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Daniele Marini Inno vatori di con fine I percorsi del nuovo Nord Est NORDEST TRA CRISI E SVILUPPO Estratto della pubblicazione

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Il Nord Est del futuro lo si potrà costruire solo adottando nuove categorie interpretative. Immaginando nuove modalità di sviluppo in modo complesso, considerando assieme le peculiarità di questi territori: l’identità manifatturiera assieme a quella ambientale, culturale e turistica. In altri termini, mirando alla crescita di un Nord Est qualitativo. Per questi motivi si può sostenere che è vero: il Nord Est (del passato) non c’è più. Se continuiamo a leggerlo, però, con le lenti di ieri. Ma se inforchiamo nuovi occhiali, che ci aiutino a mettere a fuoco meglio i fenomeni che lo attraversano, allora saremmo in grado di coglierne le metamorfosi. C’è un nuovo Nord Est da raccontare: quello che abbiamo conosciuto sta lasciando il passo a un altro Nord Est. E vale la pena continuare a seguirlo, analizzarlo e raccontarlo.

Daniele Marini (Padova, 1960) è Professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Univer-

sità di Padova. Direttore scientifico della Fondazione Nord Est, è editorialista del quotidiano “La Stampa”.

Con Marsilio ha curato i volumi Nord Est 2011. Rapporto sulla società e l’economia (2011), Fuori dalla

media. Percorsi di sviluppo delle imprese di successo (2008), Il lavoro in un’impresa di valore (2008)

e Frontiere mobili (con M. Bertoncin e A. Pase, 2009).

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Nordest tra crisi e sviluppo

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InnovatorI dI confIneI percorsi del nuovo Nord Est

di daniele Marini

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EBOOK © 2012 by Nordesteuropa editore srl © 2012 by Marsilio Editori spa Prima edizione digitale 2012 ISBN 978-88-317-3313-7 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata

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“Chi vede un fiume guarda il verso in cui scorre, dove scende secondo la corrente. Ma il futuro di un fiume è alla sorgente.”

e. de Luca, E disse, Milano, feltrinelli, 2011

“…non si può osservare un’onda senza tener conto degli aspetti complessi che concorrono a formarla e di quelli altrettanto complessi

a cui essa dà luogo.”I. calvino, Palomar, torino, einaudi, 1983.

a mio padre, antonio

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Il nord est è fra i territori più studiati e scandagliati del nostro Paese. Ma anche quello che suscita sentimenti contrapposti, diviso com’è fra sostenitori e detrattori. Spesso, a prescindere. tanto all’in-terno del suo perimetro, quanto al suo esterno. Hanno ragioni da vendere quanti sostengono che “il nord est” non esiste come entità unica e unitaria: due regioni e due Province ciascuna con ordina-menti giuridici diversi. Il veneto a Statuto ordinario, il friuli vene-zia Giulia a Statuto autonomo, trento e Bolzano hanno una loro autonomia Provinciale, tant’è che la regione trentino alto adige occupa un ruolo residuale. Le stesse economie marcano differenze significative, anche all’interno delle stesse regioni. vi sono città, nel nord est geografico, che per tradizione e storia hanno peculiarità che si conciliano in misura limitata con il territorio più vasto in cui sono inserite: basti pensare a trieste, a venezia, a Bolzano. Inoltre, gli accadimenti sociali ed economici del nuovo millennio stanno por-tando notevoli cambiamenti nel tessuto del nord est. La competi-zione internazionale sta modificando profondamente i meccanismi di funzionamento dei distretti industriali. La struttura produttiva, fondata su imprese di piccola dimensione e con un ruolo leader del manifatturiero, conosce un processo di trasformazione. I trend de-mografici stanno progressivamente rivoluzionando la struttura della popolazione. Un coacervo di fenomeni sta attraversando il territorio e ne sta mutando la configurazione. Gli stessi indicatori economici raccontano di un progressivo allineamento delle performance del nord est al resto dell’Italia. o, forse, è l’Italia che si è progressiva-mente nordestizzata.

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Se, dunque, è in corso questa convergenza con la media naziona-le, se il nord est ha eroso le sue peculiarità e si sta assimilando al dato medio nazionale, ha ancora senso studiare e raccontare il nord est? La risposta al quesito è positiva. Sì, ha ancora senso studiare e, soprat-tutto, narrare questa parte del Paese. non solo perché, nonostante tut-to, continua a offrire prestazioni leggermente più positive, ma anche per alcuni motivi che guardano al futuro del suo sviluppo.

Il primo è che, nonostante le performance economiche e sociali, non ha trovato ancora piena cittadinanza a livello nazionale: non è an-cora pienamente riconosciuto e adeguatamente valorizzato. Lo si può misurare attraverso alcuni paradossi. È l’area fra le più industrializzate d’europa, ma non è dotata delle infrastrutture necessarie. L’alta velo-cità da torino va a Milano, poi scende a Bologna fino a firenze e napo-li. Ma non si sviluppa ancora verso est. nella direzione dei nuovi mer-cati. come non ricordare, poi, la vicenda della candidatura di venezia alle olimpiadi 2020, malamente rigettata. Il nord est non ha ancora trovato la strada per rappresentare i propri interessi su scala nazionale, là dove si fanno le scelte strategiche per lo sviluppo. non è però solo a causa degli altri. Su questo punto, in particolare, le classi dirigenti del nord est devono ancora sviluppare una riflessione e una cultura adeguata. Soprattutto, un’azione concertata e condivisa, in grado di esercitare le opportune pressioni su scala nazionale. al policentrismo urbano del nord est fa pendant una classe dirigente diffusa, ma senza una rete che la colleghi. È sufficiente ripensare a cosa accade quando qualcuno del nord est si candida a ricoprire ruoli nazionali nei diversi mondi associativi o istituzionali per verificare come lo spirito di coesio-ne ancora non alberghi in queste lande. costruire una classe dirigente coesa, in grado di dare vita a una leadership nazionale, passa attraverso un’operazione culturale: valorizzare le individualità in una logica di competizione cooperativa. È la sfida del futuro per il nord est.

Il secondo motivo rinvia all’idea del nord est, alla sua rappresen-tazione, che si è affermata a livello nazionale. fuori dal nord est, il nord est esiste. Ha una sua raffigurazione, spesso distorta e respinta dagli stessi nordestini, ma che contribuiscono non di rado ad alimen-tare. certo, non fa più notizia come avveniva negli anni ’90, ma si

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continua a guardare a esso come a un laboratorio. È un aspetto fonda-mentale, perché a questi territori è comunque riconosciuto un ruolo di sperimentazione, di elaborazione economica e sociale: una sorta di avanguardia. non a caso, sia che trapelino segnali di crisi economica, sia di ripresa, il nord est viene immediatamente investito d’indagini giornalistiche volte a carpire i segnali di ciò che avverrà. È un contri-buto fondamentale che il nord est offre al Paese: la sua dimensione laboratoriale. Qui, prima che altrove, si sviluppano fenomeni che poi trovano un riverbero sul piano nazionale. come non ricordare che il tema dell’autonomia territoriale, del federalismo e della sussidiarietà trova origine nel nord est. oggi, la dirigenza della Lega è di espressio-ne lombarda, ma la radice è in veneto con la Liga veneta1. come non ricordare l’esperienza dello sviluppo delle piccole imprese, dei distret-ti industriali, della vocazione a proiettarsi sui mercati esteri, l’avvento del post-fordismo che trova proprio nel nord est un territorio acco-gliente e propulsivo. come non ricordare, a dispetto degli stereotipi, le società e la struttura produttiva locale: meglio che altrove ha offerto opportunità d’integrazione alle popolazioni migranti2. Il nord est ha il profilo del laboratorio.

Il terzo motivo consiste nel diffondere, narrare e affermare i per-corsi flessibili, tailor made, che il nord est è in grado di elaborare nei diversi ambiti: da quello economico e imprenditoriale, a quello sociale e della coesione. rispetto alle grandi ricette o ai modelli di sviluppo proposti il nord est ha sempre cercato di declinarli pragmaticamente secondo le sue specificità e peculiarità. La crisi attuale testimonia una volta di più come non esistano indicazioni universalmente valide, ma che ogni territorio – pur considerando le linee di tendenza generali – deve individuare un proprio percorso. Sotto questo profilo, il nord est ha un vantaggio: l’essere in periferia. Perché il nuovo si genera lontano dal centro, ai margini, sui confini perché “oltre ad avere lo sco-

1 I. diamanti, La Lega: geografia, storia e sociologia di un soggetto politico, roma, donzelli, 1993; f. Jori, Dalla Liga alla Lega. Storia, movimenti, protagonisti, venezia, Marsilio, 2009.

2 v. cesareo, G. c. Blangiardo (a cura di), Indici di integrazione. Un’indagine empirica sulla realtà migra-toria in Italia, Milano, franco angeli, 2009; d. Girardi, f. Marzella, L’integrazione degli immigrati: il caso Veneto, in d. Marini e S. oliva (a cura di), Nord Est 2010. Rapporto sulla società e l’economia, venezia, Marsilio, 2010; cneL, Indici di integrazione degli immigrati in Italia, roma, 2010.

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po di separare, (i confini, ndr) hanno anche il ruolo/destino di essere delle interfacce, di promuovere incontri, interazioni e scambi, e in definitiva una fusione di orizzonti cognitivi e pratiche quotidiane.”3 In questo senso, il nord est mantiene un ruolo di periferia che non è più, però, quello assegnatoli negli anni del boom economico. Una periferia marginale, non in grado di generare valore autonomamente, ma solo alle dipendenze di altri. Questa periferia è diventata, invece, “centrale” perché in essa si materializzano processi di innovazione sociale ed economica, che successivamente si riverberano sull’intero Paese.

Il quarto motivo risiede nella competizione internazionale. oggi si gioca non più solo sul versante economico, ma sui sistemi territoria-li. disporre di un’ossatura imprenditoriale innovativa è un elemento necessario, ma non sufficiente a garantire lo sviluppo. Le prospettive di una realtà territoriale, in un’economia e una società interdipenden-ti e integrate in misura crescente, sono direttamente proporzionali alla capacità di immaginarsi e progettarsi come un sistema territoriale intelligente. Il futuro si gioca sempre di più nella competizione fra aree in grado di affermarsi per le loro specializzazioni, per la capaci-tà di identificarsi ed essere identificate quali depositarie di un brand particolare e unico, per l’attitudine a integrarsi nelle reti di relazioni economiche e sociali più ampie, per la possibilità di attrarre risorse, competenze e professionalità necessarie al proprio sviluppo. In questo senso, il nord est deve pensarsi come un sistema all’interno del suo perimetro geografico, ma anche al di fuori di se stesso: oltre i suoi con-fini amministrativi. Seguendo le linee di relazioni economiche della propria struttura produttiva guidate dalle medie imprese industriali: verso nord ovest, lungo la via emilia e la dorsale adriatica. dopo la fase del nec (nord-est-centro), si sta sviluppando l’nca (nord-centro-adriatico). di più, non vanno dimenticate anche le reti di relazioni economiche e istituzionali dell’arco alpino e della macro regione europea. dunque, è fondamentale costruire un sistema terri-toriale intelligente del nord est che guardi al suo interno, ma in grado di proiettarsi oltre i suoi confini geografici.

3 Z. Bauman, Nascono sui confini le nuove identità, in “corriere della Sera”, 24.5.2009.

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Il quinto motivo risiede nell’idea del nord est del futuro, che scru-ta oltre la crisi che stiamo attraversando. Lo si potrà costruire so lo adot-tando nuove categorie interpretative. Immaginando nuove modalità di sviluppo in modo articolato, considerando assieme le peculiarità di que-sti territori: l’identità manifatturiera assieme a quella ambientale, cultu-rale e turistica. È un progetto complesso che deve essere immaginato, in grado di contenere le diverse dimensioni peculiari dei suoi territori. In altri termini, mirando alla crescita di un nord est qualitativo.

Per quest’insieme di motivi, allora, possiamo sostenere che è vero: il nord est (del passato) non c’è più. non possiamo, però, continuare a leggere quanto sta accadendo oggi con le lenti di ieri. Se inforchiamo nuovi occhiali, che ci aiutino a mettere a fuoco meglio i fenomeni che lo attraversano, allora saremmo in grado di coglierne le metamorfosi. c’è un nuovo nord est da raccontare: quello che abbiamo conosciuto sta lasciando il passo a un altro nord est. e vale la pena continuare a seguirlo, analizzarlo e raccontarlo.

I capitoli contenuti in questo volume hanno l’ambizione di pro-vare a raccontare e rappresentare il nuovo profilo del nord est che si sta costruendo lungo l’arco del primo decennio del nuovo millennio. L’obiettivo è di fare emergere gli elementi d’innovazione, le nuove frontiere del nord est, che possano anche prefigurare i nuovi indirizzi del futuro. con tutti gli aspetti positivi, ma anche con le carenze da colmare. Un obiettivo ambizioso, ma che spero possa – almeno in parte – delinearsi nelle pagine che seguono.

Il volume si compone di alcuni saggi originali e di una serie di articoli scritti in diverse occasioni, rivisitati e qui raccolti con una si-stemazione organica. Molte delle analisi sono state possibili grazie alla mole di ricerche realizzate con la fondazione nord est, ai contributi che i suoi ricercatori e molti studiosi mi hanno offerto, in diversa mi-sura, in oltre dieci anni di lavoro dalla sua nascita. La rete di relazioni intessuta è assai vasta e rischierei di tralasciare qualcuno. da ciascuno ho tratto indicazioni e sollecitazioni che mi hanno aiutato a meglio focalizzare i fenomeni. a tutti loro va il mio più sentito e personale ringraziamento. oltre all’attività di produzione scientifica, c’è anche

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un progetto culturale, un’idea sul nord est che, in diversi tempi e modi, ho potuto discutere con Marina Bertoncin, Giorgio Brunetti, Innocenzo cipolletta, cesare de Michelis, francesco Jori, Giampao-lo Pedron, Silvio Scanagatta, Barbara Segatto. con Ilvo diamanti ho condiviso molti progetti, e non solo: gli sono particolarmente grato. devo uno speciale ringraziamento per un sodalizio che non è solo professionale ad auro Palomba, andrea Pase e Paolo Possamai e fili-berto Zovico. Questo lavoro non sarebbe stato possibile, però, senza il sostegno del mio “laboratorio familiare”: Sara, Giulia, Silvia, edoardo. Le loro aspettative e i loro sogni costituiscono il mio stimolo a guar-dare con speranza al futuro che si dischiude. a cinzia, con cui condi-vido vita e pensieri, dedico questo lavoro e il mio riconoscimento più grande: senza la sua disponibilità per il tempo sottratto e l’incoraggia-mento, non sarei riuscito a realizzarlo.

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Le trasformazioni indotte dalla crisi globale che stiamo attraversando impone di evitare risposte univoche all’analisi dei fenomeni. non possia-mo più leggerli con le categorie del passato. In questo senso, un’attenta analisi dei fenomeni che interessano la società e l’economia del nord est racconta, al di là dei dati istituzionali, come da tempo questo territorio abbia avviato un percorso di metamorfosi strutturale: un cambiamento di pelle1. Poiché i fattori sui quali si è fondato lo sviluppo (ampia dispo-nibilità di popolazione locale, abilità artigianali e piccole imprese diffuse, territorio disponibile agli insediamenti, orientamenti culturali e religiosi omogenei) in parte sono mutati, in altra sono venuti meno, e altri fatto-ri nuovi si sono palesati. In questo senso, il nord est che osserviamo in questi anni è “altro” rispetto al suo passato recente: ha ancora un’identità industriale (però a sua volta fortemente trasformata), ma al suo fianco ha scoperto e sviluppato altre vocazioni come quella dell’integrazione, dell’internazionalizzazione, della qualità della vita. È diventato un nord est complesso, articolato, costituito da un insieme di identità.

a ben vedere, sono fenomeni oggi non più catturabili all’interno di categorie interpretative statiche e univoche. Le grandi narrazioni e con esse i tentativi di profetizzare in modo netto gli scenari futuri si scontrano con una realtà fatta di avvenimenti irriducibili a una sintesi unica, di una loro “riduzione ad unità di tutto ciò che accade”2. La

1 Il testo è una rivisitazione del saggio Il Nord Est talent scout, pubblicato in d. Marini e S. oliva (a cura di), Nord Est 2009. Rapporto sulla società e l’economia, venezia, Marsilio, 2009.

2 Per una discussione pacata su come tanto gli approcci catastrofistici, quanto quelli delle smisurate speranze non siano corretti per interpretare la realtà, mentre sia più utile una “ragionevole speranza”, si veda e P. rossi, Speranze, Bologna, il Mulino, 2008.

1. Nord Est:diversi percorsi,diverse categorie

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velocità con cui i cambiamenti avvengono, le interazioni fra le diverse sfere sociali, culturali ed economiche, la loro trasversalità consigliano di utilizzare strumenti di analisi multidimensionali, approcci discipli-nari integrati il più possibile fra loro. Questo è lo sforzo interpretativo necessario da realizzare se si vuole “approssimare”, per passi succes-sivi, la realtà effettiva3. viceversa, saremo in misura crescente in balia di esiti e indicatori che offrono risultati di volta in volta paradossali, se non contradditori, quando sono presi singolarmente. a questo pro-posito, dunque, vale la pena trarre alcuni utili insegnamenti, al fine di non cadere in errori interpretativi che di frequente accadono e che qui proviamo a elencare sinteticamente.

con troppa disinvoltura si prendono in considerazione gli indica-tori per i confronti internazionali al fine di realizzare comparazioni, da un lato, e, dall’altro, va avviata una revisione delle nostre tradizionali categorie analitiche con cui si misura lo stato dell’economia e della società. ranci e forti, in un recente studio comparativo realizzato per astrid4, hanno evidenziato chiaramente le debolezze metodologiche di molte classifiche sulla competitività internazionale. di più, le stesse classifiche realizzate dall’Unione europea, come nel caso della misu-razione dell’innovazione fondata sul deposito dei brevetti, non consi-derano che nelle PMI questi processi assumono percorsi diversificati, di cui spesso non si trova traccia neppure nei bilanci. Il motivo è che questi indicatori sono costruiti con riferimento alle grandi imprese strutturate. come empiricamente dimostra la realtà economica, oltre le ricerche qualitative e le analisi congiunturali, sicuramente non si può sostenere che le piccole e medie imprese non abbiano realizzato in questi anni innovazioni di processo e di prodotto. Sarebbero uscite dal mercato. dunque, una qualche innovazione che non sia transitata attraverso i brevetti deve essere stata realizzata.tutto ciò non signifi-ca che la costruzione di indicatori utili a realizzare comparazioni su

3 Già da tempo insisto su questo aspetto, oggi ulteriormente avvertito: d. Marini, La morfogenesi del Nord Est: un dinamismo frenato, in id. (a cura di), Nord Est 2006. Rapporto sulla società e l’economia, venezia, Marsilio, 2006.

4 Si veda il commento di f. Locatelli, Processo alle classifiche sulla competitività, in “Il Sole 24 ore”, 17.01.2009.

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Nord Est: diversi percorsi, diverse categorie

vasta scala non siano utili o da non assumere. anzi, è necessario e op-portuno che ci siano, perché definiscono una cornice, permettono di realizzare un benchmark. tuttavia, sono un elemento necessario, ma non sufficiente, a descrivere i reali fenomeni economici e sociali.

non sono trascorsi molti anni da quando si sosteneva l’obsole-scenza del nostro sistema produttivo e di quello industriale; che il terziario sarebbe stato il settore verso il quale indirizzarsi; a ritenere superati i distretti industriali e il Made in Italy; a prevedere la scom-parsa delle PMI; a pressare il sistema bancario verso una maggiore internazionalizzazione disancorandosi dal territorio locale. con la consapevolezza dettata dagli eventi di oggi, possiamo confermare che quelle indicazioni non erano del tutto corrette e corrispondenti alle trasformazioni già in atto. Uno degli esiti dell’attuale crisi è che non esistono modelli e ricette univocamente valide. È possibile individua-re cornici, linee generali, scenari complessivi, che poi però devono essere declinati tailor-made, ritagliati su misura in modo flessibile sui territori, sui settori, sulle diverse tipologie di imprese. così facendo riusciremo a giustificare e comprendere perché i distretti, pur nelle difficoltà, si stanno trasformando in “dis-larghi”5. come anche le pic-cole imprese riescano a inserirsi nelle filiere internazionali e a essere egualmente competitive. Perché l’industria mantiene un ruolo strate-gico nel sistema produttivo, realizzando una vera e propria metamor-fosi al suo interno, attuando innovazioni nella propria organizzazione interna e con la propria filiera di riferimento.

La considerazione precedente richiede di superare le categorie dicotomiche ancora oggi usualmente utilizzate per leggere i fenome-ni: industria/terziario, piccola/grande impresa, nord ovest/nord est, settori maturi/innovativi. Un’industria manifatturiera che ha spostato all’estero il lavoro a basso valore aggiunto e ha sviluppato al suo in-terno le funzioni terziarie (ricerca, marketing, commercializzazione,

5 Per una maggiore definizione di questa categoria rinvio a d. Marini, Medie imprese: l’im possibilità di essere normali, in id. (a cura di), Fuori dalla media. Percorsi di sviluppo delle imprese di successo, venezia, Marsilio, 2008. Su questa linea interpretativa s’inseriscono diversi studi. fra i più recenti, ricordo: n. delai (a cura di), Le tensioni al cambiamento della forma-distretto, Genova, Unicredit Group, 2006; G. corò e r. Gran-dinetti (a cura di), Le strategie di crescita delle medie imprese, Milano, Il Sole 24 ore, 2007; f. Guelpa e S. Micelli (a cura di), I distretti industriali del terzo millennio, Bologna, il Mulino, 2007.

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logistica…) appartiene ancora al settore secondario o si è trasferita nel terziario? eppure, continua a essere censita come “industria”. consi-derando le strategie e le problematiche che le medie imprese eviden-ziano (per l’80% circa omogeneamente diffuse nel nord dell’Italia), osserviamo essere le medesime nelle diverse realtà geografiche di insediamento. In questo caso, ha poco senso porre l’accento su una diversità fra aziende del nord ovest rispetto a quelle del nord est. Inoltre, guardare al sistema economico come la sommatoria di singo-le unità produttive è sempre più riduttivo. ogni media impresa del nord ha relazioni con circa 244 subfornitori (274 nel nord est, 222 nel nord ovest), da chi produce a chi commercializza i prodotti, a chi segue i servizi, al cliente finale6. fatto 100 il prodotto realizzato da una media impresa, l’80% viene dalla vasta platea dei subfornitori, i quali concorrono tutti alla realizzazione finale. Quindi, si dovrebbe considerare l’intera filiera come una sorta di un’unica grande fabbrica orizzontale dai contorni flessibili. e ancora, dentro la filiera ci sono imprese medie, piccole e piccolissime che si tengono in una stretta re-lazione fra loro. Pur sapendo che ci sono problematiche specifiche per le diverse tipologie d’impresa, ciò non di meno la soglia dimensionale non costituisce più un discrimine effettivo7. tutto ciò conferma, una volta di più, la necessità di dotarsi di nuove categorie interpretative.

non da ultimo, l’esperienza per molti aspetti non positiva di una politica dello sviluppo alimentata dal centro, l’articolazione produtti-va del nostro Paese, hanno posto in risalto il tema dello sviluppo loca-le, delle diverse risorse dei territori8. Le potenzialità e le traiettorie di crescita si possono meglio apprezzare solo approssimandosi alle realtà locali, per evitare la trappola del dato medio nazionale che annacqua

6 G. Gagliardi, Fattori competitivi e performance delle medie imprese industriali, in Marini d. (a cura di), Fuori dalla media. Percorsi di sviluppo delle imprese di successo, cit.

7 Su questi diversi aspetti, rinvio alle riflessioni e alle testimonianze degli imprenditori analizzate da S. oliva, La dimensione: una questione culturale, in d. Marini (a cura di), Fuori dalla media. Percorsi di sviluppo delle imprese di successo, cit.

8 Particolarmente lucida è la ricostruzione e l’analisi sulla politica per lo sviluppo realizzata da f. Barca, Italia frenata, roma, donzelli, 2006.

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le diverse performance9. Se, per un verso, questa osservazione riflette il dualismo e la frammentazione dell’Italia che ne frenano la possibili-tà di progettarsi in modo omogeneo; dall’altro verso, offre l’opportu-nità di identificare le pratiche migliori per cercare di diminuire il gap economico che ci contraddistingue.

Le sintetiche annotazioni poco sopra svolte hanno lo scopo di in-vitare a maneggiare con cautela categorie interpretative rigide, da un lato. Soprattutto, dall’altro lato, costituiscono l’invito a ricercare nuovi criteri di lettura e analisi. non per nascondere l’esistenza dei proble-mi, ma per affinare maggiormente la capacità di osservazione e com-prensione dei fenomeni medesimi. a maggiore ragione in una fase di elevata criticità come l’attuale, questo è un lavoro indispensabile.

9 Sono numerosi i contributi e le analisi attente alle dimensioni territoriali. fra gli altri, ricordo: I. dia-manti, L. ceccarini (a cura di), Marche 2004. Mappe e scenari della società regionale, napoli, Liguori editore, 2004; a. Bagnasco e c. trigilia (a cura di), Tendenze e politiche dello sviluppo locale in Italia, venezia, Marsilio, 2005; G. Berta e a. Pichierri (a cura di), Libro bianco per il Nord Ovest, venezia, Marsilio, 2007; censis, L’Italia dei territori, 2009, roma; P. Perulli e a. Pichierri (a cura di), La crisi italiana nel mondo globale: economia e società al Nord, torino, einaudi, 2010; d. Marini (a cura di), Nord Est 2011. Rapporto sulla società e l’economia, venezia, Marsilio, 2011 (e anni precedenti).

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