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I Quaderni dell’economia locale n. 2/2010 Dalle spade agli occhiali: i prodotti bellunesi nel mondo dinamiche passate e attuali novembre 2010 con il contributo di

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I Quaderni dell’economia localen. 2/2010

Dalle spade agli occhiali:i prodotti bellunesi nel mondo

dinamiche passate e attuali

novembre 2010

con il contributo di

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Direttore Responsabile: Carlo ArgentiAut. Tribunale n. 7 del 27/06/2003

Progetto e coordinamento: Monica SandiTesti: Monica Sandi, Paola Menazza, Giovanni Larese e con contributi di: Melita Troian, Isabella Licini, Andrea Daviàtavole e grafici: Monica Sandi, Paola Menazza

stampato in proprioSi autorizza la riproduzione per fini non commerciali e con la citazione della fonte.Il volume è disponibile su richiesta presso il Servizio Statistica e Studi C.C.I.A.A. di Belluno e in formato elettronico sul sito internet www.bl.camcom.it e www.starnet.unioncamere.it

Per chiarimenti sul contenuto rivolgersi a:Camera di Commercio I.A.A. di BellunoServizio Statistica e StudiP.zza S. Stefano, 15/17 – 32100 BellunoTel. 0437 955131 – Fax 0437 955171e-mail: [email protected]: www.bl.camcom.it

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PREFAZIONE

Questo lavoro nasce con l’intento di descrivere l’andamento dell’interscambio commerciale della provincia di Belluno dal 1993 ad oggi, rapportandolo al processo di internazionalizzazione dell’economia. Si intende valutare in che misura il nostro territorio sia in grado di recepire le dinamiche esterne e di adeguare la produzione di beni e servizi a un mercato in continua evoluzione. Mettendo in relazione il passato al presente, il titolo del Quaderno suggerisce come le dinamiche del mondo di ieri tendano costantemente a riproporsi e come i rapporti commerciali con Paesi anche remoti abbiano caratterizzato la vita economica locale anche in tempi lontani. Guardiamo, ad esempio, all’arte spadaria che, soprattutto nel Cinquecento, produsse manufatti di pregio esportati in tutt’Europa. Si potrebbe addirittura parlare di un distretto ante litteram esteso da Belluno a Fonzaso e capace di organizzare al meglio i fattori di produzione: la materia prima delle miniere e dei boschi agordini e zoldani, la forza dell’acqua dei torrenti e l’abilità artigianale dei forgiatori e dei fabbri bellunesi. Anche l’occhialeria è sorta su basi analoghe, facendo leva su un territorio in grado di offrire a un’intuizione imprenditoriale manodopera efficiente ed energia idraulica, entrambe a basso prezzo. Sia le spade che gli occhiali rappresentano un’eccellenza della creatività locale per qualità e design dei suoi prodotti, riconosciuti e apprezzati in ogni dove. Come ogni manufatto di pregio hanno fatto leva su marchi universalmente riconoscibili soggetti a molteplici tentativi di imitazione e contraffazione. Come è noto, la produzione di armi bianche entrò in crisi nel XVII secolo e abbandonò per sempre la montagna bellunese a seguito dell’introduzione della polvere da sparo. Fu allora che Venezia spostò in Val Trompia la fabbricazione delle nuove e più potenti armi. La nostra manodopera specializzata, costretta a emigrare, contribuì, poi, allo sviluppo del distretto della coltelleria di Maniago. Se non ci si adatta alle mutate condizioni di mercato non si ha futuro; fortunatamente l’occhialeria, nella sua lunga storia, ha saputo proporre modelli e materiali al passo coi tempi, rinnovandosi continuamente perché in grado di sollecitare e anticipare i gusti della clientela. Il confronto tra l’attualità e il passato non lesina sorprese: si scopre ad esempio che l’esperienza della delocalizzazione attuale dell’occhialeria è già stata vissuta dalle lavorazioni della lana e della seta insediate nel distretto feltrino, le quali, dopo secoli di splendore, entrarono in crisi perché la produzione si trasferì in pianura. E poi ancora: da sempre la vita produttiva provinciale appare caratterizzata da una grande mobilità, se non di capitali almeno di persone. Ma è sorprendente pensare alla presenza di tecnici tedeschi nelle miniere agordine nel Quattrocento, a lungo gestite poi da una famiglia di origini lombarde come i Crotta, mentre anche il commercio del legname bellunese ha avuto tra i suoi protagonisti dei personaggi stranieri. Il mondo che oggi ci sembra diventato piccolo un tempo appariva invece fin troppo vasto ma, ricercando nei secoli trascorsi delle analogie con l’attualità si scopre che la globalizzazione – come si cercherà più avanti di spiegare – non è affatto un’invenzione recente e che della comunità internazionale interessata ai traffici commerciali ha fatto parte a pieno titolo, già nel passato, anche la periferica montagna bellunese, il cui territorio, in epoche diverse, è stato attraversato da due grandi vie di comunicazione come la Claudia Augusta Altinate e la postale dell’Alemagna.

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PRESENTAZIONE I Quaderni dell’economia locale sono una rivista semestrale a carattere monografico edita dalla Camera di Commercio. Essi hanno il compito di approfondire tematiche affrontate in chiave congiunturale nelle relazioni sull’economia provinciale prodotte dall’Ente che rappresento. Questo Quaderno è dedicato al tema degli scambi con l’estero, argomento cruciale nella globalizzazione attuale, i cui risvolti negativi sono stati sotto gli occhi di tutti in particolare durante il 2009, l’annus horribilis della crisi economica mondiale più forte dal dopoguerra. La provincia di Belluno si caratterizza per un elevata propensione all’export, il che significa che è particolarmente esposta alle turbolenze dei mercati. Infatti, l’impatto della crisi in provincia è stato – in termini di export - immediato e forte, mentre in Veneto e in Italia, pur raggiungendo picchi di minimo più bassi, è stato più graduale e ritardato. Allo stesso modo, in provincia la fase di recupero di questo primo scorcio del 2010, sulla spinta delle sollecitazioni esterne, è iniziata prima. Le imprese bellunesi dovrebbero farsi trovare pronte ad agganciare la ripresa, riposizionandosi al meglio sui mercati esteri. Di questo tema si è dibattuto in altre occasioni, ma mi piace sottolineare come sui servizi all’internazionalizzazione si fondi una parte considerevole e qualificante della programmazione economica elaborata dalla Giunta camerale in stretta collaborazione con l’Unione delle Camere di Commercio, Unioncamere del Veneto e Centro estero. Questo studio, che non ha pretesa di essere esaustivo, analizza il commercio estero sotto vari aspetti: partendo dal significato del termine globalizzazione, che assomma su di sé l’evoluzione del concetto di impresa e di prodotto, approda a un’analisi più prettamente economica di alcuni indicatori e a un esame in serie storica dell’andamento degli interscambi commerciali di beni e servizi di Belluno, senza tralasciare alcuni accenni storici e parlare dell’offerta di servizi proposta dal sistema camerale alle imprese che desiderano operare oltre confine. Dalle spade agli occhiali: i prodotti bellunesi all’estero. Dinamiche passate e attuali: questo è il titolo del lavoro, che evoca – per il Cinquecento (le spade) e per il presente (l’occhialeria) - quelli che sono forse i due prodotti simbolo del Made in Belluno. Ma oltre alla produzione di spade, esportate in tutt’Europa, e ai fasti del distretto degli occhiali, si parla del legno, delle mole, della faesite, della lana feltrina e di altri prodotti che in diverse epoche hanno caratterizzato i traffici commerciali di una terra ricca di materie prime, ma non sempre capace di trasformarle in prodotti finiti. Gli argomenti affrontati in questo Quaderno sono molteplici e avrebbero bisogno di ulteriori approfondimenti, tante sono le problematiche correlate che ognuno di essi sollecita, tuttavia, il suo scopo è stimolare interesse attorno a un tema che ci coinvolge tutti: il mondo sta cambiando e il destino della nostra provincia è legato anche alla nostra capacità di cogliere i mutamenti in atto. A seconda che si tratti di uno studioso di economia locale o di un appassionato di storia, di un imprenditore desideroso di carpire informazioni per muoversi meglio sui mercati stranieri, oppure di uno studente che desideri attualizzare le materie di studio o semplicemente di un curioso, sarà il lettore stesso a scegliere su quale argomento focalizzare la propria attenzione. Ed ora veniamo agli autori. Nato da un progetto del Servizio Statistica e Studi dell’Ente camerale, per la sua realizzazione il Quaderno ha coinvolto altri uffici camerali (l’ufficio Commercio estero e il Servizio Regolazione del mercato). A tutti gli autori va il mio ringraziamento per il lavoro svolto e lo spirito di collaborazione. Belluno, 29 novembre 2010 Paolo Doglioni Presidente Camera di Commercio I.A.A.

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INDICE

Parte I

GLOBALIZZAZIONE O GLOBALIZZAZIONI?............................................................pag. 1 EVOLUZIONE DELLA STRUTTURA DEL COMMERCIO MONDIALE ................... » 6 MODELLO AZIENDALE, EVOLUZIONE DEL PRODOTTO E GEOGRAFIA DEL COMMERCIO .......................................................................................................... » 9 Evoluzione del prodotto ..................................................................................................... » 9 Evoluzione della struttura dell’impresa.............................................................................. » 13 Evoluzione della geografia del commercio........................................................................ » 18 TARIFFE, ACCORDI, LIBERALIZZAZIONI, AREE DI LIBERO SCAMBIO............. » 22 LO SCENARIO INTERNAZIONALE TRA IL 2008 E IL 2009...................................... » 29 Interscambio commerciale di beni ..................................................................................... » 30 Interscambio commerciale di servizi.................................................................................. » 39 Investimenti diretti esteri.................................................................................................... » 40 CENNI SULL’ANDAMENTO DEL COMMERCIO MONDIALE NEL 2010 ............... » 45 Parte II

IL PESO DEL COMMERCIO ESTERO IN PROVINCIA DI BELLUNO: CONSIDERAZIONI DI CARATTERE STRUTTURALE ...............................................pag. 49 IL COMMERCIO ESTERO IN PROVINCIA DI BELLUNO: I PRINCIPALI AGGREGATI ........................................................................................... » 55 I prodotti dell’occhialeria ................................................................................................... » 57 I macchinari........................................................................................................................ » 67 Apparecchiature elettriche.................................................................................................. » 73 I prodotti dell’elettronica.................................................................................................... » 77 Gli altri prodotti.................................................................................................................. » 82 I principali Paesi................................................................................................................. » 83 IL COMMERCIO ESTERO IN PROVINCIA DI BELLUNO: DINAMICHE RECENTI ................................................................................................... » 90 INTERSCAMBIO DI SERVIZI E INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI......................... » 99 Interscambio di servizi ....................................................................................................... » 99 Investimenti diretti esteri.................................................................................................... » 101 Parte III

APPUNTI PER UNA STORIA DEL TRAFFICO COMMERCIALE BELLUNESE ......pag. 104 Noterelle di storia e limiti del lavoro.................................................................................. » 104 Frammentazione, isolamento e autarchia ........................................................................... » 105 La mobilità imprenditoriale e del lavoro all’origine dell’occhialeria bellunese ................ » 109 La condizione migrante...................................................................................................... » 112

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Le vie del commercio........................................................................................................ » 112 Spade e lana i prodotti bellunesi alla conquista dei mercati.............................................. » 115 Parte IV

ATTORNO AL COMMERCIO INTERNAZIONALE .................................................... pag. 118 IL RUOLO DEL SISTEMA CAMERALE NELL’OFFERTA DI SERVIZI PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE..................... » 120 Attività di assistenza.......................................................................................................... » 120

Sportello internazionalizzazione della Camera di Commercio di Belluno.................. » 120 Punto Eurosportello..................................................................................................... » 121 Info Desk e Veneto House............................................................................................ » 121

Attività di formazione ....................................................................................................... » 121 Attività di promozione....................................................................................................... » 122 Banca dati delle imprese della provincia di Belluno operanti con l'estero........................ » 123 EBR – Registro Imprese Europeo ..................................................................................... » 123 GLOBUS – rete degli Sportelli per l’internazionalizzazione delle Camere di Commercio » 123 A chi rivolgersi.................................................................................................................. » 124 Altri organismi del sistema camerale ................................................................................ » 124 Siti internet d’interesse per le imprese operanti con l’estero............................................. » 126 Pubblicazioni consultabili presso l’Ufficio Estero della Camera di Commercio di Belluno ............................................................................ » 127 MISSIONI CAMERALI ALL’ESTERO CON IMPRESE BELLUNESI ........................ » 128 IL RUOLO DEL SISTEMA CAMERALE NELLA REGOLAZIONE DEL MERCATO............................................................................................................... » 130

La proprietà industriale............................................................................................... » 131 Il marchio di impresa................................................................................................... » 132 Lotta alla contraffazione.............................................................................................. » 132

IN FIN DEI CONTI… .................................................................................................... » 134

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GLOBALIZZAZIONE O GLOBALIZZAZIONI ?

Una delle caratteristiche fondamentali della società odierna e dei mercati moderni è la loro scala globale, che si esprime attraverso uno stato di interdipendenza fra soggetti individuali e collettivi collocati nelle diverse parti del mondo che interagiscono in tempo reale. Le caratteristiche principali di questa tendenza sono la formazione di sistemi specializzati e integrati transnazionali, la contiguità temporale, che annulla di fatto la distanza spaziale, e l’indebolimento e/o la ridefinizione dei confini geopolitici.

“Il mondo sta diventando uno solo, in un senso tutto a un tratto nuovo (…). Mentre la terra è stata rimpicciolita dalle nuove forze che la scienza ci ha messo a disposizione (…) i moti della politica, dell’economia e del pensiero sono sempre più intrecciati fra di loro (…). Qualsiasi cosa accada in qualunque parte del mondo ora ha un peso anche in ogni altra sua parte. La Storia del Mondo tende a evolversi in un’unica Storia Comune”1.

Il contenuto di questo brano ben riassume i punti salienti del fenomeno e non può che essere condiviso tanto le sue affermazioni paiono scontate, tuttavia, potrebbe suscitare un certo stupore sapere che fu pronunciato a Londra il 3 aprile 1913. L’attuale epoca di globalizzazione2 è, infatti, soltanto una delle fasi che hanno accompagnato il mondo nella sua storia più recente; negli ultimi 150 anni si possono individuare tre grandi periodi di espansione commerciale3 in cui le distanze tra le varie parti del mondo si sono notevolmente ridotte sulla spinta di innovazioni e invenzioni che hanno rivoluzionato soprattutto i trasporti e le comunicazioni, riducendone sensibilmente i costi. La prima fase è collocabile tra la metà dell’Ottocento e la 1ª Guerra Mondiale e matura all’interno delle conquiste coloniali e delle grandi scoperte tecnico-scientifiche che trainarono la produzione agricola e industriale e la costruzione delle grandi reti infrastrutturali4; la successiva parte dal

1 Discorso d’apertura di James Bryce presidente dell’International Congress of Historical Studies per la terza sessione del congresso tenutasi a Londra nell’aprile del 1913. R.G. Rajan, L. Zingales, Salvare il capitalismo dai capitalisti, Giulio Einaudi, Torino 2008. 2 Secondo una definizione dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development, in italiano conosciuta come OCSE) la globalizzazione economica è “un fenomeno per il quale il mercato e la produzione di differenti Paesi diventano sempre più interdipendenti attraverso i cambiamenti indotti dalla dinamica del commercio internazionale, dei flussi di capitali e tecnologici, cambiamenti dei quali il veicolo principale è dato dalle imprese multinazionali. Grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione tali imprese sono organizzate come reti transnazionali in un contesto di accresciuta concorrenza internazionale che si estende anche alle imprese locali, così come ad altre sfere della vita economica e sociale di ciascun Paese”. Una visione più ampia, riportata da G. Gozzini, Globalizzazione, Giunti, Firenze 2007, definisce la globalizzazione “un processo in cui gli Stati nazionali e la loro sovranità vengono condizionati trasversalmente da fattori internazionali, in cui l’azione politica è sostituita dal mercato mondiale, e attraverso il quale la rappresentazione di spazi chiusi scompare per lasciare il posto a un unico, globale, spazio aperto. (…) la globalizzazione ha diverse dimensioni, il rapporto globalizzazione/localizzazione non rappresenta una questione strettamente economico-finanziaria, ma una problematica complessa, che va individuata, ripercorrendo le tappe della sua evoluzione, e analizzata, sotto più aspetti, con l’ausilio delle scienze sociali”. 3 Altri economisti preferiscono parlare di due ondate di globalizzazione: la prima relativa al periodo 1820-1914, la seconda iniziata attorno al 1950 e tuttora in atto. 4 Si citano a titolo esemplificativo la nascita del sistema ferroviario, l’aviazione, la navigazione a vapore e a motori a turbina, il motore a scoppio ed elettrico, l’apertura dei canale di Suez e di Panama, il telegrafo, il telefono, l’elettricità, il petrolio, l’acciaio, ecc. Il primo cavo di telegrafo transatlantico fu posato nel 1866 e già all’inizio del secolo successivo il mondo intero era cablato, il tempo della comunicazione venne ridotto da mesi a pochi minuti. L’apporto delle nuove tecnologie comportò la comparsa sul mercato mondiale, dominato

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secondo dopoguerra e giunge fino agli anni Settanta e fu sostenuta dalla necessità della ricostruzione postbellica, dall’integrazione tra le economie statunitense, europea e giapponese e dalla contrapposizione geopolitica ed economica delle due grandi potenze del tempo, USA e URSS; la terza e attuale fase, pur rappresentando una continuità storica dello sviluppo industriale della seconda metà degli anni Sessanta, nacque negli anni Ottanta e si potenziò sulla base delle liberalizzazioni assunte in seno ad accordi commerciali plurilaterali (promossi dal GATT-WTO5) e trovò slancio dalla caduta del muro di Berlino che aprì nuovi spazi geografici ed economici. I tre periodi hanno caratteristiche ben distinte e scaturiscono da visioni politiche molto diverse:

• la prima fase, avente per oggetto lo scambio di materie prime contro manufatti, vide protagonisti gli allora pochi Paesi industrializzati e le relative colonie lungo una direttrice nord/sud. Essa coinvolse a livello mondiale ingenti movimenti di persone (flussi di manodopera e grandi migrazioni interessarono tutti i continenti), di capitale e di investimenti diretti esteri destinati soprattutto ai settori agricolo, estrattivo-minerario e ferroviario, che favorirono un sensibile aumento del reddito procapite nei nuovi Paesi globalizzati. La forte innovazione tecnologica, che ridusse costi e distanze, sospinta anche da politiche di liberalizzazione con l’abbattimento dei dazi doganali, fece sì che i valori commercializzati raddoppiassero e che il rapporto tra esportazioni e reddito mondiale passasse dal 4,6% del 1870 al 7,9% del 1913. In questo scorcio di tempo nacque la società di massa: il proletariato e la borghesia, con l’aumentare dei salari, cominciano a diventare consumatori di prodotti industriali e le loro nuove necessità favorirono l’incremento del commercio estero.

• nella seconda era globale fitte reti commerciali furono tessute nell’emisfero settentrionale e

portarono a una maggiore integrazione tra Paesi ricchi (nord America, Europa occidentale e Giappone), mediante una serie di liberalizzazioni commerciali maturate nell’ambito del GATT; le economie interessate registrarono tassi di crescita senza precedenti, ma si ampliò il divario con il sud del mondo, escluso o solo lambito dallo sviluppo globale. Gli scambi tra mondo occidentale ed economie socialiste furono molto limitati; l’interazione passò quasi esclusivamente per gruppi omogenei di sistemi politico-economici. Le movimentazioni riguardarono i manufatti, in quanto si creò un nuovo tipo di commercio basato sulla «specializzazione di alcuni Paesi ricchi in nicchie la cui produttività era maggiore grazie alla presenza di concentrazioni produttive»6. Il motore della globalizzazione procedette attraverso la forza delle grandi imprese americane e il know-how nel campo delle comunicazioni, entrambi sorretti da interessi non solo economici, ma anche di natura politica e militare. Si assistette a un movimento di capitali assai limitato, alla forte riduzione dei costi di comunicazione e a un flusso migratorio più contenuto, interno ai continenti o ai singoli Paesi. Il livello di commercio internazionale tornò a eguagliare il picco del 1913 e il rapporto tra esportazioni e PIL mondiale passò dal 5,5% del 1950 al 10,5% del 1973.

• la terza ondata di globalizzazione iniziata negli anni Ottanta è tuttora in corso e si concentra

nuovamente nell’emisfero nord del pianeta, coinvolgendo, però, anche Paesi di nuova industrializzazione (globalizers), sostanzialmente i Paesi del sud-est asiatico, la Cina e

fino ad allora dalla Gran Bretagna, degli Stati Uniti, della Francia e della Germania. In questi Paesi le esportazioni cominciarono a superare le importazioni, il che significava che il resto del mondo non era più soltanto utilizzato per l’approvvigionamento delle materie prime, ma anche per la vendita di manufatti. 5 GATT, ossia, General Agreement on Tariffs and Trade in italiano “Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio”; WTO, ossia, World Trade Organization in italiano noto come OMC, “Organizzazione Mondiale del Commercio”. 6 Materiale di studio tratto dalle lezioni di Economia Politica di Filippo Reganati, Facoltà di Scienze della Comunicazione, delle Arti e dell’Ambiente dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.

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l’India. Al commercio mondiale di beni si sono affiancati quelli dei servizi e degli scambi finanziari, mentre gli Investimenti Diretti Esteri hanno ritrovato nuova forza sia all’interno del mondo industrializzato che nei Paesi in via di sviluppo. L’interscambio commerciale ha conosciuto in questo periodo tassi di crescita elevati e nella fase espansiva è aumentato in media più del prodotto lordo mondiale, ciò anche grazie ad accordi di integrazione regionale e all’affacciarsi sul mercato internazionale di Paesi (ex blocco comunista, Cina e India) che erano rimasti fino ad allora ai margini dei grandi flussi. I Paesi in via di sviluppo, inoltre, sfruttando le potenzialità di una forza lavoro abbondante e poco costosa, hanno avuto accesso alla commercializzazione globale attraendo ingenti capitali esteri. Si assiste in questa fase a una forte ripresa della corrente migratoria, come nella prima ondata di globalizzazione, verso le aree industrializzate, accompagnata, però, da politiche restrittive. L’ingente movimentazione di capitali (provenienti anche da risparmi popolari investiti in strumenti finanziari), la rivoluzione informatica e l’interconnessione tra tutti i settori dell’economia hanno creato una forte interdipendenza finanziaria tra le nazioni, a volte anche geograficamente molto lontane.

Queste fasi di espansione furono separate da cesure significative nelle quali si assistette a un rimodellamento politico ed economico del mondo. Il più lungo e difficile periodo è ravvisabile tra le due guerre (1914-1950) quando politiche nazionaliste unite a misure protezionistiche portarono alla frantumazione della globalizzazione, nonostante le condizioni favorevoli innescate dagli indiscutibili progressi tecnologici e dalla diminuzione dei costi di trasporto. Il commercio estero, i movimenti di capitali e i flussi migratori tornarono ai livelli del 1870. Fra il 1929 e il 1932, quando le tensioni erano molto alte, il commercio mondiale crollò del 63% in valore aureo; inoltre, il tasso di crescita del PIL pro-capite diminuì del 30%, comportando un innalzamento della povertà e delle disuguaglianze. Il periodo di transizione tra la seconda e la terza ondata di globalizzazione è stato, invece, marcato da un declino del progresso tecnico degli USA, dallo shock petrolifero, da un arretramento della produttività negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni Settanta fino al livello minimo del 1985 (andamento condiviso anche da Europa e Giappone), dalla stagflazione7, da un aumento della disoccupazione, dalla sospensione della convertibilità del dollaro in oro, dai grandi movimenti di contestazione (operaio, femminista, studentesco, pacifista, ambientalista) e dalla comparsa dei Paesi di nuova industrializzazione (NICs) in particolare le cosiddette tigri asiatiche (Taiwan, Korea del sud, Singapore e Hong Kong), che presentavano tassi di crescita molto elevati fin dagli anni Sessanta.

Andamento della produttività totale in alcune economie avanzate. Anni 1960-1991. Tassi di variazione, valori percentuali

Produttività totale Produttività del lavoro Produttività del capitale Paesi 1960-

1973 1974-1979

1980-1991

1960-1973

1974-1979

1980-1991

1960-1973

1974-1979

1980-1991

Stati Uniti 1,6 0,2 0,5 2,2 0,5 1,0 0,1 -0,5 -0,4 Giappone 5,5 2,1 1,9 8,3 3,6 2,9 -2,8 -2,2 -1,4 Germania 2,6 2,2 1,2 4,5 3,4 1,8 -1,4 -0,4 -0,2 Francia 3,9 1,8 1,5 5,4 3,1 2,4 0,9 -0,9 -0,3 Italia 4,4 1,9 1,1 6,3 2,7 1,8 0,4 0,2 -0,3

Fonte: Confindustria; http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=83&artsuite=1

7 Combinazione dei termini stagnazione e inflazione che esprime una fase economica estremamente negativa. in cui sono contemporaneamente presenti sia un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia una mancanza di crescita dell'economia in termini reali (stagnazione economica), a cui s’accompagna un’elevata disoccupazione.

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Tuttavia, anche all’interno dei periodi di espansione si possono distinguere alcuni momenti critici, i più evidenti emergono nel 1952 (con la guerra in Korea), nel periodo 1981-1982 (quando una forte recessione colpì gli Stati Uniti generando una crisi lunga ben sedici mesi) e nella recente crisi finanziaria del 2008-2009. Altri episodi di declino, seppur meno marcati, riguardano la recessione statunitense del 1958, la crisi della finanza asiatica del 1998 e l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, che si unì alla bolla della new economy di inizio secolo8. Crescita mondiale delle esportazioni 1928 – 2009 (% annua su valori)

Fonte: MPRA, The second great contraction, Reinhart Carmen

Per alcuni osservatori9 l’attuale epoca di globalizzazione è un fenomeno ampiamente basato sul progresso tecnologico e ciò la fa apparire come una forza irresistibile che ci legherà strettamente per sempre gli uni agli altri. Ad altri, invece, la storia suggerisce che l’integrazione economica è un evento squisitamente molto più politico che tecnologico e che, pertanto, può essere facilmente invertito sia a causa di eventi di natura bellica che di azioni specifiche, in particolar modo quelle

8 Questa bolla speculativa ha preso forma nel corso della prima, entusiastica, fase legata allo sviluppo delle soluzioni e dei servizi internet come, per esempio, quelli dei service provider e i fornitori di infrastrutture di rete. Questo ciclo, definito come new economy o «era delle dot.com» (dot.com è riferibile a un’azienda di servizi che fa la maggior parte del suo business tramite un sito internet. Il nome deriva dal comune utilizzo da parte dei siti del dominio di primo livello .com), iniziò nel 1994 con la quotazione di Netscape, la società che sviluppò il primo browser commerciale per internet, e terminò a cavallo tra il 2001 e il 2002, con lo scoppio della bolla speculativa, la recessione economica e le conseguenze degli eventi dell'11 settembre 2001. Durante gli anni della new economy aumentarono in maniera esponenziale le quotazioni di nuove start-up (definizione entrata nel dizionario finanziario italiano ai tempi della bolla di internet che indica una nuova iniziativa imprenditoriale nella sua fase iniziale di sviluppo) della Silicon Valley o legate al mondo dell'innovazione tecnologica, dell'high-tech e di internet mentre gli investimenti in information technology diventarono una delle caratteristiche chiave dei piani strategici delle grandi e medie aziende. Lo scoppio della bolla speculativa finanziaria portò a un rapido crollo degli indici del Nasdaq, che dal valore record del 10 marzo 2000 di 5.132,52 punti, persero il 9% in tre giorni innescando, poi, la caduta delle quotazioni che portò alla scomparsa di molte dot.com (Antonio Dini, Sole 24 Ore). 9 Ronald Findlay e Kevin H. O’Rourke, Lesson from the history of trade and war, marzo 2008, www.voxeu.org.

valore stimato 2009

Media (1928-2008) = 7,8

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legate all’innalzamento di barriere protezionistiche. Tale teoria attribuisce alla tecnologia il solo compito di rendere ogni effetto più rapido e sincronizzato. Storicamente il sistema internazionale non è mai stato accomodante nel lasciare spazio ai nuovi arrivati e i passaggi di potere (dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, dal binomio Stati Uniti-Germania a quello Stati Uniti-Giappone, fino all’attuale Stati Uniti-Cina) non sono mai stati indolore. Alla luce degli insegnamenti del passato non si può pensare che l’attuale andamento persisterà nel tempo automaticamente; è essenziale garantire un sistema geopolitico stabile accompagnato da politiche di liberalizzazione in grado di integrare i diversi Paesi, così come avvenuto tra Europa e Stati Uniti durante la seconda fase di globalizzazione. L’interdipendenza è comunque un’arma a doppio taglio, porta con sé una vulnerabilità interna (spinte nazionalistiche e protezionistiche) ed esterna (recente crisi finanziaria10) che può generare imprevedibili conseguenze.

10 «L’allargarsi del mercato degli investimenti di portafoglio è stato foriero di crisi a livello internazionale perché ha provocato un’accresciuta volatilità finanziaria e l’integrazione mondiale della finanza ha accentuato i fenomeni di propagazione, contagio e interdipendenza delle crisi. (…) Dal 1880 al 2001 dividendo il periodo in trentenni, l’ultimo trentennio, dopo la fine del modello di Bretton Woods (1971), vede un numero di crisi bancarie e valutarie che nei Paesi industrializzati è superiore a tutti i periodi precedenti e nei Paesi emergenti è molto più elevato. (…) Il mondo negli ultimi anni ha assistito a una proliferazione di bolle finanziarie e di instabilità economica di straordinaria virulenza. Le crisi possono avere origine partendo dalla periferia, come la crisi asiatica del 1997 e russa del 1998 che si intrecciò con la crisi del Long Term Capital Management (un hedge fund americano -gli hedge fund sono prodotti simili nella struttura ai fondi comuni di investimento; rispetto a questi, però, si differenziano per la strategia di gestione adottata e per il numero di strumenti e tecniche a disposizione dei gestori), o partire dal centro come la crisi dot.com del 2001 e soprattutto la crisi attuale». Ferdinando Targetti, Globalizzazione: prima e dopo la crisi degli anni 2000, Fondazione Basso, Roma 2010

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EVOLUZIONE DELLA STRUTTURA DEL COMMERCIO MONDIALE Dando uno sguardo al grafico elaborato dal dipartimento di Geografia dei sistemi di trasporto della Hofstra University11 di New York sulla base dei dati dell’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, si percepisce come il PIL, la produzione e le esportazioni mondiali si muovano pressoché simultaneamente nella stessa direzione. La convergenza tra i tassi di crescita del PIL e della produzione è evidente, mentre l’andamento del commercio estero, a partire dagli anni Settanta, è soggetto ad ampie fluttuazioni che ne esasperano il ciclo. Ciò è dovuto non solo all’alternarsi delle cicliche fasi economiche di crescita e recessione, ma anche all’evoluzione dei prezzi delle materie prime, in particolare dei prodotti agricoli e minerali (tra cui i combustibili fossili). Dalla figura è ben visibile come, durante i recenti periodi di espansione economica, il commercio internazionale è cresciuto più velocemente del PIL, mentre nei periodi di rallentamento si è avuta una notevole decelerazione degli scambi. Andamento delle esportazioni di beni, della produzione e del PIL mondiali. Anni 1950-2008 (variazioni percentuali annue su valori)

Fonte: 1998-2010, Dr. Jean-Paul Rodrigue, Dept. of Global Studies & Geography, Hofstra University

Analizzando gli scostamenti è possibile distinguere tre epoche:

- prima del 1970. In questa fase le linee di crescita del commercio, del PIL e della produzione sono piuttosto simili e allineate. Si è ai primi stadi della globalizzazione, anzi è più corretto parlare di interazione e integrazione tra sistemi economici simili.

- Tra il 1970 e il 1985. La prima importante frattura si verifica negli anni Settanta ed è

riconducibile principalmente agli shock petroliferi che comportarono un innalzamento significativo dei prezzi energetici trasferiti sul valore delle merci. Una teoria economica

11 Si ringrazia il prof. Jean-Paul Rodrigue della Hofstra University di New York che ha concesso l’utilizzo dei grafici e degli appunti delle lezioni.

█ recessione

• commercio di merci ■ PIL mondiale ■ produzione di merce

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contemporanea ipotizza che, quando l’attuale fase di globalizzazione raggiungerà la maturità, i prezzi delle commodities diverranno nuovamente uno dei principali fattori di divergenza.

- Dopo il 1985. Questo periodo si caratterizza per l'impostazione di un nuovo sistema di

produzione globale che coinvolge molti Paesi in via di sviluppo. L’accentuazione di questa divergenza è imputabile alla creazione di una fitta rete di produzione e di fornitura globali.

Secondo gli economisti il commercio mondiale è cresciuto tra il 1950 e il 2008 di almeno tre volte la produzione e ciò è espressione di come le economie nelle diverse parti del mondo siano entrate sempre più in relazione tra loro e di come il modello di produzione sia decisamente cambiato. La recente fase recessiva ha ben evidenziato il grado di interdipendenza commerciale tra gli Stati e questo è reso esplicito anche dai numeri: il PIL mondiale è arretrato nel 2009 “solo” dello 0,6% rispetto alla contrazione del 22,5% in termini monetari riportata dalle merci, percentuale ridotta al 12,2% se si considerano i volumi scambiati. Si è già avuto modo di accennare come il crollo del commercio mondiale non sia un fenomeno nuovo, nuovissima, invece, è la portata di questo episodio. Il collasso del 2009 è, infatti, andato ben al di là delle ipotesi formulate dalla maggior parte dei modelli econometrici e di quanto valutato dalle principali organizzazioni economiche mondiali nelle prime strategie anticrisi. Sul profondo divario tra stima e realtà hanno inciso una serie di fattori; importanti sono stati senz’altro l’innalzamento di alcune misure protezionistiche da parte di alcuni Paesi e la riduzione dell’accesso al credito alla base della maggior parte delle transazioni commerciali internazionali, ma la prima causa è da ricercare nella caduta della domanda divenuta fragile fin dall’affacciarsi della crisi dei mutui sub-prime12 nel 2007 e intensificatasi sul finire del 2008. L’impatto della recessione sul commercio è stato amplificato dalla contemporaneità della caduta nelle diverse regioni del pianeta e dalla crescita della catena globale di fornitura avvenuta negli ultimi decenni. La perdita di ricchezza legata alla recessione ha convinto le famiglie a ridurre le spese in beni durevoli e le imprese a riconsiderare gli investimenti, posticipando le uscite a tempi migliori (bisogna considerare, inoltre, che questo tipo di merci necessita più di altre del sostegno del credito e che in quel periodo le condizioni del mercato bancario si stavano inesorabilmente deteriorando). Questa riduzione di domanda si è ripercossa nelle materie prime, in particolare ferro e acciaio sui quali già influiva l’andamento negativo del settore delle costruzioni in quei Paesi dove il mercato immobiliare aveva conosciuto un forte boom prima della crisi13. Agivano sul mercato anche le forti oscillazioni dei prezzi dei combustibili fossili, in crescita galoppante fino alla metà del 2008, ma precipitati nella seconda parte dell’anno fino a raggiungere il punto di minimo nei primi mesi del 2009. L’ampiezza della caduta è stata gonfiata dall’espansione della frammentazione del processo produttivo che determina un frenetico movimento di beni intermedi; è significativo il fatto che il calo degli scambi di merce diverga di oltre 10 punti percentuali a seconda se si consideri il valore o il volume. L’odierno modello produttivo delle grandi aziende prevede un’estesa catena di fornitura e le merci attraversano i confini nazionali più volte durante il processo di produzione prima di giungere alla destinazione finale. Le statistiche sul commercio rilevano il valore delle merci a ogni passaggio, così che il valore totale dei beni scambiati annualmente diventa maggiore di quanto lo

12 Il credito sub-prime (detto anche B-paper, near-prime, second chance) è quel tipo di finanziamento, mutuo o carta di credito, concesso a dei soggetti che non possono accedere ai tassi di interesse di mercato, per loro più favorevoli, perché hanno avuto nel passato dei problemi di solvibilità (inadempienze, pignoramenti, fallimenti e ritardi), oppure non hanno alcuna documentazione su redditi e attività. Sono considerati ad alto rischio di insolvenza e per questo sono più costosi (tasso di interesse, commissioni, parcelle e premi più elevati), nascono a tasso fisso per essere dopo qualche anno rinegoziati e trasformati in tasso variabile, con la possibilità che le rate aumentino anche del 30%. “Prime” indica il debitore con rischio di insolvenza nella media che si contrappone a sub-prime, cioè sotto la media. 13 Organizzazione Mondiale del Commercio, World Trade Report 2010. Trade in natural resources, 2010

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sia stato in passato, quando si commerciavano principalmente materie prime e prodotti finiti. La portata di questi multipli conteggi è difficile da determinare a causa della scarsità dei dati, ma si legge nel fatto che il commercio si è sviluppato dagli anni Ottanta inesorabilmente molto di più della produzione. A sostegno interviene anche l’analisi dell’andamento del rapporto tra esportazioni e Pil mondiale, cresciuto significativamente dal 1985, ma in particolare tra il 2000 e il 2008, per poi cadere bruscamente nel 2009.

Rapporto tra le esportazioni mondiali di merci e sevizi commerciali e PIL, 1981-2009 (indice 2000=100)

Un altro aspetto che ha caratterizzato la precipitosa caduta del 2009 è stata la natura sincronica dell’evento; in tutte le nazioni, nessuna esclusa, le importazioni e le esportazioni sono crollate nello stesso tempo. Ciò è legato, oltre che alla catena di fornitura, anche allo sviluppo della tecnologia delle informazioni; in sostanza, il venir meno della domanda di un singolo prodotto comporta l’arresto della produzione della serie di beni intermedi che lo costituiscono e l’informatizzazione permette al produttore, collocato in una qualsiasi regione del globo, di intervenire in tempo reale con le varie unità produttive delocalizzate, reagendo quasi istantaneamente alle sollecitazioni del mercato.

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MODELLO AZIENDALE, EVOLUZIONE DEL PRODOTTO E GEOGRAFIA DEL COMMERCIO

Evoluzione del prodotto

Fino agli anni Ottanta “la maggior parte del commercio fra Paesi sviluppati fu determinata (…) dai risparmi dei costi derivanti dallo sfruttamento di economie di scala e di agglomerazione. Le imprese tesero a concentrarsi spazialmente”, alcune producendo lo stesso prodotto, altre collegandosi in relazioni verticali14. La concentrazione spaziale rese possibile una forte specializzazione con diminuzione dei costi e aumento di produttività. La produzione industriale per due terzi fu costituita da beni manufatti venduti da un’impresa all’altra all’interno di una rete di aziende presenti nello stesso territorio15 dove la maggiore, la più strutturata, distribuiva il prodotto finito sui mercati. In Italia queste aggregazioni presero il nome di distretti industriali. Questo tipo di modello è stato deformato dal perfezionamento tecnologico intervenuto nei decenni successivi nel campo dei trasporti e delle comunicazioni e dalla decisione dei grandi Paesi in via di sviluppo di liberalizzare il commercio attraendo capitali e fornendo un’abbondante forza lavoro a basso costo. Da questo punto il mercato mondiale, costituito prevalentemente da manufatti, diventa il motore della globalizzazione e si assiste a una radicale trasformazione della struttura del commercio internazionale, che lo porterà a raggiungere livelli di rapporto con il PIL mai visti in precedenza. Ma è soprattutto il soggetto del commercio a cambiare veste: se lo scambio precedentemente implicava l’esistenza del prodotto finito che viaggiava da una nazione all’altra, ora il movimento è generato in gran parte da beni intermedi lavorati in diversi Paesi, che vengono successivamente assemblati16. In questo processo di trasformazione hanno acquisito sempre maggiore peso i Paesi in via di sviluppo17 detentori di capitale umano a basso costo e con legislazioni meno restrittive in materia di lavoro e ambiente, mentre nelle economie avanzate si è avuto un processo di deindustrializzazione, che ha mantenuto in sito prevalentemente le attività di core business, con potenziamento delle strutture di ricerca e sviluppo, design, marketing, ecc18.

14 Materiale di studio tratto dalle lezioni di Economia Politica di Filippo Reganati, Facoltà di Scienze della Comunicazione, delle Arti e dell’Ambiente dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. 15 «La presenza di una rete di imprese dà luogo a un’esternalità positiva per ogni singola impresa del sistema, permettendole l’acquisto di input da altre imprese locali e quindi riducendo i costi di trasporto, di coordinamento, di monitoraggio e di contrattazione” (Sutton 2000), ibidem. 16 La frammentazione internazionale della produzione consiste nella rilocalizzazione all’estero di fasi specifiche di un processo produttivo tradizionalmente integrato e condotto in un solo Paese (in un solo sito produttivo). Quando la divisione internazionale del lavoro è il risultato della frammentazione di un processo produttivo, le singole economie nazionali si caratterizzano per il fatto di specializzarsi in segmenti più o meno estesi del processo produttivo: sarà sempre possibile che un Paese si specializzi, ad esempio, nelle fasi di Capital intensive e/o in quelle di skill intensive, ma si dovrà parlare allora di specializzazione in una fase del processo, e non più di specializzazione nella produzione di una certa merce». Lucia Tajoli, Scambi internazionali e frammentazione internazionale della produzione: la posizione dell’Italia come fornitore terzista nel Traffico di Perfezionamento Attivo, in www.confindustria.it 17 Nel 1980, circa tre quarti delle esportazioni dei Paesi in via di sviluppo era rappresentato da commodities primarie (minerali e prodotti agricoli) e solo il 12% da beni manufatti, attualmente il flusso di manufatti riguarda l’80% delle esportazioni, mentre l’apporto dei prodotti agricoli è sceso al 10%. 18 Un esempio di frammentazione della produzione può essere ben illustrato riprendendo uno studio dell’economista R.C. Feenstra del 1998. Sebbene la bambola Barbie sia uno dei principali simboli americani, la Mattel non ha mai avuto negli Stati Uniti stabilimenti di produzione. I materiali che compongono la bambola (la plastica del corpo e i capelli) provengono da Taiwan e Giappone, ma a loro volta trovano, probabilmente, origine nel petrolio del Medio Oriente; lo stampo per le bambole giunge dagli Stati Uniti, così come i colori per la decorazione. L’assemblaggio e la decorazione, un tempo effettuati nelle Filippine e a Taiwan, sono stati spostati successivamente in altri Paesi del sud-est asiatico ritenuti economicamente più vantaggiosi. Dalla Cina, oltre che gran parte della forza lavoro, proviene anche il tessuto per i vestiti, mentre

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Come si evince dal grafico, lo sviluppo del commercio di beni è stato, negli ultimi cinquant’anni, significativamente più dinamico di quello espresso dai prodotti agricoli e minerari e dai combustibili. La divergenza iniziata negli anni Settanta, si è espansa negli anni Ottanta per diventare sintomaticamente più marcata nel XXI secolo. Volume degli scambi mondiali di merce per maggiori aggregazioni di prodotti. Anni 1950-2008 (indice 1950=100)

Fonte: WTO L’importanza assunta dal manifatturiero è ben visibile anche dal grafico sotto riportato: se nel 1963 esso partecipava a poco più della metà dell’export totale, nel 2007 la quota era balzata al 68,8%, con picchi rilevanti negli ultimi anni Novanta (oltre il 75%). Nel biennio della crisi è intervenuta una leggera flessione, ma non particolarmente importante da pregiudicarne l’indiscussa leadership (65,5% nel 2008 e 67,8% nel 2009).

Hong Kong è il porto dove arrivano le materie prime per la produzione e da dove si spedisce la maggior parte delle bambole per gli Stati Uniti; a questi ultimi spettano le attività “intellettuali e creative”, il disegno, il marketing e le campagne di commercializzazione e vendita. La Mattel ha iniziato a operare nelle fabbriche asiatiche già dagli anni Sessanta, molto tempo prima, dunque, che l’outsourcing diventasse pratica frequente. Guardando ai luoghi di assemblaggio di Barbie espressi nella dicitura “Made in…” si possono ripercorrere le tappe del processo di industrializzazione di alcuni Paesi, la loro crescita economica parimenti all’innalzamento del costo del lavoro: dal 1959 al 1969 la bambola è stata prodotta in Giappone, negli anni ’60 in Mexico e Hong Kong, sostituiti poi dagli stabilimenti di Korea, Taiwan, Filippine, attualmente la produzione conta due impianti in Cina, uno in Indonesia e uno in Malaysia (J. Tang, Barbie’s tale behind, Los Angeles Times, 5 settembre 2007; Anthony Giddens, Sociology, 5° ed. Cambridge, 2006, pg. 58; Lucia Tajoli, Scambi internazionali e frammentazione internazionale della produzione in www.fondazionemasi.it).

M anufactures

Fuels and mining products

Agriculturalproducts

100

1000

10000

1950 1955 1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

Log. scale

5000

2500

500

250

Variazione percentuale media annua 1950-2008 Totale esportazioni 6.0 ----- Manufatti 7.5 ----- Prodotti minerari e combustibili 4.0 ----- Prodotti agricoli 3.5

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Esportazioni mondiali di merce per grandi aggregati di merce. Anni 1963-2007

Fonte: 1998-2010, Dr. Jean-Paul Rodrigue, Dept. of Global Studies & Geography, Hofstra University su dati WTO

Come già più volte accennato, a sostenere questa evoluzione è intervenuto un uso intensivo e diffuso delle innovazioni tecnologiche, in particolare nel settore dei trasporti (es. containerizzazione) e nelle comunicazioni (es. internet), che hanno permesso una rapida ed efficiente gestione delle merci, riducendone fortemente i costi. Su di essi si è poggiata la frammentazione produttiva: è oramai frequente che i beni siano scambiati più volte in quanto fattori intermedi di un bene più complesso e ciò interessa oramai tutte le industrie, da quella tessile a quella aerospaziale. La ricerca della contrazione dei costi ha condotto alla riduzione dello spazio-tempo, ma ciò è stato possibile soprattutto per le grandi industrie che, disponendo di ingenti capitali, potevano usufruire della tecnologia più innovativa prima di tutte le altre imprese. Pur sottolineando la portata di questo processo, è interessante osservare come, in anni più recenti, la quota di materie prime minerali si sia dilatata a detrimento dei manufatti e appaia destinata ad aumentare a causa delle maggiori esigenze dei Paesi in via di sviluppo, che creano le note tensioni dei prezzi sul mercato internazionale (cui si aggiungono forti speculazioni finanziarie). Secondo alcuni osservatori, in un mondo dove alcune risorse cominciano a scarseggiare (sia per eccesso di domanda che per esaurimento naturale) può esserci la concreta possibilità che la quota dei prodotti agricoli e minerali possa nuovamente allargarsi e posizionarsi tra il 40-50%19, tenendo anche conto della tendenza espressa da alcuni Paesi, finora esclusivamente export-oriented, a sostenere il mercato interno e a ridurre le proprie esportazioni in futuro. Secondo le stime del WTO, nel 200820 i prodotti intermedi contribuivano per circa il 40% al commercio mondiale di merci (esclusi i carburanti); questa quota era variamente distribuita tra le nazioni dipendendo fortemente dalla peculiare specializzazione dei singoli Paesi (vd. grafico seguente). Per Brasile, Cina e India, le nuove locomotive del mondo, la quota di beni intermedi sul totale dei flussi del manifatturiero aveva raggiunto circa il 70% nel 200521.

19 Appunti di studio del Dr. Jean-Paul Rodrigue, Dept. of Global Studies & Geography, Hofstra University. 20 WTO, International trade statistics 2009, Ginevra, 2009 21 A. Maurer e C. Degain, Globalization and trade flows: what you see is not what you get!, WTO Staff Working Paper ERSD-2010-12, giugno 2010, pg. 2. Le attuali statistiche sul commercio non permettono di

Prodotti manifatturieri Prodotti minerari Prodotti agricoli

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Quota di beni intermedi nel commercio mondiale di beni (esclusi i carburanti). Anno 2008

Fonte: Wto International trade statistics 2009 Ginevra 2009

Nell’espansione del commercio di beni manufatti grande peso hanno avuto anche i servizi, in particolar modo quelli individuati come “altri servizi commerciali” in cui rientrano quelli richiesti espressamente dalle imprese e identificabili come attività esternalizzate a sostegno della produzione e della commercializzazione22. Nei Paesi industrializzati l’attenzione si è spostata dalla produzione ai servizi, ai diritti di proprietà intellettuale (sui quali è in corso un forte dibattito); inoltre, la tradizionale divisione tra fornitori di beni intermedi e di servizi è venuta meno, portando alla rivalutazione di questi ultimi considerati il legante che tiene insieme la catena di fornitura. Non a caso, i negoziati internazionali per la liberalizzazione del commercio di servizi, ritenuti un settore strategico e di grande potenzialità, procedono con molta lentezza e su di essi vien mantenuto un livello di protezione elevato. Il grafico sottoriportato mette in evidenza come il commercio mondiale di servizi commerciali sia cresciuto molto più di quelli dei beni intermedi e delle merci, soprattutto in tempi recenti. In particolar modo si individuano due andamenti distinti: i beni intermedi cominciano ad assumere importanza attorno alla metà degli anni Novanta, mentre i servizi rivelano, al tempo, una crescita limitata, ma costante; successivamente, a partire dal 2000 i servizi conoscono un’impennata. L’OECD (ossia OCSE) ha calcolato una crescita media annua nel periodo 1995-2006 del 6,2% per i beni intermedi e del 7% per i servizi intermedi in termini di volume, osservando che le attività di offshoring23 sono cresciute nella maggioranza dei Paesi esaminati. Anche il commercio di prodotti e

cogliere l’esatta quantità del fenomeno perché la definizione che viene data del prodotto non sempre permette di distinguere tra uso intermedio e finale. 22 “Il contenuto di servizi nei manufatti è in aumento a causa della necessità di collegare la catena globale di produzione e di garantire una maggiore diversificazione dei prodotti e la personalizzazione degli stessi”. Andreas Maurer e Christophe Degain, Globalization and trade flows: what you see is not what you get!, WTO Staff Working Paper ERSD-2010-12, giugno 2010, pg. 13. 23 A volte si usa la parola outsourcing internazionale come sinonimo di delocalizzazione, tuttavia il significato dei due termini è assai diverso.

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servizi finali è aumentato allo stesso ritmo, così che la quota dei beni intermedi è rimasta costante, mentre quella dei servizi intermedi è cresciuta lievemente24. Andamento del commercio mondiale di merci, beni intermedi e altri servizi commerciali. Anni 1988-2006 (base 1988 = 100)

Fonte: elaborazione WTO su database UN COMTRADE

Evoluzione della struttura dell’impresa

Prima del 1970 per una serie di fattori, tra cui costi di trasporto elevati e restrizioni doganali, le commodities erano le merci maggiormente commercializzate, lo scambio di prodotti finiti era conseguenza di una necessità, ma qualora il prodotto poteva essere, in teoria, realizzato nel territorio nazionale si ergevano una serie di politiche protezionistiche per limitarne l’accesso esterno. In questa fase dominano le grandi imprese attente soprattutto al mercato interno in espansione. Il periodo è caratterizzato da una certa immobilità dei fattori della produzione, un equilibrio che viene messo in discussione sul finire degli anni Sessanta. Negli anni Settanta entrano in gioco nuove forze che portano alla crisi della grande impresa, al proliferare delle piccole aziende e a una maggiore mobilità dei fattori della produzione (graduale

La delocalizzazione -offshoring- si riferisce all'organizzazione internazionale della produzione. In particolare, si vuole fare riferimento alla crescente specializzazione verticale delle economie nazionali derivata dal commercio internazionale: parte del processo produttivo viene riallocato dall'impresa oltre i confini nazionali, spesso in cerca dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento della manodopera a basso costo o della legislazione più permissiva in materia di tutela ambientale dei Paesi in via di sviluppo. Da questo tuttavia non deriva necessariamente l'esternalizzazione della fase del processo, perché lo stesso può rimanere entro i confini dell'impresa, laddove svolto da una sua filiale estera o comunque da un'impresa che fa parte dello stesso gruppo. L'attività produttiva fuoriesce, dunque, dai confini nazionali, ma non necessariamente da quelli dell'impresa. Nell'outsourcing internazionale, al contrario, per la produzione del bene o la fornitura del servizio ci si rivolge a un'altra impresa che opera fuori dai confini nazionali. In questo senso l'attività produttiva fuoriesce sia dai confini nazionali che da quelli dell'impresa. 24 Miroudot, S., R. Lanz and A. Ragoussis (2009), “Trade in Intermediate Goods and Services”, OECD Trade Policy Working Papers, No. 93, OECD Publishing. doi: 10.1787/5kmlcxtdlk8r-en

- - - - - - - - - Altri servizi commerciali __ __ __ __ Beni intermedi __________ Totale merci

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rimozione delle restrizioni ai movimenti di capitale25, caduta del sistema finanziario di Bretton Woods26, containerizzazione, liberalizzazioni commerciali). Nascono il decentramento produttivo e l’economia di scala e ha luogo la deverticalizzazione: le grandi imprese, nel tentativo di contenere i costi, tendono a far svolgere alle piccole ditte dell’indotto, più flessibili in un mercato variabile per quantità e qualità, parte della produzione. Questo processo avviene all’interno del medesimo Paese o, al massimo, nell’insieme delle economie avanzate. In alcuni casi si raggiunge una forte specializzazione per fasi, il prodotto finito viene scomposto e ciascuna parte affidata a una singola piccola fabbrica; in altri casi, piccole-medie aziende, che talvolta interagiscono tra loro, ma non sono gerarchicamente collegate, tendono a riprodurre il medesimo prodotto della grande impresa. L’azienda leader commercia all’esterno, ma anche le medie, a volte, ne calcano l’orma. Negli anni Ottanta lo sviluppo rilevante dei mercati internazionali obbligazionari e la crescita dei prestiti bancari mondiali portano a una maggiore disponibilità di credito, che va a sostenere gli investimenti e a favorire il commercio estero, avvantaggiando, sul finire del decennio, il ritorno della grande impresa, già in fase di recupero per l’allentamento della pressione dei costi dei fattori produttivi. Si fa strada, così, l’espansione della rete di produzione globale, favorita anche dall’avanzata delle nuove tecnologie, i cui costi potevano essere meglio sostenuti dalla grande impresa piuttosto che dalla medio-piccola. Grazie a questo processo, molte economie emergenti, che non erano in grado di svolgere intere produzioni, hanno potuto essere coinvolte nella realizzazione di componenti attraverso l’attivazione di catene di fornitura globali, che le hanno rese sempre più specializzate. L’effetto è stato moltiplicatore perché la filiera si è estesa coinvolgendo non solo i Paesi emergenti, ma anche le regioni contigue27. Le grandi aziende avviano processi di scambio di beni intermedi prodotti in stabilimenti diversi della stessa industria (commercio intra-industriale) o tra industrie diverse (commercio inter-industriale) collocati anche al di fuori del territorio nazionale28. Se l’impresa fornitrice è localizzata in un Paese diverso dall’impresa acquirente si attiva, ovviamente, un flusso commerciale internazionale che può scaturire da differenti tipi di integrazione commerciale. Può trattarsi di semplici acquisti di beni intermedi sul mercato (outsourcing) oppure implicare rapporti contrattuali più stretti, attraverso i quali un’impresa commissiona a fornitori esteri beni intermedi o esecuzioni di fasi di lavorazione su specifiche indicazioni, detenendo o meno il controllo proprietario sull’esecutrice. Nel caso in cui l’impresa esporta temporaneamente materiali o semilavorati per alcune lavorazioni per poi reimportarli, si parla di frantumazione internazionale della produzione in senso stretto (production sharing). Questo rapporto crea «una certa dipendenza tra l’impresa committente e l’impresa perfezionatrice, ed è possibile che si verifichino spillover o trasferimenti di tecnologia

25 Interventi attuati nel 1973 in Canada, Germania e Svizzera, nel 1974 negli Stati Uniti, nel 1979 in Gran Bretagna, nel 1980 in Giappone, nel 1990 in Italia e Francia e nel 1992 in Spagna e Portogallo. 26 La Conferenza di Bretton Woods del 1944 stabilì le regole del sistema finanziario mondiale post-bellico, basato sulla parità fissa tra le valute dei vari Paesi (le diverse valute erano ancorate al dollaro americano, la cui convertibilità aurea era fissata a 35 dollari l’oncia) e creò il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e le istituzione che fanno capo alla Banca Mondiale. La Conferenza prevedeva anche un’Organizzazione Internazionale per il Commercio, la cui creazione è, però, avvenuta solo nel 1995 con il WTO (World Trade Organization in italiano abbreviata con l’acronimo OMC). Nel 1947 si riuscì solo a raggiungere un accordo internazionale noto come GATT, Accordo Generale sul Commercio e le Tariffe, che stabiliva le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali per favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. F. Bonaglia e A. Goldstein, Globalizzazione e sviluppo, Il Mulino, Bologna 2003, pg. 122. 27 Centro Studi Confindustria, Nuovi produttori, mercati e filiere globali. Le imprese italiane cambiano assetto, scenari industriali n. 1, giugno 2010 28 Il fenomeno in realtà non è nuovo, le grandi imprese americane erano uscite dal territorio nazionale fin dagli anni Cinquanta, nuova è la portata dello stesso, perché coinvolge un numero sempre crescente di aziende, anche di media dimensione, localizzate in tutto il globo, che interagiscono tra loro.

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dall’impresa committente verso l’impresa perfezionatrice»29. Questo tipo di legame è facile da attuare, ma non garantisce un elevato grado di controllo dell’impresa richiedente sull’azienda perfezionatrice come, invece, avviene con l’investimento diretto all’estero (IDE)30, attraverso il quale un investitore straniero acquisisce una quota di impresa tale da poter esercitare una significativa influenza sulla gestione strategica e operativa della stessa. Tradizionalmente si distinguono tre modelli di imprese internazionali a seconda della forma di investimento attuato:

- Impresa multinazionale multidomestica (stand-alone) che replica all’estero tutta o parte dell’attività svolta nel Paese di origine. Si tratta di IDE orizzontali che hanno come obiettivo la penetrazione in un mercato straniero abbattendo i costi commerciali e aggirando le barriere doganali;

- Impresa multinazionale con integrazione semplice (simple integration strategy) che delocalizza una o più fasi della produzione o la produzione di alcune parti componenti;

- Impresa multinazionale con integrazione complessa (supply system policy) in cui ogni consociata si specializza in precise funzioni, lasciando a una o più affiliate il compito di assemblare i componenti.

Questi ultimi due si riferiscono a IDE verticali che hanno come scopo principale il contenimento dei costi di produzione sfruttando il diverso costo dei fattori produttivi (capitale e lavoro) nei singoli Paesi e la diversa intensità dei fattori nei vari cicli di fabbricazione. Conducono alla frammentazione del processo produttivo in più stadi e in più luoghi e alla commercializzazione internazionale dei prodotti semilavorati. Negli anni Ottanta sono maturati anche altri generi di collaborazione tra imprese, al tempo definite “Nuove Forme di Internazionalizzazione (NFI), che oggi rappresentano un modo frequente ed efficace di affrontare congiuntamente la dinamica dei mercati esteri: si tratta di accordi di cooperazione tra imprese che possono implicare una partecipazione al capitale o basarsi semplicemente su accordi contrattuali per lo svolgimento di attività in comune o per particolari forme di assistenza tecnico-produttiva31. Queste strategie di internazionalizzazione, necessitando di minori capitali, coinvolgono anche le piccole e medie imprese.

29 Lucia, Tajoli, ibidem. 30 Si parla di investimento diretto quando chi investe possiede almeno il 10% delle azioni ordinarie con l’obiettivo di stabilire un interesse duraturo nel Paese estero e una significativa influenza nella gestione dell’impresa. Gli IDE si distinguono in: - investimenti greenfield, che consistono nella costituzione di nuove unità produttive all’estero. Essi rappresentano una quota marginale, circa il 10-15% del flusso mondiale di IDE. - investimenti brownfield, che riguardano processi di fusione aziendale o acquisizione di strutture già esistenti. Rappresentano la parte più consistente degli IDE. Gli IDE sono aumentati fortemente tra 1985 e 2000, superando di molto la crescita del commercio internazionale e del reddito, per poi stabilizzarsi tra il 2001 e il 2005. I flussi di investimento delle multinazionali restano inferiori ai flussi commerciali, ma secondo dati UNCTAD circa un terzo del commercio mondiale avviene all'interno delle strutture delle multinazionali, tra filiali di Paesi diversi o tra filiali e casa madre. Gli IDE provengono dai Paesi avanzati e per lo più ad essi rivolti (Stati Uniti, Europa e Tigri asiatiche), anche se sono in crescita quelli destinati ai Paesi in via di sviluppo. 31 Classificati da Momigliano e Balcet in joint-venture a partecipazione minoritaria, subappalti e decentramenti produttivi internazionali extragruppo e accordi di cooperazione industriale internazionale tra imprese.

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Evoluzione del concetto di commercio internazionale e di impresa

Prima del 1970 Tra 1970 e 1990 Dal 1990

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A.

L’Italia, come molti altri Paesi, è stata investita dal processo di frammentazione internazionale della produzione (un po’ più tardi rispetto ad altre nazioni) e ciò ha prodotto, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, un profondo mutamento nel modello di impresa con un infittirsi di relazioni verticali interaziendali e una significativa emancipazione del subfornitore rispetto al suo ruolo tradizionale32. Spesso l’impresa subfornitrice, non espleta solo funzioni di pura trasformazione, ma instaura relazioni di complementarietà con l’impresa committente e partecipa a network produttivi anche di carattere transnazionale. L’impresa committente, relegando al subfornitore le attività meno remunerative, si focalizza su quelle che danno maggiore redditività (fasi a monte e a valle del processo produttivo), e questo assume maggior peso tanto più elevata è la quota di attività realizzate esternamente: la concorrenza si trasferisce, dunque, sulla gestione dei fattori immateriali di competitività (selezione e gestione dell’outsourcing, progettazione e sviluppo dei prodotti, marketing, logistica) che diventano i veri elementi distintivi dei prodotti.

32 A. Giunta, A. Nifo, D. Scalera, Divisione del lavoro, crescita e divari di performance nell’industria italiana degli anni ’90, Università degli studi Roma Tre, Collana del Dipartimento di economica, Working Paper n. 97, 2008

Paese A Paese B

Paese A Paese B

Paese A Paese C

Paese B

Paese D

Internazionalizzazione mercantile

Internazionalizzazione mercantile e produttiva

Internazionalizzazione produttiva

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Fonte: adattatamento Camera di Commercio I.A.A. da 1998-2010, Dr. Jean-Paul Rodrigue, Dept. of Global Studies & Geography, Hofstra University

Alle aziende subfornitrici è richiesto di innalzare la propria dimensione di operatività per fronteggiare la crescente concorrenza dei Paesi produttori a basso costo, quindi, sono necessari alti standard qualitativi, efficienza produttiva, recepimento ed elaborazione delle informazioni, capacità di riposizionamento, massima soddisfazione delle richieste del committente, capacità di sviluppare relazioni lungo tutta la rete, anche transnazionale, di appartenenza. Queste imprese devono essere dotate di grande flessibilità e facoltà di relazione perché, ad eccezione della figura dell’assemblatore finale, spesso esternalizzano a loro volta le fasi meno remunerative assumendo, pertanto, il duplice ruolo di committenti e fornitori. Il fatto che l’azienda subfornitrice possegga attitudini dinamiche costituisce un prerequisito per partecipare alla rete, che non la mette al riparo dal rischio della concorrenza mondiale e dalla possibilità di futura marginalizzazione. Questo processo di partecipazione e interazione con le aziende maggiori è oramai imprescindibile, pena l’esclusione dal processo produttivo33, come dimostra anche l’evoluzione strutturale dei distretti industriali. Il fenomeno della frammentazione della produzione ha interessato, infatti, da vicino le imprese dei distretti, quelle che avevano tratto vantaggi competitivi investendo, al contrario, nel radicamento del territorio. Differentemente dal passato, e già nel 2006 uno studio di Unioncamere lo evidenziava, solo una parte delle imprese distrettuali utilizza fornitori della stessa provincia, mettendo quindi in luce come l’outsourcing internazionale abbia avuto significative ripercussioni sui “confini del distretto”34. La catena della subfornitura appare organizzata in forma piramidale: al vertice si impone l’azienda leader, generalmente di grandi dimensioni, immediatamente sotto si collocano i fornitori di primo livello, un gruppo selezionato e ridotto di imprese con cui il committente instaura rapporti di quasi-integrazione, e poi tutti gli altri. I fornitori di primo livello si caratterizzano per sostenere importanti investimenti specifici e per un portafoglio clienti poco diversificato.

33 «Ci si riferisce al processo di scrematura nell’industria calzaturiera e dell’abbigliamento, che ha operato a partire dalla seconda metà degli anni ’90, per la quale le imprese collocate nelle fasi a elevato contenuto di semplice manodopera hanno sofferto l’attacco competitivo dei produttori dei Paesi con più basso costo del lavoro, fino a essere espulse dal mercato». A. Giunta, A. Nifo, D. Scalera, ibidem. Analoghe considerazioni possono essere fatte per il settore dell’occhialeria bellunese. Il numero di unità locali presenti in provincia di Belluno che operavano nel campo dell’occhialeria in senso stretto è passato da 843 di inizio secolo a 469 di fine 2009 (ATECO 2002). 34 A. Giunta, A. Nifo, D. Scalera, ibidem. Il Rapporto di Unioncamere del 2006 evidenziava che solo un terzo delle imprese distrettuali si riforniva in loco.

Alto

Basso

Globalizzazione

valo

re a

ggiu

nto

Logistica

Attività concettuali

R&S

Marchio

Manifattura

Distribuzione

Vendita / Servizio

Design

Marketing

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Il rapporto con l’impresa leader è molto stretto, spesso c’è assistenza tecnica e passaggio di informazioni e tecnologia. I fornitori a loro volta intessono una propria rete di subfornitura e così di seguito per tutta la catena produttiva. Questo sistema di organizzazione del lavoro comporta la centralizzazione della responsabilità a ogni livello per specifiche competenze e porta nel contempo alla dispersione della produzione, che può avvenire su scala planetaria. Evoluzione della geografia del commercio

Fino al 1970 il commercio globale era dominato dai Paesi sviluppati e lo scambio prevedeva l’invio delle materie prime dai Paesi in via di sviluppo alle economie maggiori, da cui migravano successivamente i prodotti finiti in senso opposto. Ciò avveniva principalmente per la presenza di notevoli differenze nel livello di sviluppo e per la sussistenza di poteri forti legati alla precedente dominazione coloniale. Con il processo di industrializzazione e di ricollocazione dei siti produttivi in zone economicamente più appetibili, la corrente dei flussi è mutata profondamente. Lo spostamento della produzione nelle aree straniere ha dato luogo ad attività produttive, sia di beni intermedi che di prodotti finiti, che generalmente non vengono venduti sul mercato di fabbricazione, ma sono acquisiti dall’impresa che opera nel Paese d’origine, per essere rivenduti sotto il suo marchio nei Paesi sviluppati; pertanto i manufatti viaggiano, con sempre maggior intensità, dai Paesi emergenti verso le economie mature. Un’altra importante differenza rispetto al passato è la creazione di importanti e crescenti interrazioni tra i Paesi in via di sviluppo.

Cambiamenti nella geografia degli scambi

Fonte: 1998-2010, Dr. Jean-Paul Rodrigue, Dept. of Global Studies & Geography, Hofstra University su dati WTO

Come evidenziato nel primo capitolo, dal secondo dopoguerra il commercio internazionale ha conosciuto un lungo periodo di espansione durato fino al 1973, quando i due shock petroliferi, l’accendersi dell’inflazione causata da eccessiva espansione monetaria e inadeguate politiche macroeconomiche hanno condotto a un rallentamento degli scambi. A partire dagli anni Novanta, il commercio è ripartito nuovamente con grande vigore, ma con attori diversi.

Polo industriale Flusso di merce Flusso di materie prime

Paesi in via di sviluppo Paesi in via di sviluppo

Paesi sviluppati Paesi sviluppati

Prima del 1970 Dopo il 1970

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L’originale posizione egemonica degli Stati Uniti fu messa in discussione dall’Europa occidentale e dal Giappone che esibirono, tra il 1950 e il 1973, una maggiore dinamicità nelle transazioni oltre frontiera. Il commercio fu allora sostenuto dall’esigenza della ricostruzione postbellica e dalla necessità di colmare il divario con l’economia americana. Successivamente, l’integrazione economica europea portò a un’intensificazione degli scambi intracontinentali che crebbero in misura sempre maggiore. Gli anni Novanta hanno segnato la massima espansione delle economie occidentali avanzate, ma già il Giappone, sotto la pressione dei Paesi NIE’s35 e della Cina, aveva cominciato ad avvertire una significativa perdita di competitività e a nulla sono valse la costituzione dell’accordo di libero scambio Nord Americano (NAFTA) del 1994 e la maggiore integrazione ed espansione verso est dell’Unione Europea (a seguito della caduta del blocco sovietico) per invertire la tendenza al ridimensionamento dei Paesi industriali più maturi. Nell’ultimo decennio la riduzione della partecipazione dei Paesi occidentali al commercio mondiale è da imputarsi all’ascesa della Cina, entrata a far parte del WTO nel 2001, al recupero della Comunità dei Stati Indipendenti e ai prezzi crescenti delle materie prime, che hanno comportato un’espansione delle quote di Africa, Medio Oriente e centro e sud America. Inoltre, la concorrenza si è fatta più serrata, in quanto le esportazioni dei Paesi emergenti, dapprima concentrate su prodotti tessili o altre merci ad alta intensità di manodopera, si sono portate velocemente su settori tecnologicamente più avanzati, creando allarme nei Paesi occidentali36. E’ oramai un dato certo che alcune lavorazioni labour intensive a basso valore aggiunto non sono più

35 Nei primi anni Sessanta fanno la comparsa sullo scenario internazionale le emergenti economie asiatiche che iniziano intense politiche di espansione commerciale, tanto che in un ventennio riescono a conquistare una quota di mercato vicina al 10%. In principio la specializzazione puntò sul tessile, ma poi, gli investimenti puntarono su settori più evoluti quali l’elettronica e l’alta tecnologia, campi fino ad allora monopolio del Giappone. 36 Nel primo decennio del XXI secolo si sono prodotte molte trasformazioni all’interno del panorama imprenditoriale italiano che possono essere sintetizzate attraverso queste due autorevoli osservazioni che esprimono l’evoluzione e la frattura intervenuta a metà del periodo considerato: 1) Molti Paesi europei, tra cui l’Italia, sono specializzati in settori tradizionali a media tecnologia (tessile, meccanica, agroalimentare) e solo in parte in comparti ad alta tecnologia, che però risultano essere già maturi e quindi a bassa crescita produttiva (auto, chimica, energia, costruzioni). Nel confronto con gli Stati Uniti, l’Europa appare specializzata su settori a medio-alta tecnologia che attualmente non si trovano più sulla frontiera tecnologica e produttiva (lo erano due, tre decenni fa). Proprio ai segmenti maturi l’Europa indirizza gran parte delle proprie spese in R&S, quando gli Stati Uniti investono nei servizi e negli ambiti industriali che maturano una maggiore remunerazione (elettronica, semiconduttori, hardware, software, biotecnologia). «Contrariamente al dopoguerra, quando la crescita (…) poteva essere ottenuta attraverso l’accumulazione dei fattori e l’imitazione, una volta che ci si è avvicinati alla frontiera delle possibilità tecnologiche, lo spostamento in avanti della frontiera è diventato il principale motore della crescita». Sapir et al., An agenda for a growing Europe: making the Eu economic system deliver, European Commission, Bruxelles, luglio 2003 in Paolo Crosetto, Il miracolo americano della produttività e l’Europa: fine della convergenza?, Unità di Ricerca sulla Governance Europea, URGE Working Paper 3/2005, Torino 2005 2) Tra il 1999 e il 2004, l’industria italiana è stata messa in crisi dall’irrompere della concorrenza asimmetrica cinese. Al tempo il pericolo Cina sembrava investire solo il Made in Italy che perdeva inesorabilmente quote di mercato nelle calzature, nel tessile-abbigliamento e nei mobili. Però, nel quadriennio 2004-2008, l’Italia ha saputo far aumentare il surplus commerciale nel manifatturiero (senza chimica), crescendo più della Germania, in quanto ha riqualificato i suoi prodotti. La Cina, nel frattempo, si è organizzata e non esporta più solo prodotti manifatturieri facilmente replicabili, ma si è posta all’attenzione del mondo anche nell’elettronica e nelle tecnologie, facendo tremare tutte le economie avanzate, non solo, dunque, l’Italia, legata ai prodotti tradizionali e facilmente preda dell’imitazione. La maggiore capacità a imporsi sul mercato espressa dalle imprese italiane in questo periodo è dovuta all’acquisita specializzazione nella meccanica-mezzi di trasporto e all’innalzamento del livello del manifatturiero posizionatosi su più alto valore aggiunto tanto che, stando agli indicatori del Trade Performance Index (indice della competitività) redatti dal UNCTAD-WTO, dopo la Germania, l’Italia è il Paese più competitivo al mondo. Marco Fortis, Imprese oltre il declino, Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2010

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localizzate in Cina, ma in altre economie dell’area asiatica, in cui il costo del lavoro è ancora più basso. Particolarmente interessante è stata la velocità con cui la Cina si è imposta al mondo, uno shock per l’economia mondiale, di gran lunga maggiore di quello sopportato all’inserimento di quella statunitense all’inizio del secolo scorso: dal 1993 il colosso cinese ha triplicato la propria quota mondiale di esportazioni e nel 2009 è diventato il primo esportatore mondiale scalzando la Germania che deteneva il primato dal 2003. Classifica dei Principali Paesi esportatori di merci del mondo. Anni 1950-2009

PAESE 1950 PAESE 1960

PAESE 1970

PAESE 1980

1 Stati Uniti 16,6 Stati Uniti 15,8 Stati Uniti 13,6 Stati Uniti 11,1

2 Regno Unito 10,2 Germania 8,8 Germania 10,8 Germania 9,5

3 Francia 5,0 Regno Unito 8,2 Regno Unito 6,1 Giappone 6,4

4 Canada 4,9 Francia 5,3 Giappone 6,1 Francia 5,7

5 Germania 3,2 Canada 4,5 Francia 5,7 Regno Unito 5,4

6 URSS 2,9 URSS 4,3 Canada 5,3 Arabia Saudita 5,4

7 Australia 2,7 Paesi Bassi 3,5 Paesi Bassi 4,2 Italia 3,8

8 Belgio- Lussemb. 2,7 Giappone 3,1 Italia 4,2 URSS 3,8

9 Paesi Bassi 2,6 Belgio-Lussemb. 2,9 URSS 4,0 Paesi Bassi 3,6

10 Brasile 2,2 Italia 2,8 Belgio-Lussemb. 3,7 Canada 3,3

PAESE 1990 PAESE 2000 PAESE 2009

1 Germania 12,2 Stati Uniti 12,1 Cina 9,6

2 Stati Uniti 11,4 Germania 8,5 Germania 9,0

3 Giappone 8,3 Giappone 7,4 Stati Uniti 8,5

4 Francia 6,3 Francia 5,1 Giappone 4,6

5 Regno Unito 5,4 Regno Unito 4,4 Paesi Bassi 4,0

6 Italia 4,9 Canada 4,3 Francia 3,9

7 Paesi Bassi 3,8 Cina 3,9 Italia 3,2

8 Canada 3,7 Italia 3,7 Belgio 3,0

9 Belgio- Lussemb. 3,4 Paesi Bassi 3,6 Rep. di Korea 2,9 10 Hong Kong 2,4 Hong Kong 3,1 Regno Unito 2,8

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO E’ interessante osservare come la quota totale di partecipazione all’export mondiale dei primi dieci Paesi esportatori sia molto variata nel corso di questi ultimi sessant’anni: nel 1950 si posizionava attorno al 53% per poi espandersi e trovare l’apice nel 1971 con il 63,8% (limite mai più raggiunto); successivamente si è assistito a una fase discendente accentuatasi negli anni Duemila, interrotta solo dalla felice parentesi nel periodo 1986-1994 quando la quota è tornata a collocarsi oltre il 60%. Nel 2009, i principali dieci esportatori concorrevano all’export globale solo per il 51,6%, il minimo del periodo oggetto di osservazione, e ciò è segno manifesto che non esiste più un monopolio delle merci in mano a pochi Paesi, ma che sul mercato sono presenti numerosi attori, in misura maggiore rispetto al passato e che, quindi, la concorrenza si è fatta sempre più serrata. La rapida (e non esaustiva) descrizione di queste pagine sull’ultimo processo di internazionalizzazione evidenzia come le diverse economie del mondo, caduto il muro di divisione ideologica, siano interdipendenti in virtù delle strategie adottate dalle grandi imprese multinazionali. Il principale fattore che spinge un'azienda a portare oltre il confine nazionale le proprie attività è la possibilità di ridurre i costi di produzione, a ciò si aggiungono le opportunità di nuovi e più agevoli sbocchi commerciali per i propri prodotti o servizi, di allargare la propria quota di mercato, di ricercare competenze e risorse umane qualificate. Condizione imprescindibile è ovviamente avere un vantaggio economico, che non si esprime, però, solo attraverso benefici fiscali e abbattimento

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del costo del lavoro, ma anche attraverso la condivisione di standard tecnici, di conoscenze codificate e trasmissibili (intendendo con questo sviluppo della comunicazione su comuni parametri); inoltre, è essenziale mantenere un certo controllo sull’operato altrui. E’ evidente che aiutano e influenzano gli scambi l’affinità politica e culturale, la capacità e la facilità di instaurare contatti personali; per questo, molte aziende, non particolarmente strutturate o non adeguatamente sorrette da servizi qualificati, spinte dall’idea di ottenere comodi guadagni dalla semplice contrazione dei fattori produttivi, avevano, nella prima ora, sposato con entusiasmo la delocalizzazione in Paesi lontani geograficamente e culturalmente, per poi far ritorno in patria delusi.

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TARIFFE, ACCORDI, LIBERALIZZAZIONI, AREE DI LIBERO SCAMBIO

L’istituzione nel secondo dopoguerra dei grandi organismi internazionali è stata in grado di fornire una piattaforma comune che ha favorito le attività di movimentazione dei capitali e ha sostenuto lo sviluppo del commercio mondiale. John Maynard Keynes, l’artefice della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, aveva lavorato anche alla costituzione di un’istituzione internazionale del commercio che, però non venne mai creata perché gli Stati Uniti non ratificarono la Carta de L’Avana che ne promulgava gli statuti. Scappato al fallimento, sopravvisse solo il capitolo IV della Carta, noto come GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) o Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio che dal 1948 è stato un tavolo permanente di contrattazione multilaterale, che ha portato alla progressiva riduzione delle tariffe doganali sui prodotti manifatturieri. Nei quasi cinquant’anni di attività, i Paesi membri, riuniti in cicli di negoziati (Round), sono riusciti ad abbassare le tariffe medie sulle importazioni da oltre il 40% fino a una soglia condivisa del 4-5%37.

Grado medio di protezione doganale e andamento degli scambi all’interno del GATT. Anni 1947-1994

Fonte: tesi di dottorato di Alessandra Tzannis “Processi di internazionalizzazione delle PMI e dinamiche culturali, Università agli Studi di Bergamo, Facoltà di economia a.a. 2007-2008

La liberalizzazione, però, è risultata incompleta sia per numero di Paesi aderenti che di prodotti contemplati negli accordi; ciò ha contribuito a ripristinare la direttrice Nord-Sud, prodotti contro materie prime, perdendo il flusso di capitale e di lavoro che era stato alla base del precedente processo di globalizzazione e integrazione. I Paesi meno sviluppati (LDCs), lasciati ai margini del processo, non hanno beneficiato dell’aumento degli scambi mondiali, per la presenza di ampie politiche protezionistiche e di persistenti barriere doganali attuate nei loro confronti da parte dei

37 Appunti tratti dalle lezioni della prof.ssa Valeria Sodano del corso di "Mercati agroalimentari” a.a. 2008/2009, laurea magistrale in Scienze e tecnologie alimentari, dipartimento di economia e agraria dell'Università di Napoli Federico II.

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Paesi maggiormente sviluppati che cercavano di proteggere i propri manufatti38. Tuttavia, a partire dagli anni Ottanta con l’apertura commerciale di alcuni LDCs, la riduzione dei dazi sui prodotti finiti, politiche meno ostili nei confronti degli investitori esteri39 e la caduta del blocco sovietico, per la prima volta numerosi Paesi, ottenendo un vantaggio competitivo dalla produzione di beni e servizi a labour-intensive (abbondante presenza di forza lavoro a basso costo), sono riusciti a entrare nel mercato globale40. Con il trattato di Marrakech del 1994 si è conclusa l’ultima serie di negoziati41 del GATT e si è dato vita a un nuovo organismo internazionale, il WTO (World Trade Organization) o Organizzazione Mondiale del Commercio preposto alla liberalizzazione del commercio e all’abbassamento delle barriere tariffarie. Differentemente dal GATT, che si occupava del solo manifatturiero, il WTO si occupa di tutte le attività umane (tranne particolari eccezioni) e le decisioni adottate in materia sono coercitive per gli Stati aderenti. Vi fanno parte 153 Paesi membri, cui si aggiungono 30 Paesi osservatori, che in totale rappresentano circa il 97% del commercio mondiale di beni e servizi. Qualche voce critica si leva contro l’organizzazione, che viene accusata di favorire le nazioni più sviluppate e gli interessi delle multinazionali. Attualmente il WTO è impegnato nel cosiddetto Doha Round, il cui obiettivo è di rendere le regole del commercio più eque per i Paesi in via di sviluppo. Avviato nel 2001, è finora fallito perché le negoziazioni si sono arenate su cruciali questioni in campo agricolo, ma difficoltoso è apparso anche il dialogo sull’accesso al mercato dei prodotti non agricoli (tariffe industriali, barriere non tariffarie e servizi). Le differenze più significative emergono tra le nazioni sviluppate, che non cedono sui sussidi all’agricoltura, e quei Paesi in cui il settore primario è la principale fonte di reddito e dove tali aiuti vengono visti come una forma di protezionismo. Ma anche i grandi Paesi emergenti si oppongono alla liberalizzazione, essendo restii ad aprire i mercati interni ai manufatti provenienti dai Paesi meno sviluppati e desiderosi di mantenere elevato anche lo scarto dei livelli tariffari con i partners commerciali più evoluti. Questi ultimi, infine, chiedono al resto del mondo livelli di apertura per i propri prodotti industriali e servizi tali da compensare l’accesso ai loro mercati delle derrate agricole esterne. Queste divergenze si riflettono sulle barriere tariffarie, generalmente alte nei Paesi in via di sviluppo e mediamente basse nei Paesi economicamente avanzati (a eccezione di alcuni beni specifici per i quali il grado di protezione è elevato). In termini di accesso al mercato, le economie mature, avendo dazi ridotti, hanno ben poco da offrire e questo spiega in parte la lentezza con cui procedono le trattative. Finora è risultato molto difficile trovare un accordo sulle modalità ed entità dei tagli da effettuare, nonostante sia riconosciuto, e il direttore generale del WTO Pascal Lamy l’ha più volte ricordato durante l’annus horribilis, che la positiva conclusione del negoziato sarebbe stata un modo efficace per contrastare la crisi e rilanciare l’economia mondiale.

38 Tra le varie misure protezionistiche adottate va citato l’Accordo Multifibre, cessato il 1 gennaio 2005, un complesso sistema di accordi bilaterali contro le esportazioni di prodotti di cotone, di lana e di fibre sintetiche provenienti dalle economie meno sviluppate. 39 Gli IDE non portano solo capitale, ma anche tecnologia avanzata e accesso ai mercati internazionali e quindi sono decisivi per poter partecipare alle reti produttive del mondo. Anche se i flussi netti di capitale privato verso gli LDCs sono aumentati rispetto al Pil, essi rimangono al di sotto del livello raggiunto nel 1914. Appunti tratti dalle lezioni della prof.ssa Tiziana Cuccia, Università di Catania, Facoltà di economia, Corso di politica economica internazionale. 40 Va ricordato che gli LDCs più globalizzati hanno messo in campo negli ultimi vent’anni interventi a sostegno delle infrastrutture, delle istituzioni e dell’accrescimento delle competenze professionali per una produzione in chiave moderna. Altri Paesi, invece, (soprattutto dell’Africa e dell’ex Unione Sovietica) pur disponendo di manodopera abbondante, non sono riusciti a integrarsi nella nuova economia a causa di politiche economiche inadeguate, svantaggio geografico, deficit infrastrutturale, rischio di guerre, insolvenza Paese, ecc. 41 Noti con il nome di Uruguay Round, avviati nel 1986 e coinvolgenti 123 Paesi, riguardavano tre accordi fondamentali recepiti, poi, dalla nuova istituzione: l’Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio, l’Accordo generale sul commercio dei servizi e Aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale.

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Tariffe: media semplice applicata secondo la clausola della nazione più favorita (MFN - most favoured nation*) in alcuni Paesi avanzati ed emergenti. Anno 2009

-

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

UE 27

Stati U

niti

Giapp

one

Brasil

e

Fed. R

ussa

India

Cina

Sud A

frica

Totale Agricoli Non agricoli

* Il principio espresso dalla clausola della nazione più favorita (Most favoured nation, Mfn) è quello di non discriminazione e prevede che i vantaggi concessi da una parte contraente a un Paese debbano essere automaticamente estesi a tutte le altre parti contraenti. «Tutti i vantaggi, benefici, privilegi o immunità accordati da una parte contraente a un prodotto originario o destinato a qualsiasi altro Paese saranno, immediatamente e senza condizioni, estesi a tutti i prodotti similari o destinati al territorio di tutte le altre parti contraenti» (art. I, GATT). Fonte: ns. elaborazione su dati WTO, ITC, UN, World tariff profiles 2010

Il recente vertice dei G20 tenutosi a Seoul l’11 e il 12 novembre ha riproposto la necessità di arrivare a delle risoluzioni condivise entro breve per evitare che l’espansione del commercio possa essere minacciata e con essa la ripresa sentita ancora troppo fragile. A questa presa di posizione ha contribuito anche la presentazione all’incontro di Seoul del rapporto “Seizing the benefits of trade for employment and growth” elaborato dall'OECD (ossia OCSE) con la collaborazione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, della Banca Mondiale e dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, nel quale si riconosce che l'apertura dei mercati svolge un ruolo fondamentale a sostegno della crescita e alla creazione di posti di lavoro. L’analisi sottolinea che una maggiore apertura degli scambi di beni e servizi può esercitare un effetto stimolante sull’economia mondiale nel momento in cui i numerosi dispositivi temporanei di rilancio messi in atto dai governi durante la crisi stanno per essere ritirati. Appare chiaro, però, che di fronte a un tasso di disoccupazione elevato, i governi possono essere sollecitati a riprendere misure protezionistiche anche alla luce del fatto che le economie più aperte sono state anche quelle che più hanno sofferto gli shock esterni. A questa tentazione è necessario resistere, insiste il rapporto, perché la medesima apertura commerciale ha favorito una ripresa più rapida in quanto i sistemi economici aperti sono anche quelli più adattabili e meno vincolati a una domanda interna che è rimasta limitata. Nello studio viene precisato che la liberalizzazione del commercio deve integrarsi ad adeguate politiche interne per l’occupazione e la protezione sociale tali da garantire che i vantaggi derivanti dagli scambi siano da tutti condivisi. Affinché la crescita sia durevole e proiettata sul lungo termine, si ritiene necessario porre rimedio agli squilibri internazionali (quali i maxi surplus commerciali di Cina e Germania e il perenne déficit statunitense) e ai problemi di redistribuzione, aiutando anche quei lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro per l’intensificarsi della concorrenza

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internazionale42. Lo studio conclude affermando che un mercato aperto libera i Paesi dai vincoli delle economie locali, promuovendo una maggiore efficienza e aiutando a sviluppare e a diffondere il progresso tecnologico. In questi anni di stallo si è assistito al proliferare del bilateralismo, cioè alla stesura di accordi commerciali bilaterali o regionali visti come rapidi mezzi, rispetto al multilateralismo, per sostenere le proprie imprese sui mercati esteri. Ai primi mesi del 2010 i trattati notificati al WTO erano 462, quasi tutti riconducibili ad aree di libero scambio43. Benché il maggiore attivismo nella stipula di accordi commerciali preferenziali sia stato espresso negli ultimi anni dal blocco Asia-Pacifico44, tutto il mondo ha dimostrato di seguire questa tendenza.

Accordi commerciali regionali (ACR) notificati al WTO a marzo 2010

Fonte: elaborazione ICE su dati WTO

La Cina è stata protagonista in diverse parti del globo e nel 2009 ha sottoscritto un importante accordo con l’Asean-645, un’area di libero scambio dalle forti potenzialità sia per peso economico che per numero di abitanti, che, però, ha suscitato forti polemiche nel mondo imprenditoriale dei

42 Ciò passa «per politiche macroeconomiche stabili, politiche del mercato del lavoro e della protezione sociale efficaci, investimenti nell’istruzione e un rafforzamento dei settori di esportazione nei Paesi in via di sviluppo». OECD, ILO, WTO, The World Bank, Seizing the benefits of trade for employment and growth. Final Report, prepared for submission to the G20 summit meeting Seoul (Korea) 11-12 November 2010. 43 ICE-ISTAT, L’Italia nell’economia internazionale. Rapporto ICE 2009-2010, giugno 2010, pg. 65-83. Gli accordi preferenziali conclusi nel decennio 2000-2009 sono stati più della metà di quelli ratificati nel XX secolo. La ragione della proliferazione di accordi bilaterali o regionali secondo gli esperti è dovuta allo stallo del Doha Round, all’ “effetto competizione” che mira ad aumentare il peso di un’area o di singoli Paesi rispetto ai concorrenti e l’ “effetto domino”, nel quale la creazione di blocchi commerciali incentiva i Paesi a farne parte per timore di eventuali effetti negativi in caso di esclusione. Il processo di integrazione sovranazionale si sviluppa su diversi livelli: Area di libero scambio (vengono abolite le barriere doganali fra i Paesi membri, ma ciascun Paese è libero di fissare le tariffe doganali nei confronti di Paesi terzi); Unione doganale (si adotta una tariffa esterna comune); Mercato comune (la liberalizzazione degli scambi è estesa dai prodotti ai fattori della produzione); Unione economica (alla liberalizzazione dei flussi intra-area di merci, servizi e fattori, si aggiunge un trasferimento di competenze a livello sovranazionale che comporta un coordinamento di alcune politiche settoriali). 44 I singoli Paesi dell’Asean sono impegnati in circa 130 aree di libero scambio a vario stadio di negoziazione, mentre come unico blocco commerciale partecipano a 6 accordi. Interessanti appaiono, per i possibili sviluppi futuri, le cooperazioni con Australia e Nuova Zelanda, il cui patto è entrato in vigore nel 2010, e quelli in itinere con Korea del Sud e India. 45 Brunei, Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia.

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Paesi sottoscrittori preoccupati di vedere i propri manufatti soggiacere alla più competitiva forza cinese (analoga preoccupazione è stata espressa dal tessuto economico peruviano all’entrata in vigore dell’accordo Cina-Perù del marzo 2010). Accanto alla Cina si sono mossi in questi anni anche Giappone e Corea del sud, i più maturi tra i Paesi industriali della zona, che fino al 2001 erano rimasti al di fuori di qualsiasi accordo commerciale su base regionale (il primo essendo sostenitore del multilateralismo e la seconda perché protesa a Occidente), e si sono dimostrati molto attivi anche Singapore e Thailandia, tanto che si segnalano pressioni per un allargamento dell’Asean (almeno a Cina, Giappone e Corea). Nell’area centro meridionale americana, il Perù ha espresso un forte dinamismo siglando accordi con Singapore, Canada e Cina e avviando nel 2009 negoziati con il Giappone, mentre il Brasile ha proposto integrazioni sia nell’ambito del Mercosur46 che singolarmente con India e Sud Africa. Il continente africano è rimasto ancora ai margini del processo, ma alcuni Paesi, tra i quali la Cina, l’India e Singapore, hanno dimostrato un forte interesse e sono numerose le trattative in corso non ancora, però, confluite in un accordo. L’Unione Europea, da sempre in prima linea nelle intese bilaterali, porta avanti accordi in diverse zone del mondo, generalmente non in contrapposizione con le iniziative multilaterali. Procedono seppur lentamente i negoziati con i Paesi ACP (le ex colonie europee in Africa, Caraibi, Pacifico), con la Corea del sud, l’India e la Comunità Andina, mentre sono in fase di stallo quelli con i Paesi del Golfo e l’Asean, ed è ancora sospesa la costituzione della zona di libero scambio Euromed, prevista per il 2010 (posticipata in attesa della definizione dell’accordo con la Siria). Un successo è stato riportato, invece, con la firma, a maggio 2010, dell’accordo con gli Stati dell’America centrale, mentre, nonostante dichiarazioni di riapertura da ambo le parti, le trattative con il Mercosur, arenate dal 2006, non sono ripartite. L’UE è assai attiva nel difendere gli interessi commerciali delle proprie imprese, impegnandosi sugli ostacoli che le stesse incontrano all’estero, sulla protezione dei diritti di proprietà intellettuale e sulla concorrenza sleale. Di fronte al WTO ci sono 40 cause che vedono coinvolta l’UE (in 16 vi partecipa come ricorrente): nella maggior parte dei casi è opposta agli Stati Uniti (per gli OGM, la proprietà intellettuale e alcuni prodotti alimentari), mentre le controversie emerse nel 2009 interessano la Cina i materia di servizi e materie prime. Gli USA accusano l’Europa di difendere il proprio commercio e la Cina di innalzare dazi antidumping47. Gli USA, che fino al 2000 non avevamo manifestato grande interesse per i negoziati bilaterali, hanno consolidato nel decennio numerose zone di libero scambio in varie parti del mondo, ma stanno incontrando difficoltà al Congresso per la mancata ratifica degli accordi sanciti nel 2007-2008 con Panama, Colombia e Korea. Da alcuni anni il WTO ha messo in atto un meccanismo di comunicazione e trasparenza per tentare di conciliare i negoziati bilaterali o regionali con quelli multilaterali, tuttavia c’è forte preoccupazione che il proliferare di singoli accordi porti a una maggiore complessità dei rapporti commerciali e a una distorsione degli scambi, colpendo i Paesi più deboli, che pur di assicurarsi qualche beneficio, possono essere indotti ad accettare trattati iniqui che avvantaggiano una sola delle parti. Inoltre, la persistente crisi economica e l’aumento del livello di disoccupazione hanno indotto, come accennato, molti governi a proteggere alcuni settori ritenuti strategici adottando una serie di misure che, pur non risultando in violazione agli accordi sottoscritti in seno al WTO, sono state definite protezionismo strisciante. Infatti, solo in rari casi si è avuto un aumento delle tariffe o procedure restrittive all’esportazione, preferendo ricorrere ad altre forme quali sussidi, stimoli fiscali, misure di restrizioni al lavoro estero, protezionismo verde che limita le importazioni di beni prodotti con standard ambientali giudicati non conformi, uso di dazi antidumping e altre clausole di

46 Vi fanno parte in qualità di Stati membri Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Hanno invece la qualità di Stati associati Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù. Il Venezuela è stato invitato a diventare membro effettivo dell'organizzazione nel 2006, ma il processo di ratifica non è ancora stato completato. 47 Normativa o misura attuata da un Paese con lo scopo di contrastare la vendita di merci estere a prezzi inferiori a quelli del mercato interno.

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salvaguardia. Fortunatamente il temuto ritorno a uno stretto protezionismo non si è verificato, anche se il ricorso a singole procedure conservative è notevolmente aumentato nel corso del 2009. Il mancato massiccio ricorso a misure di protezione sembra essere in gran parte imputabile all’importanza assunta dal commercio verticale, che crea in numerosi ambiti catene produttive transnazionali: erigere delle barriere commerciali in quei Paesi in cui sussiste un ingente scambio di beni e servizi intermedi è rischioso perché potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang che finisce per danneggiare anche le imprese nazionali. Alcuni economisti vedono con favore la presenza di misure di protezione a breve termine in connessione a stimoli fiscali, ma, altri paventano che, in mancanza di un’unità di intenti espressa a livello internazionale, ciò possa innescare una sequenza di ritorsioni con effetti negativi per tutti i Paesi.

Procedure restrittive al commercio: antidumping e altre procedure di salvaguardia. Dati trimestrali periodo 2007-2009

Fonte: elaborazione ICE su dati Banca Mondiale – Global Antidumping database, versione 6 Il commercio internazionale ha, quindi, una forte valenza politica e sono gli accordi commerciali, l’abbattimento o l’inasprimento delle misure di protezione, più che lo sviluppo tecnologico, a favorirne o a comprometterne lo sviluppo. L’ultimo rapporto annuale48 della Camera di Commercio Europea in Cina, riprendendo uno studio dell’OECD, sottolinea come, nonostante 30 anni di riforme, il gigante asiatico rimanga ancora eccessivamente regolamentato e poco incline ad aprirsi alla competizione mondiale. Gli indicatori sulla regolazione del mercato dei prodotti (Product Market Regulation, ossia, PMR), redatti dall’OECD rendendo comparabili a livello internazionale i dati sul controllo statale, sulle barriere all’imprenditorialità, al commercio e agli investimenti stranieri, evidenziano come i più importanti Paesi emergenti inibiscano la concorrenza, rendendo difficoltoso l’accesso alle imprese straniere. Nei confronti della Cina, questa difficoltà è, inoltre, confermata anche dai risultati di un’indagine condotta dalla Camera di Commercio Europea (European chambre 2010 Business Confidence Survey) sul clima di fiducia degli investitori dell’Unione, che avvertono un sentimento di frustrazione per come il contesto normativo cinese stia diventando meno equo in alcuni campi, in particolare percepiscono una forte discriminazione negli ambiti legati ai servizi di telecomunicazione, alle assicurazioni, all’edilizia e all’industria automobilistica. Alcuni osservatori hanno l’impressione che i grandi Paesi emergenti vogliano guidare il loro sviluppo favorendo gli operatori economici nazionali ed eventualmente selezionando accuratamente i partners stranieri, limitando la penetrazione produttiva e commerciale solo ai produttori di beni e servizi ad alto valore aggiunto (prodotti di consumo di fascia medio-alta, brand

48 European Chamber of Commerce in China, European Business in China Position Paper 2010/2011 disponibile in inglese all’indirizzo www.europeanchamber.com.cn/view/media/publications. Per gli indicatori PMR consultare www.oecd.org/document/36/0,3343,en_2649_34323_35790244_1_1_1_1,00.html.

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e marchi internazionalmente conosciuti, alta tecnologia e automazione). Fintanto che il campo d’azione delle imprese delle economie avanzate sarà limitato e la domanda internazionale di beni da parte dell’Occidente risulterà poco dinamica, sarà importante cercare di sollecitare anche la ripresa della domanda interna.

Indicatori sulla regolazione del mercato dei prodotti (PMR) in Cina, Brasile, India, Russia, Sud Africa e Eurozona (indicatori 2008)

Fonte: Camera di Commercio Europea in Cina da OECD

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LO SCENARIO INTERNAZIONALE TRA IL 2008 E IL 2009

La bufera che si è abbattuta sul commercio internazionale a partire dagli ultimi mesi del 2008 non trova precedenti nella storia economica moderna sia per l’entità del crollo degli scambi che per la sincronicità dell’evento e la portata geografica. La contrazione del 2009 è stata la peggiore e la più incisiva dalla fine del secondo dopoguerra e non è possibile rintracciare paragoni con le turbolenze che il mondo ha vissuto in passato. Le materie prime, in particolare quelle energetiche, hanno conosciuto una forte volatilità dei prezzi e, dopo un periodo al rialzo, hanno avuto una brusca inversione di tendenza; per i manufatti, invece, l’andamento al ribasso è stato più lento, anche se particolarmente profondo, ed è stato caratterizzato da una cospicua riduzione dei flussi in volume49. Anche i servizi, in particolare quelli legati alle imprese, hanno subito forti ripercussioni e hanno chiuso con un bilancio fortemente negativo.

Esportazioni mondiali di beni e servizi. Anni 2000-2009 (valori in miliardi di dollari US)

-

2.000

4.000

6.000

8.000

10.000

12.000

14.000

16.000

18.000

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Servizi Beni

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO La caduta della domanda mondiale di manufatti ha comportato un calo immediato della produzione, la quale si è trasferita sui beni intermedi prodotti in ogni parte del mondo a causa della frantumazione delle filiere produttive; inoltre, gli scambi internazionali sono stati pesantemente influenzati dalla restrizione del credito che ha amplificato gli shock da domanda. Secondo il WTO, infatti, l’80% degli scambi mondiali è finanziato da strumenti di natura creditizia, venendo meno questi, il commercio si è arrestato. Molteplici sono le cause che hanno generato questo fenomeno e molte di esse sono già state ampiamente analizzate, tuttavia, solo quando affluiranno maggiori informazioni, soprattutto sui dati microeconomici, sarà possibile addivenire a un quadro più completo e preciso di quei meccanismi che hanno scatenato la crisi e a comprendere le interconnessioni che stanno alla base di un evento così singolare. Le esportazioni mondiali, dopo sei anni di crescita ininterrotta a due cifre, hanno subito un tracollo del 22,5% in termini monetari e del 12,2% in quantità, mentre per le importazioni sono calate del 23,2%. Nei servizi si è registrato un calo del 12,4% sulle esportazioni; su di essi ha pesato

49 ISTAT-ICE, L’Italia nell’economia internazionale. Rapporto ICE 2009-2010, giugno 2010

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soprattutto la componente “trasporti” che è stata ridimensionata, rispetto all’anno precedente, del -22,8%. In termini di valori, per le merci, si è ritornati al 2006, mentre per i servizi, il cui arretramento è stato meno vistoso, si è vicini a importi pre-crisi. Esportazioni mondiali di beni. Anni 2000-2009 (variazione percentuale e valori in miliardi di dollari)

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Beni 6.456

6.191

6.492

7.586

9.218

10.489

12.112

14.001

16.117

12.490

variazione percentuali rispetto all'anno precedente:

per valore 13,0 -4,1 4,9 16,9 21,5 13,8 15,5 15,6 15,1 -22,5 per quantità 10,7 -0,2 3,5 5,6 9,7 6,5 8,6 6,4 2,1 -12,2 per valori unitari medi 1,8 -3,9 1,3 10,7 10,9 6,9 6,5 8,7 12,9 -12,1

Servizi 1.484 1.487 1.599 1.836 2.222 2.488 2.823 3.388 3.826 3.350

var. % su anno prec. 6,4 0,2 7,5 14,8 21,0 12,0 13,5 20,0 12,9 -12.4

Fonte: elaborazione ICE su dati WTO ed elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO Interscambio commerciale di beni

Tutte le regioni del mondo sono state interessate dalla débacle, anche quelle aree che negli ultimi anni avevano maturato tassi di crescita sostenuti. Nonostante ciò, la Cina è riuscita nel 2009 a conquistare la leadership della classifica dei principali Paesi esportatori di merce, scavalcando la Germania e ampliando la sua fetta di partecipazione alle esportazioni totali.

Esportazioni mondiali di beni per area geografica. Variazioni percentuali sull’anno precedente dei valori in dollari e, per i volumi, degli indici base 2005=100. Anno 2009

Fonte: elaborazione ICE su dati WTO

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Il risultato positivo della Cina è riflesso anche nelle quote mondiali per aree geografiche, tanto che il continente asiatico è l’unico a espandere la propria quota di mercato nell’anno della crisi, migliorando sensibilmente la penetrazione sui mercati esteri dal 2000. Chi arretra vistosamente è il nord America con una perdita di posizioni notevole dovuta, verosimilmente, alla massiccia delocalizzazione, mentre Africa, Medio Oriente e CIS, regioni di origine delle materie prime, mettono in evidenza l’andamento ascendente dei prezzi del 2008 e la contrazione intervenuta nell’anno successivo. Quota regionale sulle esportazioni mondiali di merce. Anni 2000-2009

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

45,0

Africa Asia Comunità degliStati

Indipendenti(CIS)

Europa Medio Oriente America delnord

Centro e sudAmerica

2000 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO La maggior parte della perdita subita dal commercio globale è da imputare alla retrocessione dell’Europa (-40,1%) e più propriamente dell’Unione Europea (36,8%), mentre di gran lunga inferiori sono stati i mancati apporti di Asia e America del nord. Tuttavia, ancora oltre un terzo delle esportazioni del pianeta sono ad appannaggio dell’UE50, anche se, l’agguerrita concorrenza internazionale sta lentamente erodendone il contributo: si è passati, infatti, dal picco del 2003 rappresentato da una quota del 41,5%, al minimo del periodo, espresso nel biennio 2008-2009, pari al 36,7%. Fino al 2003 l’Unione aveva dimostrato di possedere interessanti capacità di sviluppo e gli incrementi annui registrati erano stati superiori alla media mondiale, poi, negli anni successivi, a parte la felice parentesi del 2007, i margini di crescita sono sempre stati inferiori e lo scorso anno si è concluso in perfetta adesione, con un calo del 22,5%. Dando un’occhiata alle performances dei nuovi motori del mondo, cioè ai cosiddetti Paesi BRIC, si nota che Cina e India hanno arginato il danno (rispettivamente -16% e -16,5%) a paragone del Brasile, che è poco al di sotto della media mondiale, e della Federazione Russa che arretra, invece, del 35,7 %. Va comunque detto che, per tutti i BRIC il 2008 era stato un anno da record per il valore delle merci esportate. Le quattro economie hanno mostrato negli ultimi anni margini di crescita estremamente significativi e nettamente superiori all’andamento medio globale, però, solo Russia e Cina appaiono manifestamente export-oriented, in quanto sono riuscite a espandere in modo rilevante le loro esportazioni. Se nel 2009 il contributo russo all’export mondiale è stato del

50 L’Unione Europea è leader mondiale sia per valore di importazioni che di esportazioni in tutte e tre le categorie analizzate dal commercio internazionale: prodotti agricoli, carburanti e prodotti minerari e manufatti.

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2,4%, ma era del 2,9 l’anno precedente, e l’incremento da inizio secolo è stato pari allo 0,8%, la Cina in dieci anni ha conquistato voracemente terreno guadagnando il 5,8%, di cui quasi un punto maturato nell’anno della crisi, proprio quando le altre potenze segnavano il passo.

Esportazioni di merce nei Paesi BRIC. Variazione percentuale su anno precedente e quota. Anni 2000-2009

Variazione % su anno precedente Quota % Anno

Brasile Cina India Fed.

Russa Mondo Brasile Cina India

Fed. Russa

2000 14,7 27,8 18,8 39,5 13,0 0,9 3,9 0,7 1,6 2001 5,7 6,8 2,3 -3,5 -4,1 0,9 4,3 0,7 1,6 2002 3,7 22,4 13,6 5,3 4,9 0,9 5,0 0,8 1,7 2003 21,1 34,6 19,7 26,7 16,9 1,0 5,8 0,8 1,8 2004 32,3 35,4 30,0 34,8 21,5 1,0 6,4 0,8 2,0 2005 22,6 28,4 30,0 33,1 13,8 1,1 7,3 0,9 2,3 2006 16,3 27,2 22,3 24,5 15,5 1,1 8,0 1,0 2,5 2007 16,6 26,0 23,3 16,8 15,6 1,1 8,7 1,1 2,5 2008 23,2 17,2 29,7 33,1 15,1 1,2 8,9 1,2 2,9 2009 -22,7 -16,0 -16,5 -35,7 -22,5 1,2 9,6 1,3 2,4

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO

Uno sguardo d’insieme evidenzia che le economie inserite nell’organismo per la cooperazione economica dell'area asiatico-pacifica (APEC), che rappresentano oltre il 40% degli scambi del mondo, sono state quelle maggiormente investite dalla caduta dei flussi commerciali51. Tra le istituzioni, dopo l’Unione Europea, di cui si è già detto, è il Nafta (Stati Uniti, Canada e Messico) che ha patito di più, con un calo sul 2008 del 21,3%, mentre un’altra importante zona di libero scambio, l’Asean, ha tenuto meglio con una flessione del -17,8%. Nei confronti sul biennio, quindi con un riferimento pre-crisi, è di nuovo l’Associazione delle nazioni dell'Asia sud-orientale a presentare la dinamica migliore contenendo l’impatto della crisi al -6,0%. Tuttavia, se valutiamo i singoli membri del patto, si nota che Filippine, Malaysia, Singapore, Indonesia, Thailandia, Paesi fortemente coinvolti nel processo di frantumazione produttiva, hanno avuto le perdite maggiori. Hanno patito molto anche i grandi produttori di combustibili fossili (Arabia Saudita, Algeria, Iran, Nigeria, Russia, Gabon, Libia, Angola Kuwait) che hanno conosciuto una contrazione rispetto al 2008 compresa tra il 35 e il 45%, dovuta sia all’estrema oscillazione delle quotazioni energetiche sia all’arresto della produzione industriale che, di fatto, ha condotto al crollo della domanda mondiale. In valori monetari e valutando i singoli Stati, a subire in maggior misura l’effetto crisi è stata la Germania con 320 miliardi di dollari esportati in meno (-22,1%), seguita da Stati Uniti, Cina e Giappone. Nel vecchio continente, tutti i membri dell’Unione hanno avuto forti sofferenze, con diminuzioni attorno al 20%; si è “salvata” solo l’Irlanda che ha limitato le perdite (-8,9%), mentre l’Italia ha lasciato sul campo un quarto dell’export 2008 e dopo Germania e Olanda è il Paese che è stato più duramente colpito dalla recessione del commercio.

51 L’APEC è nato nel 1989 con lo scopo di favorire la cooperazione economica, il libero scambio e gli investimenti tra i due versanti dell’oceano. Attualmente è costituito da 21 economie che esprimono alcune tra le aree economiche più dinamiche del mondo. Dal 1994 al 2009 gli scambi di merci delle nazioni APEC sono cresciuti in media del 7,1% l’anno, mentre gli scambi intra-APEC sono triplicati nel medesimo periodo. La media delle tariffe è scesa dal 10,8% del 1996 al 6,6% del 2008 e ciò porta a pensare che nei prossimi anni il commercio in quest’area si potrà ulteriormente intensificare.

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Tra i pochissimi Stati che nel 2009 hanno avuto consuntivi positivi ci sono alcune nazioni africane venditrici di derrate alimentari, il cui contributo al traffico mondiale è comunque assai esiguo.

I primi venti Paesi esportatori mondiali di merci (milioni di dollari a prezzi correnti). Anno 2009

2009 2008 2009/08 2009/07 2009 2008

1 2 Cina 1.201.534 -16,0 -1,6 9,6 8,92 1 Germania 1.126.383 -22,1 -14,8 9,0 9,03 3 Stati Uniti 1.056.043 -18,0 -8,0 8,5 8,04 4 Giappone 580.719 -25,7 -18,7 4,6 4,95 5 Paesi Bassi 498.330 -21,9 -9,5 4,0 4,06 6 Francia 484.725 -21,3 -13,4 3,9 3,87 7 Italia 405.777 -25,3 -18,9 3,2 3,48 8 Belgio 369.854 -21,6 -14,2 3,0 2,99 12 Korea del sud 363.533 -13,9 -2,1 2,9 2,6

10 10 Regno Unito 352.491 -23,3 -19,7 2,8 2,911 13 Hong Kong 329.422 -11,0 -5,7 2,6 2,312 11 Canada 316.713 -30,6 -24,7 2,5 2,813 9 Russia 303.388 -35,7 -14,4 2,4 2,914 14 Singapore 269.832 -20,2 -9,8 2,2 2,115 16 Messico 229.637 -21,2 -15,5 1,8 1,816 17 Spagna 218.511 -22,4 -13,7 1,7 1,717 18 Taiwan 203.675 -20,3 -17,4 1,6 1,618 15 Arabia Saudita 192.296 -38,7 -18,2 1,5 1,919 19 Emirati Arabi 175.000 -26,8 -2,0 1,4 1,520 20 Svizzera 172.850 -13,7 0,4 1,4 1,2

somma dei 20 Paesi 8.850.713 -21,8 -11,8 70,9 70,2

Mondo 12.490.000 -22,5 -10,8

Quote %GraduatoriePaesi Valori 2009

Variazione %

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO La classifica dei prodotti scambiati mette in evidenza che tutti gli aggregati hanno conosciuto una decrescita nel 2009: i prodotti agricoli del 12,8%, i combustibili e i prodotti minerari del 35,7 e i manufatti del 20,252. Se si passa a una lettura dei dati su un arco temporale più lungo, si nota che la composizione degli scambi nell’ultimo decennio è mutata: i manufatti che a inizio secolo rappresentavano quasi tre quarti degli scambi hanno perso terreno a favore delle altre due componenti. Il commercio delle materie prime è quasi triplicato dal 2000, mentre quello dei prodotti agricoli e dei manufatti ha avuto una progressione analoga fino allo sganciamento avvenuto nel 2007 sotto la pressione delle spinte speculative del mercato finanziario. Appare evidente che la maggiore importanza attribuita ai prodotti energetici e minerari è sostenuta dalla forte richiesta dei Paesi emergenti, che essendo in fase espansiva, stanno investendo molto nell’industria, mentre la lievitazione delle derrate agricole è imputabile alla notevole espansione dei consumi mondiali (accompagnata in alcuni casi da profondi mutamenti nella geografia della produzione e dell’utilizzo) e allo squilibrio fra domanda e offerta accentua tosi, sempre più negli

52 I dati sono tratti dal database del WTO, nel quale si precisa che la somma dei prodotti agricoli, dei combustibili e dei prodotti minerari e dei manufatti non corrisponde al totale delle esportazioni per la presenza di prodotti non specificati (che incidono per circa il 5%; n.d.r.).

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ultimi anni53. Sulle commodities pesano, inoltre, anche le speculazioni finanziarie (notevole lo sviluppo degli investimenti in fondi bancari) che sono state particolarmente rilevanti nel 2007 e 2008 e valutabili anche attraverso gli importanti incrementi registrati dal commercio mondiale nello stesso biennio.

Andamento delle esportazioni mondiali di merci per aggregati. Anni 2000-2009 (base 2000=100)

50

100

150

200

250

300

350

400

450

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Prodotti agricoli Prodotti energetici e minerari Manufatti

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO L’arresto del processo produttivo, che ha coinvolto soprattutto i prodotti dell’industria automobilistica (per ragioni anche strutturali quali una diffusa sovracapacità produttiva e livelli di redditività non più sostenibili) e della meccanica (a causa del crollo della domanda di beni durevoli sia familiari che industriali), è ben riflesso nella pesante caduta dei flussi di ferro e acciaio che sono alla base di molte lavorazioni (-44,7%); in termini percentuali si tratta del peggior consuntivo 2009. Il ferro e l’acciaio, assieme ai prodotti farmaceutici e chimici, sono stati, inoltre, i beni che hanno espresso la migliore dinamica del decennio e il loro comportamento è sintomatico per comprendere la portata della crisi. Va evidenziato che tutti i prodotti manifatturieri hanno conosciuto un’ampia espansione nei commerci dopo la fase critica di inizio secolo (bolle speculative e 11 settembre 2001) e che segnali di rallentamento erano visibili per alcune tipologie già nel 2007. Questa stagnazione, accentuatasi nel 2008, è diventata acuta nello scorso anno. In un quadro 2009 dove domina il segno rosso su percentuali a due cifre, è estremamente importante sottolineare l’andamento dei prodotti farmaceutici, gli unici, con un aumento del 2,8%, a guadagnare sull’anno precedente. Dal lato delle importazioni, calate del 23,2%, sono ancora i Paesi avanzati a registrare le più significative contrazioni e l’Unione Europea ha in questo un ruolo fondamentale: il 40,8% della perdita mondiale è da addebitare a mancate importazioni del vecchio continente (nell’annus horribilis l’UE lascia sul campo quasi un quarto dell’import 2008). Ma non va tanto meglio nemmeno al gruppo Nafta (-25,1%) e all’Asean (-22,7%) e tra le singole nazioni spicca il risultato particolarmente negativo della Russia (-34,3%). Il paragone con il biennio evidenzia che alcuni Paesi Emergenti (Cina, Brasile, Perù e India) hanno conosciuto nel 2009 solo una battuta d’arresto, in quanto, rispetto ai valori pre-crisi, hanno comunque registrato degli incrementi e ciò è indice che il loro sistema economico non si è fermato.

53 Le rese nei Paesi avanzati si sono stabilizzate, mentre progrediscono in quelli in via di sviluppo, tuttavia continuano a susseguirsi annate con condizioni climatiche avverse che incidono negativamente sulle quantità prodotte e l’offerta, almeno nel breve, risulta inadeguata a fronteggiare la crescente domanda.

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Altri, invece, come il Messico, troppo legato all’economia statunitense, o il Sud Africa, più vicino all’UE, arretrano di alcuni anni (anche nell’export). I primi venti Paesi importatori mondiali di merci (milioni di dollari a prezzi correnti). Anno 2009

2009 2008 2009/08 2009/07 2009 2008

1 1 Stati Uniti 1.605.296 -26,0 -20,5 12,7 13,12 3 Cina 1.005.688 -11,2 5,2 7,9 6,93 2 Germania 938.295 -20,8 -11,1 7,4 7,24 5 Francia 559.817 -21,8 -11,3 4,4 4,35 4 Giappone 551.960 -27,6 -11,3 4,4 4,66 6 Regno Unito 481.707 -23,9 -22,7 3,8 3,87 7 Paesi Bassi 445.496 -23,3 -9,6 3,5 3,58 8 Italia 412.721 -26,6 -19,4 3,3 3,49 13 Hong Kong 352.241 -10,4 -4,8 2,8 2,4

10 9 Belgio 351.945 -24,5 -14,5 2,8 2,811 12 Canada 329.904 -21,3 -15,5 2,6 2,512 10 Korea del sud 323.085 -25,8 -9,5 2,5 2,613 11 Spagna 287.567 -31,7 -26,1 2,3 2,514 15 India 249.590 -22,3 8,8 2,0 1,915 14 Singapore 245.785 -23,1 -6,6 1,9 1,916 16 Messico 241.515 -24,1 -16,8 1,9 1,917 17 Russia 191.803 -34,3 -14,2 1,5 1,818 18 Taiwan 174.371 -27,5 -20,5 1,4 1,519 21 Australia 165.471 -17,4 0,1 1,3 1,220 23 Svizzera 155.706 -15,0 -3,4 1,2 1,1

somma dei 20 Paesi 9.069.963 -22,8 -12,6 71,5 71,2

Mondo 12.682.000 -23,2 -11,3

Quote %GraduatoriePaesi Valori 2009

Variazione %

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO

La classifica dei principali Paesi importatori vede primeggiare ancora una volta gli Stati Uniti, mentre al secondo posto, scavalcando nuovamente la Germania, si piazza la Cina che, tra i primi venti importatori, è quello che ha, al pari di Hong Kong, un decremento meno accentuato, la metà di quello maturato dai grandi del mondo. La tenuta delle importazioni cinesi è dovuta, secondo gli osservatori, alla presenza degli stimoli fiscali e degli incentivi governativi concessi al sistema bancario per stimolare l’erogazione del credito al settore privato, con lo scopo di sostenere l’economia interna. In relazione alle quote di mercato, i giapponesi, gli statunitensi e i russi perdono qualche decimo, mentre i cinesi guadagnano addirittura un punto percentuale e le principali economie europee tengono. Vale la pena osservare velocemente anche il posizionamento dei diversi Paesi in relazione ai tre fondamentali aggregati (prodotti agricoli, prodotti minerari e combustibili e manufatti). L’Unione Europea conferma in tutti e tre gli ambiti la leadership sia come principale Paese esportatore che importatore. E’ interessante notare che è l’unico territorio che compare in tutte le tipologie di merce e per entrambi i flussi.

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Interscambio mondiale di merci. Principali Paesi per tipologia di merce. Anno 2009 (importi in miliardi di dollari a prezzi correnti).

importi quota %var. %

2009/08

Principali esportatoriUnione Europea 27 495 42 -13Stati Uniti 120 10 -15Brasile 58 3 -6

Principali importatoriUnione Europea 27 525 44 -14Stati Uniti 101 8 -13Cina 77 6 -12

Principali esportatoriUnione Europea 27 378 6 -38Russia 209 3 -39Arabia Saudita 166 3 -41

Principali importatoriUnione Europea 27 727 5 -41Stati Uniti 311 3 -44Cina 250 1 -19

Principali esportatoriUnione Europea 27 3.605 43 -22Cina 1.125 13 -16Stati Uniti 800 10 -17

Principali importatoriUnione Europea 27 3.377 39 -22Stati Uniti 1.121 13 -21Cina 675 8 -8

Prodotti agricoli

Prodotti minerari e combustibil i

Prodotti manifatturieri

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO, World Trade Report 2010

La frenata del ciclo economico, inducendo al risparmio forzato, ha consentito a quei Paesi su cui pesava un rilevante déficit nei confronti dell’estero, come gli Usa, di contenere gli squilibri delle partite correnti e alle economie in surplus (Cina, Paesi produttori di petrolio, Giappone e Germania) di riflettere sul proprio futuro, in quanto la forte flessione della domanda esterna ha portato alla consapevolezza della necessità di una rivalutazione del mercato nazionale54. 54 «Fintanto che i BRIC resteranno dei mercati miraggio crescere solo con l’export, per quanto si possa essere competitivi, non basterà a nessuno. Anche perché il resto del mondo avanzato è oggi pieno di debiti, non cresce e non compra più come un tempo i beni dei Paesi manifatturieri esportatori. Il problema di fondo della bassa crescita a lungo termine dell’Italia e anche della Germania non è certo la competitività delle rispettive industrie manifatturiere e dell’export. E’ invece quello della debolezza della domanda interna (…). Più in

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I tre maggiori Paesi detentori di attivi nei conti con l’estero devono le loro eccedenze commerciali a ragioni diverse: per i Paesi esportatori di petrolio e per il Giappone si tratta di un eccesso di risparmio interno che non viene collegato all’evoluzione della posizione competitiva (contano altri fattori come la pessima distribuzione del reddito nei Paesi esportatori di petrolio e le tendenze demografiche per il Sol levante), mentre per la Cina entra il gioco il discorso sulle politiche monetarie che è, nell’ultimo anno, al centro di un crescente e aspro dibattito internazionale. La Cina viene accusata di non voler rivalutare la propria moneta per evitare che le proprie merci perdano competitività (ciò viene visto all’esterno come un sussidio alle esportazioni) e di accumulare un cospicuo avanzo nei conti con l’estero perché si impone al mondo con le proprie esportazioni, senza, però, dare un impulso analogo alla sua domanda internazionale55. Non è possibile in questa sede affrontare un argomento così complesso, però appare interessante accennare ad alcune teorie economiche che sostengono o meno l’importanza delle oscillazioni dei cambi sull’andamento dell’export. Alcuni affermano che una valuta debole aiuta molto le esportazioni, perché rende le merci più appetibili sul più forte, monetariamente parlando, mercato di destinazione (come l’Italia degli anni ’90), altri tendono a sottolineare, invece, che la competitività di un Paese non si misura solo attraverso la debolezza della sua valuta, ma anche dal differenziale di prezzo e qualità esistente tra i suoi prodotti e quelli dei concorrenti. A supporto portano degli studi che indicano che innovazione e ricerca incidono sulle esportazioni molto più del tasso di cambio56. In questo contesto si inseriscono bene le osservazioni fatte dalla Fondazione Edison, che indicano come la tenuta delle esportazioni italiane rispetto ad altri Paesi industrializzati in un periodo di rivalutazione dell’euro sia maturata grazie all’innalzamento del livello di competitività: «i prodotti del sistema industriale italiano sono diventati sempre più competitivi e apprezzati dal mercato mondiale per la loro qualità e il loro contenuto innovativo di design, di tecnologia e di servizio»57. Tornado alle esportazioni cinesi, alcuni esperti rimarcano che il loro successo non è dato solo dal cambio favorevole e che il renminbi è meno sottovalutato di quanto si è inclini a pensare, e segnalano che alcune produzioni a basso valore aggiunto e a forte concentrazione di manodopera non sono più localizzate in Cina, ma sono state spostate in altre aree asiatiche58 a più basso costo; esibiscono, inoltre, i notevoli passi avanti dell’export cinese nelle esportazioni high-tech dovuti a investimenti in ricerca e sviluppo (la spesa cinese è più che raddoppiata in rapporto al PIL dal 1996 al 2006 e così il numero di ricercatori per milioni di abitanti).

generale, la questione di fondo è: senza più “bolle” e con gli attuali livelli di debiti privati e pubblici, è ancora possibile nei prossimi anni una forte crescita della domanda interna e quindi del PIL nei Paesi ricchi? In un simile scenario, sempre più verosimile, conservare una forte industria manifatturiera come stanno facendo l’Italia e la Germania non è una scelta “primitiva” (…). E’ perlomeno una garanzia per non rischiare di diventare più poveri, come sta accadendo agli Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna e Irlanda». Marco Fortis, Imprese oltre il declino, Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2010. 55 Congiuntura ref., Il puzzle dei cambi, 4 novembre 2010. «L’apprezzamento del tasso di cambio non indicherebbe un’immediata trasformazione della Cina da produttore di manufatti a basso costo in consumatore di prodotti internazionali. E’ da evidenziare inoltre il pericolo di una destabilizzazione del gigante asiatico: la rivalutazione del renminbi provocherebbe, in questo scenario di incertezza, un notevole afflusso di capitali stranieri con immediati riflessi sulla bilancia dei pagamenti. Una successiva fuga degli investitori stranieri, come è avvenuto in Giappone durante gli anni ’80, innescherebbe un circolo vizioso nel sistema economico che avrebbe come ultimo effetto quello di “sgonfiare” la crescita di un Paese che ha contribuito notevolmente all’aumento del PIL mondiale negli ultimi anni». ICE- ISTAT, L’Italia nell’economia internazionale. Rapporto Ice 2009-2010., giugno 2010 56 Alberto Bagnai, La rivalutazione del renminbi fra mito e realtà, www.sbilanciamoci.info, 22 giugno 2010. 57 Fondazione Edison e Symbola, Italia. Geografie del Nuovo Made in Italy, ottobre 2009. 58 Nelle altre nazioni emergenti stanno affluendo forti flussi di capitali internazionali in cerca di remunerazioni interessanti. Questo flusso sta pilotando le valute locali verso l'alto minacciando, sul lungo termine, di ridimensionare le prospettive di rafforzamento dell’industria dato il freno sull’export (nonché creare le premesse per una bolla finanziaria).

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La periodica pubblicazione del Trade Performance Index da parte dell’UNCTAD59 e del WTO offre la possibilità di misurare la competitività dell’export dei principali Paesi. L’indice elaborato non tiene conto solo del valore assoluto delle esportazioni, ma anche della loro dinamica, del loro rapporto con i flussi di importazione, del grado di diversificazione del prodotto e del mercato, della competitività e della specializzazione settoriale e geografica, nonché delle dimensione dei diversi Paesi, pertanto risulta essere un importante strumento che sintetizza una serie di informazioni molto articolate e consente di definire meglio la collocazione internazionale delle economie esportatrici. In questa particolare classifica domina la Germania, che occupa ben 8 primi posti su 14, in settori rilevanti quali l’industria dei trasporti, la meccanica e la chimica, mentre l’Italia è il secondo Paese che appare in ordine di frequenza, detenendo la leadership nei beni di consumo legati al sistema moda, dunque nel più classico dei Made in Italy ( tessile, abbigliamento e cuoio, pelletteria e calzature) e secondi piazzamenti nei comparti della meccanica non elettronica (dove compete ad armi pari con la Germania), nella meccanica elettrica (grazie agli elettrodomestici) e nel manifatturiero in generale (in particolare nei prodotti miscellanei, dove il contributo di occhialeria e oreficeria è determinante). La Cina, l’avversario tanto temuto, è presente solo quattro volte sul podio e mai in vetta alla graduatoria, anche se si piazza spesso nelle prime dieci posizioni in altri ambiti. L’Italia, dunque, pur soffrendo la concorrenza dei Paesi emergenti, che ha minato il suo sistema economico basato su lavorazioni tradizionali facilmente aggredibili dall’esterno, ha spostato l’attenzione verso produzioni a crescente valore aggiunto, sacrificandone i volumi, ma accrescendone il valore ed è pertanto riuscita a mantenere alta la competitività e l’attrazione di alcuni suoi caratteristici prodotti. Indice di competitività calcolato nel 2009 Macrosettori 1° 2° 3° Mezzi di trasporto Germania Francia SveziaMeccanica non elettronica Germania Italia SveziaChimica Germania Singapore Stati UnitiProdotti manufatti di base* Germania Italia TaiwanProdotti diversi Germania Italia SvizzeraMeccanica elettrica ed elettodomestici Germania Italia SvizzeraIT ed elettronica di consumo Rep. Ceca Cina MalaysiaProdotti alimentari lavorati Germania Francia BelgioProdotti in legno Germania Svezia FinlandiaTessil i Italia Germania CinaAbbigliamento Italia Cina TurchiaCuoio, pel letteria e calzature Italia Cina Belgio

* metalli d i base non ferrosi, metalli ferrosi, marmi, ceramiche, vetro Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO-UNCTAD

Non è un caso che questa classifica si sposi bene con altre analisi sull’export dei prodotti industriali manifatturieri non alimentari (al netto di energia e materie prime) dei principali Paesi industrializzati in cui si evidenzia come, in questi anni, il percorso della Germania e dell’Italia sia

59 UNCTAD, ossia, United Nations Conference on Trade and Development, in italiano, Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo. Per l’elaborazione dell’indicatore (TPI, Trade Performance Index) il commercio internazionale viene suddiviso in 14 macrosettori e per ogni Paese e ogni voce merceologica viene costruito un indice che tiene conto delle seguenti variabili: saldo commerciale, export pro-capite, quota nell’export mondiale, livello di diversificazione in termini di prodotto e livello di diversificazione dei mercati serviti. Vedi: http://www.intracen.org/menus/countries.htm

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stato più brillante rispetto alle più importanti economie occidentali che, differentemente, hanno perso significative quote di mercato60. Infatti, è sintomatico notare che Stati Uniti e Giappone, grandi potenze industriali, sono esclusi dalle parti alte della classifica della competitività, mentre economie di dimensioni più contenute (vedi Svezia e Italia) vi primeggiano, segno che una rilevazione più sofisticata è in grado di dire qualcosa in più di quanto consenta una visione puramente quantitativa del commercio. Interscambio commerciale di servizi

Una veloce panoramica al commercio internazionale di servizi per l’anno 2009 ci rivela che, pur risentendo fortemente dell’andamento congiunturale sfavorevole, esso ha sostenuto il momento negativo con minore difficoltà rispetto alle merci, dimostrando che i servizi godono di una capacità di recupero maggiore: la contrazione è stata, infatti, del 12,4 %, dieci punti percentuali in meno dei prodotti. La perdita sull’anno precedente è quantificabile in 476 miliardi di dollari correnti, essendosi le esportazioni attestate a quasi 3.350 miliardi di dollari rispetto ai 3.826 dell’anno precedente. Questa flessione interrompe una costante progressione iniziata nel lontano 1983, che aveva conosciuto nell’ultimo quinquennio uno sviluppo particolarmente dinamico. Se si rapportano i valori maturati nel 2009 con quelli del 2007, si nota che la contrazione è solo del 1,1% e uno sguardo sul decennio evidenzia come il consuntivo 2009 sia comunque il terzo miglior risultato del secolo. La migliore performance dei servizi trova probabilmente origine nell’esistenza di una vasta gamma di servizi tecnici e professionali, la cui domanda a bassa discrezionalità, unita al fatto che le transazioni sono pattuite a breve termine e già definite nelle modalità, ha permesso di rimanere al di fuori delle turbolenze cicliche. Inoltre, molti servizi, essendo forniti elettronicamente, non necessitano di sostegno da parte del credito e pertanto non sono stati coinvolti nell’azione di credit crunch che ha attanagliato le merci. Altri fattori da non trascurare sono l’impossibilità di stoccaggio dei servizi e la presenza di numerose transazioni a lungo termine, che influiscono sulla loro minore vulnerabilità nel caso di inversione del ciclo economico. Inoltre, durante la crisi alcune imprese, nel tentativo di contenere i costi, hanno provveduto a delocalizzare certi tipi di servizi e ciò ha influenzato l’andamento degli scambi. I trasporti hanno registrato la più importante diminuzione è ciò è facilmente riconducibile al declino evidenziato dal commercio delle merci a cui si legano saldamente. La voce “altri servizi commerciali”, invece, ha risentito meno dell’arretramento dell’attività economica e ha maturato un calo del 9,2%, parimenti ai viaggi (-9,4%), che dopo un esordio alquanto negativo, grazie al miglioramento del clima economico, si sono stabilizzati e hanno invertito la rotta sul finire d’anno. Tutti i Paesi e le aree geografiche e commerciali del mondo hanno conosciuto un andamento pesantemente avverso nel 2009, tuttavia, gli Stati Uniti, nonostante la flessione di quasi 9 punti percentuali, guidano, come di consueto, la classifica dei Paesi esportatori di servizi, anzi, nel 2009 arrivano ad aumentare il loro peso nel mondo. L’Italia mantiene l’ottava posizione assoluta tra i principali esportatori mondiali e la settima per le importazioni, ma sul versante delle quote export si registra un’ulteriore lieve erosione e ciò, unito ai riscontri sul biennio decisamente negativi, e al profondo disavanzo commerciale, ne conferma la scarsa dinamicità, sia rispetto ai Paesi emergenti che ai tradizionali concorrenti. Tra i Paesi europei solo la Germania ha un disavanzo commerciale più elevato dell’Italia, tutti gli altri, ad eccezione dell’Irlanda, presentano un saldo positivo; questo aspetto è un riflesso dell’alta caratterizzazione manifatturiera dei due Stati.

60 Fondazione Edison e Symbola, Italia. Geografie del nuovo Made in Italy, ottobre 2009

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Principali Paesi esportatori nel commercio internazionale di servizi (milioni di dollari a prezzi correnti). Anno 2009

2009/08 2009/07 2009 2008

1) Stat i Uniti 473.899 -8,6 0,7 14,1 13,52) Regno Unito 233.316 -18,2 -16,8 7,0 7,53) Germania 226.639 -11,6 1,7 6,8 6,74) Francia 142.487 -14,4 -4,1 4,3 4,35) Cina 128.600 -12,2 5,7 3,8 3,86) Giappone 125.858 -14,1 -0,9 3,8 3,87) Spagna 122.126 -14,3 -4,0 3,6 3,78) Italia 101.237 -14,5 -8,5 3,0 3,19) Irlanda 96.745 -4,8 3,8 2,9 2,7

10) Paesi Bassi 90.897 -11,5 -3,5 2,7 2,7

Mondo 3.350.200 -12,4 -1,1

quota di mercatoGraduatoria Paesi Valori 2009

variazioni %

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO Principali Paesi importatori nel commercio internazionale di servizi (milioni di dollari a prezzi correnti). Anno 2009

2009/08 2009/07 2009 2008

1) Stati Uniti 330.590 -9,4 -2,4 10,5 10,32) Germania 253.110 -12,6 -2,4 8,1 8,13) Regno Unito 160.873 -18,3 -17,7 5,1 5,54) Cina 158.200 0,1 22,4 5,0 4,45) Giappone 146.903 -10,0 -1,2 4,7 4,66) Francia 126.425 -10,3 -1,7 4,0 4,07) Italia 114.581 -10,4 -3,5 3,6 3,68) Irlanda 103.449 -5,3 9,0 3,3 3,19) Spagna 86.467 -17,1 -10,0 2,8 2,9

10) Paesi Bassi 84.708 -7,8 1,1 2,7 2,6

Mondo 3.142.600 -11,6 0,3

Graduatoria Paesi Valori 2009variazioni % quota di mercato

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati WTO

Investimenti diretti esteri

Gli Investimenti diretti esteri (IDE61) hanno carattere ciclico e sono fortemente influenzati dai fondamentali dell’economia pertanto, la difficile congiuntura, la crescente instabilità, le turbolenze e i restringimenti del sistema finanziario ne hanno provocato una netta contrazione tra il 2008-2009, interrompendo un lustro di crescita. All’interno di un panorama avvolto dalla più grande incertezza, le grandi imprese, già alle prese con profitti ridotti, hanno rinviato i progetti di espansione e le attività di fusione e acquisizione sono risultate in evidente flessione. Le multinazionali hanno preferito muoversi su forme più leggere di internazionalizzazione (non equity) e meno rischiose, quali cessioni di licenze,

61 Per la definizione di IDE si rimanda alla nota 30 di pg. 15.

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outsourcing e joint-venture62 oppure hanno adottato nuove strategie come l’individuazione di nuovi siti con fattori produttivi a basso costo o la riduzione della presenza all’interno di quei comparti considerati oramai maturi. Dopo la contrazione del 16 % sul 2008, i flussi globali in entrata sono scesi ulteriormente del 37 % arrestandosi a 1.114 miliardi di dollari nel 2009, mentre i flussi in uscita hanno raggiunto i 1.101 miliardi di dollari, risultando in calo del 43 %. A partire dalla seconda metà del 2009 i flussi di IDE hanno iniziato a risalire la china, agguantando una modesta ripresa nella prima parte del 201063. Tutti i Paesi sono stati interessati dal fenomeno di erosione (eccetto Danimarca, Germania e Lussemburgo, Messico, Norvegia e Svezia), riflettendo la debolezza delle rispettive economie64 e le ridotte capacità finanziarie delle imprese transnazionali; nonostante questo, le nazioni in via di sviluppo e in transizione hanno, comunque, attirato metà delle entrate di IDE e i loro investimenti hanno interessato un quarto dei flussi globali in uscita e le previsioni parlano di un’ulteriore progressione in entrambe le direzioni nel prossimo futuro. Flussi di investimenti diretti esteri in entrata per gruppi di economie. Anni 1980-2009

Fonte: UNCTAD, World Investment Report 2010

Anche la classifica dei Paesi destinatari di flussi IDE, capeggiata sempre dagli Stati Uniti, conferma questa escalation: sono ben cinque le nazioni emergenti o in via di sviluppo (Cina, Hong Kong, Russia, Arabia Saudita e India) nelle prime dieci posizioni. Le giovani economie sono in grado di attirare molti più capitali per investimenti di tipo greenfield (creazione di imprese ex novo in loco), mentre la maggior parte delle fusioni o acquisizioni (che rientrano nelle attività brownfield) avviene ancora nelle nazioni sviluppate e questo, ovviamente, è riconducibile al divario nel grado di sviluppo esistente tra le due aree. L’indagine sulle prospettive di investimento 2010-2012 condotta dall’UNCTAD conferma che il disinteresse manifestato in questi anni verso le economie mature continuerà anche in futuro ed è presumibile attendersi una diminuzione complessiva degli investimenti nei Paesi sviluppati. Su queste scelte influiscono una serie di motivazioni molto varie che è difficile sintetizzare, tuttavia si possono evidenziare alcuni aspetti tra i più comuni: agevolazioni fiscali e burocratiche, contributi promossi dai Paesi meno

62 Per la definizione di outsourcing si rimanda alla nota 23 di pg. 13. Per joint-venture si intende il contratto con cui due o più imprese, anche appartenenti a Stati diversi, si impegnano a collaborare nella realizzazione di un determinato progetto per suddividere i rischi e sfruttare le reciproche competenze. 63 UNCTAD, World Investment Report 2010: Investing in a low-carbon economy, New-York e Ginevra, luglio 2010 64 I flussi di capitali stranieri verso gli USA sono diminuiti per mancanza di fiducia sulla tenuta del sistema economico, sugli afflussi verso il Regno Unito ha pesato fortemente lo squilibrio finanziario, per l’Africa determinante è stata la caduta di prezzo delle commodity, per Cina e India il crollo della domanda internazionale di beni e servizi che ha rallentato nuove iniziative di internazionalizzazione e sul Medio Oriente ha influito la bolla immobiliare.

Economie in via di sviluppo

Economie sviluppate

Mondo

Economie in transizione

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industrializzati per attirare imprenditoria straniera e favorire nuovi insediamenti produttivi, minor costo dei fattori produttivi, volumi di consumo e bisogni in crescita sia perché si è in fase di espansione economica sia perché è in progressivo aumento il tenore di vita della popolazione residente, demograficamente dinamica, spesso numericamente consistente e in cui la componente giovanile è preponderante. Appare rilevante notare che le campagne internazionali per la lotta all’evasione fiscale e per la trasparenza dei mercati finanziari condotte in questi anni hanno portato a una caduta dei flussi di investimento del 2009 in alcuni paradisi fiscali (Isole Vergini britanniche -43,3%). I flussi in uscita, speculari a quelli in entrata, sono stati viziati dall’andamento critico dell’economia nei Paesi sviluppati nell’ultimo biennio e dai crescenti movimenti provenienti dalle economie emergenti. La contrazione registrata (-43%) riflette soprattutto la caduta dei profitti e la morsa finanziaria sulle imprese capogruppo occidentali. La modesta ripresa dei flussi in uscita registrata nei primi mesi del 2010 evidenzia che la maggior parte dei Paesi, tra cui alcuni dei principali investitori (Stati Uniti, Germania e Svezia), risentendo di un clima economico più favorevole, non privo comunque di incertezze, ha ricominciato prudentemente a investire. Nonostante il declino dei flussi in uscita sia stato condiviso da tutti i Paesi avanzati (salvo poche eccezioni quali Danimarca, Irlanda, Norvegia e Svezia), l’area rimane la più importante fonte di erogazione con uscite eccedenti abbondantemente le entrate. Nel 2009, le principali economie occidentali hanno diminuito fortemente i flussi in uscita (gli Stati Uniti sono ricorsi a importanti disinvestimenti nell’Unione Europea), mentre le economie in via di sviluppo hanno avuto contrazioni meno severe, questo perché, solcando un percorso già avviato prima della crisi, la maggiore disponibilità di capitali, la crescente competizione all’interno del proprio territorio, la nascita di proprie aziende transnazionali hanno consentito l’espansione degli investimenti oltre confine. Flussi di investimenti diretti esteri in entrata per economia ospitante e in uscita per economia di origine. Anni 2008-2009 (miliardi di dollari a prezzi corrente)

Flussi in entrata

0 50 100 150 200 250 300 350

Belgio

India

Arabia Saudita

Germania

Russia

Regno Unito

Hong Kong

Francia

Cina

Stati Uniti

2009

2008

Flussi in uscita

0 50 100 150 200 250 300 350

Norvegia

Canada

Italia

Russia

Cina

Hong Kong

Germania

Giappone

Francia

Stati Uniti

2009

2008

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati UNCTAD Pur nell’oggettiva e generale difficoltà, i servizi e il settore primario hanno continuato ad attrarre IDE anche se con un ritmo inferiore al passato, mentre il manifatturiero è apparso in affanno in quanto le mancate entrate non hanno solo interessato le industrie sensibili al ciclo economico (chimica e industria automobilistica), ma anche quelle apparentemente più resistenti alla crisi (farmaceutiche e alimentari). Tuttavia, siccome gli investimenti esteri hanno continuato ad affluire anche se in maniera meno sostenuta del passato, lo stock di IDE in entrata è aumentato del 15 % sul 2008, raggiungendo i 17.743 miliardi di dollari.

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Flussi e consistenze di IDE per regione ed economia (importi in milioni di dollari)

1990 2000 2009 1990 2000 2009

Mondo 2.081.782 7.442.548 17.743.408 2.086.818 7.967.460 18.982.118

Economie avanzate 1.557.248 5.653.182 12.352.514 1.941.646 7.083.493 16.010.825

Unione Europea 761.851 2.322.127 7.447.904 810.472 3.492.879 9.006.575

Giappone 9.850 50.322 200.141 201.441 278.442 740.930

Stati Uniti 539.601 2.783.235 3.120.583 731.762 2.694.014 4.302.851

Economie in via di sviluppo 524.526 1.728.455 4.893.490 145.172 862.628 2.691.484

Africa 60.675 154.200 514.759 19.826 44.147 102.165

America latina e caraibica 111.377 502.105 1.472.744 57.643 204.430 643.281

Asia e Oceania 352.474 1.072.150 2.905.987 67.703 614.051 1.946.038

Medio Oriente 37.895 60.419 424.646 8.469 16.422 159.226

Asia orientale 240.645 710.475 1.561.482 49.032 509.636 1.361.528

Cina 20.691 193.348 473.083 4.455 27.768 229.600

Hong Kong 201.653 455.469 912.166 11.920 388.380 834.089

Korea del sud 5.186 38.110 110.770 2.301 26.833 115.620

Asia sud-orientale 64.303 266.985 689.980 9.471 84.481 342.367

Indonesia 8.732 25.060 72.841 86 6.940 30.183

Malaysia 10.318 52.747 74.643 753 15.878 75.618

Singapore 30.468 110.570 343.599 7.808 56.755 213.110

Thailandia 8.242 29.915 99.000 418 2.203 16.303

Europa sud-orientale - 5.682 77.628 - 840 10.396

Comunità Stati Indipendenti 9 55.228 419.776 - 20.500 269.412

2007 2008 2009 2007 2008 2009

Mondo 2.099.973 1.770.873 1.114.189 2.267.547 1.928.799 1.100.993

Economie avanzate 1.444.075 1.018.273 565.892 1.923.895 1.571.899 820.665

Unione Europea 923.810 536.917 361.949 1.287.277 915.780 388.527

Giappone 22.550 24.426 11.939 73.548 128.019 74.699

Stati Uniti 265.957 324.560 129.883 393.518 330.491 248.074

Economie in via di sviluppo 564.930 630.013 478.349 292.147 296.286 229.159

Africa 63.092 72.179 58.565 10.622 9.934 4.962

America latina e caraibica 163.612 183.195 116.555 55.975 82.008 47.402

Asia e Oceania 338.226 374.639 303.230 225.550 204.344 176.795

Medio Oriente 78.092 90.299 68.317 47.302 37.967 23.337

Asia orientale 150.991 185.497 154.838 110.322 131.868 116.815

Cina 83.521 108.312 95.000 22.469 52.150 48.000

Hong Kong 54.341 59.621 48.449 61.081 50.581 52.269

Korea del sud 2.628 8.409 5.844 15.620 18.943 10.572

Asia sud-orientale 73.971 47.289 36.806 50.178 15.387 21.284

Indonesia 6.928 9.318 4.877 4.675 5.900 2.949

Malaysia 8.538 7.318 1.381 11.280 14.988 8.038

Singapore 35.778 10.912 16.809 27.645 -8.478 5.979

Thailandia 11.355 8.544 5.949 2.850 2.560 3.818

Europa sud-orientale 12.844 12.690 7.565 1.385 1.881 1.422

Comunità Stati Indipendenti 71.124 109.898 62.384 50.121 58.733 49.748

Regione / economiain entrata in uscita

consistenze (milioni di dollari)

flussi (milioni di dollari)

Regione / economiain entrata in uscita

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati UNCTAD

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A termine dell’argomento appare opportuno dar conto di alcune autorevoli osservazioni: le attività di disinvestimento non solo vanno a incidere sull’evoluzione degli IDE, ma modificano anche la struttura economica del Paese ospitante. Quando un’impresa multinazionale decide di ridurre le proprie attività estere, di vendere una controllata e di reinvestire altrove (nel territorio nazionale o oltre frontiera) origina un effetto sui movimenti di capitale con conseguenze importanti sulla bilancia dei pagamenti e sul tessuto economico. Il massiccio ricorso al disinvestimento osservato nel 2008 è stato particolarmente pronunciato in alcune aree geografiche e ciò potrebbe sottendere alla volontà delle aziende transfrontaliere di migliorare il grado di competitività posizionandosi in quei mercati dove la domanda interna è più dinamica, abbandonando quelli maturi.

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CENNI SULL’ANDAMENTO DEL COMMERCIO MONDIALE NEL 201 0 Il comunicato stampa dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) del 20 settembre evidenzia come il commercio si stia riprendendo molto più velocemente di quanto inizialmente prospettato, tanto che si suppone chiuderà il 2010 con un’espansione del 13,5% in termini di volume. Questo positivo risultato, secondo gli economisti del WTO, si otterrà grazie alla «saggezza» dimostrata dai governi che hanno respinto la facile tentazione del protezionismo. Secondo gli esperti, l’effetto benefico di questa politica fornirà una base importante per l’uscita dalla «dolorosa recessione economica» e si riverbererà anche sull’occupazione. Il recupero è stimato attorno all’11,5% in termini di volume per le economie avanzate, mentre per il resto del mondo si prevede una maggiore dinamicità (16,5%). Si tratterebbe dell’incremento più significativo in serie storica dal 1950, anche se una così ampia crescita deve essere analizzata nel contesto di una crisi economica di vaste proporzioni che ha sprofondato nel 2009 gli scambi al -12,2%.

Esportazioni di merci e PIL per regioni (variazione percentuale annua). Anni 2007-2010 (stima)

2007 2008 2009 2010

(stima)

Volume di merci esportate

Mondo 6,5 2,2 -12,2 13,5 Economie avanzate 4,8 0,8 -15,3 11,5 Paesi in via di sviluppo e CIS 9,0 3,8 -7,8 16,5 PIL reale a tassi di cambio del mercato

Mondo 3,8 1,6 -2,2 3,0 Economie avanzate 2,6 0,4 -3,5 2,1 Paesi in via di sviluppo e CIS 8,0 5,7 2,0 5,9

Fonte: WTO – Comunicato stampa del 20 settembre 2010 press/616 Il commercio di merce si è particolarmente sviluppato nel primo semestre (in termini monetari la crescita è stata del 25%) accompagnato dalla rimonta del Pil sia nei Paesi in via di sviluppo che nelle economie mature. Tuttavia, la maggior parte degli economisti si aspetta che la progressione si attesti su ritmi più lenti nella seconda parte dell’anno, a causa del venir meno degli stimoli fiscali. Sussistono, inoltre, ancora timori sulla tenuta generale della ripresa in relazione a possibili shock finanziari e macroeconomici, che paiono essere sempre in agguato. A livello geografico l’Asia si conferma motore trainante, con margini di crescita nettamente superiori alla media mondiale sia nelle esportazioni che nelle importazioni. Anche l’Africa e il Medio Oriente esprimono una dinamica rilevante sostenuta dalla domanda asiatica e statunitense, a cui si somma l’aumento dei prezzi delle commodities. La crescita dell’Unione Europea è stata, invece, molto più contenuta sia in relazione alle nuove economie che agli altri Paesi industriali. E’ interessante sottolineare che, a differenza di quanto avvenuto nel passato, gli scambi si sono maggiormente indirizzati verso i partners extracomunitari piuttosto che all’interno del mercato comune dove molti Paesi stentano a riagganciare la ripresa. In ambito europeo, l’economia tedesca è quella che ha dimostrato di possedere una marcia in più: le esportazioni nei primi sei mesi dell’anno sono state particolarmente rilevanti. Gli operatori tedeschi hanno guardato non tanto ai tradizionali mercati di sbocco, ma ai Paesi emergenti65,

65 Micaela Cappellini, Nuova lezione di tedesco sull’export in Asia, Il Sole 24 Ore, 23 agosto 2010. «La lezione tedesca sui mercati globali ci insegna che investimenti ed esportazioni verso i paesi emergenti sono

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tuttavia non mancano ombre sul futuro (la produzione industriale è calata dello 0,8% in settembre rispetto al mese precedente, condizionato dalla cattiva performance dei beni intermedi, -2%), soprattutto perché il resto d’Europa non decolla, limitato, anche, dalle misure restrittive dettate dalla necessità di controllo sulla spesa pubblica.

Commercio mondiale di beni per regioni. Variazione percentuale su anno e trimestre precedenti. Periodo aprile-giugno 2010

Esportazioni variazione % Importazioni variazione % Regioni

su anno precedente

su trimestre precedente

su anno

precedente su trimestre precedente

Mondo (a) 26 7 25 6 Nord America 28 7 32 12

Stati Uniti 25 6 32 12 Canada 32 7 30 10

Centro e sud America 24 16 36 13 Brasile 29 27 56 12

Europa 13 0 15 0 Unione Europea (27) (b) 13 0 14 0

intra UE 11 -2 11 -2 extra UE 17 5 21 3

Comunità degli Stati Indipendenti (CIS) 44 10 27 26 Federazione russa 43 6 33 28

Africa e Medio Oriente 35 1 10 1 Asia (a) 37 15 38 10

Cina 41 23 44 15 India 32 -1 33 3 Giappone 41 5 35 5

Economie emergenti asiatiche 37 12 43 9 a Include significantivi valori di re-exports o importazioni per riesportazioni. b “Intra UE” commercio all’interno della UE; “extra UE” commercio tra UE e le alter economie.

Fonte: WTO – Comunicato stampa del 1° settembre 2010 press/614 La ripresa tedesca appare, ad alcuni osservatori, strettamente connessa con il processo di modernizzazione del terziario, settore che ha subito nel recente passato una profonda riorganizzazione e razionalizzazione, ma che adesso, ben amalgamatosi all’industria, sta trainando

l'ingrediente essenziale di una crescita sorprendente del Pil, che la Bundesbank dice sarà del 3% nel 2010. La Germania ci insegna anche che le imprese all'estero si muovono più facilmente quando alle spalle hanno un granitico sistema di supporto istituzionale. Ma c'è un'altra lezione tedesca che arriva dall'Asia. E ha due ingredienti: la cosiddetta mittelstand, il tessuto delle medie imprese specializzate, e le banche per lo sviluppo. Prendiamo la Kirow di Lipsia: si è aggiudicata due contratti -uno da 98 milioni di dollari e l'altro da 68- con le ferrovie cinesi, e per portarli a casa ha partecipato a un bando dell'Asian Development Bank, la Banca per lo sviluppo dell'Asia. Un'istituzione cui Berlino contribuisce con un capitale di 2,3 miliardi di dollari, ma da cui ha buoni ritorni in appalti per le proprie aziende. È un gioco a doppio guadagno: chi si aggiudica i finanziamenti aiuta un Paese emergente a modernizzarsi e apre a se stesso nuovi mercati. I tedeschi sono tra i più esperti utilizzatori dei fondi delle banche di sviluppo. Li conoscono, concorrono, vincono, vanno e costruiscono. Questo serve loro a incontrare, in territori poco noti, interlocutori privilegiati con cui poi continuare a fare affari, una volta chiuso il progetto finanziato. La posta in gioco è enorme: entro il 2020 l'Asia dovrà spendere 8mila miliardi di dollari in nuove infrastrutture».

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l’economia con proiezioni oltrefrontiera che aumentano il grado di penetrazione sui mercati lontani, non necessariamente vasti, come il Vietnam e il Cile66. Gli Stati Uniti, nonostante interventi senza precedenti, non hanno ancora raggiunto una crescita sufficientemente stabile da originare un significativo aumento di occupazione e ciò limita i consumi, da sempre base dell’economia. E le prospettive future non sono rosee: l’ampio déficit delle partite correnti americane, l’elevato livello di debito delle famiglie e il recente incremento del debito pubblico fanno presagire che le prospettive di sviluppo della domanda interna ed esterna degli USA risulteranno meno promettenti rispetto agli anni passati67. La Cina, dal canto suo, teme la bolla del mercato immobiliare e tende a frenare il credito68, mentre il Giappone, pur beneficiando del dinamismo dei suoi vicini e puntando sulle esportazioni, resta prigioniero di una domanda interna scarsa e della deflazione. Valutando i dati disponibili alla prima metà del 2010, gli IDE appaiono in crescita e sembra, a fine anno, si porteranno su valori pre-crisi. I flussi, a parere degli esperti, saranno orientati, come previsto, verso i Paesi a più alto tasso di crescita e che dispongono di manodopera a basso costo, notoriamente siti in area asiatica; nelle economie avanzate, invece, saranno la qualità del lavoro, la presenza di infrastrutture e l’efficienza istituzionale a svolgere un ruolo determinante per catturare nuovi investimenti. BIBLIOGRAFIA (parziale) A cura di Pompeo Della Posta e Anna Maria Rossi, Effetti, potenzialità e limiti della globalizzazione: una visione multidisciplinare, Springer, Milano 2007 Pierre Deyon, Lo sviluppo degli scambi in Storia dell’economia mondiale a cura di Valerio Castronovo, vol. 7, Edizioni Laterza e Il Sole 24 Ore, Bergamo 2009 R.G. Rajan, L. Zingales, Salvare il capitalismo dai capitalisti, Giulio Einaudi ed., Torino 2008 Carmen Reinhart, The second great contraction, MPRA paper no. 21485, novembre 2009 Organizzazione Mondiale del Commercio, World Trade Report 2010. Trade in natural resources, 2010 Tiziana Cuccia, appunti delle lezioni di Politica economica internazionale a.a. 2005/2006, Università di Catania Andreas Maurer e Christophe Degain, Globalization and trade flows: what you see is not what you get!, WTO Staff Working Paper ERSD-2010-12, giugno 2010 Fernanda Ricotta, Trade in intermediate goods in Italian manufacturing industries, Working Paper n. 15-2009, Università della Calabria, Dipartimento di Economia e Statistica, Cosenza, ottobre 2009 Anna Giunta, Annamaria Nifo e Domenico Scalera, Divisione del lavoro, crescita e divari di performance nell’industria italiana degli anni ’90, Working Paper n. 97, 2008, Collana del dipartimento di economia Università degli studi Roma Tre Lucia Tajoli, Scambi internazioni e frammentazione internazionale della produzione: la posizione dell’Italia come fornitore terzista nel Traffico di Perfezionamento attivo, Confindustria temi di ricerca

66 Censis e BCC Credito Cooperativo, Diario Censis-BCC della ristrutturazione del terziario 3., Roma, 25 settembre 2010, pg. 5. «La Germania ha investito ingenti risorse nelle reti infrastrutturali, con una rete ferroviaria che segue la linea dei suoi confini ed è diventata così lo snodo d’Europa: un sistema a stella che qualcuno ha definito plaque tournante, appunto piattaforma snodabile per indirizzare le merci in tutte le direzioni. (…) E’ un intero sistema che agevola l’export: la Lufhansa ne è il braccio aereo. (…) Non è un caso che oggi in Germania il fatturato della logistica è maggiore di quello dell’industria automobilistica». 67 Congiuntura ref., Il puzzle dei cambi, 4 novembre 2010. 68 Dirk Heilmann, La locomotiva ha il fiato corto, in Handelsblatt Düsseldorf, 25 agosto 2010 www.presseurop.eu

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International Monetary Fund, Trade and the Crisis: Protect or Recover a cura di Rob Gregory, Christian Henn, Brad McDonald e Mika Saito, SPN/10/07, aprile 2010 Mario Maggioni traduzione parziale del saggio di Richard E. Baldwin e Philippe Martin, Two waves of globalization: superficial similarities, fundamental differences, The National Bureau of Economic research NBER Working Paper n. 6904, gennaio 1999 Paolo Crosetto, Il miracolo americano della produttività e l’Europa: fine della convergenza?, Unità di Ricerca sulla Governance Europea, URGE Working Paper 3/2005, Torino 2005 Istituto di Studi e Analisi Economica, Il commercio mondiale nel 2009-2010, nota mensile novembre-dicembre 2009 Marco Fortis, Imprese oltre il declino, Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2010. Congiuntura ref., Il puzzle dei cambi, 4 novembre 2010 Fondazione Edison e Symbola, Italia. Geografie del nuovo Made in Italy, ottobre 2009 Centro Studi Confindustria, Nuovi produttori, mercati e filiere globali. Le imprese italiane cambiano assetto, Scenari industriali n. 1, giugno 2010 Alberto Bagnai, La rivalutazione del renminbi fra mito e realtà, Università degli Studi di Roma La Sapienza, giugno 2010 G. Gozzini, Globalizzazione, Giunti, Firenze 2007 Filippo Reganati, appunti delle lezioni di Economia Politica, Facoltà di Scienze della Comunicazione, delle Arti e dell’Ambiente dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza World Trade Organization, World Trade Report 2010. Trade in natural resources, ottobre 2010 Miroudot, S., R. Lanz and A. Ragoussis (2009), “Trade in Intermediate Goods and Services”, OECD Trade Policy Working Papers, No. 93, OECD Publishing. doi: 10.1787/5kmlcxtdlk8r-en Alcuni siti internet: www.wto.org www.intracen.org www.oecd.org www.unctad.org www.imf.org www.intracen.org www.ice.it www. ec.europa.eu/Eurostat www.confindustria.it www.bancaditalia.it www.europeanchamber.com www.mincomes.it www.fondazionemasi.it www.ggdc.net/maddison/ www.hofstra.edu www.esteri.it http://comtrade.un.org/db/ http://unstats.un.org/unsd/trade/imts/imts_default.htm www.voxeu.org

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IL PESO DEL COMMERCIO ESTERO IN PROVINCIA DI BELLUNO: CONSIDERAZIONI DI CARATTERE STRUTTURALE

Quando si analizza l’economia di un’area si prendono in considerazioni due aspetti, il primo di tipo congiunturale analizza i cambiamenti di breve periodo, il secondo strutturale prende in considerazione le dinamiche di lungo periodo, che incidono nella struttura economica di un territorio. I due aspetti si condizionano e le modalità di risposta a uno stimolo esterno sono in diretta relazione con la struttura economica di quel territorio. Pertanto, prima di entrare nel dettaglio delle dinamiche del commercio estero della provincia di Belluno, è opportuno introdurre alcune considerazioni di carattere strutturale della nostra economia evidenziando le peculiari caratteristiche dei suoi rapporti con l’estero.

Grafico 1. Belluno, Veneto e Italia. Propensione all’export (export/PIL*100) nel 1995 e nel 2009.

20,819,2

30,7

34,7

27,828,3

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

1995 2009

Italia Veneto Belluno

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

45,0

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Italia Veneto Belluno

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A. su dati Istat e Istituto Tagliacarne

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Va anzitutto sottolineato1 che non è corretto pensare al dato dell’export come alla parte del prodotto interno lordo (PIL2) inviata all’estero o a una parte di reddito conseguita con le vendite all’estero. Il valore delle esportazioni desunto dalle serie storiche dell’Istat corrisponde, infatti, ai ricavi delle aziende esportatrici e non al loro valore aggiunto, che è dato dalla differenza tra i ricavi e i costi delle materie prime e dei prodotti intermedi importati per produrre i beni oggetto di esportazione. Perciò l’export può incrementare più o meno il PIL in funzione del maggiore o minore contenuto di beni esportati.

Grafico 2. Belluno, Veneto e Italia. Indice di copertura delle importazioni (export/import*100) nel 1995 e nel 2009.

98,0

138,0

288,1

113,6

128,1

324,1

0,0

50,0

100,0

150,0

200,0

250,0

300,0

350,0

1995 2009

Italia Veneto Belluno

0,0

50,0

100,0

150,0

200,0

250,0

300,0

350,0

400,0

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Italia Veneto Belluno

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A. su dati Istat e Istituto Tagliacarne

1 R. Chahinian e P. Menazza, Commercio estero e sviluppo economico del Veneto, in Veneto Internazionale 2008, Unioncamere del Veneto, 2008. 2 Il Prodotto interno lordo o PIL è una grandezza macroeconomica che misura la quantità di beni e servizi prodotti dalla collettività e quindi la quantità di ricchezza prodotta da un territorio.

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Per valutare l’impatto del commercio internazionale su un’economia ed effettuare confronti territoriali e temporali è più opportuno costruire degli indicatori che mettono in relazione l’interscambio commerciale e il PIL. Il primo di questi calcola il rapporto percentuale tra le esportazioni e il PIL e misura la propensione all’esportazione. Poiché confronta il valore delle esportazioni alle dimensioni produttive di un territorio, misura il grado di sviluppo all’estero di un sistema economico, ovvero il livello di competitività, che da un lato testimonia quanta parte di prodotto viene collocato all’estero, e dall’altra esprime il potenziale di sviluppo di un territorio, date le scarse opportunità presenti sul mercato interno. Il grafico 1 (primo riquadro) riproduce il valore della propensione all’export di Italia, Veneto e Belluno a due epoche diverse, nel 1995 (primo anno della serie storica del PIL fornitaci dall’Istituto Tagliacarne) e nel 2009. Nonostante la provvisorietà dell’indice calcolato per il 2009 (poiché per quell’anno il dato del PIL è stimato e quello Istat delle esportazioni non è definitivo), lo scenario appare profondamente cambiato. Se nel 1995 Belluno esportava una quota pari al 28,3% del PIL, compresa, quindi, tra il 20,8% nazionale e il 30,7% veneto, nel 2009 ha raggiunto il 34,7%, che rappresenta un risultato di gran lunga superiore alla media regionale, che pure è una delle più elevate d’Italia (solo Toscana con 35,3% e Friuli Venezia Giulia con 31,1% precedono il Veneto). Tra le sette province del Veneto, la propensione all’esportazione del 2009 è più elevata solo a Vicenza (43,9%) e a Treviso (37%). Rispetto al 1995 la provincia è notevolmente cresciuta e ha guadagnato una posizione nella graduatoria regionale (al tempo era preceduta da Vicenza con 47,8%, da Treviso con 39,8% e da Verona con 29,7%). Come si evince dal secondo riquadro, l’andamento di questo indice nel tempo evidenzia una maggiore propensione all’export del Veneto rispetto all’Italia in tutto il periodo 1995-2009, mentre è solo a partire dal 2003 che Belluno si colloca al di sopra della media regionale. Il secondo indicatore (grafico 2) è dato dal rapporto percentuale delle esportazioni e delle importazioni ed è definito indice di copertura delle importazioni, poiché misura quanta parte della produzione interna è destinata all’estero rispetto a quanto viene acquistato dall’estero per soddisfare la domanda interna. Un valore superiore a 100 indica che in quel territorio le esportazioni sono superiori alle importazioni, pari a 100 che i valori dei beni in entrata sono uguali a quelli in uscita, inferiore a 100 che si importa più di quanto si esporta. In quest’ultima situazione si trova l’Italia nel 2009, mentre le condizioni si capovolgono in Veneto, dove l’export vale il 128,1% dell’import e in provincia di Belluno, per la quale il rapporto sale enormemente arrivando a 288,1, che è di gran lunga il più elevato tra le sette province. La distanza di Belluno con il dato regionale e nazionale è abissale per tutto il periodo considerato, nonostante il ridimensionamento rispetto al 1995 e, analizzando la parte inferiore del grafico, anche rispetto al 2008. Dal grafico si evince anche che è nel 1998 che l’indice di copertura delle importazioni bellunesi assume il valore massimo (372,6%). Anche il Veneto si conferma costantemente sopra 100, pur con un andamento leggermente decrescente, mentre dal 2004 l’Italia inizia a scendere e si mantiene sempre al di sotto di questa soglia. A livello di province il primato di Belluno sulle altre sei del Veneto si conferma in tutto il periodo esaminato, tuttavia è opportuno sottolineare che molto spesso quello che viene importato da una regione (e ancor di più da una provincia) non corrisponde a quanto viene effettivamente consumato in quel territorio, poiché influenzato dalla presenza di scali o interporti importanti, cioè da punti di arrivo di merci che poi vengono smistate e indirizzate verso altre regioni o province. Da ciò deriva un valore di import eccessivamente elevato non corrispondente alla reale domanda di quel territorio. Il terzo indicatore oggetto del grafico 3 è in qualche modo collegato al precedente, poiché misura il saldo della bilancia commerciale (dato dalla differenza tra le esportazioni e le importazioni) in rapporto (percentuale) al PIL. Se il saldo è positivo (cioè in tutti quei casi in cui l’indice di copertura delle importazioni è superiore a 100) significa che il sistema produttivo è competitivo nei mercati esteri con i suoi prodotti, più di quanto i prodotti del resto del mondo lo sono al suo

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interno. Anche in questo valgono le considerazioni appena espresse sulle funzioni di centro di smistamento per altri mercati.

Grafico 3. Belluno, Veneto e Italia. Rapporto tra saldo della bilancia commerciale e Pil (export-import)/PIL*100. Anni 1995 e 2009.

8,4

22,6

-0,4

2,5

6,1

19,6

-5,0

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

1995 2009

Italia Veneto Belluno

-5,0

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Italia Veneto Belluno

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A. su dati Istat e Istituto Tagliacarne

Rapportare il saldo della bilancia commerciale al PIL, cioè alla misura in valore dei beni e servizi di una collettività, significa parametrarlo all’economia di riferimento. Anche questo indice indica una buonissima performance per Belluno, poiché il 22,6% del 2009 è di gran lunga superiore alla media regionale (6,1%) e nazionale che è addirittura negativa. In vetta alla graduatoria del 2009, Belluno dal 1995 al 2001 si è avvicendata sul podio con Treviso e Vicenza, mentre nel periodo 2002-2008 si è contesa il primo posto con Vicenza. Come si evince nella parte inferiore del grafico 3, se per il Veneto tale indicatore si muove lungo un trend leggermente decrescente, per Belluno è in espansione dal 2000 al 2007 (anno in cui esportazioni e importazioni hanno raggiunto il valore più elevato a Belluno e in Veneto), per attenuarsi nei due anni successivi, quelli della grande crisi mondiale. Quanto all’Italia, l’indice dal

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2004 si muove sul semipiano negativo, raggiunge il punto di minimo, pari a -1,4%, nel 2006, ma si attenua negli ultimi due anni. Infine, il quarto indicatore mette in relazione il saldo commerciale con la somma delle importazioni e delle importazioni, cioè dei quantitativi complessivamente movimentati da e verso l’estero. E’ simile al precedente, ma viene riferito all’apertura internazionale dell’economia (somma di export ed import), così che il saldo commerciale viene rapportato al valore dei beni internazionalizzati (cioè solo di quelli oggetto di competizione internazionale), indipendentemente dalle dimensioni del PIL. In pratica, tale indicatore coglie la competitività internazionale di un territorio, poiché considera quanto lo stesso tratta a livello internazionale, senza tener conto di quanto produce per il mercato interno.

Grafico 4. Belluno, Veneto e Italia. Rapporto tra saldo della bilancia commerciale e merci movimentate sui mercati esteri (export-import)/(export+import)*100. Anni 1995 e 2009.

16,0

48,5

6,3

-1,0

12,3

52,8

-10,0

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

1995 2009

Italia Veneto Belluno

-10,0

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Italia Veneto Belluno

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A. su dati Istat e Istituto Tagliacarne

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Anche in questo caso Belluno dimostra una posizione eccellente (48,5%), di gran lunga superiore alla media regionale (12,3%) e italiana (-1%) e nonostante un certo ridimensionamento rispetto al 1995, mantiene il primato in tutti gli anni considerati. Alla luce di questi indicatori di struttura, Belluno, che nel 2009 è la penultima provincia del Veneto per quantitativi esportati (con un peso di 5,3% sul totale export regionale) in realtà è terza quando si commisurano le esportazioni alla sua economia, cioè se prendiamo in considerazione la propensione all’esportazione (il primo dei quattro rapporti), che gli studiosi indicano come il principale indicatore del potenziale sviluppo di un’area. Analogamente, il Veneto, che con una quota di esportazioni del 13,5% risulta secondo in Italia dopo la Lombardia (28,2%), diventa terzo, preceduto da Toscana (35,3%) e Friuli Venezia Giulia (31,1%) se parametriamo le esportazioni al PIL. Le implicazioni di questa spiccata vocazione all’export sono piuttosto forti, poiché in un momento di stagnazione del mercato interno – com’è quello che caratterizza l’Italia già da alcuni anni prima della crisi, il mercato estero offre buone prospettive di sviluppo per l’economia di un territorio, perché può compensare la stasi di produzione da carenza di domanda interna. Questo perché i mercati esteri sono da sempre più dinamici. La forte propensione all’export può essere penalizzante in un momento di crisi, se questa colpisce simultaneamente e globalmente tutti i mercati, come è successo nel 2008-2009. Infatti, la reazione alla crisi economica è stata immediata e di forte intensità in provincia, mentre nel Veneto e in Italia pur raggiungendo picchi di minimo delle esportazioni più bassi, è stata più graduale e ritardata; allo stesso modo in provincia la fase di recupero, sulla spinta delle sollecitazioni esterne, è iniziata prima. Questo è quanto emerge dai decrementi trimestrali tendenziali delle esportazioni, più sostenuti nei trimestri di inizio crisi e più attenuati nei successivi a Belluno che in Veneto. In una fase di lenta ripresa come è quella del 2010, legata alle dinamiche dei mercati esteri, la tendenza all’internazionalizzazione sembrerebbe premiare, poiché anche in questo caso le risposte (stavolta positive) sono più forti e immediate. Sulla base di questi indicatori e delle considerazioni esposte, si capisce come lo sviluppo economico di un territorio sia fortemente condizionato dalla sua capacità di imporsi sui mercati esteri, visto che le esportazioni possono fare da volàno nell’intera economia. BIBLIOGRAFIA

R. Chahinian e P. Menazza, Commercio estero e sviluppo economico del Veneto, in Veneto Internazionale 2008, Unioncamere del Veneto, 2008. Siti internet

www.coeweb.istat.it

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IL COMMERCIO ESTERO IN PROVINCIA DI BELLUNO: I PRINCIPALI AGGREGATI

Il presente capitolo è dedicato alle dinamiche con l’estero della provincia di Belluno dal 1993 al 2009, anni per i quali l’Istat mette a disposizione con dettaglio provinciale serie storiche di esportazioni e di importazioni per merce e per Paese di destinazione (delle esportazioni) e di provenienza (delle importazioni). La tabella 1 (Belluno. Serie storica delle esportazioni e delle importazioni per principali aggregati. Anni 1993-2009, riportata a fine capitolo), in cui i prodotti oggetto degli scambi sono stati raggruppati in trenta aggregati in ordine decrescente di importanza rispetto a 2009, costituisce il data base di partenza per quest’analisi. Una sintesi della tabella 1 riferita ai primi dieci prodotti di export e di import è oggetto della tabella 2, dalla quale si evince che per le esportazioni sette dei primi dieci prodotti del 2009 fanno parte, pur con ordine diverso, anche dei primi dieci del 1993. I prodotti dell’occhialeria e i macchinari sono il primo e il secondo prodotto in tutti gli anni considerati, ma, come emerge chiaramente anche dal grafico 1, con un grado di partecipazione sul totale export molto diverso, di gran lunga superiore per i primi. Prodotti in gomma e plastica (al sesto posto nel 2009, con una quota di export pari a 1,9%), concia e lavorazioni pelli (nono con 0,9%) e prodotti alimentari (decimo con 0,8%) sono contemplati nel 2009, ma non lo erano nel 1993, quando, invece, vi si ritrovavano gli altri prodotti manifatturieri (sesti, con il 3%) e i filati e tessuti (settimi con 2,5%). L’insieme di questi prodotti è oggetto del grafico 1, in cui totale export, occhialeria e macchinari sono considerati congiuntamente nel riquadro superiore per consistenza dei valori movimentati, mentre i restati beni facenti parte della top-ten del 1993 e del 2009 sono collocati nella parte inferiore.

Tabella 2. Belluno. Primi dieci prodotti di esportazione e di importazione nel 1993 (euro correnti). Anni 2009 e 1993

Prodotti 2009 Peso %

Occhialeria 1.311.581.100 63,6Macchinari 322.246.816 15,6Altre apparecchiature elettriche 79.817.138 3,9Elettronica, app. medicali e misuraz. (no occh.) 71.941.297 3,5Metallurgia 40.172.767 1,9Prodotti in gomma e plastica 39.976.684 1,9Carpenteria metallica 37.786.623 1,8Carta e stampa 22.038.039 1,1Concia e lavorazioni pelli 17.939.388 0,9Prodotti alimentari 17.399.954 0,8Somma primi dieci prodotti 1.960.899.806 95,2Altri prodotti 99.950.555 4,8

TOTALE EXPORT 2.060.850.361 100,0

Prodotti 1993 Peso %

Occhialeria 346.026.788 47,5Macchinari 127.909.927 17,6Carpenteria metallica 34.294.312 4,7Elettronica, app. medicali e misuraz. (no occh.) 31.556.554 4,3Carta e stampa 24.084.281 3,3Altri prodotti dell'industria manifatturieria 21.953.434 3,0Filati e tessuti 18.089.482 2,5Altre apparecchiature elettriche 16.123.270 2,2Metallurgia 14.254.080 2,0Prodotti in gomma e plastica 14.157.034 1,9Somma primi dieci prodotti 648.449.162 89,0Altri prodotti 80.288.885 11,0TOTALE EXPORT 728.738.047 100,0

ESPORTAZIONI

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Prodotti 2009 Peso %

Occhiale ria 345.189.081 48,3Macchinari 58.352.898 8,2Metallurgia 53.964.573 7,5Altre apparecchiature elettriche 37.495.907 5,2Elettronica, app. medicali e misuraz. (no occh.) 27.970.771 3,9Cuoio conciato e lavorato 25.566.585 3,6Mezzi di trasporto e componentistica 22.616.484 3,2Prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche 18.260.093 2,6Legno 16.372.038 2,3Altri prodo tti dell'industria manifatturiera 15.938.933 2,2Somma primi dieci prodotti 621.727.363 86,9Altri prodo tti 93.656.867 13,1

TOTALE IMPORT 715.384.230 100,0

Prodotti 1993 Peso %

Occhiale ria 27.744.565 14,2Metallurgia 25.710.822 13,1Prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche 23.188.800 11,8Macchinari 20.742.265 10,6Legno 16.909.307 8,6Elettronica, app. medicali e misuraz. (no occh.) 10.808.576 5,5Altre apparecchiature elettriche 8.347.497 4,3Agricoltu ra e pesca 7.468.454 3,8Prodotti alimentari 6.865.059 3,5Bevande 5.804.681 3,0Somma primi dieci prodotti 153.590.026 78,5Altri prodo tti 42.183.758 21,5TOTALE IMPORT 195.773.784 100,0

IMPORTAZIONI

Fonte: elaborazione Camera di Commercio su dati Istat

Grafico 1. Belluno. Esportazioni totali e dei primi dieci prodotti 1993 e 2009 (euro correnti). Anni 1993-2009

-

500.000.000

1.000.000.000

1.500.000.000

2.000.000.000

2.500.000.000

3.000.000.000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

TOTALE EXPORT Occhialeria Macchinari

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-

20.000.000

40.000.000

60.000.000

80.000.000

100.000.000

120.000.000

140.000.000

160.000.000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Altre apparecchiature elettriche Elettronica, app. medicali e di misurazione (escl. occhialeria)Metallurgia Prodotti in gomma e plasticaCarpenteria metallica Carta e stampaConcia e lavorazioni pelli Prodotti alimentariAltri prodotti manifatturieri Filati e tessuti

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A. su dati Istat

Gli occhiali sono ancora i principali prodotti importati nel 2009, così come nel 1993. Come per le esportazioni, nella graduatoria import delle prime dieci tipologie, sette prodotti sono comuni ai due anni, mentre il cuoio conciato e lavorato (il sesto prodotto con una percentuale di import pari a 3,6%), i mezzi di trasporto e componentistica (settimo con 3,2%) e gli altri prodotti dell’industria manifatturiera (decimi con il 2,2%) rientrano tra i primi dieci del 2009, ma non nel 1993. Al contrario, comparivano tra le principali importazioni i prodotti dell’agricoltura e pesca (ottavi con una quota del 3,8%), i prodotti alimentari (noni con 3,5%) e le bevande (decimi con il 3%). Si nota dalla tabella 2 che i primi dieci prodotti assommano il 95,2% delle esportazioni del 2009 e l’89% di quelle del 1993, mentre per quanto riguarda le importazioni le percentuali sono rispettivamente 86,9% e 78,5%, segno di una maggiore concentrazione di alcune specifiche merci che negli anni hanno acquisito un peso sempre maggiore. Trattandosi comunque di percentuali molto elevate, nelle pagine che seguono l’analisi verterà su alcuni prodotti, esaminati in ordine decrescente di importanza nella graduatoria delle esportazioni del 2009, trattandone l’evoluzione nel periodo 1993-2009 dell’export e dell’import per principali Paesi di destinazione e di provenienza. I prodotti dell’occhialeria

Nel 2009 la provincia di Belluno ha esportato merci per un valore di 2.060 milioni di euro, lo 0,7% delle esportazioni italiane e il 5,3% di quelle venete; di queste 1.312 milioni hanno riguardato i prodotti dell’occhialeria1, che hanno costituito il 63,6% del totale delle esportazioni bellunesi di quell’anno. Anche nel 1993 i principali prodotti in esportazione erano quelli dell’occhialeria, che costituivano il 47,5% del totale delle merci in partenza di quell’anno. Il loro peso è cresciuto negli anni

1 I prodotti dell’occhialeria sono identificati dalle voci “CM325 – Strumenti e forniture mediche e dentistiche” (che comprende la “32.50.5 - Fabbricazione di armature per occhiali di qualsiasi tipo; montatura in serie di occhiali comuni”) e “CI267 - Strumenti ottici e attrezzature fotografiche del codice delle attività economico Ateco 2007. La banca dati Istat sul commercio estero (www.istat.coeweb.it) non consente un’analisi con un dettaglio superiore alle tre cifre, quindi l’identificazione dei codici dei prodotti dell’occhialeria avviene a un livello superiore (e quindi meno dettagliata) di quello usato nell’identificazioni delle sedi e unità locali d’impresa nelle banche dati del Registro delle Imprese.

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superando il 50% nel 1998 (51%) e oscillando intorno a questa percentuale per i due anni successivi. Ma è in questo primo decennio di secolo che l’occhialeria diventa dominante: nel 2001 raggiungeva quota 53,3%, ma già l’anno seguente arrivava al 57,1% e si manteneva su livelli piuttosto elevati fino al 2005, anno in cui oltrepassava il 60%, fino a raggiungere nel 2009 la quota massima di 63,6%. L’occhiale è la punta di diamante dell’industria bellunese in quanto prodotto locale più diffuso nel mondo. Tale primato è confermato anche dalle statistiche internazionali, secondo l’ITC2 infatti, nel 2009 le esportazioni nel mondo di questo prodotto hanno raggiunto 6.844 milioni di euro e l’Italia si è confermata primo Paese esportatore con 1.819 milioni, pari al 26,6%. Siccome le esportazioni provinciali contribuiscono al 72% dell’export italiano del settore, si evince indirettamente il peso che il prodotto bellunese ha nel panorama mondiale. Il 2007 è stato l’anno di massima espansione delle esportazioni di occhiali, sia nel mondo (7.300 milioni), sia in Italia (2.274) che in provincia (1.635), il rapporto Italia/mondo valeva 31%, quello Belluno/Italia 72%.

Grafico 2. Belluno. Esportazioni ed importazioni di occhiali verso e da principali aree geografiche (milioni di euro correnti). Anni 1993-2009

EXPORT di OCCHIALI

0

200

400

600

800

1.000

1.200

1.400

1.600

1.800

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

[MONDO] [Extra Ue27] [Unione europea 27] Stati Uniti

IMPORT di OCCHIALI

0,0

50,0

100,0

150,0

200,0

250,0

300,0

350,0

400,0

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

[MONDO] [Unione europea 27] [Extra Ue27] Cina

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

Guardando alle esportazioni del 2009 per aree geografiche, l’Europa è il primo continente di destinazione degli occhiali bellunesi, verso il quale si è indirizzato il 52,7% del valore degli occhiali esportati, soprattutto nell’Unione a 27 membri (47,6%), mentre il 40,1% si è indirizzato verso l’Area euro. Il 30,4% ha preso la via dell’America e il 13,5% dell’Asia; l’Oceania ne ha acquistati il 2% e l’Africa l’1,4% (tabella 3). Rispetto al 1993 è cresciuta la percentuale delle esportazioni all’interno dell’Unione e in Asia, ma dal primo all’ultimo anno di osservazione il tracciato delle esportazioni verso i Paesi extra UE 27 è sempre stato superiore a quello dei Paesi UE27 (grafico 2).

2 International Trade Center, http://www.intracen.org/tradstat/, (statistiche congiunte WTO e ONU).

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Tabella 3. Belluno. Esportazioni di prodotti dell’occhialeria per continenti e principali Paesi (euro correnti). Anni 2009 e 1993.

Continenti e aree Anno Peso % Continenti e aree Anno Peso %

MONDO 1.311.581.100 100,0 MONDO 346.026.788 100,0Extra Ue27 687.517.616 52,4 Extra Ue27 195.332.773 56,5Unione europea 27 624.063.484 47,6 Unione europea 27 150.694.014 43,5EUROPA 690.934.503 52,7 EUROPA 167.536.239 48,4AMERICA 398.478.364 30,4 AMERICA 136.953.150 39,6ASIA 176.586.546 13,5 ASIA 32.004.461 9,2OCEANIA E ALTRI TERRITORI 26.611.213 2,0 OCEANIA E ALTRI TERRITORI 4.945.112 1,4AFRICA 18.970.474 1,4 AFRICA 4.587.825 1,3

Paesi Anno Peso % Paesi Anno Peso %

Stati Uniti 332.853.707 25,4 Stati Uniti 115.553.103 33,4Francia 188.430.188 14,4 Germania 54.102.499 15,6Spagna 129.582.945 9,9 Francia 17.132.225 5,0Regno Unito 68.610.652 5,2 Spagna 14.113.474 4,1Germania 60.814.190 4,6 Regno Unito 13.147.008 3,8Hong Kong 37.641.651 2,9 Canada 11.455.031 3,3Grecia 36.605.659 2,8 Austria 11.093.188 3,2Paesi Bassi 34.227.042 2,6 Svizzera 9.004.588 2,6Portogallo 28.979.510 2,2 Grecia 8.438.133 2,4Brasile 28.747.733 2,2 Paesi Bassi 7.667.784 2,2Giappone 20.706.126 1,6 Svezia 6.929.436 2,0Turchia 20.621.616 1,6 Arabia Saudita 5.928.130 1,7Australia 19.533.088 1,5 Portogallo 4.763.236 1,4Cina 16.670.150 1,3 Australia 4.636.304 1,3Svizzera 16.629.611 1,3 Singapore 4.599.687 1,3Belgio 16.426.823 1,3 Turchia 3.965.694 1,1Emirati Arabi Uniti 15.233.305 1,2 Hong Kong 3.549.756 1,0Corea del Sud 15.154.020 1,2 Emirati Arabi Uniti 3.373.870 1,0Messico 13.404.044 1,0 Giappone 3.364.343 1,0Singapore 12.543.190 1,0 Brasile 3.116.770 0,9Somma dei primi 20 Paesi 1.113.415.250 84,9 Somma dei primi 20 Paesi 305.934.259 88,4Altri Paesi 198.165.850 15,1 Altri Paesi 40.092.529 11,6

Totale export occhiale 1.311.581.100 100,0 Totale export occhiale 346.026.788 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

2009 1993

Dall’analisi del grafico 2 emerge che la serie dell’export presenta un andamento crescente (e in accelerazione dal 2005) fino al 2007, anno in cui l’export ha raggiunto la quota massima di 1.634,7 milioni di euro, suddivisa per il 58,6% verso i Paesi Extra UE e per il rimanente 41,4% verso quelli dell’Unione a 27 membri. A partire dal 2008, le esportazioni di occhiali hanno iniziato a diminuire (-6,9% sul 2007), in modo più rilevante nell’Extra UE (-10,1%) rispetto all’UE (-2,3%), per poi precipitare nel 2009 (-13,8%), con un calo dell’area Extra UE significativamente maggiore di quella europea (-20,1% e -5,6% rispettivamente), in conseguenza della crisi globale. Come si evince anche graficamente, determinanti risultano gli Stati Uniti. Le esportazioni di occhiali hanno immediatamente accusato il colpo delle difficoltà di questo Paese, il principale acquirente di occhiali bellunesi, da dove è partita la crisi finanziaria, successivamente sfociata in crisi globale dell’economia reale3. Poco meno del 40% delle esportazioni di occhiali del 2009 si sono indirizzate verso due Paesi: gli Stati Uniti, che ne hanno acquistati il 25,4% del totale e la Francia con il 14,4% (tabella 3). La Spagna è la terza destinazione con il 9,9% e il Regno Unito è quarto con il 5,2%, mentre la Germania è risultata quinta con una percentuale del 4,6%. Cinque Paesi (Hong Kong, Grecia, Paesi

3 Per approfondimenti sulla crisi economica si veda: C.C.I.A.A. Belluno, I Quaderni dell’economia locale, n. 1/2009, Il punto sulla crisi economica: dinamiche, numeri e testimonianze, 2009 e C.C.I.A.A. Belluno, 8^ Giornata dell’economia, 7 maggio 2010, Rapporto sull’economia locale, 2010.

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Bassi, Portogallo e Brasile) hanno acquistato occhiali per quote superiori al 2%, altri otto (Giappone, Turchia, Australia, Cina, Svizzera, Belgio, Emirati Arabi Uniti e Corea del Sud) per valori compresi tra il 2 e l’1%; chiudono Messico e Singapore con una quota dell’1%. La somma dei primi venti Paesi del 2009 sfiora l’85%; tra questi, Cina, Belgio, Corea del Sud e Messico non sono compresi tra i primi venti del 1993 e al loro posto si trovano Canada, Austria, Svezia e Arabia Saudita; la somma dei primi venti copriva nel 1993 una percentuale ancora più alta (88,4%). Il grafico 3 riporta l’andamento di questi ventiquattro Paesi (cioè dei primi venti del 2009 più quelli del 1993), eccetto gli Stati Uniti già contemplati nel grafico 2. E’ comune a tutti (eccetto alla Francia) un apice di crescita tra il 2005 e il 2007 e un ridimensionamento dovuto all’impatto della crisi degli ultimi anni, più o meno vistoso a seconda dei Paesi.

Grafico 3. Belluno. Esportazioni di prodotti dell’occhialeria verso i primi venti Paesi di destinazione (eccetto USA) del 1993 e del 2009 (euro correnti). Anni 1993-2009.

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20.000.000

40.000.000

60.000.000

80.000.000

100.000.000

120.000.000

140.000.000

160.000.000

180.000.000

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1993

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2001

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Francia Spagna Regno Unito Germania

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5.000.000

10.000.000

15.000.000

20.000.000

25.000.000

30.000.000

35.000.000

40.000.000

45.000.000

50.000.000

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Hong Kong Grecia Paesi Bassi Portogallo Brasile

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10.000.000

20.000.000

30.000.000

40.000.000

50.000.000

60.000.000

70.000.000

1993

1995

1997

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2001

2003

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Giappone Turchia Australia Cina Svizzera Emirati Arabi Uniti Corea del Sud

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10.000.000

20.000.000

30.000.000

40.000.000

50.000.000

60.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

Messico Singapore Austria

Svezia Canada Arabia Saudita

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

Gli Stati Uniti erano il primo Paese di destinazione anche nel 1993 e coprivano il 33,4% delle esportazioni di occhiali di quell’anno; essi si confermano il primo mercato in tutti gli anni della serie storica analizzata, con una quota sempre superiore al 30% (con un massimo nel 2005 con il 35,7%) fino al 2007, quota scesa negli ultimi due anni attorno al 25% (25% nel 2008 e 25,4% nel 2009). La Germania ha mantenuto la seconda posizione per tutti gli anni Novanta pur con quote via via decrescenti, successivamente è stata scalzata dalla Francia per il periodo successivo salvo il quinquennio 2003-2007 in cui si è affacciata la Spagna. I primi due riquadri del grafico 3 riportano i primi nove Paesi della graduatoria 2009 (sono esclusi gli Stati Uniti) contemplati anche nella tabella 3: nel primo quadrante si nota la dinamica per lo più costante della Germania, a cui si contrappone quella in crescita della Francia e (ad eccezione negli ultimi due anni) della Spagna; discreta anche l’evoluzione del Regno Unito. Il secondo riquadro è dominato dalle performances piuttosto simili di Grecia, Paesi Bassi e Portogallo, mentre Hong Kong, in costante crescita dal 1993 ma soprattutto tra il 2003 (12,6 milioni di euro) e il 2006 (37,4 milioni), vede un ridimensionamento negli ultimi anni. Un’evoluzione interessante è quella del Brasile (dal ventesimo posto del 1993 al decimo nel 2009), in crescita dal 1994 al 1997 e soprattutto dal 2004 al 2007. Nel terzo riquadro prevale il Giappone, in forte crescita fino al 2003 (anno in cui ha acquistato 64,6 milioni di occhiali bellunesi) e gradualmente sceso ai 20,7 milioni

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del 2009, mentre l’Australia ha preso quota dal 2000 al 2007. La Cina evidenzia una forte crescita a partire dal 2005 (quando aveva già triplicato le esportazioni del 1993) fino al 2007 (quando le esportazioni valevano trentacinque volte quelle del 1993), che è legata, con grande probabilità, alla delocalizzazione di fasi produttive in questo Paese.

Grafico 4. Belluno. Esportazioni di prodotti dell’occhialeria dai primi dieci Paesi di provenienza del 2009 e del 1993 (milioni di euro correnti), anni 1993-2009

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1000

1500

2000

2500

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Stati Uniti Francia Spagna Regno Unito Germania Hong Kong Grecia Paesi Bassi Portogallo Brasile Giappone

0

500

1000

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2000

2500

3000

3500

4000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Turchia Australia Cina Svizzera Emirati Arabi Uniti Corea del Sud

Messico Singapore Austria Svezia Canada Arabia Saudita

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

Nel quarto riquadro è ben evidenziata la progressiva perdita di importanza del Canada e la crescita del Messico, passato dallo 0,4% del 1993 al 3,2% del 2008 e successivamente sceso all’1%. Se il grafico 3 confronta i valori delle esportazioni tra Paesi, il grafico 4, costruito sui numeri indici di questi stessi Paesi rispetto al 1993 (scelto come anno base) permette di cogliere l’evoluzione di ciascuno dall’inizio alla fine del periodo analizzato.

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Si nota come il Giappone abbia accresciuto la sua importanza soprattutto tra il 2000 e il 2003, mentre dal 2004 ad oggi ha vissuto un ampio ridimensionamento. Il Brasile vede due fasi di accelerazione: dal 1994 al 1997 e dal 2004 al 2007; più lenta ma costante l’evoluzione di Spagna, Brasile, Francia e Regno Unito, tutte con un’accentuazione dal 2004 al 2007. Nel quadrante inferiore dominano il Messico, che cresce soprattutto dal 1999 al 2003 e successivamente (e con maggior forza) dal 2005 al 2008 e la Cina, la cui evoluzione è recentissima (parte dal 2005). Infine, si notano la crescita di Corea del Sud e Australia nel periodo 2002-2007. Vi è poi un gruppo di Paesi, non contemplati dal grafico, verso i quali si indirizzano quote di esportazioni non molto rilevanti, ma che tuttavia presentano un’interessante evoluzione nell’arco temporale 1993-2009: si tratta di Romania, Bosnia Erzegovina, Slovacchia e India. Come per la Cina, anche in questi casi si può ipotizzare che in parte si tratti di movimenti in uscita legati a qualche impresa che ha delocalizzato alcune fasi della produzione in Paesi a basso costo. Tabella 4. Belluno. Importazioni di prodotti dell’occhialeria per continenti e principali Paesi (euro correnti). Anni 2009 e 1993

Continenti e aree Anno Peso % Continenti e aree Anno Peso %

MONDO 345.189.081 100,0 MONDO 27.744.565 100,0Extra Ue27 324.970.576 94,1 Extra Ue27 5.517.903 19,9Unione europea 27 20.218.505 5,9 Unione europea 27 22.226.662 80,1ASIA 292.695.251 84,8 ASIA 2.584.865 9,3AMERICA 29.563.061 8,6 AMERICA 2.006.677 7,2EUROPA 22.164.201 6,4 EUROPA 22.998.311 82,9AFRICA 499.358 0,1 AFRICA 104.547 0,4OCEANIA E ALTRI TERRITORI 267.210 0,1 OCEANIA E ALTRI TERRITORI 50.164 0,2

Paesi Anno Peso % Paesi Anno Peso %

Cina 264.719.614 76,7 Germania 10.356.148 37,3Stati Uniti 29.087.398 8,4 Francia 8.890.073 32,0Giappone 19.260.163 5,6 Giappone 1.576.865 5,7Germania 7.012.133 2,0 Stati Uniti 1.564.685 5,6Austria 3.405.056 1,0 Regno Unito 1.158.934 4,2Hong Kong 3.024.194 0,9 Austria 807.097 2,9Regno Unito 2.755.788 0,8 Svizzera 740.360 2,7Corea del Sud 2.092.171 0,6 Cina 487.417 1,8Francia 2.077.418 0,6 Canada 416.029 1,5Romania 1.780.310 0,5 Irlanda 324.075 1,2Svizzera 1.231.458 0,4 Spagna 319.615 1,2Paesi Bassi 1.132.042 0,3 Corea del Sud 253.903 0,9Ceca, Repubblica 882.355 0,3 Svezia 161.801 0,6Israele 644.866 0,2 Egitto 97.749 0,4Emirati Arabi Uniti 594.408 0,2 Paesi Bassi 76.846 0,3Taiwan 532.267 0,2 Singapore 68.391 0,2Slovacchia 505.914 0,1 Taiwan 64.967 0,2Singapore 488.245 0,1 Arabia Saudita 55.554 0,2Turchia 452.994 0,1 Australia 47.796 0,2India 437.495 0,1 Portogallo 45.348 0,2Somma dei primi 20 Paesi 342.116.289 99,1 Somma dei primi 20 Paesi 27.513.653 99,2Altri Paesi 3.072.792 0,9 Altri Paesi 230.912 0,8

Totale import occhiale 345.189.081 100,0 Totale import occhiale 27.744.565 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

2009 1993

I prodotti dell’occhialeria sono anche il primo prodotto di importazione, per un valore pari a 345 milioni di euro, corrispondenti al 48,3% del totale del valore delle merci importate. Al contrario delle esportazioni, le importazioni non hanno mai registrato battute d’arresto, neppure nel biennio di crisi 2008-2009, ma è di gran lunga mutato lo scenario dei Paesi di provenienza, con l’Europa in costante decremento dal 2003 e la contestuale crescita dei Paesi Extra UE 27. Dal 1993 al 2009 le importazioni sono state di gran lunga inferiori alle esportazioni.

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L’andamento delle importazioni risulta, come quello delle esportazioni, fortemente condizionato da quello dei Paesi extra UE 27, di cui ne riproduce il tracciato (grafico 2): in questo caso risulta determinante il peso della Cina. Per la struttura dei codici di classificazione delle merci non è possibile distinguere il prodotto finito dal semilavorato, ma è realistico supporre che per una parte cospicua le importazioni di occhiali siano prodotti che giungono in provincia per completare il processo produttivo, per poi ripartire sotto forma di esportazioni verso altri Paesi esteri. In effetti, se analizziamo le importazioni per area geografica, si nota come solo il 5,9% provenga dall’UE 27 e il 94,1% dai Paesi extra UE, di cui l’84,8% dall’Asia e il 76,7% dalla Cina, mentre il rapporto era completamente ribaltato nel 1993 (tabella 4).

Grafico 5. Belluno. Importazioni di prodotti dell’occhialeria dai primi dieci Paesi di provenienza del 2009 (euro correnti). Anni 1993-2009

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1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Cina Stati Uniti Giappone Germania Austria Hong Kong Regno Unito Corea del Sud Francia Romania

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1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Stati Uniti Giappone Germania Austria Hong Kong Regno Unito Corea del Sud Francia Romania

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat Pur con un peso costantemente decrescente, fino al 1999 prevaleva ancora l’UE 27, da cui proveniva il 63,9% degli occhiali, quota scesa poi a 43,4% nel 2000; nel 2003 si era già a 38,7% che diventava 24% l’anno dopo. Scesa ulteriormente a 11% (2006), ha recuperato nel 2007 (12,1%), per andare sotto quota 10 nel 2008 (9,3%) e collocandosi, infine, a 5,9% nel 2009. La graduatoria dei primi venti Paesi di provenienza è completamente mutata e solo undici sono comuni nel 2009 e nel 1993; in entrambi i casi i primi venti coprono oltre il 99% del totale, ma già con i primi dieci si supera il 97% nel 2009 e si sfiora il 95% nel 1993, così che sarà sufficiente concentrarsi sull’evoluzione di questi. Dal primo all’ultimo anno è anche completamente cambiata la distribuzione delle quote di import: nel 1993 non vi era grande differenza tra Germania (al primo posto con un peso del 37,3%) e

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Francia (al secondo con il 32%) mentre diciassette anni dopo è abissale il divario tra Cina (prima con il 76,7%) e Stati Uniti (secondi con un assai più contenuto 8,4%). Inoltre, basta scendere al sesto posto della graduatoria 2009 (Hong Kong con 0,9%) per trovare quote inferiori all’1%, mentre nel 1993 ciò avveniva solo a partire dal dodicesimo Paese (Corea del Sud 0,9%). Il grafico 5 relativo alle importazioni dei primi dieci Paesi di provenienza del 2009 mette in evidenza il predominio del colosso asiatico: la Cina è passata dai 15 milioni di importazioni del 1999 ai 47 del 2000, anno dal quale inizia una forte crescita, culminata nel 2009 (264,7 milioni, pari al 76,7%). L’evoluzione dell’import da questo Paese è tale che la sua rappresentazione grafica appiattisce le serie relative agli altri Paesi, la somma dei quali, comunque, non arriva a coprire il 25% delle importazioni 2009. Nel riquadro in basso è riprodotto lo stesso grafico senza la Cina. A parte il picco nel 2000 (18 milioni) e nel 2001 (15,3), Hong Kong si muove su un sentiero pressoché costante. Fino al 1998 il Paese più importante era la Germania (15,7 milioni di euro, pari al 23,9% delle importazioni di occhiali di quell’anno), ma dal 1999 viene scavalcata dalla Cina. La Francia raggiunge il punto più alto nel 2001 (21,4 milioni), dopodiché perde progressivamente di importanza; evoluzione crescente anche quella del Giappone (anche nel 2009, con un massimo di 19,3 milioni) e – dal 2007 al 2009 – degli Stati Uniti. Il grafico 6 descrive l’evoluzione nel tempo, rispetto al 1993 scelto come anno base, dei primi dieci Paesi di destinazione del 2009 più Canada e Irlanda, che, pur non rientrando tra questi, appartengono ai primi dieci del 1993 (essendo gli altri sette comuni, come si evince dalla tabella 4). Il confronto tra numeri indici rende efficacemente l’idea di come è variata l’importanza di ciascuno di essi nel tempo.

Grafico 6. Belluno. Importazioni di prodotti dell’occhialeria: evoluzione dei primi dieci Paesi di provenienza del 2009 e del 1993 (Numeri indici, anno 1993=100), anni 1993-2009.

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1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Cina Stati Uniti Giappone Germania

Austria Hong Kong Regno Unito Corea del Sud

Francia Romania Canada Irlanda

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1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Cina Stati Uniti Giappone Germania

Austria Regno Unito Corea del Sud Francia

Romania Canada Irlanda

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A. su dati Istat La peculiarità del grafico 6 (parte superiore) è data dall’andamento di Hong Kong di cui si è già parlato. La sua importanza “schiaccia” graficamente tutti gli altri Paesi, così che è stato escluso dal riquadro in basso. A questo punto risulta evidentissima l’evoluzione della Cina, partita con un esiguo 1,8% delle importazioni del 1993 e salita vertiginosamente gli anni successivi: già nel 2000 superava il 30%, ma quattro anni dopo era oltre il 60%, raggiungendo la quota massima nel 2007 (78,8%), senza discostarsene significativamente nei due anni successivi. Il valore delle merci importate nel 2009 dalla Cina è 540 volte superiore a quello del 1993: questo andamento non può, naturalmente, essere scisso da quello simile visto per le esportazioni verso questo Paese e si spiega con la delocalizzazione della produzione, una cosa simile è osservabile anche per la Romania anche se con importi di tutt’altra portata. Infine, il grafico mette in evidenza il ridimensionamento di Germania, Francia, Giappone, Regno Unito e Austria, che, pur rientrando tra i maggiori del 2009, nel 1993 coprivano percentuali ben più elevate, (tabella 4), nonché l’uscita dalla scena dei primi dieci (ma anche dai primi venti) di Canada e Irlanda. Emblematico è il caso della Slovenia, apparsa sulla scena dei Paesi di provenienza delle importazioni bellunesi nel 1996 e cresciuta di importanza fino al 2003, quando con il 15,6% sull’import totale si collocava in vetta alla graduatoria dei principali Paesi di importazione; già l’anno successivo, però, il suo apporto era dimezzato e il calo proseguiva drasticamente negli anni seguenti fino ad arrivare al 2009 quando “vale” solo lo 0,02% dell’import del settore. Infine va citata l’India, anche se non appare nel grafico: pur movimentando un esiguo 0,1% che le vale il ventesimo posto nella graduatoria 2009, la sua crescita è recentissima e risale completamente agli anni Duemila.

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I macchinari

Con riferimento alla tabella 2 e al grafico 1 i macchinari4 sono la seconda merce di esportazione dell’industria manifatturiera bellunese per tutto il periodo 1993-2009, ma gli importi sono di gran lunga inferiori a quelli degli occhiali. In termini di peso percentuale, si tratta del 17,6% di tutte le esportazioni del 1993 e del 15,6% di quelle del 2009. Il peso di questa merce è stato massimo nel 1996 (20,4%), ma in termini assoluti il valore più elevato sono i 443,5 milioni di euro fatturati nel 2007; l’andamento delle esportazioni segue un trend di crescita dal 1993 al 2007, con due contrazioni nei due anni successivi (var.% 2008/2007 pari a -9,8% e 2009/2008 a -19,4%). Grafico 7. Belluno. Esportazioni ed importazioni di macchinari verso l’Unione europea a 27 membri e verso i Paesi extra UE 27 (milioni di euro correnti). Anni 1993-2009

EXPORT DI MACCHINARI

0,0

50,0

100,0

150,0

200,0

250,0

300,0

350,0

400,0

450,0

500,0

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

[Extra Ue27] [Unione europea 27] [MONDO]

IMPORT DI MACCHINARI

0,0

20,0

40,0

60,0

80,0

100,0

120,0

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

[Extra Ue27] [Unione europea 27] [MONDO]

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

Si evince dal grafico 7 che la maggior parte delle esportazioni si indirizza ogni anno verso i Paesi UE 27, la cui serie storica riproduce in toto l’andamento totale, mentre più basso e smorzato (anche nella fase discendente) appare quello verso i Paesi extra UE 27. Nel 1993 la partecipazione dell’UE 27 sul totale delle esportazioni di macchinari sfiorava l’80%, la quota più elevata in tutta la serie storica. Nella graduatoria dei primi venti Paesi del 2009 quattordici sono comuni al 1993 (tabella 5): a differenza dei prodotti dell’occhialeria, c’è una minore concentrazione delle percentuali tra il primo Paese e tutti gli altri. Francia e Germania sono al primo e al secondo posto, con una percentuale di esportazioni di macchinari pari rispettivamente a 14,8% e a 11,8%: il loro andamento è ben visualizzato nel grafico 8, dedicato all’evoluzione delle esportazioni dei primi dieci Paesi del 2009. Dallo stesso si evince come la Francia ha acquisito importanza nel tempo: era quinta nel 1993 con una quota di 7,4%, salita a 15,5% nel 2006. Dal 2003 al 2007 le esportazioni di macchinari verso questo Paese sono state in costante aumento, raggiungendo il massimo (65 milioni di euro) in quell’anno e scendendo nei due successivi (48 milioni nel 2009). La Germania, secondo Paese del 2009, era primo nel 1993 con 24 milioni di euro e una quota pari a 18,6%. Nei rapporti con la Germania si visualizzano due fasi di crescita (dal 1996 al 1999 e successivamente dal 2005 al 2007), ma ciò che appare significativo è la progressione verificatasi nel 2009, quando tutti gli altri Paesi mostrano un decremento.

4 I macchinari sono identificati dal codice “CK-Macchinari e altri apparecchi elettrici non classificati altrove” e comprende a sua volta le voci “CK281-Macchine di impiego generale”, CK282-Altre macchine di impiego generale, CK283-Macchine per l'agricoltura e la silvicoltura, CK284-Macchine per la formatura dei metalli e altre macchine utensili, CK289-Altre macchine per impieghi speciali, che qui consideriamo solo complessivamente.

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Terzo Paese 2009 è la Spagna (6,8% del totale), sesta (6,1%) nel 1993: ha vissuto tre fasi ascendenti tra il 1993 e il 1995, tra il 1997 e il 2000 e dal 2005 al 2007 (anno in cui si è raggiunto il massimo con 32 milioni di euro), ma nel 2009 il calo pesante (-27,7%) ha fatto scendere le esportazioni a 21,8 milioni, un valore di poco superiore a quello del 1997. Quarta è la Turchia, che nel 1993 verso la quale si esportava solo lo 0,3% dei macchinari totali per 324mila euro: da allora la sua crescita è stata graduale fino al 2006 (4,6 milioni di euro), esplosiva fino al 2009 con 21,8 milioni; come la Germania, dal 2008 al 2009 ha avuto un aumento considerevole (+36,5%) non comune agli altri Paesi. Tabella 5. Belluno. Esportazioni di macchinari per continenti e principali Paesi (euro correnti). Anni 2009 e 1993.

Continenti e aree Anno Peso % Continenti e aree Anno Peso %

MONDO 322.246.816 100,0 MONDO 127.909.926 100,0Unione europea 27 214.971.488 66,7 Unione europea 27 101.904.247 79,7Extra Ue27 107.275.328 33,3 Extra Ue27 26.005.679 20,3EUROPA 267.342.903 83,0 EUROPA 109.847.593 85,9ASIA 32.676.736 10,1 ASIA 11.646.563 9,1AFRICA 14.356.121 4,5 AFRICA 2.786.025 2,2AMERICA 4.711.549 1,5 AMERICA 3.557.539 2,8OCEANIA E ALTRI TERRITORI 3.159.507 1,0 OCEANIA E ALTRI TERRITORI 72.206 0,1

Paesi Anno Peso % Paesi Anno Peso %

Francia 47.658.216 14,8 Germania 23.772.289 18,6Germania 38.169.984 11,8 Danimarca 15.318.797 12,0Spagna 21.799.610 6,8 Regno Unito 13.992.655 10,9Turchia 20.128.802 6,2 Austria 9.745.952 7,6Svizzera 17.330.655 5,4 Francia 9.451.820 7,4Regno Unito 16.955.375 5,3 Spagna 7.804.852 6,1Slovenia 13.629.651 4,2 Hong Kong 5.168.291 4,0Polonia 9.790.497 3,0 Svezia 5.075.120 4,0Austria 8.773.050 2,7 Svizzera 3.348.614 2,6Algeria 6.939.908 2,2 Slovacchia 2.877.762 2,2Paesi Bassi 6.633.545 2,1 Russia 2.868.383 2,2Belgio 6.605.556 2,0 Belgio e Lussemburgo 2.262.747 1,8Ungheria 5.972.520 1,9 Grecia 2.226.486 1,7Grecia 5.888.690 1,8 Slovenia 1.275.568 1,0Portogallo 5.781.140 1,8 Finlandia 1.264.258 1,0Svezia 5.718.893 1,8 Ceca, Repubblica 1.239.011 1,0Russia 5.152.010 1,6 Arabia Saudita 1.169.700 0,9India 4.711.881 1,5 Paesi Bassi 1.032.869 0,8Romania 4.702.884 1,5 Portogallo 990.399 0,8Emirati Arabi Uniti 4.690.059 1,5 Emirati Arabi Uniti 965.579 0,8Somma dei primi 20 Paesi 257.032.926 79,8 Somma dei primi 20 Paesi 111.851.152 87,4Altri Paesi 65.213.890 20,2 Altri Paesi 16.058.774 12,6

Totale export macchinari 322.246.816 100,0 Totale export macchinari 127.909.926 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

2009 1993

La crescita più sostenuta della Svizzera (quinta con 5,4%) va dal 2000 (3,7 milioni di euro) al 2008 (27,9 milioni), scesi a 17,3 l’ultimo anno. Più altalenante è l’andamento del Regno Unito, nel 2009 sesto con 17 milioni, pari a 5,3%, ma terzo nel 1993 con quasi 14 milioni, allora pari al 10,9%; dal primo all’ultimo anno ha visto tre fasi di crescita sostenuta: dal 1993 al 1995, dal 1999 al 2003 e soprattutto dal 2006 al 2007, quando raggiunge il massimo con 36,4 milioni di euro, per poi scendere pesante nel recente biennio. La Slovenia ha un andamento in leggera crescita dal 1993 al 2001, costante fino al 2003 con un calo nel 1994, ma la ripresa è netta fino al 2008, quando importa 17,3 milioni di euro di macchinari, scesi a 13,7 nel 2009 (4,2% del totale, settimo Paese per importanza).

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Interessante appare l’evoluzione della Polonia: in crescita già nei primi anni, vede due forti accelerazioni dal 2001 al 2004 e dal 2005 al 2007 e una fase di decelerazione piuttosto sostenuta dal 2007 al 2009. L’Austria si caratterizza per una serie di piccole oscillazioni lungo un trend sostanzialmente costante dal 1993 al 2009, mentre l’Algeria deve la sua decima posizione ai 6,9 milioni di euro importati nel 2009, secondo un’evoluzione positiva dell’ultimo quinquennio.

Grafico 8. Belluno. Esportazioni di macchinari verso i primi dieci Paesi del 2009 (euro correnti). Anni 1993-2009

0

10.000.000

20.000.000

30.000.000

40.000.000

50.000.000

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1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

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2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Francia Germania Spagna Turchia Svizzera

0

5.000.000

10.000.000

15.000.000

20.000.000

25.000.000

30.000.000

35.000.000

40.000.000

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Regno Unito Slovenia Polonia Austria Algeria

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

Volendo valutare quanto si sono evoluti i principali Paesi di destinazione rispetto all’inizio delle osservazioni, sono stati costruiti degli indici scegliendo il 1993 come anno base, oggetto del grafico 9: dallo stesso emerge la crescita di Ungheria, Polonia e Algeria (riquadro superiore) e di Romania e India (riquadro inferiore)

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Grafico 9. Belluno. Esportazioni di macchinari: evoluzione dei primi venti Paesi di destinazione del 2009 e del 1993 (Numeri indici, anno 1993=100), anni 1993-2009.

0,0

2000,0

4000,0

6000,0

8000,0

10000,0

12000,0

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Francia Germania Spagna Turchia Svizzera Regno Unito Slovenia Polonia Austria Algeria Paesi Bassi Belgio Ungheria

0,0

50000,0

100000,0

150000,0

200000,0

250000,0

300000,0

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Grecia Portogallo Svezia Russia India Romania Emirati Arabi Uniti Ceca, Repubblica Arabia Saudita Hong Kong Finlandia Danimarca Slovacchia

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat Quanto alle importazioni di macchinari, va evidenziato con riferimento alla tabella 2 che mentre costruiscono il secondo prodotto d’importazione nel 2009, nel 1993 erano il quarto, nonostante il peso percentuale fosse maggiore (8,2% e 10,6% rispettivamente). Il totale delle importazioni di macchinari ha vissuto due fasi espansive: dal 1993 al 2001 e una più forte dal 2003 al 2007, con un ripiegamento negli ultimi due anni. Dal 1993 al 2009 le importazioni sono state sempre inferiori alle esportazioni, così che dal commercio di macchinari deriva un saldo della bilancia commerciale costantemente attivo. Come per le esportazioni, è evidente dalla tabella 6 che la maggior parte delle importazioni proviene dai Paesi dell’UE 27 (l’86,9% nel 2009 e l’85,7% nel 1993) e il grafico 7 evidenzia che questa tendenza è stata costante in tutto il periodo considerato. Riguardo ai primi venti Paesi di provenienza delle importazioni di macchinari, si vede dalla tabella 6 che quindici sono comuni e che la somma dei principali Paesi copre il 95,5% del valore dei macchinari importati nel 2009 e l’86,5% del 1993, ma già con i primi dieci si raggiungono delle percentuali piuttosto elevate (84,9% e 85,2%), tanto più che dalla tredicesima posizione gli importi movimentati sono inferiori al milione di euro. Nel grafico 10 si riporta l’andamento dei primi sei Paesi del 2009, per valutare in quello successivo le perfomance dei venticinque Paesi (i primi venti del 2009 più i cinque presenti solo nella graduatoria del 1993) attraverso numeri indici.

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Tabella 6. Belluno. Importazioni di macchinari per continenti e principali Paesi (euro correnti). Anni 2009 e 1993.

Continenti e aree Anno Peso % Continenti e aree Anno Peso %

MONDO 58.352.898 100,0 MONDO 20.742.265 100,0EUROPA 55.402.611 94,9 EUROPA 19.298.158 93,0Unione europea 27 50.721.756 86,9 Unione europea 27 17.767.445 85,7Extra Ue27 7.631.142 13,1 Extra Ue27 2.974.821 14,3ASIA 2.546.703 4,4 ASIA 947.225 4,6AFRICA 246.031 0,4 AFRICA - 0,0AMERICA 157.553 0,3 AMERICA 478.766 2,3OCEANIA E ALTRI TERRITORI - 0,0 OCEANIA E ALTRI TERRITORI 18.116 0,1

Paesi Anno Peso % Paesi Anno Peso %

Germania 13.870.112 23,8 Germania 6.449.214 31,1Francia 8.653.241 14,8 Austria 2.767.251 13,3Austria 7.425.020 12,7 Francia 1.798.347 8,7Belgio 6.590.001 11,3 Svizzera 1.498.300 7,2Finlandia 3.161.747 5,4 Regno Unito 1.461.068 7,0Svizzera 2.622.016 4,5 Spagna 1.404.956 6,8Spagna 1.996.388 3,4 Paesi Bassi 943.048 4,5Regno Unito 1.931.228 3,3 Giappone 684.637 3,3Cina 1.817.773 3,1 Stati Uniti 478.766 2,3Ceca, Repubblica 1.497.951 2,6 Malaysia 184.596 0,9Croazia 1.437.212 2,5 Svezia 98.748 0,5Irlanda 1.087.495 1,9 Taiwan 73.508 0,4Paesi Bassi 936.841 1,6 Slovenia 46.579 0,2Slovacchia 876.114 1,5 Turchia 26.060 0,1Turchia 445.679 0,8 Grecia 14.461 0,1Israele 413.265 0,7 Irlanda 6.505 0,0Svezia 368.834 0,6 Finlandia 5.675 0,0Slovenia 235.507 0,4 Slovacchia 5.216 0,0Etiopia 211.969 0,4 Croazia 3.161 0,0Russia 169.392 0,3 Ceca, Repubblica 2.120 0,0Somma dei primi 20 Paesi 55.747.785 95,5 Somma dei primi 20 Paesi 17.952.216 86,5Altri Paesi 2.605.113 4,5 Altri Paesi 2.790.049 13,5

Totale import macchinari 58.352.898 100,0 Totale import macchinari 20.742.265 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

2009 1993

Il primo Paese è la Germania, da cui nel 2009 sono partiti macchinari per 13,9 milioni di euro pari al 23,8% del totale; essa ha mantenuto la prima posizione in tutto il periodo considerato, ad eccezione del 1999. A parte la caduta finale, comune al totale delle importazioni di macchinari e a quasi tutti i Paesi, l’andamento è sempre stato crescente soprattutto nel periodo 2004-2007. Importante, ma più contenuto il trend del Belgio, ridimensionatosi negli anni Duemila, quando Francia e Austria hanno espresso dinamiche migliori e ascendenti.

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Grafico 10. Belluno. Importazione di macchinari dai primi sei Paesi di provenienza del 2009, anni 1993-2009.

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5.000.000

10.000.000

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1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Germania Francia Austria Belgio Finlandia Svizzera

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

E’ attraverso il grafico 11 che riusciamo a intuire quanto sia mutata nel tempo l’importanza dei primi venti Paesi rispetto al 1993 scelto come base (dal grafico è esclusa l’Etiopia, che si è resa protagonista di un unico episodio nel 2009). A parte l’andamento altalenante della Finlandia, nella parte superiore si stagliano le serie relative alla Repubblica Ceca e alla Croazia, seguite da Cina e (nel secondo gruppo) Slovacchia, Paesi le cui dinamiche commerciali sono storia recente; rilevante anche l’importanza assunta dal 2004 da Israele, che nel 2009 è sedicesimo con lo 0,7%.

Grafico 11. Belluno. Importazioni di macchinari: evoluzione dei primi venti Paesi di destinazione del 2009 e del 1993 (Numeri indici, anno 1993=100), anni 1993-2009.

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1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Germania Francia Austria Belgio Finlandia Svizzera Spagna Regno Unito Cina Ceca, Repubblica Croazia Irlanda

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

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1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Paesi Bassi Slovacchia Turchia Israele Svezia Slovenia Russia Stati Uniti Giappone Taiw an Malaysia Grecia

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

Apparecchiature elettriche

Le apparecchiature elettriche5 sono il terzo prodotto di esportazione del 2009, con 79,8 milioni di euro, pari al 3,9% delle esportazioni totali, ma nel 1993 erano l’ottavo, con 16,1 milioni di euro e il 2,2% del totale. La serie storica riprodotta al grafico 12 evidenzia una crescita costante dal 1993 al 2008, anno in cui si raggiunge il picco massimo di 95,7 milioni di euro, solo di poco superiore ai 95,6 dell’anno precedente. In tutti gli anni la destinazione assolutamente prevalente è l’Unione a 27 membri, verso la quale si è indirizzato il 71,2% delle esportazioni di apparecchiature elettriche del 2009 e addirittura il 79,7% di quelle del 1993. La tabella 7 riassume la principali informazioni per area, continente e primi venti Paesi di destinazione del 1993 e del 2009. Si nota innanzitutto che dal 1993 al 2003 è aumentata l’incidenza dei Paesi extra UE 27, passata da 23,3 a 27,8%, ma anche la graduatoria dei primi venti Paesi di destinazione delle apparecchiature elettriche è molto modificata, essendocene solo undici in comune a inizio e fine periodo: già tra i primi dieci del 2009 sei non compaiono nella classifica del 1993. In entrambi gli anni la somma delle esportazioni verso i primi venti mercati copre il 94% del totale; i primi tre (Polonia, Spagna e Francia) costituiscono il 43,5% delle esportazioni di apparecchiature elettriche del 2009, ma nel 1993 con i primi due Paesi già si superava il 50% (36,4% la Germania e 14,7% la Francia).

5 Le altre apparecchiature elettriche comprendono le voci “CJ271-Motori, generatori e trasformatori elettrici; apparecchiature per la distribuzione e il controllo dell’elettricità; CJ272-Batterie di pile e accumulatori elettrici; CJ273-Apparecchiature di cablaggio; CJ274-Apparecchiature per illuminazione; CJ279-Altre apparecchiature elettriche. In pratica sono ciò che residua dalla voce “CJ-Apparecchi elettrici” dopo che è stata tolta la componente CJ275-Apparecchi per uso domestico.

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Grafico 12. Belluno. Esportazioni ed importazioni di apparecchiature elettriche verso l’Unione europea a 27 membri e verso i Paesi extra UE 27 (euro correnti). Anni 1993-2009

EXPORT DI APPARECCHIATURE ELETTRICHE

0

20.000.000

40.000.000

60.000.000

80.000.000

100.000.000

120.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

[MONDO] [Unione europea 27] [Extra Ue27]

IMPORT DI APPARECCHIATURE ELETTRICHE

0

5.000.000

10.000.000

15.000.000

20.000.000

25.000.000

30.000.000

35.000.000

40.000.000

45.000.000

50.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

[MONDO] [Extra Ue27] [Unione europea 27]

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A. su dati Istat

Grafico 13. Belluno. Esportazioni di apparecchiature elettriche: evoluzione dei principali Paesi di destinazione del 2009 e del 1993 (Numeri indici, anno 1993=100), anni 1993-2009.

0,0

10.000,0

20.000,0

30.000,0

40.000,0

50.000,0

60.000,0

70.000,0

80.000,0

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Polonia Spagna Francia Croazia Germania Slovenia

0

1.000.000

2.000.000

3.000.000

4.000.000

5.000.000

6.000.000

7.000.000

8.000.000

9.000.000

10.000.000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Turchia Russia Ungheria Tunisia Romania

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

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Tabella 7. Belluno. Esportazioni di apparecchiature elettriche per continenti e principali Paesi (euro correnti). Anni 2009 e 1993

Continenti e aree Anno Peso % Continenti e aree Anno Peso %

MONDO 79.817.138 100,0 MONDO 16.123.270 100,0EUROPA 72.321.038 90,6 EUROPA 13.652.251 84,7Unione europea 27 57.599.946 72,2 Unione europea 27 12.847.870 79,7Extra Ue27 22.217.192 27,8 Extra Ue27 3.275.401 20,3AFRICA 3.108.512 3,9 AFRICA 131.235 0,8ASIA 3.088.792 3,9 ASIA 754.094 4,7AMERICA 1.113.081 1,4 AMERICA 980.470 6,1OCEANIA E ALTRI TERRITORI 185.715 0,2 OCEANIA E ALTRI TERRITORI 605.220 3,8

Paesi Anno Peso % Paesi Anno Peso %

Polonia 15.024.009 18,8 Germania 5.868.796 36,4Spagna 10.667.118 13,4 Francia 2.377.863 14,7Francia 9.034.404 11,3 Regno Unito 1.223.448 7,6Croazia 7.076.036 8,9 Austria 851.184 5,3Germania 4.380.105 5,5 Svizzera 638.099 4,0Slovenia 4.063.065 5,1 Austra lia 602.946 3,7Turchia 3.708.276 4,6 Spagna 601.232 3,7Russia 2.915.223 3,7 Stati Uniti 592.074 3,7Ungheria 2.534.646 3,2 Svezia 467.693 2,9Tunisia 2.452.901 3,1 Finlandia 310.895 1,9Romania 2.277.951 2,9 Belgio e Lussemburgo 262.617 1,6Hong Kong 2.078.736 2,6 Paesi Bassi 242.877 1,5Austria 2.036.468 2,6 Giappone 193.028 1,2Regno Unito 1.571.059 2,0 Hong Kong 170.371 1,1Danimarca 1.425.490 1,8 Singapore 167.295 1,0Slovacchia 1.104.031 1,4 Messico 162.658 1,0Svizzera 865.787 1,1 Canada 140.341 0,9Stati Uni ti 780.719 1,0 Danimarca 116.394 0,7Svezia 764.110 1,0 Grecia 102.097 0,6Libia 533.684 0,7 Slovenia 101.726 0,6Somma dei primi 20 Paesi 75.293.818 94,3 Somma dei primi 20 Paesi 15.193.634 94,2Altri Paesi 4.523.320 5,7 Altri Paesi 929.636 94,2Tot. export appar. elettriche 79.817.138 100,0 Tot. export appar. elettriche 16.123.270 94,2

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

2009 1993

L’andamento delle importazioni di apparecchiature elettriche per lo riproduce quello delle esportazioni, come si evince dal grafico 12: esse sono in crescita costante dal 1993, con un’accelerazione a partire dal 1999 fino al 2008, anno in cui valevano 42,9 milioni di euro, mentre risentono di un ripiegamento nel 2009 (38 milioni, cioè il 5,2% di tutte le importazioni bellunesi). Per tutto il periodo esaminato le importazioni sono state inferiori alle esportazioni, così che anche da questo prodotto deriva un saldo della bilancia commerciale costantemente positivo. Come le esportazioni, la grandissima parte dei movimenti ha per protagonisti i Paesi dell’Unione Europea a 27 membri, tuttavia si evince graficamente che la distanza tra il mercato interno all’Unione e quello esterno, si assottiglia a partire dal 2005, anno in cui le esportazioni verso l’UE 27 calano e quelle verso l’Extra UE 27 continuano ad aumentare fino al 2007, poi dopo il declino del 2008 riprendono quota nel 2009 quando gli acquisti dai Paesi al di fuori dell’Europa si rivelano superiori a quelli dall’Europa (21,2 e 16,2 milioni di euro rispettivamente).

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Tabella 8. Belluno. Importazioni di apparecchiature elettriche per continenti e principali Paesi (euro correnti). Anni 2009 e 1993 2009 1993

Paesi Anno Peso % Paesi Anno Peso %

Cina 7.577.412 20,2 Spagna 2.580.492 30,9Germania 5.521.199 14,7 Germania 2.148.880 25,7Romania 4.301.964 11,5 Paesi Bassi 825.526 9,9Tunisia 2.464.389 6,6 Francia 598.175 7,2Paesi Bassi 1.581.019 4,2 Cina 436.088 5,2Slovacchia 1.287.503 3,4 Taiwan 404.530 4,8Slovenia 836.919 2,2 Filippine 393.787 4,7Belgio 583.843 1,6 Austria 196.665 2,4Spagna 529.782 1,4 Giappone 192.425 2,3India 450.603 1,2 Malaysia 121.300 1,5Ungheria 370.988 1,0 Stati Uniti 120.517 1,4Francia 331.035 0,9 Regno Unito 70.365 0,8Danimarca 322.447 0,9 Thailandia 47.436 0,6Svizzera 315.149 0,8 Belgio e Lussemburgo 36.811 0,4Austria 296.138 0,8 Bulgaria 34.883 0,4Taiwan 175.811 0,5 Slovacchia 29.290 0,4Stati Uni ti 160.083 0,4 Svezia 24.974 0,3Thailandia 130.441 0,3 Svizzera 10.640 0,1Giappone 97.896 0,3 Grecia 9.832 0,1Indonesia 80.874 0,2 Polon ia 6.017 0,1Somma dei primi 20 Paesi 27.415.495 73,1 Somma dei primi 20 Paesi 8.288.633 99,3Altri Paesi 10.080.412 26,9 Altri Paesi 58.865 0,7Tot. import appar. elettriche 37.495.907 100,0 Tot. import appar. elettriche 8.347.498 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat La geografia dei primi venti Paesi importatori è molto cambiata nel 2009 rispetto al 1993: il fatto che il primo Paese sia la Cina (7,6 milioni di euro pari al 20,2%) rispetto alla Spagna del 1993 (2,6 milioni pari a 30,9) è emblematico dell’avvenuto mutamento. Su venti Paesi, tredici sono comuni nel primo e nell’ultimo anno di osservazione; se nel 2009 i primi venti Paesi arrivano a spiegare il 73% delle importazioni di apparecchiature elettriche, nel 1993 si superava il 99%. Infatti, la somma di Cina, Germania e Romania (i primi tre del 2009) costituisce il 46,4%, ma nel 1993 Spagna e Germania da sole arrivavano al 56,6%. L’analisi per numeri indici di cui al grafico 14 individua come Paesi di maggiore crescita la Slovenia e negli anni 2000 la Romania, che raggiunge il suo massimo nel 2008 (9,8 milioni di euro) ed è seconda nel 2009. La Slovacchia acquista importanza dal 1998 al 2002, dopodiché le importazioni si mantengono pressoché costanti (eccetto il calo del 2009), mentre India e Danimarca raggiungono il loro punto di massimo nel 2009, al culmine di una fase crescente iniziata rispettivamente nel 2007 e nel 2005.

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Grafico 14. Belluno. Importazioni di apparecchiature elettriche: evoluzione dei principali Paesi di provenienza del 2009. (Numeri indici, anno 1993=100), anni 1993-2009

-

10.000,0

20.000,0

30.000,0

40.000,0

50.000,0

60.000,0

70.000,0

80.000,0

90.000,0

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Cina Germania Romania Tunisia

Paesi Bassi Slovacchia Slovenia

-

2.000,0

4.000,0

6.000,0

8.000,0

10.000,0

12.000,0

14.000,0

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Belgio Spagna India Ungheria Francia Danimarca

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

I prodotti dell’elettronica

I prodotti dell’elettronica6 sono il quarto aggregato per importanza nella graduatoria delle esportazioni del 2009 con 71,9 milioni di export, pari al 3,5% del totale; nel 1993 erano al nono posto con 14,3 milioni di euro, il 2% delle esportazioni di quell’anno.

6 I prodotti dell’elettronica, apparecchi medicali e di misurazione (ad esclusione degli occhiali) sono individuati dai codici “ CI261 – Componenti elettronici e schede elettroniche”, “CI262 – Computer e unità

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Il grafico 15 riproduce le serie storiche dell’export e dell’import; l’export vede il suo punto di massimo nei 137 milioni del 2006 (5,7% sul totale esportazioni), ma il peso percentuale di questi prodotti sul totale delle esportazioni provinciali è stato maggiore nel 2004 (7%); l’andamento è fortemente crescente fino al 2006, mentre la contrazione degli ultimi anni ha inizio nel 2007, anno in cui si è verificata la massima espansione delle esportazioni totali e della maggior parte dei principali prodotti. Grafico 15. Belluno. Esportazioni e importazioni di prodotti dell’elettronica verso l’Unione europea a 27 membri e verso i Paesi extra UE 27 (euro correnti). Anni 1993-2009.

EXPORT di PRODOTTI ELETTRONICI

0

20.000.000

40.000.000

60.000.000

80.000.000

100.000.000

120.000.000

140.000.000

160.000.000

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

[MONDO] [Unione europea 27] [Extra Ue27]

IMPORT di PRODOTTI ELETTRONICI

0

10.000.000

20.000.000

30.000.000

40.000.000

50.000.000

60.000.000

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

[MONDO] [Unione europea 27] [Extra Ue27]

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A. su dati Istat

La maggior parte delle esportazioni si indirizza sempre verso i Paesi dell’Unione, che ne assorbe una percentuale pari al 65,7% nel 2009, ma addirittura 85,4% nel 1993 (tabella 9). Nella graduatoria dei principali destinatari del 2009 ne troviamo quattro (Regno Unito, Francia, Spagna e Germania) che detengono le percentuali maggiori e che sono (pur con ordini diversi) i quattro principali anche del 1993, ma in diciassette anni il loro peso complessivo si è di molto ridimensionato (da 71 a 37,9%) per l’affacciarsi di nuovi Paesi. Si nota, infatti, che dall’inizio alla fine del periodo analizzato la geografia dei primi venti è molto diversa, in particolare Polonia, Russia, Croazia, Cina, Slovacchia, India e Romania (in tabella 9 presenti nel 2009, ma non nel 1993) sono Paesi che assumono importanza nel panorama internazionale soprattutto in tempi recenti. L’analisi dei numeri indici proposta al grafico 16 ne è la conferma: si vede la crescita di Croazia, Cina, Russia, Polonia Slovacchia e Romania (più recente, anche se più contenuta). Anche le importazioni gravitano prevalentemente verso i Paesi dell’UE 27 (il 60,2% nel 2009) e per tutto il periodo si mantengono inferiori alle esportazioni, così che il saldo della bilancia commerciale è costantemente positivo. Anche in questo caso la geografia dei principali Paesi d’importazione è profondamente mutata: tra i primi venti del 2009, dodici compaiono anche nella graduatoria del 1993 e tra gli otto esordienti, la Cina occupa il primo posto con un 12,6% delle importazioni di questo prodotto. Croazia, Romania, Tunisia e in seconda battuta Repubblica Ceca, Bulgaria e Slovacchia occupano posti rilevanti e la loro crescita appartiene ad anni recenti.

periferiche”, “CI263 – Apparecchiature per le telecomunicazioni”, “CI264 – Prodotti di elettronica di consumo audio e video”, “CI265 – Strumenti e apparecchi di misurazione, prova e navigazione; orologi”, “CI266 – Strumenti per irradiazione, apparecchiature elettromedicali ed elettroterapeutiche”, “CI268 – Supporti magnetici e ottici”.

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Tabella 9. Belluno. Esportazioni di prodotti dell’elettronica per continenti e principali Paesi (euro correnti). Anni 2009 e 1993

Continenti e aree Anno Peso % Continenti e aree Anno Peso %

MONDO 71.941.297 100,0 MONDO 31.556.554 100,0Unione europea 27 47.262.183 65,7 Unione europea 27 26.938.869 85,4Extra Ue27 24.679.114 34,3 Extra Ue27 4.617.685 14,6EUROPA 56.488.426 78,5 EUROPA 28.672.106 90,9

ASIA 8.485.473 11,8 ASIA 1.301.333 4,1AMERICA 3.633.299 5,1 AMERICA 1.412.932 4,5

AFRICA 2.316.252 3,2 AFRICA 74.608 0,2OCEANIA E ALTRI TERRITORI 1.017.847 1,4 OCEANIA E ALTRI TERRITORI 95.577 0,3

Paesi Anno Peso % Paesi Anno Peso %

Regno Unito 7.798.275 10,8 Germania 8.728.305 27,7Francia 7.056.703 9,8 Francia 5.795.806 18,4Spagna 6.810.993 9,5 Spagna 4.964.504 15,7Germania 5.588.907 7,8 Regno Unito 2.929.323 9,3Polonia 3.334.682 4,6 Turchia 1.039.398 3,3Russia 3.018.071 4,2 Stati Uniti 1.010.836 3,2Croazia 2.565.574 3,6 Austria 894.054 2,8Danimarca 2.400.558 3,3 Svezia 803.575 2,5Stati Uni ti 2.391.734 3,3 Finlandia 658.265 2,1

Cina 2.349.506 3,3 Belgio e Lussemburgo 645.853 2,0Slovacchia 2.129.011 3,0 Svizzera 526.457 1,7Turchia 2.127.495 3,0 Paesi Bassi 385.332 1,2Singapore 1.486.527 2,1 Grecia 295.036 0,9Grecia 1.476.720 2,1 Singapore 277.767 0,9India 1.470.531 2,0 Thailandia 225.390 0,7Sudafrica 1.301.014 1,8 Danimarca 217.084 0,7Romania 1.110.719 1,5 Corea del Sud 179.570 0,6Portogallo 1.107.385 1,5 Taiwan 166.442 0,5Slovenia 1.097.978 1,5 Ceca, Repubblica 137.157 0,4Paesi Bassi 1.067.472 1,5 Irlanda 128.734 0,4

Somma dei primi 20 Paesi 57.689.855 80,2 Somma dei primi 20 Paesi 30.008.888 95,1Altri Paesi 14.251.442 19,8 Altri Paesi 1.547.666 4,9Totale export elettronica 71.941.297 100,0 Totale export elettronica 31.556.554 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

2009 1993

Grafico 16. Belluno. Esportazioni di prodotti dell’elettronica: evoluzione dei primi venti Paesi di destinazione del 2009. (Numeri indici, anno 1993=100), anni 1993-2009

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Regno Unito Francia Spagna Germania Polonia

Russia Croazia Danimarca Stati Uniti Cina

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80

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

70000

80000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Slovacchia Turchia Singapore Grecia India

Sudafrica Romania Portogallo Slovenia Paesi Bassi

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

Tabella 10. Belluno. Importazioni di prodotti dell’elettronica per continenti e principali Paesi (euro correnti). Anni 2009 e 1993

Continenti e aree Anno Peso % Continenti e aree Anno Peso %

MONDO 27.970.771 100,0 MONDO 10.808.577 100,0Unione europea 27 16.831.428 60,2 Unione europea 27 7.296.043 67,5

Extra Ue27 11.139.343 39,8 Extra Ue27 3.512.534 32,5EUROPA 20.236.099 72,3 EUROPA 10.432.609 96,5ASIA 4.685.193 16,8 ASIA 172.590 1,6

AMERICA 319.586 1,1 AMERICA 203.379 1,9AFRICA 2.690.344 9,6 AFRICA - 0,0OCEANIA E ALTRI TERRITORI 39549 0,1 OCEANIA E ALTRI TERRITORI - 0,0

Paesi Anno Peso % Paesi Anno Peso %

Cina 3.537.886 12,6 Germania 3.291.984 30,5Croazia 3.372.099 12,1 Croazia 3.048.413 28,2

Paesi Bassi 3.179.699 11,4 Francia 1.995.709 18,5Romania 3.062.048 10,9 Regno Unito 463.763 4,3

Germania 2.847.225 10,2 Slovenia 445.527 4,1Tunisia 2.687.467 9,6 Austria 359.969 3,3Danimarca 2.083.254 7,4 Belgio e Lussemburgo 347.909 3,2

Regno Unito 1.819.141 6,5 Svezia 236.989 2,2Spagna 972.423 3,5 Stati Uniti 203.379 1,9Francia 809.775 2,9 Svizzera 81.654 0,8

Taiwan 752.999 2,7 Giappone 68.466 0,6Ceca, Repubblica 560.244 2,0 Danimarca 49.412 0,5Bulgaria 556.538 2,0 Filippine 38.037 0,4

Slovenia 254.409 0,9 Grecia 37.133 0,3Slovacchia 230.824 0,8 Taiwan 31.881 0,3

Stati Uni ti 206.557 0,7 Paesi Bassi 29.535 0,3Austria 190.062 0,7 Spagna 28.737 0,3Malaysia 154.346 0,6 Corea del Sud 21.963 0,2

Messico 113.029 0,4 Hong Kong 6.836 0,1Singapore 87.900 0,3 Norvegia 5.155 0,0Somma dei primi 20 Paesi 27.477.925 98,2 Somma dei primi 20 Paesi 10.792.451 99,9

Altri Paesi 492.846 1,8 Altri Paesi 16.126 0,1Totale import elettronica 27.970.771 100,0 Totale import elettronica 10.808.577 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

2009 1993

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81

Grafico 17. Belluno. Importazioni di prodotti dell’elettronica: evoluzione dei primi venti Paesi di destinazione del 2009. (Numeri indici, anno 1993=100), anni 1993-2009

0

50000

100000

150000

200000

250000

300000

350000

400000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Cina Croazia Paesi Bassi Romania Germania

Tunisia Danimarca Regno Unito Spagna Francia

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

40000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Croazia Paesi Bassi Romania Germania Tunisia

Danimarca Regno Unito Spagna Francia

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Taiw an Ceca, Repubblica Bulgaria Slovenia Slovacchia Stati Uniti Austria Malaysia Messico Singapore

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

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Si evince chiaramente dal grafico 17, alla Cina appartiene l’evoluzione maggiore (soprattutto dal 2001 al 2005), tanto che il tracciato relativo al suo indice “schiaccia” gli andamenti degli altri (primo riquadro). Nel secondo riquadro, che traccia l’evoluzione dei primi dieci Paesi del 2009 eccetto la Cina, è evidente la crescita della Romania (dal 2003 fino al 2009), l’andamento crescente e poi decrescente della Spagna, ma dal terzo si coglie l’affacciarsi sulla scena nel 1999 della Bulgaria e il suo ridimensionamento degli ultimi tre anni. Gli altri prodotti

Concludiamo la rassegna dei principali prodotti trattando gli ultimi prodotti della graduatoria delle esportazioni del 2009 di cui alla tabella 2. Si tratta dei prodotti della metallurgia, gomma e plastica e carpenteria metallica, rispettivamente quinto, sesto e settimo; essi valgono nel complesso il 5,7% di tutte le merci esportate e movimentano merci ciascuno per valori vicini ai 40 milioni di euro. Carta e stampa, concia e lavorazioni pelli e prodotti alimentari (ottavo, nono e decimo) movimentano un 2,8%: l’importanza di tutti è, quindi, decisamente inferiore rispetto ai prodotti analizzati nelle pagine precedenti e le dinamiche vengono sinteticamente riassunte nel grafico 18. Le esportazioni dei prodotti della metallurgia sono andati crescendo dal 1993 fino al 2007, anno in cui hanno raggiunto l’importo massimo pari a 65 milioni di euro e dal 2008 hanno visto un naturale ripiegamento conseguente alla crisi. Essi sono il quarto prodotto per importanza nel 2009, ma erano il nono nel 1993, il principale Paese di destinazione è oggi come allora la Germania, che è anche il primo delle importazioni di questo prodotto nel 2009 (nel 1993 lo era la Francia). È questo uno dei pochi prodotti (l’unico tra quelli principali) per il quale le importazioni sono costantemente superiori alle importazioni e che quindi generano un saldo della bilancia commerciale negativo. Grafico 18. Belluno. Esportazioni e importazioni dei principali prodotti in provincia di Belluno (euro correnti). Anni 1993-2009

METALLURGIA

-

20.000.000

40.000.000

60.000.000

80.000.000

100.000.000

120.000.000

140.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

export import

PRODOTTI IN GOMMA E PLASTICA

-

10.000.000

20.000.000

30.000.000

40.000.000

50.000.000

60.000.000

70.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

export import

CARPENTERIA METALLICA

-

10.000.000

20.000.000

30.000.000

40.000.000

50.000.000

60.000.000

70.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

export import

CARTA E STAMPA

-

10.000.000

20.000.000

30.000.000

40.000.000

50.000.000

60.000.000

70.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

export import

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83

CONCIA E LAVORAZIONE PELLI

-

5.000.000

10.000.000

15.000.000

20.000.000

25.000.000

30.000.000

35.000.000

40.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

export import

PRODOTTI ALIMENTARI

-

2.000.000

4.000.000

6.000.000

8.000.000

10.000.000

12.000.000

14.000.000

16.000.000

18.000.000

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

export import

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat Per i prodotti in gomma e plastica le esportazioni hanno un andamento costantemente crescente fino al 2007, con un forte ripiegamento nel 2009, ma per tutto il periodo di osservazione sono di gran lunga superiori alle importazioni; il principale Paese di destinazione è nel 2009 la Cina, ma nel 1993 la Germania. Anche per la carpenteria metallica si riconosce l’andamento in costante crescita ma fino al 2006 (e non al 2007 che segna la massima espansione delle esportazioni bellunesi che ritroviamo nella maggior parte dei prodotti), mentre molto irregolare si presenta quella della carta e stampa. Per la concia e lavorazione pelli notiamo come a partire dal 2005 (e con la sola eccezione del 2008) le importazioni diventino maggiori delle esportazioni; per i prodotti alimentari, che compaiono nella graduatoria del 2009 ma non del 1993, l’export super l’import solo in pochi casi (1993, 2001, 2008 e 2009), ma il saldo della bilancia commerciale generato dalla differenza tra i due è di così poco conto che graficamente i due andamenti si sovrappongono. I principali Paesi

A conclusione di questa disamina è interessante vedere l’evoluzione dei principali Paesi destinatari delle esportazioni in partenza dalla provincia di Belluno. Ci aiuta il grafico 19, dove viene riprodotto l’andamento dei numeri indici rispetto al 1993, scelto come anno base: ciò aiuta, come fatto finora per i prodotti, a comprendere la maggiore o minore importanza di ciascun Paese dal 1993 al 2009 e permette di fare il confronto tra essi. Nel gruppo degli undici Paesi del quadrante superiore quello di gran lunga prevalente è la Cina, ma è altresì evidente l’evoluzione della Croazia (soprattutto negli anni Duemila), nonché di Corea del Sud, Brasile e Australia. Nel secondo gruppo si staglia la Romania, che incrementa le proprie posizioni soprattutto nell’ultimo quinquennio, più moderata appare la crescita di Polonia e Messico, mentre si constata il ridimensionamento del Giappone. Infine, nell’ultimo gruppo riconosciamo l’importante crescita (e il ridimensionamento a partire dal 2007) dell’Ungheria; in seconda istanza ci sono Russia e Slovenia, mentre la Slovacchia vede la sua maggiore importanza circoscritta per lo più al biennio 1999-2000. Crescono di importanza Spagna e Turchia e nell’ultimo periodo anche Singapore, mentre gli Stati Uniti mantengono una presenza costante nell’arco del tempo considerato.

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84

Grafico 19. Belluno. Evoluzione dei principali Paesi di esportazione (anno 1993=100), anni 1993-2009.

-500

0

500

1.000

1.500

2.000

2.500

3.000

3.500

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Arabia Saudita AustraliaAustria Belgio (Luxemburgo f ino 1996)Brasile CanadaCina Corea del SudCroazia DanimarcaFrancia

-2.000

0

2.000

4.000

6.000

8.000

10.000

12.000

14.000

16.000

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Germania Giappone Grecia Hong Kong

Israele Messico Paesi Bassi PoloniaPortogallo Regno Unito Romania

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85

-500

0

500

1.000

1.500

2.000

2.500

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Russia Singapore Slovacchia Slovenia

Spagna Stati Uniti Svezia SvizzeraTaiw an Turchia Ungheria

Fonte: elaborazione Camera di Commercio, I.A.A.su dati Istat

Se la Cina è il Paese di destinazione con la crescita più vistosa, gli Stati Uniti sono quello più importante in termini di peso percentuale, con il 16,9% del totale delle esportazioni in partenza dalla provincia nel 2009 (tabella 11). Il secondo posto è occupato dalla Francia (13,9%), quindi vi sono Spagna (8,7%) e Germania (7,4%), alle quali si aggiungono Regno Unito e Svizzera, a costituire i primi sei Paesi nel 2009 come nel 2007 e nel 2000 (con la sola eccezione di Austria al posto di Svizzera in sesta posizione). Come si evince dalla tabella 11, la somma dei primi dieci Paesi di destinazione costituisce il 63,9% delle esportazioni 2009; questa graduatoria non contempla la Cina, che, invece, occupa l’undicesimo posto con un peso pari al 2%. Diversa è la fotografia del 1993, che immortala al primo posto la Germania con una quota del 24%, posizione che ha mantenuto fino al 1995 e che ha ceduto agli Stati Uniti nel 1996. Nel corso degli anni l’importanza della Germania come mercato di sbocco è andata diminuendo: seconda destinazione dal 1996 al 2001, dall’anno successivo ha perso un’ulteriore posizione a vantaggio della Francia e a partire dal 2004 si è collocata quarta dietro alla Spagna. Assai interessante l’evoluzione della Francia che, al terzo posto dal 1993 fino al 2001, dal 2002 occupa il secondo e che nel 2009 è stato l’unico Paese ad aver aumentato le importazioni di occhiali. Quanto alle importazioni (tabella 12), lo scenario è dominato dalla Cina: mercato di provenienza dello 0,7% delle importazioni bellunesi nel 1991, in quell’anno nei confronti di questo Paese il saldo della bilancia commerciale provinciale era ancora positivo; a partire dal 1993 e fino ai giorni nostri l’import supera inesorabilmente l’export. Così, se nel 1993 la Germania è al primo posto con una quota del 34,2%, nel 1999 la Cina è al nono e l’anno successivo al secondo, dietro alla Germania. Questa a sua volta viene definitivamente scalzata dalla prima posizione nel 2002 e da allora il primato viene mantenuto e rafforzato dalla Cina, con una partecipazione al totale dell’import bellunese che nel 2009 valeva il 44,7%.

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Tabella 11. Belluno. Primi dieci Paesi di destinazione (incidenza percentuale su totale export provinciale). Anni 1993, 2000, 2007, 2009

Paesi 1993 Paesi 2000

Germania 24,0 Stati Uniti 16,8Stati Uniti 17,3 Germania 11,8Francia 9,6 Francia 11,0Regno Unito 5,9 Spagna 8,8Spagna 5,0 Regno Unito 5,7Austria 4,3 Austria 2,8Svizzera 3,0 Svezia 2,6Danimarca 2,6 Grecia 2,4Svezia 2,1 Paesi Bassi 2,3Grecia 2,0 Giappone 2,3Primi dieci Paesi 75,7 Primi dieci Paesi 66,6Altri Paesi 24,3 Altri Paesi 33,4Totale complessivo 100,0 Totale complessivo 100,0

Paesi 2007 Paesi 2009

Stati Uniti 19,5 Stati Uniti 16,9Francia 10,7 Francia 13,9Spagna 8,6 Spagna 8,7Germania 7,3 Germania 7,4Regno Unito 6,1 Regno Unito 5,1Svizzera 2,3 Svizzera 2,5Grecia 2,2 Hong Kong 2,4Paesi Bassi 2,1 Turchia 2,4Polonia 2,1 Paesi Bassi 2,3Australia 2,0 Grecia 2,3Primi dieci Paesi 63,0 Primi dieci Paesi 63,9Altri Paesi 37,0 Altri Paesi 36,1Totale complessivo 100,0 Totale complessivo 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio su dati ICE-Istat

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Tabella 12. Belluno. Primi dieci Paesi di provenienza (incidenza percentuale su totale import provinciale). Anni 1993, 2000, 2007, 2009

Paesi 1993 Paesi 2000

Germania 34,2 Germania 17,7Francia 16,8 Cina 11,5Austria 7,8 Francia 8,8Belgio 3,6 Paesi Bassi 8,5Svezia 3,5 Austria 7,8Croazia 2,2 Slovenia 4,4Slovenia 2,3 Belgio 3,9Paesi Bassi 3,5 Regno Unito 3,6Svizzera 2,7 Hong Kong 3,5Regno Unito 3,5 Giappone 3,3Primi dieci Paesi 80,0 Primi dieci Paesi 73,0Altri Paesi 20,0 Altri Paesi 27,0Totale complessivo 100,0 Totale complessivo 100,0

Paesi 2007 Paesi 2009

Cina 35,9 Cina 44,7Germania 12,9 Germania 9,5Francia 7,6 Francia 4,7Paesi Bassi 4,4 Stati Uniti 4,3Austria 3,6 Paesi Bassi 4,3Grecia 3,5 Austria 3,6Croazia 2,6 Croazia 3,1Belgio 2,5 Giappone 2,8Bulgaria 2,4 Belgio 2,1Romania 2,2 Romania 2,0Primi dieci Paesi 77,7 Primi dieci Paesi 81,1Altri Paesi 22,3 Altri Paesi 18,9Totale complessivo 100,0 Totale complessivo 100,0

Fonte: elaborazione Camera di Commercio su dati ICE-Istat

BIBLIOGRAFIA

C.C.I.A.A. Belluno, I Quaderni dell’economia locale, n. 1/2009, Il punto sulla crisi economica: dinamiche, numeri e testimonianze, 2009 C.C.I.A.A. Belluno, 8^ Giornata dell’economia, 7 maggio 2010, Rapporto sull’economia locale, 2010 SITI INTERNET

www.coeweb.istat.it www.intracen.org/tradstat/ www.ice.it

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Tabella 1. Belluno. Serie storica delle esportazioni e delle importazioni per principali aggregati ( euro correnti). Anni 1993-2009

ESPORTAZIONI 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

TOTALE EXPORT 728.738.047 877.282.528 1.157.838.235 1.204.906.509 1.205.809.128 1.296.899.240 1.311.449.274 1.540.412.836 1.682.772.883 Occhialeria 346.026.788 423.534.692 557.183.932 598.169.256 591.445.708 660.869.054 649.797.000 783.512.241 897.020.695 Macchinari 127.909.927 145.213.304 211.217.304 245.908.302 231.767.523 237.013.332 248.722.732 263.247.450 266.714.844 Altre apparecchiature elettriche 16.123.270 18.754.751 25.519.608 29.513.279 27.459.102 29.108.976 38.542.741 56.399.888 58.518.892 Elettronica, app. medicali e misuraz. (escl. occhialeria) 31.556.554 38.283.663 67.191.110 62.571.341 59.051.732 62.941.375 62.026.218 77.347.741 93.967.909 Metallurgia 14.254.080 16.836.113 23.564.154 19.503.485 30.186.246 35.876.967 33.091.877 35.132.033 30.049.975 Prodotti in gomma e plastica 14.157.034 14.913.759 18.620.348 15.958.684 17.846.522 16.949.551 22.260.567 23.274.617 31.169.851 Carpenteria metallica 34.294.312 34.272.840 36.732.110 30.086.343 31.200.578 36.014.364 36.668.593 39.464.816 33.549.621 Carta e stampa 24.084.281 25.153.103 39.091.361 36.397.917 33.517.343 37.655.913 46.470.949 57.565.922 45.074.700 Concia e lavorazioni pelli 8.932.373 12.363.899 16.865.146 18.383.103 19.957.933 21.584.817 21.627.893 26.558.972 29.066.888 Prodotti alimentari 8.963.483 4.575.612 6.456.600 6.865.867 9.087.812 7.714.481 11.204.252 15.446.191 14.218.253 Elettrodomestici 11.852.871 14.003.087 18.823.289 17.144.090 19.180.968 20.571.593 21.046.204 24.496.856 24.432.024 Filati e tessuti 18.089.482 27.439.236 30.977.369 37.437.747 38.595.541 36.688.094 30.561.244 35.833.785 43.359.946 Abbigliamento 11.464.298 12.644.661 14.635.094 13.478.165 11.974.168 10.444.313 7.194.980 7.839.904 9.111.633 Altri prodotti manifatturieri 21.953.434 25.627.137 24.851.146 17.900.665 18.890.916 17.301.407 15.795.686 18.662.389 15.810.456 Altri prodotti 1.402.843 2.177.332 3.632.439 4.100.280 4.532.562 4.948.390 4.562.616 5.294.351 6.340.649 Prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche 2.408.577 3.705.726 4.122.770 6.134.802 8.066.203 5.469.762 4.997.406 5.196.690 6.103.435 Mobili 10.825.128 8.153.599 10.917.656 9.887.969 9.833.396 8.934.277 9.325.471 11.145.914 10.812.183 Vetro e prodotti in vetro 1.540.383 4.160.058 3.726.881 2.243.677 2.354.347 5.209.927 2.754.208 4.661.139 10.349.178 Maglieria 685.581 6.833.135 12.224.001 11.608.657 12.470.597 14.947.531 15.813.342 16.696.190 19.815.492 Legno 7.681.270 5.895.480 7.915.509 7.282.833 5.750.231 6.084.505 5.708.306 6.820.665 7.438.004 Mezzi di trasporto e componentistica 4.403.883 17.680.006 6.289.137 2.881.739 1.936.218 2.036.351 2.262.839 3.369.790 3.530.967 Calzature 6.028.275 11.619.444 12.652.828 6.376.615 15.128.926 13.023.525 13.324.498 14.288.658 9.688.659 Gioielli 1.712.468 897.433 1.804.809 2.211.824 2.759.892 3.272.789 4.934.974 5.214.018 5.935.475 Bevande 919.885 1.290.926 1.491.381 1.334.894 1.159.419 943.126 1.623.373 1.659.653 2.350.683 Merci dichiarate come provviste di bordo…. 76.929 171.566 46.049 101.448 46.412 77.673 410.559 53.286 6.664.177 Agricoltura e pesca 717.661 326.461 330.731 557.442 393.418 395.529 168.541 194.642 738.741 Pietre tagliate, modellate e finite 459.603 632.517 915.201 831.975 918.927 793.895 525.225 819.574 873.478 Prodotti petroliferi raffinati 73.685 57.615 19.010 5.643 188.719 3.069 3.187 5.676 10.098 Prodotti delle miniere e delle cave 139.689 65.373 21.262 28.467 107.769 24.654 23.793 209.785 55.977

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ESPORTAZIONI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

TOTALE EXPORT 1.767.001.187 1.759.360.929 1.823.152.269 1.999.176.935 2.403.910.928 2.681.380.167 2.484.713.069 2.060.850.361 Occhialeria 1.008.469.138 1.030.480.334 1.052.043.087 1.204.493.204 1.455.865.184 1.634.736.811 1.521.926.294 1.311.581.100 Macchinari 260.560.953 243.590.237 257.233.509 275.196.410 324.309.356 443.462.650 399.781.756 322.246.816 Altre apparecchiature elettriche 63.525.900 67.167.960 67.485.828 71.669.804 83.984.914 95.604.374 95.709.252 79.817.138 Elettronica, app. medicali e misuraz. (escl. occhialeria) 102.688.091 103.907.837 127.516.211 122.488.232 137.383.247 109.256.757 90.238.207 71.941.297 Metallurgia 29.600.225 32.236.044 38.110.619 41.463.251 59.544.606 64.925.620 61.578.680 40.172.767 Prodotti in gomma e plastica 31.653.849 31.276.524 34.968.371 49.567.035 48.731.860 54.405.025 62.002.045 39.976.684 Carpenteria metallica 34.860.534 32.164.148 35.682.887 39.807.967 61.114.408 54.798.128 51.651.546 37.786.623 Carta e stampa 22.455.333 12.875.305 15.060.007 17.465.923 24.984.422 35.603.509 28.689.735 22.038.039 Concia e lavorazioni pelli 25.412.195 24.056.325 26.552.345 26.171.688 31.569.316 33.398.213 30.339.293 17.939.388 Prodotti alimentari 12.426.406 11.063.221 11.538.288 12.550.031 12.188.284 13.387.554 15.113.386 17.399.954 Elettrodomestici 24.154.408 25.126.528 28.769.575 36.318.259 40.644.911 23.356.412 17.846.281 17.220.833 Filati e tessuti 36.333.533 29.749.406 26.298.275 26.789.270 24.617.802 26.101.169 22.160.929 15.337.014 Abbigliamento 8.435.213 7.492.858 10.295.456 8.906.020 12.171.082 12.628.558 13.721.314 11.533.288 Altri prodotti manifatturieri 16.629.744 12.911.295 15.097.267 10.724.989 12.035.069 14.295.347 12.175.103 8.834.017 Altri prodotti 7.220.358 6.749.529 7.513.507 6.973.430 9.000.545 13.191.403 12.508.937 8.630.382 Prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche 7.329.557 6.529.069 3.994.789 4.013.879 3.869.696 5.173.348 9.629.260 8.190.323 Mobili 12.116.312 9.859.575 10.291.603 12.177.589 11.417.324 12.060.358 12.832.157 8.186.286 Vetro e prodotti in vetro 16.692.433 9.551.228 8.888.222 9.255.170 12.476.621 13.310.932 8.025.558 7.797.258 Maglieria 23.586.574 26.932.556 25.551.104 5.169.768 5.825.207 4.966.527 5.814.431 5.865.594 Legno 5.570.599 5.657.653 6.390.131 5.718.450 5.518.213 6.269.038 4.843.049 3.808.433 Mezzi di trasporto e componentistica 3.003.422 2.871.438 1.750.942 1.934.025 18.572.525 4.769.633 4.125.674 1.320.026 Calzature 1.580.641 809.901 760.163 1.075.765 1.473.240 1.736.274 1.786.962 1.257.235 Gioielli 5.014.398 6.147.756 6.064.598 6.077.624 5.064.488 2.914.835 1.477.800 1.046.626 Bevande 2.223.178 4.907.554 4.476.177 2.430.334 180.228 220.060 211.912 304.905 Merci dichiarate come provviste di bordo…. 3.862.292 14.562.696 14.622 - 58.555 45.046 19.239 226.431 Agricoltura e pesca 243.664 281.423 212.198 396.295 335.990 139.534 245.881 177.170 Pietre tagliate, modellate e finite 1.289.807 348.055 315.788 325.294 965.277 516.475 219.642 173.810 Prodotti petroliferi raffinati 14.049 5.984 264.309 3.030 4.293 17.012 12.300 22.396 Prodotti delle miniere e delle cave 48.381 48.490 12.391 14.199 4.265 89.565 26.446 18.528

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segue Tabella 1. Belluno. Serie storica delle esportazioni e delle importazioni per principali aggregati ( euro correnti). Anni 1993-2009

IMPORTAZIONI 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

TOTALE IMPORT 195.773.784 242.007.927 357.216.929 334.185.148 332.794.593 348.024.063 413.211.072 553.264.298 566.872.434 Occhialeria 27.744.565 35.015.530 53.859.563 56.340.558 60.115.452 65.541.778 100.554.928 155.325.836 151.663.847 Macchinari 20.742.265 22.733.966 30.824.225 31.917.417 31.888.534 37.720.022 46.187.891 62.258.586 68.389.062 Metallurgia 25.710.822 39.953.636 70.121.027 48.355.595 59.701.474 59.789.492 62.572.418 81.654.450 78.056.971 Altre apparecchiature elettriche 8.347.497 10.012.076 10.412.050 10.051.670 11.949.647 13.202.422 12.372.253 18.112.554 19.188.775 Elettronica, app. medicali e misuraz. (escl. occhialeria) 10.808.576 10.988.001 13.594.513 16.633.523 13.510.130 17.736.398 23.434.630 32.078.016 40.682.230 Cuoio conciato e lavorato 643.814 741.692 1.033.156 1.316.914 2.796.013 3.758.967 5.076.649 10.594.556 19.686.898 Mezzi di trasporto e componentistica 2.103.850 1.611.507 3.772.605 21.103.275 3.632.219 5.064.494 7.863.966 11.283.582 4.322.206 Prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche 23.188.800 27.310.303 39.352.853 40.536.604 40.532.656 31.936.553 38.761.855 41.055.653 39.327.803 Legno 16.909.307 19.526.750 25.435.478 22.111.678 24.479.630 24.350.932 23.650.443 24.559.509 20.873.549 Altri prodotti dell'industria manifatturiera 3.585.990 4.146.068 5.311.506 5.599.728 5.765.769 5.620.544 5.931.616 8.133.996 11.884.997 Abbigliamento 4.270.993 5.331.749 7.229.310 7.237.484 8.589.545 9.852.490 7.801.118 7.932.223 8.391.214 Prodotti alimentari 6.865.059 7.299.746 8.442.983 9.177.976 9.445.141 10.602.081 11.945.973 15.649.254 14.037.429 Agricoltura e pesca 7.468.454 8.016.405 13.616.655 10.741.031 9.704.883 11.441.544 12.038.880 12.412.535 10.404.515 Carpenteria metallica 4.414.723 6.283.441 7.990.560 5.827.624 5.107.638 5.808.978 6.264.637 9.303.165 6.601.113 Prodotti in gomma e plastica 2.788.377 4.089.732 6.117.416 5.787.016 4.952.189 4.161.848 4.477.810 6.490.010 8.310.345 Altri prodotti 4.358.436 6.804.319 18.482.425 8.258.519 7.500.129 5.687.181 5.639.816 10.496.424 7.223.058 Carta e stampa 2.431.873 2.219.199 2.577.182 2.293.720 2.424.115 2.407.945 2.058.232 2.294.640 2.604.029 Vetro e prodotti in vetro 4.932.257 5.501.448 6.258.247 4.713.729 4.306.778 4.752.600 6.332.798 8.228.938 12.225.422 Filati e tessuti 4.211.471 5.348.465 6.999.258 7.940.863 7.387.879 6.207.140 5.200.912 6.671.877 8.054.309 Elettrodomestici 3.260.258 2.062.156 1.889.299 2.359.147 1.634.125 1.040.678 1.519.356 3.679.407 2.807.617 Bevande 5.804.681 4.700.369 5.152.723 5.043.231 5.254.641 6.265.867 6.387.431 6.677.344 7.222.221 Maglieria 774.789 1.691.037 1.847.417 3.121.749 4.246.993 6.568.666 7.067.431 6.992.519 9.570.725 Gioielli 73.642 285.846 362.185 232.695 697.106 1.208.351 1.432.698 1.434.782 1.103.570 Calzature 305.943 5.132.665 9.721.553 1.068.859 1.406.426 1.429.710 2.841.922 1.726.727 1.827.911 Pietre tagliate, modellate e finite 297.752 402.516 456.844 514.509 1.105.157 1.230.281 2.021.862 2.396.559 1.615.136 Prodotti delle miniere e delle cave 2.988.240 4.038.899 5.750.484 5.450.763 4.065.219 3.896.771 3.047.882 4.433.682 1.651.037 Prodotti petroliferi raffinati 297.401 97.509 250.454 220.626 220.253 202.393 170.085 107.345 71.255 Mobili 428.690 612.603 342.729 227.922 373.296 537.931 548.351 1.104.744 456.295 Merci dichiarate come provviste di bordo… 15.259 50.294 12.229 723 1.556 6 7.229 175.385 8.618.895

89 a

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segue Tabella 1. Belluno. Serie storica delle esportazioni e delle importazioni per principali aggregati ( euro correnti). Anni 1993-2009

IMPORTAZIONI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

TOTALE IMPORT 606.401.044 547.068.777 568.032.487 619.051.822 855.028.879 883.313.075 789.893.297 715.384.230 Occhialeria 190.149.871 178.345.674 190.218.222 216.818.788 320.667.928 334.090.493 334.267.545 345.189.081 Macchinari 53.150.181 45.500.723 47.432.637 53.206.793 71.127.867 113.259.001 76.992.463 58.352.898 Metallurgia 72.112.426 59.596.759 68.856.876 73.146.451 108.469.579 114.741.923 86.673.011 53.964.573 Altre apparecchiature elettriche 22.079.522 21.729.975 24.404.732 22.594.435 32.543.214 41.739.461 42.923.311 37.495.907 Elettronica, app. medicali e misuraz. (escl. occhialeria) 36.062.599 32.301.768 48.638.714 44.176.314 55.852.284 28.122.724 27.056.818 27.970.771 Cuoio conciato e lavorato 20.431.685 20.428.766 22.044.317 27.437.023 37.598.395 33.159.833 28.328.144 25.566.585 Mezzi di trasporto e componentistica 5.100.121 5.304.087 3.247.145 12.831.496 44.667.737 13.677.325 18.751.720 22.616.484 Prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche 47.720.167 35.419.994 30.879.124 36.260.608 32.431.126 40.473.539 28.146.924 18.260.093 Legno 22.778.239 22.627.403 20.400.430 22.193.669 26.199.114 25.975.467 20.534.016 16.372.038 Altri prodotti dell'industria manifatturiera 12.460.008 6.810.777 7.610.816 7.889.575 12.420.085 20.217.669 16.633.746 15.938.933 Abbigliamento 8.248.687 7.340.002 9.553.525 11.717.783 12.623.196 15.990.512 14.536.938 13.503.121 Prodotti alimentari 14.634.592 12.800.866 12.987.905 14.090.270 13.580.448 13.862.801 13.011.927 12.711.042 Agricoltura e pesca 9.232.447 8.687.576 9.017.764 10.723.658 12.580.101 12.877.637 14.163.538 12.460.193 Carpenteria metallica 8.866.037 7.376.647 7.919.490 6.194.511 8.475.324 9.893.147 9.668.629 9.696.662 Prodotti in gomma e plastica 8.892.325 8.134.779 6.189.769 6.792.161 9.471.264 9.377.107 9.484.079 8.605.531 Altri prodotti 5.613.046 4.860.812 5.679.360 10.527.845 18.238.451 13.409.043 10.771.103 8.349.090 Carta e stampa 3.403.267 3.361.258 3.580.287 3.725.151 3.078.067 3.147.073 3.169.558 5.240.961 Vetro e prodotti in vetro 15.999.815 9.379.111 9.638.908 11.368.794 11.437.659 10.450.508 10.160.275 5.184.468 Filati e tessuti 7.655.354 8.253.111 8.343.075 9.011.610 10.462.840 12.195.095 7.776.618 4.615.563 Elettrodomestici 2.803.563 1.883.319 1.682.301 1.317.587 1.209.053 2.156.894 3.303.576 2.588.878 Bevande 6.693.379 8.642.880 6.798.512 3.801.404 1.964.979 2.438.226 2.090.160 2.064.078 Maglieria 11.044.130 14.890.180 15.107.108 5.739.630 2.481.490 1.774.236 2.189.931 1.819.407 Gioielli 1.043.921 1.601.420 1.521.420 1.134.607 956.327 1.773.762 831.628 1.708.056 Calzature 1.766.929 1.239.801 2.137.105 2.168.755 1.806.953 1.590.659 1.174.822 1.440.844 Pietre tagliate, modellate e finite 1.594.774 1.145.370 1.247.100 1.167.388 983.352 813.085 905.396 1.154.722 Prodotti delle miniere e delle cave 2.591.991 1.203.825 2.364.082 2.125.253 2.683.672 4.332.299 3.472.286 847.569 Prodotti petroliferi raffinati 45.537 46.355 89.883 161.174 389.403 936.802 844.781 846.332 Mobili 868.915 531.634 403.091 536.686 605.197 717.102 2.007.880 723.240 Merci dichiarate come provviste di bordo… 13.357.516 17.623.905 38.789 192.403 23.774 119.652 22.474 97.110

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

89 b

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90

IL COMMERCIO ESTERO IN PROVINCIA DI BELLUNO: DINAMICHE RECENTI

Dopo aver descritto al capitolo precedente le dinamiche degli scambi internazionali della provincia di Belluno per principali prodotti e per Paesi, nelle pagine che seguono l’analisi sarà di tipo congiunturale – quindi di breve periodo – con l’intento di comprendere quale sia stato l’impatto della crisi 2008-2009 e in che modo la provincia si stia muovendo nella ripresa del 2010. Punto di partenza sono le serie storiche delle importazioni e delle esportazioni totali dell’Italia, del Veneto e della provincia di Belluno dal 1991 al 2009, riprodotte al grafico 1. In tutti e tre i casi le esportazioni si muovono lungo un trend di crescita in accelerazione negli anni Duemila e con un forte ripiegamento finale per l’effetto della crisi; mentre in Italia il massimo è stato toccato nel 2008, in Veneto e in provincia è si è avuto nel 2007 (ma nel Veneto il 2008 non se ne discosta di molto).

Grafico 1. Belluno, Veneto e Italia. Andamento annuale delle importazioni e delle esportazioni (euro correnti). Anni 1991-2009

BELLUNO

0

500.000.000

1.000.000.000

1.500.000.000

2.000.000.000

2.500.000.000

3.000.000.000

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

import export

VENETO

0

10.000.000.000

20.000.000.000

30.000.000.000

40.000.000.000

50.000.000.000

60.000.000.000

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

import export

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91

ITALIA

0

50.000.000.000

100.000.000.000

150.000.000.000

200.000.000.000

250.000.000.000

300.000.000.000

350.000.000.000

400.000.000.000

450.000.000.000

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

import export

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

Nella serie provinciale1 si possono individuare alcune fasi di particolare accelerazione: dal 1991 al 1995 (da 430 a 1.158 milioni di euro), dal 1999 al 2002 (da 1.311 a 1.767 milioni) e dal 2004 (1.823 milioni) al 2007. In quell’anno da Belluno partirono merci per 2,7 miliardi di euro, scesi a 2,5 nel 2008 e a poco più di 2 nel 2009.

Grafico 2. Belluno, Veneto e Italia. Andamento trimestrale delle importazioni e delle esportazioni (euro correnti). Anni 2006-2010

Belluno

0

100.000.000

200.000.000

300.000.000

400.000.000

500.000.000

600.000.000

700.000.000

800.000.000

06 1°T

06 2°T

06 3°T

06 4°T

07 1°T

07 2°T

07 3°T

07 4°T

08 1°T

08 2°T

08 3°T

08 4°T

09 1°T

09 2°T

09 3°T

09 4°T

10 1°T

10 2°T

import

export

1 I dati sono tratti dal sistema informativo on-line dell’Istat (www.coeweb.istat.it) completamente dedicato alle statistiche del commercio con l'estero. Le risultanze 2009 e 2010 devono essere considerate provvisorie in quanto suscettibili di successivi aggiustamenti.

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92

Veneto

0

2.000.000.000

4.000.000.000

6.000.000.000

8.000.000.000

10.000.000.000

12.000.000.000

14.000.000.000

06 1°T

06 2°T

06 3°T

06 4°T

07 1°T

07 2°T

07 3°T

07 4°T

08 1°T

08 2°T

08 3°T

08 4°T

09 1°T

09 2°T

09 3°T

09 4°T

10 1°T

10 2°T

import

export

Italia

0

20.000.000.000

40.000.000.000

60.000.000.000

80.000.000.000

100.000.000.000

120.000.000.000

06 1°T

06 2°T

06 3°T

06 4°T

07 1°T

07 2°T

07 3°T

07 4°T

08 1°T

08 2°T

08 3°T

08 4°T

09 1°T

09 2°T

09 3°T

09 4°T

10 1°T

10 2°T

import

export

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

Nelle serie delle importazioni si riconosce lo stesso andamento di crescita delle esportazioni, ma decisamente più moderato in provincia. In Italia a partire dal 1994 la linea dell’import si colloca al di sopra dell’export (da quell’anno il saldo della bilancia commerciale è negativo), mentre nel Veneto e in provincia si mantiene ben al di sotto. Per la provincia si nota come il gap tra export e import si sia ampliato con l’andare del tempo, passando da 248 milioni di euro correnti del 1991 fino a sfiorare i 1.635 milioni nel 2007, per poi scendere nei due anni successivi (1.345 nel 2009). Il ripiegamento è dovuto alla crisi del 2008 e del 2009, che ha colpito simultaneamente e contemporaneamente il mercato globale2. Nell’analisi congiunturale di questo capitolo ci concentriamo sugli ultimi due anni di queste serie, esaminandole con un dettaglio trimestrale, e allargando l’orizzonte alla prima metà del 2010 (grafico 2). Nella serie trimestrale delle esportazioni bellunesi è evidente un andamento ad “arco” che ha costantemente il minimo nel terzo trimestre dovuto sia alle chiusure aziendali estive che al ciclo di produzione dell’occhiale. Una prima caduta di un certo peso si ha in corrispondenza del terzo

2Per approfondimenti sulla crisi economica si veda: C.C.I.A.A. Belluno, I Quaderni dell’economia locale, n. 1/2009, Il punto sulla crisi economica: dinamiche, numeri e testimonianze, 2009 e C.C.I.A.A. Belluno, 8^ Giornata dell’economia, 7 maggio 2010, Rapporto sull’economia locale, 2010.

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trimestre 2008, anche se è nel 2009 che le esportazioni toccano il valore minimo della serie storica, dopodiché tornano a salire. Come osservato per la serie annuale, l’andamento delle importazioni appare decisamente più stabile.

Grafico 3. Belluno, Veneto e Italia. Variazione trimestrale tendenziale delle esportazioni e delle importazioni. Anni 2006-2010

EXPORT

-30,0

-20,0

-10,0

0,0

10,0

20,0

30,0

06/051T

06/052T

06/053T

06/054T

07/061T

07/062T

07/063T

07/064T

08/071T

08/072T

08/073T

08/074T

09/081T

09/082T

09/083T

09/084T

10/091T

10/092T

Italia Veneto Belluno

IMPORT

-40,0

-30,0

-20,0

-10,0

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

06/051T

06/052T

06/053T

06/054T

07/061T

07/062T

07/063T

07/064T

08/071T

08/072T

08/073T

08/074T

09/081T

09/082T

09/083T

09/084T

10/091T

10/092T

Italia Veneto Belluno

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

Le esportazioni del Veneto rivelano un andamento simile, quantunque leggermente più smussato, anch’esse con un minimo nel terzo trimestre 2009; le importazioni ricalcano lo stesso ciclo. Per l’Italia la caduta delle esportazioni si arresta nel primo trimestre 2009. Fino al quarto si mantengono sullo stesso scarso livello, per riprendere fiato solo nell’ultima osservazione. L’andamento delle importazioni è quasi identico, anche se il punto di minimo viene toccato nel terzo trimestre 2009 e la

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risalita assume caratteri più accentuati. Per tutto il periodo osservato, le importazioni rimangono sempre superiori alle esportazioni, tranne rare eccezioni (secondo e terzo trimestre 2009). Il successivo grafico 3 è costruito sulle variazioni trimestrali tendenziali (cioè calcolate confrontando un trimestre con lo stesso dell’anno precedente) delle esportazioni e delle importazioni di Belluno, del Veneto e dell’Italia: operare con le variazioni permette di fare il confronto fra le tre economie e individuare possibili differenze di reazione alla crisi dell’ultimo biennio. Per le esportazioni Italia, Veneto e Belluno sono accomunate dallo stesso andamento decrescente che, manifestatosi nel corso del 2007 continua, pur mantenendosi sul semipiano positivo, fino al primo 2008. E’ a partire dalla variazione del secondo trimestre 2008/2007 – quando i segnali della crisi in ambito internazionale si fanno certi – che Belluno mette a segno il primo (e non di poco conto) risultato negativo (-8,5%), mentre Veneto e Italia non sembrano ancora percepire grossi scossoni; tale situazione si protrae nel trimestre successivo. Quando a fine 2008 Italia e Veneto evidenziano il primo contraccolpo (rispettivamente -7,9% e -8,8%), Belluno è già a -15,4%. Una percentuale destinata a scendere ulteriormente a -22% nel primo trimestre 2009/2008, valore minimo nell’arco di tempo considerato. Per Veneto e Italia il decremento maggiore si sposta, invece, nel periodo successivo, quando in provincia già si vede un allentamento della morsa negativa e un’inversione di rotta confermata anche successivamente. A partire dal terzo 2009/2008 anche per Veneto e Italia inizia un graduale recupero e nei due trimestri del 2010 si torna finalmente (e con vigore) nel semipiano positivo, con Belluno che dimostra di avere una marcia in più rispetto a Veneto e Italia: in valori assoluti, le esportazioni bellunesi del secondo trimestre 2010 si sono riportate su livelli pre-crisi. In sintesi, da questi andamenti emerge che l’impatto della crisi internazionale sulle esportazioni di Belluno è stato immediato e subito di forte intensità, mentre nel Veneto e in Italia, dove si sono raggiunti punti critici più acuti, è stato più graduale e ritardato. Il recupero appare al momento sostenuto in tutte e tre le aree. E’, questa, l’immediata conseguenza della forte esposizione sui mercati internazionali, in provincia molto più marcata che nel Veneto (a sua volta più che in Italia), di cui si è parlato nel capitolo dedicato agli indicatori strutturali. Essendo Belluno una provincia export oriented è fortemente ricettiva alle variazioni che intervengono nell’economia mondiale risentendo subito dei venti di crisi, ma recependo immediatamente i primi segnali di ripresa. Per quanto riguarda le importazioni, le variazioni si muovono ciclicamente nello stesso verso, ma è evidentissimo come le oscillazioni siano molto più ampie per Belluno, sia nelle fasi ascendenti che discendenti. Tuttavia, nel periodo più acuto della crisi, i decrementi sono stati più contenuti che in Veneto e in Italia, e analogamente avviene per gli incrementi del primo scorcio del 2010. La media sul semestre appiattisce la variabilità del dato trimestrale e l’entità delle perdite della fase recessiva è per Belluno più contenuta.

Grafico 4. Italia, Veneto e Belluno. Esportazioni e importazioni: var. tendenziali annuali (2008/2007 e 2009/2008) e semestrali (2009/2008 e 2010/2009)

EXPORT

1,2

-20,9

-7,3

-24,9

12,411,5

-24,3

-1,1

-21,5

14,2

-17,1-20,1

-30,0

-25,0

-20,0

-15,0

-10,0

-5,0

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

2008/2007 2009/2008 2009/2008 2010/2009

Italia Veneto Belluno

ANNO SEMESTRE

2008/2007 2009/2008 2009/2008 2010/2009

Italia 1,2 -20,9 -24,9 12,4

Veneto -1,1 -21,5 -24,3 11,5

Verona 4,3 -18,7 -20,1 9,9

Vicenza -0,8 -24,6 -26,8 11,1

Belluno -7,3 -17,1 -20,1 14,2

Treviso 1,7 -17,2 -20,2 2,6

Venezia -14,0 -27,6 -32,9 26,6

Padova -4,1 -21,1 -25,2 18,6

Rovigo 27,6 -31,5 -31,5 11,4

Fonte: elab. Camera Commercio I.A.A. su dati Istat

ESPORTAZIONI

ANNO SEMESTREItalia

Veneto

province

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IMPORT

2,3

-22,1-24,9

-21,7

19,6

-10,6 -9,4

12,9

18,6

-0,9

-22,5

-6,3

-30,0

-25,0

-20,0

-15,0

-10,0

-5,0

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

2008/2007 2009/2008 2009/2008 2010/2009

Italia Veneto Belluno

ANNO SEMESTRE

2008/2007 2009/2008 2009/2008 2010/2009

Italia 2,3 -22,1 -24,9 18,6

Veneto -0,9 -22,5 -21,7 19,6

Verona 1,5 -18,9 -19,3 16,8

Vicenza -8,6 -27,6 -32,3 31,6

Belluno -10,6 -9,4 -6,3 12,9

Treviso -2,3 -16,0 -19,0 17,7

Venezia -6,0 -19,7 -16,9 8,3

Padova -10,5 -18,5 -20,6 25,6

Rovigo 165,6 -61,8 -21,0 18,6

Fonte: elab. Camera Commercio I.A.A. su dati Istat

Italia

Veneto

province

IMPORTAZIONI

ANNO SEMESTRE

Come si evince dal grafico 4, le variazioni tendenziali delle esportazioni del primo semestre 2009 sul 2008 sono state del -20,1% in provincia (che, per quanto significativa, è stata la perdita meno elevata del Veneto), del -24,3 nel Veneto e del -24,9% in Italia. Anche il bilancio annuale 2009/2008 presenta le stesse caratteristiche (-17,1%, -21,5% e -20,9%). Analogamente è andata per le importazioni: il calo meno sostenuto si è avuto in provincia sia nel primo semestre (-6,3%) che nell’anno 2009/2008 (-9,4%). A conferma di quanto visto per gli andamenti trimestrali, il primo semestre 2010 ha chiuso le esportazioni con un segno più in Italia (12,4%), nel Veneto (+11,5%) e soprattutto a Belluno (+14,2%) e sono riprese con vigore anche le importazioni (+18,6%, +19,6% e +12,9%). Tabella 1. Belluno. Primi dieci prodotti d’esportazione, gennaio-giugno 2008-2010 e anni 2007-2009 (euro correnti)

2008 2009 2010 2009 2010 '2009/'08 '2010/'09

Occhialeria 874.600.491 731.431.531 820.539.367 66,6 65,4 -16,4 12,2Macchinari 201.823.499 151.376.577 178.827.437 13,8 14,3 -25,0 18,1Elettronica, app. medicali e di misurazione (escl. occhialeria) 47.065.052 33.359.070 44.265.285 3,0 3,5 -29,1 32,7Altre apparecchiature elettriche 49.339.744 40.166.037 39.783.604 3,7 3,2 -18,6 -1,0Prodotti in gomma e plastica 31.001.662 24.467.727 27.957.511 2,2 2,2 -21,1 14,3Carpenteria metallica 28.031.624 18.399.900 27.422.534 1,7 2,2 -34,4 49,0Metallurgia 34.013.352 19.911.629 27.113.186 1,8 2,2 -41,5 36,2Carta e stampa 15.890.298 11.758.259 13.170.978 1,1 1,0 -26,0 12,0Concia e lavorazioni pelli 17.474.058 9.517.342 10.863.844 0,9 0,9 -45,5 14,1Prodotti alimentari 6.785.827 7.986.231 10.295.038 0,7 0,8 17,7 28,9Primi 10 prodotti 1.306.025.607 1.048.374.303 1.200.238.784 95,4 95,7 -19,7 14,5Altri prodotti 68.208.320 50.062.799 54.531.141 4,6 4,3 -26,6 8,9Totale export 1.374.233.927 1.098.437.102 1.254.769.925 100,0 100,0 -20,1 14,2

2007 2008 2009 2008 2009 '2008/'07 '2009/'08

Occhialeria 1.634.736.811 1.521.926.294 1.311.581.100 61,3 63,6 -6,9 -13,8Macchinari 443.462.650 399.781.756 322.246.816 16,1 15,6 -9,8 -19,4Altre apparecchiature elettriche 95.604.374 95.709.252 79.817.138 3,9 3,9 0,1 -16,6Elettronica, app. medicali e di misurazione (escl. occhialeria) 109.256.757 90.238.207 71.941.297 3,6 3,5 -17,4 -20,3Metallurgia 64.925.620 61.578.680 40.172.767 2,5 1,9 -5,2 -34,8Prodotti in gomma e plastica 54.405.025 62.002.045 39.976.684 2,5 1,9 14,0 -35,5Carpenteria metallica 54.798.128 51.651.546 37.786.623 2,1 1,8 -5,7 -26,8Carta e stampa 35.603.509 28.689.735 22.038.039 1,2 1,1 -19,4 -23,2Concia e lavorazioni pelli 33.398.213 30.339.293 17.939.388 1,2 0,9 -9,2 -40,9Prodotti alimentari 13.387.554 15.113.386 17.399.954 0,6 0,8 12,9 15,1Primi 10 prodotti 2.539.578.641 2.357.030.194 1.960.899.806 94,9 95,2 -7,2 -16,8Altri prodotti 141.801.526 127.682.875 99.950.555 5,1 4,8 -10,0 -21,7Totale export 2.681.380.167 2.484.713.069 2.060.850.361 100,0 100,0 -7,3 -17,1

var.%

peso % var.%ANNO

Prodotti

Prodotti

SEMESTRE peso %

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

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Tabella 2. Belluno. Primi dieci prodotti d’importazione, gennaio-giugno 2008-2010 e anni 2007-2009 (euro correnti)

2008 2009 2010 2009 2010 '2009/'08 '2010/'09

Occhialeria 158.980.882 180.870.749 197.054.233 49,3 47,6 13,8 8,9Macchinari 43.007.379 29.094.699 36.179.120 7,9 8,7 -32,3 24,3Metallurgia 42.300.523 33.999.855 31.074.766 9,3 7,5 -19,6 -8,6Altre apparecchiature elettriche 22.743.661 18.388.402 23.077.215 5,0 5,6 -19,1 25,5Elettronica, app. medicali e di misurazione (escl. occhialeria) 14.568.060 12.490.626 15.872.418 3,4 3,8 -14,3 27,1Concia e lavorazioni pelli 13.699.425 12.409.541 15.456.043 3,4 3,7 -9,4 24,5Prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche 16.281.464 9.311.362 12.814.213 2,5 3,1 -42,8 37,6Mezzi di trasporto e componentistica 4.631.357 11.841.473 12.322.583 3,2 3,0 155,7 4,1Legno 11.748.743 8.221.242 9.816.435 2,2 2,4 -30,0 19,4Abbigliamento 7.389.563 5.903.852 8.056.292 1,6 1,9 -20,1 36,5Primi 10 prodotti 335.351.057 322.531.801 361.723.318 88,0 87,4 -3,8 12,2Altri prodotti 55.905.884 44.179.132 52.253.935 12,0 12,6 -21,0 18,3Totale import 391.256.941 366.710.933 413.977.253 100,0 100,0 -6,3 12,9

2007 2008 2009 2008 2009 '2008/'07 '2009/'08

Occhialeria 334.090.493 334.267.545 345.189.081 42,3 48,3 0,1 3,3Macchinari 113.259.001 76.992.463 58.352.898 9,7 8,2 -32,0 -24,2Metallurgia 114.741.923 86.673.011 53.964.573 11,0 7,5 -24,5 -37,7Altre apparecchiature elettriche 41.739.461 42.923.311 37.495.907 5,4 5,2 2,8 -12,6Elettronica, app. medicali e misuraz. (escl. Occhialeria) 28.122.724 27.056.818 27.970.771 3,4 3,9 -3,8 3,4Cuoio conciato e lavorato 33.159.833 28.328.144 25.566.585 3,6 3,6 -14,6 -9,7Mezzi di trasporto e componentistica 13.677.325 18.751.720 22.616.484 2,4 3,2 37,1 20,6Prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche 40.473.539 28.146.924 18.260.093 3,6 2,6 -30,5 -35,1Legno 25.975.467 20.534.016 16.372.038 2,6 2,3 -20,9 -20,3Altri prodotti dell'industria manifatturiera 20.217.669 16.633.746 15.938.933 2,1 2,2 -17,7 -4,2Primi 10 prodotti 765.457.435 680.307.698 621.727.363 86,1 86,9 -11,1 -8,6Altri prodotti 117.857.647 109.587.607 93.656.867 13,9 13,1 -7,0 -14,5Totale import 883.315.082 789.895.305 715.384.230 100,0 100,0 -10,6 -9,4

ProdottiSEMESTRE peso % var.%

ProdottiANNO peso % var.%

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat L’analisi per prodotto (tabella 1) evidenzia un recupero nella prima parte del 2010 di quasi tutti i principali prodotti d’esportazione. I prodotti dell’occhialeria, che da soli valgono il 66% delle esportazioni del semestre, sono cresciuti del 12,2%, i macchinari del 18,1%. Bastano già questi due prodotti a stabilire le sorti dell’export provinciale poiché la somma dei due copre l’80% del totale delle esportazioni del periodo. L’aumento percentualmente più rilevante fa capo alla carpenteria metallica (+49%), ma anche metallurgia (+36,2%) ed elettronica (+32,7%) evidenziano una buona performance. Solo pochi prodotti, tra cui le altre apparecchiature elettriche (presenti tra i primi dieci), il bilancio semestrale è ancora in rosso. In evidenza i prodotti alimentari, che costituiscono appena lo 0,8% del totale, ma registrano non solo un aumento nel semestre, ma anche nell’arco dell’anno, unica eccezione in un contesto –quello del 2009– caratterizzato di soli segni meno. Passando alle importazioni, solo la metallurgia chiude il consuntivo semestrale in rosso (-8,6%), ma già in quello annuale aveva manifestato la perdita percentualmente più rilevante. Si nota che gli occhiali non hanno evidenziato segni di cedimento nemmeno al culmine della crisi, poiché sia il primo semestre 2009 (rispetto al 2008) che gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da variazioni positive. Il dato non è di poco conto, visto che questo prodotto, oltre a spiegare oltre il 60% delle esportazioni, movimenta poco meno della metà delle importazioni.

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Tabella 3. Belluno. Esportazioni di prodotti dell’occhialeria: primi dieci Paesi di destinazione, gennaio-giugno 2008-2010 e anni 2007-2009 (euro correnti)

2008 2009 2010 2009 2010 '2009/'08 '2010/'09

MONDO 874.600.491 731.431.531 820.539.367 100,0 100,0 -16,4 12,2Extra Ue27 479.996.080 368.571.895 440.452.637 50,4 53,7 -23,2 19,5Unione europea 27 394.604.411 362.859.636 380.086.730 49,6 46,3 -8,0 4,7

Stati Uniti 211.012.826 176.569.825 212.139.896 24,1 25,9 -16,3 20,1Francia 99.596.156 106.641.739 118.527.727 14,6 14,4 7,1 11,1Spagna 94.139.281 74.628.355 74.085.325 10,2 9,0 -20,7 -0,7Regno Unito 44.909.088 37.552.133 48.439.114 5,1 5,9 -16,4 29,0Germania 40.831.982 37.851.162 38.214.099 5,2 4,7 -7,3 1,0Hong Kong 22.576.366 19.489.125 22.831.818 2,7 2,8 -13,7 17,2Paesi Bassi 23.305.352 21.170.173 21.620.384 2,9 2,6 -9,2 2,1Grecia 24.377.245 20.800.083 17.535.889 2,8 2,1 -14,7 -15,7Turchia 17.191.984 13.013.636 17.269.179 1,8 2,1 -24,3 32,7Australia 17.644.254 7.935.404 15.995.739 1,1 1,9 -55,0 101,6Primi 10 Paesi 595.584.534 515.651.635 586.659.170 70,5 71,5 -13,4 13,8Altri Paesi 279.015.957 215.779.896 233.880.197 29,5 28,5 -22,7 8,4Totale export occhiali 874.600.491 731.431.531 820.539 .367 100,0 100,0 -16,4 12,2

2007 2008 2009 2008 2009 '2008/'07 '2009/'08

MONDO 1.634.736.811 1.521.926.294 1.311.581.100 100,0 100,0 -6,9 -13,8Extra Ue27 958.114.590 860.938.944 687.517.616 56,6 52,4 -5,9 -11,4Unione europea 27 676.622.221 660.987.350 624.063.484 43,4 47,6 -1,0 -2,4

Stati Uniti 495.325.453 379.924.636 332.853.707 25,0 25,4 -7,1 -3,1Francia 143.580.399 170.224.565 188.430.188 11,2 14,4 1,6 1,2Spagna 159.807.227 154.519.417 129.582.945 10,2 9,9 -0,3 -1,6Regno Unito 93.060.598 75.424.731 68.610.652 5,0 5,2 -1,1 -0,4Germania 77.184.634 64.875.689 60.814.190 4,3 4,6 -0,8 -0,3Hong Kong 32.075.340 38.901.941 37.641.651 2,6 2,9 0,4 -0,1Grecia 45.208.856 43.930.045 36.605.659 2,9 2,8 -0,1 -0,5Paesi Bassi 36.092.397 39.229.124 34.227.042 2,6 2,6 0,2 -0,3Portogallo 26.401.049 24.923.944 28.979.510 1,6 2,2 -0,1 0,3Brasile 30.722.281 28.776.247 28.747.733 1,9 2,2 -0,1 0,0Primi 10 Paesi 1.139.458.234 1.020.730.339 946.493.277 67,1 72,2 -7,3 -4,9Altri Paesi 495.278.577 501.195.955 365.087.823 32,9 27,8 0,4 -8,9Totale export occhiali 1.634.736.811 1.521.926.294 1.3 11.581.100 100,0 100,0 -6,9 -13,8

PaesiSEMESTRE peso % var.%

PaesiANNO peso % var.%

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

Poiché non è possibile distinguere tra prodotti finiti e semilavorati, è evidente che si tratta in larga parte di manufatti di imprese locali costruiti in toto o in parte all’estero, importati per le fasi finali del processo produttivo e la commercializzazione. Non a caso il primo Paese di provenienza è la Cina, da cui sono partiti oltre il 77% delle importazioni di occhiali del primo semestre 2010 e una percentuale di poco inferiore nel 2008 e 2009 (tabella 4), mentre è ipotizzabile che la crescita esponenziale degli Stati Uniti, imputabile per lo più al primo semestre 2009 (perciò in piena crisi), sia in parte attribuibile a resi su acquisti precedenti. Quanto all’export di occhiali (tabella 3), la ripresa nella prima parte del 2010 è in stretta dipendenza con il risveglio del mercato statunitense (+20,1%), verso cui si indirizza oltre un quarto della produzione locale di occhiali. Al secondo posto si conferma la Francia, il principale acquirente europeo e uno dei pochissimi partner che hanno chiuso il consuntivo degli anni 2008 e 2009 con il segno più, mentre il calo del primo semestre 2010 segnalato da Spagna e Grecia, mercati in crescita nel periodo pre-crisi, è l’inevitabile conseguenza delle molte difficoltà che ancora persistono in questi Paesi. Infine, nella graduatoria semestrale dei primi dieci si fa spazio l’Australia, soltanto al venticinquesimo posto nel 2009, con un acquisto di occhiali raddoppiato rispetto al primo semestre 2009.

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Tabella 4. Belluno. Importazioni di prodotti dell’occhialeria: primi dieci Paesi di provenienza, gennaio-gennaio 2008-2010 e anni 2007-2009 (euro correnti)

2008 2009 2010 2009 2010 '2009/'08 '2010/'09MONDO 158.980.882 180.870.749 197.054.233 100,0 100,0 13,8 8,9Extra Ue27 140.965.925 170.778.271 185.829.387 94,4 94,3 21,1 8,8Unione europea 27 18.014.957 10.092.478 11.224.846 5,6 5,7 -44,0 11,2

Cina 122.511.044 137.512.417 152.413.080 76,0 77,3 12,2 10,8Stati Uniti 8.116.353 17.045.967 19.608.473 9,4 10,0 110,0 15,0Germania 5.035.586 3.216.839 3.809.400 1,8 1,9 -36,1 18,4Regno Unito 3.366.923 1.566.765 2.200.161 0,9 1,1 -53,5 40,4Svizzera 716.484 395.429 1.229.882 0,2 0,6 -44,8 211,0Francia 4.295.626 868.060 1.218.031 0,5 0,6 -79,8 40,3Austria 1.229.118 2.166.519 989.201 1,2 0,5 76,3 -54,3Romania 1.572.569 828.631 899.697 0,5 0,5 -47,3 8,6Paesi Bassi 1.295.662 527.444 658.976 0,3 0,3 -59,3 24,9Ceca, Repubblica 187.266 481.148 528.139 0,3 0,3 156,9 9,8Primi 10 Paesi 148.326.631 164.609.219 183.555.040 91,0 93,1 11,0 11,5Altri Paesi 10.654.251 16.261.530 13.499.193 9,0 6,9 52,6 -17,0Totale import occhiali 158.980.882 180.870.749 197.054 .233 100,0 100,0 13,8 8,9

2007 2008 2009 2008 2009 '2008/'07 '2009/'08MONDO 334.090.493 334.267.545 345.189.081 100,0 100,0 0,1 3,3Extra Ue27 293.540.422 303.120.360 324.970.576 90,7 94,1 3,3 7,2Unione europea 27 40.550.071 31.147.185 20.218.505 9,3 5,9 -23,2 -35,1

Cina 263.329.766 263.216.760 264.719.614 78,7 76,7 0,0 0,6Stati Uniti 3.908.841 17.656.093 29.087.398 5,3 8,4 351,7 64,7Giappone 13.929.833 11.573.341 19.260.163 3,5 5,6 -16,9 66,4Germania 11.745.036 8.919.300 7.012.133 2,7 2,0 -24,1 -21,4Austria 4.014.329 2.764.861 3.405.056 0,8 1,0 -31,1 23,2Hong Kong 3.561.077 2.300.852 3.024.194 0,7 0,9 -35,4 31,4Regno Unito 6.847.591 5.300.493 2.755.788 1,6 0,8 -22,6 -48,0Corea del Sud 1.058.348 903.506 2.092.171 0,3 0,6 -14,6 131,6Francia 12.077.841 7.194.177 2.077.418 2,2 0,6 -40,4 -71,1Romania 2.024.080 2.754.234 1.780.310 0,8 0,5 36,1 -35,4Primi 10 Paesi 322.496.742 322.583.617 335.214.245 96,5 97,1 0,0 3,9Altri Paesi 11.593.751 11.683.928 9.974.836 3,5 2,9 0,8 -14,6Totale import occhiali 334.090.493 334.267.545 345.189 .081 100,0 100,0 0,1 3,3

PaesiANNO peso % var.%

PaesiSEMESTRE peso % var.%

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Istat

BIBLIOGRAFIA

C.C.I.A.A. Belluno, I Quaderni dell’economia locale, n. 1/2009, Il punto sulla crisi economica: dinamiche, numeri e testimonianze, 2009 C.C.I.A.A. Belluno, 8^ Giornata dell’economia, 7 maggio 2010, Rapporto sull’economia locale, 2010 SITI INTERNET

www.coeweb.istat.it

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INTERSCAMBIO DI SERVIZI E INVESTIMENTI DIRETTI ESTE RI Interscambio di servizi

L’interscambio commerciale di servizi è stato per lungo tempo trascurato, in gran parte a causa della sua intrinseca natura, ma anche per la presenza di barriere doganali e vincoli di Stato in settori portanti (comunicazioni e trasporti). La definizione classica di servizio1 esprime chiaramente la difficoltà a esportare un bene non tangibile da un Paese all’altro e questo fino all’avvento della rivoluzione informatica che ha dato un grande impulso alla sua commercializzazione, permettendo di scindere l’erogazione del servizio dalla presenza contemporanea nello stesso luogo del fornitore e del fruitore. L’innovazione informatica e la capillare diffusione su tutto il globo di processi di automazione e l’adozione di nuove tecnologie di informazione sono i principali fattori che hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo dello scambio di servizi, soprattutto quelli legati alle telecomunicazioni, alla logistica, all’organizzazione di attività produttive e distributive all’estero, ai movimenti finanziari. Per comprendere quanto abbia inciso sull’evoluzione degli scambi internazionali di servizi la tecnologia è sufficiente prendere in esame il peso del commercio dei servizi sul totale delle esportazioni mondiali, che è passato da poco più di un sesto negli anni Ottanta a quasi un quinto nel decennio successivo. Questo rapporto è rimasto invariato fino al sopraggiungere della crisi economica contemporanea che, facendo precipitare il commercio di beni, ha contemporaneamente portato alla rivalutazione dei servizi, molto più resistenti nelle fasi cicliche avverse. Nel 2009, per la prima volta l’incidenza dei servizi sull’export internazionale ha superato la soglia di un quinto. A dare slancio alla commercializzazione dei servizi, oltre allo sviluppo tecnologico, hanno influito le riforme politiche ed economiche adottate in alcuni Paesi, l’allargamento dei mercati e della produzione a livello planetario, l’abbattimento di molte barriere tariffarie, la crescente mobilità di beni, persone e capitali. Una forte spinta al processo di liberalizzazione per l’accesso al mercato dei servizi è stata data nel tempo anche dall’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (GATS, ossia, General Agreement on Trade in Services) promosso all’interno del GATT-WTO. In questi anni più recenti, tuttavia, si è assistito a uno stallo dei negoziati multilaterali sui servizi, in parte come riflesso per l’inerzia che domina le trattative dei beni, in particolare quelli agricoli, ma anche perché ci si è sempre più resi conto che i servizi sono una fonte molto rilevante di valore aggiunto e, in molti ambiti, si rivelano strategici. Nonostante l’importanza assunta dai servizi nel mondo e all’interno del panorama industriale, tanto che oramai si parla di legame inscindibile tra prodotto e servizio, l’entità dell’interscambio internazionale di servizi di Belluno resta assai esigua: nel periodo 1997-2009 (serie storica disponibile della Banca d’Italia) la provincia non ha evidenziato margini di crescita paragonabili alle altre realtà venete. Nella graduatoria regionale, infatti, è in termini quantitativi penultima, posizionandosi prima della provincia di Rovigo, ma seguendola se si guarda alla dinamica espressa. Nell’intervallo oggetto di osservazione, Belluno partecipa al totale dei crediti della regione Veneto in media per il 2,6 % e per il 3,8 nei debiti. Il saldo maturato è perennemente passivo, con un’unica importante eccezione nell’anno della crisi, quando i debiti si sono ridimensionati in modo più consistente dei crediti. Sul disavanzo pesano sempre i risultati negativi dei servizi alle imprese, mentre a mitigarne l’entità interviene la componente “viaggi” che chiude sempre in attivo. Oltre ai viaggi, anche le costruzioni e i servizi personali conoscono generalmente un saldo positivo, ma si parla di importi meno rilevanti.

1 I servizi sono delle prestazioni che l’uomo rende ai suoi simili per soddisfare dei bisogni. Si distinguono dai beni perché non possono essere conservati né separati da chi li rende. Unioncamere Veneto, Il Veneto dei servizi. Rapporto sulla terziarizzazione dell’economia regionale, Treviso 2007

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L’andamento del commercio internazionale di servizi di Belluno è assai altalenante nel tempo ed è riferibile sostanzialmente alla componente “viaggi” (vi sono conteggiati non solo i viaggi di piacere, ma anche quelli per motivi professionali) che copre mediamente, nell’arco di tempo considerato, quasi il 90 % dei crediti (che pesano all’interno del Veneto per circa il 3%) e il 65 dei debiti (con una partecipazione regionale del 5%).

Belluno. Interscambio internazionale di servizi. Anni 1997-2009 (dati in migliaia di euro)

ViaggiServizi alle

impreseServizi totali

ViaggiServizi alle

impreseServizi totali

1997 95.372 9.496 106.616 58.905 19.708 84.1451998 124.985 9.904 135.902 103.783 23.538 129.5791999 170.186 10.424 181.988 98.798 18.508 117.5292000 133.955 16.016 151.265 85.871 26.918 114.0922001 136.727 11.619 150.045 87.017 37.515 126.3852002 84.371 7.948 92.787 74.862 33.048 108.6042003 120.908 13.575 135.754 68.412 21.272 90.6912004 160.637 16.704 178.740 47.489 50.240 98.2012005 139.246 9.096 151.314 85.614 97.176 183.4492006 169.863 13.566 186.697 90.608 78.602 170.4812007 90.563 21.314 113.706 49.614 83.835 136.6712008 153.501 22.194 178.145 91.617 57.299 150.2482009 93.961 27.306 122.888 68.297 27.229 96.045

AnnoCrediti Debiti

1. Nei servizi alle imprese sono conteggiati le “royalties e licenze”, i “servizi finanziari”, i servizi “informatici” e gli “altri servizi alle imprese”. Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Banca d’Italia

Il 2009 ha visto un’importante contrazione delle entrate turistiche (-38,8%) che si sono attestate sui livelli del 2007, registrando il terzo peggior risultato in tredici anni. Sulle entrate generate dal turismo, a livello mondiale hanno inciso, come osservato da esperti internazionali, la scarsa propensione alla spesa manifestata dai viaggiatori e la contrazione della durata del soggiorno di cui si è avuto riscontro anche in provincia: a fronte di una diminuzione degli ospiti stranieri dello 0,9 % c’è stato un decremento più importante del numero di pernottamenti (-3,2%). Dando uno sguardo ai numeri degli arrivi e delle presenze degli ospiti non si può fare a meno di notare come il turismo bellunese sia poco internazionalizzato rispetto alle regioni dolomitiche limitrofe. Il movimento italiano genera oltre il 70 % degli arrivi e quasi l’80 % delle presenze, e a un dettaglio più affinato si rileva che sono soprattutto i corregionali a costituire il bacino preferenziale della clientela bellunese. Tenendo conto delle specificità paesaggistiche del territorio, alla luce anche dell’importante riconoscimento UNESCO, si potrebbe pensare ad ambire a risultati migliori. Ricerche economiche sul turismo hanno dimostrato che per un euro speso in vitto e alloggio ne corrisponde quasi un altro speso per acquisti vari sul territorio e che la propensione agli acquisti è maggiore nei cittadini stranieri. Sfruttare adeguatamente questo filone rappresenterebbe una grande opportunità per la provincia di Belluno e ciò si rifletterebbe non solo nella sua bilancia dei pagamenti, ma anche nella rivalutazione del territorio sia in chiave economica che ambientale. Le uscite dovute ai viaggi all’estero dei bellunesi sono molto variabili e sono state rilevanti solo sul finire degli anni Novanta; nel 2009 si è evidenziata una contrazione del 25,5% sul precedente che era stato particolarmente espansivo. La voce servizi alle imprese incide molto meno nella bilancia dei pagamenti bellunese rispetto a quella del Veneto. I crediti valgono in media, nel periodo considerato, poco più del 10%, mentre i debiti il 34. Tuttavia, negli ultimi anni si è registrato un sensibile aumento delle entrate, triplicate rispetto al 1997, e delle uscite, anche se il biennio della crisi ha prodotto una contrazione significativa delle importazioni rispetto al periodo di massima espansione vissuto nel 2005-2007.

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Tra i servizi alle imprese primeggiano le “royalties e licenze” che hanno avuto nella partita debiti uno sviluppo significativo a partire dal 2001, interrotto soltanto dall’arrivo della recessione, e gli “altri servizi alle imprese”, da metà secolo in espansione, con importi quasi raddoppiati rispetto al periodo precedente. Nelle entrate, le medesime voci, pur esprimendo una dinamica favorevole, hanno conosciuto un’evoluzione meno marcata, anche se una certa vivacità si è manifestata nell’ultimo triennio, ciò è vero soprattutto per gli altri “servizi alle imprese” che negli ultimi tre anni hanno registrato valori in esportazione tra i più rilevanti del periodo osservato e che nel 2009, al pari di quelli della provincia di Treviso, sono gli unici nel Veneto ad aver espresso un andamento positivo. Nonostante questo favorevole risultato, non si può fare a meno di notare che i progressi registrati da Belluno sono stati di gran lunga più contenuti rispetto allo sviluppo più marcato maturato dalle altre province venete, in particolare Padova, Vicenza e Treviso. Infine, un accenno alle costruzioni che nell’ultimo quinquennio hanno manifestato una tendenza al ridimensionamento nei crediti, dopo che nel biennio 2005 e 2006 avevano avuto un felice exploit, ciò è riferibile alle crescenti difficoltà che il comparto sta vivendo un po’ ovunque. Essendo oramai indiscutibile l’apporto dei servizi all’economia generale e alla formazione e commercializzazione del prodotto, sarebbe auspicabile che, anche in provincia di Belluno, il settore dei servizi qualificati, quelli in grado di spalleggiare le aziende manifatturiere nell’approccio ai mercati stranieri, assumesse un peso maggiore. L’esperienza recente insegna che uno stretto connubio tra prodotto e servizio è la chiave vincente per raggiungere il cliente. Guardando al modello tedesco di export, che attualmente sta avendo riscontri positivi, si osserva che nasce da una riqualificazione del settore dei servizi, da una ricostruzione di un indotto fatto di rapporti di rete intensi in cui manifatturiero e servizi si confondono. Investimenti diretti esteri

E’ noto che il nostro Paese non è una meta molto ambita dagli investitori esteri (per problemi soprattutto strutturali tra cui la dipendenza energetica e lo scarso livello infrastrutturale) e questo è confermato anche dalle statistiche ufficiali. Tra le regioni italiane più attrattive d’Italia, il Veneto appare al secondo posto dopo l’inarrivabile Lombardia. All’interno del panorama regionale, Belluno figura fanalino di coda, con importi alquanto limitati che lo distanziano nettamente da tutte le altre province. Il suo contributo ai flussi in entrata regionali è, infatti, di poco superiore allo zero, anche se nel biennio 2004-2005 la sua quota si era espansa collocandosi tra l’1,2 e l’1,8%. Agli inizi del XXI secolo, Belluno condivideva con Rovigo questo primato, ma in anni più recenti, il rodigino è stato in grado di dirottare nel proprio territorio in media circa il 10% dei flussi destinati al Veneto esprimendo una dinamica positiva. Anche per quanto riguarda gli investimenti bellunesi diretti all’estero si evidenzia, nel confronto regionale, la portata limitati degli stessi. Il contributo ai flussi veneti in uscita oscilla negli ultimi anni tra l’1 e l’1,6%, anche se nei primi anni Duemila si era dimostrato assai più vivace. In particolare si segnala la quota del 14,7% del 2000 e del 20,1% nel 2003. Detto ciò, per una corretta analisi del fenomeno va messo in giusta evidenza che gli IDE sono caratterizzati da forti oscillazioni poiché soggetti a operazioni che possono risultare isolate; è pertanto opportuno effettuare delle valutazioni guardando alla direzione geografica o settoriale dei flussi, piuttosto che porre l’attenzione sull’analisi delle variazioni percentuali annue. Il Paese che ha investito di più nel Bellunese in termini monetari nel periodo 1997-2009 (serie storica disponibile della Banca d’Italia) è stata la Finlandia, attiva tra il 2000 e il 2004, seguono l’Olanda (cui spetta il secondo più cospicuo investimento del periodo, focalizzato nell’anno 2005, dopo quello della Finlandia del 2004), il Lussemburgo, la Francia e il Regno Unito. Nessun Paese ha, però, investito in ciascuno degli anni dell’arco di tempo considerato; solo Francia e Lussemburgo presentano una frequenza elevata sul territorio con 12 e 11 annualità rispettivamente. Nella maggior parte dei casi siamo di fronte a interventi sporadici, ma dal 2005 si è

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assistito a un aumento nel numero dei Paesi investitori. Sia per frequenza che per importi, i flussi in entrata più significativi provengono dai principali Paesi europei e dagli Stati Uniti. Nel 2009 il principale Paese investitore è stato il Regno Unito con 10,2 milioni di euro, seguito dagli Stati Uniti con 4,3 milioni; ciò significa che, essendo i flussi di IDE in entrata poco più di 16 milioni di euro, il Regno Unito vi ha concorso per il 63,8% e gli USA per il 26,7%. Un 3,2 % e, inoltre, pervenuto dalla Francia, un 2,4% dal Lussemburgo, un 1,2% dal Belgio, mentre la residua quota è stata spartita tra ben sette nazioni, il che testimonia quanto modesti siano gli importi investiti. Nel 2009 si sono affacciati per la prima volta sul territorio bellunese Irlanda, El Salvador e Rep. Sudafricana, mentre sono tornati dopo anni di assenza Canada, Belgio e Lussemburgo. Non si sono, invece, riproposti Venezuela, Egitto e Hong Kong che nel 2008 avevano fatto degli investimenti. Il panorama che ne esce evidenzia che, a parte i casi di alcuni Stati Europei (Svizzera, Francia, Gran Bretagna, Lussemburgo) e degli Stati Uniti, si è di fronte a investimenti sporadici che non hanno continuità temporale. Gli investimenti degli operatori stranieri si sono indirizzati nel tempo quasi esclusivamente verso l’industria (la media dei tredici anni indica una percentuale del 73,7% che ben riflette il nostro tessuto imprenditoriale), anche se nell’ultimo triennio si avverte un maggiore peso dei servizi, in particolare quelli legati alle famiglie. Per quanto riguarda i disinvestimenti di operatori stranieri, essi sono stati esigui nell’ultimo biennio e hanno riguardato Australia, Stati Uniti e Spagna per quanto concerne gli importi più elevati. Nel periodo 2003-2004 erano stati, invece, molto rilevanti come valori monetari e avevano visto come primo attore la Finlandia.

Belluno. IDE: movimenti di investimento e disinvestimento. Anni 1997-2009

investimenti disinvestimenti investimenti disinvestimenti

1997 36.498 474 251.659 13.4471998 14.595 1.188 7.840 4.3141999 2.263 1.320 21.219 23.1822000 15.704 5.152 182.559 252.2822001 3.523 7.886 43.172 6.0572002 6.900 1.391 15.551 25.8562003 16.973 25.021 325.936 34.1112004 59.482 71.117 15.106 1.0392005 70.422 689 13.477 6.5992006 6.632 1.450 26.525 16.2912007 2.978 1.119 21.091 4.8182008 17.888 438 12.523 7.0472009 16.023 280 10.671 2.855

dall'estero verso l'esteroAnno

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Banca d’Italia

A differenza di quanto avviene per i flussi in entrata, quelli in uscita contemplano un vasto numero di Paesi, nel 2009 erano venticinque. Gli importi più importanti sono stati destinati a Turchia (32%), Stati Uniti (14,5%) e Svizzera (9,8%). I flussi di IDE in uscita sono risultati in calo per il secondo biennio consecutivo e si sono attestati a 10,7 milioni di euro. Contrariamente a quanto avviene per gli investimenti dall’estero, quelli verso l’estero presentano delle frequenze annuali più numerose e ciò è segno di una continuità degli investimenti in senso temporale rispetto a una data regione. Uno sguardo da vicino mette in evidenza che gli investimenti non mancano mai in Austria, Francia, Germania, Stati Uniti e Gran Bretagna e che, in generale si tende a preferire un Paese europeo. E’ comunque chiaro l’intento di approcciare i mercati emergenti o comunque quelli che possono offrire vantaggi competitivi perché il numero di questi Paesi è notevole e le frequenze tendono a intensificarsi proprio nell’ultimo quinquennio. L’elenco è lungo, però, vale la pena segnalare la Croazia, la Romania, il Messico, l’Australia, l’Ungheria e la Cina

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interessate dal fenomeno fin dalla fine degli anni Novanta, mentre è degli anni Duemila l’interesse per Polonia, Russia e Brasile. In termini monetari si è investito di più nell’arco di tempo considerato in Australia (un terzo di tutte le uscite dei tredici anni, quasi interamente devoluto nel 2003), Germania e Gran Bretagna (un quinto ciascuna).

Belluno. IDE: primi tre Paesi di provenienza e di destinazione degli investimenti nel 2009 (con storico 2005-2009)

2005 2006 2007 2008 2009Investimenti dall'estero

Regno Unito 980 520 198 1.410 10.223Stati Uniti 6.040 3.089 230 926 4.272Francia 425 1.651 1.886 13.000 510

Investimenti per l'esteroTurchia - - - 43 3.412Svizzera 412 2.359 1.636 268 1.552Stati Uniti 6.113 1.214 13 47 1.051

Fonte: elaborazione Camera di Commercio I.A.A. su dati Banca d’Italia

Nei flussi in uscita da Belluno si nota un interesse che si sposta negli anni in modo altalenante tra industria e servizi, tanto che la media dei tredici anni evidenzia un moderato primato del secondo settore (53,9%) rispetto al terziario (43%). I disinvestimenti si concentrano all’inizio e alla fine del periodo considerato, in relazione, quindi, alle frenate dell’economia mondiale; la più alta concentrazione riguardante il periodo oggetto di osservazione si verifica in Svizzera (tutte le annate sono interessate), Francia, Germania e Lussemburgo. Questi Paesi sono coinvolti anche in operazioni di dismissione nel 2009, accanto alla Moldavia e ad altri tre. Si cita la Moldavia perché non è frequente rintracciare un disinvestimento nei Paesi in via di sviluppo. Complessivamente e per tutto il periodo i disinvestimenti maggiori si sono avuti in Lussemburgo, Gran Bretagna, Olanda e Svizzera, se si guarda al 2009, invece, i movimenti monetari maggiori si sono concentrati in Francia, Germania e Spagna. BIBLIOGRAFIA

Unioncamere Veneto, Il Veneto dei servizi. Rapporto sulla terziarizzazione dell’economia regionale, Treviso 2007 Unioncamere Veneto, Veneto Internazionale. Rapporto sull’internazionalizzazione del sistema economico regionale 2009, ottobre 2009 Unioncamere Veneto, Veneto Internazionale. Rapporto sull’internazionalizzazione del sistema economico regionale 2010, ottobre 2010 SITI INTERNET

www.wto.org www.bancaditalia.it

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APPUNTI PER UNA STORIA DEL TRAFFICO COMMERCIALE BEL LUNESE Noterelle di storia e limiti del lavoro

Il commercio è antico come l’uomo e nasce insieme a lui, per assecondarne l’esigenza di procurarsi ciò di cui non dispone ma che intende possedere. Il mito, duro a morire, dell’impenetrabilità della barriera alpina è stato largamente sfatato e messo in crisi dalle scoperte archeologiche avvenute nell’ultimo trentennio, che hanno permesso di accertare come, anche nella montagna bellunese, i primissimi contatti commerciali e interculturali fossero avvenuti in occasione di incontri casuali tra bande di cacciatori preistorici. L’apparizione dell’uomo di Neanderthal in provincia risalirebbe addirittura a 40mila anni addietro. Nel 1984 sul monte Avena furono rinvenuti manufatti per la produzione organizzata di lame di selce, una vera e propria industria dell'età della pietra, la prima attività artigianale della quale si ha notizia dalle nostre parti. In Val Cismon sono riemersi invece i resti d’un cacciatore di 12mila anni fa, nel corredo funebre del quale spiccava una misteriosa pietra dipinta. La più antica presenza di agricoltori e allevatori nel bacino del Piave è stata invece accostata al periodo neolitico (3000 a. C.), con siti in zona alpina (Val Fiorentina), in Valbelluna, da Ponte nelle Alpi a Quero, e nelle montagne feltrine. Diversi ritrovamenti hanno messo in luce come, fin dall’epoca protostorica, molte popolazioni abbiano risalito in epoche remote il corso del Piave in cerca di giacimenti minerari, o, semplicemente, per oltrepassare i monti. C’è poi una storia (economica, militare, religiosa, ecc.) dei valichi alpini che è ancora in gran parte da scrivere.

La prima strada importante che interessò il suolo provinciale, con partenza dal litorale Adriatico e destinazione finale nell’area danubiana tedesca fu la via Claudia Augusta Altinate, tracciata da Druso attorno al 15 a.C., ai tempi della campagna contro i Reti. Venne costruita per scopi non soltanto militari, ma anche economici e culturali. Il cippo rinvenuto a Cesiomaggiore attesta come percorresse anche il Feltrino. Una seconda strada romana, sempre costeggiando il Piave, univa Feltre a Belluno e risaliva fino al Cadore. Per imbattersi nelle prime organizzazioni sindacali degli addetti al commercio e all’artigianato è necessario risalire fino all’epoca della romanizzazione. A Belluno è attestata infatti la presenza di tre collegia: quello dei dendrophori che riuniva quanti avevano a che fare con il legno (boscaioli, commercianti, zattieri), quello dei fabri (cui partecipavano coloro i quali lavoravano i metalli) e quello dei centonarii (che associava i fabbricanti di panni). Le materie prime della montagna arrivavano anche molto lontano: le zattere di abete, cariche di legname, minerali e pietre da costruzione scendevano lungo il Piave fino al Po e al porto di Ravenna. Il Piave si rivelò in età romana come una via navigabile percorsa da intensi traffici commerciali. Roma prima e Venezia poi avranno interesse a poter contare sul Bellunese sia come avamposto difensivo difficilmente valicabile, sia per la dovizia di materie prime che esso metteva loro a disposizione, come il legno (che significa navi) e i minerali (da trasformare in armi). Nel X secolo il bellicoso vescovo conte Giovanni conquistò il territorio tra Belluno e Jesolo, come attesta nel 963 un diploma dell’imperatore Ottone I che riconosce al presule bellunese, al fine di controllare i traffici militari e commerciali, il diritto di edificare torri e di scavare fossati nei territori da lui conquistati. Mai Belluno ebbe tanto potere come a quel tempo, anche se fu di breve durata. La fluitazione era un elemento vitale dell’economia bellunese: in epoca preveneziana non solo il legname scendeva lungo le acque del Piave, ma anche il ferro delle miniere zoldane e cadorine e il rame di quelle agordine. La filiera delle segherie, documentata dalla fine del Trecento, si distendeva lungo il Piave fino a Ospitale, proseguiva tra Longarone e Belluno e si completava a Bribano, nel tratto finale del Cordevole. Avremmo dovuto almeno accennare alla fitta rete di infrastrutture (chiuse, castelli, ponti e ospizi) che costellava il territorio, così come avrebbero meritato spazio anche gli Statuti di Belluno del 1392, che consentivano di importare ed esportare qualsiasi merce, stabilivano dazi e mude per il passaggio nel territorio comunale di molti prodotti e tutelavano il consumatore dalle frodi al punto di prevedere addirittura l’amputazione della mano destra per chi realizzasse documenti falsi. Tuttavia, non spetta a questi appunti il compito di abbozzare un profilo storico della lunga e affascinante trama dei traffici commerciali in entrata e in uscita dal Bellunese.

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Difficilmente, infatti, un argomento così impegnativo e ricco di sfaccettature avrebbe potuto armonizzarsi con lo scopo di questa pubblicazione, protesa verso l’attualità. Si aggiunga poi che la storia economica locale, con particolare riferimento al periodo tra il XIII e il XVIII secolo, non è ancora stata studiata come invece meriterebbe. Ciononostante, è utile dare uno sguardo anche al passato per tentare di capire l’evoluzione e i mutamenti dei processi economici. Considerato l’esiguo spazio a disposizione, ci si è dunque limitati a fornire soltanto alcune chiavi di lettura della storia economica locale, cercando, attraverso alcune esemplificazioni, di porre in relazione il presente con il lungo cammino della storia. Ci sforzeremo di comprendere come e dove i bellunesi si procurassero quello che a loro mancava e dove collocassero i beni e le materie prime di cui per contro disponevano in abbondanza, presentando in particolare una panoramica dedicata ai principali prodotti (materie prime, semilavorati e manufatti finiti) che, in epoche lontane o più prossime, hanno contraddistinto fuori provincia il Made in Belluno. È doveroso altresì sottolineare come, procedendo a ritroso nel tempo, si vedano aumentare sempre di più le difficoltà di reperire dati credibili e coerenti del flusso commerciale dentro e fuori provincia, che possano fornire un’idea abbastanza precisa della sua entità. Per fare i conti con la povertà della documentazione disponibile, basta pensare che la raccolta delle statistiche di import/export, suddivisa a cura dell’Istat per voci merceologiche, risulta alquanto sporadica e lacunosa anche con riferimento ad anni a noi vicini. Soltanto a far data dal 1990, infatti, gli interessati possono fare affidamento su una serie omogenea di risultanze statistiche. In assenza di numeri, facendo di necessità virtù, faremo parlare i testimoni di allora: storici, studiosi e istituzioni pubbliche. Queste pagine si propongono giocoforza di dare uno sguardo, con riferimento ai diversi periodi, alle principali dinamiche sottese agli scambi commerciali. Si cercherà di concentrare l’attenzione sui principali movimenti commerciali verificatisi nel mondo preindustriale, tenacemente ancorato all’agricoltura, che in un’area a sviluppo economico ritardato come quella provinciale comprende anche la parte iniziale del Novecento. Anche i più acritici laudatori del bel tempo antico sono perfettamente consapevoli dell’evidente miglioramento delle condizioni di vita e dei robusti progressi realizzatisi in seno alla società locale negli ultimi decenni. Dagli anni Sessanta in poi, infatti, un diffuso benessere ha interessato quella che, soltanto qualche decennio prima, veniva giudicata senza appello dall’Irsev la più arretrata tra le province dell’Italia settentrionale. Attualmente, invece, Belluno viene considerata – da autorevoli ricerche di quotidiani prestigiosi come Il Sole 24 Ore e Italia Oggi – uno dei capoluoghi del Paese dove la qualità della vita appare migliore. Nondimeno, presenta qualche interesse evidenziare come alcune dinamiche e comportamenti della popolazione siano rimasti pressoché immutati nel tempo, pur essendo trascorsi parecchi secoli dal loro primo manifestarsi. É scontato affermare che l’attuale invidiabile grado di internazionalizzazione dell’imprenditoria nostrana, figlio della globalizzazione e di una lunga storia di traffici rivolti più verso la pianura che a nord, sovrasti, quanto a volumi degli scambi, l’apertura ai mercati stranieri riscontrabile nel passato, sia di quello remoto che del periodo più prossimo a noi. Tuttavia, andando a ritroso nel tempo si va incontro a non poche sorprese che attestano la creatività e l’originalità delle soluzioni adottate dai nostri avi. Frammentazione, isolamento e autarchia

Il concetto di “estero”, così come viene modernamente inteso, può attagliarsi anche alla montagna bellunese soltanto a partire dalla sua cinquantennale appartenenza ottocentesca all’impero absburgico: in quel periodo, infatti, recarsi in Italia, ad esempio in Piemonte, significava entrare in uno Stato straniero. Allora i traffici commerciali erano davvero di entità modesta, anzi, come osserva nel 1860 una relazione sullo stato generale della provincia a firma del presidente della Camera di Commercio Domenico Mori, il commercio si riduceva unicamente all’introduzione di tutta quella molteplice massa di produzioni artificiali e naturali che al giornaliero consumo della popolazione si rendono necessarie. E le non comode comunicazioni e la

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lontananza dalla strada ferrata aggravano il benessere degli abitanti poiché tutto è d’uopo pagare tra noi a più alto prezzo. Insomma, in un’economia che aveva il proprio baricentro e motore nelle pratiche agricole, l’unico scambio fiorente era quello del legname e dei bovini, mentre tra i prodotti dell’agricoltura mancavano, del tutto o in parte, frumento, vino, olio, riso, lino e canapa. Così avveniva che la poca sovrabbondanza di granaglie a Belluno e Feltre compensasse nelle spese la quasi totale mancanza di vino, mentre gli abitanti dei distretti di Agordo, Longarone, Pieve e Auronzo potevano contare sul legname per procurarsi le granaglie e il vino, dal momento che certamente non bastavano al loro sostentamento i 60mila quintali di patate, l’orzo e la segale che producono che per sostenere lievemente la vita di quegli alpigiani nella rigida stagione iemale. Toccava ai carriaggi o agli ambulanti il compito di portare ai bellunesi ciò che non veniva prodotto in quota e quello di cui avevano bisogno. In ogni caso l’occasione più propizia ed attesa per procurarsi quel che mancava e preparare le scorte alimentari in vista della stagione improduttiva era rappresentato dalla fiera agricola autunnale, che chiudeva l’annata agraria. A metà Ottocento la fiera più importante della provincia era diventata quella di S. Martino, di origini addirittura trecentesche, che si teneva in Campedel, a Belluno, per tre giorni consecutivi. I contadini, infatti, realizzavano qualche guadagno vendendo capi di bestiame o i loro prodotti e con il ricavato acquistavano vestiario, lana, utensili e scorte alimentari per l’inverno. Nella seconda metà dell’Ottocento la reputazione del bestiame bellunese, di taglia piccola ma molto robusto e buon produttore di latte, era decisamente elevata tanto che gli acquirenti venivano non soltanto dalla piana veneta e dalla Pusteria, ma addirittura anche dalla Lombardia. Insomma, esportavano il bestiame. Ma ecco un altro passaggio della relazione di Domenico Mori, il quale, in riferimento all’industria, sostiene che hassi pur troppo a deplorare la totale mancanza di ogni impresa industriale, non potendosi dare tal nome a quelle poche industrie per così dire primitive che forniscono i mezzi necessari alla vita. Tali per esempio le fornaci a tegole o a calce, tali i molini, tali le seghe. A proposito di queste ultime si osserva come, in virtù della fluitazione del prodotto lungo il Piave, da noi si effettuasse solo la prima lavorazione del legno, mentre la piazza commerciale era a Venezia, dove si concludevano gli affari. Nell’epoca pionieristica dello sviluppo industriale, la provincia purtroppo segnò il passo, a causa dell’incapacità di rivitalizzare imprese un tempo fiorenti come l’industria della seta e della lana a Feltre, la lavorazione del ferro e dell’acciaio nel capoluogo, l’estrazione di minerali in Agordino, Zoldo e Cadore ed il lavoro degli squeraroli zoldani, abili come pochi nel costruire le gondole veneziane. Diversi anni più tardi, nel 1924, in opuscolo della Camera di Commercio sottolineava con schiettezza come i fasti del lontano passato artigiano fossero ormai diventati soltanto uno sbiadito ricordo Fra le piccole industrie esercitate in Provincia, alcune veramente caratteristiche, sono ora in decadenza o addirittura abbandonate. Ricordiamo le chiavi fucinate a mano, i chiodi e alari in ferro dello Zoldano, le posaterie e i ferri chirurgici di Alleghe, i bronzini (recipienti in bronzo per cucina), gli stampi da burro, la tintoria, ecc. che hanno dovuto cedere alla concorrenza della grande e media industria. Meritano speciale attenzione i merletti a punto di Venezia e ad ago, i merletti e i ricami a macchina, la fabbricazione di oggetti di legno, svariatissimi, fra cui cerchi di faggio (scatolai del Cansiglio), oggetti didattici, le cornici artistiche con fiori naturali alpini, i lavori d’intarsio in legno, i lavori in ferro battuto, la lavorazione dei rami, della pietra e del marmo, la filigrana in argento, gli zoccoli artistici, le cementerie a stampo, gli accessori per occhiali ecc.

In un articolo uscito nel 1867 sul periodico La Voce delle Alpi, Riccardo Volpe elenca i tanti progetti di industrializzazione basati sulle risorse naturali (acqua, legno, rame, piombo, sabbie,

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argilla, lana, seta, ecc.) discussi e mai attuati nei precedenti quaranta anni: si va da una cartiera (usando gli stracci) a una filanda per la seta (vista la diffusa coltivazione dei bozzoli), a una fabbrica di stoviglie (sugli argini dei torrenti la materia prima non mancava), alla fabbricazione di caldaie (con il rame), fino all’apertura di mobilifici. Dando fiato a queste iniziative si sarebbe potuto “muovere” l’economia, trasformando in operai i contadini più miseri e le donne e dando loro un reddito dignitoso. Nel contempo i bellunesi si sarebbero potuti sgravare della costosa “importazione” di cose loro indispensabili. Purtroppo, però, le discussioni non originarono mai iniziative concrete. A monte di tale impasse, ci sarebbe stata, secondo Volpe, la mentalità della classe dirigente locale, disponibile a faticare ma restia a farsi intraprendente nel campo commerciale e delle industrie:

Vi dico adunque che quanto avete proposto si può attuare, ma che non vi risolverete mai a farlo, perché niuno di noi sa che cosa sia industria nel vero significato della parola, non per altro motivo, perché non abbiamo mai fatto i mercanti, né abbiamo studiato un tale argomento; secondariamente perché né io né voi abbiamo il coraggio di unirci in società ed esborsare tre o quattro mille lire in imprese che non conosciamo che superficialmente e ci stancheremmo subito, volendo godere un profitto che non si potrebbe ottenere che dopo un periodo di anni; terzo che noi alla fine siamo benestanti, né voi né io vogliamo occuparci per aver fastidi.

Un ulteriore piccolo ma significativo indizio di tale apatia in campo economico lo fornisce nel suo Possidente Bellunese il Bazolle, ricordando come, durante la dominazione austriaca, le mele locali fossero un frutto apprezzato che però i nostri contadini non sapevano nemmeno raccogliere a regola d’arte, dal momento che percuotevano le piante con le inime (lunghi bastoni), ammaccando (e compromettendo) il raccolto. Fu così che gli abitanti di Revine, più portati per il commercio, salivano a Belluno a raccogliere i nostri pomi, li acquistavano a prezzi bassi e li portavano via con carri tirati da asini. I nuovi treni per Vienna e l’apertura delle corse del Lloyd per la Dalmazia, la Grecia e l’Egitto videro le mele nostrane migliori finire all’estero grazie a un’iniziativa da fuori. Nel 1866, conclusasi la terza guerra d’indipendenza con il passaggio dell’intero Veneto dall’impero austriaco al Regno d’Italia, fu la vasta monarchia di Francesco Giuseppe a trasformarsi per i bellunesi in un territorio estero. C’erano tanti entusiasmi e speranze a seguito dell’ingresso nello stato unitario e sinceramente ci si illuse che gli atavici e strutturali problemi della terra bellunese potessero finalmente avviarsi a soluzione. Ma le speranze furono di breve durata, come testimoniò, massiccio ed immediato, il ricorso all’emigrazione. Quel che è certo è che da allora la posizione geografico-strategica della provincia, ubicata a ridosso d’uno Stato nemico, non ne ha certamente favorito lo sviluppo economico e in particolare la sua industrializzazione. Anche le aspettative di miglioramento della mortificante dotazione di infrastrutture (strade e ferrovia) risultarono penalizzate, dal momento che la provincia finì per trasformarsi in una sorta di area-cuscinetto tra due Stati rivali, che si guardavano in cagnesco. È quasi superfluo ricordare come nell’epoca attuale il quadro sociopolitico di riferimento sia profondamente mutato in virtù dell’ormai avanzato processo di integrazione europea che, a seguito degli accordi di Schenghen, firmati negli anni Novanta del secolo scorso, ha eliminato le frontiere all’interno dell’area comunitaria, facendo venir meno l’originaria funzione economico-militare del confine tra Stati. In questo diverso contesto la montagna bellunese non è più chiamata a svolgere, come in passato, il compito di barriera naturale per separare l’Italia dall’ex nemico austriaco. Al contrario, essa dovrà reinventarsi un ruolo all’insegna della cooperazione economica e culturale, fungendo da cerniera al fine di meglio integrare le popolazioni confinanti sulla base di intese e di comuni iniziative transfrontaliere. C’è poi da aggiungere che pure i dirimpettai di oggi risultano alquanto “scomodi” per Belluno: la nostra provincia si trova infatti a competere – per esempio in campo turistico – non certo ad armi pari con le confinanti province autonome di Trento e Bolzano e con la regione a statuto speciale del Friuli, tutte realtà amministrative dotate di finanziamenti pubblici e di livelli autonomia normativa e decisionale decisamente superiori rispetto a quelli destinati alle terre alte. I quattro secoli che precedettero la dominazione austriaca sono stati contrassegnati dalla lunga e pacifica sottomissione alla Serenissima Repubblica e da accentuate difficoltà di comunicazione con

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la pianura. Era un mondo dominato dalla lentezza, quello; al suo interno, tuttavia, gli orizzonti spaziali, pur essendo assai ristretti, sembravano decisamente maggiori rispetto a quelli odierni. Allora, per arrivare a Venezia ci voleva quasi un’intera giornata di viaggio, mentre navigare il Piave a bordo di una zattera era la via più breve per raggiungere la pianura. In un contesto nel quale gran parte dei contadini bellunesi non aveva mai visto il capoluogo e quando vi entrava rimaneva intimorita dalla presenza dei palaz, si poteva considerare alla stregua dell’estero qualsiasi territorio che fosse ubicato appena al di là della propria valle di appartenenza, indipendentemente dal fatto che venisse controllato da Venezia (pensiamo ad esempio alla Patria del Friuli o alla Marca Trevigiana), o che fosse invece parte integrante (è il caso del Tirolo) di un altro Stato. La realtà provinciale era (ed in parte rimane) assai frammentata, per ragioni geografiche, economiche e culturali. A giudizio di Riccardo Volpe, segretario della Camera di Commercio dal 1868 al 1887, le nostre montagne rappresentavano non una risorsa ma un limite, «un baluardo fatale allo sviluppo economico». Esse formavano altresì una barriera mentale, forgiando il conservatorismo degli abitanti e tagliando fuori da ogni progresso la popolazione residente. Ancora più esplicitamente nel 1868 una relazione del prefetto di Belluno ribadiva quanto espresso pochi anni prima dal presidente camerale Mori: La posizione topografica di questa Provincia posta nel centro delle Alpi che dividono l’Italia dalla Germania è un impedimento a che possano qua fiorire quelle industrie, specialmente agricole, che formano la ricchezza di altre regioni. La lontananza dai centri più popolosi, la difficoltà di comunicazioni specialmente nella stagione invernale, fra i vari paesi della provincia ed il capoluogo, sono causa che il commercio anziché florido sia scarso e languido. Nonostante però queste contrarietà la popolazione solerte e laboriosa non trascura di attendere a quelle industrie rese possibili colla natura del terreno e colla posizione della località. L’isolamento era quasi una condizione esistenziale per la gente bellunese, almeno secondo un acuto testimone del suo tempo come Antonio Maresio Bazolle, che nel Possidente bellunese annotò: Questa vallata di Belluno era segregata dal mondo, non aveva altra comunicazione buona che quella col Piave per andare in giù; ma per trasportare qui le derrate alimentari dalla bassa, le difficoltà erano immense e vi occorrevano ingente spesa e lungo tempo… Le relazioni dei bellunesi coi paesi della bassa era ristrettissime, e non soltanto nei riguardi commerciali, ma altresì nei sociali. Come la più parte di questi territoriali, massimamente donne, non venivano mai in tutta la lor vita a Belluno…, così pochissimi erano i bellunesi che sortivano da questa vallata, e molti anche fra le primarie famiglie nobili non andavano mai a Venezia. Va inoltre messo in luce come la provincia di Belluno, intesa come entità amministrativa, abbia origini recenti, non stratificate nella storia: é sorta infatti in epoca napoleonica, ma soltanto dal 1923 - con l’acquisizione dei territori ex austriaci di Cortina, Livinallongo e Colle S. Lucia - ha potuto raggiungere la configurazione attuale, basata su 69 comuni. Con riferimento all’era lunga quattro secoli (dal Quattrocento al Settecento) nella quale fu Venezia a comandare su un vasto entroterra (non soltanto veneto), la provincia attuale risultava la sommatoria di tre territori nettamente distinti e scarsamente in relazione tra loro: il Bellunese, il Feltrino e il Cadore. Altre aree non troppo distanti da essa (come il Padovano, il Trevigiano o il Friuli) possedevano invece ab antiquo una coesione interna maggiore della nostra, favorita dall’indiscussa supremazia politico-economica esercitata dai rispettivi capoluoghi sulle zone limitrofe. Da noi è avvenuto che Belluno, il capoluogo, pur godendo di una posizione centrale nel bacino plavense, difettasse di autorevolezza e di forza economica e non riuscisse ad imporsi quale punto di riferimento per le valli finitime, ciascuna delle quali aveva le proprie peculiarità storiche, culturali e in fatto di tradizioni e pratiche produttive e commerciali. Alla “montuosità” del territorio è altresì collegata la mancanza di consolidate tradizioni storiche comuni. Per troppo tempo ogni valle è stata un mondo chiuso, a forte dimensione comunitaria, incapace di dialogare con i vicini. Tra Bellunese, Feltrino e Cadore è esistito per troppo tempo un reciproco senso di estraneità, originato dal fatto che la provincia venne

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creata a tavolino da Napoleone. Tale “storica” difficoltà di comunicazione intervalliva ha reso talvolta difficile il dialogo tra aree contigue ma divise da rivalità di campanile. Il già citato Antonio Maresio Bazolle descrisse con dovizia di particolari in quale direzione si svolgessero in provincia i traffici commerciali: I rapporti dei Feltrini e dei Fonzasini sono tutti col Trevigiano, col Padovano e col Vicentino, e con vicino Primiero; solo per piccola porzione coll’Agordino. Egli è da quei tre primi Paesi, detti rispettivamente a loro la bassa, ch’essi ritraggono quanto loro occorre dei generi prodotti colà, e di quelli meridionali e coloniali. All’incontro i Feltrini e i Fonzasini quando sono a Belluno si trovano, per così dire, in un culo di sacco, e, se vogliono riavvicinarsi ai loro affari della bassa, se vogliono andare nel mondo bisogna che rifacciano la strada inversa. I Cadorini hanno tutti i loro rapporti con Venezia dove le loro case commerciali, tra le quali parecchie di ricchezza gigantesca, costituiscono un elemento primario nel commercio attivo di quella piazza, e dove tengono grandiosi magazzini che ricevono i legnami che gettati nel Piave in Cadore, e ridotti a forma di zattere vi fluiscono giornalmente, e giornalmente pure, rappresentando un complessivo valore commerciale per tanti milioni,, partono per via mare per soccorrere ai bisogni di Corfù, d’Atene, di Sira, di Pera, di Smirne e d’Alessandria d’Egitto. Come situati sullo stradale di Venezia, sono i paesi del Trevigiano quelli con i quali i Cadorini hanno, dopo Venezia, i loro rapporti. Dopo aver ricordato che, in virtù del loro legname, ottima merce di scambio, i Cadorini avevano proprietà fondiarie nella bassa con la quale intrattenevano vivaci scambi commerciali, il Bazolle osserva che i Longaronesi, pur attratti dalla pianura, avevano maggiori comunanza di rapporti col capoluogo, così come gli Agordini, mentre Mel e Trichiana guardavano piuttosto al Vittoriese e l’Alpago si rivolgeva a Venezia e Treviso. Insomma, da questo quadro postunitario emerge come in provincia gli unici a coltivare una dimensione internazionale negli scambi fossero soltanto i cadorini, forti del loro legname, materia prima ambita e multiuso, di ottima qualità. Lo stesso Bazolle non manca di sottolineare come la leadership di Belluno sul bacino provinciale risultasse alquanto sbiadita, documentando nei suoi Annali manoscritti come, nel periodo postunitario, ogni iniziativa pubblica e privata stentasse a trovare attuazione, frenata com’era da continui litigi, campanilismi e separatismi, che, almeno in parte, perdurano. È bene ricordare che le odierne istanze separatiste (Lamon, Sappada e Cortina d’Ampezzo i casi più spinosi) hanno una lunga storia alle spalle: già nel 1848 i distretti bellunesi si ribellarono in ordine sparso all’Austria, senza unire le forze contro il nemico comune, mentre già nel 1867 i distretti di Feltre e Fonzaso avevano cercato di aggregarsi a Treviso, accusando Belluno di non perseguire l’interesse generale. La mobilità imprenditoriale e del lavoro all’origin e dell’occhialeria bellunese

Osservando a ritroso, con occhi disincantati, la vita socio-economica di quella che sarebbe diventata la futura provincia di Belluno, risulta opportuno in primo luogo sfatare un mito privo di fondamento, ma che appare duro a morire e viene riproposto con regolarità da una certa pubblicistica locale. In più d’una occasione essa ha guardato quasi con rimpianto alla civiltà rurale bellunese, spazzata via nel secondo dopoguerra dall’industrializzazione, diffondendo la convinzione, erronea ed ideologica, che si trattasse di un mondo felice, che, insomma, si stesse meglio allora, quando le condizioni di vita erano molto peggiori. Secondo tale vulgata, la poco numerosa popolazione bellunese, sparpagliata in molti piccoli centri abitati, avrebbe vissuto per secoli felicemente, nel pieno rispetto dei costumi e delle tradizioni tramandate dai padri. Tale lettura della realtà è miope e non tiene affatto conto di come la collocazione geografica e la montuosità del territorio provinciale abbiano costantemente condizionato in maniera pesantemente negativa lo sviluppo dei rapporti commerciali con le aree circostanti, tenendo a lungo lontana la popolazione attiva dalle più trafficate vie commerciali della pianura. È un dato di fatto pacifico rilevare come nei secoli scorsi la mobilità delle merci bellunesi abbia raggiunto livelli quantitativi del tutto trascurabili rispetto all’epoca attuale contrassegnata dalla competizione globale e da un manifatturiero in larga parte export oriented.

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Pur con la rilevante eccezione della diffusa pratica migratoria, cui si parlerà nel prossimo paragrafo, l’isolamento dei bellunesi è stato a lungo un dato di fatto, una diretta e dannosa conseguenza della montuosità di un territorio accessibile soltanto (sia in entrata che in uscita) con grande difficoltà e dispendio di danaro e di tempo. La montagna era (e rimane tuttora) troppo distante dai centri di pianura, dove ferveva invece la vita produttiva. In ogni caso è sbagliato credere che la vita economica provinciale si sia svolta esclusivamente entro il recinto dei confini provinciali: basti pensare all’importanza, in termini economici, delle rimesse degli emigranti, studiate in un saggio dal prof. Bresolin. Vero è invece che tra quanti popolavano la piana veneta e i residenti nelle vallate solcate dal Piave e dai suoi affluenti i rapporti economici sono stati continui e di fondamentale importanza per entrambi. Le rispettive economie si sono infatti integrate a vicenda, non fosse altro perché la pianura ha sempre avuto bisogno ed ha utilizzato le materie prime che abbondano nelle terre alte (acqua, legno, minerali, pietre, ecc.), mentre la comunità alpina, non potendo vivere di autoconsumo, ha cercato di procurarsi quel che le mancava e di integrare i propri magri redditi trovando beni e occupazione al di fuori dei suoi confini. Guai a pensare insomma che a farla da padrone in provincia sia stato un inquietante e dannoso immobilismo (soprattutto con riferimento alle merci). Documenti storici alla mano, appare infatti verificabile l’immagine, in ogni epoca, di una montagna in movimento, aperta ai valligiani e alle altre comunità, non soltanto a quelle confinanti. Alcune esemplificazioni ci aiuteranno a chiarire meglio quanto si è affermato. Va sottolineato ad esempio il diffuso caso delle minoranze linguistiche definitivamente stabilitesi in alcune zone della provincia, dove formano vere e proprie isole alloglotte di lingua tedesca. La comunità di agricoltori della valle dell’Inn, che attorno al 1200 si stanziò nel sito di Sappada, ha saputo mantenere per secoli lingua e tradizioni dei luoghi d’origine ed è tuttora consapevole e orgogliosa della propria diversità, così come lo sono anche le etnie ladine. Ma le suggestioni, sempre con riferimento a collegamenti con i vicini di lingua tedesca non mancano: basti pensare che il primo documento scritto sulle miniere di Colle S. Lucia risale al 1177 ed è conservato nel convento di Novacella (Bressanone) o alla presenza sin dal Quattrocento di tecnici tedeschi per organizzare lo sfruttamento delle miniere di rame di Rivamonte Agordino. A Belluno invece tra Sette e Ottocento si stanziarono diverse famiglie pusteresi come gli Smalz (italianizzati in Smali), gli Hellweger, i Waschinger (divenuti Bossiner), gli Occofer, i Toller ecc. Già nel XV secolo, provenienti addirittura da Buda(pest), fissarono la loro dimora a Bribano di Sedico dei cittadini magiari che vennero chiamati Budati (poi Buzzati). Presso il Cordevole, essi impiantarono una fucina, occupandosi anche del commercio di legname. Discendente di quell’antico ceppo magiaro sarà Dino Buzzati, il più celebre scrittore bellunese di sempre, mentre per rimanere a Budapest furono le maestranze di San Vito di Cadore a costruire nell’Ottocento il ponte sul Danubio che collega le due sponde della capitale. Gli esempi della mobilità e dell’interscambio dei lavoratori dentro e fuori la provincia si sprecano e testimoniano di fecondi rapporti con comunità anche distanti. Sin dal Settecento, le intense correnti migratorie stagionali dei bellunesi costruirono una rete di rapporti economici e commerciali con alcune aree di riferimento, principalmente con la Marca Trevigiana e Venezia. Una ricerca del prof. Antonio Lazzarini ha segnalato, con riferimento al ventennio 1731-1750, la presenza, riscontrabile negli appositi registri, di ben 975 garzoni nostri conterranei (forneri, luganegheri, tesseri, calegheri, marangoni, ecc.). È logico pensare che tutto questo continuo movimento giovasse all’intera collettività, riuscendo talvolta ad introdurre al suo interno non solo modi di vivere, bisogni ed usanze diverse da quelle praticate, ma anche idee od iniziative economiche sino ad allora ignorate. Insomma, quando rientravano al paese, gli emigranti contribuivano in qualche modo a mettere in crisi, se non a mutare, le abitudini e le attività dei residenti. Dalla realtà straniera nella quale si erano inseriti con il loro lavoro, potevano derivare idee e stimoli per far progredire la vita economica del luogo natale. In tal senso, il caso forse più eclatante riguarda la nascita dell’occhialeria cadorina. La data da incorniciare è il 15 marzo 1878, quando venne redatto dal notaio Francesco Giacomelli di Padova un contratto “storico” che segnò la prima tappa d’una lunga avventura imprenditoriale che ha preso le mosse dalla fabbrichetta in località Le Piazze, presso il torrente Molinà. Nessuno, allora, avrebbe potuto immaginare che, partendo da esordi tanto modesti, l’occhialeria nostrana nel giro di alcuni

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decenni avrebbe raggiunto traguardi d’eccellenza, affermando il made in Belluno nel mondo. Un semplice atto notarile sancì la costituzione di una società tra Angelo Frescura, calaltino di Rizzios, suo fratello Leone e Giovanni Lozza. Il contratto in parola ha poche clausole e inizia così: Padova 1878. Essendo venuto il signor Angelo Frescura nella determinazione di istituire una fabbrica di occhiali in Calalzo del Cadore, ed avendo a questo fine già approntato il locale negli edifizi sul Molinà, di proprietà del signor D.n Francesco Giacomelli, si diviene al presente convegno tra il suddetto Angelo Frescura e gli operai. Il signor Angelo Frescura assume per lavoranti principali Lozza Giovanni e Frescura Leone assegnando a ciascuno di essi la mercede giornaliera di Lire 2,00. I patti sociali indicarono poi in un anno la durata minima della società, rinnovabile di volta in volta, prevedendo la divisione in parti uguali degli utili ai tre soci. Insomma, mentre Leone Frescura e Giovanni Lozza (addetto alla costruzione dei punzoni e delle macchine) offrirono idee e lavoro, cervello e finanziatore dell’iniziativa fu l’ex venditore ambulante di chincaglierie Angelo Frescura, un emigrante che aveva fatto fortuna ed era tornato in Cadore con l’idea di investire qui il piccolo capitale accumulato in precedenza. L’opificio - in passato adibito a molino e a fabbricazione di olio di noci - riceveva l’energia per azionare i macchinari dall’acqua del torrente e dava lavoro inizialmente a dieci operai che si limitavano all’applicazione manuale della montatura alla lente. Solo successivamente si iniziò a produrre montature. Fu nel 1883 che si dispose il potenziamento del primitivo insediamento, costruendo una nuova fabbrica in località Molinà nei pressi dell’omonimo ponte e della chiesetta cinquecentesca di S. Maria delle Grazie. Fu questo il primo nucleo dei futuri stabilimenti Safilo e qui si può tuttora vedere la sede storica dell’occhialeria cadorina, sopravvissuta a guerre ed incendi. Angelo morì a soli 45 anni nel 1886 e i due soci superstiti non furono in grado di rilevare l’azienda. Tuttavia Giovanni Lozza, coi proventi della liquidazione, costruì a sua volta una piccola officina meccanica in località S. Francesco d’Orsina, dalla quale si sarebbe più tardi sviluppata la grande fabbrica d’occhiali Lozza. La ditta fondata da Angelo Frescura venne ceduta alla società milanese Colon, Bonomi e Ferrari ed occupò una trentina d’operai. Il Cadore ci aveva presso gusto a fare occhiali e da tale attività imprenditoriale avrebbe avuto nei decenni a venire fama ed un relativo benessere, dando occupazione a molti lavoratori locali ed arginando così, almeno in parte, la piaga dell’emigrazione. All’origine dell’occhialeria cadorina – che si conferma tuttora il prodotto del manifatturiero provinciale più conosciuto ed esportato nel mondo – c’è dunque il caso di mobilità imprenditoriale di Angelo Frescura, che ebbe la felice intuizione di associarsi per aprire un opificio, divenuto il germoglio iniziale di una pianta secolare e fruttifera come il futuro distretto dell’occhialeria. La sua non fu certo un’iniziativa casuale o semplicemente dettata dalla nostalgia di un emigrante, ma un’operazione abilmente pianificata, perché sfruttava la presenza in loco di energia derivante dall’acqua e di manodopera a basso costo. Si aggiunga poi che l’occhiale è un prodotto leggero che si presta meglio di altri al trasporto di grandi quantità a valle lungo le accidentate strade bellunesi. Il successo dell’impresa di Frescura - che fu anche un campione di marketing dal momento che regalò alla regina, in vacanza a Perarolo, un paio dei suoi occhiali trovando un notevole riscontro pubblicitario - fece sì che il cavalier Carlo Enrico Ferrari, acquirente della fabbrica, trasformasse il piccolo laboratorio artigianale legato ai mercati locali del Nord Italia in un’azienda industriale capace di accedere con successo nei mercati stranieri. Più che dalle medaglie d’oro e d’argento vinte nei concorsi e nelle esposizioni di fine secolo, la qualificazione dell’azienda fu attestata dal rapido crescere delle ordinazioni da parte di tutte le grandi case della penisola e dall’estero, segnatamente da Amburgo, Parigi, Costantinopoli, dall’Egitto, dalla Grecia, dal Brasile e dall’Argentina. Ferrari fu determinante per la formazione professionale e imprenditoriale delle nuove leve industriali e al suo spirito collaborativi si deve la successiva nascita in Cadore di altre imprese del settore, creando solide basi per la nascita del locale distretto dell’occhialeria. Nel 1951, prima che l’industrializzazione cambiasse il volto del sistema produttivo bellunese, le ditte locali, piccole e grandi, dell’occhialeria erano circa una sessantina e la quota di prodotto da esse collocata all’estero rappresentava il 90% del totale dell’export provinciale. Oggi che l’attività

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produttiva della provincia si è maggiormente differenziata, il peso dell’occhialeria sul mercato non italiano resta comunque molto alto, interessando il 63,6% del flusso commerciale verso l’estero. La condizione migrante

In passato si diceva che ogni benestante dovesse possedere «an canp in Faola, an loghet a le basse e an capitalet in Alpago». A conferire ricchezza, cioè, secondo questa massima sarebbero bastati un campo in Favola, la piana del capoluogo dispensatrice di granoturco, un podere nel Trevigiano (per ottenere frumento e vino) e un terreno da affittare in Alpago in modo da ricavarne del denaro liquido, necessario per affrontare le spese. La stragrande maggioranza della popolazione era però indigente. Vivere in quota offriva sovente alle famiglie solo prospettive di fame: l’agricoltura di sussistenza e l’allevamento, integrati da piccole attività artigiane rivolte al mercato interno, non garantivano la sussistenza. Bastava un raccolto scarso gettare sul lastrico i contadini. La crescita demografica, poi, senza alcun aumento delle risorse alimentari, rese quasi obbligatoria la dolorosa scelta dell’espatrio, favorita dal sorgere in Europa di opifici e di attività industriali o dalla creazione di nuove infrastrutture pubbliche. La provincia esportò a lungo non tanto prodotti finiti, quanto forza lavoro. La fama di lavoratori onesti e instancabili caratterizzò a lungo all’estero i bellunesi. L’esodo assunse presto proporzioni bibliche e privò per almeno un secolo e mezzo i paesi, in via provvisoria o definitiva, delle loro forze migliori. Per i bellunesi emigrare è sempre stata una condizione vitale e tipica, che ha comportato lo sradicamento dal luogo d’origine, la lenta assimilazione alla nuova realtà e la continua ed operosa mobilità tra la piccola patria e il luogo di lavoro. Austria, Ungheria, Svizzera, Francia, Germania, Balcani ed Oriente erano le mete più frequenti, ma a fine secolo si moltiplicarono le partenze definitive verso la Merica del Sud (Brasile ed Argentina) e del Nord. Lungo è l’elenco dei mestieri esercitati in terra straniera: contadini, pastori, manovali braccianti, muratori, minatori, falegnami, carpentieri, scalpellini, chiodaioli, tessitori, fabbri, facchini, seggiolai, venditori ambulanti, ecc. Erano fanciulli, mendicanti o apprendisti. Erano donne: serve, operaie, merciaie ambulanti o balie, mentre le ciode lavoravano stagionalmente nelle fattorie oltre confine. Incominciarono a migliaia nella prima metà del XIX secolo. Nel 1843 erano circa 8mila i bellunesi (su 143.523 residenti in provincia) che costruivano in Europa Centrale l’esampòn (la ferrovia, dal tedesco Eisenbahn). Il termine esamponèr divenne presto sinonimo di emigrante. Per comprendere la vastità del fenomeno migratorio, basterà ricordare che nel 1886 Belluno era la seconda provincia d’Italia (dopo Udine) come numero d’emigranti, con una media del 49 per mille, rispetto alla percentuale nazionale del 6 per mille. Il censimento del 1911 fotografò impietosamente il movimento migratorio: tra i residenti (oltre 235mila) e i presenti (meno di 193mila) la differenza era di oltre 43mila persone, quasi tutti emigranti. Soltanto dal 1973 fu scritta la parola fine all’espatrio di massa: in quell’anno i rimpatri definitivi hanno superato le partenze. Quelli di Dino Buzzati, Beniamino Dal Fabbro, Silvio Guarnieri, Ugo Fasolo, Gino Rocca, Carlo Rizzarda, Masi Simonetti, Fiorenzo Tomea, Tancredi Parmeggiani, Bruno Angoletta, Bruno ed Elio Migliorini, Rodolfo Sonego, Giambattista Pellegrini sono i nomi forse più illustri tra i molti intellettuali novecenteschi che hanno trovato altrove un ambiente culturale più stimolante. Questa è la sola forma di emigrazione, radicata e preoccupante, che permane in provincia. Adesso le imprese nostrane richiedono quasi esclusivamente manovalanza non qualificata e i cervelli migliori non trovano spazio. Andandosene, impoveriscono una terra dove è rimasta elevata l’abitudine/attitudine al lavoro dipendente, figlia anche del migrare.

Le vie del commercio

Il territorio della provincia di Belluno - l’unica interamente montuosa nel Veneto - coincide quasi per intero con il bacino del Piave. Ben 22 comuni su 69 hanno un’altezza media superiore ai 950 m. Tale conformazione fisica sfavorisce gli insediamenti, e, se rende difficili e faticosi gli spostamenti interni anche oggi, figuriamoci nel passato. All’interno della provincia, le strade erano tutt’altro che rapide e sicure: non a caso, un adagio sosteneva che i pessimi collegamenti tra Feltre e il capoluogo

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costituissero un test probante circa la resistenza delle cavalcature Chi vol proar (mettere alla prova) un caval vae da Feltre a Cividal (Belluno). Per poter commerciare sarebbero state necessarie vie di collegamento che unissero in tempi (e con rischi) ragionevoli la montagna alle realtà insediative contermini o più distanti. Ma così non è stato. La condizione di estraneità del Bellunese dal mondo venne in parte attenuata, attorno al 1830, dall’apertura della postale di Alemagna, la versione moderna dell’antica via Claudia Augusta, che unì Venezia ed Austria. Al riguardo il solito Bazolle ci racconta che V’era una continua processione di carrettoni tedeschi da sei cavalli che mantenevano un vivace ed importante commercio tra Trieste, il Tirolo, la Baviera e il lago di Costanza. Questi passavano tutti per Fadalto, S. Croce, Longarone ed il Cadore; e lo sviluppo commerciale ed economico dei paesi situati su quello stradale ebbe principio ed acquistò forza appunto dall’essere stato quello stradale l’arteria di comunicazione tra la Baviera ed il mare a Trieste Pericolosa e troppo trafficata, questa strada (nota come la provinciale 51) resta ancor oggi la spina dorsale della viabilità provinciale, penalizzata sovente da maltempo e frane. E’ facile sparlarne oggi, ignorando che si tratta d’un capolavoro d’ingegneria realizzato oltre 170 anni fa per favorire il carriaggio commerciale. In mancanza della macchina a vapore, erano infatti i lentissimi carri trainati dai cavalli e guidati dai carradori (detti in Cadore cavallari) ad avvicinare mare e monti, assicurando alle comunità in quota i rifornimenti di generi alimentari e merci varie che mancavano loro. Il necessario rifornimento proveniente dalla pianura costava naturalmente moltissimo; di conseguenza la “bilancia commerciale” bellunese era ampiamente in rosso, dal momento che i ricavi ottenuti con l’esportazione via Piave di bovini, legname, lana grezza, pietre, minerali, ecc. erano largamente inferiori all’esborso per le merci “importate” dalla Bassa. Nel 1832 Belluno rimase tagliata fuori dal tracciato dell’Alemagna: già allora il capoluogo scontava una penalizzante lontananza dalle grandi arterie stradali europee. In ogni caso, nella seconda metà dell’Ottocento, anche quel fervore commerciale che aveva solo sfiorato il capoluogo, si spense: il Lombardo-Veneto spostò il proprio baricentro viario lungo la direttrice del Brennero, funzionalmente equidistante tra Venezia e Milano, facendo della provincia di Belluno la periferia dell’impero. Attualmente l’assenza di un effettivo sbocco della provincia a nord si conferma un handicap assai pesante per la vita economica bellunese, anche se la pianura appare adesso più vicina grazie all’autostrada A27 Vittorio Veneto-Pian di Vedova che è stata aperta al traffico nel 1995. Se i collegamenti stradali piangevano, quelli ferroviari certo non ridevano. Atteso quasi come un Messia capace di annullare la distanza con la pianura e di scacciare isolamento e miseria, il treno collegò finalmente Belluno a Treviso soltanto nel 1886, con un ritardo evidente: erano trascorsi quasi cinquant’anni dall’apertura della Napoli Portici, la prima linea italiana su rotaia. Il ruolo militare della provincia quale estremo baluardo difensivo contro l’Austria fece preferire la tratta da Treviso, sacrificando invece quella diretta in Cadore, via Fadalto. Il treno, simbolo per eccellenza del progresso, non divenne mai la tanto sospirata leva del riscatto economico, non spianò la strada a nuovi insediamenti industriali in loco né ampliò la portata dei traffici commerciali: i lunghi tempi di percorrenza, il mancato collegamento alla rete europea e la tardiva estensione al Cadore spensero presto ogni illusione di cambiamento. I sogni di riscatto rimasero nel cassetto, tanto che del treno si servirono soprattutto gli emigranti per abbandonare, spesso definitivamente, la terra natale. Come già abbiamo avuto occasione di dire, per un lunghissimo arco di tempo, a partire dalla romanizzazione della Valbelluna e del Cadore fino alla realizzazione della ferrovia, il Piave ha svolto l’importante ruolo di via più rapida di collegamento con la bassa. La provincia di Belluno ha costruito non soltanto nei campi e nei boschi, ma anche sull’acqua, la trama della propria economia: lungo il Piave si commerciava con Treviso e Venezia, mentre l’intero bacino del fiume, con i suoi affluenti forniva forza motrice alle attività artigianali ubicate lungo il suo corso: segherie, botteghe di falegnami, fabbri e mugnai.

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Laggiù sulla sponda del torrente nella ripida infossatura sotto il villaggio, si possono vedere lunghe file di officine da cui si leva sempre il fumo di molti fuochi. Qui gli uomini di Zoldo, che sono per la maggior parte fabbri ferrai, hanno fabbricato chiodi da tempo immemorabile, inviando i loro prodotti giù a dorso di mulo a Longarone, e procurandosi per la stessa via rifornimenti di ferro vecchio da Ceneda, Conegliano e perfino Venezia. E’ la viaggiatrice inglese Amelia B. Edwards a raccontare – siamo nel 1872 - delle fucine e del rumoroso commercio del ferro in Val di Zoldo, documentando con vivezza di particolari quella singolare specializzazione artigiana, la cui esistenza è attestata già nel corso del Trecento. Erede delle antiche fucine era allora la Società Industriale Zoldana, che riuniva in cooperativa fabbricanti di chiodi e fabbri, con l’impiego di oltre 700 operai, 9 fonderie e 35 stabilimenti con e senza maglio. Vent’anni dopo la società fallì, non potendo affatto competere con la produzione industriale dei chiodi. Anche in questo caso fu fatale l’inadeguatezza dei sistemi di lavorazione nostrani. Ma procediamo con maggior ordine. Nel periodo antecedente il veneto dominio in tutto il bacino del Piave l’economia sia di montagna che in pianura era rallentata a causa di continue contese territoriali. Tutte le merci che fluitavano sul fiume ed i passaggi dello stesso erano soggetti a dazi. E’ del 1293 una lettera del Vescovo di Belluno al Doge che ribadiva i dazi (mude) a lui spettanti sulle merci in transito a Caput Pontis (Ponte nelle Alpi). Anche nel corso medio del Piave c’erano dei dazi e passaggi a pagamento. Sotto Venezia i commerci si intensificarono e si regolarizzarono. La Serenissima per il suo Arsenale e per le costruzioni civili aveva bisogno di molto materiale proveniente dal bacino del Piave. A Perarolo di Cadore c’era il cidolo, una barriera artificiale esistente dalla fine del XIII secolo, che raccoglieva tutto il legname delle valli adiacenti destinato poi alla fluitazione in primavera quando le acque del fiume erano abbondanti. Sorsero lungo le rive segherie, mulini, officine, centri di raccolta e smistamento del materiale. Nel corso medio della valle, a Belluno e Feltre, si caricavano zattere con materiali ferrosi delle miniere zoldane e cadorine e il rame proveniente dalla Val Imperina nell’ Agordino, pietre da costruzione, barili di pece, carbone di legna, legna da ardere, bestiame, panni di lana, botti vuote da riempire con vino o grappa, da riportare poi a dorso di mulo, nonché passeggeri di ogni tipo. Nei centri principali stava intanto sorgendo una classe mercantile ed artigianale che avrebbe presto soppiantato i nobili terrieri, ultimi esponenti di un’economia ormai superata. I tre secoli successivi di pace nel territorio favorirono lo sviluppo di molte attività. In particolare va ricordato che Belluno - anche se da tempo ha dimenticato la sua antica vocazione - è una città fluviale, la quale proprio sull’acqua ha costruito la sua economia: sull’Ardo insisteva una piccola zona artigianale, sul Piave si affacciava l’omonimo porto solcato dalle zattere, attive per tutto l’Ottocento. Il fiume è anche una metafora delle vicende economiche locali: lungo il suo corso, come già abbiamo detto, sono sfilate verso la pianura tutte quelle materie prime che potevano essere foriere di ricchezza, ma che hanno contribuito invece alla prosperità di altri. Per contro l’uscita di tante ricchezze non è stata compensata con denari necessari ad avviare una trasformazione efficace in loco delle materie prime. L’acqua stessa del bacino plavense è sparita. Ma non è colpa delle precipitazioni, il Piave di acqua ne avrebbe in abbondanza, oltre 3,5 miliardi di metri cubi l’anno. Il punto sono le 121 centrali idroelettriche che gli prosciugano gli affluenti, quei 98 metri cubi al secondo che nei mesi secchi gli vengono prelevati per irrigare i campi. Per non dire dei 37 punti di «attingimento» per l’innevamento artificiale. Nei 227 chilometri dalle sorgenti alla foce costruisce 200 chilometri di tubature e 17 invasi di media grandezza. La storia ci racconta che nei primi anni del Novecento, il Bellunese fu individuato quale territorio ideale per attuare su larga scala lo sfruttamento dell’acqua, bene pubblico abbondante da trasformare in energia elettrica con la costruzione delle centrali. Il primo impianto ad essere realizzato fu la centrale di Ponte della Serra sul torrente Cismon, completata dalla Sade nel 1908. L’utilizzo della forza motrice idrica contribuì allo sviluppo degli opifici artigianali della provincia ed in seguito cambiò anche l’aspetto delle vallate, in virtù della creazione di invasi artificiali (Auronzo e Pieve di Cadore, Fedaia e Valle del Mis, Vajont e Santa Croce, Forno di Zoldo ecc.). Nelle nostre montagne si produrrà l’8% dell’energia nazionale, 2/3 della quale verrà utilizzata fuori provincia, in particolare per alimentare

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il polo industriale di Porto Marghera. Poi, nel 1963, il dissennato sfruttamento delle risorse idriche originerà la tragedia del Vajont.

Spade e lana i prodotti bellunesi alla conquista dei mercati

Accanto all’acqua, l’altra primaria fonte di ricchezza del territorio bellunese è stata senza dubbio il legno. Nel 1880 Riccardo Volpe sottolineò così l’importanza dei boschi: Ornamento severo delle nostre Alpi, verdeggiano nelle valli e sui declivi vaste e ricche foreste, che, dono generoso della natura, apportano non dirò la ricchezza ma un’agiata esistenza alle popolazioni, le quali, senza di questa risorsa vedrebbero mancarsi il pane giornaliero, che viene rifiutato dalla terra improduttiva Il legno costituiva una materia prima fondamentale nel mondo preindustriale. Ci riferiamo al legname di costruzione (abete, pino, larice), abbondante in particolare in Cadore e al legno, soprattutto di latifoglie (il faggio in primis), che è un combustile di pregio sia allo stato grezzo che ridotto a carbone di legna. È ben noto come fin dal secolo XIII il Piave sia stato una delle maggiori arterie di approvvigionamento di legname e di combustibile in particolare per Venezia. La montagna si coprì gradualmente d’un reticolo di condotte di tronchi, dette risine, mentre negli affluenti dell’alto Piave si costruivano le stue, piccole dighe atte a creare delle piene artificiali in modo da facilitare la fluitazione del legname verso valle. I tronchi giungevano così a Perarolo, il porto del Piave, dove il cidolo sbarrava loro il passo. Il legno veniva quindi smistato e avviato a una prima lavorazione nelle segherie. Ma poi, dopo la prima lavorazione, esso lasciava la nostra provincia e veniva lavorato nella bassa. È paradossale che, nonostante l’indice provinciale di boscosità sia più che doppio rispetto a quello nazionale, non siano fiorite in quota che pochissime attività capaci di esportare fuori dal nostro territorio i loro manufatti, semilavorati o finiti. Da noi mancavano sia la tecnologia che i finanziamenti necessari per rivolgersi con successo a un mercato più vasto. Ancora più paradossale è poi il fatto che da decenni i bellunesi, che pure sono quasi “invasi” dal bosco siano costretti a importare il legno dall’estero, perché ci costa molto meno che praticare l’esbosco nostrano. Le lavorazioni della montagna erano caratterizzate da una tecnologia arretrata. Basti pensare che, nella maggior parte delle cento segherie censite nel 1941 (con 1.150 addetti in totale) erano ancora all’opera le seghe «veneziane» a una o due lame azionate ad acqua, capaci di produrre fino a 7 metri cubi di segato al giorno. In pochi impianti funzionavano le seghe meccaniche, a lame multiple, che arrivavano a tagliare fino a 12 mc di legname; pochissimi opifici disponevano infine di moderne e perfezionate seghe automatiche «brenta», velocissime e a nastro in grado di lavorare fino a 25 mc di legname. Se, per scarsità di capitali a disposizione, il sistema legno bellunese si limitò a fornire, soprattutto al mercato veneto, soltanto la preziosa materia prima e non seconde lavorazioni – con l’unica rilevante eccezione della faesite, il pannello di fibra di legno e cadorite prodotto per cinquant’anni, dal 1936, dallo stabilimento Protti a Faè e diffuso in tutto il mondo - non mancano tuttavia altri settori che seppero tenere alto all’estero il nome della piccola patria montana con produzioni artigianali di riconosciuto valore. Quasi a titolo esemplificativo, presentiamo succintamente quelle che ci sono sembrate le principali attività di ieri. Lo facciamo anche per evidenziare che sarebbe estremamente ingeneroso e riduttivo identificare tout court la nostra provincia come la terra degli occhiali. Quell’appellativo se lo sente cucito addosso fin dalla fine dell’Ottocento, ma anche altre attività imprenditoriali bellunesi seppero affermarsi nei secoli scorsi, facendo leva sull’ingegnosità dei loro artefici e sull’abbondanza di fonti di energia e di materie prime da trasformare. Mescolando realtà ed elementi leggendari, lo storico tardocinquecentesco Giorgio Piloni introduce così, nel primo libro dell’Historia, la tradizione locale della fabbricazione di armi bianche: Ha reso molto famosa nelli tempi andati questa città la bontà esquisita delle spade et altre armi, che nel continuo se ha in questo loco fabbricate; né cessa al presente de nobilitarla con gloria infinita delli suoi

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artefici. Poi che dalla Spagna, Inghilterra, Italia et Alemagna concorrono a garra li mercanti in questa città per tal causa. È plausibile, ha scritto Mario Dal Mas, che già i romani, fondatori del castrum Belunum con caratteristiche stanziali, avessero avviato l’arte di forgiare armi, per sfruttare al meglio le vicine miniere zoldane. La presenza di metalli e carbone a buon mercato favorì la nascita d’una filiera produttiva che, attraverso le fasi dell’estrazione, della fusione e della lavorazione, fece sì che Zoldo forgiasse armature (come attestano i cognomi locali Corazza, Gamba e Panciera) e Belluno, sin dall’epoca caminese, si specializzasse nell’arte spadaria. Anzi, si può quasi parlare di distretto bellunese della spada perché a S. Giustina, Feltre e Fonzaso lavoravano altri armaioli. Oltre tre secoli prima degli occhiali, le spade furono forse il primo esempio di Made in Belluno noto e apprezzato in tutt’Europa. Risalgono al 1425 le notizie più datate sulle fucine di Fisterre, località bellunese sulla riva del tumultuoso torrente Ardo, ma non sappiamo da quanto tempo esse fossero attive. Fatto sta che quell’industria prese grande vigore nel Cinquecento, gestita della nobile famiglia Barcelloni. Si calcola che si producessero ogni anno ben 25mila esemplari di spade, un numero che la dice lunga sull’effettiva importanza della fabbrica, animata da Andrea Ferrara da Fonzaso, un fabbro di eccezionale talento. La bravura degli artigiani bellunesi primeggiò a lungo in Europa. Celebre è il contratto con cui nel 1578 il Ferrara ebbe da due gentiluomini inglesi una commessa straordinaria di 600 lame al mese per dieci anni. Tipicamente bellunese è la spada schiavonesca, forgiata in cinque diversi modelli, usata dai fanti veneti per un secolo e mezzo, fino al 1570. Le lame di maggior pregio uscite dalle fucine di Fisterre recavano il simbolo della lupa, il primo marchio bellunese che fu anche al centro di un’intricata vicenda di spionaggio artigianale e di contraffazione con gli armaioli tedeschi di Solingen e Passau. Ora le spade bellunesi col marchio della lupa sono presenti nei principali musei e armerie. Il declino di questa fortunata attività si deve principalmente all’invenzione delle armi da fuoco che Venezia fece costruire in val Trompia, nel Bresciano, ma anche alle accresciute difficoltà di rifornirsi di carbone per le fusioni, dal momento che i boschi locali erano stati ormai troppo sfruttati. Di conseguenza, alcune officine si trasferirono in Zoldo per fare chiodi, altre emigrarono in Friuli, a Sacile e Maniago, specializzandosi nella coltelleria. Una delle più antiche industrie locali, già conosciuta in epoca romana ed in seguito collegata alla produzione delle spade, fu la lavorazione delle pietre molari, usate per affilare le lame. Fino a mezzo secolo fa l’area tra Libàno, Tisòi e Bolzano Bellunese, con le sue cave, era al centro di quella plurisecolare attività che diede lavoro anche a 150 operai. In passato le mòle, trasportate coi carri tirati da cavalli e da buoi e caricate sulle zattere nel porto fluviale di Belluno scendevano il Piave fino a Covolo di Pederobba nel Trevigiano. Con i carri venivano poi smistate nel Veneto. In zattera giungevano a Venezia, da dove venivano commercializzate nei porti del Mediterraneo e del mar Nero. Le mole venivano esportate in Germania, Bosnia, Albania e perfino a Costantinopoli. Nel medioevo attorno al 1100 le navi le portarono addirittura fino in Inghilterra. Insomma, anche questi prodotti estratti dalle cave bellunesi giravano il mondo. Furono gli alti costi di produzione delle mole naturali, molto più costose di quelle artificiali, a far entrare in crisi questa attività millenaria che chiuse definitivamente i battenti nel 1963. Nel settore delle lavorazioni tessili, a dettar legge era invece il Feltrino, con la lavorazione e la commercializzazione della lana che dal Duecento costituì la principale fonte di ricchezza della zona. La produzione di panni di lana si fondava sul radicato allevamento delle pecore, che aveva il proprio epicentro a Lamon (ma interessava anche le montagne di Arsié e il Sovramonte) e nel Cinquecento poteva contare su oltre 100mila capi. Feltre conobbe il massimo fervore produttivo tra il XIV e il XVI secolo, quando ancora si producevano ogni anno 6mila pannilana. Nel 1407 una sentenza del doge Michele Steno riservava alla città di Feltre l’esclusiva produzione dei “panni gentili”, ponendo così al settore laniero feltrino una garanzia di qualità dal punto di vista commerciale. Lo sviluppo dell’arte laniera è testimoniato dai documenti della scuola di S. Andrea (documentata fin dall’inizio del XIII), corporazione che riuniva i marzeri feltrini e che dal 1595 deteneva un follo. I soci costituivano quasi 200 aziende, distinte l’una dall’altra da un preciso marchio di fabbrica impresso sulle pezze di lana. In quell’epoca i tessuti feltrini venivano smerciati

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non soltanto in ambito veneto, ma anche in mercati esteri che vanno dalla Puglia al Tirolo, dalla Francia alle terre dell’Impero e alla Polonia e in Oriente. Il commercio si svolgeva nel segno del protezionismo corporativo: in città non si potevano vendere tessuti forestieri, mentre la vendita di quelli feltrini spettava soltanto ai soci. Tale era la fama dei lanifici feltrini che essi fecero ricorso anche alla manodopera foresta, in prevalenza d’area bresciana e bergamasca. Purtroppo, però, mancano i dati per descrivere con esattezza l’entità della quota destinata allo smercio e di quella riservata invece al consumo locale. Sul finire del Cinquecento il lanificio feltrino inizia una lunga decadenza a causa dello spostamento della produzione nelle città pedemontane; gli artigiani feltrini abbandonarono il territorio avita e si spostarono in quei centri. Alla crisi dell’industria laniera, Feltre reagì favorendo con incentivi fiscali l’introduzione dell’allevamento del baco da seta. Già sul finire del Cinquecento i feltrini si erano rivolti ad artigiani bolognesi, esperti nel trazzer la seta, i quali avevano avviato in città i loro innovativi filatoi per orsoglio, filato usato per l’orditura dei tessuti in seta, adattando vecchio opifici. Secondo una relazione del rettore Da Riva del 1702, nel Seicento erano attivi sette filatoi che ricevevano dalla campagna una discreta produzione di bozzoli e che davano lavoro a 1.500 persone. Il filato ottenuto era in gran parte esportato “in terre aliene”. Nella medesima relazione si legge che all’inizio del Settecento insistevano in Feltre solo due filatoi di seta, in mano a ricchi mercanti veneziani, e che la manodopera locale era costretta all’emigrazione verso Asolo e Bassano. Suggerimenti bibliografici Opere nel tempo. Le tradizioni dell’industria e dell’artigianato tra i monti della provincia di Belluno a cura di S. De Vecchi, Pieve d’Alpago 1991 P. Bajo, Sulla decadenza economica della provincia di Belluno. Cause e rimedi, Venezia 1882 U. Bernardi, G. Larese, E. Rullani, L’artigianato bellunese nel ‘900, Pieve di Cadore 1999 O. Brentari, Guida alpina di Belluno Feltre Primiero Agordo Zoldo, Belluno 2006 (rist. anast. dell’ed. Bassano 1887) Le condizioni industriali della provincia di Belluno 1891, riedizione promossa dall'Associazione fra gli industriali della provincia di Belluno, Bologna 1984. La cultura popolare nel Bellunese a cura di Daniela Perco, Milano 1995 R. Fant, Lo sviluppo industriale della provincia di Belluno nel dopoguerra, Belluno 1974 Guida economico-turistica della provincia di Belluno, [a cura di Plinio Doriguzzi Bozzo], Treviso 1958 A. Maresio Bazolle, Il possidente bellunese, a cura di D. Perco, 2 vol., Feltre 1986-1987 E. Migliorini, La Val Belluna. Studio antropogeografico, Roma 1932 F. Modesti, Emigranti bellunesi dall'800 al Vajont sfruttamento, burocrazie, culture popolari, Milano 1987 F. Bresolin e N. Gava, L'apporto dell'emigrante allo sviluppo socio-economico del bellunese, Belluno 1989 La montagna veneta in età contemporanea. Storia e ambiente uomini e risorse, a cura di A. Lazzarini e F. Vendramini, atti del convegno di Belluno (26-27 maggio 1989), Roma 1991 La provincia di Belluno nel Ventennale dell’era fascista Rassegna delle forze produttive, Cortina d’Ampezzo 1942 R. Volpe, Terra e agricoltori nella provincia di Belluno. Inchiesta agraria, Belluno 1880 La Camera di Commercio di Belluno due secoli di storia e attività a cura di A. Amantia, Belluno 2006 M. Dal Mas, Spade bellunesi, Belluno 1980 Storia di Belluno dalla preistoria all'età contemporanea a cura di Giuseppe Gullino, Sommacampagna 2009 B. Simonato, La manifattura del Piave a Feltre. Uno degli ultimi opifici lungo il Colmeda, Cornuda 2005

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ATTORNO AL COMMERCIO INTERNAZIONALE Approcciare l’argomento sulle attività di internazionalizzazione è come avventurarsi in un pozzo senza fondo, tante e varie sono le tematiche che si affrontano lungo il percorso. A conclusione del nostro lavoro, accenneremo, quindi, brevemente, e senza intento di presentare un elenco esaustivo, a quelle questioni (Made in, contraffazione, tutela delle opere di alto design, diritti di proprietà industriale) che coinvolgono non solo importanti interessi economici, ma anche la gente comune. In questo filone si inseriscono anche i servizi offerti dalla Camera di Commercio che trovano spazio in due appositi capitoli pensati per dare qualche indicazione agli imprenditori che intendono intraprendere delle attività che li portano a confrontarsi con l’estero sia nel caso decidano di importare che di esportare beni o servizi.

Dopo quasi sei anni di lavoro e numerose trattative, il Parlamento Europeo ha approvato nello scorso ottobre, la “Relazione sull’Indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi” presentata da Cristiana Muscardini, vice presidente della Commissione Commercio Internazionale1. Si tratta di una proposta di Regolamento che, secondo i parlamentari europei, avrà lo scopo di informare correttamente i consumatori europei sul Paese d’origine di alcune categorie di merci (dalle calzature all’abbigliamento, da viti, bulloni e rubinetteria a mobili e lampade, da oreficeria a prodotti della ceramica) ponendo fine all'assenza di reciprocità nei confronti dei suoi principali partner commerciali, Stati Uniti, Canada, Cina, India, Messico e Giappone, che già impongono l'obbligo di un marchio di origine sulle importazioni. A parere dei promotori e del parlamento europeo, una disciplina europea del marchio di origine rafforzerebbe la competitività delle aziende europee e di tutta l'economia dell’Unione. Finora, proseguono, la mancanza di norme comunitarie, tranne per alcuni casi specifici nel settore agricolo, e le differenze tra i sistemi in vigore negli Stati membri hanno «fatto sì che, in alcuni settori, la maggior parte dei prodotti importati da Paesi terzi e distribuiti sul mercato comunitario risulti non riportare alcuna informazione, o informazioni ingannevoli, relativamente al Paese di origine». Dal progetto di Regolamento sono stati esclusi i prodotti agricoli e ittici e gli occhiali. L’esclusione di questi ultimi ha scatenato in provincia, come era logico attendersi, un vivace dibattito che coinvolge tutto il tessuto imprenditoriale ed economico-politico bellunese2. Nel riquadro sottostante segnaliamo le principali tappe di un percorso legislativo assai tortuoso, e non ancora definito, della dicitura “Made in…”.

1 Perché il progetto diventi legge dovrà, comunque, passare l’esame del Consiglio (dove alcuni Stati membri si oppongono all’idea di una legislazione europea sul “Made in”). Una volta che il testo sarà concordato fra Parlamento e Consiglio, le nuove regole entreranno in vigore in tutta l'Unione un anno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE. Dopo 5 anni, il regolamento, secondo un emendamento approvato dall’Aula, scadrà e toccherà a Parlamento, Commissione e Consiglio decidere se prorogarlo o modificarlo. I deputati hanno chiesto alla Commissione di proporre livelli sanzionatori minimi per assicurare l'applicazione uniforme delle nuove disposizioni in tutti i Paesi membri e di presentare uno studio di valutazione sugli effetti del regolamento a tre anni dall’entrata in vigore. 2 Benché in un contesto prettamente statistico, il direttore generale del WTO, Pascal Lamy, ha ripreso la questione del Made in, affermando il 15 ottobre scorso, in occasione di un suo discorso di fronte al Senato francese, che bisogna trovare un nuovo modo per guardare alle statistiche sul commercio poiché la nozione di Paese di origine delle merci è gradualmente diventata obsoleta, in quanto molte operazioni, dal design alla produzione di componenti, all’assemblaggio, al marketing sono sparpagliate in tutto il mondo creando catene internazionali di produzione. In una parola, afferma Lamy, la produzione di merci e servizi non può più essere considerata “monolocalizzata”, ma “multilocalizzata” ed è, quindi, più appropriato parlare di “Made in the World”; le vecchie nozioni mercantili alla base delle tradizionali statistiche, “noi contrapposti a loro, residenti contro resto del mondo”, hanno perduto molto del loro significato.

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L’apposizione della dicitura “Made in” sui prodotti ha l’obiettivo di informare il consumatore circa la loro origine. Il decreto attuativo, previsto dal Codice del consumo (D. Lgs. 205/05), che avrebbe dovuto rendere obbligatoria l’indicazione del Paese di origine se situato fuori dall’UE, non è mai stato emanato. Quindi allo stato attuale non vige in Italia alcun obbligo generale di etichettatura con l’indicazione del “Made in”, anche a seguito di una serie di sentenze in contrasto con la prassi degli uffici doganali che ritenevano di fatto obbligatoria tale indicazione a seguito di un’interpretazione restrittiva data al combinato disposto dell’art. 3 dell’Accordo di Madrid del 1891 sulla repressione delle false o fallaci indicazioni di provenienza dei prodotti, dell’art. 4, comma 49 della Finanziaria 2004 e dell’art. 6 del già citato Codice del consumo. E’ in questo quadro poco lineare che si inserisce l’iter altrettanto tortuoso della legge n. 55/2010 (nota come legge Reguzzoni-Versace-Calearo) sull’obbligo di marcatura “Made in“ sui prodotti tessili, calzaturieri, della pelletteria, conciari e sui divani che, a seguito delle osservazioni fatte dalla DG Imprese e Industria della Commissione europea e alla mancata approvazione dei decreti attuativi, è stata al momento “congelata”. A livello comunitario la normativa sul “Made in” si sta muovendo attraverso il regolamento sull’etichettatura dei prodotti tessili di origine comunitaria e la bozza di regolamento comunitario, ancora in fase di approvazione, riguardante l’obbligo di etichettatura per una vasta gamma di prodotti.

Il termine contraffazione, inteso nella sua accezione più ampia, si riferisce a tutta una serie di fenomenologie essenzialmente riconducibili alla:

1. produzione e commercializzazione di merci che recano - illecitamente - un marchio identico a un marchio registrato;

2. produzioni di beni che costituiscono riproduzioni illecite di prodotti coperti da copyright - fenomeno meglio conosciuto con il nome di “pirateria” - modelli o disegni.

La stessa parola “contraffare” suggerisce l’attività di chi riproduce qualcosa in modo tale che possa essere scambiata per l’originale in violazione al diritto di proprietà intellettuale e/o industriale (marchi d’impresa e altri segni distintivi, brevetti per invenzione, modelli di utilità, industrial design, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, diritti d’autore, ecc.). La contraffazione è un fenomeno globale con rilevanti ripercussioni in ambito economico, fiscale e sociale: compromette la fiducia dei consumatori nei servizi e nei prodotti che utilizzano, fa diminuire il fatturato delle aziende danneggiate, sottrae posti di lavoro all’economia regolare e priva lo Stato di rilevanti entrate fiscali 3. Secondo l’OECD (ossia OCSE) nel mondo vengono contraffatti prodotti per un valore di 200 milioni di dollari, pari a circa il 7% del valore del commercio mondiale, ma la stima sarebbe più elevata se si tenesse conto anche dei prodotti acquistati entro i confini nazionali. Secondo il Censis il mercato del falso genera un mancato introito per lo Stato italiano di 5 miliardi di euro e una perdita di almeno 130mila posti di lavoro. La contraffazione porta a una significativa perdita di produzione e di export e ben lo sanno le imprese bellunesi che lavorano nel campo dell’occhialeria. Sollecitata da più organismi tra cui anche l’ANFAO (Associazione nazionale fabbricanti articoli ottici) il 7 luglio 2010 è stata promossa la Giornata Nazionale della Contraffazione per sensibilizzare e mobilitare le imprese e i cittadini contro il crescente fenomeno della falsificazione. La contraffazione di alcuni prodotti (farmaceutici, alimentari, giocattoli, parti di veicoli, occhiali, ecc.), inoltre, rappresenta non solo un fatto economico, ma può essere un pericolo per la salute e la sicurezza dei consumatori. L’Italia è uno dei Paese più esposti al crescente sviluppo del mercato del falso, perché ha una struttura produttiva composta da piccole e medio-piccole imprese che operano in settori facilmente aggredibili e che hanno difficoltà a contrastare tale fenomeno. Ai primi di settembre 2010, il Codice della Proprietà Industriale, recependo una direttiva europea vecchia di dodici anni fa, è stato ritoccato rafforzando la difesa del diritto d’autore sui prodotti di alto design, pertanto non si potranno più riprodurre, imitare, opere di alto design considerabili di pubblico dominio. Questa norma riconosce a chi investe in opere uniche l’esclusivo diritto di sfruttamento.

3 Comunicato Censis del 22 aprile 2009 e Rita Fatiguso, Nuove tutele per le opere d’alto design. Anche gli italiani copiano, ma ora non potranno più farlo, Sole 24 Ore, 23 settembre 2010

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IL RUOLO DEL SISTEMA CAMERALE NELL’OFFERTA DI SERVI ZI PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE

L’internazionalizzazione delle imprese è un fenomeno che ha avuto, prima della crisi ancora in atto, un’espansione straordinaria anche nella provincia di Belluno e in particolare nelle attività collegate ai distretti industriali. Attualmente si avverte l’esigenza di esaminare i possibili futuri scenari economici e di individuare delle adeguate strategie di sostegno alle imprese che affrontano le sfide del mercato globale. L’espansione all’estero, sia attraverso l’esportazione di merci, sia mediante l’investimento di capitale economico e umano al di fuori dei confini italiani, costituisce una fondamentale modalità con cui l’impresa crea valore, remunera le risorse investite, estende il proprio vantaggio competitivo e accede a nuove opportunità di crescita. Il sistema camerale, da sempre vicino al sistema delle imprese, è chiamato, in questa difficile fase economica, a intensificare i servizi di accompagnamento alle imprese che intendono porsi sui nuovi mercati. In questo contesto anche lo Sportello per l’Internazionalizzazione della Camera di Commercio di Belluno svolge un importante ruolo nel favorire l’accesso e l’espansione delle imprese sui mercati esteri, attraverso la fornitura di servizi di assistenza, formazione e promozione. Quest’ultimo tipo di attività viene svolto in collaborazione con gli altri soggetti del sistema camerale veneto: Centro Estero Veneto e Unioncamere/Eurosportello Veneto. Attività di assistenza

Sportello internazionalizzazione della Camera di Commercio di Belluno Assistenza alle imprese che richiedono certificazioni e documenti a valere per l’estero emessi dalla Camera di Commercio: Certificati di origine, Carnet ATA e CPD China Taiwan, certificati di libera vendita, visti su fatture, visti su dichiarazioni varie richieste da autorità o clienti esteri, legalizzazione di firme, iscrizione Repertorio Italiancom.

L'acquisizione di informazioni sui Paesi esteri e la conoscenza del sistema produttivo, delle normative doganali, fiscali, valutarie e tecniche costituiscono un approccio indispensabile per la scelta di nuovi mercati di sbocco e delle strategie da adottare. Ai tradizionali compiti istituzionali l’Ufficio Estero della Camera di Commercio affianca, pertanto, una serie di servizi di assistenza a supporto delle imprese che operano con l’estero.

Servizio gratuito di prima consulenza per la soluzione di quesiti inerenti problematiche collegate all'internazionalizzazione: - contrattualistica internazionale - procedure doganali - pagamenti internazionali - fiscalità internazionale - trasporti internazionali - finanziamenti per l’internazionalizzazione delle imprese - iniziative di organismi vari a favore dell’internazionalizzazione - fiere e manifestazioni all’estero - primo orientamento su paesi e mercati - informazioni su società estere (per i paesi presenti nella banca dati EBR)

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Le aziende interessate possono contattare telefonicamente o a mezzo posta elettronica l’Ufficio Estero. I quesiti semplici vengono evasi direttamente, mentre per quelli che richiedono una ricerca più approfondita e/o il ricorso a un consulente del gruppo di esperti di cui si avvale il servizio la risposta verrà fornita nel giro di due/tre giorni lavorativi.

Punto Eurosportello Presso la Camera di Commercio di Belluno ha sede il punto di informazione comunitaria collegato a Eurosportello Veneto della rete Enterprise Europe Network, voluta dalla Direzione Generale per le Imprese della Commissione europea, al fine di fornire un servizio integrato di supporto alle piccole e medie imprese per : • reperire la legislazione comunitaria e quella nazionale di recepimento • ottenere informazioni su finanziamenti comunitari • identificare potenziali partner commerciali, specialmente in altri paesi • sviluppare nuovi prodotti, accedere a nuovi mercati e informare sulle attività e le opportunità

dell’Unione europea • ricevere assistenza tecnica su tematiche specifiche come la proprietà intellettuale, gli standard e

la legislazione comunitaria

Info Desk e Veneto House Il Centro Estero Veneto ha realizzato in varie aree geografiche una rete di sportelli - Veneto House e Info Desk - ideata per favorire, attraverso l'informazione e la prestazione di servizi ad hoc, la nascita di collaborazioni economiche tra imprese venete e imprese straniere. Gli sportelli si trovano nei seguenti Paesi: Albania, Australia, Argentina Azerbaijan, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cina, Corea, Croazia, Emirati Arabi Uniti, Georgia, Giappone, India, Iran, Kirghizistan, Macedonia, Messico, Moldova, Montenegro, Romania, Russia, Serbia, Ucraina, Uruguay, Stati Uniti e Vietnam. I Desk, alcuni dei quali sono stati denominati Veneto House in quanto inseriti nell'ambito di specifici progetti della Regione Veneto, sono costituiti con lo scopo di informare e assistere le PMI venete sia nella fase iniziale di orientamento nel mercato straniero, sia nel momento più circoscritto d'individuazione di potenziali partner commerciali. I servizi mirano a fornire dati economici generali, ricerche di mercato per macrosettori, brevi note su produzioni specifiche, notizie su normative in materia di commercio internazionale dei Paesi in questione; prevedono, inoltre, attività di prima assistenza nella "ricerca partner" e di promozione mediante la realizzazione di specifiche iniziative di animazione economica. Attività di formazione In uno scenario in continua evoluzione, quale quello in cui si trovano a operare le piccole e medie imprese, la formazione gioca un ruolo determinante nell'assecondare e diffondere i cambiamenti, promuovendo la diffusione della cultura e delle tecniche di internazionalizzazione e fornendo un sostegno determinante nella scelta delle strategie e delle modalità operative più adeguate per lavorare sui mercati esteri e rimanere competitivi. La Camera di Commercio realizza le seguenti iniziative: 1. Corso Base di Commercio Estero, che ha la durata di sei giornate e fornisce una serie di

strumenti operativi riguardo alle maggiori tematiche dell'export (marketing, fiscale, doganale, trasporti, contrattualistica, valutario);

2. Seminari di informazione e di approfondimento su argomenti specifici e su novità normative. Gli interventi sono indirizzati agli imprenditori, ai quadri aziendali e agli addetti agli uffici estero, commerciali e amministrativi aziendali, nonché ai liberi professionisti;

3. Convegni e incontri informativi su tematiche comunitarie.

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I programmi vengono pubblicati sul sito camerale www.bl.camcom.it dove è anche possibile effettuare la registrazione di partecipazione online.

Attività di promozione L’ente camerale riserva da sempre una grande attenzione alla promozione sui mercati esteri dei settori produttivi caratteristici della provincia di Belluno. L’evidente necessità di razionalizzare le risorse ha portato in questi ultimi anni allo sviluppo di forme di collaborazione con il sistema camerale veneto e nazionale per la realizzazione di progetti di più ampio respiro che garantiscano una promozione più efficace e unitaria del “Made in Italy” sui mercati esteri. In questa ottica si provvede alla diffusione degli eventi e missioni imprenditoriali organizzati dal sistema camerale nazionale, coordinato dall’Unioncamere di Roma, nel cui ambito vengono individuate annualmente, sulla base delle aree/Paese e settori di interesse prioritario, alcune iniziative da incentivare con l’erogazione di contributi camerali sul costo di partecipazione. La promozione delle imprese venete sui mercati esteri viene garantita dal Centro Estero Veneto attraverso l’organizzazione di:

• Partecipazione alle più importanti manifestazioni fieristiche a livello internazionale. Le fiere sono ancora un'occasione privilegiata per testare un mercato in quanto rappresentano un elemento essenziale sia per la comunicazione d'impresa e l'immagine del prodotto che per l'opportunità di identificare potenziali partner commerciali.

• Organizzazione di missioni economiche all'estero. Si tratta di momenti di verifica e di contatto con realtà economiche difficili, ma ritenute strategiche, che permettono anche di realizzare visite a imprese locali e incontri con potenziali partner individuati sulla base degli specifici interessi dei partecipanti.

• Realizzazione di workshop - incontri d'affari nel Veneto con interlocutori provenienti dall'estero: manager meets manager, ovvero incontri individuali predefiniti sulla base del matching dei relativi progetti/richieste di collaborazione commerciale e/o industriale.

• Selezione e avvio di Progetti di Cooperazione Internazionale atti a favorire la presenza stabile delle imprese venete all'estero. Nascono nell'ambito di Programmi a favore dell'internazionalizzazione delle PMI e sono sostenuti e finanziati prevalentemente dal Governo Italiano e dall'Unione Europea.

La Camera di Commercio di Belluno contribuisce, inoltre, finanziariamente ai progetti speciali proposti e realizzati dalle associazioni di categoria della provincia. In questi ultimi anni l’Ente camerale ha intensificato la partecipazione diretta ai processi di partenariato e di cooperazione transfrontaliera. L’Unione Europea incentiva le relazioni a ridosso dei confini di Stato e favorisce il superamento delle barriere derivanti dall’appartenenza a mercati nazionali diversi. In particolare, la partecipazione camerale a due progetti Interreg Italia-Austria cofinanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, ha permesso di individuare degli interessi convergenti su molte tematiche e alcuni settori economici dove la sinergia è stata possibile. Questi progetti sono:

1) Costruire sulla qualità - apertura di nuovi mercati. Le costruzioni in ambito alpino – Interreg III Italia Austria. Il progetto ha attivato la collaborazione con la Camera di Commercio dell’Osttirolo e i partners della Pusteria con lo scopo di individuare nuove opportunità e nuovi spazi di mercato per le PMI operanti nell’ambito della filiera delle “costruzioni”, coinvolgendo le loro Associazioni di categoria e altre realtà socio-economiche rilevanti.

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2) EXPLORE – Interreg IV Italia Austria. Il progetto, che vede coinvolta la Camera di Commercio di Klagenfurt, si prefigge l’obiettivo generale di contribuire allo sviluppo del mercato transfrontaliero della filiera dell’Eco-I-Building, in particolare attraverso il perseguimento di due congiunti obiettivi specifici: rafforzare le capacità delle istituzioni e degli altri soggetti competenti ai fini dell’implementazione e dell’attuazione di strumenti innovativi di supporto alle imprese del settore; fornire alle imprese della filiera trans-settoriale dell’Eco-I-Building presenti sul territorio più incisivi strumenti per la crescita, lo sviluppo e l’internazionalizzazione. Le azioni progettuali principali consistono nell’elaborazione di una strategia di comunicazione virtuale condivisa per la semplificazione del lavoro in team virtuali, la realizzazione di un modello di piattaforma di comunicazione e informazione “SME friendly” per lo sviluppo di reti di supporto al business e lo sviluppo di servizi ad alto contenuto innovativo nel settore della ricerca e del trasferimento tecnologico.

Banca dati delle imprese della provincia di Belluno operanti con l'estero

La banca dati delle aziende della provincia di Belluno che hanno risposto all'indagine promossa fra gli operatori in possesso del numero meccanografico di operatore abituale con l'estero è consultabile sul sito internet della Camera di Commercio all''indirizzo www.bl.camcom.it. La possibilità di estrarre elenchi di aziende, attraverso la ricerca con numerose variabili - denominazione, categoria merceologica, settore, fatturato e Paese di destinazione e provenienza - agevola la consultazione da parte degli operatori stranieri che sono alla ricerca di nuovi contatti commerciali. EBR – Registro Imprese Europeo

Permette di ottenere alcune informazioni e dati ufficiali sulle imprese europee dei Paesi aderenti (Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, isola di Jersey, Lettonia, Macedonia, Norvegia, Olanda, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ucraina). E’ possibile ottenere in italiano: scheda impresa, scheda persona e titolari cariche, mentre in lingua originale sono disponibili atti e bilanci. Il servizio è accessibile, previa registrazione, dal sito www.registroimprese.it. La consultazione è a pagamento. In alternativa è possibile richiedere il servizio all’Ufficio Estero della CCIAA. GLOBUS – rete degli Sportelli per l’internazionalizzazione delle Camere di Commercio

A livello nazionale è stata creata, con il coordinamento di Unioncamere Nazionale, la rete degli Sportelli per l’internazionalizzazione, operativa anche con un portale in Internet all’indirizzo www.globus.camcom.it e alla quale partecipano anche le Camere di Commercio Italiane all’estero.

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A chi rivolgersi:

Camera di Commercio I.A.A. di Belluno Ufficio Commercio Estero piazza S. Stefano, 15/17 – 32100 BELLUNO tel. 0437 955135/136 – fax 0437 955250 - e-mail: [email protected] www.bl.camcom.it

orario di sportello: dal lunedì al venerdì ore 8:30 - 12:30 - giovedì 15:00 – 17:00 Altri organismi del sistema camerale

Centro Estero delle Camere di Commercio del Veneto - www.centroesteroveneto.com Via delle Industrie, 19/D – Parco Scientifico Vega 30175 VENEZIA – MARGHERA tel. 041 2526211 – fax 041 2526210 – e-mail: [email protected]

Si tratta di un’agenzia costituita dalle sette Camere di Commercio del Veneto che collabora con il Governo regionale e gli Enti veneti per coordinare e sviluppare l’attività di promozione economica. Realizza molteplici iniziative di animazione economica (partecipazioni fieristiche, incontri d’affari, missioni economiche, progetti transnazionali) a favore delle PMI venete. Unione Regionale delle CCIAA del Veneto - www.unioncameredelveneto.it Via delle Industrie, 19/D – Parco Scientifico Vega 30175 VENEZIA-MARGHERA tel. 041 0999311 – fax 041 0999303 – e-mail: [email protected]

Le Unioni Regionali hanno lo scopo di coordinare sul piano regionale le attività delle Camere di Commercio finalizzate al potenziamento dello sviluppo economico regionale, l’attuazione di indagini, rilevazioni, studi e pubblicazioni. Eurosportello del Veneto – European Enterprise Network - www.eurosportelloveneto.it Via delle Industrie, 19/D – Parco Scientifico Vega 30175 VENEZIA – MARGHERA tel. 041 0999411 – fax 041 0999401 – e-mail: [email protected]

Delegazione di Bruxelles tel. 003225510499 – e-mail: [email protected] Eurosportello svolge attività di informazione, consulenza e assistenza sulle molteplici problematiche legate all’attività legislativa e alla politica economica della Comunità Europea. Unione Italiana delle Camere di Commercio - www.unioncamere.it Piazza Sallustio, 21 – 00187 ROMA

Unioncamere nazionale ha il compito di rappresentare e curare gli interessi generali delle Camere di Commercio italiane nei confronti di tutti gli interlocutori istituzionali a livello locale, regionale, nazionale e sovranazionale, incluse le organizzazioni imprenditoriali, dei consumatori e dei lavoratori. A livello europeo, l’Unioncamere assicura la rappresentanza delle Camere di Commercio italiane in seno a Eurochambres, l’associazione che riunisce i sistemi camerali d’Europa.

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Camere di Commercio Italiane all’Estero - www.assocamerestero.it

Sono associazioni di imprenditori e di professionisti, italiani e locali, riconosciute dal Governo italiano in base alla legge del 1.7.1970, n. 518. La rete conta 75 Camere, presenti in 49 Paesi con oltre 24.000 imprese associate. Le CCIE realizzano iniziative volte ad agevolare l’accesso delle imprese italiane ai mercati esteri, promuovendo contatti per la conclusione di affari e svolgendo un’intensa azione di informazione e comunicazione, mediante un costante monitoraggio delle tendenze settoriali. A completamento del quadro degli organismi che operano a supporto dei processi di internazionalizzazione delle imprese si segnalano: ICE - www.ice.it L' Istituto nazionale per il Commercio Estero ha la propria sede centrale in Roma e dispone di una rete composta da 17 uffici in Italia e da 116 uffici in 88 Paesi del mondo. L'ente opera in stretta collaborazione con Ministero dello Sviluppo Economico nella realizzazione del Programma delle Attività Promozionali all’estero. Offre una gamma completa di servizi per l'internazionalizzazione, di cui la maggior parte gratuiti e disponibili direttamente online. SIMEST - www.simest.it Simest è la finanziaria, controllata per il 76% dal Governo Italiano, che assiste le imprese italiane negli investimenti all’estero (sottoscrive fino al 25% del capitale delle società estere partecipate da imprese italiane; agevola il finanziamento di quote sottoscritte dal partner italiano in società o imprese all’estero; gestisce fondi di Venture Capital) e negli scambi commerciali (agevola crediti all’esportazione). FINEST - www.finest.it Finest è la finanziaria per gli imprenditori del Nord Est, nata nel 1991 al fine di agevolare lo sviluppo delle attività economiche e della cooperazione internazionale nel territorio. Promuove la cooperazione economica con i Paesi dell’Europa contro-orientale e balcanica, la Russia e la Comunità degli Stati Indipendenti, il nord Asia e i territori baltici e caucasici, fornendo alle aziende gli strumenti finanziari per l’internazionalizzazione in questi Paesi. SACE - www.sace.it L’Agenzia di Credito all'Esportazione, controllata al 100% dal Ministero dell’Economia, offre una gamma complessa di strumenti per l'assicurazione del credito, la protezione degli investimenti, l'erogazione di cauzioni e garanzie finanziarie. INFORMEST - www.informest.it Informest è una delle quattro agenzie governative italiane per la cooperazione nell’area del sud-est Europa (L. 84/01); ha realizzato progetti fortemente voluti dalle strategie di cooperazione delle Regioni socie (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), dal Ministero Affari Esteri e dal Ministero dello Sviluppo Economico. Agenzia delle Dogane – Sezione Operativa Territoriale di Sedico Via Cavalieri di Vittorio Veneto, 20 - 32036 Sedico (BL) tel. 0437 83718 - fax 0437 852490 – e-mail: [email protected]

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Siti internet d’interesse per le imprese operanti con l’estero www.ec.europa.eu www.eur-lex.europa.eu http://mkaccdb.eu.int

Portale della Commissione Europea Portale del diritto dell’Unione Europea Commissione Europea - Market Access Database

Banca dati del diritto dell'UE, comprendente le Gazzette ufficiali, i trattati, la giurisprudenza. Dazi applicati da paesi terzi, barriere non tariffarie, formalità all’importazione, statistiche sui flussi commerciali, studi su marcatura ed etichettatura.

http://ec.europa.eu/taxation_customs/customs/customs_duties/rules_origin/non-preferential/article_410_en.htm http://ec.europa.eu/taxation_customs/customs/customs_duties/rules_origin/non-preferential/article_1622_en.htm http://ec.europa.eu/taxation_customs/customs/customs_duties/rules_origin/preferential/index_en.htm

Commissione Europea – D.G. Fiscalità e Unione doganale

Aspetti generali origine non preferenziali delle merci Tabelle delle regole di origine non preferenziale per le merci classificate in base alla nomenclatura combinata Aspetti generali origine preferenziale delle merci. Collegamento ai singoli accordi.

www.mincomes.it Ministero dello Sviluppo Economico - Dipartimento per l’impresa e l’internazionalizzazione

Interventi per l’internazionalizzazione delle imprese, politica commerciale, normativa import/export per settori particolari, circolari e D.M.

www.agenziadogane.it Portale Agenzia delle Dogane Consultazione TARIC Controllo online partite Iva comunitarie

www.ice.it I.C.E. Schede Paese www.unioncamere.it/schede Unioncamere Roma Formalità e documenti per

operare con Paesi Terzi www.newsmercati.com Gruppo Aziende Speciali del

sistema camerale italiano Newsletter online gratuita con cadenza quindicinale per le imprese che operano con l’estero.

www.coeweb.istat.it ISTAT Banca dati statistiche del commercio estero

www.iccwbo.org ICC - Camera di Commercio Internazionale

Organo rappresentativo degli interessi delle imprese a livello mondiale. Sede della Corte Arbitrale Internazionale. Pubblica Norme e Usi Uniformi per il commercio internazionale.

www.expofairs.com Pianeta srl Database con informazioni su fiere ed esposizioni mondiali.

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Pubblicazioni consultabili presso l’Ufficio Estero della Camera di Commercio di Belluno Commercio Internazionale

IPSOA

Quindicinale di diritto e pratica degli scambi con l’estero, finanza, mercati, contrattualistica, tecnica valutaria e doganale, fiscalità internazionale

Pubblicazioni della Camera di Commercio Internazionale: NUU 600 - Norme e usi uniformi della CCI relativi ai crediti documentari

Camera di Commercio Internazionale - Roma

Guida Mondiale delle Fiere

Pianeta srl

Nuova Tariffa Doganale Integrata

Editrice Euritalia

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MISSIONI CAMERALI ALL’ESTERO CON IMPRESE BELLUNESI Oltre alla consueta attività di informazione e di formazione di sostegno per la partecipazione a fiere all’estero, nel 2009 l’attenzione dell’Ente camerale si è concentrata su alcuni mercati emergenti: Messico, Perù e India. Per agevolare le imprese nell’approccio a questi mercati e far fronte all’impegno economico della trasferta, è stato stanziato un contributo sulle spese di partecipazione alle due missioni imprenditoriali. Per le aziende partecipanti sono state predisposte delle agende personalizzate di lavoro con incontri d’affari e visite tecniche utili a conoscere i più importanti operatori locali e i canali distributivi per i propri prodotti. La missione in Messico e Perù è stata preceduta dal seminario “Vendere e fare impresa in Messico” per presentare le opportunità di sviluppo in un Paese dal mercato in crescita. L’incontro si è svolto presso la Camera di Commercio il 10 settembre 2010 e ha registrato la partecipazione di 45 imprese. Sono intervenuti l’ambasciatore messicano in Italia, Jorge Eduardo Chen Charpentier, il Segretario Generale della Camera di Commercio italiana in Messico, Alberico Peyron e il Consigliere commerciale del Consolato messicano di Milano, Claudia Esteves. La Missione Delhi e Mumbai si è svolta tra il 19 e il 25 settembre 2009 con la partecipazione di un’azienda bellunese. A seguito della preselezione effettuata dagli Uffici ICE locali e dalla Camera di Commercio Italo Indiana è stata ammessa una delle tre aziende bellunesi che avevano inizialmente aderito, la quale ha anche partecipato alla fiera INDEX Furniture di Mumbai. La missione in Messico e Perù, tenutasi tra il 10 e il 17 ottobre 2009, era stata originariamente programmata per la metà di giugno, ma è stata posticipata a causa della nota emergenza sanitaria che aveva colpito il Messico. Lo slittamento temporale ha comportato un calo nel numero di adesioni perché molte imprese, soprattutto quelle operanti nell’occhialeria erano impegnate nel periodo autunnale nelle fiere di settore. La partecipazione ha quindi riguardato solo cinque delle originali undici imprese. Sono state coinvolte quattro occhialerie e un’industria meccanica di produzione di automatismi per serramenti. Ciascuna azienda ha avuto modo di incontrare una media di dieci operatori locali per tappa. A Città del Messico la delegazione è stata accolta anche dalla comunità imprenditoriale italiana e dall’Ambasciatore italiano Roberto Spinelli. Dai questionari di valutazione raccolti al termine delle iniziative è emersa un grado di giudizio elevato (fra il buono e l’ottimo) in tutti i seguenti aspetti: valutazione generale dell’evento, pertinenza degli incontri bilaterali organizzati, servizi di assistenza ricevuti sia nella fase di preparazione che durante l’evento, utilità degli eventi collaterali proposti. Nel corso del 2010, Unioncamere del Veneto e le Camere di Commercio di Belluno, Rovigo e Treviso hanno organizzato, con il contributo del Fondo Perequativo 2006, una missione imprenditoriale in Australia svoltasi dal 1° al 9 maggio con la partecipazione di sette aziende operanti in diversi settori (occhialeria, porte automatiche, meccanismi elettronici per serramenti, abiti da sposa, mobili per ufficio e vitivinicolo). Per ogni azienda è stata fissata un’agenda personalizzata di incontri bilaterali con controparti australiane preventivamente individuate sulla base delle caratteristiche dei prodotti proposti dalle ditte venete. Le città in cui sono avvenuti gli incontri sono Sidney e Melbourne, situate nel sud-est del Paese, cioè nella parte più densamente popolata e industrializzata e quindi con maggior possibilità di offrire opportunità commerciali ai partecipanti. La Camera di Commercio di Belluno è intervenuta finanziando i servizi di ricerca e stesura del database di aziende australiane potenzialmente interessate, la predisposizione degli incontri con le controparti australiane, l’organizzazione generale della missione e degli aspetti logistici e fornendo l’assistenza di un dipendente camerale alle ditte della provincia presenti alla missione durante la loro permanenza in Australia. L’esito della missione, sulla base di un’indagine effettuata dopo un breve periodo dal rientro, è stato mediamente soddisfacente, tuttavia è doveroso precisare che, dal momento che alcune tipologie di prodotto impongono tempi lunghi per le trattative, in alcuni casi è richiesto un tempo maggiore per poter valutare i risultati degli incontri.

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Nel periodo compreso tra l’11 e il 19 settembre 2010 è stata effettuata una missione in Cina organizzata dal Centro Estero Veneto e dalla Regione Veneto. Vi hanno preso parte ventisei operatori economici veneti operanti in diversi settori (elettronica, nuove tecnologia, arredamento, design, metalmeccanica, illuminotecnica, tessile e vetro artistico), tra i quali sei rappresentanti bellunesi. Numerosi gli incontri con soggetti del tessuto economico locale.

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IL RUOLO DEL SISTEMA CAMERALE NELLA REGOLAZIONE DEL MERCATO

La Camera di Commercio ha il compito di vigilare sul mercato e di favorirne la regolazione attraverso la promozione di regole certe ed eque, uno sviluppo delle pratiche contrattuali coerente con le regole, la correttezza dei comportamenti degli operatori, la vigilanza sulla sicurezza e conformità dei prodotti immessi sul mercato. Il servizio di regolazione del mercato comprende le attività di: Arbitrato e conciliazione, strumenti alternativi alla giustizia ordinaria, che si propongono di prevenire il contenzioso e accelerare la giustizia; Controllo della presenza di clausole inique inserite nei contratti tramite la commissione contratti; Verifica della regolarità dei concorsi a premio; Ricezione delle domande di registrazione e tutela dei prodotti dell'ingegno (brevetti e marchi); Raccolta degli usi e consuetudini, per l’accertamento di regole di equità contrattuale; Controllo in materia di etichettatura e sicurezza dei prodotti; Controllo in materia di conformità della marcatura CE o controlli sulle ditte che utilizzano amidi e zuccheri; Funzioni di depenalizzazione (sanzioni amministrative) in varie materie quali: autoriparazione, impiantistica, iscrizioni in albi, ruoli, registri, etichettatura e marcatura prodotti; Attività di denuncia della pubblicità ingannevole; Attività di tutela e di informazione del consumatore; Ufficio metrico, che tutela la fede pubblica nelle attività commerciali, effettuando verifiche su strumenti per pesare, per misurare, su preimballaggi, su metalli preziosi. I servizi per la regolazione del mercato hanno dunque l’obiettivo di promuovere la trasparenza, tutelare i diversi interessi e garantire la correttezza nei rapporti tra imprese e tra imprese e consumatori. Si mira in sostanza a perseguire l'efficienza e la competitività del sistema economico locale e non, inducendo negli operatori economici comportamenti virtuosi, e definendo il quadro delle "regole del gioco" entro il quale le imprese possono liberamente dispiegare le proprie potenzialità economiche, nel rispetto degli interessi più generali, e tendere ad un’azione di sviluppo e di maggior competitività. Oltre ad essere chiamate ad assicurare qualità e concorrenzialità di prodotti e servizi, le imprese sono chiamate a misurarsi con il processo di globalizzazione anche per quanto riguarda il rispetto delle garanzie e dei diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti, soggetti dapprima emergenti ed ora protagonisti tra Stato e mercato. Lo sviluppo delle norme tese a tutelare i loro diritti è uno dei tratti maggiormente innovativi del panorama giuridico degli anni recenti e corrisponde ad una visione moderna dei rapporti sociali, caratterizzata dalla consapevolezza che imprenditori e consumatori non sono antagonisti, ma soggetti ugualmente interessati al corretto funzionamento del mercato. In tale contesto nasce il Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005), che armonizza e coordina tutte le norme riguardanti il coinvolgimento del consumatore in relazioni giuridiche con i soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi. Uno degli aspetti innovativi del Codice è la tutela del consumatore realizzata in modo preventivo, attraverso l’integrazione della normativa vigente con i principi basilari dell’educazione del consumatore stesso, con ciò intendendo una serie di processi attraverso i quali il consumatore apprende il funzionamento del mercato, migliorando la propria capacità di agire come acquirente e consumatore di beni.

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Parallelamente il Codice del consumo mira ad individuare e definire gli obblighi dei diversi operatori economici, nonché i poteri attribuiti alle autorità coinvolte nella sorveglianza del mercato. Di qui le finalità:

- assicurare che tutti i prodotti destinati ai consumatori siano sicuri; - rafforzare gli obblighi dei produttori, importatori, distributori nel fornire alle autorità

informazioni adeguate sui rischi legati ai prodotti e di ridurre i prodotti pericolosi; - implementare la creazione e l’utilizzo di norme tecniche per gestire gli aspetti della

sicurezza dei prodotti; - realizzare un sistema di scambio di informazioni tra autorità di controllo e soggetti

interessati; - migliorare la sorveglianza del mercato.

Per realizzare l’obiettivo di immettere sul mercato (globale) solo prodotti sicuri, il legislatore è intervenuto responsabilizzando tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione, migliorando l’informazione, sia a monte che a valle del processo di realizzazione e scambio dei prodotti, individuando ed eliminando i rischi non necessari nella produzione e nell’uso dei prodotti ed assicurando la conformità dei prodotti a norme cogenti, norme tecniche, raccomandazioni comunitarie, codici di buona condotta, migliori tecniche disponibili. D’altro canto il flusso crescente delle importazioni e il principio di divieto di limiti a tale fenomeno, pone come centrale l’attività di controllo, così da poter garantire, oltre alla correttezza del comportamento delle imprese nazionali, anche quella di determinati flussi economici. La tutela assicurata dal codice del consumo è generale e non si applica ai prodotti oggetto di specifiche disposizioni comunitarie o nazionali di recepimento, dotati di autonoma e particolare disciplina, come: - materiale elettrico a bassa tensione (L. 791/1977, D.Lgs 626/1996) - compatibilità elettromagnetica (D.Lgs 476/1992, D.Lgs 615/1996, D.Lgs269/2001) - giocattoli (D.Lgs313/1991, D.Lgs 41/1997) - dispositivi di protezione individuale (D.Lgs 475/1992, D.Lgs 10/1997 - attrezzatura a pressione (pentole a pressione) (D.Lgs 93/2000)

Informazioni particolari in materia di etichettatura sono anche previste per: - prodotti tessili (L. 883/1973, DPR 515/1976, D. Lgs 194/1999) - calzature (D.M. 30.1.2001, Direttiva 94/11/CE, L.1112/1966, D.M. 11.4.1996)

LA PROPRIETÀ INDUSTRIALE

La Proprietà Industriale indica l’insieme dei principi giuridici che tutelano le opere dell’ingegno umano. La legge attribuisce a creatori e inventori un monopolio dello sfruttamento delle loro creazioni/invenzioni ed indica gli strumenti legali per tutelarsi da eventuali abusi di soggetti non autorizzati. Tra gli strumenti: il brevetto, la registrazione o gli altri modi previsti dal Codice di Proprietà Industriale (D. Lgs. 30/2005), che sono oggi la chiave nei processi di innovazione e sviluppo economico delle imprese. Il brevetto è un titolo in forza del quale lo Stato concede un monopolio temporaneo di sfruttamento sull'oggetto trovato. Esso consiste nel diritto esclusivo di realizzarlo, di disporne e di farne oggetto di commercio, nonché di vietare a terzi di produrlo, usarlo, metterlo in commercio, venderlo o importarlo. I requisiti per ottenere un brevetto di invenzione o di modello sono: novità, attività inventiva, applicazione industriale, liceità. Possono costituire oggetto di brevetto:

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l’invenzione industriale - soluzione nuova e innovativa in risposta a un problema tecnico. Può fare riferimento alla creazione di un congegno, prodotto, metodo o procedimento completamente nuovo o può semplicemente rappresentare un miglioramento di un dato prodotto o procedimento già esistente. Generalmente, la mera scoperta di qualcosa che già esiste in natura non può essere qualificata come un’invenzione, affinché si possa parlare di invenzione devono sussistere ingegno, creatività e inventiva. Il brevetto dura 20 anni.

i modelli di utilità – sono un trovato che fornisce a macchine o parti di esse, a strumenti, utensili od oggetti in genere, particolare efficacia o comodità di applicazione o d’impiego. Il brevetto dura 5 anni, prorogabile per quinquenni fino a un massimo di 25 anni.

disegni o modelli ornamentali – sono un trovato che conferisce ai prodotti industriali uno speciale ornamento grazie a una particolare forma o combinazione di linee, colori o altri elementi, a condizione che siano nuovi e abbiano carattere individuale. Il brevetto dura 5 anni, prorogabile per quinquenni fino a un massimo di 25 anni.

nuove varietà vegetali - una nuova varietà vegetale è una varietà nuova, omogenea, stabile e diversa da altre già esistenti. Il brevetto dura 20 anni; per gli alberi e le viti dura 30 anni.

topografie di prodotto a semiconduttori. E' una serie di disegni correlati, comunque fissati o codificati, rappresentanti lo schema tridimensionale degli strati di cui si compone un prodotto a semiconduttori in uno stadio qualsiasi della sua fabbricazione. La protezione riguarda solo la topografia del prodotto e non il software in esso incorporato. La protezione dura 10 anni. IL MARCHIO DI IMPRESA

Il marchio d'impresa è un segno distintivo che contraddistingue i prodotti o i servizi che un'impresa produce o mette in commercio. Possono costituire marchi d'impresa i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, come le parole (compresi i nomi di persona), i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, o le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano idonei a distinguere i prodotti o i servizi di una impresa da quelli di altre imprese. Per registrare come marchio uno dei segni sopra indicati è necessario che esso abbia i seguenti caratteri: novità, capacità distintiva, liceità Può ottenere la registrazione del marchio d'impresa chi lo utilizza, o si propone di utilizzarlo, nella fabbricazione o nel commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso. Possono essere richiesti anche marchi collettivi da parte di soggetti, individuali o collettivi, che garantiscono la natura, la qualità o l'origine di determinati prodotti o servizi. Tali marchi possono essere perciò usati da più persone che si assoggettano all'osservanza di determinati standard di qualità e ai relativi controlli. I marchi d'impresa sono concessi anche agli stranieri a condizione di reciprocità. I marchi durano 10 anni dalla data di presentazione della domanda. La registrazione può essere rinnovata per periodi decennali, purché la domanda venga presentata entro i 12 mesi precedenti la scadenza del decennio in corso o nei 6 mesi successivi con l'applicazione di una soprattassa. LOTTA ALLA CONTRAFFAZIONE

La contraffazione si verifica quando segni distintivi o marchi già registrati e attribuiti a determinati prodotti vengono apposti da soggetti terzi e non autorizzati su prodotti nuovi, o soltanto similari, o anche diversi da quelli legittimamente commercializzati dal titolare del marchio in questione.

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La contraffazione si verifica anche quando il consumatore viene tratto in inganno sulla reale provenienza dei prodotti. Fenomeno antichissimo e diffuso, la contraffazione si va oggi sempre più configurando come una vera e propria industria criminale, con gravi ripercussioni sia in ambito economico che sociale, che ha rilevante capacità di incidenza sul corretto funzionamento del mercato interno e sulla sicurezza dei consumatori. La principale strategia di azione è quindi volta all’educazione dei cittadini e delle imprese, a una cultura del rispetto di questi valori e a un consumo più consapevole.

Gli strumenti diretti di azione, di controllo e di riferimento per l’utenza sono:

- Il Consiglio Nazionale Anticontraffazione, presso il Ministero dello Sviluppo Economico; - i Call-center 06-47055800 06-47055437, principale filo diretto per le imprese e per i

consumatori, utile alla segnalazione capillare di casi di contraffazione.

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IN FIN DEI CONTI… Dall’analisi statistica emerge che il processo di internazionalizzazione è ben visibile anche in provincia di Belluno: nel periodo 1993-2009 si sono osservati numerosi cambiamenti, sia nella tipologia dei prodotti che nella scelta dei partner commerciali, che sono in stretta relazione con i mutamenti intervenuti a livello planetario. Il predominio dell’occhialeria sull’interscambio commerciale del Bellunese si è fatto sempre più netto e ciò è avvenuto con il progredire del peso economico e dimensionale delle grandi imprese che, trasformatesi in multinazionali, hanno saputo, attraverso strategie aziendali diversificate, cogliere le trasformazioni e porsi all’attenzione del mondo. L’apertura dei Paesi emergenti al mercato mondiale ha condotto a una modifica significativa del tessuto imprenditoriale locale e del distretto dell’occhiale in particolare. Sono scomparse tutta una miriade di aziende marginali che non sono state in grado di avvertire i segni del tempo, poiché basandosi esclusivamente sull’utilizzo del fattore lavoro sono state spazzate via dalla concorrenza dei Paesi asiatici a più basso costo di manodopera. Ma, non è solo l’occhialeria a essere stata investita dal fenomeno della globalizzazione: se si guarda alla top-ten dei principali prodotti esportati, si nota che gli altri prodotti dell’industria manifatturiera, i filati e i tessuti presenti rispettivamente al sesto e settimo posto della graduatoria 1993, non compaiono più in quella del 2009, fagocitati dalla competizione internazionale. Si tratta di lavorazioni di tipo tradizionale, facilmente replicabili e ad alta partecipazione di manodopera non specializzata che possono essere agevolmente “smontate” e ricollocate dove il vantaggio economico si fa maggiore. Negli anni sono avanzati, invece, quei settori che hanno un maggiore valore aggiunto e che appartengono a un’industria più sofisticata e selettiva, in cui il fattore umano, spendibile in termini di precisione e inventiva, è determinante per la riuscita dell’alta qualità del prodotto. Vengono premiati quindi la meccanica, la metallurgia, i prodotti in gomma e plastica, le altre apparecchiature elettriche e l’elettronica. Senza nulla togliere ai grandi big, non c’è solo l’occhialeria, ma anche una serie di imprese di medie dimensioni che si sono organizzate e attivate per competere sul mercato mondiale. Tra le nuove tipologie di prodotto troviamo, nel 2009, la concia e la lavorazione di pelli e i prodotti alimentari, la presenza di questi ultimi è singolare e può essere collegata alla crescente attrazione che esercitano anche a livello internazionale (l’industria alimentare è stimata in crescita nei prossimi anni assieme a quella farmaceutica). Se la varietà della produzione e dell’esportazione di merci è mutata, altrettanto si può dire dei Paesi di riferimento. Nel 1993 il principale interlocutore era la Germania, diciassette anni dopo, ai vertici delle classifiche troviamo gli Stati Uniti (dal 1997 saldi al primo posto) per le esportazioni e la Cina per le importazioni (dal 2002 in vetta). Il colosso asiatico entrato in scena come protagonista sul finire degli anni Novanta, si è imposto con forza nella seconda metà del decennio e ora assorbe il 44,7% del totale delle importazioni bellunesi (la Germania, al secondo posto, deve accontentarsi del 9,5%). La storia ci dice che nel 1991 (primo anno di cui si posseggono i dati in serie storica) la Cina valeva lo 0,7% dell’import bellunese e la nostra bilancia commerciale vantava un saldo positivo, ma già due anni dopo le importazioni dominavano sulle esportazioni. Pur rimanendo un importante mercato, l’Europa occidentale ha dunque perso l’esclusiva, ci sono ora nuovi Paesi con cui si sono intrecciati rapporti commerciali stabili: l’Europa dell’est, Brasile, Australia, Hong Kong, Turchia, Cina, Corea del sud e Russia. Lo studio ha evidenziato anche l’alto grado di attenzione di alcune imprese bellunesi alle vicende economico-politiche mondiali. La caduta dell’ex blocco comunista ha comportato l’attivazione di relazioni commerciali con i Paesi dell’Europa orientale, che nella prima ora hanno riguardato quasi esclusivamente i movimenti di importazione (Croazia, Slovenia, Ungheria e Romania già presenti tra i primi venti importatori nel 1993) e solo in tempi più recenti quelli di esportazione. E’ probabile che, dietro a questi legami, in alcuni casi, si celassero anche operazioni di delocalizzazione.

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Lo suggerirebbe, ad esempio, l’andamento dell’import della Slovenia, quasi interamente dovuto a importazioni di materiale riconducibile all’occhialeria. Sul finire degli anni Novanta, la Slovenia occupava la sesta posizione nella classifica dei principali Paesi importatori a ridosso dei grandi Paesi europei (Germania, Francia, Austria, Belgio e Paesi Bassi), ma già nel 1999 perdeva punti ed era scavalcata dalla Cina che debuttava negli anni Duemila al secondo posto dopo la Germania. Tuttavia, le importazioni dalla Slovenia continuavano a crescere a ritmi piuttosto sostenuti e nel biennio 2002-2003 era quarta nella classifica degli assoluti e seconda tra gli importatori di occhiali. Già l’anno dopo, però, scendeva di un gradino per poi crollare bruscamente negli anni successivi; attualmente le importazioni da questo Paese sono assolutamente esigue. Tenuto in debito conto che la Slovenia entra nell’Unione Europa nel 2004, e che in quegli anni la Cina si avviava a diventare un interlocutore sempre più privilegiato, è facilmente ipotizzabile che il Paese non fosse più ritenuto economicamente appetibile e che si fosse scelto di dismettere l’insediamento per collocarlo altrove. L’attuale crisi offre lo spunto per comprendere ancor meglio il grado di internazionalizzazione della nostra provincia: ai primi segnali di deterioramento del clima economico mondiale le nostre esportazioni hanno risposto con immediatezza, accusando una flessione significativa nel terzo trimestre 2008, cui è seguito un forte ridimensionamento con un picco di minimo nel terzo trimestre 2009. Ma già sul finire d’anno, con il miglioramento del clima di fiducia e dei dati macroeconomici, le esportazioni bellunesi hanno risalito velocemente la china. Al pari di tutte le economie aperte, cioè fortemente votate all’export, quella bellunese è influenzata direttamente dagli stimoli esterni e ad essi reagisce prontamente. Questo fenomeno è tanto più evidente se si confronta l’andamento percentuale delle esportazioni bellunesi, venete e italiane nei diversi trimestri: i primi segni di rallentamento nel bellunese si notano nel terzo trimestre 2007 in connessione con la decelerazione dell’economia americana da cui fortemente dipende, poi la discesa si fa inesorabile e diventa brusca, mentre, il Veneto e l’Italia, pur risentendo nello stesso periodo delle mutate condizioni, non hanno significative variazioni e la loro caduta è molto meno accentuata. Ma il forte grado di apertura agisce anche da volàno, infatti, Belluno è il primo a partire e la sua ascesa è assai rapida. La presenza della frantumazione della catena di produzione internazionale è ben radicata in provincia ed è visibile dalle statistiche che guardano al prodotto per tipo di industria. Le esportazioni di beni intermedi costituiscono il 14,2% del totale export e la loro importanza nel tempo è diventata sempre più evidente: dal 2000 al 2008 sono cresciute del 29,4%, a fronte di un import aumentato solo del 4,5%. Il principale interlocutore sia in entrata che in uscita è l’Europa e l’area euro in particolare. Da conversazioni intercorse con operatori di diversi settori si apprende, infatti, che sono numerose le PMI, che, specializzatesi nella lavorazione di prodotti intermedi, servono l’industria estera, soprattutto tedesca. Si tratta di aziende appartenenti all’alta meccanica, all’elettronica, alla meccatronica, che sono in grado di produrre con livelli di alta qualità. Hanno patito l’effetto Cina, e ne risentono tuttora, tuttavia, la capacità di inventiva, la puntualità nella consegna e la precisione nella produzione le rendono ancora partner affidabili e preferibili ai Paesi a basso costo. All’interno dell’occhialeria esiste ancora un piccolo indotto, ancorché ridimensionato. Si ha notizia che un’azienda di medie dimensioni partecipi come fornitore privilegiato di primo livello per una grande multinazionale; altre aziende subfornitrici sono state richiamate al loro ruolo perché garantiscono tempi di consegna eccellenti soprattutto nella produzione di occhiali da sole, caratterizzata da un ciclo molto breve. Inoltre, attorno all’occhialeria ruotano anche altri settori non strettamente ad essa connessi a cui si richiede di risolvere problemi specifici per i quali la competenza tecnica è indispensabile (soluzioni tecniche per le placchette di plastica, adattamento di macchinari esistenti). La subfornitura, costituita in nicchie di specializzazione, è quindi un aspetto che contraddistingue la nostra provincia con, in alcuni casi, effetti positivi perché si sviluppano reti transnazionali con passaggio di informazioni e tecnologia. Gli aspetti negativi del tessuto economico bellunese sono già noti e ne faremo qui un breve cenno, sfruttando le informazioni desunte da conversazioni avute con imprenditori e operatori economici locali:

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• approcciarsi al mercato estero è spesso un fenomeno individuale e non collettivo, non c’è

squadra tra gli imprenditori bellunesi; • le novità, le innovazioni, le migliorie non vengono condivise, ma custodite gelosamente; • salvo rari casi, non c’è rapporto con centri di ricerca e università (sussiste però

un’innovazione interna all’azienda, non brevettata); • in molti casi ci si scontra con una mentalità legata al passato. Gli aspetti culturali incidono

sull’individualità che condiziona anche le relazioni sul territorio in senso economico; • mancanza di personale qualificato all’interno dell’azienda che sappia gestire i rapporti con

l’estero (amministrativi, commerciali, dirigenti); • non ci sono strette reti di relazione con i servizi pubblici e privati che potrebbero, invece,

dare una maggiore spinta al processo di esternalizzazione; • mancata partecipazione ai bandi regionali per lo sviluppo all’internazionalizzazione.

Per il futuro si avvertono pochi, ma significativi segnali positivi. Sta emergendo, infatti, una nuova imprenditorialità, fatta di giovani laureati che spesso hanno compiuto studi all’estero e che si accingono a prendere in mano l’azienda familiare. Tuttavia, ci sono ancora molti nodi da sciogliere: bisogna comprendere che esiste una convenienza a mettersi in rete, a dialogare con settori economici apparentemente lontani e che innovazione, ricerca e dialogo con il territorio sono chiavi per il successo. In una frase: è necessario fare il salto di qualità, non più dunque solo aziende a labour intensive, ma aziende in cui il capitale umano si esprima ai più alti livelli. Gli studi promossi dall’Istituto per la Promozione Industriale ci indicano che, a parità di classe di addetti, le aziende che si impegnano oltre frontiera hanno un fatturato e un valore aggiunto per addetto di gran lunga maggiore di quelle che si rivolgono al solo mercato interno. Decidere di impegnarsi con l’estero è, però, un’azione che non coinvolge solo aspetti legati alla produzione in senso stretto; oltre a quelli tecnici, si devono valutare attentamente anche altri fattori che presuppongono conoscenze in ambiti molto diversi: comprensione economica, culturale, linguistica del mercato straniero, ciò comprende valutazioni di tipo macroeconomico in cui rientrano analisi del PIL, del reddito pro-capite, studi sulla demografia e sul livello di istruzione della popolazione, grado di apertura al commercio del Paese ospitante, ricerche di mercato, esami della tipologia dei consumi e della propensione di spesa dei residenti, adesione ai gusti dei nuovi possibili clienti, ricerche di nicchie di prodotti e mercati, legislazione del Paese di destinazione, conoscenze sull’esistenza di tariffe e dazi doganali, tutela del marchio, del prodotto, della proprietà industriale, ottimizzazione dei servizi di logistica e trasporti, ecc. Se è pur vero che negli ultimi decenni si è avuta nel mondo una standardizzazione dei modelli di consumo, e con essi dei modelli culturali e di organizzazione sociale, stimolati dalle strategie produttive e di marketing delle grandi imprese che hanno condotto a una facilitazione dei rapporti perché si dispone di parametri comuni, sussistono ancora delle barriere, non solo economiche e legislative, che rendono difficile la penetrazione nei mercati altrui soprattutto quando si è piccoli e isolati. Diventa, quindi, condizione imprescindibile poter contare su una rete di servizi pubblici e privati che offrano gli strumenti per interpretare il mercato di destinazione e che agevolino e semplifichino le attività di esportazione.

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