Dalla diga del Vajont al Mattatoio di Testaccio, i tesori del turismo … · 2020. 11. 19. ·...

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Dalla diga del Vajont al Mattatoio di Testaccio, i tesori del turismo industriale italiano Un libro raccoglie 300 tra siti, musei e fondazioni legati a fabbriche e costruzioni. Luoghi iconici quasi tutti visitabili (a emergenza sanitaria finita) Ci sono luoghi iconici entrati nel patrimonio culturale anche se la loro costruzione risale soltanto a qualche decennio fa. Via Jervis a Ivrea, che Le Corbusier definì «la strada più bella del mondo», è uno di questi. Le Officine ICO commissionate da Adriano Olivetti agli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, costruite e ampliate fra il 1933 e il 1958, andarono ad affiancare la famosa «fabbrica di mattoni rossi » che aveva segnato l’inizio dell’avventura industriale del padre Camillo. L’idea tardo ottocentesca della fabbrica e quella innovativa, come spazio aperto e luminoso, voluta da Adriano Olivetti si allungano in poche centinaia di metri nella stessa via, a simboleggiare due periodi dello storia industriale italiana, lo slancio post-unitario e gli anni del boom economico successivo alla seconda Guerra Mondiale. Ivrea è uno dei siti industriali italiani entrati a far parte del patrimonio Unesco assieme ad altri due luoghi ben conosciuti, come il villaggio operaio di Crespi d’Adda e il Real Borgo di San Leucio nel complesso della Reggia di Caserta, dove venivano realizzate sete famose in tutto il mondo. Sono descritti nella Guida al turismo industriale di Jacopo Ibello (Morellini Editore), appena uscita in libreria, che raccoglie circa 300 schede di siti, musei e fondazioni riconducibili alla civiltà industriale italiana, quasi tutti aperti (ovviamente non ora, in emergenza Covid) alle visite. Un patrimonio immenso, non limitato al triangolo industriale e alle aree di più forte sviluppo economico concentrate nel Nord, ma presente anche al Sud e sulle isole. Una risorsa da valorizzare che non comprende solo

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Dalla diga del Vajont al Mattatoio diTestaccio, i tesori del turismoindustriale italianoUn libro raccoglie 300 tra siti, musei e fondazionilegati a fabbriche e costruzioni. Luoghi iconici quasitutti visitabili (a emergenza sanitaria finita)

Ci sono luoghi iconici entrati nel patrimonio culturale anche se la lorocostruzione risale soltanto a qualche decennio fa. Via Jervis a Ivrea, cheLe Corbusier definì «la strada più bella del mondo», è uno di questi. LeOfficine ICO commissionate da Adriano Olivetti agli architetti Luigi Figini eGino Pollini, costruite e ampliate fra il 1933 e il 1958, andarono adaffiancare la famosa «fabbrica di mattoni rossi» che aveva segnato l’iniziodell’avventura industriale del padre Camillo. L’idea tardo ottocentescadella fabbrica e quella innovativa, come spazio aperto e luminoso, volutada Adriano Olivetti si allungano in poche centinaia di metri nella stessa via,a simboleggiare due periodi dello storia industriale italiana, lo slanciopost-unitario e gli anni del boom economico successivo alla secondaGuerra Mondiale.

Ivrea è uno dei siti industriali italiani entrati a far parte del patrimonioUnesco assieme ad altri due luoghi ben conosciuti, come il villaggiooperaio di Crespi d’Adda e il Real Borgo di San Leucio nel complesso dellaReggia di Caserta, dove venivano realizzate sete famose in tutto il mondo.Sono descritti nella Guida al turismo industriale di Jacopo Ibello (MorelliniEditore), appena uscita in libreria, che raccoglie circa 300 schede di siti,musei e fondazioni riconducibili alla civiltà industriale italiana, quasi tuttiaperti (ovviamente non ora, in emergenza Covid) alle visite.

Un patrimonio immenso, non limitato al triangolo industriale e alle aree dipiù forte sviluppo economico concentrate nel Nord, ma presente anche alSud e sulle isole. Una risorsa da valorizzare che non comprende solo

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l’archeologia industriale - fabbriche dismesse o riconvertite a nuovefunzioni - ma si apre al concetto più ampio di «cultura d’impresa»includendo le visite agli impianti industriali ancora attivi, che spesso hannogià musealizzato il loro patrimonio storico e archivistico.

Abbiamo selezionato alcuni luoghi riconducibili alla vocazione industrialeche rappresentano un’immagine forse meno conosciuta dell’Italia. Unpiccolo assaggio di quanto raccolto nel libro di Ibello: un viaggioaffascinante che disegna una penisola ben diversa dagli stereotipi turistici.

1. Diga del Vajont

Il simbolo di una delle più immani tragedie del dopoguerra è diventato unmonumento alla memoria. Ma la diga è ancora uno degli esempiingegneristicamente più significativi di tutte quelle opere che, lungo tuttol’arco alpino, hanno cercato di sfruttare l’acqua per fornire elettricità amilioni di persone in un’Italia che, fino agli anni Settanta, viveva unosviluppo impetuoso. Il Parco Dolomiti Friulane organizza visite guidate alcoronamento della diga.

www.parcodolomitifriulane.it

La diga del Vajont (@Jacopo Ibello)

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2. Alto Vicentino

Schio è l’esempio di un villaggio rurale trasformato in città industriale ametà dell’Ottocento. Alessandro Rossi costruì nel 1862 la cosiddettaFabbrica Alta per riunire, sul modello inglese, in un unico edificio su piùpiani tutta la lavorazione del lanificio di famiglia, in seguito conosciutocome Lanerossi. Oltre alla possibilità di visitare questo imponente edificioche viene considerato uno dei più significativi esempi del patrimonioindustriale italiano, i Percorsi di archeologia industriale permettono discoprire il Villaggio operaio e il Giardino Jacquard pensato per lo svagodegli dipendenti.

www.visitschio.it

Schio, Fabbrica Alta (@Jacopo Ibello)

3. Fabriano

Fin dal Trecento, la città marchigiana ha legato il suo nome allafabbricazione della carta. Innumerevoli le innovazioni introdotte nellalavorazione dai maestri fabrianesi, in particolare l’uso della filigrana comemarchio di fabbrica della cartiera visibile in trasparenza sul foglio. Il Museodella carta e della filigrana ripercorre questa storia affascinante. Da non

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mancare la visita alle Cartiere Pietro Milani, un grande edificio dall’aspettomonumentale.

www.museodellacarta.com

Il Museo della carta e della filigrana di Fabriano (@Jacopo Ibello)

4. Roma

Gli scenari da Grande bellezza della città eterna oscurano la sua storiaindustriale, che pure esiste ed è spesso ben valorizzata, con recuperi chesono esempi di rigenerazione urbana. Se il Gazometro del quartiereOstiense è il simbolo, molto fotografato, del passato industriale di Roma,ci sono altri luoghi che meritano la visita. A partire dalla CentraleMontemartini, sulla via Ostiense, dove la monumentale sala macchineospita i capolavori dell’arte classica provenienti dai Musei Capitolini.L’itinerario prosegue verso un luogo molto popolare come il Mattatoio diTestaccio, e poi al Pastificio Cerere a San Lorenzo e alla Cartiera Latina,sull’Appia Antica.

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www.centralemontemartini.org

Centrale Montemartini (@Jacopo Ibello)

5. Sardegna

L’isola è stata per i popoli antichi del Mediterraneo soprattutto una grandeminiera. Prima i Fenici poi i Romani si accorsero della ricchezza di argento,rame, piombo dando vita a una protoindustria estrattiva. Un’attività che siè protratta ben dentro il Novecento e ha lasciato in eredità al turismoindustriale una serie impressionante di siti minerari visitabili, soprattuttonell’area del Sulcis-Iglesiente. L’immagine più nota di questa nuovavocazione turistica del sud-ovest sardo è quella di Porto Flavia. Un portaleaffiancato da una torre scolpito nella roccia a picco sul mare, con il Pan diZucchero, un faraglione, a rendere più pittoresco lo scenario. È lo sboccodi due gallerie dove veniva stoccato il materiale estratto nella MinieraMasua, pronto per essere stivato nelle navi attraccate in basso.

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Porto Flavia (@Fondazione Cammino minerario di Santa Barbara)

Oltre a Porto Flavia ci sono molti altri luoghi da visitare come la vicinaLaveria Lamarmora, la Grotta Santa Barbara della miniera di San Giovanni,l’Ecomuseo delle Miniere di Rosas a Narcao, la Galleria Henry a Buggerrucon il suo trenino minerario. Sul sitowww.camminominerariodisantabarbara.org l’elenco completo delleminiere.