patrimoniali, dal curatore del fallimento ai sensidella L. Fall., art. 43.L’unico contraddittore del ricorrente, validamente costi-tuito con il controricorso in atti, resta dunque B.F.Passando all’esame del ricorso, deve tuttavia rilevarsenel’infondatezza.Con il primo motivo vengono dedotte violazione e falsaapplicazione degli artt. 2229, 22230 e 2236 c.c., con con-nessi vizi della motivazione, lamentandosi che la corte dimerito avrebbe, sulla base di ragioni difettanti di coeren-za logica e tra loro incompatibili, interpretando “in ma-niera involuta e fuorviante” le risultanze probatorie, erro-neamente ritenuto la sussistenza dell’incarico conferitoall’avvocato Ch. di appellare la sentenza di primo grado,pur dando atto che i clienti avevano contemporanea-mente incaricato un altro legale, l’avv. Co., di tutelarestragiudizialmente le loro ragioni in relazione alla mede-sima vertenza. Tale costruzione, definita una vera e pro-pria escamotage per pervenire all’accoglimento della do-manda, si porrebbe in contrasto con la “usuale interpre-tazione del contratto di clientela” e con principi regolan-ti lo stesso, in particolare con l’obbligo dei mandanti diagire in buona fede, con l’incompatibilità tra i due con-temporanei incarichi e con la natura di obbligazione dimezzi e non di risultato della prestazione in questione.

Mancato o negligente adempimento del mandato difensivo

Mancata proposizionedell’appello e responsabilitàdel professionista forense

CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 13 maggio 2011, n. 10686 - Pres. ed Est. Piccialli - P.M. Apice - C.G.c. B.F.

Sussiste la responsabilità professionale dell’avvocato che ricevuto incarico di impugnare una sentenza non

proponga appello, confidando incautamente sul perfezionamento di un accordo transattivo.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per mancata proposizione dell’impugnazione v.,tra le altre: Cass. 20 novembre 2009, n. 24544; Cass. 27 marzo 2006, n. 6967; Cass. 26 febbraio 2002,n. 2836.

Difforme Sulla qualificazione del nesso di causalità in termini probabilistici e non già di ragionevole certezza v.,tra le altre: Cass. 6 febbraio 1998, n. 1286.

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Le censure sono prive di fondamento, poiché, senza evi-denziare alcuna illogicità o contraddittorietà dell’appara-to argomentativo della decisione, facente leva essenzial-mente sul contenuto di missive a firma dello stesso con-venuto, dalle quali è stato desunto come il medesimo nonsolo fosse a conoscenza dell’incarico, diverso e par al lelo, conferito all’altro, ma avesse anche continuato a se-guire lo svolgimento della trattativa (il che non sarebbestato spiegabile in caso di avvenuta dispensa dall’incaricodefensionale), non solo rimettono in discussione l’inter-pretazione di risultanze processuali, spettante al giudicedi merito, ma richiamano anche principi o irrilevanti nelcaso di specie (quello secondo cui il mandato professio-nale da luogo ad obbligazione di mezzi), o non violati(laddove viene invocato quello della buona fede, nellaspecie dai clienti osservato con l’avvenuta comunicazio-ne all’originario e principale difensore di aver incaricatodelle trattative anche un altro legale) o, addirittura, in-sussistenti, laddove si sostiene l’incompatibilità, non pre-vista da alcuna disposizione di legge, tra due incarichicontemporanei, peraltro caratterizzati da diverse finalità,l’una (di proporre l’impugnazione in tempo utile) nonescludente l’altra (di esperire una trattativa di componi-mento della vertenza), ma necessitanti soltanto di ade-guato coordinamento. Ed è proprio sotto quest’ultimoaspetto che il comportamento professionale, ascritto al-l’odierno ricorrente è stato, motivatamente ritenuto ne-gligente e produttivo di danno.Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa appli-cazione dell’art. 2237 c.c., comma 1, artt. 1727 e 1176c.c., con connesse insufficienza e contraddittorietà dimotivazione che viene censurata per aver ritenuto sussi-stente lo specifico mandato ad appellare la sentenza delTribunale di Rovereto, pur non essendo risultato conferi-to siffatto incarico, tale non potendosi considerare quel-lo generico conferito con la comparsa di risposta nel giu-dizio di primo grado, né potendosi ravvisare un compor-tamento omissivo del professionista, tenuto conto del“contestuale conferimento dello stesso all’avv. Co.” cheavrebbe comportato, nell’esercizio del diritto di recesso dicui all’art. 1724 c.c., la revoca di quello precedente, comesarebbe stato provato “esplicitamente dagli atti di causa”,in particolare dall’interrogatorio formale di B. F.Il mezzo d’impugnazione è anzitutto screditato dalla suaintrinseca contraddittorietà, poiché da una parte nega ilconferimento dell’incarico ad appellare la sentenza sfavo-revole, al riguardo sminuendo la portata omnicomprensi-va dell’originario mandatele dall’altro deduce che lo stes-so sarebbe stato revocato. Ma a tal riguardo non eviden-zia alcuna violazione di legge, né carenze o illogicità te-stuali della sentenza impugnata, risolvendosi nell’esposi-zione di alcuni astratti principi giurisprudenziali, che, peressere calati nella fattispecie concreta, avrebbero richie-sto la prova dell’avvenuto esercizio del diritto di recessodall’incarico professionale. Tale prova la corte di merito,come si è visto esaminando il precedente motivo, non so-lo ha ritenuto non fornita (onere al quale, in quanto atti-nente a fatto estintivo dell’obbligazione, avrebbe dovutoil convenuto ottemperare ex art. 2697 c.c., comma 2), ma

ha addirittura ritenuto radicalmente esclusa da quellacontraria della persistenza del compito de qua, distinto daquello di esperire trattative di componimento e con essonon incompatibile (donde l’infondatezza della tesi di unaimplicita revoca), con adeguato ragionamento basatosulla valutazione, incensurabile in questa sede, delle ri-sultanze documentali. Per il resto il motivo si risolve inuna inammissibile proposta di rilettura delle acquisizioniprobatorie, sulla base di in una inammissibile proposta dirilettura delle acquisizioni probatorie, sulla base di unila-terale esposizione delle fasi della vicenda, peraltro anchecarente di autosufficienza, laddove richiama, del tutto ge-nericamente, “gli atti di causa” e il contenuto, non speci-ficamente riportato, dell’interrogatorio reso dal B.Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applica-zione degli artt. 1176 e 1223 c.c., art. 116 c.p.c., nonchéomessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sot-to un primo profilo si lamenta che a corte di meritoavrebbe, erroneamente valutando e travisando le risul-tanze delle “prove testimoniali e dei documenti in atti”,ritenuto che “l’avv. Ch. nell’ambito del suo mandato pro-fessionale riteneva necessaria l’impugnativa della senten-za a meno che non fosse stata raggiunta la transazione”,senza tener conto che “in realtà, nonostante le la diversaaffermazione del B. e dell’avv. Co. la transazione de quonon risultava in alcun modo conclusa in quanto le sorel-le B. si erano ben guardate dal sottoscriverla e consegnar-la fiduciariamente al loro legale in attesa della firma deglialtri soggetti, prassi che è del tutto normale”, e che nes-suno aveva informato l’avv. Ch. che la sua rinuncia allasolidarietà professionale era conditio sine qua non del-l’accettazione della transazione”. Non essendo quest’ulti-mo il dominus della vertenza, non avrebbe potuto al me-desimo imputarsi di non averne seguito personalmente itempi di definizione stragiudiziale. Anche tali censure,non diversamente da quelle in precedenza esaminateci ri-solvono nell’inammissibile tentativo di accreditare unavalutazione delle risultanze probatorie diversa da quellafornita, con solidi riscontri documentali, dalla corte dimerito che, per quanto attiene alla perfetta consapevo-lezza della necessità di proporre l’impugnazione, secondoil mandato ricevuto e non revocatola fatto espresso riferi-mento ad una missiva dell’odierno ricorrente, datata 20febbraio 1995 e diretta all’avv. Co., nella quale lo scri-vente espressamente preannunciava al collega che, senon si fosse trovata una soluzione transattiva della con-troversia, egli avrebbe proposto appello.Inammissibili per genericità, dunque, si evidenziano ledoglianze di “travisamento”, non meglio esplicitate, conriferimento a “prove testimoniali”, che non risultano es-sere state assunte nel giudizio in questione (istruito solocon acquisizione di documenti ed interrogatori formalidella parti) e palesemente difettanti di autosufficienza, inrelazione a quelle “documentali”, ancor prima che infon-date, al la stregua della puntuale ed incensurabile valuta-zione delle stesse compiuta dai giudici di secondo grado.Quanto al richiamo al contenuto della bozza di transazio-ne, nella parte prevedente che l’avv. Co., e non l’avv.Ch., avrebbe dovuto proporre un ricorso alla Commissio-

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ne Tributaria, lo stesso è palesemente inidoneo a dimo-strare la tesi della revoca del mandato professionale al-l’odierno ricorrente, tenuto conto che trattavasi di pat-tuizione inserita in quell’atto di definizione stragiudizialedella controversia, per cui era stato conferito l’incaricoall’altro legale e del quale il ricorso alla giustizia tributa-ria avrebbe rappresentato soltanto uno sviluppo ulterio-re.Irrilevante è, poi, la circostanza che la transazione nonfosse stata conclusa, per la mancata sottoscrizione dellarelativa bozza da parte delle sorelle B., in un contesto nelquale tale mancata sottoscrizione è stata ritenuta, sullascorta dello stesso interrogatorio reso dal convenuto (cheaveva riferito di aver appreso, da uno dei due clienti, chel’accordo era stato raggi unto, tanto da ritenerlo ancheformalizzato) dovuta non all’assoluta intransigenza dellemedesime, ma semplicemente all’insperata posizione diforza nella quale le medesime si erano venute a trovare,in conseguenza della mancata proposizione dell’appello,che consolidando gli effetti per loro favorevoli della sen-tenza di primo grado ormai non più esposta al rischio diriforma, rendeva ormai inutile e svantaggiosa la stipula-zione di quell’accordo, sebbene si fosse pervenuti ad unpasso dal perfezionamento dello stesso attendendosi sol-tanto la rinunzia al vincolo di solidarietà da parte del le-gale delle controparti.Sulla scorta di tale ragionevole ricostruzione della vicen-da, che la corte trentina ha operato in base a risultanzedocumentali e dichiarazioni provenienti dallo stessoodierno ricorrente (la lettera in data 20 febbraio 1995, dicui si è già riferito, quella successiva del 23 marzo 1995,con la quale l’avv. Ch. chiedeva ragguagli sullo stato del-le trattative, l’ultima, del 25 luglio 1995 nella quale, rite-nendo già stipulata la transazione, rimette va in extremis,senza aver proposto gravame, la propria rinunzia al vin-colo di cui all’art. 68 della legge professionale forense, in-terrogatorio formale), del tutto sterili si palesano gli ulte-riori profili di censura contenuti nel mezzo d’impugnazio-ne, con i quali si critica l’apparato argomentativo dellasentenza impugnata in punto di sussistenza della colpaprofessionale, del danno e relativa entità e del rapportocausale.Sotto il primo profilo, ineccepibile deve ritenersi la cen-sura, espressa dai giudici di merito, del comportamentodell’avvocato, che facendo affidamento su mere informa-zioni atecniche rese dal proprio cliente, aveva ritenuto,con estrema superficialità e dunque con colpa grave,“concluso l’accordo”, senza accertarsi se lo stesso, impli-cante la disposizione di diritti patrimoniali anche immo-biliari, si fosse perfezionato nella dovuta forma scritta,con la sottoscrizione da parte di tutti gli interessati, cosìvenendo meno al compito primario ed essenziale, conno-tante il rapporto professionale forense, di mettere a di-sposizione del cliente la propria esperienza e le proprieconoscenze tecniche, valutarne, alla stregua delle stesse-vi relativo operato e trarne le necessarie conseguenze sulpiano delle ulteriori eventuali attività da compiere, a tu-tela dell’interesse dell’assistito. Quanto al rapporto dicausalità, altrettanto corretto sotto il profilo logico ed in-

censurabile, perché basato su ragionevole valutazione dimerito, va considerato il giudizio espresso dalla cortetrentina, secondo cui, in quell’accertato contesto diavanzatissimo stato delle trattative, non ancora perfezio-nate dalla sottoscrizione della transazione soltanto per-ché occorreva la rinunzia dell’avv. Ch. al vincolo di soli-darietà, unico motivo per il quale, pur dopo l’invio di ta-le rinunzia, la sottoscrizione non vi era stata, non avreb-be potuto che ravvisarsi nella sopraggiunta scadenza deltermine per impugnare la sentenza di primo grado.Altrettanto correttamente motivate ed incensurabili, in-fine, si palesano le considerazioni conclusive sulla sussi-stenza e l’entità del danno, in concreto determinata conriferimento non all’esito del non instaurato giudizio diappello, di tal che inconferenti risultano i richiami aiprincipi giurisprudenziali in materia di perdita di chance,bensì all’acquisita ragionevole certezza che la transazio-ne, negli accertati e favorevoli termini emendativi delladecisione di primo grado, sarebbe stata conclusa, se l’av-vocato Ch. non fosse incorso nella negligenza professio-nale ascrittagli; sicché altrettanto incensurabile risulta ladeterminazione del danno, in termini di lucro cessante,pari alla differenza tra le attribuzioni patrimoniali che sa-rebbero state conseguite con la stessa e quelle, meno van-taggiose, di cui alla sentenza di primo grado. Il ricorso va,conclusivamente, respinto.Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidategli fa-vore del solo B.F., unico intimato validamente costituito,come da dispositivo.… Omissis …

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IL COMMENTOdi Laura Bugatti (*)

La sentenza in epigrafe, affrontando un emblematico caso di responsabilità del professionista forense, offrel’occasione per analizzare alcuni sviluppi giurisprudenziali in tale settore; nonostante il permanere della qua-lificazione della prestazione dell’avvocato in termini di obbligazioni di mezzi e le conseguenti regole di distri-buzione dell’onere probatorio, forte è l’esigenza di garantire una tutela sempre più incisiva al cliente dan-neggiato. In particolare, il commento si focalizza sulle linee evolutive in tema di accertamento del nesso dicausalità e di qualificazione del danno.

Il caso

Un professionista forense riceveva mandato da duefratelli per occuparsi di una causa avente ad oggettolo scioglimento di una comunione ereditaria. Il pro-cedimento di primo grado si concludeva con senten-za sfavorevole alle ragioni dei propri assistiti. Questiultimi, senza revocare l’incarico al loro legale, deci-devano di conferire mandato ad un secondo avvoca-to, affinché questi si occupasse esclusivamente delletrattative intavolate con le sorelle, controparte nel-la causa di merito, per il raggiungimento di un ac-cordo stragiudiziale. Nelle more dei termini per pro-porre appello il primo avvocato si disinteressavacompletamente delle trattative, seppure solo il per-fezionamento dell’accordo stragiudiziale avrebbepotuto evitare la proposizione del gravame, ed omet-teva sino all’ultimo momento di rinunziare al vinco-lo di solidarietà di cui alla legge professionale, cheperaltro costituiva una condizione essenziale dellatransazione. Inoltre, il professionista lasciava scade-re il termine per proporre gravame, pregiudicandodefinitamente e irrimediabilmente le ragioni deipropri assistiti: le sorelle, forti di una sentenza passa-ta in giudicato più vantaggiosa rispetto all’accordotransattivo, decidevano di non perfezionare la tran-sazione. I clienti convenivano, dunque, in giudiziol’avvocato per sentirlo condannare al risarcimentodei danni subiti a causa del mancato o negligenteadempimento del mandato difensivo, ma i giudici diprimo grado non accoglievano la domanda risarcito-ria, ritenendo insussistente una responsabilità a cari-co del professionista e conseguentemente condan-navano gli attori al pagamento delle spese proces-suali. Il dictum del Tribunale di Rovereto veniva ri-baltato dalla Corte d’Appello, con una pronunciasuccessivamente confermata in sede di legittimità.In particolare, i giudici di secondo grado ravvisava-no la sussistenza della responsabilità ascritta al lega-le, ritenendo documentalmente provato, tramitedue lettere sottoscritte dal legale, che questi avevaricevuto mandato ad impugnare la sentenza di pri-

mo grado, che tale incarico era compatibile conquello successivamente conferito ad altro avvocato,che la negligenza del professionista era ravvisabilenell’omesso interessamento alle trattative (nono-stante la necessità di depositare l’atto d’appello di-pendesse direttamente dalla mancata conclusionedell’accordo stragiudiziale) e nella mancata proposi-zione del gravame, con conseguente definitivo pre-giudizio per gli assistiti.I giudici di legittimità, ritenendo il ricorso infonda-to, confermano la statuizione di secondo grado.

La responsabilità dell’avvocatotra obbligazioni di mezzi e obbligazionidi risultato

La responsabilità dell’avvocato nei confronti delproprio assistito ha indubbia natura contrattuale(1). In dottrina si rinvengono, peraltro, opinionidifformi circa la natura giuridica di tale contratto:secondo una tesi minoritaria esso deve essere confi-gurato quale contratto di mandato, così come disci-plinato dagli artt. 1712 e 1713 c.c., mentre per la te-si prevalente è classificabile in termini di contrattod’opera professionale o intellettuale, ex artt. 2229 ss.c.c. (2). Ciò che, invece, è ribadito costantementedalla giurisprudenza, salvo casi eccezionali, è che

Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(1) In merito alla responsabilità del professionista forense in ge-nerale, cfr. G. Musolino, Contratto d’opera professionale, inCommentario Schlesinger, continuato da F. D. Busnelli, Milano,2009, 407 ss.; L. Nocco, La responsabilità civile dell’avvocato, inquesta Rivista, 2009, 302 ss.; G. Facci, La responsabilità civiledel professionista, Padova, 2006, 763 ss.; R. Favale, La respon-sabilità civile del professionista forense, Padova, 2011.

(2) Sul punto v. R. Favale, La responsabilità civile del professioni-sta forense, cit., 18 ss.; A. Berlinguer, La professione forense inItalia, in La professione forense. Modelli a confronto, Milano,2008, 3; F. Cafaggi, Responsabilità del professionista, in Dig.disc. priv. sez. civ., XVII, Torino, 1998, 162; F. Santoro Passarelli,Professioni intellettuali, in Noviss. Digesto, XIV, Torino, 1968, 24.

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l’obbligazione del professionista forense deve essereinquadrata nelle c.d. obbligazioni di mezzi (3): al-l’avvocato, quantomeno nella maggior parte dei ca-si, è richiesto di svolgere la sua attività con diligen-za, prudenza e osservanza della lex artis, indipenden-temente dall’effettivo raggiungimento del risultatoutile perseguito dal cliente. La qualificazione dellaprestazione professionale dell’avvocato come obbli-gazione di mezzi comporta significativi riflessi sul re-gime di ripartizione dell’onere probatorio nelle ipo-tesi di inadempimento professionale: il cliente, oltrea provare l’esistenza dell’obbligazione, deve altresìdimostrare la negligenza del professionista, il dannosubito, nonché il nesso causale tra il primo e il se-condo, similmente a quanto accade in casi di re-sponsabilità aquiliana, ai sensi dell’art. 2697 c.c.; perconverso il professionista può avvalersi della provaliberatoria consistente nel dimostrare che l’imper-fetta esecuzione della prestazione è dovuta a causa alui non imputabile.Nondimeno, il confine tra obbligazioni di mezzi eobbligazioni di risultato è sempre stato molto labile,fortemente criticato in dottrina, e negli ultimi tren-t’anni si è assistito ad un profondo mutamento delrapporto tra prestazione intellettuale e responsabili-tà (4). Con particolare riferimento al settore dellaresponsabilità medica, la Corte di cassazione è giun-ta, da ultimo, ad una definitiva capitolazione delladicotomia obbligazioni di mezzo e obbligazioni di ri-sultato, non riconoscendone più il fondamento dog-matico (5), con decisivo conclamato spostamentodegli oneri probatori in capo al professionista-con-venuto (6). Con riferimento alla responsabilità delprofessionista forense, peraltro, allo stato, non si rin-viene in giurisprudenza alcuna pronuncia cheespressamente recepisce il radicale principio oraenunciato. L’obbligazione del professionista forensein generale continua ad essere qualificata come ob-bligazione di mezzi, seppur iniziano ad affacciarsi nelpanorama giurisprudenziale particolari prestazionidell’avvocato nei cui riguardi viene ravvisata un’ob-bligazione di risultato (7). Non si ritiene arduo ipo-tizzare che le sorti del sistema di responsabilità pro-fessionale dell’avvocato seguiranno a breve l’evolu-zione registratasi nel campo nella responsabilità me-dica (8), con un superamento definitivo della bipar-

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GiurisprudenzaResponsabilità professionale

Note:

(3) Tra le più recenti pronunce di legittimità, v. Cass. 18 aprile2011, n. 8863, in Fisco on line, 2011; Cass. 14 dicembre 2010,n. 25234, in Foro it., Rep. 2010; tra le sentenze di merito cfr. Trib.Roma 20 settembre 2011, n. 18085, inedita, 2011; Trib. Mode-na, 21 febbraio 2011, n. 242, in Giurisprudenza locale - Modena,2011.

(4) La giurisprudenza ha iniziato ad individuare particolari presta-zioni professionali nei cui riguardi si potesse pacificamente rav-visare un’obbligazione di risultato. In particolare, in campo me-dico, inizialmente si sono ravvisate obbligazioni di risultato in ri-ferimento agli interventi considerati di “facile esecuzione”. Explurimis, Cass. 13 aprile 2007, n. 8826, in Resp. civ. e prev.,2007, 1824, con nota di Gorgoni, Le conseguenze di un inter-vento chirurgico rivelatosi inutile; Cass. 21 giugno 2004, n.11488, in Corr. giur., 2005, 33 ss., con nota di A. Di Majo, Mezzie risultato nelle prestazioni mediche: una storia infinita; Cass. 28maggio 2004, n. 10297, in questa Rivista, 2005, 27, con nota diR. De Matteis, La responsabilità medica ad una svolta. Sono sta-te inoltre inquadrate in obbligazioni di risultato gli interventi este-tici migliorativi e privi di finalità terapeutica compiuti dal chirurgoestetico, piuttosto che l’attività compiuta dall’odontoiatra peristallazione di un manufatto protesico (in dottrina sul tema: D.Betti e P. Cortivo, Natura dell’obbligazione nel contratto di pre-stazione d’opera professionale in odontoiatria; precisazione deldanno risarcibile, in Riv. it. med. leg., 1996, II, 1232 ss.; in giuri-sprudenza, ex multis, Pret. Modena 9 luglio 1993, in Riv. it.med. leg., 1994, 1111). Più in generale sul tema: P. Stanzione, S.Sica, Professioni e responsabilità civile, Bologna, 2006, 1125 ss.In dottrina, nel senso dell’inadeguatezza della distinzione tra ob-bligazioni di mezzo e di risultato, peraltro non immanente al si-stema normativo, ma di creazione giurisprudenziale, v.: L. Men-goni, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir.comm., 1954, 185 ss., 280 ss., 366 ss.; U. Breccia, Le obbliga-zioni, in Trattato di Diritto privato a cura di Iudica-Zatti, Milano,1991, 238 ss. e 462 ss.; M. Franzoni, Le obbligazioni di mezzi edi risultato, in Le Obbligazioni, a cura di M. Franzoni, L’obbliga-zione in generale art. 1173-1320 c.c., I, Torino, 2004, 1339-1347;C. M. Bianca, Inadempimento delle obbligazioni, in Comm. delcod. civ. Scialoja e Branca, sub art. 1218-1219, Bologna-Roma,1993, 30 ss.; U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, Ilcomportamento del debitore, in Trattato di diritto civile e com-merciale, diretto da Cicu, Messineo, Mengoni, Milano, 1984,vol. II, 53 ss.

(5) Cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Resp. civ. eprev., 2008, 856, con nota di M. Gorgoni, Dalla matrice contrat-tuale della responsabilità nosocomiale e professionale al supe-ramento delle distanze tra obbligazioni di mezzo e di risultato.

(6) Nel settore della responsabilità medica la giurisprudenza,con riferimento al tema dell’onere probatorio, ha enfatizzato ilc.d. “principio di vicinanza della prova”, inteso come apprezza-mento della effettiva possibilità, per l’una o per l’altra parte difornirla. Così, Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, inGiust. civ., 2002, I, 1934; Cass. 21 giugno 2004, n. 11488, inGiust. civ., 2005, 9, I, 2115, con nota di E. Giacobbe, Brevi os-servazioni sul danno da nascita indesiderata, ovvero un bambinomalformato non ha diritto di nascere.

(7) Si pensi, a titolo esemplificativo, al caso di colposo mancatorilievo di una prescrizione (cfr. Cass. 14 novembre 2002, n.16023, in questa Rivista, 2003, 252, con nota di A. Fabrizio-Sal-vatore, L’avvocato e la responsabilità da parere), di decadenzadalle prove (cfr. Cass. 8 maggio 1993, n. 5325, in Foro it., 1994,I, 3188), di omissione della richiesta delle prove testimoniali (cfr.Cass. 6 febbraio 1998, n. 1286, in questa Rivista, 1999, 441, connota di A. Fabrizio-Salvatore, La colpa professionale dell’avvoca-to: in crisi la distinzione fra obbligazione di mezzi e di risultato),di omesso deposito di atti difensivi (cfr. Trib. Roma, 11 ottobre1995, in questa Rivista, 1996, 644; Cass. 13 dicembre 1969, n.3958, in Giust. civ., 1970, I, 404), e così via. In tale fenomeno al-cuni autori hanno intravisto una «progressiva erosione del tradi-zionale principio secondo il quale l’obbligazione dell’avvocato èuna obbligazione di mezzi e non di risultato», così A. Mazzuc-chelli, L’avvocato, in F. Martini, A. Mazzucchelli, M. Rodolfi, E.Vivori, La responsabilità civile del professionista, Torino, 2007,209.

(8) In tal senso v. L. Nocco, La responsabilità civile dell’avvoca-to, in questa Rivista, 2009, 302.

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tizione obbligazione di mezzi e obbligazioni di risul-tato e con la conseguente estensione anche al clien-te dell’avvocato dei principi probatori elaborati perla responsabilità sanitaria. Sono presenti infatti esi-genze comuni che legano indissolubilmente i duesettori: la necessità di introdurre un approccio mol-to più rigido nei confronti del professionista, scardi-nando i meccanismi sostanziali e procedurali che glihanno per lungo tempo garantito una dimensione disostanziale irresponsabilità e al contempo tutelare inmaniera più stringente il paziente-cliente, stante lasituazione di debolezza ed ignoranza di quest’ultimo.Allo stato attuale tuttavia l’onere della prova, nellamaggioranza dei casi, costituisce ancora un ostacoloinsormontabile per il cliente. La giurisprudenza hadunque tentato di apprestare una miglior tutela aldanneggiato, intervenendo in materia di accerta-mento del nesso di causalità e di qualificazione deldanno (9). Nondimeno, si riscontrano ancora nu-merose incertezze applicative, emblema di un siste-ma in netta evoluzione.

Nesso causale (evoluzione ed incertezze) e danno

Il cliente che ritiene di essere stato danneggiato dalcomportamento negligente dell’avvocato ha l’one-re, dunque, di provare oltre l’inadempimento delprofessionista forense e il danno subito, anche ilnesso eziologico tra comportamento negligente econseguenze pregiudizievoli. L’accertamento nel ca-so concreto della sussistenza del nesso di causalitàtra la condotta posta in essere dall’avvocato e il dan-no subito dal cliente, costituisce momento essenzia-le della risarcibilità del danno. Nonostante i note-voli sviluppi giurisprudenziali in tema di nesso dicausalità, orientati dalla necessità di tutelare in ma-niera più adeguata la posizione del cliente, esso ri-mane ancora un punctum dolens della responsabilitàdell’avvocato (10). Originariamente, la limitazionedel risarcimento ai danni immediati e diretti, ex art.1223 c.c., rigidamente applicata alle fattispecie diresponsabilità forense ha condotto ad una situazionedi quasi-irresponsabilità (rectius immunità) degli av-vocati. Si riteneva che, essendo la sentenza influen-zata da innumerevoli fattori variabili ed imprevedi-bili, era impossibile per il danneggiato dimostrareche un diligente comportamento del professionistaavrebbe condotto ad un esito favorevole della lite(11). Conseguentemente, in ossequio al principiodell’“habent sua siderea lites” e stante l’impossibilitàdi provare che una diversa condotta professionaleavrebbe scongiurato il verificarsi dell’evento danno-

so, anche in presenza di una provata responsabilitàdel professionista legale, veniva negata al cliente lapossibilità di ottenere il risarcimento del danno, ov-vero quest’ultimo veniva concesso limitatamente al-le spese processuali, unico pregiudizio immediato ediretto dell’inadempimento professionale (12). Suc-cessivamente la giurisprudenza ha tentato di mitiga-re il rigore di tale posizione e superare il limite costi-tuito dalla res iudicata, introducendo la possibilitàper il cliente di avvalersi di una ricostruzione ipote-tica dell’andamento della vicenda processuale, basa-ta sul parametro della “certezza morale” (13). È in-dubbio che anche in tal modo veniva comunque po-sta in capo al cliente una probatio diabolica: ai finidella risarcibilità del danno, egli era chiamato, in-fatti, a dimostrare in concreto e con certezza assolu-ta che la diligente condotta del professionista avreb-be comportato l’esito favorevole della vicenda pro-cessuale. La posizione del danneggiato non ha trattoparticolar giovamento neppure dall’introduzione delcriterio della “ragionevole certezza” (14): nonostan-te l’innegabile temperamento della posizione proba-toria, l’accertamento eziologico rimaneva tuttaviaparticolarmente stringente. Da ultimo la Corte dicassazione si è orientata nel senso di consentire lavalutazione del nesso di causalità non in termini dicertezza, ma di mera probabilità (15), estendendol’area del danno risarcibile alle ipotesi in cui vi è la

Note:

(9) Cfr. R. Favale, La responsabilità civile del professionista fo-rense, cit., 182 ss.

(10) Così D. Covucci, La responsabilità professionale dell’avvo-cato: l’evoluzione continua, in questa Rivista, 2011, 742.

(11) Cfr. sul punto P. Calamandrei, Limiti di responsabilità del le-gale negligente, in Riv. dir. proc. civ., 1931, 260.

(12) Cfr. Cass. Regno, 10 febbraio 1931, n. 495, in Riv. dir. proc.civ., 1931, 260, con nota di P. Calamandrei, Limiti di responsabi-lità del legale negligente e in Foro it., 1932, I, 628, con nota di A.Parella, Colpa del procuratore e stima preventiva della lite.

(13) Così, in primis, Cass. 29 novembre 1968, n. 3848, in Arch.civ., 1971, 184; v. altresì, in tal senso, Cass. 28 aprile 1994, n.4044, in Resp. civ. prev., 1994, 634, con nota di Ruta; Cass. 10agosto 1991, n. 8728, in Corr. giur., 1991, 1319 ss.; Cass. 27 lu-glio 1984, n. 4453, Foro it., Rep.1984, voce Professioni intellet-tuali, n. 30; Cass. 11 maggio 1977, n. 1831, in Foro it., Rep.1977, voce Professioni intellettuali, n. 56.

(14) Cfr. Cass. 5 aprile 1984, n. 2222, in questa Rivista, 1999,1123; Cass. 29 settembre 2009, n. 28828, in Guida al dir., 2009,43, 49. Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Santa Maria CapuaVetere 6 febbraio 1989, in Foro it., 1990, I, 3315; Trib. Roma 27novembre 1992, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 267.

(15) Cass. 6 febbraio 1998, n. 1286, in questa Rivista, 1999, 441ss., con nota di A. Fabrizio-Salvatore, La colpa professionale del-l’avvocato: in crisi la distinzione tra obbligazione di mezzi e di ri-sultato e in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 358 ss., con nota diS. Lepre, Nuovi spunti in tema di responsabilità civile dell’avvo-cato.

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prova della semplice probabilità che la diligente at-tività posta in essere dal professionista forenseavrebbe prodotto effetti più vantaggiosi per il clien-te. Nonostante il progressivo abbassamento del-l’onere probatorio richiesto, la giurisprudenza non siè definitivamente attestata sul criterio meno rigidodella ragionevole probabilità: ancora oggi si rinven-gono infatti pronunce, come quella in commento,in cui il nesso eziologico viene valutato in termini dicertezza (morale o ragionevole) (16). Nel caso dispecie la Corte ha sottolineato come la mancata sot-toscrizione della transazione risulta ricollegabile, at-tesa anche l’avvenuta rinunzia in extremis al vincolodi solidarietà, ad un unico motivo: la mancata pro-posizione dell’appello e il conseguente passaggio ingiudicato della sentenza di primo grado favorevolealle ragioni della controparte. La condotta dell’av-vocato, se rispettosa degli standard di diligenza im-posti dalla normativa di riferimento, avrebbe infattisecondo la Corte permesso addirittura la conclusio-ne dell’accordo stragiudiziale emendativo della sen-tenza del Tribunale in termini di “ragionevole cer-tezza”, con conseguenti vantaggi per i clienti. Nelcaso de quo, in ragione delle specifiche circostanzedella fattispecie concreta, la prova del nesso causalenon è stata particolarmente difficoltosa per il clien-te. Nondimeno, nella generalità dei casi l’onere pro-batorio in capo al danneggiato risulta estremamentegravoso, soprattutto con riferimento alle condottenegligenti omissive: stante l’aleatorietà del processoe la presenza di innumerevoli fattori che possonoaver inciso sull’iter eziologico del danno, non è sicu-ramente agevole compiere una valutazione progno-stica positiva circa il probabile esito favorevole del-l’azione giudiziale se questa fosse stata diligentemen-te proposta ed adeguatamente coltivata. Per allegge-rire la posizione probatoria del cliente, la giurispru-denza più recente è intervenuta sulla qualificazionedel danno, introducendo, anche nell’ambito dellaresponsabilità del professionista forense, la risarcibi-lità del danno da perdita di chance (17). Secondol’orientamento giurisprudenziale maggioritario (c.d.filone ontologico), la perdita di chance costituisceun’entità patrimoniale a sé stante, una vera e pro-pria posta attiva del patrimonio giuridicamente edeconomicamente suscettibile di autonoma valuta-zione, la cui lesione si configura quale danno emer-gente concreto ed attuale (18). La qualificazione deldanno da perdita di chance come danno emergentecomporta un notevole alleggerimento dell’onereprobatorio in capo al danneggiato: in tal caso, infat-ti, risulterà sufficiente dimostrare che «l’inadempi-mento del professionista ha vanificato le chances del

cliente di far valere le proprie ragioni in giudizio»(19).Con riferimento alla pronuncia in commento, i giu-dici di legittimità hanno ritenuto che, nonostante lanegligenza dell’avvocato si fosse manifestata anchenella mancata proposizione dell’appello, il dannonon dovesse venire riconosciuto e determinato conriferimento all’esito del non instaurato giudizio; diconseguenza, correttamente, hanno dichiarato in-conferenti i richiami ai principi giurisprudenziali inmateria di perdita di chance. Invero, nel caso di spe-cie il pregiudizio si configura nella circostanza che,

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Note:

(16) In ragione di ciò taluni Autori hanno infatti efficacemente de-finito la responsabilità del professionista forense come un siste-ma a “causalità incerta”: cfr. R. Pucella, La causalità “incerta”,Torino, 2007; D. Covucci, La responsabilità professionale dell’av-vocato: l’evoluzione continua, in questa Rivista, 2011, 7, 742. Sulnesso causale, in generale, cfr. Caputi, Il nesso di causalità nellaresponsabilità civile: un problema irrisolto o sopravvalutato, inRiv. crit. dir. priv., 2007, 169 ss.; M. Franzoni, Problemi vecchi enuovi in tema di causalità, in Resp. civ. e prev., 2006, 1997 ss. V.altresì R. Favale, La responsabilità del professionista forense,cit.

(17) In generale sulla perdita di chance, cfr. M. Lo Moro Biglia, Ilrisarcimento della chance frustrata. Un itinerario incrementale,Napoli, 2006; C. Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: dannomeramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi,danno c.d. esistenziale, in Liber Amicorum per Francesco D. Bu-snelli, Milano, II, 2008, 349 ss.; G. Ponzanelli, Responsabilità ci-vile del professionista intellettuale, in Nuova giur. civ. comm., II,2010, 519 ss.L’utilizzo della responsabilità da perdita di chance nella respon-sabilità professionale forense, risulta essere in linea con una ten-denza riscontrabile in altri settori; a titolo esemplificativo, con ri-ferimento alla professione del commercialista ed esperto conta-bile v. Cass. 13 dicembre 2001, n. 15759, in questa Rivista,2002, 393; in tema di responsabilità medica per la perdita dichance di guarigione e di sopravvivenza, v. Cass. 4 marzo 2004,n. 4400, in Giur. it., 2005, 28, con nota di L. Bernabò Brea, Notain tema di responsabilità professionale dei medici; con riguardoalla mancata possibilità di essere assunti a causa di irregolaritànello svolgimento di concorsi, v. Cass., sez. lav., 3 marzo 2010,n. 5119, in Nuova giur. civ., 2010, 10, 1033, con nota di A. Bar-barisi, La quantificazione e l’onere della prova del danno da per-dita di chance nei concorsi privati.

(18) Cfr. Cass., sez. un., 26 gennaio 2009, n. 1850, in questa Ri-vista, 2009, 1033; Cass. 18 settembre 2008, n. 23846, in questaRivista, 2009, 155; Cass. 28 gennaio 2005, n. 1752, in Foro it.,Mass. 2005; Cass. 4 marzo 2004, n. 4400, in Foro it., 2004, I,1403; Cass. 13 dicembre 2001, n. 15759, in Giust. civ., 2002,1288.

(19) Così, Fabrizio-Salvatore, La colpa professionale dell’avvoca-to: in crisi la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, inquesta Rivista, 1999, 443.Diversamente, accogliendo la c.d. tesi eziologica, che configurala perdita di chance come perdita di un reddito futuro, e, quindi,come un’ipotesi di lucro cessante, non si potrebbe prescinderedalla prova della sussistenza del nesso causale tra comporta-mento negligente e danno. In tal senso, cfr. Cass. 11 maggio2010, n. 11353, in Foro it., 2011, I, 534; Cass. 19 febbraio 2009,n. 4052, in Foro it., Rep. 2009, voce Danni civili, n. 262; Cass. 17aprile 2008, n. 10111, ibidem, 2008, voce cit., n. 348; Cass. 25settembre 1998, n. 9598, in questa Rivista, 1999, 534.

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qualora l’avvocato avesse con diligenza esperito ilgravame, sicuramente la transazione emendativadella sentenza di primo grado sarebbe stata conclusa.Il pregiudizio subito dal cliente risulta dunque paci-ficamente riconducibile alla fisionomia del danno,così come articolato dalla norma 1223 c.c. ed in par-ticolare alla categoria normativa del lucro cessante.Il danno risarcibile è ravvisabile nel guadagno che ilcliente avrebbe presumibilmente conseguito dallatransazione e che non ha ottenuto a causa dell’even-to lesivo (20). Nel caso di specie, in particolare, la“sofferenza patrimoniale” provocata dall’evento pre-giudizievole nella sfera giuridica del danneggiato siconfigura nella differenza tra le attribuzioni patri-moniali che sarebbero state conseguite con la tran-sazione emendativa e quelle meno vantaggiose dicui alla sentenza di primo grado passata in giudicato.

Cenni all’elemento soggettivo: colpa grave

Nell’obbligazione di mezzi il criterio della diligenzacostituisce il referente per individuare l’oggetto del-la prestazione e di conseguenza per valutare l’even-tuale inadempimento. Il legale è chiamato a porre inessere una condotta informata al criterio di diligen-za così come delineato dal disposto dell’art. 1176,comma 2, c.c.: la diligenza imposta al professionistanon è assimilabile a quella richiesta ad un genericodebitore parametrata alla diligenza propria del“buon padre di famiglia”, ex art. 1176, comma 1,c.c., ma consiste in una diligenza qualificata, che siidentifica con quella propria del “buon professioni-sta” (21). Nel caso in commento, la Corte ha rite-nuto sussistente una colpa grave in capo all’avvoca-to: la mancata proposizione dell’appello rappresentasolo una delle prestazioni che costituiscono la piùcomplessa obbligazione professionale, dalla qualeemerge la palese negligenza del legale. Ricevuta no-tizia del secondo incarico attribuito a diverso profes-sionista, l’avvocato aveva una duplice possibilitàd’azione: rimettere il mandato, ritenendo pregiudi-cato il rapporto fiduciario con i propri assistiti (22),consentendo in tal modo a quest’ultimi di munirsi dinuovo difensore, ovvero continuare a tutelarne leragioni. In questo secondo caso a nulla rileva la sus-sistenza di un altro mandato conferito a diverso le-gale: non è, infatti, normativamente prevista alcunaincompatibilità tra incarichi professionali contem-poranei e, inoltre, nel caso di specie le diverse fina-lità che caratterizzano i due mandati (ad un avvoca-to è richiesto di seguire la fase giudiziale e proporreimpugnazione in tempo utile, all’altro di esperireuna trattativa di componimento della vertenza) per-

Note:

(20) Sulla c.d. Differenztheorie formulata da F. Mommsen, Zur le-hre von dem Interesse, Braunschweig, 1855, che definisce il dan-no patrimoniale in termini di differenza tra l’ammontare effettivodel patrimonio del danneggiato a seguito dell’illecito e quello cheavrebbe avuto se tale evento non si fosse verificato, cfr. Franzoni,Il danno risarcibile, in Trattato della responsabilità civile, diretto daM. Franzoni, Milano, 2004, 103; A. Baldassari, Il danno patrimonia-le, in Enciclopedia, collana diretta da Cendon, Padova, 2001; Bian-ca, Inadempimento delle obbligazioni, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1979, 247; R. Scognamiglio, Risarcimentodel danno, in Noviss. Dig. it., Torino, 1969, 6. In giurisprudenza, amero titolo di esempio, si veda Cass. 15 ottobre 1999, n. 11629, inCorr. giur., 2000, 902, con nota di M. Lascialfari, Causalità scientifi-ca e causalità giuridica tra imputazione del fatto e risarcimento deldanno, la quale afferma che «le delimitazioni della dannosità di unfatto, e cioè l’ammontare delle sue ripercussioni patrimoniali, van-no rilevate con il vecchio, ma ancora valido, giudizio ipotetico di dif-ferenza tra la situazione dannosa così com’è e la situazione ideale,quale sarebbe stata nell’ipotesi in cui il fatto dannoso non si fosseverificato. Tutte le conseguenze così evidenziate, proprio perchécollegate a quel fatto, sono le ripercussioni immediate e dirette delfatto stesso, e rappresentano, in via generale, il limite massimo delrisarcimento da prestarsi, ove non intervengano altri fattori di ridu-zione di cui agli artt. 1221, 1225, 1227, comma 2». Sul «giudizioipotetico/differenziale tra condizione (dannosa) attuale e condizionedel danneggiato quale sarebbe risultata in assenza del fatto danno-so», più di recente Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619, in Resp. civ. eprev., 2008, 2, 323, con nota di Locatelli.

(21) La diligenza richiesta al professionista si traduce, dunque, inquella del «professionista di preparazione professionale e di at-tenzioni medie»: così Cass. 8 agosto 2000, n. 10431, in Giust.civ., Mass. 2000, 1742.La giurisprudenza e la dottrina hanno cercato di qualificare in ma-niera specifica e puntuale il comportamento colposo del debitore,frazionando l’elemento soggettivo della colpa. La negligenza èstata individuata in un atteggiamento negativo, nella disattenzio-ne, dimenticanza, svogliatezza, pigrizia (in particolare per Biancala negligenza si risolve nella «mancanza di attenzione che occor-re normalmente nella vita di relazione e che è specificamente ri-chiesta dall’ufficio del soggetto o dal tipo della sua attività»; cfr.M. Bianca, Diritto civile, 1994, V, 578). L’imperizia è stata ravvisa-ta nel mancato utilizzo di tutte quelle regole tecniche obiettiva-mente connesse all’esercizio della professione, acquisite in ma-niera consolidata nella scienza e nella pratica. Secondo la giuri-sprudenza il grado di perizia richiesto può peraltro subire variazio-ni a seconda della specializzazione posseduta dal professionista(cfr. Cass. 11 marzo 2002, n. 3492, in questa Rivista, 2002, 7,791, con nota di A. Batà e A. Spirito, Responsabilità del medico).L’imprudenza risulta, infine, configurabile allorché sia presente laviolazione di regole di condotta che vietano determinante azionicon certe modalità oppure impongono misure di cautela idonee aprevenire il danno. Essa può risolversi nella temerarietà speri-mentale ovvero concretizzarsi in ogni atteggiamento che denotisuperficialità e disinteresse per i beni primari che il cliente affidaal professionista. La prudenza segna il limite oltre il quale la di-screzionalità del professionista non può spingersi. Cfr., ex multis,Cass. 19 maggio 2004, n. 9471, in questa Rivista, 2005, 30, connota di R. De Matteis, La responsabilità medica ad una svolta? ein Dir. e giust., 2004, 25, 32, con nota di Rossetti, Per il medicoconvenuto sempre più difficile difendersi.(22) Sul punto si precisa come il cliente possieda la facoltà di as-sumere un altro professionista e ciò non implichi l’automatico di-ritto di recesso per giusta causa del primo professionista incari-cato, ex art. 2237 c.c. Quest’ultimo invero può revocare il pro-prio mandato qualora ritenga che la seconda assunzione costi-tuisca una manifestazione di sfiducia nei propri confronti o qua-lora dalla stessa sorgano ragioni di incompatibilità; così App. Mi-lano 24 settembre 2008, in Giur. merito, 2009, 6, 1539, con no-ta di V. Amendolagine, La nomina di un secondo professionista«in aggiunta» al primo non integra una giusta causa di recesso.

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mettono una logica coesistenza degli stessi. La pre-senza di due distinti ed autonomi incarichi non eso-nera, pertanto, il legale dall’agire con la necessariadiligenza, richiedendo tuttalpiù un aggiuntiva pre-stazione di coordinamento fra i professionisti. Nelcaso de quo, tuttavia, l’avvocato incaricato di segui-re il giudizio, nonostante la persistenza del rapportocontrattuale con i propri clienti, ometteva di accer-tare l’avvenuta conclusione dell’accordo stragiudi-ziale nelle forme prescritte dalla legge e invece dicoordinarsi personalmente con l’altro legale facevaaffidamento sulle informazioni atecniche fornite daipropri assistiti. La Corte di cassazione, sul punto,sottolinea come non sia compito del cliente infor-mare l’avvocato riguardo l’andamento e l’eventualeconclusione dell’accordo transattivo. L’assistito è in-fatti privo di cognizioni giuridiche adeguate, non èspesso in grado di valutare regole e scadenze dei pro-cessi: è proprio in ragione di ciò che egli decide di af-

fidarsi ad un professionista. Appartiene, dunque, al-l’avvocato il compito di rappresentare al propriocliente ogni questione di fatto e di diritto rilevanteper il caso concreto, informarlo della presenza dieventuali circostanze ostative o pregiudizievoli per ilraggiungimento del risultato auspicato, consigliarglidi conseguenza la strategia processuale più opportu-na da intraprendere e palesargli gli adempimentiprocessuali necessari. Il professionista dunque, nonavendo rinunciato all’incarico, aveva l’obbligo dimettere a «disposizione del cliente tutta la propriaesperienza e le proprie conoscenze tecniche» e con-seguentemente, alla stregua delle stesse, porre in es-sere tutte le attività e gli atti necessari a tutelare laposizione giuridica del proprio assistito, ivi compre-so, nel caso di specie, la proposizione del gravame, alfine di impedire alla controparte di trarre dal giudi-cato di primo grado una posizione di forza ostativaper la conclusione dell’accordo transattivo.

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GiurisprudenzaResponsabilità professionale

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GiurisprudenzaResponsabilità sanitaria

Svolgimento del processoCon atto notificato il 13 giugno 2003, Ra.Da. e An. Fu. -in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minoreBe.Da., esponevano che:in data 18 giugno 1993 era nato in Bari, presso la Casa diCura “La.Ma.”, Be.Da. dalla sig.ra Fu.An.; il parto erastato eseguito dal ginecologo dott. En. Fa. con l’ausiliodell’ostetrica An. Le.; più precisamente, la partorienteFu.An. era stata ricoverata presso l’anzidetta clinica alleore 19,30 del 17 giugno 1993 e dopo qualche ora - presu-mibilmente tra le ore 0,00 e ore 0,15 - alla partoriente erastato eseguito taglio cesareo con incisione trasversale so-vrapubica; alla nascita, il feto, che aveva accusato segnidi sofferenza, era stato sottoposto dalla pediatra di turno,dott. La.Ca., alla procedura di rianimazione. Dimesso indata 13 luglio 1993, al piccolo Be., sottoposto a consultospecialistico presso la clinica pediatrica dell’università diSiena, era stata formulata la diagnosi di “tetra paresi” spa-stica con ritardo neuromotorio, sindrome degli spasmi ecrisi “advenire di probabile origine intra e perinatale”; al-l’età di due anni e nove mesi al piccolo Be., sottoposto anuovo consulto presso l’ospedale Be.Pi. di Bologna, erastata confermata la diagnosi di grave encefalopatia epi-lettica con crisi farmacoresistenti da sofferenza anossoi-schemica perinatale; la situazione psicofisica del minorenon era mutata con il passare degli anni per cui la com-missione provinciale di I istanza gli aveva riconosciutol’invalidità permanente assoluta.

Tutto ciò premesso, convenivano il Fa., la Le. e la s.r.l.Ap.Sa. in liquidazione (proprietaria della clinica La.Ma.)innanzi al Tribunale di Bari per ivi sentire accertare e di-chiarare la responsabilità del dott. En. Fa. per colpa pro-fessionale lieve, quale causa della patologia subita dalpiccolo Be.Da.; in subordine, accertare e dichiarare ilconvenuto responsabile per colpa grave della patologia dicui è affetto il minore; accertare e dichiarare l’ostetricaAn. Le. corresponsabile con il dott. En. Fa. per averomesso i controlli necessari e non aver richiesto tempe-stivamente l’esecuzione del parto, “allorché il tracciatomostrava la necessità di un intervento tempestivo”; ac-certare e dichiarare la responsabilità della S.r.l. Ap.Sa. inliquidazione ex art. 1228 e 2055 c.c.; condannare in con-seguenza i convenuti, in solido tra loro, al risarcimentodei danni subiti dal minore Be.Da. in complessivi Euro1.549.370,70 da calcolarsi anche in via equitativa, o aquell’altra somma, maggiore o minore, a determinarsi incorso di causa, oltre - interessi e danno da svalutazione;condannare i convenuti, in solido tra loro, al pagamentodi una indennità mensile per il mantenimento del mino-re in ragione di Euro 2.500,00 o a quell’altra somma,maggiore o minore, che il Tribunale riterrà di giustizia;condannare i convenuti in solido tra loro al risarcimentodei danni subiti dai genitori dell’istante in complessiviEuro 774.685,34 da calcolarsi anche in via equitativa, o aquell’altra somma, maggiore o minore, a determinarsi incorso di causa, oltre interessi e svalutazione, nonché al

Liquidazione del danno

Taglio cesareo ritardatoe grave patologia al bambino: i danni risarcibili

TRIBUNALE DI BARI, Sez. II, 26 luglio 2011, n. 2605 - G.U. Rana

Nel caso in cui al minore venga riconosciuta una invalidità permanente assoluta, avendo subito un danno cele-

brale a causa del taglio cesareo negligentemente ritardato da parte dei sanitari, gli devono essere risarciti oltre

al danno patrimoniale, il danno morale ed il danno biologico da invalidità permanente, mentre i genitori hanno

diritto al risarcimento del danno morale, derivante loro dalla nascita di un bambino in tali condizioni, del

danno esistenziale, per il trauma patito dalla scoperta della condizione del figlio minore e dalla necessità di

una sua costante cura, e del danno patrimoniale, consistente nelle diminuzioni di reddito per la limitazione di

tempo all’attività lavorativa ed alla vita di relazione.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Trib. Nola 2 novembre 2004.

Difforme Cass. 7 giugno 2011, n. 12408; Cass. 30 giugno 2011, n. 14402.

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rimborso di quelle spese mediche fin qui sostenute incomplessivi Euro 25.822,24 oltre interessi e rivalutazio-ne; condannare i convenuti, in solido tra loro, al paga-mento delle “spese, diritti Rsg ed onorario”.La Le.An. nel costituirsi in giudizio con comparsa del 7ottobre 2003, in via preliminare, eccepì l’inammissibilitàdella domanda nei suoi confronti per decorso del terminequinquennale di prescrizione e, nel merito, la sua manife-sta infondatezza sotto il duplice profilo del difetto di le-gittimazione passiva - per la costante partecipazione atutte le operazioni del parto di ben due ginecologi (ildott. Fa. e il dott. Mo.) escludente ogni e qualsiasi re-sponsabilità dell’ostetrica - e della insussistenza del nessodi causalità tra il conclamato ritardo dell’esecuzione deltaglio cesareo della partoriente e la patologia poi riscon-trata nel piccolo Be.Il Fa., costituendosi e resistendo alla domanda, chiamò ingaranzia la compagnia assicuratrice Ri.Ad. da cui preten-deva essere garantito quanto meno nei limiti del massi-male di polizza.Istruita oralmente la causa, con ordinanza del 15 febbra-io 2005 il giudice dispose consulenza tecnica di ufficio amezzo dei dottori Al.To. e Ge.D’A..Intanto, gli attori depositavano atto di rinuncia agli attidel giudizio soltanto nei confronti del dott. Fa. e dellacompagnia di assicurazioni Ri.Ad., dichiarando di volercontinuare il giudizio contro la società Ap.Sa. e la sig.raLe.An. Eseguita Ctu contabile, precisate le conclusioni in modoconforme, la causa era riservata per la decisione.

Motivi della decisioneLa domanda è fondata, per quanto di ragione.Ogni questione tra gli attori ed il Fa. con la sua compa-gnia è stata definita transattivamente come da documen-tazione versata in atti, che ha chiarito come la transazio-ne tra i menzionati soggetti è stata effettuata con espres-sa rinuncia al vincolo ex art. 1304 c.c. e cioè senza libera-zione dell’altra parte che non ha partecipato alla transa-zione. (Cass. 8 luglio 2009 n. 16050).Ciò premesso, in primo luogo si rileva che l’eccezione diprescrizione sollevata dalla convenuta, si fonda essenzial-mente sulla natura extracontrattuale ed aquiliana dellaresponsabilità in esame.Invece, gli attori correttamente insistono sulla responsa-bilità contrattuale, dal momento che il rapporto inter-corso tra l’attrice e la Casa di Cura La.Ma. (facente capoal gruppo Ap.Sa. S.r.l. in liquidazione) era un tipico rap-porto contrattuale di prestazione di servizi medicoospe-dalieri nel cui ambito, pertanto, deve essere rinvenuta, omeno, la prescrizione relativa. “Il rapporto che si instau-ra tra paziente (nella specie, una partoriente) e casa dicura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipicocontratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivinei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazioneal pagamento del corrispettivo (che ben può essere adem-piuta dal paziente, dall’assicuratore, dal ssn o da altro en-te), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), ac-canto a quelli di tipo, lato sensu, alberghieri, obblighi di

messa a disposizione del personale medico ausiliario, delpersonale paramedico e dell’apprestamento di tutte le at-trezzature necessarie, anche in vista di eventuali compli-cazioni od emergenze; ne consegue che la responsabilitàdella casa di cura (o dell’ente) nei confronti del pazienteha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art.1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni diretta-mente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 c.c., al-l’inadempimento della prestazione medico-professionalesvolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario ne-cessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordi-nato, comunque sussistendo un collegamento tra la pre-stazione da costui effettuata e la sua organizzazione azien-dale, non rilevando in contrario al riguardo la circostan-za che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dellostesso paziente, o comunque dal medesimo scelto” (Cass.26 gennaio 2006 n. 1698).La responsabilità dell’ostetrica, poi, deve essere inquadra-ta nell’ambito contrattuale nei confronti del paziente, inquanto, essendo dipendente della stessa Casa di Cura, lasua responsabilità è compresa in quella del suo datore dilavoro presso il quale la stessa svolgeva la sua attività la-vorativa, esattamente come quella del medico, come me-glio si spiegherà più avanti.Circa i profili della denunciata colpa professionale, dal-l’esposizione dei fatti, come anzi descritti, risulta chiara-mente una grave imperizia e colpa professionale nella va-lutazione ctg. con notevole ritardo nell’espletamento delparto per via laparotomica, ritenuto che sin dal primo po-meriggio, il tracciato ctg. presentava un reperto non mol-to reattivo, che perdurava nei tracciati successivi.Alle h. 22,00 all’ultimo tracciato effettuato, risultava evi-dente la comparsa di una lunga decelerazione, che dove-va comportare l’immediata esecuzione del parto, mentrerisulta un’ulteriore ingiustificata attesa di altre due ore,che ha comportato il verificarsi della sofferenza fetale,vieppiù aggravata dal rinvio delle operazioni relative alparto cesareo, non eseguito in via d’urgenza, ma, comeevidenziato, con un ritardo di oltre due ore, che ha com-promesso l’attività cerebrale. Il danno cerebrale, poi, ècontinuato anche dopo il parto, per mancanza nella cli-nica di attrezzature più specifiche per intervenire sul neo-nato, tanto che è stato necessario il ricovero d’urgenzapresso l’Ospedale Giovanni XXIII.Ebbene, assumono fondatamente gli attori che l’ostetri-ca, al pari del ginecologo che aveva in cura l’attrice An.Fu., non si attivò minimamente per sollecitare un qual-siasi intervento del dott. Fa., o di altro medico di guardiae rimase semplicemente inattiva, omettendo un qualsiasicomportamento,. anche di mero sollecito di intervento,venendo meno così ai suoi minimi doveri professionali edincorrendo così in colpa grave. I due Ctu invero, hannorilevato che già alle h. 22,00 del 17 giugno 1993 il trac-ciato lasciava pochi spazi all’interpretazione ed imponevadi eseguire il parto al più presto e si domandano perché, afronte di tali rilievi già presenti dopo le h. 22, 00, si siaprovveduto al parto cesareo con un ritardo di quasi dueore!Lamentano perciò gli attori che in tutto questo lasso di

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GiurisprudenzaResponsabilità sanitaria

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tempo, la convenuta Le.An. è rimasta completamenteinattiva senza svolgere una qualsiasi attività per le qualiessa doveva svolgere la sua prestazione lavorativa, senzaattivarsi minimamente per sollecitare interventi.Ebbene, la convenuta invoca in primo luogo l’applicazio-ne del d.P.R. n. 163 del 1975 che all’epoca dei fatti disci-plinava la attività dell’ostetrica. Assume in sostanza par-te convenuta che tale disciplina considerava la figuraprofessionale dell’ostetrica - ancorché operante in unastruttura sanitaria pubblica o privata - in maniera ridutti-va e limitata alle funzioni di semplice assistenza al gine-cologo. In altri termini, l’ostetrica era sfornita di qualsia-si autonomia e perciò relegata ad un ruolo puramentetecnico e di assistenza al medico ginecologo. Pertanto,non solo l’esecuzione del parto ma anche la sua prepara-zione (per es. monitoraggio del feto con l’ausilio dellacardiotocografia) erano funzioni demandate alla esclusi-va competenza dei medici, essendo all’ostetrica fatto di-vieto di eseguire interventi manuali e strumentali. Con-seguentemente, nel caso di specie, il compito dell’ostetri-ca era in pratica limitato al materiale posizionamento de-gli elettrodi tanto è vero che la lettura e la interpretazio-ne del cardiotocogramma furono compiuti dal dott. Fa.,secondo quanto è risultato in corso di causa.Inoltre, la funzione dell’ostetrica, sempre secondo la dife-sa di parte convenuta, è del tutto assimilabile per analo-gia a quella del personale infermieristico che nelle strut-ture sanitarie di una certa grandezza, come la Casa di Cu-ra “La.Ma.”, svolge il proprio compito di assistenza se-condo una turnazione preventivamente stabilita nel dia-rio di lavoro e secondo le istruzioni di volta in volta im-partite dai sanitari: di conseguenza, alla convenuta nonsarebbe estensivamente applicato il principio della re-sponsabilità contrattuale che vincola il medico (e lastruttura sanitaria) nei confronti della gestante, alla stre-gua della nuova, ampia categoria della cosiddetta respon-sabilità sociale. Ella dunque risponderebbe nei confrontidel paziente solo a titolo aquiliano e non contrattuale.In verità l’art. 4 del citato d.P.R. dispone che: L’ostetricache assiste al parto deve richiedere l’intervento del medi-co ogni qualvolta rilevi la esistenza di fattori di rischioper la madre e il feto, quali cardiopatia, nefropatia, iper-tensione arteriosa, diabete, anemia ed altre affezioni ge-nerali, isoimmunizzazione materno - fetale, gestosi, di-stacco intempestivo di placenta n. i., placenta previa; ov-vero quando accerti distocie: della contrazione uterina,del canale osseo e del canale molle del parto, del corpomobile, del funicolo ombelicale e comunque in tutti i ca-si di sofferenza fetale.In applicazione di tale normativa, è stato affermato (Cas-sazione penale sez. IV, 29 gennaio 2004 n. 21709) che“L’ostetrica, che abbia sotto la propria assistenza e con-trollo una partoriente, deve sollecitare tempestivamentel’intervento del medico appena emergano fattori di ri-schio per la madre e comunque in ogni caso di sofferenzafetale. (Nella fattispecie, relativa ad omicidio colposo delnascituro, la Corte ha affermato la responsabilità del-l’ostetrica la quale, quantunque il monitoraggio cardioto-cografico della paziente indicasse una progressiva soffe-

renza fetale, aveva ritardato di avvertire i sanitari con laconseguenza del decesso del feto)”.Il nesso di causalità tra l’evento verificatosi e la mancan-za di diligenza del medico e dell’ostetrica, risultano evi-denti, poiché se questi ultimi fossero intervenuti tempe-stivamente, come evidenziava il tracciato, oltre due oreprima, non si sarebbe verificato il danno cerebrale causadella patologia da cui è, purtroppo, irreversibilmente af-flitto il piccolo Be.A tale riguardo, poi, va evidenziato che, né la convenutaLe.An., né la Casa di cura privata Ap.Sa., che è rimastaaddirittura contumace, hanno provato di aver usato unaminima diligenza idonea al caso in questione.A tale proposito infatti, vige la presunzione di colpa exart. 1218 c.c. a carico del sanitario e della struttura ospe-daliera (anche privata), mentre la prova liberatoria delladiligente esecuzione della prestazione dell’intervento è acarico del medico e/o della ostetrica e della casa ospeda-liera.Circa la liquidazione del danno, risulta dagli atti che so-no stati prodotti in giudizio e dalle cartelle cliniche cheBe.Da. conduce un’esistenza a livello praticamente vege-tativo tanto che gli è stata riconosciuta dalla Commissio-ne di controllo di prima istanza un invalidità totale e per-manente al 100% con necessità di assistenza continuanon essendo in grado di compiere gli atti quotidiani del-la vita, con un riconoscimento del diritto ad un indenni-tà di accompagnamento a favore dei suoi genitori. Dettoelemento è stato riscontrato dai due Ctu che hanno qua-lificato il caso di specie quale “uno dei rarissimi casi didanno biologico del 100 %”!In tale stato di invalidità totale a Be. compete oltre aldanno morale anche il risarcimento per danno biologicoda invalidità permanente.Il danno de qua risulta dai seguenti elementi: Danno bio-logico: va accolta la prudente richieste di parte attrice se-condo cui applicando le tabelle in uso e tenendo contodel grado d’invalidità del bambino (100%), e della suaetà (10 anni), va moltiplicato il punto rivalutato in Euro6.506,91 x 100 (grado d’invalidità) x il moltiplicatore0,955 che dà un risultato di Euro 621.409,43.Danno morale: per giurisprudenza di merito e di legitti-mità, lo stesso è pari a metà del danno biologico: Euro621.409,43: 2 = Euro 310.704,72 =. Danno patrimoniale:in difetto di fonti di prova, può essere quantificato equi-tativamente con il ricorso al criterio del triplo della pen-sione sociale. Infatti, secondo la S.C., “In tema di risarci-mento di danno patrimoniale subito da una persona mi-nore o comunque in età giovanile, qualora sia accertatanon una “micro permanente” ma una percentuale supe-riore di invalidità permanente, la mera circostanza che ilsoggetto danneggiato, all’epoca dell’incidente, non aves-se una specifica capacità professionale e non svolgesse at-tività lavorativa non autorizza ad escludere un danno fu-turo solo sulla base di ciò e senza ulteriori indagini. Alcontrario il Giudice, con giudizio prognostico fondato subasi probabilistiche, deve valutare se ed in che misura ipostumi permanenti ridurranno la futura capacità di gua-dagno di detta persona, tenendo conto in primo luogo

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della percentuale di invalidità medicalmente accertata,della natura e qualità dei postumi stessi, dell’orientamen-to eventualmente manifestato dal danneggiato medesi-mo verso una determinata attività redditizia, degli studida lui portati a termine, dell’educazione ricevuta dalla fa-miglia nonché delle presumibili opportunità di lavoroche si presenteranno al danneggiato anche in relazione alprevedibile futuro mercato del lavoro; ed in secondo luo-go della posizione sociale ed economica di quest’ultima;nonché di ogni altra circostanza rilevante (ferma restan-do fa possibilità per colui che è chiamato a rispondere didelle lesioni di dimostrare che il minore, dal quel parti-colare tipo di invalidità, non risentirà alcun danno o ri-sentirà danni minori rispetto a quelli prospettati). In as-senza di riscontri concreti dai quali desumere gli elemen-ti suddetti, (e, perciò, in mancanza della possibilità di ri-correre alla prova presuntiva), la liquidazione potrà avve-nire attraverso il ricorso al triplo della pensione sociale.La scelta tra l’uno o l’altro tipo di liquidazione costituisceun giudizio tipicamente di merito ed è, pertanto, insinda-cabile in sede di legittimità se congruamente motivata,(cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 24331 del 30.9.2008, eCass. Sentenza n 26081 del 30/11/2005).Del resto, l’art. 137 cod. ass. (T.U.A.) ha impiegato crite-ri di liquidazione del danno patrimoniale alla personaanaloghi a quelli introdotti dall’art. 4 del d.l. 23 dicembre1976, n. 857, convertito con modificazioni in l. 26 feb-braio 1977, n. 39. La norma citata, ai fini della quantifi-cazione del danno risarcibile, distingue tra lavoro dipen-dente o lavoro autonomo, prendendo come base del cal-colo, nel primo caso, il reddito percepito maggiorato deiredditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute dilegge e che risulta il più elevato tra quelli dichiarati neltriennio anteriore al sinistro ai fini della imposta sul red-dito e, nel secondo caso, il reddito netto da lavoro auto-nomo come risultante dalla dichiarazione più elevatanell’ultimo triennio. Infine è espressamente previsto ilcriterio residuale già adottato dall’art. 4, comma 3, dellaminiriforma del 1977, per il quale in mancanza di un red-dito desunto dalla dichiarazione Irpef si considera il red-dito pari ad almeno il triplo dell’ammontare annuo dellapensione sociale.Nello specifico, come, detto, in mancanza di qualsivogliaelemento concreto di prognosi e considerata la particola-rità del caso, appare equo ricorrere al criterio del triplodella pensione sociale. Ne consegue che, considerandouna vita media di 75 anni ed uno scarto rispetto alla vitalavorativa del 20%, il triplo della pensione sociale annua(anzi assegno sociale come disciplinato dall’art. 3 comma6 della l. 335/1995 a far data dal 1.1.1996) vigente al mo-mento della maggiore età va moltiplicato per 60, con ilrisultato di 5312,58 x 3 x 60 = 478.132,20.Dal danno in parola deve essere detratto naturalmentel’acconto percepito dagli attori in complessivi Euro250.00,00. Il danno così calcolato è ovviamente com-prensivo anche del mantenimento.Danno ai genitori e danno esistenziale: anche i genitoridel piccolo Be. hanno diritto ad essere risarciti, sia per ildanno morale derivante loro dalla nascita di un bambino

in tali condizioni, al quale evento essi non erano assolu-tamente preparati, sia per il danno esistenziale da essi pa-tito per il trauma patito dalla scoperta della condizionedel figlio minore e dalla necessità di una costante cura delminore, totalmente e permanentemente invalido, sia peril danno patrimoniale subito per le condizioni fisiche incui trovasi il minore che comportano una limitazione ditempo all’attività lavorativa ed alla vita di relazione equindi anche una diminuzione di reddito, oltre che unaprivazione totale di una qualsiasi vita, sia pur minima, direlazione.La genitrice, in particolare, oltre al danno subito per ave-re improvvisamente un figlio ridotto in tali condizioni,quando le risultanze precedenti al parto non lasciavanointravedere alcun problema, ha subito più specifico dan-no esistenziale, poiché, a causa del grave danno subito dalpiccolo Be., è stata verosimilmente costretta a rinunciarea qualsivoglia chance lavorativa ed a rivedere qualsivo-glia prospettiva di vita.Il danno morale ed esistenziale patito dai genitori, per-tanto, può essere quantificato in complessivi Euro300.000,00 ex artt. 1226 e 2056 c.c. in via equitativa.Compete, altresì, il rimborso di tutte le spese mediche edi altra natura sostenute per la cura del piccolo in com-plessivi Euro 25.822,84 oltre interessi e danno da svalu-tazione.Non competono altre voci di danno, essendo ricompresenel calcolo già effettuato.Riassumendo, la società convenuta e la Le. vanno con-dannate in solido alla rifusione delle seguenti somme, daconsiderarsi al lordo dell’acconto di Euro 250.000,00:Euro 25.822,84 per spese vive, oltre interessi legali dalladomanda;Euro 621.409,43 per danno biologico al minore al valoreattuale della moneta;Euro 310.704,72 per danno morale al minore al valore at-tuale della moneta;Euro 478.132,20 per danno patrimoniale, oltre danno dasvalutazione secondo Istat ed interessi legali sulla sommarivalutata anno per anno;Euro 300.000,00 per danno morale ed esistenziale ai ge-nitori al valore attuale della moneta.Le spese di Ctu restano a carico dei convenuti Le. edAp.Sa.La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva perlegge.... Omissis ...

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Il caso

L’episodio di cui alla sentenza in commento è parti-colarmente tragico. I sanitari di una clinica privataeffettuano un taglio cesareo con un negligente ritar-do di oltre due ore, compromettendo l’attività cele-brale del neonato e provocando la patologia da cui ilbambino è irreversibilmente afflitto, per la quale vie-ne riconosciuta in sede medico-legale una «invalidi-tà totale e permanente al 100% con necessità di assi-stenza continua». Dopo aver accertato la colpa delmedico e dell’ostetrica ed il nesso di causalità tral’evento e la mancanza di diligenza nella condottadei sanitari, il Tribunale di Bari provvede alla liqui-dazione del danno a favore del minore e dei genitori.

I profili attinenti al risarcimento del danno

In questa sede ci si concentrerà sugli aspetti legatialla individuazione ed alla quantificazione dei dannirisarcibili (1), perché consentono di mettere in lucei criteri di liquidazione operati dalle corti di meritoin un settore in cui, in particolar modo, è avvertitala tendenza ad assicurare un «sempre più pieno ri-storo del danno alla persona» (2).Nel caso di specie, a causa della negligenza dei sani-tari, il minore ha riportato una patologia che lo vedecostretto ad «un’esistenza a livello praticamente ve-getativo»; come sottolineato dal giudice. I consulen-ti tecnici d’ufficio hanno testualmente ritenuto lafattispecie come «uno dei rarissimi casi di danno bio-logico del 100%». Il Tribunale, pertanto, liquida alminore oltre al danno patrimoniale, il danno non pa-trimoniale consistente nel danno biologico per inva-lidità permanente e nel danno morale. Ad avvisodella corte barese, inoltre, i genitori del bambinohanno diritto ad essere risarciti del danno morale,derivante loro dalla nascita di un bambino in talicondizioni, del danno esistenziale, «per il trauma pa-tito dalla scoperta della condizione del figlio minoree dalla necessità di una costante cura del minore, to-talmente e permanentemente invalido» e del dannopatrimoniale, derivante dalla «limitazione di tempoall’attività lavorativa ed alla vita di relazione» a cau-sa delle condizioni in cui si trova il minore.

Se risulta chiara l’intenzione di assicurare agli attoriun pieno ristoro delle conseguenze pregiudizievoli,sia patrimoniali che non, in una fattispecie di talegravità, sarà da vagliare se la liquidazione così ope-rata dal giudice sia sorretta da una motivazione (3)adeguata, trasparente e, soprattutto, coerente conquelli che sono i recenti orientamenti della giuri-sprudenza di legittimità in materia (4).

I danni risarcibili al minore

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, lasentenza in commento accoglie la richiesta della

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Note:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

(1) Non saranno, invece, approfonditi i profili relativi all’an de-beatur, ovvero il titolo della responsabilità della casa di cura e deisanitari, l’onere della prova, l’accertamento della colpa profes-sionale e del nesso di causalità, in quanto la sentenza segue iprincipi ormai consolidati in materia. In tema, per un quadro ag-giornato, cfr. in particolare R. De Matteis, Responsabilità e servi-zi sanitari. Modelli e funzioni, Padova, 2007; M. Paradiso, La re-sponsabilità medica tra conferme giurisprudenziali e nuove aper-ture, in questa Rivista, 2009, 703; C. Miriello, Questioni attuali inpunto di responsabilità medico-sanitaria (parte prima), in Resp.civ., 2010, 531.

(2) E. Quadri, Profili della responsabilità medica con particolare ri-guardo alla ginecologia ed ostetricia: esperienze recenti e pro-spettive, in Resp. civ. prev., 2004, 319 osserva come «l’incideredell’attività medica sulla vita già nelle sue fasi iniziali dia luogo[…] ad una tipologia di danni il cui risarcimento, anche sotto ilprofilo dell’entità del relativo ammontare, è inevitabilmente de-stinato a risentire in misura forse maggiore che in altri settori»della tendenza sopra indicata.

(3) Si veda G. Comandé, Tabelle di liquidazione del danno allapersona e Sezioni Unite: prove di dialogo, in Dir. econ. ass.,2010, 277-296, il quale sottolinea, a proposito della liquidazionedel danno non patrimoniale, il ruolo fondamentale dell’obbligo dimotivazione ai fini della razionalizzazione del risarcimento.

(4) In particolare si fa riferimento a quello che è stato definito daG. Ponzanelli-R. Foffa, Il danno esistenziale (1991-2008) in S.Patti-S. Delle Monache, Responsabilità civile. Danno non patri-moniale, Torino, 2010, 288 come il «nuovo statuto del dannonon patrimoniale», enucleato da Cass., sez. un., 11 novembre2008, n. 26972, n. 26973, n. 26974 e n. 26975, in Resp. civ.prev., 2009, 38 ss., con note di Monateri, Navarretta, Poletti, Zi-viz; in questa Rivista, 2009, 19 con note di Procida Mirabelli DiLauro, Sganga, Landini; in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 102ss., con note di Ponzanelli, Navarretta, Bargelli, Cendon, De Mar-zo; e con commento di F.D. Busnelli, Le sezioni unite e il dannonon patrimoniale, in Riv. dir. civ., 2009, 1, 2, 97.

IL COMMENTOdi Silvia Scalzini (*)

La decisione consente all’Autrice di approfondire i criteri di liquidazione del danno alla persona nel settoredella ginecologia e dell’ostetricia, alla luce dei recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità in ma-teria di risarcimento del danno non patrimoniale.

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parte attrice e liquida al minore come danno biolo-gico da invalidità permanente l’importo di euro621.409,43, risultanti dall’applicazione delle tabel-le in uso, tenendo conto del grado di invalidità delbambino e della sua età (10 anni). Il Tribunalequantifica, poi, il danno morale come importo «pa-ri a metà del danno biologico», motivando talescelta sulla base dei precedenti giurisprudenziali dimerito e di legittimità (5). In questo caso il dannomorale è calcolato prendendo in considerazione laliquidazione operata per il danno biologico (6) e,in definitiva, il danno non patrimoniale risulta co-me la somma dei due pregiudizi (7). Le distinzioninominalistiche operate, senza una considerazioneunitaria, destano il sospetto di ricaduta in quegliautomatismi liquidatori, denunciati dalle SezioniUnite nell’intenzione di evitare effetti di duplica-zione e di sottoliquidazione (8). Il giudice avrebbe,infatti, dovuto motivare la scelta di una tale liqui-dazione, evidenziando le circostanze che hannoportato ad una tale quantificazione (9). La decisio-ne del giudice in ordine alle modalità della liquida-zione ed al relativo importo, inoltre, denota comenell’ambito del risarcimento del danno alla perso-na esista di fatto una «giurisprudenza per zone, dif-ficilmente compatibile con l’idea stessa dell’equi-tà» (10), soprattutto in ipotesi di tale gravità. Sefossero state applicate, infatti, le tabelle del Tribu-nale di Milano, statisticamente le più diffuse tra lecorti di merito (11), la liquidazione sarebbe statadifferente - e superiore - (12). Le suddette tabellesono state, di recente, prese come punto di riferi-mento “nazionale” dalla Corte di cassazione (13).In materia di danno permanente da lesione all’in-tegrità psico-fisica, esse individuano il valore del“punto”, tenendo in considerazione sia la compo-nente del danno non patrimoniale relativa al c.d.danno biologico permanente, che quella relativaalla “sofferenza soggettiva” e prevedendo «percen-tuali massime di aumento da utilizzarsi in via di c.d.personalizzazione» (14). La giurisprudenza di legit-timità ha rimarcato che i parametri delle tabelleambrosiane devono essere presi come riferimento,o quantomeno come criterio di riscontro e di veri-fica (15), da parte dei giudici di merito, risultandocensurabile in sede di legittimità, sotto il profilo

Note:

(5) Per un’analisi dei principali orientamenti giurisprudenziali inmateria di applicazione dei principi liquidatori enunciati dalle se-zioni unite del 2008 si veda A. D’Angelo-G. Comandé-D. Amram,La liquidazione del danno alla persona - Riflessioni e prospettivead un anno dalle SS.UU. nn. 26972-26975 del 2008, Il Sole 24-ore, 2010.

(6) Sui rapporti tra danno morale e danno biologico nella liquida-zione del danno non patrimoniale si veda, seppur con riferimen-to all’ambito della RC auto, M. Hazan, Danno morale e dannobiologico, regole di convivenza e RC auto, nota a Cass. civ. 17settembre 2010, n. 19816, in questa Rivista, 2011, 146 ss. L’au-tore sottolinea che «lo sforzo primario che […] si attende dal-l’interprete è proprio quello volto a selezionare e descrivere cia-scuna posta di danno al fine di chiarirne il significato intrinsecoe soprattutto il rapporto di reciproca interazione/correlazione».

(7) Più corretta risulta, invece, essere la motivazione di Trib.Brindisi, 2 febbraio 2009, in Resp. civ. prev., 2010, 637, con no-ta di Bordon; in Foro it., 2009, 5, I, 1633, che, in una fattispecieparzialmente analoga, liquida alla neonata, ritenuta invalida al100%, l’importo di euro 1.130.101,39 a titolo di danno da invali-dità permanente. La somma è poi personalizzata «alla luce del-le complessive sofferenze fisiche e psichiche che la minore hapatito e che patirà in futuro. E sul punto, tenuto conto che la mi-nore è una neonata, la quale in futuro non potrà che patire sof-ferenze sia fisiche, conseguenti alle frequenti convulsioni tipi-che dell’epilessia, e sia psichiche, conseguenti alla constatazio-ne della sua gravissima menomazione, reputa il decidente di ag-giungere alla predetta somma quella, ulteriore, di euro 100.000,importo che sommato a quello di euro 1.130.101,39 determinaun totale, al dì della decisione, di euro 1.230.101,39».

(8) Cfr. G. Comandé, Tabelle di liquidazione del danno alla per-sona e Sezioni Unite: prove di dialogo, cit., 285.

(9) Sul problema delle duplicazioni risarcitorie si veda M. Gorgo-ni, Duplicazioni risarcitorie del danno alla persona, in questa Ri-vista, 2010, 13.

(10) Espressione usata da Cass. 7 giugno 2011, n. 12408, inquesta Rivista, 2011, 939, con note di Ponzanelli, Le tabelle mi-lanesi, l’inerzia del legislatore e la supplenza giurisprudenziale edi Hazan, L’equa riparazione del danno (tra r.c. auto e diritto co-mune); in Corr. giur., 2011, 1075, con nota di Franzoni, Tabellenazionali per sentenza, o no?; in Resp. civ. prev., 2011, 2018,con nota di Ziviz, Danno non patrimoniale da lesione alla salute:la Cassazione impone una valutazione (in un duplice senso) uni-taria.

(11) Per i dati sulla diffusione delle Tabelle di Milano cfr. M. Ros-setti, Il danno alla salute, Padova, 2009, 472.

(12) Si vedano le Tabelle di Milano 2011 per il risarcimento deldanno non patrimoniale. Danno permanente da lesioni alla inte-grità psico-fisica: valori medi di liquidazione e percentuali massi-me di “personalizzazione”.

(13) Si veda, in particolare, Cass. 7 giugno 2011, n. 12408, cit. Acausa della perdurante mancata emanazione per le invalidità dal10 al 100% della “tabella unica su tutto il territorio della Repub-blica”, prevista dall’art. 138, comma 1 del codice delle assicura-zioni private, per quanto riguarda il settore dell’Assicurazioneobbligatoria per i veicoli a motore e i natanti, la Corte di cassa-zione, al fine di garantire l’uniforme interpretazione del diritto edevitare le disparità di trattamento dovute alla non omogeneitàdelle varie tabelle utilizzate sul territorio nazionale, ha fornito aigiudici un unico valore medio di riferimento da porre alla basedel risarcimento del danno alla persona, qualora la fattispecieconcreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ri-durne l’entità: il valore adottato dalle tabelle del Tribunale di Mi-lano.

(14) Cfr. più nello specifico i nuovi “Criteri orientativi per la liqui-dazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’in-tegrità psico-fisica e dalla perdita/grave lesione del rapporto pa-rentale” dell’Osservatorio per la giustizia civile di Milano, appro-vate il 12 aprile 2011.

(15) Cfr. Cass. 30 giugno 2011, n. 14402, in Resp. civ., 2011,650, con nota di Fantetti; in Corr. giur., 2011, 1081, con nota diFranzoni; in questa Rivista, 2011, 962, con nota di Arnone; in Fo-ro it., 2011, I, 2274; in Resp. civ. prev., 2011, 2025, con nota diZiviz.

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della violazione di legge, una decisione che si di-scosti dai valori ivi contenuti (16).Più articolata risulta la motivazione della sentenzain commento circa il risarcimento del danno patri-moniale: «in difetto di fonti di prova, può esserequantificato equitativamente con il ricorso al crite-rio del triplo della pensione sociale». La giurispru-denza di legittimità (17) ha ammesso che la liquida-zione del danno da riduzione della capacità di gua-dagno subita da un minore può avvenire attraversoil ricorso alla prova presuntiva e, in mancanza di ele-menti concreti di prognosi, anche attraverso il ricor-so al criterio del triplo della pensione sociale (18).La scelta tra l’uno o l’altro criterio di liquidazionecompete sempre al giudice di merito e, se congrua-mente motivata, è insindacabile in sede di legittimi-tà. Nello specifico, il tribunale barese, ricordandoche anche in sede legislativa sono stati impiegaticriteri di liquidazione analoghi (19) e ritenendo in-sussistenti i suddetti elementi, «considerata la parti-colarità del caso», ricorre al criterio del triplo dellapensione sociale, liquidando al minore la somma di478132,20. Il danno così calcolato è comprensivoanche del mantenimento.

I danni risarcibili ai genitori. Il dannonon patrimoniale

Anche i genitori devono essere risarciti per i danniloro provocati dalla nascita di un figlio in tali condi-zioni. Anzitutto vengono in considerazione i danninon patrimoniali, la cui risarcibilità in favore deicongiunti del soggetto leso è stata affermata a più ri-prese da parte della Suprema Corte (20). Prima del-la sistematizzazione operata dalle c.d. sentenza diSan Martino, la giurisprudenza di legittimità nonprese in considerazione soltanto la risarcibilità deldanno morale ai congiunti della vittima, ma si sof-fermò anche su altre circostanze in virtù delle qualipotevano presentarsi «pregiudizi ulteriori e diversirispetto alla mera sofferenza psichica» (21). In parti-colare nel maggio 2003 la Cassazione riconobbe cheil danno non patrimoniale «consistente nello scon-volgimento delle abitudini di vita in relazione al-l’esigenza di provvedere perennemente ai (nienteaffatto ordinari) bisogni del figlio» doveva «senz’al-tro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulterioreapprestata dall’art. 2059 c.c. in caso di lesione di uninteresse costituzionalmente protetto» (22). Il dan-no in questione, “etichettato” nei giudizi di merito(23) come danno esistenziale, infatti, veniva consi-derato dalla Corte come rientrante nell’ambito delrapporto parentale, tutelato dagli artt. 29 e 30 Cost.

(24). Anche in questo caso, «la figura del danno esi-stenziale era stata proposta con il dichiarato intentodi supplire ad un vuoto di tutela» (25), ma, grazie al-

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Note:

(16) Si veda Cass. 7 giugno 2011, n. 12408, cit. nella quale si af-ferma che affinché il ricorso non sia inammissibile per la novitàdella questione posta «occorrerà che il ricorrente si sia specifi-camente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazionedi legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valoridelle tabelle elaborate a Milano; e che, inoltre, nei giudizi svoltisiin luoghi diversi da quelli nei quali le tabelle milanesi sono co-munemente adottate, quelle tabelle abbia anche versato in atti».(17) Si veda in particolare Cass. 30 settembre 2008, n. 24331, inArch. giur. circ. sin., 2009, 141; cfr. anche Cass. 30 novembre2005, n. 26081, in Resp. civ. prev., 2006, 1137.(18) Per la giurisprudenza di merito, si veda, ex multis, Trib. Brin-disi 2 febbraio 2009, cit., che liquida alla neonata la somma di eu-ro 160000.(19) La sentenza fa riferimento in particolare all’art. 137 delD.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, Codice delle assicurazioni pri-vate ed all’art. 4, comma 3, della l. 26 febbraio 1977, n. 39, Con-versione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 di-cembre 1976, n. 857, concernente modifica della disciplina del-l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivantedalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.(20) Con riferimento alla risarcibilità del danno morale ai prossimicongiunti di un soggetto leso si veda, in particolare, Cass., sez.un., 1° luglio 2002, n. 9556, in Foro it., 2002, I, 3060, con nota diPalmieri; in questa Rivista, 2003, 97; in Giur. it., 2003, 1359, connota di Ortolani; in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 689, con no-ta di Favilli; in Contratti, 2002, 1150; in Dir. giust., 2002, 21, connota di Rossetti; in Giust. civ., 2003, I, 2195, con nota di Giacob-be; si vedano anche Cass. 2 febbraio 2001, n. 1516, in Giur. it.,2002, 951, con nota di Bona; in Resp. civ. prev., 2001, con notadi Favilli; in Corr. giur., 2001, 1319, con nota di Severi; in questaRivista, 2001, 643; Cass. 23 aprile 1998, n. 4186, in questa Rivi-sta, 1998, 686, con nota di De Marzo; in Resp. civ. prev., 1998,1409 con nota di Pellecchia; in Ass., 1998, 116, con nota di Tri-coli; per l’orientamento contrario, cfr., ex multis, Cass. civ. 23febbraio 2000, n. 2037, in questa Rivista, 2000, 1203, con notedi Salvatore, Palmieri; in Resp. civ. prev., 2000, 975, con nota diGaudino; in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 70 con nota di Alle-va; in Ass., 2001, 15, con nota di Farsaci.(21) Così Cass. 31 maggio 2003, n. 8827 la quale, tuttavia, nonesclude che «nell’ottica della concezione unitaria della persona,che la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possaanche essere unica». Si vedano Cass. 31 maggio 2003, n. 8827 en. 8828, in questa Rivista, 2003, 819, con note di Busnelli, Pon-zanelli, Procida Mirabelli Di Lauro; in Foro it., 2003, I, 2272 ss.,con nota di Navarretta; in Giur. it., 2004, 1129, con nota di Bona;in Corr. giur., 2003, 1024, con nota di Franzoni; cfr., altresì, Resp.civ. prev., 2003, 675, con note di Cendon, Bargelli, Ziviz.(22) Si veda Cass. 31 maggio 2003, n. 8827, cit., punto 4.5.(23) Cfr. App. Bologna 22 febbraio 2000, avverso la cui sentenzaè stato fatto ricorso per Cassazione.(24) Secondo Cass., 31 maggio 2003, n. 8827, cit., punto 4.5, in-fatti, «il riconoscimento dei “diritti della famiglia” (art. 29, comma1, Cost.) va invero inteso non già, restrittivamente, come tuteladelle estrinsecazioni della persona nell’ambito esclusivo di quelnucleo, con una proiezione di carattere meramente interno, manel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessadell’individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rappor-to parentale ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dandoanche luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati».(25) Tale espressione è utilizzata da Cass., sez. un., 11 novem-bre 2008, n. 26972, punto 3.4.

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la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059inaugurata dalle sentenze 8827 e 8828 del 2003 epoi confermata con forza e spirito ordinante dalleSezioni Unite del novembre 2008, di essa - come delresto delle altre sottocategorie del danno non patri-moniale - «non è più dato discorrere», se non in ter-mini meramente descrittivi. Recentemente, infatti,la giurisprudenza di legittimità (26), nell’affrontareun caso di illecito sanitario da cui derivi una lesionegravissima al neonato, ha dichiarato che «il dannomorale richiesto iure proprio dai genitori deve esserecomunque risarcito come danno non patrimoniale,nell’ampia accezione ricostruita dalle sezioni unite»ed il risarcimento «deve essere integrale, e tanto piùelevato quanto maggiore è la lesione che determinala doverosità dell’assistenza familiare ed un sacrificiototale ed amorevole verso il macroleso». È in questaottica che va letta la decisione del tribunale di Bariche, sforzandosi di prendere in considerazione la to-talità delle conseguenze negative che si ripercuoto-no sui genitori, liquida complessivamente il dannonon patrimoniale in euro 300000 in via equitativa.Condivisibile è, quindi, l’intento di cogliere la com-plessità del contenuto del danno, caratterizzato daun «intreccio tra sofferenza e modificazione negati-va del vivere» (27), attraverso la descrizione dei fat-tori che incidono sulle componenti emotive ed esi-stenziali del pregiudizio complessivamente subitodalle vittime (28). Nel rendere trasparente la giusti-ficazione di una tale stima equitativa, tuttavia, ilgiudice non deve cedere ad un eccessivo nominali-smo (29), che rischia di rendere artificiose le distin-zioni così operate. La sentenza, infatti, nell’indivi-duare il danno morale, evidenzia come esso derivi“dalla nascita di un bambino in tali condizioni, alquale evento essi non erano assolutamente prepara-ti”, ma poi considera nuovamente tale elementoquando afferma che i genitori abbiano diritto al dan-no da essi patito non solo per la «necessità di unacostante cura del minore» - per la quale la madre, inparticolare, è costretta a «rinunciare a qualsivogliachance lavorativa ed a rivedere qualsivoglia prospet-tiva di vita» - ma anche per «il trauma derivantedalla scoperta della condizione del figlio minore».Da qui si nota come tali incongruenze e duplicazio-ni possono essere superate soltanto da una liquida-zione integrale del danno non patrimoniale com-plessivamente subito, i cui criteri di liquidazione de-vono essere unitari e devono basarsi principalmentesu tipo e gravità dell’offesa, nonché sulle condizionioggettive del danneggiato (30), potendo - e doven-do - poi il giudice rendere il più trasparente possibi-le la logica ed i fattori che lo hanno determinato

verso una tale liquidazione (31). In quest’ambito siregistra una particolare «difficoltà di tipizzazionedelle possibili variabili nei casi concreti» (32) e lecorti di merito differiscono sensibilmente quanto ametodo ed entità della liquidazione. Le stesse tabel-le milanesi, che, come ricordato erano quelle piùstatisticamente utilizzate dalle corti e che ora devo-no essere prese come punto di riferimento a livellonazionale, individuano solo un possibile tetto massi-mo di liquidazione, pari al massimo ammontare pre-visto per le ipotesi di risarcimento del danno da per-dita parentale, «da applicare nell’ipotesi di massimosconvolgimento della vita familiare» (33), lascian-

Note:

(26) Il riferimento è a Cass. 13 gennaio 2009, n. 469, in questaRivista, 2009, 321; in Fam. e dir., 2009, 1001, con nota di Gras-so; in Giur. it., 2009, 2171. Cfr. anche Cass. 12 settembre 2011,n. 18641, in Dir. giust., 2011, 260, con nota di Ferrario; in Guidaal dir., 2011, 44, 50, con nota di Piselli.

(27) Per queste considerazioni si veda E. Navarretta, Il contenu-to del danno non patrimoniale e il problema della liquidazione, inE. Navarretta (a cura di), Il danno non patrimoniale. Principi, re-gole e tabelle per la liquidazione, Milano, 2010, 106.

(28) Da ultimo, sottolineano l’importanza della valorizzazione del-l’aspetto relazionale del danno non patrimoniale, seppur nellacornice delineata dalle Sezioni Unite del 2008, Cass. 7 giugno2011, n. 12273 e Cass. 30 giugno 2011, n. 14402, in questa Ri-vista, 2011, 959, con commento di Arnone, Umanità e tecnicanel risarcimento del danno alla persona. Si veda anche Cass. 6aprile 2011, n. 7844, in Resp. civ. prev., 2011, 1726, con nota diZiviz, La fallacia del principio onnicomprensivo.

(29) In tema si veda Trib. Brindisi 2 febbraio 2009, cit., che ha li-quidato ai genitori della neonata invalida l’importo di euro 70000a testa a titolo risarcimento del danno non patrimoniale, «con ri-guardo al suo turbamento familiare e relazionale, conseguente aldover accudire vita natural durante una figlia gravemente mala-ta, partecipando delle sofferenze conseguenti al fatto di vederlacontinuamente in uno stato di profonda prostrazione fisica, enon potendo fruire delle tipiche gioie (la scuola, gli amici, un fu-turo matrimonio, la nascita di nipotini, ecc.) connesse alla cresci-ta e alla maturità di un figlio».

(30) Il riferimento è ancora a E. Navarretta, Il contenuto del dan-no non patrimoniale e il problema della liquidazione, cit., 106.

(31) Per una riflessione sulla questione dell’autonomia ontologi-ca delle categorie descrittive del danno non patrimoniale conparticolare riferimento alla giurisprudenza di legittimità si veda L.Nocco, La giurisprudenza delle corti superiori e le novità in temadi danno alla persona, in questa Rivista, 2011, numero specialededicato a “Il danno alla persona a due anni dalle Sezioni Unitedel 2008”.

(32) Cfr. a proposito dell’ipotesi di grave lesione alla salute del fa-miliare i nuovi “Criteri orientativi per la liquidazione del dannonon patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica edalla perdita/grave lesione del rapporto parentale” dell’Osserva-torio per la giustizia civile di Milano, cit., par. 4.

(33) Così i nuovi “Criteri orientativi per la liquidazione del dannonon patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica edalla perdita/grave lesione del rapporto parentale” dell’Osservato-rio per la giustizia civile di Milano, cit., par. 4. Si osserva, comun-que, che il tetto massimo del risarcimento a ciascun genitore perla perdita/grave lesione al figlio è pari ad euro 308700, a fronte dei300000 liquidati nel caso di specie ad entrambi i genitori.

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do, comunque, al giudice ampia discrezionalità inordine all’ammontare della liquidazione in base allecircostanze del caso.

Il danno patrimoniale

Merita, infine, un ultimo accenno il risarcimentodel danno patrimoniale riconosciuto ai genitori. Iltribunale barese, infatti, individua tale pregiudizionella diminuzione di reddito derivante «dalla limi-tazione di tempo all’attività lavorativa ed alla vita direlazione», senza aggiungere ulteriori elementi. De-sta perplessità, anzitutto, come la limitazione ditempo alla vita di relazione possa rientrare nell’am-bito del danno patrimoniale, senza l’allegazione diulteriori elementi che dimostrino una effettiva per-dita pecuniaria. Questo aspetto, infatti, dovrebbe es-sere - e del resto è - ricompreso nell’ambito del dan-no non patrimoniale, ovvero il pregiudizio «deter-minato dalla lesione di interessi inerenti la personanon connotati da rilevanza economica» (34). Nelcaso in cui da ciò derivi una diminuzione di reddito,è necessario dimostrarne l’entità e soprattutto il nes-so di causalità da una circostanza siffatta, cosa chenon avviene nel caso specifico (35). Il giudice, anzi,nel passaggio successivo, considera la rinuncia allechances lavorative e la revisione delle prospettive divita nell’ambito del danno esistenziale.Per quanto riguarda, invece, la liquidazione del lu-cro cessante derivante dalla rinuncia - in tutto o inparte - alla propria attività lavorativa per dedicarsialla cura del figlio menomato, la giurisprudenza hachiarito che l’attore deve dimostrare che gli impegnidi lavoro siano incompatibili con l’assistenza presta-ta al minore e che, quindi, il pregiudizio sia «conse-

guenza immediata e diretta della grave invalidità su-bita dal familiare» (36). Il danno emergente è, infi-ne, costituito dalle spese di cura ed assistenza già so-stenute e documentate (37). A tal proposito, il Tri-bunale liquida il danno patrimoniale in euro25822,84, ovvero decide che agli attori spetti il rim-borso «di tutte le spese mediche e di altra natura so-stenute per la cura del piccolo». Non competono al-tre voci di danno, essendo ricomprese nel calcolo ef-fettuato. Il danno da lucro cessante a favore dei ge-nitori è, infatti, da ritenersi «già ricompreso nel dan-no liquidato al minore per la perdita di reddito pre-visto per il futuro, a causa delle menomazioni» (38).

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GiurisprudenzaResponsabilità sanitaria

Note:

(34) Questa è la definizione enucleata da Cass., sez. un., 11 no-vembre 2008, n. 26972, cit., punto 2.1.

(35) In tema si veda V. Ceccarelli-E. Occhipinti, Il danno patrimo-niale: danno emergente e lucro cessante dal punto di vista so-stanziale e processuale, in questa Rivista, 2011, numero specia-le dedicato a “Il danno alla persona a due anni dalle Sezioni Uni-te del 2008”.

(36) Per queste considerazioni si veda G. Facci, Lesione cagio-nata a un familiare, in I nuovi danni nella famiglia che cambia, Mi-lano, 2009, 260 ss. Per la giurisprudenza si vedano Cass. 7 gen-naio 1991, n. 60, in Foro it., 1991, I, 459, con nota di Simone; inGiust. civ., 1991, I, 3019, con nota di Fedi; in Resp. civ. prev.,1991, 446; Cass. 2 febbraio 2001, n. 1516, cit.

(37) Si veda in proposito Cass. 23 febbraio 2000, n. 2037, cit.

(38) Così G. Facci, Lesione cagionata a un familiare, cit., 262 ilquale spiega che, «infatti, l’eventuale contributo finanziario che ilfiglio, presumibilmente, avrebbe destinato per il mantenimentodei genitori, dovrebbe avere la propria fonte nel reddito da lavo-ro dello stesso, così che, se la perdita di quest’ultimo è già stataliquidata, vi sarebbe una duplicazione di risarcimento se si rico-noscesse il danno da lucro cessante anche ai genitori». In temasi veda anche Cass. 3 aprile 2008, n. 8546, in Arch. giur. circ.,2008, 631; in Guida al dir., 2008, 26, 83.

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

... Omissis...

MotivazioneCon atto di citazione ritualmente notificato, la (omissis)in liquidazione conveniva in giudizio la Banca Popolaredi Milano soc. coop. a r.l. per sentirla condannare, - pre-via declaratoria di illegittimità della capitalizzazione de-gli interessi a debito, della pattuizione di interessi ultrale-gali, delle cms e oneri vari, relativamente al contratto diconto corrente ordinario n. 1201 E (conto principale) ac-ceso in data10 novembre 1986 e chiuso in data 19 set-tembre 2001, al quale sono stati collegati dei conti anti-cipi (e segnatamente il conto corrente 8116 C c.d. contospeciale di portafoglio il 23 dicembre 1986 ed il contocorrente n. 1349 S il 23 dice1987), e di nullità delle relative clausole -, al pagamentodella somma indebitamente percepita calcolata in euro

1.350.000,000 oltre interessi e rivalutazione, nonché alrisarcimento del danno derivato alla società dall’indispo-nibilità di risorse finanziarie.La parte convenuta si costituiva in giudizio e contestavala fondatezza di quanto ex adverso dedotto in fatto e in di-ritto. In particolare sosteneva la legittimità della capita-lizzazione periodica degli interessi passivi pattuiti dalleparti e la validità della clausola di rinvio ai tassi bancaripraticati abitualmente; contestava l’ammissibilità delledomande relative alle c.m.s., alle valute, alle clausole direcepimento di accordi di cartello, all’usura e della do-manda di risarcimento del danno; eccepiva inoltre la pre-scrizione quinquennale e decennale per gli importi matu-rati anteriormente alla notifica dell’atto di citazione, laconversione della capitalizzazione trimestrale in quellasemestrale o annuale, l’irripetibilità del pagamento di in-teressi ultralegali in quanto adempimento di un’obbliga-

Responsabilità contrattuale e aquiliana

Un giudice a Lussemburgo.Proporzionalità,non discriminazione e dannonel conto corrente bancario

TRIBUNALE DI MILANO, 3 gennaio 2011 - G.U. Cozzi - Promax s.r.l. in liquidazione c. BancaPopolare di Milano soc. coop. a r.l.

La pattuizione degli interessi secondo la clausola degli usi su piazza è contraria al disposto di cui all’art. 1284

c.c. Parimenti, la pattuizione della commissione sul massimo scoperto così come convenuta non soddisfa i

requisiti di determinatezza e determinabilità. Di conseguenza quest’ultima deve essere depurata dal conto e

gli interessi devono essere calcolati al tasso legale sino al 9 luglio 1992 data a partire dalla quale saranno com-

putati al tasso sostitutivo BOT secondo le disposizioni dell’art. 117 comma 7, lett. A TUB.

La clausola della capitalizzazione trimestrale degli interessi è nulla per contrarietà all’art. 1283 c.c. per l’inesi-

stenza degli usi normativi deroganti il divieto di anatocismo. Tuttavia, in coerenza con quanto disposto dalla

Delibera CICR e preso atto dell’adeguamento della banca ad effettuare una capitalizzazione paritaria degli inte-

ressi attivi e passivi, dal 1° luglio 2000 è ammesso l’anatocismo degli interessi attivi e passivi.

La prescrizione decorre dalla chiusura definitiva del conto.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Cass., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095; Cass., sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418.

Difforme Cass. 12 novembre 2003, n. 17023; Cass. 23 novembre 2001, n. 14912; Cass. 10 ottobre 1997, n.9852; Cass., sez. un., 16 luglio 2008, n. 19499; App. Milano 10 luglio 2011, n. 3461; Trib. Milano 3 otto-bre 2009; Trib. Pescara 13 luglio 2009.

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zione naturale e concludeva chiedendo il rigetto della do-manda attorea.In corso di causa veniva espletata una ctu contabile,quindi la causa veniva trattenuta in decisione all’udienzadel 13 luglio 2010, sulle conclusioni precisate dalle particome da fogli allegati alla presente sentenza, con i termi-ni di legge per il deposito delle comparse conclusionali edelle memorie di replica.È provato documentalmente (doc. n 1, 2, 3, 4, 5 dall’at-tore) che i rapporti di conto corrente per cui è causaprevedevano, all’art. 7, due distinti termini di chiusuradel conto, a seconda dell’andamento del conto, e, se-gnatamente, la chiusura del conto debitore ogni trime-stre e creditore annualmente ed un tasso d’interesse de-bitore ultralegale determinato con riferimento agli usisu piazza (“gli interessi dovuti dal correntista all’Azienda dicredito, salvo patto diverso, si intendono determinati allecondizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sul-la piazza e producono a loro volta di interessi nella stessa mi-sura”).La capitalizzazione degli interessi è consentita nel nostroordinamento nei limiti di cui all’art. 1283 c.c., secondocui gli interessi scaduti produrre interessi dal giorno delladomanda giudiziale o per effetto di convenzione posterio-re alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi do-vuti da almeno sei mesi, e può essere derogata da usi con-trari, che si identificano negli usi normativi di cui agliartt. 1 e 8 delle preleggi.Dopo una prima ed ormai risalente impostazione, che ri-conosceva l’esistenza dell’uso normativo legittimantel’anatocismo bancario trimestrale, ormai per giurispru-denza consolidata, la capitalizzazione trimestrale degli in-teressi è un uso negoziale e non normativo, in quanto di-fetta dei caratteri della costanza, della generalità, delladurata e dell’opinio iuris ac necessitatis, che sono propridella norma giuridica consuetudinaria (cfr. Cass., sez. un.,4 novembre 2004, n. 21095).La clausola contrattuale che prevede la capitalizzazionetrimestrale degli interessi debitori è quindi nulla per con-trarietà a norme imperative.A seguito dell’intervento del legislatore, con il D.Lgs. 4agosto 1999, n. 342 e della delibera CICR 9 febbraio2000, è prevista l’ammissibilità dell’anatocismo bancarioper una serie di operazioni bancarie, tra cui i conti cor-renti, purché sia stabilita la stessa periodicità nel conteg-gio degli interessi sia debitori che creditori, secondo ilprincipio di reciprocità.Nella specie, l’adeguamento della banca convenuta alladelibera CICR è avvenuto a partire dal 1 luglio 2000, co-me accertato dal ctu (pag. 12).Accertata quindi la nullità della clausola contrattuale(art. 7) che prevede l’anatocismo, per contrarietà a nor-me imperative, nonché della prassi di capitalizzazione tri-mestrale, deve essere esclusa ogni altra capitalizzazione(semestrale o annuale) in quanto priva di qualsiasi basenegoziale (Cass., sez. un., 24418/10) e deve essere epura-to dell’anatocismo applicato dalla banca, sino all’adegua-mento alla deliberazione CICR, ossia sino al 1 luglio2000.In ordine al tasso di interesse, il contratto di conto cor-

rente bancario prevede l’applicazione di un tasso di inte-resse ultralegale determinato per relationem agli usi supiazza.A norma dell’art. 1284, comma 3, c.c., gli interessi supe-riori alla misura legale devono essere determinati periscritto e, affinché la pattuizione di un tasso di interesseultralegale sia valida, la stessa deve avere un contenutochiaro, con la puntuale specificazione del tasso di interes-se ultralegale.Nel caso in esame, è previsto un tasso di interesse ultrale-gale variabile, senza alcuna indicazione dei parametri diriferimento, se non il generico richiamo agli usi su piazza.Secondo il costante orientamento della Suprema Corte,la clausola di determinazione degli interessi con riferi-mento agli usi su piazza è nulla in quanto “perché una con-venzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sen-si dell’art. 1284, comma 3, c.c., che è norma imperativa, lastessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e con-tenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove iltasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisaindividuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazio-nale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono suf-ficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con suffi-ciente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso ri-chiamare con la loro pattuizione” (ex multis Cass., sez. I, n.17679 del 29 luglio 2009).Deve quindi essere dichiarata la nullità della pattuizionedel tasso ultralegale.Stante la nullità del tasso d’interesse pattuito, deve esse-re applicato il tasso legale, ex art. 1284, comma 3, c.c., si-no all’entrata in vigore della l. 17 febbraio 1992, n. 154(9 luglio 2002) e successivamente il tasso di cui all’art.117 TUB comma 7 lett. A, in forza della sostituzione au-tomatica della clausola nulla prevista dal Testo UnicoBancario, con riferimento al tasso BOT relativo all’annoprecedente a quello in esame più favorevole al cliente,considerando che la norma citata ha quale soggetto labanca ed i conti attivi per la banca sono quelli in cui con-cede credito al cliente {quindi lucra interessi), e i contipassivi sono quelli in cui la banca riceve in deposito som-me dal cliente {quindi paga interessi).Per quanto riguarda le commissioni di massimo scopertoapplicate dalla banca, deve rilevarsi che per la loro vali-dità è richiesta la pattuizione in una misura che soddisfi ilrequisito della determinatezza o determinabilità, nonravvisabile nei contratti prodotti.In ordine all’eccezione di prescrizione sollevata dallaconvenuta, deve richiamarsi la sentenza S.U. Cass. n.24418/10, che ha affermato il seguente principio di dirit-to “se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di cre-dito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisceper far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corre-sponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quan-to pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescri-zione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decor-re, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenzadel rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria dellaprovvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusuradel conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati”.Nella specie, i pagamenti sono stati eseguiti dal correnti-

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Il caso

Numerose sono le controversie aventi ad oggettocontratti di conto corrente di corrispondenza, sotto-scritti da imprese, cui sono collegati molteplici rap-porti costitutivi di disponibilità, quali l’apertura dicredito in conto corrente allo scoperto, anticipazio-ni in conto corrente, sconto. Contratti che, comenel caso in commento, sono regolati tutti secondo leclausole pattizie degli usi su piazza, della capitalizza-

zione trimestrale degli interessi. Nonostante la or-mai univoca giurisprudenza di Cassazione in mate-ria, multiformi sono le domande sottoposte ai giudi-ci dagli avvocati difensori, ed assai variegate sono lesentenze dei giudici di merito.

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

sta in pendenza del rapporto di apertura di credito {contianticipi) regolato sul conto corrente e devono quindiconsiderarsi atti ripristinatori della provvista, pertanto iltermine ordinario di prescrizione dell’azione di restituzio-ne delle somme indebitamente versate a titolo di interes-si anatocistici, che è decennale, trattandosi di azione diripetizione dell’indebito oggettivo, ex art. 2946 c.c., de-corre dalla chiusura del conto.Va, infine, esaminata e respinta l’eccezione di irripetibili-tà di quanto pagato in adempimento di un’obbligazionenaturale, ex art. 2034 c.c.L’operatività dell’art. 2034 c.c. richiede, infatti, la spon-taneità del pagamento da parte del debitore, ossia la vo-lontà del debitore di adempiere ad un’obbligazione natu-rale, che deve essere accertata in modo inequivoco almomento dell’adempimento e che difetta totalmente nelcaso in esame, in quanto i versamenti effettuati dal debi-tore sono stati eseguiti in adempimento di obbligazioniche consentivano l’esercizio di azioni giudiziarie da partedel creditore.Dalle ctu, le cui risultanze sono fatte proprie dal giudi-cante stante il logico ed obiettivo procedimento seguito

dal perito, considerando il conteggio che tenga conto de-gli elementi suindicati in ordine alla prescrizione ed alcalcolo degli interessi sostitutivi, l’importo dovuto è paria complessive euro 1.263.868,02; sulla somma predettamaturano gli interessi legali che sono dovuti dal giornodella domanda (ossia dal 7 gennaio 2005, data della noti-fica atto di citazione) al saldo, ex art. 2033 c.c., stante labuona fede dell’accipiens.La domanda di risarcimento del danno proposta dal-l’attore non deve, invece essere accolta, stante la ge-nericità della richiesta di risarcimento del danno, cheè fondata unicamente sull’indisponibilità delle sommeindebitamente addebitate dalla banca, e che non con-sente l’espletamento di una ctu che sarebbe esplorati-va.Ogni altra questione deve ritenersi assorbita nella deci-sione.Le spese di lite vanno poste a carico della parte convenu-ta, in quanto soccombente, e sono liquidate come da di-spositivo; le spese sostenute per la ctu sono poste intera-mente a carico della parte convenuta soccombente.… Omissis …

IL COMMENTOdi Gianni Colangelo (*)

Una banca è condannata a restituire una cospicua somma di denaro alla correntista sua cliente per aver vio-lato le norme sulla determinazione degli interessi e sul divieto di anatocismo. Nulla di eclatante avrebbe lasentenza in epigrafe se non si distinguesse più per ciò che tace o nega che per quello che riconosce e ri-stora. La domanda attorea contiene riferimenti alla infrazione delle norme sulla concorrenza e sull’usura echiede che venga riconosciuto il danno ulteriore. La sentenza tace sulle predette violazioni e nega l’ulterio-re risarcimento del danno. L’Autore si sofferma sulle conseguenze degli accordi del cartello bancario, la cuiesistenza è riconosciuta da una copiosa giurisprudenza interna e da alcune pronunce di organi comunitari.Le infrazioni delle norme antitrust, conseguenti alla distorsione competitiva, importano un esorbitante in-cremento degli interessi secondo una plurima progressione geometrica. L’applicazione di prezzi eccessivinel campo delle obbligazioni pecuniarie integra, a sua volta, la violazione delle norme sull’usura oltre alla vio-lazione dei principi di trasparenza, proporzionalità e non discriminazione statuiti dalle norme e dalla giuri-sprudenza UE. Alla luce delle obbligazioni contrattuali contratte dalla banca, e della lesione patrimoniale ri-conosciuta in sentenza, il rigetto in termini tranchant della domanda di danno ulteriore si rivela assai discuti-bile, specie se comparata al trattamento di analoghe richieste di danno soddisfatte positivamente dallo stes-so Tribunale e dalla Corte Territoriale. Si (ri)propone, pertanto, la vexata quaestio della certezza del diritto.L’Autore, infine, rileva come numerose corti di merito, incluse le più prestigiose, trascurino di considerarel’applicazione del diritto e della giurisprudenza comunitaria, situazione questa che ha provocato più volte glistrali dei giudici a Lussemburgo.

Nota:

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valu-tazione di un referee.

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Ci sia, tuttavia, consentito un inciso. Le numeroseinnovazioni legislative hanno inteso, con qualchetemperamento e con qualche contrasto con il quadronormativo sovraordinato, legalizzare le pratiche ban-carie che la giurisprudenza di Cassazione via via giu-dicava illecite. Un esempio è dato dall’introduzionedello ius variandi - il diritto della banca di variare uni-lateralmente i tassi e le condizioni in senso sfavore-vole alla clientela - introdotto con la l. n. 154/1992 econ il Testo Unico Bancario. In cosa consiste talenormativa è presto detto: nella legittimazione dellapratica degli usi piazza, seppure temperata da obbli-ghi di pubblicità. Si tenga a mente che, a voler se-guire l’andamento del mercato, l’interesse poteva es-sere vincolato all’andamento di un parametro ester-no (tasso di sconto o di riferimento BCE) ex art.1346 c.c. In modo identico il legislatore si è condot-to a riguardo del divieto della capitalizzazione trime-strale, dei tentativi di devitalizzazione delle normati-ve sull’usura e, ultimamente, intervenendo sui dirittiderivanti dall’annotazione in conto disciplinati dalcombinato disposto degli artt. 1823-1852 c.c.In realtà, il sistema bancario non si è mai curatomolto del rispetto delle norme imperative, sicché, inossequio agli accordi di cartello stipulati in ambitoABI nel 1952 e nel dicembre 1953, la pratica banca-ria è immutata. Del pari, i controllori sembrano nonaver svolto con troppa incisività e rigore il loro me-stiere. Ma contiamo di sviluppare queste analisi inaltra sede.Nel caso che ci occupa l’impresa, parte attrice, ac-quista il denaro dalla Banca per poterlo rivendere aipropri clienti. A tal fine utilizza le aperture di credi-to in conto corrente sopra menzionate per approvvi-gionarsi di denaro liquido e la forma del mutuo perpoterlo rivendere alla propria clientela. Non potreb-be esserci caso più solare atto a provare la grave e cla-morosa discrasia, in termini di trasparenza, di costieccessivi e di intrinseca usurarietà, esistente tra ledue forme di credito per come gli intermediari finan-ziari quotidianamente le praticano. Tale discrasiasfugge persino al piccolo professionista, intermedia-rio finanziario, tanto da determinarne la catastrofeeconomica. Infatti, il sistema di remunerazione delcapitale, proprio dell’apertura di credito in contocorrente, ha caratteristiche di imprevedibilità ed ec-cessiva onerosità che può valutarsi solo a posteriori.Tale sistema, abbiamo detto, è il frutto di accordi dicartello ancora vigenti che tuttora lo disciplinano.Una seconda causa di imprevedibilità è data anchedai regolamenti emanati dalla Banca d’Italia nel2003, nel 2009 e nel 2011. Anche quest’ultimoprovvedimento della Banca d’Italia prevede, in con-

trasto con la Direttiva 48/2008/CE, due indicatori dicosto ad hoc: il TAEG per le operazioni di mutuo efinanziamento e l’ISC per le aperture di credito diconto corrente (1). Di questi fatti, e delle loro con-seguenze inizia a prenderne atto, seppure timida-mente ed in modo ancora largamente incompleto, ladottrina più accorta osservando che «il calcolo delTAEG si presenta impossibile, se non in via esem-plificativa, allorché non siano riconosciute ex ante lemodalità di svolgimento del rapporto, come avvieneper le aperture di credito» (2).L’analisi della causa in epigrafe ci dimostra, inoltre,come l’ISC sia pleonastico quanto ingannevole poi-ché, nel campo delle obbligazioni pecuniarie, attribu-ti della misura dell’interesse sono l’intelligibilità (tra-sparenza), la prevedibilità e la costanza diacronica.Scrivevamo che la società attrice: a) per finanziarsiha utilizzato il credito bancario con la forma del-l’apertura credito in conto corrente, che prevedel’imputazione degli addebiti e degli accrediti fatta alcapitale, il gioco delle valute ed il doppio sistemaanatocistico degli interessi e della commissione sulmassimo scoperto (3), e b) ha prestato denaro aipropri clienti con il sistema del mutuo - che prevedeil rimborso rateale da parte del mutuatario con im-putazione del pagamento fatta proporzionalmenteagli interessi ed al capitale. Il caso che ci occupa è il-luminante poiché una volta di più ci mostra quantoincontrollabili, imprevedibili e dirompenti siano icosti del sistema remunerativo dell’apertura di cre-dito in conto corrente rispetto a quelli di un mutuorateale i cui frutti siano calcolati secondo la legge

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(1) La Banca d’Italia così si esprime a proposito del suo Provve-dimento del 29 luglio 2009 sulla Trasparenza: «Il TAEG si riferi-sce a mutui, anticipazioni bancarie, aperture di credito e altri fi-nanziamenti, compreso il credito al consumo, e l’ISC alle apertu-re di conto corrente. Il TAEG e l’ISC individuano perciò indicati-vamente il costo complessivo del prodotto, espresso in terminipercentuali, su base annua. Perché indicativamente? Perchéquesti indicatori non esauriscono tutte le voci di costo…»(http://www.bancaditalia.it/servizi_pubbl/conoscere/edufin-bi/trasparenza_2/taeg/testo.html). Peccato che, imperativamen-te, la Direttiva 40/2008/CE definisca all’art. 3 lett. i): «tasso an-nuo effettivo globale»: il costo totale del credito al consumatoreespresso in percentuale annua dell’importo totale del credito».Non vi è traccia, nella citata Direttiva, di indicatori diversi dal TA-EG. L’ISC è una creazione estemporanea, peculiare della Bancad’Italia, che non trova imitazioni, a noi note, negli altri ordina-menti.

(2) R. Basso in Aa.Vv., Diritto delle Banche e degli intermediari fi-nanziari, Padova, 2010, 865.

(3) Gianni Colangelo, Guardando troppo l’albero si perde la fore-sta:conto corrente di corrispondenza, trasparenza, concorrenzae clausole vessatorie, in Corr. giur., 2011, 410 ss.; Idem, Inte-ressi bancari e meccanismi moltiplicativi delle remunerazioni, inForo it., 2004, 3304.

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matematica dell’interesse composto. Sta di fatto chela discrasia tra i due sistemi - l’apertura di credito persovvenzionarsi dalla Banca e il sistema del mutuo arimborso rateale per riscuotere credito concesso aiproprio clienti - ha condotto la finanziaria (parte at-trice) alla estinzione dell’attività economica, nono-stante i cospicui finanziamenti profusi dai soci. Laspiegazione di tale fenomeno risiede tutta nel diffe-rente sistema di imputazione propri del mutuo e del-l’apertura di credito in conto corrente per come ilcartello bancario l’ha disegnato. A ciò si aggiunge ilfatto che nell’apertura di credito in conto correnteagiscono due meccanismi anatocistici (interessi ecms) ed il sistema delle valute.Il mutuo a rimborso frazionato può essere regolato,come per legge (art. 1283 c.c. non derogato dal D.Lgs.n. 342/1999), secondo il regime dell’interesse sempli-ce (progressione aritmetica, o lineare: 1, 2, 3, 4, 5,6…) o dell’interesse composto, seguendo l’illegale mageneralizzata prassi bancaria. Quest’ultimo regime se-gue sì la legge della progressione geometrica (o espo-nenziale: 2, 4, 8, 16…) ma i suoi effetti sui costi sonotemperati poiché ad ogni scadenza il mutuatarioestingue una porzione di debito in conto capitale epaga una quota di interesse. Di conseguenza, la basedel capitale sul quale si calcolano i frutti diminuiscecol tempo così che, giocoforza, diminuiscano anchegli interessi. Non vi curate del fatto che nell’ammor-tamento detto alla francese appaia che gli interessisiano estinti in maggior misura all’inizio del periodo.Le distribuzioni delle quote di capitale ed interesserimborsate da ciascuna, singola rata sono arbitrarie,frutto di artifizi e convenzioni, e possono essere com-putate in modi innumerevolmente diversi (4). Ciòche conta è che nel mutuo (ad interesse semplice ocomposto che sia) si ha una data definita per l’eroga-zione della somma concessa a prestito ed un numerodeterminato di pagamenti parziali atti a rimborsare ildebito originato dal capitale inizialmente prestato edalla remunerazione degli interessi corrispettivi.Al contrario, nell’apertura di credito in conto cor-rente, le imputazioni degli addebitamenti sono fatteal solo capitale. Di conseguenza, le competenze nonsono mai estinte e risiedono sempre sul conto. Siproduce, in tal modo, una plurima progressione geo-metrica che vede agire trimestralmente quattromeccanismi di incremento delle competenze: gli in-teressi che incrementano se stessi e la cms e que-st’ultima che incrementa se stessa e gli interessi.Sia i mesopotamici che gli egizi contemporanei cono-scevano la progressione aritmetica e quella geometri-ca. La matematica mesopotamica era molto più evo-luta di quella egizia. Nel papiro di Rhind (1600 a.C.),

tratto da uno precedente datato tra il 2000 ed il 1800a.C. (le cui origini, a loro volta, possono essere fatterisalire secondo alcuni Autori (5) al leggendario Im-hotep architetto e medico vissuto nel 3100 a.C.) so-no descritte sia la progressione aritmetica che quellageometrica con i suoi effetti. Euclide (IV sec. a.C.) netrattò nei libri VIII e IX degli Elementi (6).Alle vicende dell’algebra in generale e della progres-sione aritmetica, di quella geometrica, dell’interessesemplice e composto non sono estranei, da tempi as-sai remoti, gli abitanti dell’India ed i cinesi. Leonar-do Pisani, detto Fibonacci (1170-1240) nel suo LiberAbaci (7) trattò, di queste tematiche avvalendosidelle esperienze maturate nei suoi viaggi in oriente.La potenza dell’interesse composto, o della progres-sione geometrica, è nota sin dall’antichità, almenodall’epoca assiro babilonese. Esistono testi cuneifor-mi che si interrogano su quanto tempo è necessario,applicando l’interesse composto, a raddoppiare il ca-pitale prestato al 20% d’interesse (8). Il risultatotrovato è (4 - 0,213)= 3,787 anni. Qualche millen-nio più tardi Luca Paciolo espose la famosa regoladel 72: per trovare in quanto tempo raddoppia uncapitale remunerato ad interesse composto occorredividere 72 per il tasso nominale annuo (9).Oltre che sulla potenza dell’interesse composto è cru-ciale soffermarsi sulla sua controintuitività. Per effet-tuare calcoli complessi i matematici babilonesi ricor-revano alle tavole come pure per la soluzione dei pro-blemi dell’interesse composto. Commenta il Freed-man: «Compound interest - making money on inte-rest, as opposed to simple interest - was also known inantiquity, despite the fact that computing compoundinterest tables required substantial skill in financial com-puting technology. This is possibly why compound interestwas frequently outlawed and simple interest was strictlyregulated. No one wanted to participate in an activity thatthey did not understand [corsivo aggiunto]» (10).

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(4) B. Inzitari, Profilo del diritto e delle obbligazioni, Padova,2000, 366.

(5) C. Boyer, Storia della matematica, Milano, 1980, 14.

(6) Euclide, Gli elementi, Torino, I ed. 1976, ristampa 1996.

(7) È apprezzabile la traduzione in inglese del Liber Abaci a cura diL.E. Singer, N.Y., 2002. A p. 384 ss. si trovano svariate ipotesi dicalcolo di interessi su somme prese in prestito da un “Banco”.

(8) D. J. Struik, A Concise History of Mathematics, Dover Publi-cations, 1987, 29.

(9) L. Paciolo, Summa de Arithmetica, 1494, in P. Mazzoni, Com-pendio di Matematica Finanziaria, Firenze, 1953, 48. La formulaesatta è dividere 0,693 per il tasso nominale annuo.

(10) R.S. Freedman, Introduction to Financial Technology, Ox-ford, 2006, 34.

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«La conversione del debito degli interessi in debitodi capitale allo scopo di provocare la decorrenza dinuovi interessi sulla somma per tale titolo dovuta(anatocismo), fu sempre guardata con avversione dailegislatori, che a ragione vi scorsero uno degli espe-dienti più raffinati ed efficaci dell’usura, di tantomaggior pericolo per i debitori incauti, quanto mi-nore è la facilità di farsi a priori l’idea de’ suoi risul-tati disastrosi» (11).A dare un’immagine ben più possente della forza edella controintuività della progressione geometrica,vale a dire dell’interesse composto, provvede Dantenella Divina Commedia nel Paradiso al CantoXXVII, v. 91-93 (12). Per definire la dimensione el’immagine di un numero straordinariamente gran-de, egli cita la progressiva duplicazione di ciascunadelle 64 caselle della scacchiera. Immagine nata conla leggenda dell’invenzione del gioco degli scacchiforse ad opera dei cinesi o degli indiani alcune mi-gliaia di anni fa (13) e riferita anche da autori sei-centeschi come Thomas Hyde (14). La leggendaracconta che dopo aver iniziato l’imperatore a dettogioco, l’insegnante chiese un grano di frumento du-plicato e reduplicato per le 64 caselle degli scacchi.Avendo il genere umano, per istinto naturale, lapercezione della progressione aritmetica (1, 2, 3, 4,5, 6…), si avvertì come modesto l’ammontare risul-tante che è, al contrario dell’istintiva aspettativa, dicirca 18,5 miliardi di miliardi di chicchi. E poiché10 chicchi di frumento pesano un grammo, ecco che18 miliardi di chicchi pesano 1.800.000 milioni ditonnellate. Nel mondo (15) nel 2006 sono stateprodotte circa 606 milioni di tonnellate di frumen-to. Pertanto, occorrerebbero tremila anni per soddi-sfare l’apparentemente innocua richiesta di SessaAbu Dahir all’imperatore. «Suppose you deposit $11000 into a bank accountat 10% compound annual interest, which meansthat each year you will make interest on the inte-rest. In 145 years you will have over $ 1 billion - anexponential growth of 1,000,000 times. The moral:A small amount, held as a perpetual debt, quicklycompounds to astronomical amount» (16).C’è chi si esprime in modo assai più truce sull’incre-mento dei debiti dovuto all’interesse composto: «In-deed, as law of compound interest shows, such debtonly grows exponentially like a cancer» (17).Completiamo questa breve esposizione. La progres-sione aritmetica è detta lineare poiché il suo proce-dere assume la forma di una retta sul piano cartesia-no in cui, per attenerci alla materia qui trattata, inascissa corre il tempo ed in ordinata si incrementagradualmente l’interesse. Se un veicolo si muove a

velocità costante la durata del suo movimento e ladistanza che copre sono proporzionali. La costantedi proporzionalità è la velocità del veicolo o, per tor-nare alla materia finanziaria, il tasso d’interesse. Al contrario, la progressione geometrica è dettaesponenziale poiché il suo procedere disegna unacurva sul medesimo piano cartesiano, avente la con-cavità rivolta verso l’alto. In questo caso il suo pro-cedere non è proporzionale, è assimilabile a quellodi un veicolo che non procede a velocità costantema accelera il suo moto nel tempo. Nel caso di spe-cie il veicolo usato deve essere un dragster!In conclusione l’interesse semplice, al contrario diquello composto, si conforma perfettamente alla no-zione di proporzionalità.Questi riferimenti sono interessanti se raffrontati aquante volte la banca convenuta ha raddoppiato ilcapitale effettivamente prestato durante il corso delconto corrente di cui qui ci occupiamo: al 30 set-tembre 2001, data della sua estinzione, il saldo delconto secondo il CTU non è pari a zero - come cer-tificato dall’estratto conto bancario - ma è di L.2.447.189.739, pari a euro 1.263.868,02 a creditodella cliente. Da tale saldo la sentenza detrae l’im-porto degli interessi passivi per l’attrice, maturati suuna serie successiva di conti aperti e chiusi per anti-cipazioni di ricevute bancarie. È tempo di calarsi nei dettagli.

La sentenza del Tribunale di Milano

Sottoposto al giudizio del Tribunale di Milano è uncontratto di conto corrente di corrispondenza sotto-scritto il 10 novembre 1986 ed estinto il 19 settem-bre 2001. A tale conto corrente sono collegatiun’apertura di credito allo scoperto, una serie diaperture di credito per anticipazioni su RIBA ed unosconto di effetti cambiari.Il contratto di conto corrente di corrispondenza, co-me altri due contratti collegati dedicati alle antici-

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(11) Messa, L’obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano,1932, 102.

(12) «L’incendio suo seguiva ogne scintilla;/ed eran tante, che ‘1numero loro/più che ‘1 doppiar de li scacchi s’immilla». Cfr. Gian-ni Colangelo, nota a Trib. Palermo, sez. dist. Bagheria, 31 dicem-bre 2009, Giud. Ruvolo, in Corr. giur., 2011, 412.

(13) N. Ramini, Come giocare e vincere a scacchi, Milano, 1973.

(14) T. Hyde, De Ludis Orientalibus, Oxon, 1693.

(15) Atlante De Agostini, 2009, 176.

(16) M. Stamper Jd, Fruit from a Poisonous Tree, Bloominghton,IN, 2008, 110.

(17) Joseph P. Farrell, Babylon’s Banksters: The Alchemy of De-ep Physics, High Finance and ..., Feral House, 2010, 87.

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pazioni, all’art. 6 stabilisce che gli interessi, le spese,le commissioni, inclusa la commissione sul massimoscoperto e le valute, saranno «determinati alle con-dizioni praticate usualmente dalle Aziende di credi-to sulla piazza». Gli assegni pagati dalla banca sonoaddebitati sul conto del correntista con «valuta datadi emissione». Infine, le competenze passive per ilcliente saranno capitalizzate trimestralmente, men-tre gli interessi attivi per il correntista saranno capi-talizzati annualmente.I contratti delle aperture di credito, rapporti costitu-tivi di disponibilità collegati ai rispettivi conti cor-rente ed allo sconto, non sono allegati agli atti.La società attrice rileva che le clausole contrattualisono nulle per contrarietà agli artt. 1284, 1346 e1283 c.c., alla normativa sull’usura ed al TrattatoUE per violazione delle norme sulla concorrenza.Chiede al giudice che sia effettuata una consulenzacontabile al fine di accertare e compensare i saldi fi-nali, ex art. 1853 c.c., dei conti correnti di cui è cau-sa interpretando i contratti secundum legem e di ri-fondere il danno ulteriore causato dalla condottadella banca. A tal fine invoca la necessità di unaconsulenza tecnica d’ufficio che accerti la durata ef-fettiva di tutti i rapporti di conto corrente di cui ècausa; che determini il saldo capitale tempo pertempo determinatosi sui vari conti corrente al nettodella capitalizzazione di interessi, spese, commissio-ni e valute; che riaccrediti sul conto corrente di cor-rispondenza i maggiori interessi addebitati sulle ope-razioni di sconto; che calcoli gli interessi legali a ca-pitalizzazione semplice sui saldi giornalieri determi-nati ex 820 c.c.; che determini il TEG ai sensi dellal. n. 108/1996; che quantifichi, in base alla redditi-vità provata dai bilanci fiscali allegati in atti, il mag-gior danno subito dall’attrice sia per aver subito unillecito drenaggio di liquidità, sia per non aver potu-to utilizzare le aperture di credito cui la banca si eraobbligata ex artt. 1842 e 1843 c.c.La banca convenuta chiede di dichiarare inammissi-bili le domande avversarie o di operare la conversio-ne della capitalizzazione da trimestrale a semestraleo, in subordine, annuale; di limitare la condanna diessa banca per il solo periodo di cinque anni o, in su-bordine, di dieci anni dalla notifica dell’atto di cita-zione a causa dell’intervenuta prescrizione; di limi-tare tale condanna al solo surplus determinato dal-l’anatocismo degli interessi ai tassi applicati dallabanca nei periodi non soggetti a prescrizione.Il giudice adito, dopo aver respinto l’eccezione diprescrizione richiamandosi a Cass., sez. un., n.24418/2010, stabilisce che gli interessi a capitalizza-zione semplice devono essere calcolati al tasso lega-

le e a capitalizzazione semplice ex art. 1284 c.c. sinoall’entrata in vigore della l. n. 154/1992. Da questadata, in base al principio dello ius superveniens e aquanto stabilito dall’art. 117, comma 7, gli interessidevono calcolarsi, a capitalizzazione semplice, al tas-so BOT (18). A partire dal 1° luglio 2000, stantel’adeguamento della banca convenuta al dispostodella Delibera CICR del 9 febbraio 2000, gli interes-si dovranno essere capitalizzati trimestralmente(19). La commissione sul massimo scoperto non de-ve essere corrisposta. La sentenza tace sulla solleva-ta questione del sistema delle valute e delle altrespese e commissioni, tutte addebitate ma non con-venute. Valute e spese i cui oneri non si è disposto diespungere dal ricalcolo del saldo. Tace anche sullarichiesta di determinazione del TEG, ai sensi della l.n. 108/1996 e sul motivo per il quale non è stato am-messo il relativo quesito. La sentenza tace anche sul-la questione del riaccredito di quanto dovuto ex lege,ad integrazione delle minori somme accreditate inseguito allo sconto di effetti cambiari in conseguen-za dell’applicazione di interessi ultra legali non pat-tuiti. Nel corso del processo il magistrato aveva de-cretato di non doversi disporre quesito idoneo a ri-computare nel saldo del conto tali somme per caren-za della domanda attorea, ma, essendo stato talepunto articolatamente discusso tra le parti nella faseconclusiva del procedimento, la questione non rie-merge nella sentenza che si limita ad ignorarla. Ladomanda attorea di risarcimento del danno è respin-ta poiché generica e «fondata unicamente sull’indispo-nibilità delle somme indebitamente addebitate dalla ban-ca, e che non consente l’espletamento di una CTUche sarebbe esplorativa [corsivo aggiunto]».

La rilevazione del TEG prescrittadalle disposizioni sull’usura e dal dirittocomunitario

Richiamando nell’esposizione in diritto la violazio-

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(18) La decisione ci pare errata visto il disposto del comma VI art.161 TUB che dispone: «I contratti già conclusi e i procedimentiesecutivi in corso alla data di entrata in vigore del presente de-creto legislativo restano regolati dalle norme anteriori». Di con-seguenza, nel caso specifico occorre applicare i tassi legali poi-ché il contratto è stato stipulato in data anteriore.

(19) State l’abrogazione operata dalla Consulta del comma 3 del-l’art. 25 D.Lgs. 4 agosto 1999 n. 342 e stante l’impossibilità di di-mostrare detto adeguamento in un conto stabilmente scopertola decisione ci pare errata. In presenza di una clausola nulla perpotersi applicare il nuovo regime permesso dal comma 2 dell’art.25 D.Lgs. 4 agosto 1999 n. 342 occorreva stipulare un nuovocontratto. Cfr. Gianni Colangelo, nota a Trib. Palermo, cit., 421ss.

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ne delle norme sulla concorrenza concernenti l’ac-cordo sulla capitalizzazione trimestrale delle compe-tenze, la commissione sul massimo scoperto ed il si-stema delle valute, la parte attrice chiede al giudicedi accertare l’entità degli interessi richiesti in rap-porto al capitale prestato dalla banca onde even-tualmente applicare le sanzioni previste dalla l. n.108/1996. Tale richiesta è stata reiterata nella me-moria ex art. 183 c.p.c. Il giudice ha però negato cheal CTU fosse rivolto il quesito per accertare l’entitàdel TEG applicato dalla banca al cliente.Constatiamo che molte corti di merito non accolgo-no la richiesta di rilevazione del TEG ai sensi delledisposizioni sull’usura e la stragrande maggioranza diesse semplicemente trascura di giudicare sulla viola-zione delle norme comunitarie in materia di concor-renza in campo bancario. Eppure la questione del-l’usurarietà dell’apertura di credito in conto corren-te e quella della violazione delle norme sulla con-correnza sono strettamente interconnesse. Infatti,gli artt. 101 e 102 TFEU vietano le intese restrittivee l’abuso di posizione dominante (che può aversi at-traverso l’intesa) in forma di applicazione di prezzieccessivi alla clientela. Nel campo delle obbligazio-ni pecuniarie il prezzo eccessivo è costituito dall’in-teresse usurario.L’interconnessione tra il verificarsi di intese restrit-tive e l’esito dell’usurarietà del contratto è evocatadalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenzadel 16 marzo 1999 n. 2374 (20), confermata daCass., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095 (21). Es-sa statuisce che la capitalizzazione trimestrale dellecompetenze è il frutto di un accordo di cartello risa-lente al 1952 e che le condizioni imposte alla clien-tela sono «insuscettibili di negoziazione individualee la cui sottoscrizione costituisce al tempo stessopresupposto indefettibile per accedere ai servizi ban-cari».Eppure è la stessa ABI a denunciare nel 1984, difronte alla Commissione CE, la vigenza di una seriedi dieci accordi e di cinque raccomandazioni con-clusi su intervento dell’associazione - in realtà al-trettanti punti di un unico accordo chiamato con-venzionalmente “Cartello” (22) - tra i quali il siste-ma delle valute e la commissione sul massimo sco-perto (23). Accordi, questi ultimi, che non sonostati mai dismessi e che non comprendono le Nor-me Bancarie Uniformi, condizioni contrattuali uni-formemente applicate che hanno conseguenza di-retta sui costi ricadenti sulla clientela. Eppure laDecisione 87/103/CEE ci dipinge l’Abi come un’as-sociazione d’imprese tightly structured tanto che adessa devono aderire il 100% delle banche operanti

in Italia. Infatti, «Le banche estere con sede in Ita-lia se desiderano beneficiare dei servizi offerti dal-l’ABI debbono aderirvi. In quanto membri esse fir-mano gli accordi non appena la loro attività siestende ai settori disciplinati dagli accordi». Questirilievi sono tuttora validi: si rammenti il caso Ban-coposta (24) ed il caso delle banche estere che han-no acquisito banche italiane e che ne hanno mu-tuato le pratiche commerciali precedenti la loro ac-quisizione.Vi sono tutte le premesse perché la fattispecie dellarestrizione della concorrenza prevista e vietata dal-l’art. 101 TFEU comprenda tra i suoi effetti l’appli-cazione di prezzi eccessivi e le condizioni contrat-tuali non trasparenti (25) e tutte le altre patologievietate dall’art. 102 TFEU (26).Ciò corrisponde ai dati accertati, seppure parzial-mente, dal CTU, secondo il quale il conto correntedi corrispondenza principale inizia a correre il 22 di-cembre 1986 e dal III trimestre 1989 è sempre in at-tivo. In sintesi, il rapporto ha avuto una durata do-cumentata di 5.385 giorni durante la quale è statoscoperto in linea capitale (art. 820 c.c.) 899 giorni.

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(20) In Foro it., 1999, 1158 ss. ed in Corr. giur., 1999, 562 ss.,con nota di V. Carbone.

(21) In Foro it., 2004, 3294 ss., con note di A. Palmieri e R. Par-dolesi, Gianni Colangelo, F. Ferro-Luzzi.

(22) M. Biscaini Cotula, Il cartello bancario in Italia. Condizioni enorme per le operazioni e i servizi di banca, Bollettino della Ban-ca d’Italia, luglio-dic.1980, Anno 35°, n. 3-4, 375.

(23) Decisione della Commissione del 12 dicembre 198687/103/CEE. in GUCE n. L 043 del 13 febbraio 1987, p. 51.

(24) Sino al 2001 Bancoposta non poteva negoziare assegni ban-cari e poteva accettare nelle sue ATM (Automatic Teller Machi-ne) solo i Postamat ma non i Bancomat del circuito bancario. Do-po un esposto presentato alla Commissione CE, Bancoposta fuammessa a partecipare alla stanza di compensazione ed al cir-cuito bancario dei Bancomat purché adeguasse alcune sue pra-tiche commerciali quali l’imposizione del sistema delle valute al-la clientela.

(25) Sentenza Causa C-179/90 Porto di Genova, punti 18-20 eSentenza Causa C-333/94 Tetrapak, punto 37.

(26) La dottrina più attenta (R. Pardolesi, Parallelismo e collusio-ne oligopolistica: il lato oscuro dell’antitrust, in Il Foro, 1994, IV,65) tende a attribuire al costituirsi di un cartello con funzione oli-gopolistica o, come nel nostro caso, monopolista l’effetto di li-mitare la concorrenza (relegata ad un ruolo residuale), gli sbocchial mercato, l’evoluzione tecnologica, la pratica di prezzi elevati edi condizioni contrattuali non trasparenti. In altri termini, l’infra-zione dell’art. 101 TFEU è foriera dell’integrazione delle patolo-gie vietate dall’art. 102 TFEU. Successivamente, l’art. 3 del Re-golamento 1/2003 CE del 16 dicembre 2002, sembrerebbe se-guire tale logica, ponendo l’applicazione degli art. 101 (ex 81TCE) e 102 TFUE (ex 82 TCE) in alternativa tra loro. Di qui la pre-ferenza a perseguire l’iter logico dell’integrazione della violazio-ne dell’art. 101 TFEU con il conseguente corredo di conseguen-ze relative alle condotte censurabili ricadenti nelle fattispecie de-scritte dall’art. 102 TFEU.

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Dunque, la banca addebita interessi non in presenzadi un suo credito, ma di un suo debito.In dottrina l’interesse è stato sempre ritenuto usura-rio «quando presenta un notevole eccesso che nonrappresenta una controprestazione bensì un lucroindebito, senza legittima causa. È cotesta sproporzio-ne, giuridicamente rilevante, che rivela l’usura»(27), oppure quando «esprime costantemente unarealtà in cui l’acquisizione dei vantaggi avviene daparte di chi non ha titolo per conseguirli» (28).Analogamente, secondo la giurisprudenza, «l’inte-resse diventa usurario quando non ha una contro-prestazione corrispondente» (29).Il conto corrente di corrispondenza, scrivevamo, hauna durata di 5.385 giorni, pari a quasi 15 anni(14,75). Durante questo periodo, secondo le certifi-cazioni degli estratti conto bancari, il conto sarebbestato scoperto per 5.275 giorni, durante i quali labanca avrebbe prestato mediamente L. 374.089.814.Poiché l’ammontare delle competenze addebitate(interessi + cms + valute + spese) è stato di L.821.017.877, il tasso effettivo globalmente applica-to al termine del finanziamento o, per meglio dire,alla chiusura del conto sarebbe del 15,19%. Secon-do le risultanze appena esposte ci troveremmo dun-que, al pari del Re persiano, di fronte ad una richie-sta d’interessi, al tasso del 15,19%, non palesementeabnorme.Purtroppo la realtà effettuale del sistema di remune-razione del credito messo in opera dalla banca mo-stra dati ben diversi. Operando in modo inverso daquello dall’intermediario finanziario, che capitalizzatrimestralmente gli interessi, cms, spese e valute -vale a dire depurando i saldi di tutte le capitalizza-zioni di competenze succedutesi nel tempo - otterre-mo i saldi di capitale netto di giorno in giorno a de-bito o a credito tra le parti (art. 820 c.c.). In tal mo-do si constata che la banca ha prestato L.258.355.920 (somma effettivamente messa a dispo-sizione dall’istituto) che sono stati utilizzati per 899giorni. Tale prestito, come abbiamo appena visto, ècostato (competenze addebitate dalla banca) L.821.017.877. Il che determina un tasso effettivo nondel 15,19% ma del 129,02% richiesto con la estin-zione del conto.Altri rilievi ci rivelano la sproporzione tra la presta-zione (l’apertura di credito in conto corrente) ed ilsuo corrispettivo. Secondo gli estratti conto banca-ri, i giorni in cui il conto è stato attivo per il clientesono pari a 110, per un credito medio di L.8.081.925 che ha fruttato interessi per complessiveL. 1.275.882. Depurando il conto da tutte le capita-lizzazioni delle competenze, invece, risulta che i

giorni durante i quali esso è stato in attivo per lacliente sono 4.497 e lo è stato di una somma mediapari a L. 1.363.325.541.Poniamo alcuni, ulteriori elementi di riflessione de-sunti dai dati appena esposti. I giorni di passivo per lacliente, secondo la banca, sono 5,87 volte maggioridi quelli in cui il conto è stato effettivamente in passi-vo. I giorni in cui il conto è stato effettivamente atti-vo per l’attrice sono 40,88 volte maggiori di quellicertificati dalla banca. L’attivo medio effettivo per lacliente è 168,69 volte maggiore di quello risultantedagli estratti conto. Infine, i numeri debitori (capita-li prestati x giorni di impiego) desunti dagli estratticonto sono 8,5 volte maggiori di quelli effettivi.Possiamo già trarre alcune conclusioni. La praticadell’interesse capitalizzato o composto, calcolatocon la progressione geometrica, non ha nessuna giu-stificazione: né economica, né giuridica, né etica.Non ha alcuna giustificazione economica, potendo-si raggiungere i medesimi risultati reddituali seguen-do la legge dell’interesse semplice e dichiarando iltasso effettivo che si vuole applicare, nel nostro casoil 129,02% per una durata del rapporto pari a 5.385giorni. Non ha una giustificazione giuridica poichécontrario ai principi generali della trasparenza, dellaproporzionalità e della non discriminazione sanciti daiTrattati e dalla giurisprudenza della Corte di Giusti-zia UE. Non ha una giustificazione etica poiché ilsolo fine dell’interesse composto, caduta la giustifi-cazione economica, è quello di occultare i reale co-sto della prestazione.Infine, è qui dimostrato, un interesse calcolato se-condo la pura progressione geometrica è intrinseca-mente sproporzionato e, quindi, usurario (30).

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(27) V. Manzini, Trattato di Diritto Penale, Torino, 1984, 890.

(28) Violante, Il delitto di usura, Milano,1970, 128.

(29) Cass. pen. 17 giugno 1986, n. 1207, Sarachella, in Riv. pen.,1987, 1020; Cass. pen. 27 gennaio 1987, Luci, in Riv. pen., 1988,655; Cass. pen. 27 febbraio 1995, Loizzi, in Dir. proc. pen.; 1995,1282; Cass. pen. 30 ottobre 2008, n. 44899.

(30) Così Cass. 16 marzo 1999 n. 2374: «Le finalità della norma(contenuta nell’art. 1283 C.c.) sono state identificate, da una par-te, nell’esigenza di prevenire il pericolo di fenomeni usurari, e,dall’altra, nell’intento di consentire al debitore di rendersi contodel rischio dei maggiori costi che comporta il protrarsi dell’ina-dempimento (…) Finalità, va anche detto, che lungi dall’apparireanacronistiche, per quanto riguarda gli intenti antiusurari, sono digrande attualità, perché la lotta all’usura ha trovato in tempi re-centi nuove motivazioni e nuovi impulsi e ha portato all’approva-zione della legge 7 marzo 1996 n. 108, che ha radicalmente in-novato la disciplina esistente, rendendo più agevole l’applicazio-ne di sanzioni penali e civili (con la modifica del 2° comma del-l’art. 1815 C.c.), anche con l’introduzione di un meccanismosemplificato di accertamento della materia usuraria degli inte-ressi, consistente nel mero superamento obiettivo di un tasso-soglia determinato dal Ministro del tesoro per ogni trimestre».

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I principi di proporzionalità,non discriminazione e trasparenza nell’UE

Il principio di proporzionalità ha la sua origine dallagiurisprudenza della Corte di giustizia comunitaria.Già espresso incidentalmente nella sentenza Fédéra-tion Charbonnière de Belgique (31) in applicazionedel Trattato CECA, il principio è esplicitamenteenunciato nella sentenza Koester (32) e ha una du-plice funzione. Esso agisce come regolatore dell’azio-ne delle istituzioni comunitarie e regolatore del-l’azione degli Stati membri quando ad essi è richie-sto di attuare i diritti e le libertà statuite dal dirittocomunitario (33). Il principio di proporzionalità as-surge, innanzitutto, alla funzione di parametro di va-lidità degli atti di diritto comunitario derivato. Essoè utilizzato affinché le autorità adempiano all’obbli-go di «vegliare, nell’esercizio dei loro poteri, affin-ché gli oneri imposti agli operatori economici nonoltrepassino ciò che è necessario per raggiungere gliobiettivi che sono tenute a realizzare» (34). Secon-dariamente, assurge a criterio di valutazione della le-gittimità della condotta di uno Stato membro, la cuiazione risulta limitata dal parametro della proporzio-nalità (35).Il principio di proporzionalità si pone fra i principigenerali del diritto comunitario che, secondo laCorte di giustizia lussemburghese, è informato suiprincipi dello stato di diritto (36). Posizione, questa,accolta nel trattato di Amsterdam, che precisa le di-sposizioni dell’articolo 6 (ex articolo F) del trattatosull’Unione europea proclamando che l’Unione sibasa sui principi della libertà, della democrazia, delrispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-mentali, nonché dello Stato di diritto, principi comu-ni a tutti gli Stati membri.Al principio di proporzionalità la giurisprudenza co-munitaria ha attribuito la natura di norma giuridicavincolante e di applicazione diretta da parte del giu-dice nazionale che è tenuto a disapplicare le normenazionali che sono in contrasto con esso e a rilevared’ufficio la sua infrazione. In altre parole esso è so-vraordinato, orizzontale, immediatamente applicabi-le. Tale giurisprudenza ha, infine, elevato il principiodi proporzionalità al rango di norma costituzionale,quale elemento regolatore che estende il suo campod’azione anche sull’attività legislativa comunitaria.La prima conseguenza di quanto appena illustratosulla specifica fattispecie che stiamo trattando è cheuno stato dell’Unione europea può regolare le moda-lità con le quali disciplinare la percezione dei corri-spettivi da parte dell’industria dei fornitori dei servi-zi finanziari (forma dei contratti, ius variandi, ecc.)

ma non può legiferare in modo tale da attribuire adun intero settore industriale il diritto di imporre allaclientela condizioni economiche che siano affette dadue patologie. La prima è l’asimmetria informativa,che consente ai professionisti del credito e dei servi-zi finanziari in genere di imporre sistematicamente emassivamente contratti i cui reali ed effettivi onerisiano occultati al suo contraente (che a causa di ciòè definito “debole”). Secondariamente, che sia con-sentito a detta industria, e solo ad essa, di imporrecontratti di massa contenenti condizioni economi-che sproporzionate, che tendano a trarre dalle pro-prie prestazioni un profitto ingiustificatamente esor-bitante ed arrecanti un grave nocumento economicoa tutti gli utenti, siano essi consumatori o meno. Pa-rimenti, il magistrato, in ossequio al principio di pro-porzionalità, è tenuto a disapplicare tutte quelle nor-me che determinino o favoriscano il conseguimentodi un profitto eccessivo dalle obbligazioni pecuniarie(v. art. 25, comma 2, D.Lgs. n. 342/1999) ed inter-pretare le norme che temperano il divieto di doman-dare e riscuotere interessi usurari (v. l. n. 24/2001)nel senso che non ledano il principio di proporziona-lità. Viceversa, il magistrato è tenuto viepiù a far ri-spettare quelle norme che sanzionino la sproporzionedelle prestazioni, quali la l. n. 108/1996.Il principio di proporzionalità nella giurisprudenzaeuropea è citato sovente unitamente al principio dinon discriminazione. Anche tale principio si pone frai principi generali del diritto comunitario, ed ha ef-ficacia diretta ed orizzontale. Esso è ora dichiaratodall’art. 1 bis TUE.Tuttavia, la giurisprudenza della Corte del Lussem-burgo ha statuito tale principio anche in riferimentoalle imprese o al rapporto tra imprese e consumatori(37). Esso è richiamato, ad esempio, dalla sentenzaC-213/07, Michaniki che riporta quanto stabilitodall’art. 6 Direttiva 93/37: «Le amministrazioni ag-giudicatrici provvedono affinché non vi siano di-scriminazioni tra i vari imprenditori». E la sentenzarelativa alla Causa C-389/08 Base NV-Belgacom af-

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(31) Causa C-8/55, sentenza della Corte del 29 novembre 1956.

(32) Causa C-25/70, sentenza della Corte del 17 dicembre 1970.

(33) L. Azzena, L’integrazione attraverso i diritti, Torino, 1998,120.

(34) Causa C-5/73, Balkan, punto n. 3 della massima; Causa C-122/78, Buitoni.

(35) Causa C-21/03, Fabricom, Causa C-213/07, Michaniki.

(36) Causa C-19/61 Mannesmann, Causa C-265/87, Schraeder.

(37) Causa C-5/73, Balkan, punto n. 5 della massima, C-265/87,Schraeder, punti n. 3 e 26.

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ferma, al punto 33, l’imperatività del «rispetto deiprincipi di obiettività, trasparenza, non discrimina-zione e proporzionalità» e l’esigenza di «limitare ledistorsioni del mercato tutelando nel contempo l’in-teresse pubblico».Ultima ma non meno importante è la storica statui-zione contenuta dalla sentenza della Corte del 14 lu-glio 1981, nella Causa C-172/80, Zuechner, nellaquale si statuisce che «Le banche commerciali sonoimprese ai sensi dell’art. 85, n. 1, del Trattato» e per-tanto non godono di nessuna esenzione o tratta-mento privilegiato quali quelli previsti dallo statusdi imprese «incaricate della gestione di servizi d’in-teresse economico generale» in riferimento all’allo-ra vigente § 2 dell’art. 90 del Trattato CE. In termi-ni poveri: le banche commerciali sono imprese co-me tutte le altre e godono degli stessi diritti e sonosoggette ai medesimi doveri.È ben evidente, da questa breve esposizione, che lenorme speciali contenute nell’art. 25, comma 2,D.Lgs. n. 342/1999 e nella Delibera Cicr 9 febbraio2000 derogano alla norma imperativa contenuta nel-l’art. 1283 c.c. che vieta l’anatocismo e, dunque, lapratica dell’interesse composto, a solo favore degliintermediari finanziari. Tutti gli altri soggetti econo-mici sono impediti dall’esercitare la pratica commer-ciale dell’interesse composto (anatocismo) nei con-fronti di terzi ma, e qui sta la discriminazione, sonocostretti a subirla dall’industria del credito. Per sog-getti economici intendiamo imprese, consumatori edenti pubblici. Ciò è in patente contrasto con i prin-cipi di proporzionalità e non discriminazione innan-zi illustrati. Di conseguenza, è nostra convinzione, lenorme appena citate sono illegali ed in patente con-trasto con i principi fondanti dell’UE. Sia detto perinciso, la prescrizione della parità di cadenza di capi-talizzazione tra interessi attivi e passivi stabilita dalcomma 2 D.Lgs. n. 342/1999 è puro fumo negli oc-chi. Infatti, a) le banche capitalizzano trimestral-mente interessi + cms + valute + spese (che si incre-mentano vicendevolmente secondo le modalità de-scritte) mentre i clienti capitalizzano solo gli interes-si attivi artificiosamente diminuiti dal sistema dellevalute e b) gli interessi attivi capitalizzati per il clien-te sono fissati in decimi di tasso percentuale, così tra-scurabili da essere definiti da fonti altamente credibi-li “bagatellari” (38). Queste considerazioni sono su-perflue appena si osservi che il correntista stipula ilcontratto dell’apertura di credito in conto correnteevidentemente per finanziarsi. Se il correntista è unimprenditore ciò vale a maggior ragione perché l’in-tendimento, in tal caso, è quello di farne un uso in-tensivo. Altrimenti, se intendesse tenere il conto in

attivo stipulerebbe un contratto di deposito in contocorrente. Alla luce di queste elementari osservazioni,il fumo negli occhi diventa accecante: se il legislato-re intendeva riequilibrare in tal modo i contratti dicui all’art. 1852 c.c. non poteva essere più beffardo.Ne consegue, di nuovo, per tornare al caso specificoche qui ci occupa, che il magistrato è tenuto a di-sapplicare le leggi configgenti con i principi di pro-porzionalità e di non discriminazione

La giurisprudenza di Cassazionee la giurisprudenza UE: l’obbligo di rilevareil TEG e le condotte anticoncorrenziali

Il solo dato, seppure monco del mancato riaccreditodegli interessi illecitamente percepiti sugli scontidegli effetti, fornito dal CTU che a fronte di L.1.736.208.003 di frutti addebitati dalla banca ne ri-conosce solo L. 45.074.649 doveva ictu oculi convin-cere il magistrato della sproporzione tra la prestazio-ne ed il suo corrispettivo e ad ordinare un’indaginesull’usurarietà del contratto chiedendo al CTU laquantificazione del tasso globalmente applicato(TEG) dalla banca. Nel campo delle obbligazionipecuniarie, abbiamo visto, la violazione del princi-pio di proporzionalità e la distorsione anticompetiti-va che impone prezzi eccessivi ha due effetti. Il pri-mo è la conseguenza civilistica della nullità del con-tratto a valle. Il secondo è la conseguenza penaledell’usura.La giurisprudenza di Cassazione, prima dell’emana-zione del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertitonella l. n. 24/2001, statuisce (Cassazione 17 novem-bre 2000 n. 14899): «Sulla base del contratto di mu-tuo acquisito agli atti (…) la Corte di merito non po-teva escludere radicalmente la rilevabilità d’ufficio delladedotta nullità della clausola relativa agli interessi,sol perché la pattuizione era intervenuta in epocaantecedente all’entrata in vigore della l. n. 108 del1996: al contrario, avrebbe dovuto verificare se dettanullità sussistesse o meno, correlando il convenutotasso degli interessi alla nuova normativa in tema dimora. Ciò non ha fatto, di talché, in accoglimentodel ricorso nei limiti precisati, la sentenza impugna-ta va cassata con rinvio ad altro giudice (…) [corsi-vo aggiunto]».Dopo l’adozione della l. n. 24/2001, la Cassazione 23novembre 2001, n. 14912 così si esprime: «Com’ènoto, l’art. 2 di tale legge ha stabilito i criteri per la

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Nota:

(38) A.A. Dolmetta, Prescrizione e «operazioni bancarie in contocorrente»: sul comma 61 della legge n. 10/2011, inwww.IlCaso.it, II, 239/2011.

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determinazione del tasso massimo d’interesse chepuò essere praticato. Tale indagine avrebbe dovuto es-sere svolta dal giudice di merito anche d’ufficio, trattan-dosi di norme di ordine pubblico la cui eventuale viola-zione va rilevata anche senza che vi sia stata una esplici-ta richiesta della parte interessata [corsivo aggiunto]».La Cassazione 22 luglio 2005 n. 15497 confermaquanto deciso il 22 dicembre 1998 dal Tribunale diBologna che nel merito «rilevò la nullità della clau-sola relativa al pagamento della commissione di mo-ra del 5% sul massimo scoperto per ogni mese o fra-zione di esso, sebbene la fattispecie fosse maturataanteriormente alla legge 7 marzo 1996 n. 108 e fos-se quindi soggetta alla legge anteriore, stanti la rile-vabilità d’ufficio delle nullità contrattuali, la contrarietàall’ordine pubblico della pattuizione degli interessi usura-ri, penalmente punita, e il carattere usurario (…) dellaclausola che prevedeva un interesse ulteriore, rispet-to a quello del 3% sui titoli insoluti, del 5% per ognimese o frazione di mese di ritardo nel pagamento[corsivo aggiunto]».La Cassazione 14 dicembre 2007 n. 26262, dopo averrichiamato «le seguenti norme: l’art. 644 c.p. (…); ilD.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, convertitonella L. n. 24 del 2001(…); la l. n. 108 del 1996, art.2, (…); l’art. 1815 c.c., comma 2, [osserva che], nelquadro di queste norme, risulta palese che, avendogli appellanti evocato la nullità della clausola con-cernente la disciplina degli interessi per contrarietàcon una norma penale, ai sensi dell’art. 1418 c.c., eraastrattamente sussistente la seconda delle due eccezio-ni sopra indicate, con la conseguenza che la pronun-cia ha erroneamente ritenuto che la stessa non potesse es-sere fatta valere dai ricorrenti e che fosse irrilevante l’ac-certamento chiesto sul punto e, quindi, in questa partela sentenza deve essere cassata [corsivo aggiunto]».È scontato, in coerenza con tale giurisprudenza diCassazione, concludere che il magistrato avrebbedovuto disporre la rilevazione del tasso effettiva-mente applicato secondo la successione delle leggi,ricorrendo i requisiti per ritenere il rapporto usura-rio anche per il periodo anteriore alla vigenza dellal. n. 108/96.

Sul danno

Abbiamo in precedenza riferito che la sentenza re-spinge in termini tranchant la domanda attorea di ri-sarcimento del danno poiché generica e «fondata uni-camente sull’indisponibilità delle somme indebitamenteaddebitate dalla banca, e che non consente l’espleta-mento di una CTU che sarebbe esplorativa [corsivoaggiunto]».

Preliminarmente osserviamo che la domanda for-mulata dalla parte attrice nell’atto introduttivo nonrisulta affatto essere generica e se lo fosse lo sarebbeal pari delle altre ritenute valide dal giudice. Ai sen-si dell’art. 163 c.p.c. l’atto di citazione deve conte-nere, come prescritto al comma III, «la determina-zione della cosa oggetto della domanda» ed al com-ma IV, «l’esposizione dei fatti e degli elementi di di-ritto costituenti le ragioni della domanda, con le re-lative conclusioni».Entrambi i requisiti appaiono soddisfatti. Infatti,l’attrice chiede di condannare la banca al risarci-mento di tutti i danni che alla stessa sono derivatiper non aver potuto disporre di maggiori risorse fi-nanziarie da profondere nell’esercizio della propriaattività imprenditoriale. Tale formulazione pare pre-cisa e circostanziata e per nulla generica. In realtà le caratteristiche della domanda formulatasul danno portano ad escludere, in coerenza conquanto statuito dalle Cass. n. 17023/2003 e Cass. n.29241/2008, che «l’oggetto della domanda risultiomesso o anche solo assolutamente incerto, onde nepossa derivare la nullità della citazione ai sensi delcitato quarto comma dell’art. 164 c.p.c. [corsivo ag-giunto]» (39). Di conseguenza la sentenza, standoalle evidenze, avrebbe dovuto articolatamente moti-vare il giudizio di genericità della domanda che ap-pare, così come è stato formulato, viziato da apodit-ticità.Occorre, per completezza di esposizione, precisareche la banca non ha mai contestato i fatti dedotti edallegati sull’an, né ha mai sollevata alcuna eccezionedi prescrizione in merito al danno ulteriore. Elemen-to, questo, non trascurabile dal momento che la re-cente ed unanime giurisprudenza di Cassazione at-tribuisce alla non contestazione il valore di fatto pa-cifico (40).

Danno e responsabilità 3/2012 325

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(39) Cass. 12 novembre 2003, n. 17023 (in Foro it., 2004, I, 410)nella quale si reperisce anche: «La nullità della citazione per di-fetti attinenti all’enunciazione del petitum si produce, però, soloquando questo sia stato del tutto omesso o sia assolutamenteincerto (art. 164, comma 4, c.p.c.). (…) Occorre anzitutto tenerconto che l’identificazione dell’oggetto della domanda va opera-ta avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’at-to di citazione e dei documenti ad esso allegati; in secondo luo-go che l’oggetto deve risultare “assolutamente” incerto». Ana-logamente Cass., sez. un., n. 16910/2009 (in Guida al dir., 2010,1, 39), Cass. n. 18783/2009 (in Giust. civ., Mass. 2009, 7-8,1204), Cass. n. 28986/2008 (in Guida al dir., 2009, 7, 49) e Cass.n. 17180/2007 (in Guida al dir., 2007, 42, 80).

(40) La Cass. n. 13078/2008 statuisce: «L’art. 167, comma 1c.p.c., imponendo al convenuto di prendere posizione in com-parsa di risposta sui fatti posti dall’attore a fondamento della do-manda, dà della non contestazione un comportamento univoca-

(segue)

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Secondariamente osserviamo che sia la dottrina(41) che la giurisprudenza di Cassazione è unanimenel riconoscere che «il diritto al risarcimento deldanno patrimoniale viene in essere al momento incui il fatto illecito del terzo incide la sfera giuridicadel leso provocando la diminuzione del suo patrimo-nio che deve essere reintegrato in modo da rico-struirne la consistenza che avrebbe avuto se il fattolesivo non si fosse verificato, eliminando le conse-guenze pregiudizievoli che sono state cagionate daquel comportamento, nel senso - art. 1223 c.c. - siadi annullare la perdita subita (danno emergente), siadi far entrare il mancato guadagno (lucro cessante)»(Cass. n. 9852/1997) (42). Le prove allegate dall’at-trice sono gli estratti conto, i contratti di conto corren-te bancari ed i bilanci del quindicennio precedente ladomanda attorea contenenti sia i dati circa l’evolu-zione dello stato patrimoniale che quelli redditualidonde si ricava la redditività dell’azienda. Conse-guentemente, appare assai stupefacente riconoscereda un lato che la banca convenuta abbia illecita-mente sottratto ingenti somme all’azienda, parte at-trice, in conseguenza di un contratto per il finanzia-mento del proprio ciclo produttivo, e dall’altro ne-gare di fatto che esistano le prove documentali cheintegrino la fattispecie del danno patrimoniale risar-cibile e che forniscano gli elementi basilari per lasua quantificazione. Tanto che in sentenza si qualifi-ca la CTU richiesta dalla parte «esplorativa», vale adire atta a reperire prove non allegate in atti.Al contrario, le prove sono state prodotte. Conse-guentemente, la tempestiva allegazione entro i ter-mini stabiliti dall’art. 183 c.p.c. della menzionatadocumentazione avrebbe dovuto determinare il giu-dice a motivare eventualmente sulla loro validità,consistenza e valore. In altri termini, se il magistra-to avesse considerato insufficienti le prove fornitedall’attrice avrebbe dovuto stilare una adeguata mo-tivazione e non certo procedere tanquam non esset.Ciò è tanto più vero prendendo visione delle provefornite le quali appaiono, a nostro avviso, coerenticon i severi criteri statuiti da Cass., sez. un., 16 lu-glio 2008 n. 19499 (43) - prodotta, citata e dibattu-ta in atti - in ordine al nesso di causalità tra la lesio-ne patrimoniale ed il danno ed alle modalità dellasua quantificazione, Un fatto è certo. La lesione patrimoniale costituitadalla «indisponibilità delle somme indebitamenteaddebitate» è riconosciuta in sentenza e questo fattonon doveva essere lasciato senza conseguenze. Stabiliscono le citate S.U. n. 19499/2088 che occor-ra riconoscere al creditore un «maggior danno corri-spondente alla differenza tra il tasso di rendimento

netto (dedotta l’imposta) dei titoli di Stato di dura-ta non superiore ai dodici mesi (o tra il tasso di in-flazione se superiore) e quello degli interessi legali(se inferiore)», in ossequio al principio che al credi-tore spetti «un maggior importo corrispondentequantomeno all’utile economico minimo che il de-bitore ha tratto o che avrebbe potuto trarre dallaconservazione, medio tempore, del denaro che do-veva dare e che non ha dato». Ne consegue che an-che a voler dar credito alla tesi della prova insuffi-ciente a commisurare il danno alla redditività azien-

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(continua nota 40)mente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giu-dizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi daqualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato o dovràritenerlo sussistente, proprio per la ragione che l’atteggiamentodifensivo delle parti, valutato alla stregua dell’esposta regola dicondotta processuale espunge il fatto stesso dall’ambito degliaccertamenti richiesti». La Cass. n. 5191/2008 richiama «la sen-tenza delle Sezioni Unite n. 761 del 2002 (e le conformi pronun-ce delle sezioni semplici nn. 12010/2003, 405/2004, 2299/2004,10031/2004, 19260/2004, 28381/2005), la quale, facendo levasull’onere del convenuto (…) di prendere posizione, nell’atto dicostituzione, sui fatti allegati dall’attore a fondamento della do-manda, ha affermato che il difetto di contestazione di quei fattine implica l’ammissione in giudizio se si tratta di fatti cd. princi-pali, ossia costitutivi del diritto azionato, mentre per i fatti ed. se-condari, ossia dedotti in esclusiva funzione probatoria, la noncontestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell’art.116 c.p.c., comma 2 (…) A questa fondamentale apertura sonoseguiti ulteriori sviluppi, con l’affermazione del più ampio princi-pio secondo cui l’onere di contestazione tempestiva non è de-sumibile solo dagli artt. 167 e 416 c.p.c., ma deriva da tutto il si-stema processuale (…) conseguentemente, ogni volta che siaposto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere diallegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto alle-gato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi ta-le fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo one-re probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto». La Cass.,sez. un., n. 761/2002 statuisce: «Gli artt. 167, primo comma e416, terzo comma, imponendo al convenuto l’onere di prendereposizione su tali fatti, fanno della non contestazione un compor-tamento univocamente rilevante ai fini della determinazione del-l’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che do-vrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto noncontestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la ragioneche l’atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla streguadell’esposta regola di condotta processuale, espunge il fattostesso dall’ambito degli accertamenti richiesti». Quanto al valo-re della non contestazione dell’elaborazione contabile, la citatasez. un., n. 761/2002 stabilisce che essa ha rilievo solo quandoessa si riferisca a fatti e non semplicemente alle regole legali ocontrattuali di elaborazione dei conteggi. In tal caso le sez. un. at-tribuiscono alla non contestazione dei conteggi «la conseguenzache il fatto non contestato non ha bisogno di prova perché le par-ti ne hanno disposto vincolando il giudice a tenerne conto senzaalcuna necessità di convincersi della sua esistenza».

(41) A. Pinori, Il danno contrattuale, Padova, 1998; M.R. Marella,Il Risarcimento per Equivalente, in Aa.Vv., Trattato della Respon-sabilità Contrattuale, Padova, 2009, 31.

(42) Cass. n. 9810/1997, in Foro it., 1998, I, 89; Cass. n.10072/2010, in Foro it., 2010, I, 3393; Cass. n. 11967/2010.

(43) Foro it., 2008, I, 2786.

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dale, almeno questo minimo ristoro doveva esserericonosciuto.Siamo ben consci che le S.U. appena citate si riferi-scono alla mora del debitore e, per conseguenza al-l’art. 1224 c.c. (44). La fattispecie configurata dal-l’art. 1223 c.c. che lo precede: «Il risarcimento deldanno per l’inadempimento o per il ritardo deve com-prendere così la perdita subita dal creditore come ilmancato guadagno, in quanto ne siano conseguenzaimmediata e diretta [corsivo aggiunto]», proiettatasulle obbligazioni pecuniarie non è affatto diversa.L’evidenza è solare quando si osservi che il fatto ca-gionevole del danno è per ambedue gli indici nor-mativi costituito dalla mancata restituzione di dena-ro per l’inadempimento e/o per il ritardo.

Danno da inadempimentoo da responsabilità aquiliana?

Cercando di mettere ordine nella materia ci chie-diamo innanzitutto se l’obbligo risarcitorio che si vaconfigurando abbia natura contrattuale o aquiliana.In verità per la dottrina più antica: «La responsabili-tà dipendente dalla violazione di un diritto assoluto èsempre extracontrattuale, anche quando questo possaessere stato costituito, come nel campo dei rapportireali, dalla volontà delle parti. I due criteri devono rite-nersi tra loro complementari. La responsabilità è con-trattuale quando dipenda dalla lesione di un dirittorelativo negoziale; è extracontrattuale quando di-penda dalla violazione di un diritto assoluto, indi-pendentemente dal carattere legale e volontario delsuo titolo costitutivo, oppure dalla violazione di undiritto relativo determinato dalla legge [corsivo ag-giunto]» (45).Anche la giurisprudenza appare seguire il criteriodella complementarità, tanto che la Corte d’Appel-lo di Milano afferma che «uno stesso accadimentopuò configurare, ad un tempo, illecito contrattualeed extracontrattuale, addirittura con relativo con-corso delle pretese (46)» (47).Qui vi è innanzitutto un inadempimento da partedella banca rispetto agli obblighi contrattuali con-tratti anche in ossequio all’art. 1856 c.c.: «La bancarisponde secondo le regole del mandato, per l’esecu-zione d’incarichi ricevuti dal correntista o da altrocliente» e all’art. 1842 c.c. L’ammontare del capita-le che la società attrice poteva, e che non ha potutocausa il drenaggio di liquidità, investire nel cicloproduttivo dell’azienda è costituito da due elementi:a) le somme illecitamente sottratte sotto la forma diinteressi e competenze non dovute dalla banca, b) leaperture di credito il cui importo l’impresa attrice

non ha potuto utilizzare poiché saturate dalle esposi-zioni artificiosamente ed illegalmente create dallabanca.L’apertura di credito in conto corrente è costituitada contratti collegati, in cui la prima si combina conil deposito bancario ed il mandato per dar luogo adun unico contratto tipico. Dal contratto di mandatoderivano due obblighi per il mandatario. Il primo èquello di rendere il conto che include il dovere del-la completa informazione (48). Di conseguenza allabanca mandataria è fatto obbligo di tenere sempredistinti il capitale dagli interessi, in quanto essi sonodue obbligazioni ontologicamente distinte (Cass. n.2593/2003 (49), Cass., sez. un., n. 9653/2001 (50))e la capitalizzazione non opera un loro conglobamen-to (Cass. n. 3479/1971 (51), n. 5343/1980).Obbligo che, abbiamo visto, è rimasto inadempiuto.La seconda obbligazione concerne la responsabilitàdella buona gestione. «Il mandatario è tenuto a ese-guire il mandato con la diligenza del buon padre difamiglia» (art. 1710 c.c.). Nella dottrina più risalen-te si reperisce: «L’espressione composta “render con-to” ha un significato triplice: logico, volgare, tecni-co. In senso logico essa esprime l’operazione aritme-tica del contare connessa all’esibizione del contofatto. (…) Per traslato, con essa impropriamente sivuole intendere la stessa giustificazione e responsa-bilità eventuale dell’affare gestito, concretamenterisultante dal conto, o, in modo anche più generale,da altro documento. Questa significazione del “ren-der conto” in senso proprio e in un senso traslato èaccolta nel codice civile per indicare e il rendimentodel conto e la giustificazione dell’affare» (52). Ci vede-

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(44) «Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di da-naro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anchese non erano dovuti precedentemente e anche se il creditorenon prova di aver sofferto alcun danno (…) Al creditore che di-mostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risar-cimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misuradegli interessi moratori».

(45) G.A. Nuti, La Garanzia della Responsabilità Patrimoniale, Mi-lano, 1954, 88.

(46) App. Milano, sentenza 9 luglio 2011, CIR - Fininvest reperi-bile in Foro it., le banche dati, archivio merito, 2011, 385.

(47) Richiama (p. 105) sul punto: Cass., sez. un., n. 99/2001,Cass. n. 6356/2000, Cass. n. 2577/1995 e Cass. n. 27713/2005.

(48) G. Rampazzi Gonnet, Il giudizio civile di rendiconto, Milano,1991, 19.

(49) Il Foro it., 2003, I, 1774.

(50) Il Foro it., Rep. 2001, voce Opere Pubbliche n. 739.

(51) Giust. civ., Mass. 1971, 1879.

(52) G.A. Nuti, L’Obbligazione di rendiconto, Milano, 1954, 5 ss.Analogamente G. Rampazzi Gonnet, cit., Milano, 1991, 24 ss.

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te un riferimento nemmeno velato agli artt. 1175 e1710 c.c.L’apertura di credito in conto corrente è costituitada contratti collegati, in cui l’apertura di credito sicombina con il deposito bancario ed il mandato (53).Da codesta premessa scaturisce la responsabilità del-la banca nella gestione, il secondo corno dell’ina-dempimento, e riguarda il mancato rispetto dei do-veri del mandatario che non può appropriarsi per ilmezzo di scritture illecite - frutto di atto nullo o an-nullabile (artt. 1827-1832 c.c.) (54) - del denaro delmandante che sarebbe, al contrario, destinato adadempiere all’obbligazione del deposito.In sintesi, da un lato la banca non dice il vero inquanto al saldo periodicamente certificato dagliestratti conto. Essa non specifica quale sia la quotadi capitale (820 c.c.) e la quota di interesse compo-nenti quel saldo. D’altro canto, la banca incameracontinuamente denaro che dovrebbe restare nelladisponibilità del mandante sia addebitando fruttinon dovuti, sia mettendo in atto quella falsa rappre-sentazione contabile che cela l’esorbitanza dellacontroprestazione, non dovuta ai sensi dell’art.1815, comma 2, c.c.Il terzo corno dell’inadempimento si realizza, lo ab-biamo accennato qui sopra, col sottrarsi della bancaall’obbligazione contratta ai sensi dell’art. 1842 c.c.Infine, per ciò che attiene la complementare fatti-specie della responsabilità per fatto illecito (art.2043 c.c.), alla luce di quanto sinora trattato, essa siconfigura a causa della violazione delle norme impe-rative che impongono il divieto di anatocismo (art.1283 c.c.) e la determinazione del tasso d’interesse(artt. 1284-1346 c.c.); della violazione della l. n.108/1996 così come dell’art. 101 TFEU e dei princi-pi di trasparenza, proporzionalità e non discrimina-zione sanciti dalla giurisprudenza della Corte delLussemburgo. Condotte illecite, tutte, che hannocondotto alla lesione patrimoniale subìta dall’attricecui la sentenza in epigrafe solo in parte ha dato ri-storo.

Dolo

Secondo l’art. 1255 c.c. l’inadempimento doloso(dolo contrattuale) si compone di due elementi: lavolontarietà dell’inadempimento e la consapevolez-za del rapporto obbligatorio (Cass. n. 25271/2008,Cass. n. 9810/1997 (55); Cass. n. 10072/2010 (56);Cass. n. 11967/2010). Per unanime dottrina il dolonon solo esaurisce in sé la carica causale dell’atto,ma in presenza di questa volontà non c’è nessun bi-sogno di alcuna teoria di nesso causale per ricollega-

re il danno all’inadempimento (57). Sempre secon-do l’art. 1225 c.c. l’inadempimento doloso compor-ta per il debitore la rifusione sia dei danni prevedibi-li che di quelli non prevedibili al momento dell’as-sunzione dell’obbligazione.Se esaminiamo il dettato dell’art. 6 delle Norme cheregolano i conti corrente di corrispondenza ed i serviziconnessi (58), troviamo: «I rapporti di dare ed averevengono regolati, in via normale, annualmente, por-tando in conto gli interessi e le commissioni, nellamisura stabilita (…). I conti che risultino, anchesaltuariamente, debitori vengono regolati invece, invia normale, trimestralmente (…). Gli interessi do-vuti dal Correntista all’Azienda di credito, salvopatto diverso, si intendono determinati alle condi-zioni praticate usualmente dalle Aziende di creditosulla piazza, e producono a loro volta interessi nellastessa misura. [corsivo aggiunto]». Ove la dicitura«portando in conto» vale a dire: inserire nel conto,nella colonna del dare o dell’avere, i frutti (interessie competenze) rispettivamente passivi ed attivi peril cliente.Occorre distinguere tra capitalizzazione e composi-zione degli interessi. La capitalizzazione dei frutti si-gnifica che essi, pur essendo ontologicamente diversidal capitale, sono omologati all’obbligazione princi-pale, essendo addizionati al capitale e confusi conesso. La capitalizzazione è condizione inestricabile e

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(53) Per una trattazione più completa cfr. Gianni Colangelo, Guar-dando troppo l’albero si perde la foresta, in Corr. giur., 3, 2011,410 ss; Idem, Siamo tutti falliti?, in questa Rivista, 2011, 5, 498ss.

(54) Cfr. Cass. 26 maggio 2011, n. 11626: «In conformità a reite-rata giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 2006/10376;2006/12372; 2007/6514) (…) ai sensi dell’art. 1832 c.c. la man-cata contestazione dell’estratto conto e la connessa, implicitaapprovazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli ac-crediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, non-ché la verità contabile, storica e di fatto, delle operazioni annota-te e che tuttavia l’approvazione del conto non impedisce l’am-missibilità di censure concernenti la validità e l’efficacia dei rap-porti obbligatori dai quali esse derivano ed è compatibile con lacontestazione che le singole registrazioni sono conseguenza diun negozio nullo, annullabile, inefficace o comunque di una si-tuazione illecita, perché i titoli contrattuali che sono alla loro ba-se rimangono regolati dalle norme generali sui contratti [corsivoaggiunto]».

(55) Foro it., 1998, I, 89.

(56) Foro it., 2010, I, 3393.

(57) Marella, Il risarcimento per equivalente e principio della ri-parazione integrale, in Trattato della Responsabilità Contrattuale,dir. da G. Visintini, Padova, 2009, vol. III, 52; Corsaro, Tutela deldanneggiato e responsabilità civile, Milano, 2003, 67; Visintini,Trattato breve della responsabilità contrattuale, Padova, 2005,637.

(58) Associazione bancaria Italiana, Contratti Bancari - Tipo, IVed. Roma, 1970, 23.

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necessaria perché si realizzi l’anatocismo degli inte-ressi nei mutui. Tuttavia, nel caso del conto corren-te, grazie all’imputazione degli addebiti e degli ac-crediti fatta interamente al capitale, gli interessi sipossono comporre (producendo interessi sugli inte-ressi) senza che essi siano confusi con il capitale.Spieghiamo come.Ammesso per un solo istante che l’anatocismo sialecito, esistono due modi di “portare in conto” lecompetenze. Uno è quello comunemente usato dal-le banche e descritto dai testi di tecnica bancaria econsiste nell’inserire nelle colonne del dare e del-l’avere tutti i movimenti generati dall’iniziativa deidue contraenti, mandante e mandatario e farne con-fluire la somma algebrica nella terza colonna del sal-do. In altri termini, si accumulano in due sole co-lonne contrapposte gli accrediti dei versamenti daun lato e gli addebiti dei prelevamenti di capitalegenerati dall’iniziativa del mandante dall’altro. Allostesso modo si accumulano nelle due colonne con-trapposte del dare e dell’avere l’addebito delle spese,commissioni ed interessi passivi generati dall’inizia-tiva del mandatario da un lato e gli accrediti degliinteressi attivi dall’altro. In tal modo si realizza quel-la confusione degli interessi con il capitale che ren-de bugiardi i saldi giornalieri del conto corrente, co-stituiti dalla somma algebrica di tutti i contenutidelle due colonne contrapposte del dare e dell’avere.In ciò consiste la pratica corrente della capitalizza-zione.Esiste una seconda modalità di “portare in conto” ifrutti, ed è quella utilizzata, in parte, dal nostroCTU. Tale possibilità si realizza mediante l’impiegocomplessivo sette colonne. Di queste, due colonnesaranno in dare e due colonne in avere. In codeste co-lonne confluiranno in modo separato e distinto lemovimentazioni generate dall’iniziativa del man-dante che sono in linea di puro capitale e quelle ge-nerate dall’iniziativa del mandatario che sono in li-nea di puro interesse. Detto in modo più chiaro,avremmo la prima colonna dare e la prima colonnaavere dedicate alle movimentazioni di capitale ge-nerate dall’iniziativa del mandante (che, in effetti,può prelevare e ripristinare solo il capitale ai sensidell’art. 1843 c.c.). La seconda colonna dare e la se-conda in avere raccoglierebbero gli addebiti e gli ac-crediti dei frutti, originati dall’iniziativa del manda-tario (che, di fatto, può muovere solo le obbligazio-ni secondarie). Il sistema si completerebbe con trecolonne di saldo. La prima rappresenterebbe il saldoin linea di capitale netto (somma algebrica dellemovimentazioni operate dal mandante), la secondarappresenterebbe il saldo dei frutti (somma algebrica

delle movimentazioni operate dal mandatario), laterza sarebbe costituita dalla somma algebrica deisaldi capitale e dei saldi competenze e rappresente-rebbe il saldo complessivo dei conti. La composizio-ne degli interessi si realizzerebbe chiudendo il contoperiodicamente solo per le colonne degli interessi:calcolando il saldo periodico e su questo ricalcolaregli interessi, mentre seguiterebbero a calcolarsi se-condo l’art. 801 c.c. (giorno per giorno) gli interessisul saldo capitale. In ciò consisterebbe la composizio-ne senza capitalizzazione degli interessi. In tal modo sa-rebbe possibile la realizzazione del medesimo e com-plesso apparato anatocistico di incremento dei frut-ti realizzata con il sistema a due colonne - i cui per-niciosi effetti sono stati lungamente già illustrati al-l’inizio - ma avrebbe la caratteristica della trasparen-za. Sarebbe, in altri termini, ossequiosa del principiodella separazione costante degli interessi dal capita-le che il codice civile e la richiamata ed univoca giu-risprudenza di cassazione impongono. Avrebbe, pe-rò, lo svantaggio per la banca mandataria di mostra-re che presto il debito sarebbe costituito dai soli in-teressi riproducenti se stessi con tendenza all’infini-to. In altre parole, si mostrerebbe che gli interessisono ad un certo punto percepiti in mancanza di undebito da capitale, ovvero privi di causa.Qui sta il primo motivo di dolo contrattuale, poichéla banca attraverso quella dicitura del portare in con-to inserita nell’art. 6 del contratto di conto correnteintende scientemente e premeditatamente sottrarsiai doveri di buona fede ed informazione che incom-bono sul mandatario e che sono parte costitutiva delcontratto di mandato. In una parola, la banca pre-medita di non adempiere quando fa sottoscrivere ilcontratto di mandato alla sua cliente. Questo rilievoassume grande consistenza quando si consideri lanotevole asimmetria informativa esistente tra labanca e la sua clientela, anche la più esperta.Il secondo motivo di dolo consiste nel fatto che labanca, attraverso la capitalizzazione e l’imputazionedi tutti gli addebiti e gli accediti, omologhi il debitoda capitale al debito da interesse. Attuando talecondotta la banca sa che il fido concesso sarà satura-to, prima in parte, indi del tutto, dal debito da inte-resse. Richiamiamo qui l’art. 1842 c.c. «L’apertura dicredito bancario è il contratto col quale la banca siobbliga a tenere a disposizione dell’altra parte unasomma di danaro per un dato periodo di tempo o atempo indeterminato». Ove il termine «somma didanaro» sta a significare che la banca si obbliga, inpresenza di fido capiente, a tenere a disposizione uncapitale ex art. 820 c.c. anche in presenza di un de-bito da interesse. Ciò vale a maggior ragione se si

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

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GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

considera che il successivo art. 1843 c.c. si riferisceal ripristino della disponibilità relativamente all’ob-bligazione principale. E se si considera che l’obbliga-zione accessoria, ai sensi del combinato disposto art.1823 ed art. 1852 c.c., diventa liquida ed esigibilesolo all’estinzione del conto.In ciò consiste la differenza ontologica dell’obbliga-zione tra debito di capitale e debito da interesse cosìben definita dalla menzionata Cass., sez. un.,9653/2001. Il fatto di confondere le due obbligazio-ni, debito da capitale e debito da interessi (obbliga-zione principale ed obbligazione accessoria), e omo-logarle in una unica obbligazione corrispondente aldebito da capitale, è un modo, ci sia concesso il ter-mine volgare, truffaldino per sottrarsi all’obbligazio-ne contratta ai sensi dell’art. 1842 c.c. Tale condot-ta prova, ad un tempo, non solo la consapevolezzama la premeditazione di sottrarsi ai doveri impostidal contratto e la consapevolezza dell’esistenza del-l’obbligazione medesima (59).Secondo il Tribunale di Pescara (sentenza del 13 lu-glio 2009), invece, il danno che si verifica a causadella lesione patrimoniale da illecito addebito dicompetenze non dovute, ricade interamente nellafattispecie di cui all’art. 2043 c.c. (60) «Qualunquefatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un dan-no ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto arisarcire il danno». È, questa, una statuizione che citrova in totale disaccordo. Tuttavia, tale posizione ciconsente di riprendere qui la tesi, innanzi menziona-ta, sostenuta dalla dottrina, dalla Corte d’Appello diMilano e dalla richiamata giurisprudenza di Cassa-zione, della complementarità della responsabilitàcontrattuale, che rinvia all’art. 2056 c.c. per la valu-tazione dei danni, e di quella aquiliana. La notevolemesse di norme imperative infrante, dalla violazionedel principio di proporzionalità alla violazione dellenorme sulla concorrenza; dalla violazione dell’art.1283 c.c. alla violazione della l. n. 108/1996, comeabbiam visto, non fa mancare certo i presuppostiperché si applichino le conseguenze di cui all’art.2043 c.c.

Certezza, nesso di causalità, misuradel danno. Il principio della riparazioneintegrale del danno

Rileviamo che la Suprema Corte ha stabilito datempo che «il risarcimento è diretto alla restituito adintegrum del patrimonio del creditore» (Cass. n.619/1974; Cass. n. 1066/1979; Cass. n. 6856/1988).La citata Cassazione, sez. un., n. 19499/2008 offreuna rigorosa guideline per ciò che attiene ai principi

di certezza, nesso di causalità, misura del danno edella riparazione integrale del danno. Stabilisce, in-fatti, la sentenza: «Se invece sia domandato un ri-sarcimento del danno correlato all’utilità marginalenetta dell’impresa durante la mora, perché il maggiordanno possa essere rapportato ai mancati utili sarànecessario che il creditore imprenditore produca ilbilancio contenente il conto economico (se tenuto a re-digerlo) ovvero altre idonee scritture contabili; esempre che, in relazione all’importo dovutogli e conriguardo al tipo ed al rilievo economico dell’attivitàstessa, sia effettivamente presumibile che la sommadi cui era creditore sarebbe stata impiegata nell’im-presa con il medesimo risultato utile» per conclude-re: «la prova potrà dirsi raggiunta per l’imprenditoresolo se, in relazione alle dimensioni dell’impresa edall’entità del credito, sia presumibile (…) che lasomma sarebbe stata impiegata utilmente nell’impresa[corsivo aggiunto]».Abbiamo già stabilito che i criteri per determinarela sussistenza e la quantificazione del danno prodot-tosi in conseguenza dell’inadempimento ai sensi del-l’art. 1224 c.c. sono validi, per analogia, anche per ilprecedente art. 1223 c.c.Secondo la Cassazione, la prova del danno è costi-tuita dall’allegazione degli estratti conto e del contoeconomico. La certezza del danno è data dalla dimo-strazione che il denaro sottratto sarebbe stato util-mente reinvestito nell’impresa. Il criterio econome-trico dettato per misurare il danno, inteso come lu-cro cessante, è quello dei costi diretti.Abbiamo visto che la prova del danno, costituita dalconto economico, è stata allegata. Infatti sono statiprodotti i bilanci completi di stato patrimoniale econto economico.Per ciò che attiene all’indicazione del criterio eco-nometrico per calcolare il lucro cessante, ovvero ilmancato guadagno, il Supremo Collegio con la lo-

Note:

(59) A proposito di dolo contrattuale, è interessante la segnala-zione seguente secondo la quale la «giurisprudenza di legittimi-tà abbia affermato che il dolo quale vizio di annullamento delcontratto non deve necessariamente consistere nell’inganno po-sto in essere con una condotta positiva di raggiro e/o mediantela comunicazione di notizie false, ma può anche ravvisarsi quan-do siano state taciute da uno dei contraenti all’altro, in violazionedel principio di buona fede, fatti e circostanze decisivi che, se co-nosciute, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso.Il superamento di comportamenti reticenti si giustifica - a mag-gior ragione - all’interno della disciplina dei contratti connotati daasimmetria informativa». F. Greco, in questa Rivista, 5, 2007,574. Riporta Cass. 7 agosto 2002, n. 11896, in Riv. dir. civ., 2004,II, 911 con nota di M. De Poli, Servono i “raggiri” per annullare ilcontratto per dolo? Note critiche sul concetto di reticenza invali-dante.

(60) http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/5027.pdf

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cuzione «marginalità netta» indica il metodo dei co-sti diretti che distingue il costo di prodotto da quel-lo di struttura o capacità. Infatti troviamo specifica-to nella dottrina aziendalistica: «Nella tecnica deldirect costing solo i costi variabili sono attribuibili aiprodotti» (61).Per una migliore comprensione specifichiamo che icosti fissi sono i costi di produzione che non dipen-dono dal volume delle vendite o dei servizi. Tali so-no quelli costituiti dalle spese generali e quelli insitinella struttura aziendale, come i terreni, i fabbricati,i macchinari, le imposte, le tasse, le assicurazioni, ilpersonale, gli affitti, ed i finanziamenti. In altri ter-mini, si definiscono costi fissi quei costi che non au-mentano né diminuiscono con l’aumentare o il di-minuire della produzione.Al contrario, i costi variabili sono quelli che corre-lati direttamente all’aumento o alla diminuzionedella produzione. Se prendiamo ad esempio un con-cessionario di auto, gli affitti, il personale di venditaed amministrativo, le spese di pulizia dei locali sonocosti fissi. Il prezzo di acquisto delle autovetture, lespese di trasporto, la benzina per il loro spostamen-to, le spese per il lavaggio e per le eventuali ripara-zioni sono tutti considerati costi variabili.Il metodo del direct costing ci porta ad individuare ilmargine di contribuzione, che è la differenza tra i costidi vendita ed i costi variabili relativi ad un determi-nato prodotto (62).In altri termini, se ci poniamo il quesito di quantoavrebbe potuto guadagnare l’impresa se avesse potu-to investire nel suo ciclo economico sia la liquiditàsottratta che quella indisponibile a causa della satu-razione dell’apertura di credito in conto corrente sidovrebbe calcolare il Margine di Contribuzione net-to, ovvero la somma dell’utile generata dalla vendi-ta di ciascuna singola unità di prodotto al netto del-l’incidenza degli ammortamenti.Il Margine di Contribuzione Lordo è dato dalla dif-ferenza tra i ricavi ed i costi variabili, mentre il Mar-gine di Contribuzione Netto è dato dal MCL menogli ammortamenti.Possiamo così sintetizzare:

a) MCL = Ricavi - costi variabilib) MCN = MCL - ammortamenti.

Ove, nel caso del Margine di Contribuzione Netto,la somma dei costi variabili e degli ammortamentirappresenta il costo del venduto.La tecnica del direct costing è usata per molte appli-cazioni. Ad esempio è impiegata per calcolare quan-do si raggiunge il punto di pareggio nella produzionedi un certo articolo, elemento che consente una se-

rie di valutazioni economiche importantissime co-me ponderare la convenienza di commercializzare ofabbricare un dato prodotto, che non è il caso di ap-profondire in questa sede.Poiché l’impresa attrice acquistava denaro dallabanca per rivenderlo sotto la forma del mutuo e delleasing alla propria clientela in cambio di una con-troprestazione costituita a sua volta da interessi, ilsurplus di liquidità che si sarebbe ottenuto senza l’il-lecito drenaggio operato dalla banca sarebbe statoutilizzato necessariamente per tale scopo, oggettosociale dell’attività dell’attrice. Una volta rilevatoche i costi fissi sono già stati assorbiti dalle risultan-ze attuali evidenziate dai bilanci allegati in atti, dob-biamo chiederci quale guadagno tale maggiore di-sponibilità di liquidità avrebbe potuto generare.La domanda, pertanto, è: quale è il surplus di guada-gno che la finanziaria attrice poteva realizzare avendopiù denaro da rivendere ai propri clienti sotto la forma difinanziamenti e leasing ? A tale domanda si risponde quantificando un indicedi redditività dell’investimento indirizzato ai soliimpieghi verso la propria clientela. Se chiamiamotale indice di redditività δ abbiamo

MCNδ =

costo del venduto

Moltiplicando l’indice δ (che, secondo le risultanzedei bilanci prodotti in atti, nel nostro caso ha unamedia del 40%) per i capitali costituiti: a) dalle som-me illecitamente sottratte sotto la forma di interessie competenze non dovute dalla banca, b) dalle aper-ture di credito il cui importo l’impresa attrice nonha potuto utilizzare poiché saturate dalle esposizioniartificiosamente ed illegalmente create dalla banca;moltiplicando l’indice δ per il totale delle predettesomme otterremo la quantificazione del lucro ces-sante. L’esistenza e la consistenza dell’affidamentosono indi dedotte dalle risultanze degli estratti con-to, secondo l’unanime giurisprudenza di Cassazione,per facta concludenda (63).Tenendo conto di tutti questi fattori abbiamo calco-lato la valutazione del mancato utile, lucro cessante,essere pari almeno a L. 21.000.000.000.Al lucro cessante sarebbe doveroso aggiungere laquantificazione del danno emergente, lo stesso quan-

Danno e responsabilità 3/2012 331

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(61) I. Facchinetti, Contabilità analitica, Milano, 2007, 147.

(62) Idem, 148 ss.

(63) Gianni Colangelo, in questa Rivista, 2011, 500 ss.

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tificabile utilizzando i criteri econometrici insegnatidalla scienza dell’economia aziendale. Il dannoemergente è costituito dalla valutazione del valoredell’avviamento dell’impresa ed è causato dalla de-scritta condotta della banca che ha portato all’estin-zione dell’attività economica della sua cliente. Pur-troppo la parte attrice non ha introdotto tale do-manda onde sarebbe un esercizio del tutto inutileapprofondire questo specifico argomento.Perché siano soddisfatti tutti i requisiti chiesti dal-l’impostazione severa della menzionata Cass., sez.un., n. 19499/2008 occorre stabilire come e se si siaraggiunta la prova che «la somma sarebbe stata im-piegata utilmente nell’impresa». Consideriamo, in-nanzitutto, che questa è la statuizione di un princi-pio di ordine generale riferito alle svariate e multi-formi fattispecie ricadenti sotto la disciplina conte-nuta nell’art. 1224 c.c. che concerne la mora del de-bitore. Nel caso specifico qui trattato dobbiamo rile-vare che il denaro illecitamente sottratto dalla ban-ca alla sua cliente è già entrato nel ciclo produttivodi quest’ultima per uscirne in quanto illegalmentedrenato dalle condotte messe in atto dalla banca. Daquesto punto di vista potremmo dire che la provadell’impiego delle somme sottratte è in re ipsa. Sia-mo nel caso tipico di chi, invece di fornire all’attri-ce il carburante per correre, non solo glielo sottraema le impedisce di attingere ad altre fonti.Tuttavia siamo disposti, sia pure per un attimo, anon riconoscere come sufficiente tale elemento. Al-lora occorre considerare un’insieme univoco e con-vergente di altri fattori. Si cominci a rilevare che lacausa del sovra indebitamento dell’impresa attricenon dipende da prelievi per cassa effettuati dai soci,come attesta lo stato patrimoniale certificato dai bi-lanci. Si continui a considerare che un’azienda cheimpiega capitale di rischio non contrae debiti one-rosi per scopi ludici, che non risultano da nessunaallegazione, ma lo fa per finanziare la propria attivi-tà. Tuttavia l’elemento decisivo è che, come risultasempre dallo stato patrimoniale dei bilanci, i socihanno profuso ingenti finanziamenti nell’impresa ilche prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’ani-mus dei soci è quello di non distrarre fondi dalla lo-ro impresa. Al contrario, essi investono nella loroazienda poiché, nonostante la condotta della banca,essi credono nella bontà del loro investimento, vistoche la marginalità netta media δ si aggira intorno al40%, superiore a qualsiasi investimento in titoli.D’altro canto, riguardo ai requisiti della prova di cuitrattiamo, ovvero della dimostrazione che la liquidi-tà sottratta sarebbe stata impiegata nell’impresa, èlapalissiano osservare che questa non può assumere

le caratteristiche della probatio diabolica. In altre pa-role, non si può determinare un paralogismo secon-do il quale la condizione perché si verifichi quantostabilito in premessa neghi la premessa stessa. In al-tri termini, alla condizione «la somma sarebbe stataimpiegata utilmente nell’impresa» non può attri-buirsi un significato che uccida la facoltà ed il dirit-to di provare il danno mediante la produzione deibilanci. Talché si renda inutile e vana e priva diqualsiasi rilievo l’allegazione di qualsiasi bilancio o«altra idonea documentazione». Certamente la Su-prema corte non fa eccessivo sfoggio di chiarezza maun approccio di tal genere sarebbe del tutto distor-cente il pensiero del Supremo collegio e non avreb-be cittadinanza nel mondo della logica.Una volta rammentato che nel processo civile, a dif-ferenza del penale, vige il criterio del più probabileche non, si tenga conto, al riguardo, dell’ammoni-mento contenuto in una sentenza molto dibattutadella Corte di Giustizia CE, nota come sentenzaCourage (64). In tema del risarcimento del dannocausato da un contratto o da un comportamentoidonei a restringere o falsare il gioco della concor-renza, ed è appunto il nostro caso, la Corte di Giu-stizia UE ha statuito in tale decisione: «La piena ef-ficacia dell’art. 85 del Trattato e, in particolare, glieffetti utili del divieto sancito al n. 1 di detto artico-lo sarebbero messi in discussione se chiunque nonpotesse chiedere il risarcimento del danno causato-gli da un contratto o da un comportamento che pos-sano restringere o falsare il gioco della concorren-za». In altre parole, la prova deve essere richiesta efornita secondo criteri di ragionevolezza e realismo.Né è da trascurare quanto la medesima Corte ha sta-bilito (punto 33) più oltre: «In particolare, è compi-to di detto giudice verificare se la parte che sostienedi avere subito un danno in seguito alla conclusionedi un contratto che può restringere o falsare il giocodella concorrenza si trovasse in una posizione d’infe-riorità grave, nei confronti della controparte, tale dacompromettere seriamente, e persino da annullare,la sua libertà di negoziare le clausole del detto con-tratto nonché la sua capacità di evitare il danno o li-mitarne l’entità, in particolare esperendo tempesti-vamente tutti i rimedi giuridici a sua disposizione».Traduce un autorevole giurista: «Si scrive inferioritàgrave, si legge dipendenza economica» (65).

Danno e responsabilità 3/2012332

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(64) Causa C-453/99, sentenza emessa il 20 settembre 2001,punto n. 26.

(65) Giuseppe Colangelo, L’abuso di dipendenza economica tradisciplina della concorrenza e diritto dei contratti, Torino, 2004,148.

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Da tutto quanto precede ci pare che le allegazioni inatti dimostrino che il danno, consistente nel lucrocessante, sia stato ampiamente provato, sia secondoil criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, sia, a mag-gior ragione, secondo il criterio del più probabile chenon, sia, ad ancora più grande ragione, secondo il ca-none della perdita di chance (66). Da ultimo, occor-rerebbe considerare, secondo la dottrina dianzi cita-ta (67) che la Cass., sez. un., n. 19499/2008 abbiaindicato un criterio econometrico, ai sensi dell’art.1226 c.c., che consente di determinare il danno eprovarlo nel «suo preciso ammontare», escludendo,quindi, l’applicazione di qualsiasi criterio equitativosostitutivo, previsto dalla stessa norma.

Disparità di trattamento e certezzadel diritto

Impressiona rilevare che uno stesso Tribunale liqui-di la questione del danno ulteriore, la cui richiestaappare ben fondata, documentata ed argomentata,in una riga cui non si può riconoscere nemmeno ilpregio della coerenza logica. E per altro caso di dan-no, dalle fondamenta assai più labili, dedichi 143pagine per la sentenza di primo grado (68) e 283 pa-gine per l’appello (69).In questa rivista ed in altre riviste sono pubblicatinumerosi articoli di commento alla sentenza di Ap-pello CIR-Fininvest, per tacere della quantità deicommenti dedicati alla sentenza di primo grado ri-guardante il medesimo caso. Tutte le note in que-stione discutono dell’an e del quantum di un risarci-mento che è stato definito epocale. Siffatta polifo-nia di voci ed opinioni è più prossima alla musicadodecafonica che ai canoni della musica tonale. Ilnon iniziato, che debba astenersi dall’entrare nelmerito della vivisezione tecnica della materia sotto-posta a giudizio e dei giudizi contenuti nelle senten-ze emesse, percepisce che si percorre un itinerarioassai accidentato per approdare alla mèta di una de-cisione niente affatto scontata. I chierici non sem-brano essere così convinti da sentirsi spinti da unospirito di emulazione.Ad esser chiari, in circostanze analoghe nessun av-vocato si sentirebbe di consigliare il cliente normale,che non abbia la ventura di avere a stipendio schie-re di tuttologi, onnipresenti sia nei media ad inchio-stro che in quelli eterei, di seguire il medesimo per-corso.Per contrasto, nel caso che qui si è discusso, invece,si sono ignorate le norme sull’usura, le norme delTrattato UE, il TFUE, la giurisprudenza UE; con untratto di penna ed immotivatamente si è negato

l’applicazione del principio del ristoro del danno su-bìto. Applicazione che travalica il riconoscimentodel diritto della singola persona per assumere, secon-do il pensiero dei giudici a Lussemburgo, l’essenzialefunzione della deterrenza. Tutto ciò spiana la stradadapprima alla sentenza della Corte di Giustizia delLussemburgo (Grande Sezione) del 13 giugno 2006a conclusione della Causa C-173/2003 Traghetti delMediterraneo e da ultimo alla condanna dell’Italianella sentenza 24 novembre 2011 della CausaC-379/2010. Sentenza, quest’ultima che dichiara estatuisce: «La Repubblica italiana, escludendo qual-siasi responsabilità dello Stato italiano per i danniarrecati ai singoli a seguito di una violazione del di-ritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizio-nale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazio-ne risulti da interpretazione di norme di diritto o davalutazione di fatti e prove effettuate dall’organogiurisdizionale medesimo, e limitando tale responsa-bilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi del-l’art. 2, commi 1 e 2, della l. 13 aprile 1988, n. 117,sul risarcimento dei danni cagionati nell’eserciziodelle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civiledei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essaincombenti in forza del principio generale di re-sponsabilità degli Stati membri per violazione deldiritto dell’Unione da parte di uno dei propri organigiurisdizionali di ultimo grado».Il principio è fissato e, pare evidente, non riguardasolo i giudici di ultima istanza ma l’esigenza di averegiudici uniformemente preparati ed imparziali.

Danno e responsabilità 3/2012 333

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(66) Cass. 6 giugno 2006, n. 13241, in questa Rivista, 2006, 914;Cass. 13 dicembre 2001, n. 15759, in Giust. civ., 2002, I, 1285;Cass. 18 maggio 2000, n. 6460, in Giur. it., Mass. 2000. In dot-trina, sul punto cfr. Torresi, Il “danno da perdita di chance” tracontratto e torto, in Giur. it., 1999, 2073. P. Santoro, in questa Ri-vista, 2010, 1, 80.

(67) Marella, op. cit., 52; Corsaro, op. cit., 67; Visintini, op. cit.,637.

(68) Trib. Milano 3 ottobre 2009, Giudice Mesiano, in Foro it., Lebanche dati, archivio Merito ed extra, n. 2009, 681.

(69) App. Milano, sez. II, 10 luglio 2011, n. 3461, in Foro it., Lebanche dati, archivio Merito ed extra, n. 2011, 385.

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SCONTRO TRA VEICOLI

Cassazione civile, sez. III, 26 gennaio 2012, n. 1144, ord. -Pres. Preden - Est. Giacalone

In tema di scontro tra veicoli, l’accertamento della colpa

esclusiva di uno dei conducenti libera l’altro dalla pre-

sunzione della concorrente responsabilità, la quale è fis-

sata solo in via sussidiaria dall’art. 2054, comma 2, c.c.

nonché dall’onere di dimostrare di aver fatto tutto il pos-

sibile per evitare il danno; la prova liberatoria per il su-

peramento di detta presunzione di colpa non deve ne-

cessariamente essere fornita in modo diretto - e cioè di-

mostrando di non aver arrecato apporto causale alla

produzione dell’incidente - ma può anche indirettamen-

te risultare tramite l’accertamento del collegamento

eziologico esclusivo dell’evento dannoso con il compor-

tamento dell’altro conducente.

Il casoIl sig. M. riceve danni alla persona nel corso di un sinistrostradale e cita in giudizio la sig. V., conducente della vetturainvestitrice. La convenuta, costituitasi, sostiene che la suamanovra è stata costretta da una vettura rossa che era rima-sta sconosciuta, siccome il conducente aveva proceduto nel-la marcia.Il giudice del merito, ricostruendo la dinamica del sinistro, an-che attraverso la CTU, accerta che l’incidente è avvenuto peresclusiva responsabilità del conducente della vettura rimastasconosciuta.Il sig. M. propone ricorso per cassazione per violazione delladisposizione dell’art. 2054 c.c., sostenendo che il giudiceavrebbe dovuto comunque tener conto della presunzione dipari responsabilità fissata dalla predetta disposizione.

La decisioneLa sentenza in commento rigetta il ricorso sulla base del prin-cipio sopra massimato, spiegando, altresì, che, in tema discontro tra veicoli, la presunzione di uguale concorso di col-pa dei conducenti di cui all’art. 2054, comma 2, c.c. costitui-sce criterio di distribuzione della responsabilità che opera sulpresupposto - nella specie, insussistente - dell’impossibilitàdi accertare con indagini specifiche le modalità del sinistro ele rispettive responsabilità, oppure di stabilire con certezzal’incidenza delle singole condotte colpose nella causazionedell’evento, sicché l’utilizzabilità della presunzione postulal’infruttuoso espletamento dell’attività istruttoria.

I precedentiIl principio sopra massimato è consolidato nella giurispru-denza di legittimità e risulta già affermato, tra le altre, daCass. 22 aprile 2009, n. 9550.

La dottrinaF. Agnino, Scontro tra veicoli, accertamento della responsa-bilità dei conducenti e presunzione di colpa ex art. 2054 c.c.,in questa Rivista, 2001, 624.

DANNI ALLO STRANIERO

Cassazione civile, sez. III, 2 febbraio 2012, n. 1493, ord. -Pres. Finocchiaro - Est. Scarano

L’art. 16 delle preleggi, nella parte in cui subordina alla

condizione di reciprocità l’esercizio dei diritti civili da

parte dello straniero, pur essendo tuttora vigente, deve

essere interpretato in modo costituzionalmente orienta-

to alla stregua dell’art. 2 Cost., che assicura tutela inte-

grale ai diritti inviolabili, con la conseguenza che allo

straniero, sia esso residente o meno in Italia, è sempre

consentito, a prescindere da qualsiasi condizione di reci-

procità, domandare al giudice italiano il risarcimento del

danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dalla le-

sione di diritti inviolabili della persona (quali il diritto al-

la salute e ai rapporti parentali o familiari), avvenuta in

Italia, sia nei confronti del responsabile del danno, sia

nei confronti degli altri soggetti che per la legge italiana

siano tenuti a risponderne, ivi compreso l’assicuratore

della responsabilità civile derivante dalla circolazione di

veicoli o il Fondo di garanzia per le vittime della strada.

Il casoUn cittadino tunisino residente in Italia viene coinvolto ed uc-ciso nel corso di un incidente stradale. I suoi eredi promuo-vono azione risarcitoria nei confronti dell’investitore e dellasua compagnia assicuratrice. I giudici del merito respingonola domanda sul rilievo che gli attori non hanno dimostratol’esistenza nell’ordinamento giuridico della Repubblica Tuni-sina di una norma scritta e comunque desumibile dall’inter-pretazione dell’autorità giudiziaria di quel paese (cd. diritto vi-vente) secondo la quale a ogni cittadino di altri paesi, o co-munque cittadino italiano, debba venir riconosciuto il risarci-mento del danno morale per i patimenti causati da fatti illeci-ti, in particolare per colpevole comportamento nella circola-zione di veicoli, sicché ricorre la preclusione indicata dall’art.16 disp. gen. Gli eredi della vittima propongono, allora, ricorso per cassa-zione, denunziando la violazione dell’art. 16 delle preleggi.

La decisioneLa S.C. accoglie il ricorso. Occorre premettere che l’art. 16delle Disposizioni sulla legge in generale stabilisce che «Lostraniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cit-tadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni con-tenute in leggi speciali».

RISARCIMENTO DEL DANNO

CIRCOLAZIONE STRADALE

Danno e responsabilità 3/2012 335

GiurisprudenzaSintesi

Osservatorio di legittimitàa cura di Antonella Batà e Angelo Spirito

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Un risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità,interpretando la menzionata disposizione, aveva stabilitoche, in caso di sinistro stradale causato da un veicolo o na-tante non identificato o non coperto da assicurazione, lo stra-niero che vuole esercitare il diritto al risarcimento del dannonei confronti del Fondo di Garanzia per le vittime della strada,previsto dall’art. 19 della l. 24 dicembre 1969, n. 990, devesolo dimostrare, ai sensi dell’art. 16 delle disposizioni sullalegge in generale, che lo Stato cui appartiene riconosce, sen-za limitazioni discriminatorie per il cittadino italiano, i diritti ci-vili connessi al risarcimento del danno ed all’istituto dell’assi-curazione, essendo del tutto irrilevante la carenza, nell’ordi-namento straniero, di un istituto analogo a quello del Fondodi Garanzia che, avendo funzione risarcitoria e non indennita-ria, attiene non al diritto ma alle modalità attraverso le qualinello Stato italiano è assicurato il risarcimento del danno.La sentenza in commento riconosce che siffatto orienta-mento è stato poi superato da Cass. 11 gennaio 2011, n.450, la quale, appunto, ha dato una nuova interpretazione,costituzionalmente orientata, del menzionato art. 16, am-mettendo comunque lo straniero alla tutela dei diritti inviola-bili della sua persona.

La dottrinaP. Puoti, Costituzione e reciprocità in tema di trattamentodello straniero, in Giur. it., 2011, 10, 2023; L. Gremigni Fran-cini, Tutela risarcitoria dello straniero e lettura costituzional-mente orientata dell’art. 16 preleggi, in questa Rivista, 2011,11, 1030;. R. Bonini, Il danno allo straniero sempre risarcibileanche nei riguardi del Fondo di Garanzia, in Corr giur., 2011,495.

DANNI FUTURI

Cassazione civile, sez. VI, 1° febbraio 2012, n. 1439, ord. -Pres. Finocchiaro - Est. Massera

La liquidazione del danno patrimoniale da riduzione del-

la capacità di lavoro e di guadagno non costituisce

un’automatica conseguenza dell’accertata esistenza di

lesioni personali, ma deve essere riconosciuta al dan-

neggiato ogni volta che sia verificata l’attuale o prevedi-

bile incidenza dei postumi sulla capacità di lavoro, anche

generica, della vittima.

Il casoIl sig. M. subisce danni alla persona a seguito di un incidentestradale. Conviene in giudizio la compagnia assicuratrice del-l’investitore, chiedendo, tra l’altro, il risarcimento del dannopatrimoniale subito in relazione alla sua attività di piastrelli-sta. La CTU esperita riconosce la riduzione della capacità la-vorativa in attività confacenti alle attitudini del danneggiato enon implicanti la stazione eretta. I giudici del merito rigettanola domanda, ritenendo che l’attore non abbia provato l’attivi-tà lavorativa svolta.Propone ricorso per cassazione il sig. M. lamentando il man-cato riconoscimento del risarcimento della ridotta capacità la-vorativa ed, in particolare, che i giudici del merito non abbia-no tenuto conto della differenza tra le nozioni di invalidità edincapacità.

La decisioneLa sentenza in commento accoglie il ricorso del danneggiatoed, enunciato il principio di diritto sopra massimato, spiegache, stante l’accertamento del C.T.U. (recepito dalla stessa

sentenza impugnata), non è corretta la negazione della vocedi danno in esame a seguito della mancata prova dell’eserci-zio in concreto di attività lavorativa all’epoca del sinistro. Talesituazione influisce sulla determinazione del danno emer-gente, ma non esclude la necessità di accertare - e sussi-stendone i presupposti di fatto riconoscere - il danno futurodeterminato dalla ridotta capacità di esplicare attività lavorati-va confacente alle attitudini della vittima.

I precedentiTra le varie conformi rispetto all’orientamento qui ribadito,cfr. Cass. 24 febbraio 2011, n. 4493, secondo la quale la li-quidazione del danno patrimoniale da riduzione della capacitàdi lavoro e di guadagno non può costituire un’automaticaconseguenza dell’accertata esistenza di lesioni personali, maesige che sia verificata la attuale o prevedibile incidenza deipostumi sulla capacità di lavoro, anche generica, della vitti-ma. Ne consegue che quando detti postumi sono di lieve en-tità o, comunque, manchino elementi concreti dai quali de-sumere una incidenza della lesione sulla attività di lavoro at-tuale o futura del soggetto leso, vanno escluse l’esistenza ela risarcibilità di qualsiasi danno da riduzione della capacità la-vorativa, mentre va privilegiato un meccanismo di liquidazio-ne (quello del danno alla salute) idoneo a cogliere, nella suatotalità, il pregiudizio subito dal soggetto nella sua integritàpsico-fisica.

La dottrinaM. Bona, Quantum del danno patrimoniale e liquidazioneequitativa, in questa Rivista, 2006, 11, 1073, con ampia disa-mina sulla rivitalizzazione del danno patrimoniale, sulla perdi-ta/riduzione della capacità lavorativa e delle capacità concor-renziali sul mercato del lavoro, nonché sulla perdita/riduzionedelle capacità di attendere ad attività diverse da quelle pro-duttrici del reddito.

Danno e responsabilità 3/2012336

GiurisprudenzaSintesi

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INDENNIZZO IN SEGUITO A REVOCA DI PROJECT FINANCING

Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2012, n. 39 - Pres.Caracciolo - Rel. Chieppa - Comune di Malo c. ImpresaG.P. s.p.a.

Se un Comune annulla in autotutela una procedura di

project financing per la ristrutturazione, e successiva lo-

cazione, di una villa, sostenendo l’illegittimità dell’ope-

razione che prevedeva a carico del Comune le risorse

idonee a coprire l’intero importo dei lavori, ove il giudice

amministrativo non ritenga fondati i dedotti vizi di ille-

gittimità dell’atto annullato, l’atto va qualificato come

revoca a seguito di una nuova valutazione dell’interesse

pubblico, riconoscendo però, in tal caso, all’impresa pri-

vata, l’indennizzo ex art. 158 D.Lgs. n. 163/2006 com-

prensivo dei costi sostenuti in conseguenza della risolu-

zione del rapporto e del mancato guadagno.

Il casoIl T.a.r. per il Veneto ha accolto il ricorso proposto dall’Impre-sa G.P. s.p.a. avverso la deliberazione del Consiglio comuna-le di Malo avente ad oggetto l’annullamento in autotutela del-la procedura di finanza di progetto avviata da un promotore,ai sensi dell’art. 37-bis della l. n. 109/1994, per la ristruttura-zione di una villa, di proprietà dell’ente, verso il corrispettivodella gestione trentennale dell’immobile stesso che sarebbestato dato in locazione al Comune previo versamento di uncanone.Con la stessa sentenza il giudice di primo grado ha condan-nato il Comune al pagamento in favore dell’impresa G.P. diun indennizzo ex art. 158 D.Lgs. n. 163/2006 (codice dei con-tratti) per i costi sostenuti in conseguenza della risoluzionedel rapporto e per il mancato guadagno.Il Comune di Malo propone appello. L’impresa G.P. s.p.a. pro-pone appello incidentale.

La decisioneL’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione del-l’esercizio da parte del Comune di Malo dei poteri di autotu-tela in ordine ad una procedura di finanza di progetto relativaalla ristrutturazione di una villa di proprietà dell’ente. Approvata la proposta, la gara indetta per l’individuazione del-la migliore offerta ai sensi dell’art. 37-quater della l. n.109/1994 si concludeva con l’aggiudicazione alla stessa im-presa G.P. Successivamente alla stipula del contratto il co-mune di Malo annullava l’approvazione della procedura diproject financing.Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, rilevando l’in-sussistenza di vizi di illegittimità dell’atto annullato e ritenen-

do che l’amministrazione avesse esercitato il potere di revo-ca a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico,riconoscendo all’impresa privata l’indennizzo ex art. 158D.Lgs. n. 163/2006.Il Comune appellante ha dedotto che sussistevano plurimiprofili di illegittimità negli atti di avvio e approvazione dellaprocedura e che il potere esercitato deve essere qualificatodi annullamento di ufficio, senza muovere contestazioni allaquantificazione dell’indennizzo spettante all’impresa.Il Comune ha sostenuto che il rischio di impresa, che man-cherebbe nel caso di specie, costituisce elemento essenzia-le di una procedura di project financing con conseguente ille-gittimità dell’operazione che prevedeva, invece, a carico delComune, le risorse idonee a coprire l’intero importo dei lavo-ri. Il motivo è privo di fondamento.Il project financing comporta la necessaria partecipazione fi-nanziaria del soggetto promotore, cui può aggiungersil’eventuale contributo pubblico; si tratta, tuttavia, di una pro-cedura caratterizzata da un elevato tasso di elasticità, checonsente di adattare il progetto alle specifiche esigenze del-le parti.Nel caso di specie, erano stati previsti oneri a carico dell’am-ministrazione, che si era assunta l’impegno di pagare pertrenta anni i canoni di locazione a fronte delle opere di ri-strutturazione e di realizzazione dell’urbanizzazione primariaaffidate all’impresa; tale struttura dell’operazione non è diper sé incompatibile con l’istituto, che - si ribadisce - con-sente che l’utilizzo delle risorse dei soggetti proponenti siasolo parziale.Non si può neanche sostenere che il rischio dell’impresa fos-se in concreto azzerato, in quanto i calcoli del Comune, oltrea includere anche l’iva tra i ricavi dell’impresa, non tengonoconto del fatto che l’impegno finanziario dell’impresa era im-mediato (realizzazione delle opere), mentre gli oneri posti acarico dell’amministrazione erano dilazionati in trenta annisotto forma di pagamento del canone; tale circostanza impe-disce di equiparare il valore dell’importo a carico del Comunecon quello posto a carico dell’impresa, trattandosi di daticomparabili solo indicizzando gli importi alla data degli esbor-si.Si può sostenere che il rischio a carico dell’impresa era con-tenuto, ma non certo che era annullato e il fatto che il rischiofosse ridotto non rende illegittima la procedura, che l’ammi-nistrazione ha autonomamente valutato come convenienteal momento della sua approvazione.Né si può sostenere che si era in presenza di una concessio-ne di lavori pubblici, in quanto l’operazione posta in essereera più complessa rispetto alla mera esecuzione dei lavori afronte della gestione dell’opera. In sostanza, il rischio ridottoper l’impresa e la sussistenza di oneri a carico del soggettopubblico sono elementi compatibili con l’istituto del projectfinancing, che non rendono illegittimo l’utilizzo di tale proce-dura, ma che possono al limite essere rivalutati sotto il profi-

RISARCIMENTO DEL DANNO

Danno e responsabilità 3/2012 337

GiurisprudenzaSintesi

Osservatorio sulla giustiziaamministrativaa cura di Gina Gioia

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lo dell’opportunità e della convenienza, come in concreto av-venuto.Il T.a.r. ha accolto il ricorso di primo grado, ritenendo insussi-stenti i presupposti per l’annullamento d’ufficio e integrati,invece, quelli della revoca, lasciando “in vita” gli impugnatiprovvedimenti quali revoca della procedura di project finan-cing. Ciò è dipeso dal fatto che negli atti impugnati era effet-tivamente presente una commistione tra i presupposti perl’esercizio del potere di annullamento di ufficio e del poteredi revoca. La già rilevata insussistenza di vizi di legittimità de-gli atti annullati in autotutela e la permanenza degli elementicostitutivi di un provvedimento di revoca conduce a confer-mare la qualificazione degli atti, effettuata dal T.a.r.Con riferimento agli aspetti patrimoniali, si rileva che il Co-mune non ha contestato la condanna al pagamento dellasomma a titolo di indennizzo, mentre l’impresa ha propostoricorso in appello incidentale, chiedendo la condanna al risar-cimento del danno in luogo dell’indennizzo. Tale domanda varespinta.In primo luogo, non può essere condivisa la tesi dell’appel-lante incidentale, secondo cui gli atti impugnati sarebbero to-talmente illegittimi, non integrando neanche la revoca, cheinvece è stata in concreto esercitata. In presenza di un prov-vedimento qualificato come di revoca viene meno il principa-le presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria,costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale degli attiadottati dal Comune per liberarsi dal vincolo assunto con laprocedura in questione. Ciò comporta che l’amministrazioneè tenuta a corrispondere il solo indennizzo e non l’integrale ri-sarcimento del danno chiesto dall’impresa. L’indennizzo èstato liquidato dal T.a.r sulla base di criteri che non sono sta-to oggetto di contestazione in appello e, di conseguenza,non si deve procedere alla loro verifica.

I precedentiCons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2010, n. 7334 («È legittima larevoca della delibera contenente la dichiarazione di pubblicautilità di un’opera il cui progetto è stato proposto dal promo-tore, vincitore della prima fase della procedura di gara di pro-ject financing, qualora essa sia fondata su una motivata valu-tazione dell’interesse pubblico a fronte del mutamento dellecondizioni di fatto e di diritto e sia quindi espressione del-l’esercizio dello ius poenitendi per il quale l’amministrazionegode di ampia discrezionalità»), in Urbanistica e app., 2011,812, con nota di Gualdani, in Resp. civ., 2011, 834, con notadi Baiona, in Foro amm.-Cons. Stato, 2011, 488, con nota diLupo; Cons. Stato, sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7277 («Deveessere rimessa alla adunanza plenaria del Consiglio di Stato,la questione se la fase di selezione del promotore sia con-traddistinta da assoluta autonomia e indipendenza rispettoall’intero procedimento di project financing, ovvero se debbaconfigurarsi una fattispecie a formazione progressiva artico-lata in fasi che non sono solo funzionalmente collegate maanche sono biunivocamente interdipendenti, con conse-guente inapplicabilità del principio che ammette l’immediataimpugnazione di qualsiasi atto endoprocedimentale che de-termini in danno di un concorrente un arresto procedimenta-le»), in Corr. merito, 2011, 101, con nota di Vivarelli, in Giur.it., 2011, 1198, con nota di Mattalia.

La dottrinaM. D’Arienzo, Limiti all’esercizio del potere di revoca nelleprocedure di project financing, in Giur. it., 2011, 1191; M.Mattalia, Project financing, un istituto in continua evoluzione,in Giur. it., 2011, 1198; T.V. Russo e P. Marchetti, Manuale di

diritto e tecnica del project financing, Napoli, 2010; M.G. Vi-varelli, Unitarietà o autonomia delle fasi del project financing:due orientamenti a confronto, in Corr. merito, 2011, 99.

ARSENICO NELL’ACQUA OLTRE I LIMITI DI LEGGE:DANNO DA LESIONE DEL DIRITTO ALLA SALUTE

Tar. Lazio, sez. II bis, 20 gennaio 2012, n. 663 - Pres. Pu-gliese - Rel. Sestini - Codacons e altri c. Ministero del-l’Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero dellaSalute ed altri

Se il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio,

nonché il Ministero della salute, solo dopo 73 giorni,

hanno dato concreta ed imperativa attuazione al dispo-

sto della Commissione europea che, applicando il princi-

pio di prevenzione, espressamente limitava e, in alcuni

casi (per i bambini fino a tre anni), vietava del tutto, la

deroga ai valori massimi di arsenico nell’acqua destina-

ta al consumo umano, da tempo disposta dalle Autorità

italiane, sussiste un responsabilità delle predette Ammi-

nistrazioni statali a risarcire il danno non patrimoniale

derivante dalla lesione del diritto alla salute. Tale danno

va quantificato in via equitativa in euro 100 per ogni

utente.

Il casoCodacons e numerosi utenti del servizio idrico impugnano leordinanze con le quali i Sindaci di molti Comuni hanno ordi-nato l’inibizione dell’uso delle acque destinate al consumoumano fino al ripristino della potabilità, nella parte in cui han-no omesso di prevedere la riduzione delle tariffe. Si chiedeinoltre al T.a.r. di ordinare alle Amministrazioni coinvoltel’adozione delle necessarie misure di salvaguardia degli uten-ti con condanna di Ministeri, Regioni, e Provincie autonomeal risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti, in qualità diutenti del servizio idrico, in quanto esposti alla distribuzionedi acqua destinata al consumo umano e come tale conside-rata nei canoni, ma priva dei necessari requisiti posti a tuteladella salute umana.La vicenda concerne l’attuazione della direttiva 98/83/CE,che prevedeva l’istituto della possibile deroga, da parte dellaCommissione, dei previsti limiti di concentrazione di talunesostanze tossiche e nocive, da adottarsi nell’ambito di un va-lore massimo ammissibile quando non sia possibile l’approv-vigionamento d’acqua con altro mezzo congruo, e purché ciònon rappresenti un potenziale pericolo per la salute umana.Con più decreti ministeriali adottati dal Ministero dell’Am-biente e della Tutela del Territorio congiuntamente al Mini-stero della Salute, le Regioni e le Province autonome coin-volte sono state autorizzate ad avvalersi della facoltà di dero-ga nazionale ai valori massimi di arsenico stabiliti dal D.Lgs.n. 31 del 2001 prima, per il triennio 2004-2006 e, poi, per iltriennio 2007-2009. Al termine del secondo periodo di dero-ga previsto dal diritto europeo, il Ministero della Salute diconcerto con il Ministero dell’Ambiente ha avanzato la richie-sta di ulteriore proroga, per il triennio 2010-1012. Ma la Com-missione europea si è definitivamente pronunciata, ritenen-do di non poter accordare le deroghe.Il Codacons ha proposto ricorso al T.a.r. per l’annullamentodelle ordinanze per la parte in cui non dispongono una ridu-

TUTELA DEI CONSUMATORI

Danno e responsabilità 3/2012338

GiurisprudenzaSintesi

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zione delle relative tariffe; per l’adozione delle necessarie mi-sure ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. B), c.p.a., con l’ordi-ne all’amministrazione rimasta inerte di provvedere entro untermine, nonché per il risarcimento del danno arrecato ai ri-correnti dal comportamento anche omissivo delle Ammini-strazioni, da valutare in via equitativa in relazione alla manca-ta riduzione delle tariffe, alle spese vive sostenute, al dannobiologico ed al danno morale.Le Amministrazioni statali e regionali intimate, unitamente amolti degli Enti locali, si sono costituite per affermare l’inam-missibilità ed infondatezza del ricorso.I ricorrenti impugnano le ordinanze nella parte in cui non di-spongono nulla in ordine alla riduzione tariffaria e deduconoaltresì l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa daparte dello Stato e delle Regioni per violazione del principio diprecauzione di cui all’art. 191 del Trattato di Lisbona e del-l’art. 97 Cost., per violazione e falsa applicazione della Diret-tiva n. 83/1998/CE relativa alla qualità delle acque destinateal consumo umano e del D.Lgs. n. 31/2001, e per violazionedei principi di imparzialità e di trasparenza. Sussiste un com-portamento dell’Amministrazione “non iure” (in contrastocon le regole dell’ordinamento) e “contra ius” (lesivo di unaposizione sostanziale).

La decisioneSuperata la questione di giurisdizione, il Collegio ritiene chesussiste un interesse concreto, differenziato ed attuale dei ri-correnti, Associazioni ed utenti del servizio idrico, alla deci-sione da parte del Giudice amministrativo delle proprie diver-se domande, e sussiste altresì la legittimazione passiva ditutte le Amministrazioni intimate.Nel merito i ricorrenti chiedono al Tribunale di voler accertaree dichiarare la responsabilità e, per l’effetto, condannare leAmministrazioni Ministeriali e Regionali resistenti al risarci-mento del danno complessivamente arrecato agli stessi ri-correnti quali utenti del servizio idrico, da valutarsi in via equi-tativa nella somma di euro 600 pro capite, ovvero nella mag-giore o minor somma che sarà ritenuta di giustizia, di cui eu-ro 100 commisurati al costo sostenuto procapite all’anno peril consumo di acqua potabile, e i restanti euro 500 a titolo didanno patrimoniale, di danno biologico e di danno morale.Il Collegio rileva che i ricorrenti ravvisano un’evidente “col-pevolezza” della P.A. per violazione dei principi di buon anda-mento e imparzialità, economicità, efficacia, pubblicità e tra-sparenza, mediante un atteggiamento inerte e superficiale,noncurante del danno recato. La colpa della P.A. si configuraogniqualvolta questa ponga in essere una “violazione dei ca-noni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione”,ovvero qualora il suo comportamento sia caratterizzato da“negligenza, omissioni o anche errori interpretativi di norme,ritenuti non scusabili”.Quanto al danno ingiusto lamentato dagli abitanti dei Comu-ni coinvolti è direttamente riconducibile alle inadempienzeperpetrate per due trienni consecutivi da parte della P.A. A talfine va considerata, innanzitutto, la spesa sostenuta da cia-scun cittadino quale intestatario della bolletta dell’acqua, a ti-tolo di corrispettivo per un servizio che non è stato adegua-tamente prestato, con risarcimento parametrato al costo pro-capite annuo per il consumo di acqua potabile, stimato in viaequitativa in euro 100, considerando il costo medio delle bol-lette e il fatto che l’inadempimento da parte della P.A. si èprotratto per 6 anni, a far data dall’emissione del primo de-creto di deroga, fino all’emanazione delle ordinanze di nonpotabilità oggetto del presente giudizio. Inoltre, la somma dieuro 500 in favore di ciascuno dei ricorrenti, in via equitativa

a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, biologico emorale subito.I ricorrenti chiedono il riconoscimento del danno morale, con-nesso alla paura per la propria salute, ragionevolmente sortain capo a ciascuno degli abitanti dei Comuni in cui è stata ri-scontrata la presenza di arsenico nell’acqua oltre i limiti dilegge, per aver consumato in modo costante negli anniun’acqua pericolosamente contaminata.La questione è stata ricostruita alla stregua della disciplina didiritto comunitario, a partire dal “principio di precauzione”. Sitratta di un principio generale ormai codificato in ambito eu-ropeo e riconosciuto dalla giurisprudenza comunitaria e na-zionale, che fa obbligo alle Autorità competenti di adottareprovvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi poten-ziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente,ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applica-zione delle migliori tecniche proprie del principio di preven-zione, e che quindi esige di verificare preventivamente chel’attività in esame non danneggi l’uomo o l’ambiente, facen-do prevalere la protezione di tali valori sugli interessi econo-mici, indipendentemente dall’accertamento di un effettivonesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e glieffetti pregiudizievoli che ne derivano, come più volte statui-to anche dalla Corte di Giustizia comunitaria, secondo la qua-le l’esigenza di tutela della salute umana diventa imperativagià in presenza di rischi solo possibili, ma non ancora scienti-ficamente accertati, atteso che la regola della precauzionepuò essere considerata come un principio autonomo che di-scende dalle disposizioni del Trattato.Il predetto principio deve essere coordinato con quelli di li-bera concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazionedei servizi fissati dal Trattato dell’Unione Europea, che attri-buisce inoltre alla stessa Unione precipui compiti di tutelaambientale e sanitaria della popolazione sull’intero territoriocomunitario. Nel merito con nota in data 13 novembre 2009 l’Amministra-zione italiana richiede, ex art. 13, comma 6, D.Lgs. n.31/2001, il necessario parere della Commissione europeaper il terzo ed ultimo periodo di deroga, per il triennio 2010-2012, al limite massimo consentito dalla legge per l’arseniconell’acqua (da l0 ug/l fino a 50 ug/l) per 128 Comuni, di cui 91nel Lazio, 8 in Lombardia, 10 nelle Province Autonome diTrento e Bolzano, 16 in Toscana e 3 in Umbria, interessandocirca un milione di utenti (1.009.455 persone, secondo i ri-correnti). La Commissione europea, fa ricorso al citato “prin-cipio di precauzione” ritenendo di non poter accordare le de-roghe richieste per l’arsenico in concentrazioni superiori a 20ug/l, rilevando che «le prove scientifiche nei documenti indi-cati in riferimento negli orientamenti dell’Organizzazionemondiale della sanità e nel parere del comitato scientifico deirischi sanitari e ambientali consentono deroghe temporaneefino a 20 ug/l, mentre valori superiori determinerebbero ri-schi sanitari, in particolare talune forme di cancro», ed ag-giungendo che «occorre che l’Italia rispetti gli obblighi impo-sti dalla direttiva 98/83/CE».Tanto premesso, il Collegio distingue ai fini della responsabi-lità l’Amministrazione centrale ritenuta responsabile, mentreesclude la responsabilità di Regioni, Province e Comuni.Dalla documentazione risulta che tutte le Amministrazioni re-gionali e locali costituitesi in giudizio hanno sostanzialmenteadempiuto, pur in tempi e modi diversi, ai propri obblighi re-lativi alla gestione ed all’adeguamento del servizio idrico, almonitoraggio ed alla segnalazione delle criticità relative allapresenza di sostanze tossiche ed all’adozione, nell’ambitodelle disponibilità di bilancio, delle misure informative della

Danno e responsabilità 3/2012 339

GiurisprudenzaSintesi

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popolazione, delle misure temporanee sostitutive per la for-nitura di acqua potabile e per la progressiva conformazionedel servizio idrico alle nuove prescrizioni. La richiesta di risar-cimento in esame non può quindi essere accolta con riguar-do ad alcuna Amministrazione regionale e locale, non essen-do emerso alcun fatto antigiuridico potenzialmente causativodi un danno pur astrattamente risarcibile.A conclusioni diverse si presta l’esame dell’attività dei Mini-steri della Sanità e dell’Ambiente che, pur in prossimità dellascadenza del secondo periodo triennale di deroga e nellemore del necessario parere della Commissione europea ai fi-ni di un terzo periodo di deroga, non risultano aver adottatoiniziative specifiche, adeguate e proporzionate alla diffusio-ne, alla gravità ed all’urgenza del problema, alla stregua di unparametro di buon andamento dell’attività amministrativa edalla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche sui rischisanitari connessi. Le Amministrazioni centrali dello Stato, co-me lamentano i ricorrenti, «per almeno due settimane hannotenuto i cittadini all’oscuro della decisione comunitaria e deipericoli legati al consumo delle acque contaminate», e «solodopo tre settimane, di fronte alla minaccia dell’apertura diuna procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per lamancata comunicazione alla popolazione», hanno inviato unaidonea comunicazione alle Regioni.Secondo la documentazione allegata i Ministeri, solo dopo73 giorni, hanno dato concreta ed imperativa attuazione al di-sposto della Commissione europea che, in attuazione delprincipio di prevenzione, espressamente limitava ed in alcunicasi (per i bambini fino a tre anni) vietava del tutto la derogaai valori massimi di arsenico nell’acqua destinata al consumoumano da tempo disposta dalle Autorità italiane, in quantopotenzialmente cancerogeno, intervenendo solo un mesecirca prima del termine assegnato all’Italia dalla medesimaCommissione europea per la presentazione della prima rela-zione periodica sui risultati delle azioni intraprese per il supe-ramento della situazione.Passando all’esame del quantum il Collegio esamina se dalfatto illecito sopra accertato sia derivato un danno patrimo-niale suscettibile di risarcimento, oltre al risarcimento deldanno morale, che prendere le mosse dalla piena risarcibilitàdel danno non patrimoniale derivante dalla lesione del dirittoalla salute di cui all’art. 32 Cost. o di altri diritti inviolabili san-citi dalla Costituzione, ormai riconosciuta dalla giurispruden-za alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orienta-ta dell’art. 2059 c.c.In sintesi, il Tribunale ritiene congruo liquidare in via equitati-va il danno risarcibile in euro 100 per ciascuno, secondo unimporto che risulta parametrato anche alla richiesta, non ac-colta, di risarcimento per la tariffa che i ricorrenti ritengono diaver indebitamente corrisposto nel tempo.Il T.a.r. Lazio accoglie in parte il ricorso e condanna il Ministe-ro della salute ed il Ministero dell’ambiente e della tutela delterritorio e del mare, in solido fra loro, al risarcimento di euro100 in favore di ciascun ricorrente persona fisica quale uten-te, del servizio idrico in area territoriale caratterizzata dallapresenza di arsenico nell’acqua erogata in percentuali supe-riori a 20 ug/l.

I precedentiCons. Stato, sez. V, 8 settembre 2008, n. 4242 e Cass., sez.III, 21 ottobre 2005, n. 20358 secondo cui «l’illegittimità del-l’atto è solo un fattore concorrente ad integrare l’illiceità del-la condotta»; cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2010, n.2384.Per il danno morale, Cass., sez. un., nn. 26972/2008 e Cass.

civ. n. 11059/2009 relativa ai danni subiti dai cittadini resi-denti vicino all’impianto di Seveso.Sul principio di precauzione, Corte di Giustizia CE 26 novem-bre 2002 T132; sentenza 14 luglio 1998, causa C-248/95;sentenza 3 dicembre 1998, causa C-67/97; Cons. Stato, sez.VI, 5 dicembre 2002, n. 6657; T.A.R. Lombardia, Brescia, 11aprile 2005, n. 304.

La dottrinaR. Bandini, Acqua potabile e acqua «legale»: riflessioni su al-cuni aspetti normativi dell’acqua consumata dall’uomo - Ano-malie, disparità di trattamento, curiosità, Alimenta, 2005,237; V. Amendolagine, Il distacco dalla rete di acqua potabilecostituisce spoglio di diritti, in Immobili & dir., 2005, fasc. 6,47; C. Montanari, Problematiche afferenti alla riscossione deicanoni per la fornitura dell’acqua potabile, in Finanza loc.,2003, 373; C. Diani, Erogazione di acqua potabile inquinata:depenalizzazione del reato, in Ambiente, 2002, 773.

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GiurisprudenzaSintesi

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COOPERAZIONE NELL’INCENDIO COLPOSO

Cassazione penale, sez. IV, 2 novembre 2011 (17 gennaio2012), n. 1428 - Pres. Brusco - Rel. Blaiotta - Imp. G. (1)

La cooperazione nel delitto colposo si distingue dal con-

corso di cause colpose indipendenti per la necessaria re-

ciproca consapevolezza dei cooperanti della convergen-

za dei rispettivi contributi, che peraltro non richiede la

coscienza del carattere colposo dell’altrui condotta in

tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più

soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze or-

ganizzative connesse alla gestione del rischio o, quanto-

meno, sia contingenza oggettivamente definita della

quale gli stessi soggetti risultino pienamente consape-

voli.

Il casoSi addebita all’imputato di aver cooperato col proprietario diun terreno nell’incendio da questi cagionato per non aver te-nuto conto delle condizioni climatiche presenti al momentodell’innesco (ora calda del mese di agosto e forte vento). Pertal motivo, l’incendio finiva col devastare diversi ettari attigui.Nel ricorso per Cassazione, tra l’altro, si denuncia la mancan-za della cooperazione colposa, dato che l’imputato non ave-va violato alcuna regola precauzionale ed, anzi, mentre il fuo-co veniva appiccato alla proprietà, aveva provveduto a trac-ciare, a bordo di un trattore, solchi nel terreno per evitare cheil fuoco si propagasse ai terreni limitrofi.

La decisioneLa Suprema Corte rileva, prima di tutto, che la cooperazionenel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpo-se indipendenti per l’esistenza di un legame psicologico tra iconcorrenti: è indispensabile che ciascuno di essi sia consa-pevole della convergenza della propria condotta con quellaaltrui.È controverso, invece, se il concorrente debba anche essereconscio del carattere colposo dell’altrui condotta: il rischiodella tesi contraria è quello di estendere indiscriminatamen-te l’imputazione penale; pretendere detto requisito psicologi-co, d’altronde, reca il rischio opposto di svuotare l’art. 113c.p. e di renderlo inutile, giacché la consapevolezza del carat-tere colposo dell’altrui comportamento ben potrebbe impli-care un atteggiamento autonomamente rimproverabile.Argomentando anche dagli artt. 113, comma 2, e 114 c.p., laCassazione ritiene che la disciplina della cooperazione colpo-sa abbia una funzione estensiva dell’incriminazione rispettoall’ambito segnato dal concorso di cause colpose indipen-denti, coinvolgendo anche condotte atipiche, agevolatici, in-complete, di semplice partecipazione, che per assumere si-gnificato hanno bisogno di coniugarsi con altri comporta-menti.

Detta funzione estensiva, secondo il Supremo Collegio, si of-fre nei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggettisia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connessealla gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettiva-mente definita senza incertezze e pienamente condivisa sulpiano della consapevolezza. In tali situazioni, l’intreccio coo-perativo ed il comune coinvolgimento nella gestione del ri-schio giustificano la penale rilevanza di condotte che, sebbe-ne atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, vengo-no però a compenetrarsi con altre condotte tipiche.In situazioni di tal fatta, prosegue la Corte, ciascun soggettodovrà quindi agire tenendo conto del ruolo e del comporta-mento altrui: si genera un’integrazione tra le condotte cheopera non solo sul piano dell’azione, ma anche sul regimecautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupan-dosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nelcontesto. Tale pretesa d’interazione prudente individua il ca-none per definire il fondamento ed i limiti della colpa di coo-perazione, giustificando la deviazione rispetto al principio diaffidamento e di autoresponsabilità.Se per la cooperazione colposa, pertanto, è sufficiente che idiversi agenti siano consapevolmente coinvolti in una comu-ne procedura in corso, nel caso sub judice pare essersi rea-lizzata proprio una ipotesi di tal fatta, dato che l’imputato hacontribuito consciamente alla procedura di attivazione dellefiamme per la pulizia del terreno, sebbene la prudenza scon-sigliasse di farlo nelle condizioni climatiche presenti. Dun-que, la procedura era nel complesso pericolosa e l’agente viha cooperato con una condotta che non è stata quella tipica(l’accensione delle fiamme), ma che ha costituito, in ognimodo, parte integrante del comune coinvolgimento di diver-se persone.Alla luce dei suesposti principi, pertanto, è corretto l’addebi-to di cooperazione colposa nei confronti del ricorrente.

I precedentiNegli stessi termini, cfr. Cass. pen., sez. IV, 2 dicembre 2008,n. 1786, in C.e.d. Cass., rv. 242566. Per il riconoscimentodella cooperazione nel reato colposo a prescindere dalla con-sapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta, v. an-che Cass. pen., sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 6215, in C.e.d.Cass., rv. 246420; Cass. pen., sez. IV, 29 aprile 2009, n.26020, in C.e.d. Cass., rv. 243932.

La dottrinaG. Grasso, sub Art. 113 c.p., in M. Romano-G. Grasso, Com-mentario sistematico del Codice penale, II, Art. 85-149, IIIed., Milano, 215 ss.; L. Risicato, Cooperazione in eccessocolposo: concorso “improprio” o compartecipazione in colpa“impropria”?, in Dir. pen. proc., 2009, n. 5, 571 ss.; S. Cor-betta, sub Art. 113 c.p., in E. Dolcini-G. Marinucci, Codice pe-nale commentato, III ed., Milano, 2011, 1588 ss.

COOPERAZIONE NEL DELITTO COLPOSO

Danno e responsabilità 3/2012 341

GiurisprudenzaSintesi

Osservatorio di giustizia penalea cura di Carlo Piergallini

Nota:

(1) La nota alla sentenza è stata redatta dal Dott. ManuelFormica.

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RESPONSABILITÀ DEL COMMITTENTE

Cassazione penale, sez. IV, 18 gennaio 2012 (30 gennaio2012), n. 3563 - Pres. Sirena - Rel. Piccialli - Imp. M. ed al-tri (2)

Con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un con-

tratto di appalto o di prestazione d’opera, il dovere di

sicurezza grava, oltre che sull’affidatario dell’opera,

anche in capo al committente, con conseguente possi-

bilità che questi, in caso di infortunio, possa esserne

riconosciuto responsabile. Tale principio, tuttavia, non

va applicato automaticamente, dato che non può esi-

gersi dal committente un controllo pressante, conti-

nuo e capillare sulla organizzazione e sull’andamento

dei lavori. Per accertare la responsabilità del commit-

tente, pertanto, va approfondito l’esame della situa-

zione concreta, tenendo conto della specificità dei la-

vori da eseguire, della effettiva capacità tecnica e pro-

fessionale dell’affidatario dell’opera, della eventuale

ingerenza del committente nella esecuzione dei lavori

nonché del grado di percepibilità della situazione di

pericolo.

Il casoNell’eseguire un contratto d’opera in un fabbricato di pro-prietà dei committenti, il prestatore d’opera precipita dall’al-to della copertura del medesimo fabbricato e muore.Nel giudizio di appello si conferma la condanna per omicidiocolposo subita in primo grado dai committenti, ai quali si con-testa di non aver fornito all’infortunato dettagliate informa-zioni sui rischi connessi alla precarietà della copertura e dinon aver predisposto parapetti idonei ad impedirne la cadutadall’alto. Andava escluso, inoltre, che la vittima avesse tenu-to un comportamento “abnorme”, tale da assorbire la rile-vanza penale della colpa degli imputati.Nel ricorrere in Cassazione, costoro obiettano, tra l’altro, chel’infortunato aveva già completato i lavori commissionatiglied era intervenuto sulla copertura per un autonomo control-lo a seguito di piogge; tant’è che, il giorno dell’incidente, eraatteso altrove per iniziare un altro lavoro. Si denunciano, inol-tre, carenze motivazionali della sentenza impugnata, giacchéi molteplici dubbi prospettati dagli imputati sulla natura e suitempi dell’intervento effettuato dall’infortunato erano statisuperati dalla Corte d’Appello col semplice richiamo alla “co-mune esperienza” ed al “buon senso”.

La decisioneLa Suprema Corte decide di annullare la pronuncia d’appello.La responsabilità del committente - si rammenta - trova espli-cita regolamentazione nella disciplina antinfortunistica (cfr.art. 7, D.Lgs. n. 626/1994, ora sostanzialmente trasfuso nel-l’art. 26, D.Lgs. n. 81/2008) che, per i lavori svolti in esecu-zione di un contratto di appalto o di prestazione d’opera, co-me nel caso sub judice, orienta il dovere di sicurezza, oltreche in capo al datore di lavoro (di regola l’appaltatore, desti-natario delle disposizioni antinfortunistiche), anche nei ri-guardi del committente, con conseguente possibilità, in casodi infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti ancheil committente medesimo.Detto principio, tuttavia, non va applicato automaticamente,

non potendo esigersi dal committente un controllo pressan-te, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamentodei lavori.Per fondare la responsabilità di questi, pertanto, è necessa-rio un attento esame della situazione fattuale, al fine di verifi-care quale sia stata, in concreto, l’effettiva incidenza dellacondotta del committente nell’eziologia dell’evento, a frontedelle capacità organizzative del soggetto prescelto per l’ese-cuzione dei lavori. Vanno considerati, in particolare: 1) la spe-cificità dei lavori da eseguire, tenendo distinta l’ipotesi in cuiil committente dia in appalto lavori relativi ad un complessoaziendale di cui sia titolare dal caso in cui si tratti di lavori diristrutturazione edilizia di un immobile di proprietà, come nelcaso in esame; 2) i criteri seguiti dal committente per la scel-ta dell’appaltatore o del prestatore d’opera ed, in particolare,la sussistenza in capo all’affidatario dei titoli di idoneità pre-scritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale pro-porzionata al tipo di attività commissionata; 3) l’ingerenza delcommittente nell’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto odel contratto di prestazione d’opera; 4) il grado di percepibili-tà da parte del committente di eventuali situazioni di perico-lo.La sentenza d’appello, pertanto, viene censurata dalla Cas-sazione per essersi limitata ad escludere l’imprevedibilitàdella iniziativa di salire sulla copertura del fabbricato da partedell’infortunato, senza nulla dire in ordine alle capacità tecni-che ed organizzative dell’impresa di cui lo stesso era titolare,circostanza rilevante per il profilo della c.d. culpa in eligendo.Neppure risulta, inoltre, se - ed, eventualmente, in quali ter-mini - vi sia stata concreta ingerenza da parte dei commit-tenti nell’esecuzione dei lavori.Consegue l’annullamento della sentenza impugnata ed il rin-vio ad altra sezione di Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

I precedentiSulla posizione di responsabilità del proprietario-committen-te dei lavori, ad es., cfr. Cass. pen., sez. IV, 9 luglio 2010, n.42465, in C.e.d. Cass., rv. 248918; Cass. pen., sez. IV, 1° lu-glio 2009, n. 37840, in C.e.d. Cass., rv. 245275. Quanto al-l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’im-presa o dei lavoratori autonomi prescelti dal committente diuna ristrutturazione edilizia, ad es., cfr. Cass. pen., sez. IV, 14gennaio 2008, n. 8589, in C.e.d. Cass., rv. 238965.

La dottrinaSugli obblighi del committente-datore di lavoro ai sensi del-l’art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, da ultimo, cfr. P. Tullini, Com-mento ai commi 1-5 ed 8, in La nuova sicurezza sul lavoro,commentario diretto da L. Montuschi, vol. I, Principi comu-ni, a cura di C. Zoli, Bologna, 2011, 268 ss.; S. Callegari, Gliilleciti in materia di appalto, in F. Giunta-D. Micheletti (a cu-ra di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di la-voro, Milano, 2010, 275 ss. In materia di sicurezza nei can-tieri, cfr. S. Cherubini, Gli illeciti del committente o del re-sponsabile dei lavori, in F. Giunta-D. Micheletti (a cura di), Ilnuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, cit.,463 ss.

INFORTUNI SUL LAVORO

Danno e responsabilità 3/2012342

GiurisprudenzaSintesi

Nota:

(2) La nota alla sentenza è stata redatta dal Dott. ManuelFormica.

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LIQUIDAZIONE SPESE PARTE CIVILE

Cassazione penale, sez. VI, 8 novembre 2011 (14 dicem-bre 2011), n. 46537 - Pres. Milo - Rel. Citterio - P.M. (diff.)- Ric. XY (3)

Posto che il soggetto ammesso al gratuito patrocinio in-

staura un rapporto diretto ed esclusivo con lo Stato per

ciò che attiene la refusione delle spese legali, all’atto di

condannare l’imputato al pagamento degli oneri di co-

stituzione della parte civile, il giudice deve indicare lo

Stato come creditore e contestualmente provvedere alla

liquidazione delle somme a favore del difensore, ai sensi

e nei limiti stabiliti del combinato disposto degli artt. 82

e 110, comma 3, d.P.R. n. 115/2002.

Il casoSu richiesta congiunta delle parti, il Giudice per le indaginipreliminari presso il Tribunale di Belluno applicava la pena aisensi dell’art. 444 c.p.p. e, contestualmente, condannaval’imputato alla refusione delle spese di costituzione a favoredella parte civile, precedentemente ammessa al patrocinio aspese dello Stato.Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’im-putato, eccependo la violazione dell’art. 444, comma 2,c.p.p. con riferimento agli artt. 75 ss. d.P.R. n. 115/2002; inparticolare, atteso il rischio di una indebita duplicazione deicompensi al difensore, che potrebbe astrattamente avanzarele proprie pretese sia nei confronti dell’imputato sia dello Sta-to, la liquidazione, come disposta dal GIP, potrebbe provoca-re, a giudizio del ricorrente, un indebito arricchimento dellaparte civile ed un conseguente danno dell’imputato. Si ri-chiama a questo proposito la giurisprudenza di merito, se-condo cui il giudicante dovrebbe limitarsi ad affermare insentenza il diritto della parte civile all’an debeatur, rinviando,per la concreta quantificazione, alla procedura stabilita dal-l’art. 82 d.P.R. n. 115/2002.Preliminarmente affermata l’autonomia delle due liquidazio-ne, il Procuratore Generale conclude per il rigetto del ricorso,alla luce dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimi-tà, secondo cui gli onorari spettanti al difensore della parte ci-vile ammessa al gratuito patrocinio possono essere stabilitiin sentenza senza la necessaria osservanza dei vincoli previ-sti per il decreto ex art. 82 T.u.s.g.

La decisioneFermo l’interesse all’impugnazione, non già in relazione alpaventato ed eventuale indebito arricchimento della parte ci-vile, bensì al diritto del ricorrente di conoscere l’esatta indi-cazione del proprio unico creditore, si sottolinea che, mentrela disciplina dettata dall’art. 541 c.p.p. prescrive al giudice dicondannare l’imputato, con la sentenza che accoglie la do-manda di restituzione o di risarcimento, al pagamento dellespese processuali, provvedendo, ai fini della quantificazione,secondo le norme ed i criteri generali della tariffa professio-nale penale, alla stregua del Testo unico in materia di spesedi giustizia, è lo Stato a doversi fare carico del compensospettante al difensore della parte ammessa al gratuito patro-cinio, in conformità al decreto da emettersi al termine di cia-scuna fase processuale e con l’osservanza del limite del va-lore medio delle singole voci.Ciò posto, è di tutta evidenza che nella fattispecie in esame,

non solo, si vengano a sovrapporre tre relazioni - quella tral’imputato e la parte civile, quella tra lo Stato e la parte civileed infine quella tra lo Stato e l’imputato - ma, soprattutto, sigeneri un allarmante contrasto normativo. Un conflitto, tutta-via, solo apparente, a giudizio della Suprema Corte, postoche, là dove l’imputato sia condannato alle spese di costitu-zione della parte civile ammessa al gratuito patrocinio, il giu-dicante deve, per espressa previsione di legge (art. 110,comma 3, T.u.s.g.), disporre, con la medesima sentenza, cheil pagamento avvenga in favore, non già del privato, bensìdello Stato.Giova sottolineare che dal momento in cui la parte civile vie-ne ammessa al beneficio di cui agli artt. 74 ss. T.u.s.g. cessaogni tipo di rapporto con l’imputato soccombente, essendoassorbente ed esclusivo quello precedentemente instauratotra la prima - ed il suo difensore - e lo Stato: a questo propo-sito, è sufficiente considerare che il difensore della parte ci-vile mantiene inalterato il diritto alla liquidazione dei propricompensi professionali sia nell’ipotesi dell’assoluzione del-l’imputato sia in caso di compensazione delle spese.A fronte di quanto sopra ne residua, pertanto, che, con lacondanna ex art. 541 c.p.p., il giudice deve espressamentedisporre che il pagamento avvenga in favore dello Stato econtestualmente provvedere alla liquidazione a beneficio deldifensore, il quale ultimo dovrà presentare la propria notaspese già conforme ai limiti stabiliti dall’art. 82 T.u.s.g.

I precedentiConformi: Cass. pen., sez. IV, 16 luglio 2009, n. 42508, inC.e.d. Cass., rv. 245463; Trib. Chieti 7 maggio 2003, inP.Q.M., 2003, f. 2, 126; Trib. Trapani 1° ottobre 2007, in Giur.merito, 2008, 1125.Contrari: Cass. pen., sez. IV, 9 ottobre 2008, n. 42844, inCass. pen., 2010, 287; Trib. Camerino 27 febbraio 2007, inArch. nuova proc. pen., 2007, 788.

La dottrinaD. Potetti, La liquidazione del compenso al difensore dellaparte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato: unenigma irrisolvibile?, in Cass. pen., 2008, 1667 ss.; G. De Fal-co, Gratuito patrocinio e parti civili. L’imputato non paga, cipensa lo Stato, in Dir. e giust., 2006, n. 6, 59; V. Pezzella, Gra-tuito patrocinio e parte civile, ancora molti i dubbi interpreta-tivi, ivi, 2004, n. 15, 89; M. Pezone, Patrocinio a spese delloStato: incongruenze normative e disfunzione applicative, inP.Q.M., 2003, f. 2, 126 ss.

APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI

E LIQUIDAZIONE DELLE SPESE DI PARTE CIVILE

Cassazione penale, sez. un., 14 luglio 2011 (7 novembre2011), n. 40288 - Pres. Lupo - Rel. Cassano - Ric. T.T. eN.B. (4)

È ricorribile per cassazione la sentenza di patteggiamen-

PATROCINIO A SPESE DELLO STATO

RICORSO PER CASSAZIONE

Danno e responsabilità 3/2012 343

GiurisprudenzaSintesi

Note:

(3) La nota alla sentenza è stata redatta dal Dott. AlessioMatarazzi.

(4) La nota alla sentenza è stata redatta dal Dott. AlessioMatarazzi.

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to nella parte relativa alla condanna alle spese della par-

te civile; in particolare, la sentenza può essere oggetto

di impugnazione per quanto attiene alla legalità della

somma liquidata e alla esistenza di una corretta motiva-

zione, anche là dove nulla sia stato eccepito in sede di di-

scussione.

Il casoCon sentenza del 29 settembre 2010 il Tribunale di Sanse-polcro, su richiesta concorde delle parti, applicava alle impu-tate la pena di mesi quattro di reclusione e, ai sensi dell’art.444, comma 2, c.p.p., condannava le stesse alla rifusionedelle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in comples-sivi euro 3.098,72, oltre IVA e CAP come per legge.Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione leimputate, lamentando la violazione di legge ed il difetto dimotivazione della sentenza gravata nella parte relativa alla li-quidazione delle somme di costituzione, ove difetta la detta-gliata verifica e l’analitica valutazione delle singole voci dispesa.Rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sullamateria de qua, la Quinta Sezione penale ha rimesso la que-stione, con ordinanza del 29 marzo 2011, alle Sezioni Unite.

La decisioneLa totale assenza di motivazione circa la congruità delle som-me poste a carico delle imputate a titolo di rifusione dellespese sostenute dalla parte civile si intreccia con il più gene-rale tema della fisionomia della decisione ex art. 444 c.p.p. edell’estensione dell’accordo fra le parti.Premesso, infatti, che la sentenza in oggetto si inserisce inuno schema di giustizia negoziata, la questione sottoposta al-l’attenzione delle Sezioni Unite mira a stabilire se la condan-na alla spese sia parte o meno del patteggiamento.Sul punto, un primo indirizzo esegetico tende ad escluderesimile eventualità, ritenendo piuttosto che l’accordo interve-nuto tra l’imputato ed il pubblico ministero abbia esclusiva-mente ad oggetto gli aspetti penalistici e sanzionatori relativialla fattispecie concreta di reato.In tale prospettiva, è indubbio che, con riferimento al relativocapo della sentenza, la parte interessata è legittimata a de-durre, mediante ricorso per cassazione, le ordinarie censureche attengono alla valutazione giudiziale di pertinenza, con-gruità e documentazione delle voci di spesa.Di contrario avviso è l’orientamento interpretativo che consi-dera, invece, le statuizioni civili oggetto di rappresentazioneed accettazione da parte dell’imputato che abbia avanzatol’istanza di applicazione della pena o che vi abbia aderito; neconsegue, pertanto, che, in forza del principio di intangibilitàdell’accordo, nessuna doglianza può essere avanzata dall’im-putato in sede di gravame, a meno che lo stesso non abbiasollevato specifiche censure sui contenuti della nota spesein occasione della discussione.A giudizio della Suprema Corte tale secondo indirizzo nonmerita di essere condiviso sulla scorta di argomentazioni ditipo letterale e logico-sistematico. Si sottolinea, infatti, chel’art. 444, comma 2, c.p.p., non solo non consente al dan-neggiato di inserirsi nell’accordo tra imputato e pubblico mi-nistero, ma, ai fini della applicazione della pena, limita le va-lutazioni dell’organo giudicante agli aspetti esclusivamentepenalistico-sanzionatori (corretta qualificazione giuridica delfatto, applicazione e comparazione delle circostanze nonchécongruità della pena).Del resto, va, altresì, escluso che, parallelamente all’accordotra pubblico ministero ed imputato, si perfezioni un patto im-

plicito tra questi e la parte civile circa la rifusione delle spesedi costituzione. Significativa, in tal senso, la circostanza che,in sede di deliberazione, il giudice possa non solo procederealla liquidazione anche in difetto di nota, ma anche compen-sare, totalmente o parzialmente, le spese, ove ricorrano giu-sti motivi, ed, addirittura, valutare la legittimazione del sog-getto asseritamente leso dal reato, omettendo la relativacondanna in caso negativo.In conclusione, la sentenza de qua deve fornire adeguatamotivazione circa la pertinenza e congruità delle somme li-quidate, essendo altrimenti ricorribile per cassazione anchelà dove nulla sia stato eccepito all’udienza di discussione.

I precedentiConformi: Cass. pen., sez. VI, 3 febbraio 2006, n. 7902, inCass. pen., 2006, 2570; Cass. pen., sez. IV, 3 maggio 2006,n. 20796, in Guida al dir., 2006, f. 36, 84; Cass. pen., sez. II,11 maggio 2004, n. 39626, in Cass. pen., 2006, 2228; Cass.pen., sez. VI, 20 dicembre 2000, n. 3057, ivi, 2003, 3886.Contrarie: Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2008, n. 14309, inCass. pen., 2009, p. 2085; Cass. pen., sez. V, 27 settembre2002, n. 35599, ivi, 2003, 3887; Cass. pen., sez. V, 26 no-vembre 1998, n. 6375, in Cass. pen., 2000, p. 468; Cass.pen., 2 maggio 1996, n. 2000, ivi, 1829.

La dottrinaA. Zappulla, Patteggiamento e impugnazione della condannaalle spese sostenute dalla parte civile, in Cass. pen., 2003,3888; M. Gialuz, Patteggiamento e spese della parte civile:tra logica negoziale e prerogative del giudice, in Dir. pen.proc., 2001, 1120 ss.; G. Varraso, Vademecum delle sezioniunite in materia di azione civile da reato nel processo penale,in Giust. pen., 2000, III, 489 ss.; T. Luzi, Costituzione di partecivile in sede di patteggiamento e dovere del giudice di liq-uidare le spese, in Cass. pen., 1999, 937 ss.

Danno e responsabilità 3/2012344

GiurisprudenzaSintesi

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Danno e responsabilità 3/2012 345

Danno e responsabilitàIndici

INDICE DEGLI AUTORI

Barbaro Sergio

La Cassazione interviene ancora sull’aggressione daparte di animali ......................................................... 276

Batà Antonella

Osservatorio di legittimità ........................................ 335

Benedetti Aldo P.

La responsabilità dei genitori per il trasporto in mo-torino di un passeggero da parte del figlio minorenne 269

Bugatti Laura

Mancata proposizione dell’appello e responsabilitàdel professionista forense ........................................ 298

Carbone Vincenzo

Responsabilità dei genitori per carenze educative:danni provocati dal figlio minore in una sosta dellapartita di calcio .......................................................... 259

Colangelo Gianni

Un giudice a Lussemburgo. Proporzionalità, non di-scriminazione e danno nel conto corrente bancario . 316

Gioia Gina

Osservatorio sulla giustizia amministrativa .............. 337

Gorassini Attilio

Per un quasi commento sulla responsabilità perl’esercizio di attività pericolose ................................. 237

Laghezza Paolo

Di custodia, caso fortuito e responsabilità oggettiva 285

Piergallini Carlo

Osservatorio di giustizia penale ................................ 341

Scalzini Silvia

Taglio cesareo ritardato e grave patologia al bambi-no: i danni risarcibili ................................................... 309

Spirito Angelo

Osservatorio di legittimità ........................................ 335

Tescione Federica

Per un quasi commento sulla responsabilità perl’esercizio di attività pericolose ................................. 237

INDICE CRONOLOGICODEI PROVVEDIMENTIGiurisprudenza

Corte di cassazione

Civile

13 maggio 2011, n. 10686, sez. II ............................ 295

24 maggio 2011, n. 11430, sez. III, ord. ................... 284

18 luglio 2011, n. 15720, sez. III .............................. 282

20 luglio 2011, n. 15895, sez. III .............................. 273

23 agosto 2011, n. 17528, sez. III ............................ 274

29 novembre 2011, n. 25218, sez. III ....................... 267

6 dicembre 2011, n. 26200, sez. III .......................... 257

26 gennaio 2012, n. 1144, ord., sez. III .................... 335

1° febbraio 2012, n. 1439, ord., sez. VI .................... 336

2 febbraio 2012, n. 1493, ord., sez. III ...................... 335

Penale

14 luglio 2011 (7 novembre 2011), n. 40288, sez. un. 343

2 novembre 2011 (17 gennaio 2012), n. 1428, sez. IV.................................................................................. 341

8 novembre 2011 (14 dicembre 2011), n. 46537,sez. VI ....................................................................... 343

18 gennaio 2012 (30 gennaio 2012), n. 3563, sez. IV 342

Tribunale civile

3 gennaio 2011, Milano ............................................ 314

26 luglio 2011, n. 2605, Bari, sez. II ......................... 305

Consiglio di Stato

10 gennaio 2012, n. 39, sez. V ................................. 337

Tribunale amministrativo regionale

20 gennaio 2012, n. 663, Lazio, sez. II bis ................ 338

INDICE ANALITICO

Attività pericolosa

Per un quasi commento sulla responsabilità perl’esercizio di attività pericolose, di Attilio Gorassini eFederica Tescione ..................................................... 237

Circolazione stradale

Scontro tra veicoli (Cassazione civile, sez. III, 26 gen-naio 2012, n. 1144, ord.), in Osservatorio di legittimi-tà .............................................................................. 335

Cooperazione nel delitto colposo

Cooperazione nell’incendio colposo (Cassazione pe-nale, sez. IV, 2 novembre 2011 (17 gennaio 2012), n.1428), in Osservatorio di giustizia penale ................. 341

Cose in custodia

Di custodia, caso fortuito e responsabilità oggettiva(Cassazione civile, sez. III, 18 luglio 2011, n. 15720;Cassazione civile, sez. III, 24 maggio 2011, n. 11430,ord.), con commento di Paolo Laghezza .................. 282

Infortuni sul lavoro

Responsabilità del committente (Cassazione penale,sez. IV, 18 gennaio 2012 (30 gennaio 2012), n. 3563),in Osservatorio di giustizia penale ............................ 342

Obbligazioni e contratti

Un giudice a Lussemburgo. Proporzionalità, non di-scriminazione e danno nel conto corrente bancario

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(Tribunale di Milano, 3 gennaio 2011), con commen-to di Gianni Colangelo .............................................. 314

Patrocinio a spese dello Stato

Liquidazione spese parte civile (Cassazione penale,sez. VI, 8 novembre 2011 (14 dicembre 2011), n.46537), in Osservatorio di giustizia penale ............... 343

Responsabilità dei genitori

Responsabilità dei genitori per carenze educative:danni provocati dal figlio minore in una sosta dellapartita di calcio (Cassazione civile, sez. III, 6 dicem-bre 2011, n. 26200), con commento di Vincenzo Car-bone ......................................................................... 257

La responsabilità dei genitori per il trasporto in mo-torino di un passeggero da parte del figlio minorenne(Cassazione civile, sez. III, 29 novembre 2011, n.25218), con commento di Aldo P. Benedetti ............ 267

Responsabilità professionale

Mancata proposizione dell’appello e responsabilitàdel professionista forense (Cassazione civile, sez. II,13 maggio 2011, n. 10686), con commento di LauraBugatti ...................................................................... 295

Responsabilità sanitaria

Taglio cesareo ritardato e grave patologia al bambi-

no: i danni risarcibili (Tribunale di Bari, sez. II, 26 lu-glio 2011, n. 2605), con commento di Silvia Scalzini 305

Ricorso per cassazione

Applicazione della pena su richiesta delle parti e li-quidazione delle spese di parte civile (Cassazionepenale, sez. un., 14 luglio 2011 (7 novembre 2011),n. 40288), in Osservatorio di giustizia penale ........... 343

Risarcimento del danno

La Cassazione interviene ancora sull’aggressione daparte di animali (Cassazione civile, sez. III, 20 luglio2011, n. 15895; Cassazione civile, sez. III, 23 agosto2011, n. 17528), con commento di Sergio Barbaro .. 273

Danni allo straniero (Cassazione civile, sez. III, 2 febbra-io 2012, n. 1493, ord.), in Osservatorio di legittimità .... 335

Danni futuri (Cassazione civile, sez. VI, 1° febbraio2012, n. 1439, ord.), in Osservatorio di legittimità ... 336

Indennizzo in seguito a revoca di project financing(Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2012, n. 39), inOsservatorio sulla giustizia amministrativa .............. 337

Tutela dei consumatori

Arsenico nell’acqua oltre i limiti di legge: danno dalesione del diritto alla salute (Tar. Lazio, sez. II bis, 20gennaio 2012, n. 663), in Osservatorio sulla giustiziaamministrativa .......................................................... 338

Danno e responsabilità 3/2012346

Danno e responsabilitàIndici

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