DAL PROFESSOR GUTTMANN AL “CICLONE” ZANARDI vostri posti/Capitolo 08.pdf · L a biglia comincia...

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DAL PROFESSOR GUTTMANN AL “CICLONE” ZANARDI 8

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DAL PROFESSOR GUTTMANN AL “CICLONE” ZANARDI

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Tutto cominciò in un minuscolo paesinodella contea di Buckinghamshire, inInghilterra. L’anno è il 1948 e siamo a

Stoke Mandeville, circa 50 miglia daLondra, meno di mille anime ma un grandee rinomato ospedale riservato ai veteranidi quella devastante tragedia che fu la Se-conda Guerra Mondiale, lontana, si fa perdire, appena un paio di anni. In questoospedale lavorava un certo Ludwig Guttmann,neurochirurgo tedesco costretto ad emigrarein Inghilterra nel 1939 per sfuggire allepersecuzioni del regime nazista nei confrontidel popolo ebraico. Guttmann fu un au-tentico rivoluzionario; uno di quei personaggiche nel corso della storia riescono ad ele-varsi al di sopra del livello dei propri con-temporanei e a rimanere nella memoria

collettiva per sempre, grazie al coraggio eall’audacia del proprio pensiero e delleproprie azioni. Nel secondo dopoguerra avere una lesionespinale, come la gran parte dei pazientidell’ospedale di Stoke Mandeville, signifi-cava di fatto essere condannati ad unamorte lenta quanto inesorabile: l’impossibilitàdi camminare e di essere autosufficientiportava nel giro di qualche anno i pazientia spegnersi come candele, abbandonatial proprio destino da terapie non ancorasufficientemente sviluppate per poter dareloro la speranza di una vita nuova. Diversa,ma nuova. Ebbene, Ludwing Guttmann rivoluzionò com-pletamente l’approccio ai pazienti conlesioni spinali, introdusse cure e terapie

Stoke Mandeville

e i “regali” della guerra

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I primi Giochi per persone con disabilità tenuti nel 1948 a Stoke Mandeville

mai provate in passato, perfezionò l’utilizzodella fisioterapia, ma soprattutto riaccesela luce nelle vite di queste persone. E lofece grazie a ciò che da sempre stimolanell’uomo spirito competitivo ma anchefratellanza, voglia di migliorarsi e ancheprofonde amicizie: lo sport. Fu questa l’il-luminazione più grande di Guttmann, usarelo sport come strumento per la riabilitazionefisica dei propri pazienti, ma soprattuttocome terapia mentale. L’idea che una per-sona con disabilità potesse svolgere unaqualsiasi disciplina sportiva, semplicementefolle fino ad allora, inim-maginabile, diventaall’improvviso real-tà. Da lì in poi fucome mettere unabiglia su di un pianolievemente inclinato: al-l’inizio sembra quasi im-mobile, rotola lentamen-te, ma centimetro dopocentimetro la velocitàinesorabilmente aumen-ta. Il 1948 dicevamo, è

l’anno cardine di questa storia. Nella terzaestate piena di pace dopo il dramma dellaseconda Guerra Mondiale, tornano le Olim-piadi estive, ferme all’edizione di Berlinodel 1936, quella della glorificazione delregime nazista al proprio apice. Dodicianni dopo è Londra il teatro dei Giochi, iquattordicesimi della storia. Cinquantanovenazioni da tutto il mondo si ritrovano nellacapitale inglese per celebrare lo sport eper scrollarsi di dosso il ricordo ancoravivo delle bombe. Cinquanta miglia più aovest, a distanza di poche settimane, appenasedici atleti, quattordici uomini e due donne(sì, le donne presenti fin da subito), si ri-trovano nello scenario sicuramente moltopiù modesto del cortile dell’ospedale diStoke Mandeville per la prima edizionedei “Giochi sportivi per paraplegici”. Ce loraccontano come una sorta di festival,una celebrazione dello sport come diverti-mento. Da allora ogni estate il dottor Gutt-mann ripropose l’evento nel proprio ospe-dale, ospitando di volta in volta semprepiù atleti, dal 1952 anche stranieri, con iprimi reduci di guerra olandesi giunti inInghilterra per provare questa nuova follia.

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Ludwig Guttmann “papà” delle Paralimpiadi

Annalisa Minetti,cantante e atletaparalimpica

La biglia comincia a prendere velocitàin questi anni, complice anche un ita-liano, il dottor Antonio Maglio, direttore

del centro paraplegici dell'Istituto Nazionaleper l'Assicurazione contro gli infortuni sullavoro a Ostia. Fu lui a proporre a Guttmanndi svolgere l’edizione dei Giochi di StokeMandeville del 1960 non più in Inghilterra,ma a Roma. Guttmann accetta, affascinato

dalla cornice inedita e dall’idea di sottoli-neare con ancora maggior forza il percorsocomune che idealmente dovevano com-piere Giochi olimpici e Giochi riservati adisabili. Non si parla ancora di Paralimpiadi,ma lo spirito è inconfondibilmente quello,come dimostra una immagine in particolare,tra le poche sopravvissute al tempo.

I Giochi del 1960 riservati ai disabili furonoorganizzati dall’INAIL in collaborazione conil CONI e si svolsero ad appena una setti-mana di distanza dalla cerimonia di chiusuradelle meravigliose Olimpiadi di quella estate.L’immagine premonitrice di quello che poisarebbe successo più di cinquant’annidopo a Londra, nel 2012, è quella dellacerimonia di apertura della manifestazione:

il 18 settembre 1960, alla presenza del-l’allora ministro della Sanità italiano CamilloGiardina, lo Stadio dell’Acqua Acetosa ècolmo di oltre cinquemila spettatori, incu-riositi e affascinati da un mondo totalmentenuovo che si stava plasmando e svelandodavanti ai loro occhi. Appena quindici anniprima essere colpiti da lesioni spinali o

La prima volta a Roma

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Le paralimpiadi di Roma segnarono una svolta nella storia: qui la cerimonia di apertura all’Acqua Acetosa

amputazioni significava essere condannatiad una non vita; nel 1960 gli stessi ragazzie ragazze riempiono uno stadio di tifosi. Lastoria è tracciata, e l’immagine dello stadioOlimpico di Londra tutto esaurito durantele Paralimpiadi del 2012 è già visibilelaggiù, in fondo alla discesa che la bigliasta percorrendo sempre più velocemente.Come spesso accade nella storia, ci sirende conto della portata di un accadimentosolo quando questo finisce di essere pre-sente e scivola lento nel passato. Roma fuuna festa, uno straordinario momento di

sport per gli atleti disabili impegnati: addi-rittura in 400 presero parte a 57 gare di 8discipline diverse, in rappresentanza di 23nazioni da tutto il mondo. La cerimonia diapertura, abbiamo detto, ma anche l’udien-za di tutti i partecipanti da papa GiovanniXXIII al Vaticano o la chiusura della mani-festazione all’interno del Palazzetto dello

Sport del Villaggio Olimpico, con ospited’eccezione, inevitabilmente e doverosa-mente, il dottor Guttmann. Tutte cartolineindelebili di quella che fu l’estate del 1960,insufficienti però affinché quello che ac-cadde a Roma potesse assumere definiti-vamente un profilo ufficiale, smarcandosiquindi dalla dipendenza dalla buona volontàe dall’audacia di uomini rivoluzionari comelo stesso Guttmann o Antonio Maglio.Tanto che nel 1968, per difficoltà nei rap-porti con gli organizzatori messicani, il bi-nomio Olimpiadi – Giochi per persone con

disabilità (che aveva caratterizzato anchel’edizione del 1964 a Tokyo) salta a Cittàdel Messico. Solo nel 1984, 24 anni dopoRoma, 36 anni dopo quell’estate nel cortiledell’ospedale di Stoke Mandeville, il Co-mitato Olimpico Internazionale riconoscel’evento di Roma 1960 come prima edizionedei Giochi Paralimpici della storia.

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Oxana Corso, due volte argento paralimpico a Londra 2012

Una storia densa di tante altre piccolestorie, come un infinito mosaico com-posto da migliaia di tasselli. E in

questo mosaico spicca qualche nome quae là, ragazzi e ragazze che hanno segnatoricordi indelebili nella nostra memoria emomenti cardine nel percorso ancora indivenire delle Paralimpiadi. Si è detto dellacerimonia di apertura di Roma 1960 alloStadio dell’Acquacetosa, messa in unideale rapporto diretto con la spettacolareLondra 2012; ma c’è un’altra cerimoniadi apertura che merita citazione, quelladei Giochi Paralimpici invernali di Torino2006 (è dal 1976 in Svezia che le Para-limpiadi coinvolgono anche le discipline

invernali). Protagonista di questa ennesimacartolina è una delle più grandi atlete pa-ralimpiche che il nostro sport abbia cono-sciuto, Paola Fantato. Cinque edizioni deigiochi con 8 medaglie, di cui 5 d’oro, do-minatrice assoluta del tiro con l’arco peroltre un ventennio. Nella sua carriera anchela partecipazione ai Giochi per normodotatidi Atlanta 1996, la seconda atleta disabilea rompere questa barriera dopo la neoze-landese Fahrill a Los Angeles, nel 1984. Rompere una barriera, è questa la metaforapiù calzante per lo sport paralimpico. E lodevono aver pensato anche gli organizzatoridi quella cerimonia di apertura a Torino nel2006. La scena è costruita in maniera ma-gistrale nello stadio Olimpico torinese: unenorme muro si alza dentro l’impianto, im-ponente. Davanti a esso, minuscoli, alcuniatleti, c’è Paola, c’è un certo Alex Zanardi,forse ancora inconsapevole di quanto questomondo gli avrebbe regalato e di quanto luiavrebbe regalato a questo mondo, e c’èuna bambina non vedente. La bambina ri-ceve dalle mani di Alex una freccia e laporta a Paola. Il gesto ripetuto migliaia divolte, forse milioni, di alzare l’arco e scagliarela freccia stavolta significa qualcosa di più.La freccia va diretta verso il muro e apreuna prima crepa. Il muro nel giro di qualcheminuto si sfalda, si distrugge, grazie all’aiutodi tanti altri ragazzi che sulle loro carrozzineall’improvviso compaiono sulla scena. Difficilerappresentare meglio di così lo sport para-limpico. Di sicuro il dottor Guttmann ne sa-rebbe stato orgoglioso.Come detto, dentro quello stadio Olimpicodi Torino nel 2006 c’era anche Alex Zanardi.Un ex pilota automobilistico sfortunato,vittima di un terrificante incidente cinque

Dall’arco di Paola

alla rivoluzione di Alex

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Paola Fantato fra Olimpiadi e Paralimpiadi

anni prima che gli portò via entrambe legambe dopo aver provato in tutti i modi astrappargli anche la vita. “Solo” questoera Alex allora, in quella serata del 2006.Il mondo dello sport per disabili per lui eraterritorio semi-inesplorato: da qualche tem-po aveva cominciato a percorrere le discesee le salite delle campagne emiliane conuna handbyke, una speciale carrozzinada corsa, la forza delle braccia al postodei cavalli dei motori con i quali avevaconvissuto fin da ragazzino, ma più percuriosità e per necessità di tenersi in formache per spirito competitivo. Poi la svoltanel 2007: Maratona di New York, perchéno? E a New York Alex capisce che l’handbykepuò essere la sua nuova Formula Uno. Unquarto posto impronosticabile per un qua-rantunenne che per una vita aveva fattotutt’altro. La strada e le lunghe distanzeda allora diventano casa sua. Le parteci-pazioni alla Maratona di Roma, dove emo-ziona e trionfa a ripetizione, lo scoprirsicompetitivo, forte, forse il più forte. E poiLondra 2012. Come New York, la domandache si fece fu la stessa: le Paralimpiadi,perché no? Ma senza la presunzione divoler arrivare ai Giochi per diritto acquisito:“Voglio conquistare la qualificazione ingara, se non ci riesco è giusto che vada

qualcuno che se lo è meritato di più”.Mesi e mesi di allenamenti sulle stessestrade su cui prese confidenza per laprima volta con il suo nuovo strumento,ore passate in officina, da vero ex pilota, asperimentare soluzioni aerodinamiche in-novative sulla propria handbyke, forse an-che troppo innovative a volte: Alex raccontache un giorno in particolare stava provandouna nuova modifica e prese una curvatroppo velocemente, ribaltandosi in mezzoalla strada. Passò di lì una macchina el’automobilista, vedendolo a terra, si fermòallarmato. La sua risposta fu straordinaria:“Non si preoccupi, sto bene, le gambenon le avevo già da prima”.E fu così che un pilota diventato celebrein tutto il mondo per il proprio talento alvolante, a cui la vita impose una brusca edolorosa svolta, fu in grado di ripartire daun dramma per riscoprirsi una personanuova, anzi una persona addirittura migliore,a suo dire. “Ringrazio Dio di avermi datoquesta nuova possibilità e di poter essereesempio di forza per chi ha vissuto un’espe-rienza come la mia”, disse a Londra, dopoaver emozionato il mondo con la vittoria didue medaglie d’oro tra le più incredibili estraordinarie che lo sport mondiale abbiaavuto il privilegio di raccontare.

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Alex Zanardi e la nuova vita sportiva sul “ciclone”