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Paolo Betta - Fausto Cantarelli DAL MITO ALLA STORIA Il Pecorino Siciliano

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Paolo Betta - Fausto Cantarelli

DAL MITO ALLA STORIAIl Pecorino Siciliano

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Presentazione

Le finalità statutarie del CORERAS, nel quadro degli indirizzideterminati dall’Assessore regionale per l’agricoltura e per le fore-ste, si sostanziano nello sviluppo e nell’ammodernamento strut-turale ed organizzativo dei sistemi agroalimentare, agroindustria-le ed agroambientale della Sicilia.

Le attività di ricerca, di sperimentazione, di studio e di servi-zio svolte ed in via di svolgimento dal Consorzio sono dirette allarealizzazione di tali finalità e specificatamente per l’agroalimenta-re mirano alla valorizzazione del sistema attraverso miglioramen-ti negli aspetti di processo, di prodotto e di organizzazione conspecifici obiettivi di esaltazione delle caratteristiche produttive,qualitative, salutistiche, storiche, culturali, naturali, ambientali, nelrispetto della spiccata biodiversità e dei molteplici microambien-ti esistenti nell’isola, al fine di soddisfare le più sofisticate esigen-ze gastronomiche e culturali del consumatore moderno.

Il Comitato Direttivo del Consorzio nell’analizzare la richiestadel Prof. Fausto Cantarelli di ristampa del volume: Dal mito allastoria: Il pecorino siciliano, ha ritenuto che lo studio, già esauri-to nella sua prima edizione, sia ben meritevole di ulteriore diffu-sione in quanto trova accoglimento nelle finalità del CORERAS edè complementare alle sue attività scientifiche mirate alla valoriz-zazione ed allo sviluppo delle produzioni e del territorio dell’iso-la, sia negli aspetti economico-sociali che in quelli culturali, sto-rici monumentali e paesaggistici.

Sono pertanto lieto di provvedere alla ristampa dello studiodel collega economista agrario Prof. Cantarelli, impegnato nellaricerca di nuove opportunità di marketing del Pecorino Sicilianoe promotore di una teoria di valorizzazione dei prodotti tipiciattraverso l’impiego della storia italiana.

Prof. Antonino BacarellaPresidente del CORERAS

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In copertina:bassorilievo in arenaria con sfinge alata accosciata da Mozia.

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Paolo Betta - Fausto Cantarelli

DAL MITO ALLA STORIAIl Pecorino Siciliano

CORERASConsorzio Regionale

per la Ricerca Applicata e la SperimentazionePalermo

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Ristampa

Progetto POM A03: “Valorizzazione dei prodotti lattiero-caseari del Mezzogiornoattraverso lo studio dei fattori che ne determinano la specificità”.

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I N D I C E

Prefazione..........................................................................pag. 7

CAPITOLO PRIMOSicilia, Mediterraneo e Medio Oriente

1. Lo scenario.............................................................................112. Le radici dell’agricoltura........................................................143. Obiettivi e strumenti..............................................................194. Pecorino Siciliano e Medio Oriente......................................245. Il mito.....................................................................................276. Il Neolitico in Medio Oriente................................................327. I mezzi di trasporto...............................................................398. Alcune conclusioni................................................................42

CAPITOLO SECONDOL’origine geografica, culturale e storica della produzione dei formaggi pecorino e caprino della Sicilia

1. L’uomo e la Terra: La “rivoluzione neolitica”...................... 452. Il diffondersi del Neolitico nell’area mediterranea.............. 533. Il Neolitico in Sicilia..............................................................594. Micenei, Fenici e Greci in Sicilia..........................................73Bibliografia..................................................................................81

CAPITOLO TERZOAzioni e prospettive

1. Dalla Sicilia alla Gallia...........................................................852. Il contesto...............................................................................893. Il marketing............................................................................96Bibliografia..................................................................................109

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Prefazione

Il titolo dell’opuscolo fa riferimento alle radici mitiche e sto-

riche dell’arte casearia in Sicilia in un’epoca molto lontana, quan-

do l’uomo ha scelto di ricorrere a spiegazioni fantastiche non

essendo riuscito a razionalizzare integralmente il vissuto; la mito-

logia altro non è che un’ammissione di incompetenza.

Così, l’esame della condizione attuale dei formaggi tipici del

sud Italia, che abbiamo condotto all’interno del progetto POM

A03, ha permesso il recupero di una sorta di primogenitura stori-

ca della Sicilia non solo casearia, quale è emersa dalla volontà di

fare qualche cosa per quei formaggi che l’incuria dell’uomo ha

lasciato emarginare.

Ben sapendo che le vicende più suggestive di ogni processo

umano si celano nei tempi iniziali, ove regnano creatività e inno-

vazione, abbiamo tentato di recuperare le radici dell’allevamento

e dell’arte casearia in Sicilia, in Italia e in Europa, senza trascura-

re le successive fasi di riflessione, sempre con lo scopo di miglio-

rare ciò che è stato e in attesa di innestare altre misure, ove fosse

necessario sbloccare i precedenti percorsi.

Nel caso del Pecorino Siciliano, la fase creativa è avvenuta nel

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Medio Oriente 10 mila anni avanti Cristo e subito dopo nell’isola,

quasi in sincrono con la domesticazione delle pecore, che prima

ci erano sconosciute. L’innovazione nell’isola si è rivolta a ricer-

care nuove modalità di trasformazione casearia, che saranno tra-

sferite in Europa attraverso le legioni romane.

Questo è stato, in sintesi, il risultato di un percorso logico alla

ricerca di un’idea portante, che permetta di rivalutare i prodotti

tipici in genere, e i formaggi in particolare, ripercorrendo i

momenti storici che li hanno fatti arrivare indenni fino a noi.

Quando l’andare a ritroso si è arenato nel labirinto delle ipo-

tesi, con il rischio di rimanerne prigionieri, sono venuti buoni

anche i miti, nati a suo tempo ad opera degli stessi protagonisti

degli avvenimenti più lontani; sono state le osservazioni degli

uomini del Mediterraneo, infatti, ad avere dato corpo ad immagi-

ni fantastiche per fare presa sulla gente che amava idealizzare i

veicoli della storia; essersi avvalsi dei miti ha significato aggiun-

gere qualcosa in più alla documentazione dei processi storici.

La venuta degli ovini addomesticati in Sicilia risale, secondo

Christos G. Doumas (1996), “All’epoca in cui la società egea era

ancora impegnata nell’era della caccia e della raccolta, nel IX°

millennio a.C.”, lo stesso millennio nel quale sono stati domesti-

cati; nello stesso periodo e secondo lo stesso autore, “Alcuni

audaci pescatori si affidarono alle correnti con le zattere, dopo

avere lasciata la grotta di Franchthi, in Argolide, dove vivevano,

spingendosi in mare aperto in cerca di tonni e di terre ospitali”.

Nel Mediterraneo di allora gli abitanti delle aree interne delle

isole tendevano a spostarsi sulle coste, contribuendo con ciò a

moltiplicare i viaggi per mare. È per questi motivi che non può

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non avere giocato un ruolo determinante la posizione centrale

della Sicilia nel Mediterraneo, che ha trovato puntuale riscontro

nell’Odissea, il più antico dei poemi, dove si racconta di un viag-

gio fantastico che tocca l’antro di Polifemo, in zona etnea, dove

Omero situa un caseificio ante litterame dove l’antesignano dei

pastori e dei cascinai dell’isola, un gigante rozzo e bestiale, pro-

duce il Pecorino Siciliano, il primo tra i formaggi d’Europa.

Il nostro approccio ha permesso di ricostruire l’itinerario fino

alla Sicilia, che divenne da allora il primo laboratorio alimentare

del Vecchio Continente, fautore di successive elaborazioni. Dopo

di allora, con la congiunzione dei flussi mediterranei con quelli

balcanico-danubiani e africano (Marocco-Spagna) ha preso il via

l’arte casearia europea. Credo che il percorso spieghi anche la

grande varietà dei formaggi italiani di pregio rispetto a quella

inferiore di altri paesi mediterranei.

La storia si presenta oggi come la leva che potrà sottrarre i

formaggi tipici italiani allo stato di torpore in cui l’incuria degli

uomini li aveva sospinti negli anni bui della sussistenza.

Poiché questa azione rivolta a rivalutare il Pecorino Siciliano,

il primo capitolo fa riferimento all’isola e alla sua storia casearia,

il secondo ripercorre gli itinerari della preistoria e il terzo propo-

ne alcuni cambiamenti utili.

Ragusa, 24 maggio 2000

Fausto Cantarelli

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CAPITOLO PRIMO

Fausto Cantarelli *

Sicilia, Mediterraneo e Medio Oriente

1. Lo scenario

Sempre e ovunque le produzioni primarie e le successive ela-

borazioni in cucina o altrove hanno influenzato la vita dell’uomo

contribuendo a definire gli assetti socio-economici dei territori; i

bisogni alimentari sono sempre gli stessi come i comportamenti

umani, mentre è la cultura nascente ad avere diversificato gli uni

e gli altri per territorio.

Come tutti gli esseri viventi, l’uomo ha provveduto per prima

cosa al suo sostentamento; da tre milioni di anni, quanti sono tra-

scorsi dalla sua origine, la domanda è rimasta la stessa: “Come

nutrirsi? La risposta ovunque e sempre è stata: con il sistema agro-

alimentare, cioè con l’insieme delle attività coordinate che gli

hanno permesso di cogliere la necessaria energia nutritiva.

Così è avvenuto anche in Sicilia, dove oggi constatiamo la

presenza di abitudini alimentari consolidate; il Pecorino Siciliano

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* Titolare della cattedra di Economia agro-alimentare e docente di marketing ali-mentare nell’Università degli Studi di Parma.

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non è diverso da quello prodotto millenni fa, all’origine, perché

le ragioni, che l’hanno fatto nascere, non sono cambiate e, spes-

so, anche i processi sono rimasti gli stessi (produzione da parte

dell’allevatore sul pascolo). Così le abitudini alimentari hanno

continuato a reggere, ma senza dare garanzie in tempi lunghi,

come dimostrano le tre rivoluzioni vissute dall’umanità: la prima

nel neolitico, quando sono arrivate in Europa dal Medio Oriente

le specie vegetali e animali addomesticate; quella a metà del

secondo millennio dopo Cristo, quando, a seguito della scoperta

delle Americhe, sono arrivati in Europa nuovi alimenti (mais,

patate, pomodoro ecc.); infine, quella di oggi, provocata dall’ac-

celerazione del progresso scientifico e tecnologico e dalla globa-

lizzazione dei mercati.

Nello scenario attuale incombe il rischio che il ricco, vario

e prestigioso patrimonio alimentare dell’isola, come quello di

a l t re aree mediterranee, possa essere travolto dalla pre s s a n t e

a r roganza degli alimenti standardizzati delle multinazionali,

inventate dall ’Europa, diffuse in Usa e in via di diffusione nel

Sol Levante.

Nei tempi antichi, anche la scoperta del fuoco e la cottura

sono state importanti perché hanno introdotto la possibilità di

combinare gli ingredienti, legandoli con il fondo di cucina ecc; in

questa operazione si è sbizzarrita la creatività dell’uomo, che ha

arricchito e differenziato i patrimoni locali; i cibi, combinando

sapori, odori e colori, hanno dato origine ai gusti e alle abitudi-

ni. La cucina è diventata così l’espressione più nobile e presti-

giosa della cultura dei popoli (in Europa l’analisi statistica mostra

analogia agricola e diversità alimentare); l’alimentazione, nelle

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Figura 1 - Porta Nuova dell’antica città fenicia di Mozia.

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aree mediterranee, ha mantenuto maggiori contenuti tradizionali

che in altri luoghi e una più ampia varietà di espressioni.

2. Le radici dell’agricoltura

La Sicilia è stata investita molto presto da vicende analoghe a

quelle vissute dalla Mesopotamia all’origine dell’agricoltura, die-

cimila anni avanti Cristo.

Il carattere storico che ha distinto la Sicilia si ritrova nella pre-

cocità dello sviluppo agro-alimentare rispetto ad altre aree a

causa dell’anticipato sbarco dell’agricoltura e dei suoi prodotti

sulle sue coste (cereali, legumi e animali); ancora oggi la Sicilia è

la più vasta regione del belpaese e la più grande isola del

Mediterraneo con uno dei più ricchi patrimoni alimentari, aven-

do rivestito il ruolo di grande spartitraffico dei flussi mediterranei

di genti e prodotti, con funzioni aggiuntive di primo laboratorio

di elaborazione alimentare d’Europa; oggi, con un’alta densità di

popolazione e con un alto grado di ruralità, l’isola, continua a

custodire gelosamente le tradizioni più antiche, quelle che, par-

tendo dal Medio Oriente e dal nord Africa, sono passate attraver-

so l’isola molto tempo fa per andare ad arricchire l’intera società

occidentale; tutto ciò è stato possibile per la sua collocazione

geografica, per le favorevoli correnti marine e per la presenza

degli autoctoni, che risiedevano per lo più lungo le coste, dove

erano ubicati i principali centri abitati, mentre, nelle aree interne,

la densità degli abitanti si attenuava, gli insediamenti diventava-

no sparsi e l’agricoltura estensiva.

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Se la produzione tipica del Paese costituisce ancora oggi

un ricco patrimonio, la Sicilia non è da meno, avendo accu-

mulato nei secoli di storia alimenti straordinari e gastro n o m i e

d ’ a u t o re, tra le quali prevalgono i vegetali, l ’olio d’oliva come

condimento (pane, focacce ripiene di formaggi, di ricotta sala-

ta, di acciughe, di salumi, oppure con capperi e olive o con

uva passita) e le paste asciutte quasi sempre condite con

s a rde, ricotta, seppie o verd u re. La carne, invece, quando entra

nella cucina dell’ isola, lo fa in punta di piedi, più per arricchi-

re pietanze complesse, che come piatto unico, mentre, in sua

vece, abbonda il pesce, specie tonno e pescespada. Ortaggi e

frutta, dai sapori inconfondibili, completano le risorse alimen-

tari dell ’ isola, a cui non è neppure estranea una ricca e varia

p roduzione di dolci (ben noti sono cassata e cannoli).

N u m e rosi anche i vini; oltre al celebre Marsala, noto nel

mondo intero, ve ne sono molti altri e si distinguono per l ’al-

ta gradazione alcolica; a questi si associa un’ampia gamma di

liquori ricavati dalla frutta locale.

Questa, in breve, la dovizia e la varietà degli alimenti e dei

cibi siciliani, che non esaurisce il caleidoscopio di gusti, di

a romi e di colori, che l’ isola può vantare e meriterebbe ben più

attenzione e, perché no, una vetrina all ’altezza di ciò che pos-

siede; non meraviglia, pertanto, che l’apprezzamento del Nuovo

Mondo abbia inventato una formula impropria, ma significativa:

“La dieta mediterranea” , con la quale vengono indicate le utilità

principali, tra cui eccellono pregio e sanità.

Gli alimenti tipici, che in Sicilia sono più numerosi che altro-

ve, rimangono l’espressione peculiare delle aree mediterranee

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d’Europa, come, per altro verso, i prodotti della grande industria,

standardizzati e appiattiti nei sapori lo sono per le aree conti-

nentali del Vecchio Continente e per il Nuovo Mondo. Questa

doppia realtà nel mondo avrebbe potuto costare molto ai prodotti

meno attrezzati, specie per il mercato globale, che non è conge-

niale con gli alimenti a basso volume di offerta. In realtà, sono

passati diversi anni e tutto è rimasto come prima, dimostrando

che le abitudini alimentari in queste aree sono tanto radicate da

essere inamovibili (non è la qualità ad averli salvati, perché ha

valore se e in quanto la cultura ha un peso consistente che, al

momento, non si avverte né in Sicilia né nel Paese). Il pericolo

semmai potrebbe riguardare, nel tempo, i produttori, che potreb-

bero desistere dal produrre a causa dei sacrifici richiesti rispetto

ai benefici ottenuti.

Oggi sta tornando al territorio il compito di produrre ric-

chezza e posti di lavoro, che le grandi imprese non riescono più

a garantire; anche per questi motivi le produzioni tradizionali

vanno mantenute e difese ad oltranza, dando luogo a quell’orga-

nizzazione delle fasi produttive e di quelle mercantili che è man-

cata in passato e approfittando dell’occasione offerta dall’annun-

ciata espansione del turismo.

Nella contrapposizione dei modelli di consumo, all’interno

del Vecchio Continente, il più a rischio è e rimane sempre quel-

lo mediterraneo, perché è presente con alta qualità, con prezzi

sottovalutati, ma ugualmente alti rispetto a quelli dei prodotti

della grande industria internazionale e con strutture organizzati-

ve deboli (artigiani, piccole industrie e cooperative agricole); il

modello più efficiente rimane quello continentale e del Nuovo

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Mondo, perché può avvalersi di alimenti progettati e realizzati

secondo gli standard del consumo e della grande distribuzione,

con i prezzi più contenuti, con servizi aggiunti e incorporati e con

l’organizzazione complessiva più efficace.

Quest’ultimo modello, a cui danno man forte le importazioni

dagli Usa, preme sulle aree mediterranee per sbarazzarsi di con-

correnti scomodi, i prodotti tipici e quelli tradizionali, e collocare

in Italia, grazie a modernità ed efficienza, le eccedenze delle aree

umide, facendo leva sulla grande distribuzione e su quella orga-

nizzata, non congeniali ai piccoli volumi di offerta e mettendo in

atto efficaci strategie commerciali. La comodità d’uso si contrap-

pone così alla qualità. I siciliani hanno altri traguardi: mantenere

il proprio patrimonio alimentare provocandone la riscoperta e la

rivalutazione anche in vista dell’espansione del turismo. L’esito

della competizione sarà la conseguenza di confronti continui e

duri; il campo di battaglia è il mercato, dove si troveranno sem-

pre più contrapposti alimenti e gastronomie diversi in concorren-

za tra loro.

I prezzi dei prodotti tipici sono bassi rispetto al loro valore

reale, mentre i costi di produzione sono superiori a quelli pre-

senti nelle aree umide del Centro e del Nord Europa a causa del

clima caldo arido; questo handicap colpisce l’intera produzione

agro-zootecnica, che solo con la trasformazione riesce a recupe-

rare competitività; quindi, le materie prime devono necessaria-

mente tramutarsi in prodotti tipici per rimanere in concorrenza

con gli altri alimenti. Si raggiungerebbe l’obiettivo se e quando

l’of ferta, che è diventata eccedente rispetto alla domanda in

seguito all’allargamento dei mercati, si attivasse per garantire le

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vendite e per riequilibrare i prezzi; il supporto mancante è l’or-

ganizzazione dei produttori, che non è mutuabile e che va

costruito, per raggiungere una massa di prodotto che permetta di

svolgere le necessarie azioni promozionali a costi accessibili, ben

sapendo che nei mercati dinamici non esistono prodotti tanto

buoni da vendersi da soli.

Dove le imprese dell’isola hanno accumulato ritardi – la cosa

è avvenuta anche nel resto del Paese – è nell’adeguare i proces-

si produttivi e i prodotti ai cambiamenti che si sono verificati nel

passaggio dal sottosviluppo allo sviluppo del Paese; anche la

Sicilia ha bisogno di recuperare i tempi perduti per inserirsi nel

cammino dello sviluppo con le strategie adeguate, coinvolgendo

tutte le risorse disponibili sul territorio.

Un esempio non alimentare, ma significativo: una delle più

suggestive risorse dell’isola è la Valle dei Templi di Agrigento; è

inconcepibile che ancora oggi, in epoca di grande rilancio del

turismo, il 70% degli italiani ritenga che questa importante risor-

sa si trovi in Grecia, come recita un recente sondaggio di

Legambiente, quando invece la conoscenza delle risorse dovreb-

be fungere da richiamo. Questa opera monumentale, che testi-

monia l’esistenza di una importante colonia greca prima della

nascita di Cristo, oggi deve essere elevata al rango di fondamen-

tale risorsa del territorio, da valorizzare a beneficio dell’intera

economia dell’isola, alimenti e gastronomie compresi. È partendo

dalle risorse più esclusive e di rango che si possono ottenere i

risultati migliori, fino ad arrivare ai consumi alimentari di pregio,

che sono essi stessi delle risorse importanti e, con questi, al ter-

ritorio rurale.

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Le produzioni primarie più abbondanti dell’isola sono, in

ordine decrescente: quelle arboree (specie per agrumi e vite),

quelle erbacee (specie per patate e ortaggi), quelle di origine ani-

male (specie per formaggi e carni) e la pesca.

Per le colture permanenti la Sicilia presenta un’alta concen-

trazione di viticoltura da vino e da tavola e di alberi da frutto,

mandorli e noccioli a sud-ovest e agrumi e ortaggi a sud-est.

Per quanto si riferisce alle produzioni di origine animale, gli

allevamenti bovini si presentano in modo diverso da zona a zona:

lungo la fascia costiera, in aree agrumicole e orticole intensive,

l’allevamento presenta densità consistenti in funzione integrativa

di altri indirizzi produttivi; nelle zone interne, dove l’allevamento

segue ancora modalità tradizionali, vi possono essere ugualmen-

te maggiori concentrazioni in alcuni luoghi (altipiani di Ragusa e

Modica nel ragusano; Palazzolo, Sortino e Floridia nel siracusano;

versante tirrenico dei monti Peloritani nel messinese e nei comu-

ni di Caccamo e Collesano nel palermitano); nel rimanente terri-

torio il bestiame, bovino, ovino e caprino è distribuito con den-

sità inferiore.

3. Obiettivi e strumenti

In queste condizioni, le intuizioni fondamentali, quelle che

gli economisti traducono in piani strategici, non provengono più

dai lampi di genio, bensì da studi e ricerche ad hoc, fatti da équi -

pe di esperti; è finito il tempo delle improvvisazioni: il marketing

applicato agli alimenti tipici ha bisogno di metodologie idonee a

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raggiungere i grandi obiettivi, accelerando i ritmi dello sviluppo.

Solo così le molte e ricche risorse del territorio potranno far fare

all’isola progressi rapidi ed efficaci senza pagare prezzi eccessivi

e, quel che più conta, senza perdite di energia.

Il primo e principale obiettivo è, per le imprese e il territorio,

quello di accelerare i tempi del progredire; lo si può raggiungere

con una buona impostazione che faccia leva, in primo luogo,

sulle risorse locali più importanti e via via sulle altre nella logica

del piano integrato mediterraneo. Le risorse più suscettive, anche

in vista della più volte richiamata espansione turistica, sono quel-

le storico-monumentali, paesaggistiche e agro-alimentari.

L’obiettivo è quello di fare lievitare la domanda di alimenti

e servizi grazie all’aumento delle persone temporaneamente

p resenti (i turisti), da attrarre con immagini idonee e sviluppan-

do le sinergie tra le varie risorse, culturali, ricreative, artistiche,

storiche ecc.

La sagra dei mandorli in fiore di Agrigento, la cui origine risa-

le al 1937, è un esempio di richiamo suggestivo, ancorché non

sufficiente, che potrebbe offrire una gamma di opportunità più

ampia di quella di oggi, tra cui l’Agrigento antica, Akragas, – non

solo la Valle dei Templi –, cioè l’altopiano calcarenitico tra i fiumi

Hypsas e Akragas; lo scenario va poi completato con la cucina

locale, che è ricca di prodotti tipici e di pescato (Porto

Empedocle) e che va portata a un rango superiore di quello attua-

le per farla diventare essa stessa motivo di richiamo. Tutto ciò,

presupponendo l’organizzazione delle imprese, non è facile da

realizzare in un’isola ben nota per l’individualismo dei suoi abi-

tanti; il passaggio è obbligato per due motivi:

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- la complessità del problema richiede una guida sicura, accom-

pagnata da un’ampia serie di competenze (interdisciplina);

- le modalità di intervento presuppongono flussi coordinati di

capitali pubblici e privati, che non sempre sono alla portata dei

singoli investitori.

Pertanto sono i produttori associati a doversi fare carico del

rapporto con le Amministrazioni Pubbliche per concordare tempi,

modi ed entità degli investimenti in armonia con i programmi da

realizzare. La parte immediata di ogni programma è quella riferi-

ta alle opere monumentali del tempo passato – dalla Valle dei

Templi di Agrigento, al Duomo di Monreale, a Mozia-Erice, a

Siracusa, a Taormina, a Noto, a Modica ecc. –; la parte più com-

plessa e meno appariscente è quella che riguarda la ruralità nel-

l’isola e, per questa, il paesaggio interno con i fabbricati, il folk-

lore, gli alimenti tipici, le gastronomie ecc. che vanno ricercati e

che, una volta scoperti, vanno utilizzati in sinergia con i primi

coinvolgendo diversi operatori del territorio che altrimenti sareb-

bero esclusi: agricoltori, allevatori, artigiani, industriali, ristoratori

ecc.; il comparto alimentare può dare consistenti soddisfazioni

economiche non solo perché oggi è spesso sottovalutato, ma

anche perché è in grado di rilanciare il territorio nel momento in

cui gli venisse attribuita un’immagine nuova, più suggestiva e più

gratificante. Non è problema solo siciliano, ma di tutte le aree

dell’Europa meridionale. Non è un caso se proprio di questi

tempi ad Arles è nato il “Conservatoire des Cuisines méditer-

ranéennes” che raggruppa, al momento, sette paesi (Francia,

Italia, Spagna, Grecia, Tunisia, Marocco, Libano) con lo scopo di

difendere la cultura mediterranea, di studiare, di mettere in opera

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e di sviluppare azioni capaci di valorizzare i prodotti tipici e tra-

dizionali, l’agricoltura, la cucina di qualità e, più generalmente, il

patrimonio gastronomico, turistico e culturale dei paesi che si

affacciano sul mare; anche le province siciliane dovrebbero par-

tecipare al fervore collegiale del bacino del Mediterraneo per

ricevere nuovi stimoli e nuovi benefici a supporto dello sviluppo

territoriale.

Nell’isola sono evidenti segnali di ripresa economica da

cogliere ed enfatizzare; l’analisi delle prospettive fa ritenere che

il Terzo Millennio sarà ricordato come quello della riscossa delle

aree mediterranee, e della Sicilia in primis, purché si prenda

coscienza dei problemi e si agisca di conseguenza; la prospettiva

è solida e poggia non solo sulla nuova attenzione che l’Ue rivol-

ge a quest’area, ma anche e specialmente sulle spinte interne e

sulla prevista espansione del turismo a matrice culturale e ricrea-

tiva, sul recupero dei valori storico-tradizionali della società, sulla

diversificazione degli alimenti e delle gastronomie, tutti fenome-

ni già all’attenzione dell’opinione pubblica e in controtendenza

rispetto alla spinta globalizzante del Nuovo Mondo.

Nello specifico dell’alimentare europeo, il sistema è andato

consolidandosi sulla scia dell’avanzata industriale, che ha avuto

successo al punto da provocare, nel Centro e Nord Europa, il

trionfo del consumismo di massa e del profitto ad ogni costo,

prospettive delle grandi imprese che, in questo modo, penalizze-

rebbero ulteriormente il territorio. Le aree periferiche a sud, inve-

ce, fin’ora sono riuscite a mantenere vive, nonostante tutto, le tra-

dizioni alimentari grazie alle piccole imprese con utilità per il ter-

ritorio; tutto questo però oggi non basta più, ma ha bisogno di

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essere rinforzato, applicando ai piccoli volumi d’offerta le stesse

tecniche mercantili delle grandi imprese, previa organizzazione

dei piccoli produttori; per il resto i maggiori prezzi sono amplia-

mente giustificati dalla maggiore qualità.

Le prospettive in campo alimentare sono favorevoli, ma i

compiti per portarle a compimento sono nuovi, complessi e non

facili; richiedono, pertanto, idee e azioni all’altezza degli obietti-

vi e, contemporaneamente, volontà definita e determinata.

4. Pecorino Siciliano e Medio Oriente

L’argomento tipicità è oggi all’attenzione dell’opinione pub-

blica, degli studiosi e delle politiche regionali e nazionali; le pro-

spettive turistiche lo rendono più urgente e allettante.

Tra le tipicità della Sicilia, il Pecorino è l’unico formaggio

prodotto e consumato in tutta l’isola con una storia alle spalle tra

le più suggestive dell’intero Vecchio Continente, in linea, oltre-

tutto, con il cammino seguito dai principali alimenti dal Medio

Oriente all’Europa, passando per la Sicilia e proseguendo, dopo

la prima guerra punica, per Roma e per i territori dell’impero.

L’avventura del Pecorino Siciliano ha inizio con l’arrivo delle

pecore nell’isola, portate dalle zattere prima ancora che dalle bar-

che; una volta sbarcati gli animali, è nata la pastorizia nelle stes-

se zone dove è presente tutt’ora.

L’allevamento ovi-caprino della Sicilia è ancora oggi di tutto

rispetto. La consistenza di pecore e capre nel 1997 è stata rispet-

tivamente di 918 mila (il 13,6% della consistenza nazionale) e di

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249 mila (il 21,8% della consistenza nazionale); gli stessi dati per

l’Italia hanno raggiunto rispettivamente i 6,761 milioni e il 1,144

milioni. La regione Sardegna è l’unica, in Italia, a precedere la

Sicilia nella consistenza delle pecore con 2,981 milioni di capi.

Nell’ultimo decennio gli ovini in Italia sono diminuiti dell’8%,

mentre le capre sono aumentate del 42%; la Sicilia, in controten-

denza, ha fatto riscontrare un aumento per le une (17%) e le altre

(290%).

L’allevamento ovino ha prodotto, nel 1998, 70 mila quintali di

Pecorino Siciliano con q 385 mila di latte; questo formaggio, che

– si ripete – viene prodotto e consumato in tutta l’isola, non da

luogo ad esportazione di qualche significato; ha ottenuto anche

la denominazione d’origine (DPR 3.10.1955 n. 1269) e il Dop.

La produzione, che si realizza sui pascoli ad opera dei pasto-

ri, viene poi venduta direttamente con denominazioni che cam-

biano a seconda del tempo di stagionatura: tomaè il formaggio

fresco non salato, venduto appena fatto, primosaleè il semifresco

sottoposto alla salatura, pecorinoè il formaggio sottoposto alla

salatura oltre i 20 giorni.

Il Pecorino Siciliano va considerato l’archetipo dell’isola per

la storia lunga e complessa che ha alle spalle e ne fa una testi-

monianza di tempi remoti, nei quali non era importante la deno-

minazione, ma il significato che assumeva nella quotidianità loca-

le; poiché rappresenta con i diversi adattamenti le varie realtà ter-

ritoriali dell’isola, così si spiegano i tanti nomi che gli sono stati

attribuiti (canistratu o ncannistratu, maiorchino o mazzulinu,

tumu, tumazzu, caciu ecc.). Questa realtà composita potrà diven-

tare meglio leggibile con un’immagine nuova per valorizzarla al

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meglio. È percepibile accanto a questi formaggi, anche per la

varietà delle denominazioni, un non so che di misterioso che si

perde tra mito e classicità perché è da quei lidi che proviene

come ci ricordano Polifemo, Aristeo, Cirene ecc.

Se Omero ha parlato di formaggio e lo ha collocato in zona

etnea e se, contemporaneamente, consideriamo che pecore e

capre vengono da molto lontano, ciò significa non solo che que-

sti animali sono arrivati molto presto, con ogni probabilità prima

che altrove, ma anche che il prodotto della trasformazione del

latte non poteva tardare ad imporsi e a diffondersi.

Le tracce del latte si perdono nel neolitico in Medio Oriente.

Diecimila anni avanti Cristo, gli uomini avevano imparato ad

addomesticare gli animali, cominciando con le pecore e le capre

che sono più mansuete. Con il latte l’uomo ha raggiunto un

importante obiettivo: riuscire a fare vivere i bambini, a farli cre-

scere e ad allungare la vita agli adulti, permettendo così l’au-

mento demografico che ha coinciso con la presenza delle grandi

civiltà pastorali della Mezzaluna medio-orientale.

La scoperta dei derivati del latte fu empirica: la cagliata pro-

babilmente si formò versando il latte appena munto in un otre

ricavato dallo stomaco di un giovane mammifero; il burro in

seguito a un trasporto agitato; lo stesso per lo yogurt, il latte fer-

mentato di cui si nutrivano i soldati di Gensis Khan.

Non possiamo dimenticare che il formaggio è l’unico dei

derivati del latte che si conserva a lungo senza particolari accor-

gimenti e che questa conservabilità a quei tempi era un caratte-

re eccezionalmente utile, perché permetteva l’accumulo delle

scorte.

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Il formaggio è prodotto mediterraneo come lo è l’olio d’oli-

va, il vino ecc., anche perché qui il sale non manca. Altri hanno

scelto il latte fermentato, di cui parlano Erodoto e Senofonte; dif-

fuso specie nei Balcani e in Anatolia si è spostato rapidamente

verso Oriente, dove, nel Caucaso, ha assunto anche la variante

alcolica (Kefir).

Il Pecorino Siciliano è stato il primo formaggio ad essere pro-

dotto in Europa e oggi viene trasformato sugli stessi pascoli da

parte di allevatori che impiegano le stesse tecnologie di allora.

Così è iniziata la storia del rapporto dell’uomo con il latte e

con il formaggio, connubio felice che prosegue tutt’ora nel modo

migliore in Sicilia e in gran parte del pianeta.

5. Il mito

La ricerca delle radici culturali dell’uomo, attraverso lo studio

comparato delle civiltà, permette di trovare, nella primogenitura

del territorio della Mezzaluna (Palestina, Siria del nord e Mesopo-

tamia), la spiegazione dell’agemonia della civiltà europea. Il

Mediterraneo, nella parte orientale, è il primo luogo dove l’uomo

ha superato le tappe decisive e irreversibili che l’hanno fatto pas-

sare a una condizione superiore di cultura e di sviluppo che chia-

miamo civiltà. Faccio riferimento all’ambiente rurale, nel quale

l’alta densità della popolazione ha permesso il sorgere di una

organizzazione politica di molte persone, le quali riuscivano a

comunicare per mezzo della scrittura. Questo processo non si è

verificato che tre volte: in Mesopotamia, nella Mezzaluna, nella

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pianura della Cina del nord e ai piedi dell’Imalaia (le civiltà degli

indiani delle Americhe e degli africani non hanno mai raggiunto

la scrittura).

La più antica delle rivoluzioni neolitiche, quella mesopotami-

ca, ha raggiunto il passaggio dalla predazione alla produzione

agricola e all’allevamento con due mila anni di anticipo su quel-

la del Messico e quattromila su quella cinese; il grande anticipo

medio-orientale ha fornito con maggiore precisione la misura del

tempo datando la domesticazione dei cereali – frumento, riso e

mais – che ha reso possibile la sedentarizzazione e la crescita

demografica. La più antica coltivazione del frumento è apparsa

nella parte orientale del bacino del Mediterraneo attorno all’otta-

vo millennio a. C. La coltivazione del mais è nata in Messico sul-

l’altipiano dell’Anahuac tre mila anni più tardi; quella del riso è

avvenuta in Cina ancora più tardi intorno al quarto millennio a.

C. L’Europa, l’erede del frumento medio-orientale, è in anticipo

rispetto agli altri di 2 mila o 3 mila anni. È il frumento a definire

la gerarchia dei tempi, cioè la gerarchia dei successi. Il frumento

in meno di quattromila anni ha raggiunto l’Irlanda, la Scandinavia

e gli Urali, mentre il cammino altrove rimaneva bloccato dai

deserti dell’Africa e dell’Asia occidentale. Sola erede del “miraco-

lo” mediterraneo nel neolitico, l’Europa è diventata il continente

del frumento.

La teoria della “superiorità per anteriorità” della civiltà euro-

pea trova conferma nella storia della scrittura, apparsa come la

rivoluzione neolitica, in differenti luoghi: in Egitto e in Mesopo-

tamia attorno a quattro mila anni avanti Cristo, in Cina due mila

anni più tardi, in India 1500 anni più tardi. Ma è millecento anni

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avanti Cristo, in Fenicia, che i tempi vennero accelerati di molto

grazie all’invenzione della scrittura alfabetica, che ha dato corpo

alle vocali e alle consonanti; l’acquisizione della nuova scrittura è

stata rapida, la pronuncia della parola chiara e la comunicazione

facile. È attorno alla città greca tra il 530 e il 400 a. C., tra Ionio

e Atene, che si cela il miracolo: pare che centinaia di migliaia di

persone, in possesso della scrittura alfabetica, moltiplicatore della

comunicazione, in una terra bagnata dal mare, che, a sua volta,

ha agevolato i movimenti e i trasporti, abbiano dato luogo al

“miracolo greco”, che, innanzitutto e soprattutto, è un insieme

mai uguagliato di cervelli comunicanti tra loro; in questo modo i

nostri antenati sono riusciti a dare una spiegazione a tutto; in

fondo, il mito è la fase del pensiero umano che precede la logi-

ca fino a che l’età moderna del mondo antico, l’Ellenismo, non

affermerà il primato della ragione su fantasia e fede.

C.G. Jung sostiene che il mito è “l’espressione dell’inconscio

collettivo, capace di imporre all’inconscio individuale i suoi sim-

boli più profondi e più carichi di forza emotiva”.

La primogenitura del formaggio di latte ovino, nella storia ali-

mentare dell’uomo, ha moltiplicato i miti dei formaggi a partire

da quello di stampo agrario di Proserpina, la cui leggenda

approdò in Sicilia prima ancora che a Roma, tanto che il luogo

dell’avvenimento sarebbe Pergusa, presso Enna.

Mentre Proserpina raccoglieva fiori presso un lago, il dio

Plutone la incontrò, se ne invaghì e la sequestrò. La madre Cerere

si mise a cercare la figlia scomparsa fino a che la ritrovò all’in-

ferno. Nel frattempo però Proserpina si era innamorata del dio e

si rifiutò di lasciarlo. La madre allora provocò una forte siccità a

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scopo intimidatorio, facendo morire animali e disseccare messi

tanto che dovette intervenire Giove a riconsegnare Proserpina

alla madre. Plutone però, prima di lasciarla libera, le fece man-

giare dei semi di melograno che l’avrebbero tenuta legata a lui; a

questo punto Giove obbligò Proserpina a rimanere cinque mesi

negli inferi sotto terra e sette con la madre, che continuò a pro-

teggere agricoltura e allevamento. Così nacque l’agricoltura.

La nascita del formaggio, secondo la mitologia, sarebbe opera

del pastore Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, il quale

avrebbe insegnato agli uomini l’arte di produrlo. Vi è poi la pre-

ziosa testimonianza di Omero (Odissea IX libro), che descrive

con precisione e dettaglio il primo ovile al mondo di cui si abbia

notizia: vi è anche il caseificio annesso, quello sito nell’antro del

ciclope Polifemo, che si comporta con il latte secondo le proprie

esigenze alimentari. Dell’argomento latte e sua trasformazione ne

hanno trattato anche Aristotele ed Esiodo con precisi riferimenti

alle Sicilia, a testimonianza della notorietà raggiunta dal formag-

gio di questa regione.

Nella Genesi, l’agricoltura nasce come una maledizione, per

la quale i frutti della terra richiederanno fatica e sacrifici per tutto

il tempo della vita dell’uomo.

La cultura ha considerato l’attività agricola come l’invenzione

di un nuovo sistema a un certo stadio dell’emancipazione del-

l’uomo; la tesi economica ne fa la risposta allo stato di necessità

provocata da qualche fenomeno naturale, che ha obbligato l’uo-

mo ad abbandonare una situazione comoda e favorevole per

un’altra più onerosa e precaria.

La storia del formaggio in Europa assegna un ruolo fonda-

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AGRIGENTO: VALLE DEI TEMPLI – Nella valle che si estende a sud dei collisui quali si trova la città, sono disseminati – e visibili nel fotogramma – tuttii templi più famosi, da quello della Concordia a quello di Giove, diGiunone, al tempio di Esculapio, costituenti nell’insieme il parco archeolo-gico che a fine inverno annuncia la primavera con la fioritura precoce delmandorlo (fotografia della Società Generale Riprese Aeree).

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mentale alla Sicilia – si può parlare addirittura di primogenitura –

per due motivi:

- l’arrivo via mare delle pecore agli albori dell’agricoltura;

- il trasferimento del formaggio a tutto il mondo allora conosciuto.

L’infor mazione è suggestiva e può portare grossi benefici se

bene impiegata.

6. Il Neolitico in Medio Oriente

Il rapporto dell’uomo con gli animali può essere osservato

nell’antica Mesopotamia per un lungo periodo. Nella prima rivo-

luzione della storia dell’uomo, la domesticazione degli animali è

stato il fatto centrale, come testimoniano i ritrovamenti zooar-

cheologici, che hanno permesso di osservare giacimenti di resti

scheletrici negli insediamenti umani. In questo modo sono stati

identificati e descritti gli animali e sono stati scoperti i rapporti tra

uomo, animale e pianta, che fin dalla preistoria hanno dato vita

a reti e circuiti ecologici di straordinaria importanza. L’animale è

entrato con forza nella mentalità religiosa e laica dell’uomo, come

espressione di miti e simboli.

La zooarcheologia ha chiarito l’esistenza di un ricco assorti-

mento di animali in Mesopotamia fin dai tempi più antichi, distri-

buiti nelle diverse aree. La pianura alluvionale del Tigri e

dell’Eufrate, ricca di fango, era popolata di cinghiali, cervi, daini,

buoi selvatici, volpi, martore, uccelli e pesci. I terrazzi alluviona-

li ospitavano cinghiali e altre specie nel fondovalle. Nella steppa

e nel semideserto, che sono ad occidente e a settentrione della

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Mesopotamia, vivevano gazzelle, onagri, volpi, pantere, leoni e

probabilmente asini selvatici. Le aree più aride e spoglie erano

frequentate da leoni, iene, lepri e piccoli roditori. Sui rilievi e

sugli altopiani ricoperti da boschi a nord e ad est si trovavano

egagri e mufloni, onagri, lepri, cervi e caprioli.

Su queste popolazioni di animali l’uomo ha cominciato l’o-

pera di domesticamento a partire dal nono millennio avanti

Cristo: capre, pecore, buoi, maiali, cani e, più tardi, asini e caval-

li. Si tratta di animali predisposti per natura alla vita gregaria e alla

sottomissione gerarchica.

Mentre proseguiva la caccia, la comunità non trascurava l’al-

levamento degli animali addomesticati e in particolare quello di

pecore, capre, bovini e maiali (i bovini erano impiegati come ani-

mali da lavoro e i suini per la produzione di carne, i cani per la

caccia e la pastorizia).

I cambiamenti nel rapporto tra uomo e animale sono ricono-

scibili dalla frequenza dei resti ossei trovati nei villaggi.

Nell’età del Bronzo, le capre avevano corna diritte o corna

elicoidali, con una variabilità che presumibilmente è da collegare

con la selezione per la produzione di latte e lana. L’intervento

dell’uomo, nel tentativo di adattare gli ovi-caprini alle sue esi-

genze, ha provocato nel secondo millennio l’apparire di forme

stabili grandi e tozze, non molto diverse da quelle esistenti oggi

nella stessa area.

Nonostante il progresso e l’ampiezza degli orizzonti, rara-

mente la civiltà mesopotamica ha perseguito grandiosità monu-

mentali come quelle delle zone vicine. Tuttavia il prestigio e la

centralità culturale di questo territorio hanno aperto orizzonti

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ampi fino ai confini del mondo allora conosciuto, con una fun-

zione creativa di primo piano.

Infatti, sempre nel neolitico, la produzione primaria ha fatto

aumentare la popolazione; dalle aziende agricole familiari si è

passati all’aggregazione di più unità e quindi alla formazione dei

villaggi. Hanno incominciato a differenziarsi anche le culture,

mentre si estendevano in Siria, giungendo fino al Mediterraneo,

punto di partenza per nuovi lidi.

Quando agricoltura, allevamento e caccia non sono più

bastati, si è sviluppato anche l’artigianato, nel quale, accanto alla

selce, sono comparsi alabastro, calcite e marmo da trasformare in

vasi e statuette. Accanto a questi veniva utilizzata l’ossidiana per

usi pratici.

I prodotti dell’artigianato, insieme alle sementi e agli animali

allevati sono stati l’oggetto dei primi flussi commerciali verso le

coste del Mediterraneo e le isole. Si tratta inizialmente di iniziati-

ve individuali da parte di pionieri, sostituite successivamente da

imprese commerciali, da empori, e, infine, da città, che hanno

esercitato il controllo sulle principali vie di penetrazione verso il

Mediterraneo e l’Anatolia.

Dopo millenni di esperienze commerciali con i paesi limitro-

fi e con quelli mediterranei, intorno al 2000 a. C. Mediterraneo

orientale e Anatolia erano collegati da un complesso circuito

commerciale con le foreste tropicali del subcontinente indiano:

Golfo Persico e Mare Arabico costituivano un corridoio che aveva

prolungato verso est le vie d’acqua di Tigri ed Eufrate.

Il Mediterraneo, per la sua posizione tra Africa, Asia ed

Europa, per la facilità delle comunicazioni e dei rapporti umani,

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è senza dubbio il mare che ha assistito agli eventi più numerosi

e decisivi a partire dal neolitico, l’età più creativa dell’antichità.

Se provassimo ad immaginare diecimila anni fa la Mezzaluna,

delimitata dai rilievi e dal corso dell’Eufrate, riscontreremmo un

paesaggio, che è completamente diverso da quello attuale: este-

se paludi, che i fiumi allagavano in primavera nel fondovalle. Ai

bordi un’ampia steppa che, sui colli, si trasformava in savana di

querce e mandorli. Al di sopra i pascoli estesi, qua e là frequen-

tati da bovini, onagri, gazzelle, pecore e capre selvaggi, control-

lati da lupi, leoni e iene.

C’erano ancora i cacciatori isolati o in gruppi a contendere gli

animali selvatici ai predatori naturali. In quei tempi l’uomo stava

realizzando la più straordinaria delle rivoluzioni, quella della pro-

duzione animale: non aggredisce più il branco per annientare le

pecore, come avevano fatto gli antenati, lasciandosi poi andare a

consumi smodati prima di ritrovarsi nuovamente affamati; l’uomo

ha compreso che è più conveniente proteggere le prede dai pre-

datori concorrenti, sacrificando i soli animali necessari alla sussi-

stenza, alla quale erano destinati i capi più vecchi e quelli più

deboli per salvaguardare le capacità riproduttive. Pecore e capre,

docili, hanno subito la nuova protezione e si sono sottomesse in

un rapporto che verrà indicato con il termine allevamento.

Gli stessi cacciatori non si nutrono solo di carne, ma sanno

apprezzare anche i vegetali, che le colline della Mezzaluna pro-

ducono in abbondanza; sono per lo più cereali che i raccoglitori

hanno imparato ad abbrustolire per poi macinarli sfregando un

piccolo sasso rotondo su di uno più grande dalla forma concava:

un mulino in potenza. Per raccogliere i cereali, che si presentano

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in appezzamenti ampi, resi fitti dalla naturale distribuzione dei

semi, basta impugnare una mascella animale a mo’ di falcetto.

Per sopravvivere occorreva conservare latte e cereali. Il pro-

blema è stato risolto subito per il latte, che è stato trasform a t o

in formaggio e per i cereali, per i quali sono stati costruiti dei

pozzi rivestiti di argilla e ben coperti all’ interno delle capanne

nei villaggi.

Erano maturate le condizioni per fare diventare sedentario

l’uomo e per indurlo a pensare all’organizzazione, che andrà a

sostituire i villaggi con le città, definendone le relative gerarchie,

mentre i territori circostanti venivano inseriti nel nuovo ordine.

È nata così l’agricoltura mediterranea che ha tratto origine dal

Medio Oriente con l’introduzione in Sicilia di cinque specie ani-

mali (pecora, capra, cane, suino, bovino) e di sette specie vege-

tali (frumento, orzo, pisello, cece, lenticchia, veccia e lino).

Ma il fenomeno centrale della rivoluzione agricola è costitui-

to dall’addomesticamento degli animali, che ha sconvolto il pre-

cedente sistema agro-alimentare; la nascita della società agricola

ha comportato dei cambiamenti consistenti del comportamento

dell’uomo, obbligandolo a sostituire gli attrezzi che servivano per

procurarsi il cibo con i mezzi tecnici per produrlo, e a fermarsi

sul territorio, dove ha costruito i centri abitati e ha imparato a pla-

smare i vasi fittili e la ceramica.

Altri cambiamenti sono avvenuti in modo autonomo, come la

formazione e lo sviluppo delle città, la cui influenza sull’agricol-

tura è sempre stata notevole; sull’agricoltura e sulla pastorizia si

sono retti i primi sistemi alimentari; l’uomo ha incominciato a col-

tivare la terra e ad allevare il bestiame senza che, tra le due atti-

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vità, vi fosse un nesso: gli agricoltori non coltivano la terra per

alimentare gli animali che si nutrivano con il pascolo sulle terre

povere e nelle foreste; l’allevamento non si è integrato con l’a-

gricoltura, ma si è mosso per conto suo.

Con l’attività pastorale gli animali hanno trasformato i forag-

gi che l’uomo non avrebbe potuto utilizzare direttamente. È lo

stesso sistema agro-pastorale che sopravvive ancora in ampie

zone della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia, dove il pastore

custodisce il gregge, munge le pecore, trasforma il latte e vende

il formaggio eccedente i consumi familiari. La testimonianza di

quanto è avvenuto la si ritrova nella varietà dei formaggi ovi-

caprini a pasta dura esistenti in Sicilia e nel Mezzogiorno d’Italia

e nel largo uso di ingredienti (peperoncino, pepe, zafferano ecc.).

Se allargassimo il discorso, potremmo dire che il ricco, vario

e prestigioso patrimonio di prodotti tipici italiani è tale perché la

storia d’Europa ha assegnato, prima alla Sicilia e poi al Paese, il

compito di filtrare il sistema produzione-consumo del Medio

Oriente nella fase di passaggio all’Europa e perché ha dato vita

fin da allora a un operoso e straordinario laboratorio alimentare,

da cui sono nati gli alimenti e i cibi tipici e, più tardi, la gastro-

nomia. Non è poco!

Nelle economie agro-pastorali, la popolazione è autosuffi-

ciente; si coltivano i campi e si alleva il bestiame a fini alimenta-

ri e, analogamente, ci si comporta con gli altri manufatti utili

senza che ci siano scambi. Solo quando la produzione di beni

raggiunge quantità e varietà superiori al fabbisogno familiare ha

origine il baratto e quindi si crea la precondizione essenziale per

l’organizzazione del commercio.

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Quando agricoltura e allevamento sono arrivati in Sicilia, l’u-

manità nell’Europa del sud si nutriva prelevando gli alimenti dagli

ecosistemi naturali di animali selvaggi o di essenze vegetali sel-

vatiche; tutto questo è andato avanti per 3 milioni di anni circa

ed è proseguito fino a 10 mila anni fa.

Il fatto più importante tra l’avvento dell’uomo e la nascita del-

l’agricoltura è stato la scoperta del fuoco che ha permesso di pas-

sare dagli alimenti crudi a quelli cotti, obbligando, inoltre, l’uomo

a dotarsi di recipienti per la cottura attraverso l’acqua (la bollitu-

ra). Inoltre, la cottura ha permesso di assemblare ingredienti

diversi creando nuovi gusti.

Con la scoperta del fuoco gli alimenti si sono diversificati in

tre tipi: crudi, cotti e fermentati; i primi erano quelli naturali, i

secondi avevano un contenuto culturale che si completava nel

terzo, che comprende anche i derivati, come i formaggi.

È correndo dietro al suo nutrimento che l’uomo ha perfezio-

nato la sua abilità e ha costruito armi ed oggetti utili dando con-

sistenza alla cultura e alla società.

Nel periodo preagricolo, inoltre, l’uomo si è emancipato sotto

il profilo biologico, dotandosi di contenuti culturali e sociali; la

caccia ai grossi animali lo ha socializzato, come ha fatto la cuci-

na con i consumi. Il fuoco è diventato il centro della vita dei

gruppi di uomini.

Con l’età della pietra e con la bassa densità di popolazione,

si era aperto un periodo di abbondanza alimentare, non dissimi-

le da quella del paradiso terrestre (otto mila anni avanti Cristo gli

uomini sulla terra erano compresi tra gli 8 e i 15 milioni; intorno

all’anno zero erano già tra i 240 milioni e i 350 milioni).

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Quando è apparsa l’agricoltura, l’uomo ha selezionato le

essenze vegetali più utili e ha addomesticato gli animali più

disponibili, in primis pecore e capre, senza più attingere agli eco-

sistemi naturali, ma ha costruito gli ecosistemi artificiali.

L’agricoltura e l’allevamento, per concludere sull’argomento,

hanno costituito un momento di rottura sostanziale nell’emanci-

pazione dell’uomo. Se la raccolta e la caccia permettevano la

provvista diretta, l’agricoltura implicava un approvvigionamento

differito, avendo bisogno di impiegare sementi, lavoro, controllo

dello spazio, presenza stabile. L’uomo ha accettato di rischiare ciò

che possedeva supponendo di poterne ricavare di più; era una

scommessa perché i frutti dell’agricoltura rimanevano condizio-

nati dal clima e dagli animali selvatici.

Il passaggio dell’agricoltura ha fatto cambiare mentalità all’uo-

mo ponendogli dei nuovi problemi e contribuendo alla sua

emancipazione e ad assicurargli nuovi vantaggi.

7. I mezzi di trasporto

Dal Medio Oriente agricoltura ed allevamento erano destina-

ti a diffondersi rapidamente attraverso i mezzi di trasporto allora

disponibili.

È universalmente riconosciuto che i primi mezzi di trasporto

furono galleggianti, sospinti dalle gambe e dalle braccia dell’uo-

mo o dalle correnti. Sulla terra, invece, il primo veicolo fu la slit-

ta, formata allora da due pali incrociati e uniti tra loro, che è rima-

sta in uso fino alla scoperta della ruota, del modo di fissare l’as-

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se del carro e di fare girare solo le ruote per ridurre lo sforzo da

traino.

Le prime imbarcazioni furono ricavate da tronchi scavati nel

mezzo, che l’uomo ha realizzato dopo averne notato il galleggia-

mento ed essersi accorto dell’esistenza delle correnti marine.

Prima ancora l’uomo si era servito di un tronco per tenersi a galla

aggrappato ai rami e muovendo le gambe per farlo procedere

fino a che ha deciso di scavarne l’interno per renderlo più confor-

tevole.

Un ulteriore progresso è stato conquistato con la zattera, rica-

vata legando con fibre vegetali tronchi di medie dimensioni. Fu

con questi mezzi che l’uomo fin dalle origini ha privilegiato le vie

d’acqua per passare, con rozze imbarcazioni, da una sponda

all’altra dei fiumi o per navigare sui laghi trasportando frutti o pic-

coli animali e, infine, misurandosi con le correnti marine.

I primi traffici marittimi furono sollecitati dalla volontà di

commerciare tutto ciò che era trasportabile e scambiabile. I primi

a costruire navi furono gli egiziani, che attinsero il legname in

Libano, senza diventare mai grandi navigatori, ma limitandosi per

lo più a spostarsi lungo il corso del Nilo.

Alcune navi che due mila anni prima di Cristo si erano spo-

state nel Mediterraneo, sono raffigurate sulle pareti di un antico

tempio tebano; avevano un solo albero a delta, vele di forma

quadrata, due file di rematori che stavano in piedi e un timone.

Non è escluso che questi battelli fossero in uso ai fenici pur bat-

tendo bandiera egiziana. Questi ultimi furono abili navigatori,

commercianti e artigiani, tanto da essere considerati la prima

potenza marittima dell’antichità.

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I Greci, che privilegiavano i proprietari fondiari, considerava-

no i mercanti una classe inferiore.

Prima di Salamina (480 a.C.), i Fenici avevano toccato tutte le

sponde del Mediterraneo e avevano varcato le colonne d’Ercole

fondando colonie a Malta, in Sicilia, in Sardegna, in Spagna

(Cadice), in Francia (Marsiglia) e sulle coste africane.

8. Alcune conclusioni

La società agricola era destinata a diffondersi rapidamente

dopo avere raggiunto un livello organizzativo superiore. Le peco-

re e le capre, addomesticate in Medio Oriente, sono andate ben

presto oltre i confini originari, diffondendosi verso ovest e rag-

giungendo l’intera Europa, dove erano sconosciute, arrivando a

sud fino agli altipiani etiopici ad est fino all’India.

Non è agevole arrivare a conoscere tempi e modi dei pas-

saggi specie di quelli iniziali per quanto sia certo che sono avve-

nuti prevalentemente per mare, prima ancora che i Fenici domi-

nassero il Mediterraneo. È bene precisare che le condizioni

ambientali delle coste siciliane e di altre isole erano favorite per

allevare gli ovicaprini e non lo erano meno per i cereali, essen-

do aride e pietrose.

Pertanto non vi erano ostacoli al passaggio dell’allevamento

sulle coste siciliane per via d’acqua, ancora prima che i Fenici svi-

luppassero la cantieristica navale.

Il mare Mediterraneo, grazie alla sua posizione tra Africa, Asia

ed Europa, alla facilità delle comunicazioni e dei rapporti umani

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ha assistito allo svolgersi degli eventi storici dell’area che fu la

culla della civiltà occidentale. Tra questi, i più importanti furono

quelli più antichi e meno noti, quelli che hanno riguardato i primi

contatti dei popoli medio-orientali con le genti centro-mediterra-

nee, avvenuti probabilmente con zattere, che non avevano biso-

gno di spinte, ma solo di correnti favorevoli.

È questo il periodo nel quale sono arrivati gli ovini in Sicilia

e ha avuto inizio la produzione del Pecorino Siciliano, dei cerea-

li e dei legumi. Quindi la Sicilia, anche per la sua dimensione ter-

ritoriale può essere considerata il filtro del sistema produzione-

consumo medio-orientale nella fase di passaggio all’Europa.

Per avere un parere scientificamente corretto sugli avveni-

menti preistorici e protostorici ne abbiamo chiesto conferma al

Prof. P. Betta, il quale ha curato la stesura del Capito Secondo.

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CAPITOLO SECONDO

Paolo Betta*

L’origine geografica, culturale e storica della produzione dei formaggi pecorino

e caprino della Sicilia

1. L’uomo e la Terra: la “rivoluzione neolitica”

Può apparire un discorso ripetitivo di concetti ormai logorati

dalla consuetudine degli studi condotti nel tempo e, quindi, rite-

nuti ormai entrati nei contenuti del bagaglio culturale di ciascu-

no, ma è certo che l’agire logico dell’uomo – che si configura

sempre in un agire culturale – non è stato casuale ed improvvi-

so, ma si è maturato, consolidato ed evoluto in un incerto lasso

di tempo, nel corso del quale si è realizzato, e si realizza conti-

nuamente, il progresso della cultura corrispondente al momento

più favorevole per l’emergere di un comportamento sociale pro-

gredito nei confronti d’un recente passato, che si riflette sempre

sullo spazio vissuto. Momento esplosivo, tuttavia, nel corso del

quale l’uomo giunse spontaneamente ad esprimere il concetto

nuovo di essere, maturato dallacoscienza di sé, e scaturito come

opposizione esperienziale del non essere.

45

* Titolare della cattedra di Storia della geografia e delle esplorazioni nell’Universitàdegli Studi di Parma.

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Cioè di tutto ciò che si proponeva e si proponeesterno all’io

(distinguendosi da esso per natura, forma, composizione ed azio-

ne), originando, in tal modo, un principio di cultura,in quanto il

soggetto (io) divenne l’attivo agente ed interprete soggettivo di

una particolare capacità dello spirito, espressiva del libero arbi -

trio, il quale, in sintesi, può essere identificato in una manifesta-

zione comportamentale dell’uomo da intendersi come autodeter-

minazione, prerogativa mai evidenziata nelle precedenti culture.

Inizialmente la coscienza diséera priva ancora di radici, poi-

ché l’origine della cultura è sempre qualcosa di talmente distinto

e diverso da ciò che costituisce il mondo di natura e le leggi che

lo governano, da proporsi come evento causativo razionaleirre-

petibile nella storia dell’evoluzione umana, trovando la propria

determinazione dialettica d’avvio del fenomeno evolutivo cultu-

rale, relativamente ad un particolare e ben definito momento d’a-

pertura, riguardante le relazioni vitali dell’uomo sulla Terra, con

la Terra stessa. Infatti l’io, autodeterminatosi, interagì, fin dalle fasi

iniziali del suo complesso manifestarsi comportamentale, con le

forze evolutive biologiche, così da costituire un intreccio di cor-

relazioni multidirezionate e complesse, le quali tesero a diramar-

si e ad interessare spazi non sempre ben definiti, inducendo al

sorgere di società organizzate ed in fase di progresso. Furono per

l’appunto questi spazi che, proprio in quanto caratterizzati da non

costanti situazioni climatiche e/o pedologiche, cioè derivanti da

possibilità ambientalidiversificate sullo spazio e nel tempo e

verificatesi nell’interagire di complesse situazioni geografiche e

fisiche, indotte dalla concomitanza di cause e di fenomeni d’ori-

gine naturale, diedero luogo al costituirsi di differenti habitat

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strutturati entro i cui orizzonti e nelle cui estensioni l’uomo ha

saputo diversamente inserirsi, avendo modo di esprimere i carat-

teri della propria personalità individuale e collettiva o sociale via

via maturata sotto l’egida dell’ambiente vissuto, quantunque

ancora in fieri, con azioni e comportamenti di disturbo sul natu-

rale evolversi delle cose e dei fatti del mondo. In questo modo

l’uomo fu in grado di evidenziare le sue particolari doti dell’in-

telligenza e della comprensione, nascoste anche a se stesso per

tutta la durata dei lunghi millenni evolutivi del Paleolitico: era

ancora d’oscurantismo per la coscienza umana in formazione.

Infatti, la coscienza umana permaneva comunque nel domi-

nio della forze che interferirono sul disordine dell’origine, ossia

del caos primordiale, denunciando in tutta la loro pienezza i

caratteri d’una natura fanciulla ancora, in faseemergente, la

quale, perciò, risultava pressoché totalmente dominata dall’azio-

ne delle sole forze creative che erano guida all’evoluzione della

Terra nelle sue componenti fisiche e biologiche, impedendole di

essere arbitra di sé, così da inserirla nel gioco infinito della

mescolanza e della separazione e differenziazione delle cose che

erano e che sono. Entro queste strutture compositive d’origine la

mente umana non era tuttavia ancora riuscita a penetrare ed

orientarsi, in modo da porre un ordine, seguendo una logica di

pensiero, poiché mancava sia delle capacità di giudizio, sia del

libero arbitrio.

Poco si può aff e rm a re con certezza, mancando di una sicura

documentazione al riguardo, su come nacquero e si manifestaro-

no le prime espressioni culturali dell’agire sociale ed economico

umano che consentirono il superamento della semplice ed ance-

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strale cultura paleolitica e della successiva cultura epipaleolitica o

mesolitica, anch’essa fondamentalmente impostata sulla caccia,

sulla pesca e sulla semplice raccolta di frutti, erbe e radici a cre-

scita spontanea; per quanto non mancassero manifestazioni evo-

lutive, come l’addomesticamento del cane, ad esempio. Tu t t e

e s p ressioni dell’ insorg e re di una fase iniziale dell’attivismo parae-

conomico umano, certamente manifestativo della semplicità del

v i v e re allora imperante sugli spazi indistinti e, quindi, a struttura

e organizzazione naturale, ma abitati dalla prima umanità. Spazi

nei quali, tuttavia già erano presenti gli iniziali segni di perseve-

ranti sforzi evolutivi dell’uomo, teso a superare il carattere dell ’a-

nimalità ancora dominante. Di come, cioè, l’uomo lentamente

maturò, in sé, spontaneamente, quelle forze e quelle capacità,

latenti della sua personalità in formazione, che lo portarono ad

a c q u i s i re il senso d’un conoscere mai prima di allora rivelato né

immaginato. Anche perché lo spazio terre s t re si prospettava es-

senzialmente, in quei lontanissimi tempi della preistoria, come

spazio assolutamente anonimo, sebbene si rivelasse alla perc e-

zione come composito, anisotropo e discontinuo, ma esistente in

sé, antecedentemente e al di fuori dell’uomo, ed obbediente ad

una seriazione di forze scaturite dal mondo-ambiente. Forze, que-

st’ultime, che formavano un insieme ordinativo di espressioni e di

grandezze fisiche e biologiche soggette ad interscambi continui1.

L’uscire e il destarsi della mente dell’uomo dalle nebbie

fumose del sonno della prima infanzia ed il suo aprirsi all’analisi

48

1 P. BETTA, Le basi geografiche di formazione della civiltà europea, Parma, Ed. Zara,1986, pp. 93-98.

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intellettiva e razionale di un mondo-ambiente che, quasi d’im-

provviso, si propose alla mente come non io o alterità, apporta-

trice di confronto conoscitivo per l’io soggettivoil quale contene-

va in sé ed esprimeva la personalità maturata d’ogni singolo

uomo, diede inizio al grandioso periodo culturale – successiva-

mente denominato Epipaleoliticoo Neolitico – nel corso del quale

l’uomo, sempre più conscio di sé, si propose con la forza di sog-

getto agentee seppe organizzare le esperienze del passato e,

sotto la loro spinta, riuscì a liberarsi, seppure gradualmente, dalle

pastoie dell’ignoranza a cui si collegava l’insorgere delle paure al

manifestarsi degli eventi e dei fenomeni naturali caratterizzanti il

mondo-ambiente. Eventi e fenomeni di cui la mente umana non

sapeva offrire spiegazioni razionali sulle cause del loro manife-

starsi. Fu così che l’uomo giunse gradualmente alla formulazione

di primitivi modelli spaziali, rappresentativi di alcune risposte atti-

ve e responsabili indirizzate ad un’organizzazione pensata del

mondo-ambiente2. Si ebbero, allora, le prime alterazioni e tra-

sformazioni degli spazi naturali vissuti in territori agiti dall’uomo,

divenuto operatore, e via via sottratti alle forze d’azione geofisi-

che e biologiche, d’origine interna ed esterna alla Terra.

Il vivere dell’uomo non fu più, da allora, l’espressione della

supina sottomissione alle forze del mondo-ambiente (sebbene

l’origine e la fenomenologia degli eventi rimanesse sostanzial-

mente inspiegabile alla mente umana), ma si indirizzò alla ricer-

49

2 “...la reazione di un organismo ad un dato stimolo dipende assai spesso dalla sto-ria di questo organismo…” [esperienza acquisita] (B. RUSSELL, Analisi della mente,Firenze, Giunti-Barbèra, 1967, p. 66).

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ca dei possibili legami causativi (se esistenti) che potessero esse-

re ascritti all’analisi condotta dalla nascente logica dettata dall’e-

mergere e dal consolidarsi di un pensiero etno-antropologico e

naturalista, in grado di pervenire a spiegazioni razionali dei feno-

meni percepiti nei continui rapporti di vita con il mondo-ambien-

te, le cui diverse componenti formative si proponevano, alla per-

cezione sensoriale, nella loro concretezza. Era la diretta conse-

guenza, in qualche modo giustificativa, secondo il rapporto di

causa/effetto, delle risposte comportamentali dell’uomo al mani-

festarsi dei fenomeni naturali, percepiti in forma di eventi.

Le cause di codesta evoluzione comportamentale dell’uomo,

decisamente rivelatosi più sensibile alla vita, furono individuate,

in un primo tempo, seppure in modo ancora fumoso, nell’insor-

gere, entro la coscienza umana, di un sentimento e di una ideo-

logia di partecipazione diretta al vivere, manifestata, nel concre-

to, mediante un simbolismo espressivo del valore – riconosciuto

fondamentale già nel Paleolitico superiore e nel successivo

Epipaleolitico o Mesolitico – della “fecondità”, da cui derivava il

concetto stesso di nascita e di vita. Simbolismo che venne identi-

ficato nella figura della donna, la quale venne poi divinizzata e

proiettata, nel sorgente mito, come Madre universale (fig. 1),

essendo riconosciuta e definita “Madre Terra”. Espressione ripre-

sa spontaneamente anche nell’antica simbologia religiosa andino-

peruviana della Pachamama3.

Fu, quindi, la cultura acquisita dall’uomo nell’esperienze della

50

3 Al riguardo si rimanda a: P. BETTA, La scoperta e la conquista del Perù, Pàtron,Bologna, 1995, p. 115.

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51

Figura 2 - Statuetta femminile simboleggiante la «fecondità».

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quotidianità del vivere lo spazio, che portò alla formulazione con-

cettuale e all ’apprendimento soggettivo della coesistenza e coe-

renza di possibili legami di stretta relazione re c i p roca fra l’uomo

e la Terra, quali membri di un tutto inscindibile, sebbene distin-

guibile nelle sue parti costitutive, ed assoggettato a continui muta-

menti comportamentali ed evolutivi, sia d’ordine attivo che passi-

vo, positivi e/o negativi, sempre in atto, sullo spazio e nel tempo.

Il passaggio dalla cultura mesolitica o epipaleolitica alla suc-

cessiva cultura neolitica rappresentò un momento cruciale per l’u-

manità in costante fase d’evoluzione culturale, principalmente

perché identificò e distinse il recente valore e il significato cono-

scitivo e psicologico acquisito del rapporto uomo/Terra, rivolu-

zionando il proprio comportamento verso lo spazio, tanto che

l’uomo mutò il suo comportamento da parassita della Terra a

organizzatore del suolo4. In tal modo lo spazio naturale venne

trasformato in territorio ed inserito in una dimensione temporale

nuova: quella della storia.

Fu nel Neolitico, infatti, che l’uomo si affacciò alla storia,

recepita come attivismo vitale; ossiacome espressione vivace e

progressista dell’intelletto e della coscienza umana; e intesa in

forma di vita nuova, volta alla ricerca d’una motivazione razio-

nale dell’agire sulla Terra, in modo da giungere a giustificare i

diversi perché della vita, relazionando le possibili risposte alla

ricerca di come la vita umana dovesse o potesse organizzarsi in

riferimento al mondo-ambiente circostante, nella necessità d’im-

postare continue relazioni d’interdipendenza attive e vivaci.

52

4 E. HYAMS, Soil and Civilization, Londra, Thames & Hudson, 1952.

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2. Il dif fondersi del Neolitico nell’area mediterranea

Originatosi nella regione dell’Asia anteriore comprendente la

Mesopotamia5, la Siria, la Giordania e la Palestina, tutte terre nelle

quali si sono ritrovati i primi sicuri indizi di facies culturaliagri-

cole, impostate sulle coltivazioni e sull’addomesticazione e sulla

pratica dell’allevamento di alcuni animali (R. HEINE-GELDERN

1951), il processo evolutivo culturale che portò allarivoluzione

agricola del Neolitico, iniziò, all’incirca, fra il XII e il X millennio

a.C. e favorì l’accendersi di sempre nuovi rapporti d’interdipen-

denza fra l’uomo e l’ambiente naturale, definiti dal manifestarsi e

consolidarsi quasi improvviso di particolari “concetti sociali” mai

prima d’allora evidenziati nella quotidianità della vita.

Secondo alcuni autori6 il nascere e l’affermarsi del fenomeno

agricolo trova la sua causa nell’instaurarsi d’un particolare stadio

climatico innescato dal riscaldamento graduale che interessò tutto

il Pianeta e segnò la fine del Pleistocene e l’inizio del successivo

Olocene7. Il fenomeno ebbe la sua più evidente manifestazione

53

5 La regione mesopotamica è percorsa dai fiumi Tigri ed Eufrate, i due grandi fiumiche assistettero al nascere, al progredire ed al consolidarsi delle prime societàumane strutturate.6 F. Rittatore-Vonwiller... [et al.], 1969; D.R. HUGHES- D.R.BROTHWILL, 1970; C.T. SMITH,1974; S. PIGGOTT, 1971, V. GORDON-CHILDE, 1979.7 L’origine climatica del fenomeno non trova concorde M. PINNA (1988) il qualesostiene quanto segue: “[...] Oggi possiamo dire tuttavia che questa tesi dell’inaridi-mento del clima come causa fondamentale dell’origine dell’attività agricola è assur-da, per varie ragioni. Anzitutto quell’invenzione avvenne quando l’Era glaciale si eraappena conclusa (o forse non lo era ancora del tutto), onde le terre del VicinoOriente avevano ancora unclima più fresco e più umido di oggi, se pur meno chealla fine di massima espansione dei ghiacci. Infatti in tutta la documentazione in

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nello scioglimento e nel definitivo ritiro, verso più alte latitudini,

della fronte dei grandi ghiacciai settentrionali baltici, che si erano

formati ed avevano ricoperto gran parte dell’Europa e dell’Asia

durante la fase glaciale del Würm IV. Questo insieme di fenome-

ni fisico-climatici concatenati fu la causa che provocò, fra l’altro,

il costante inaridimento delle regioni dell’Asia anteriore prima

ricordate e l’evolversi ed il mutarsi in pre-desertoe in deserto,

intercalato da aree verdeggianti, le oasi, le quali divennero, nel

tempo, sempre più rade e ristrette, in analogia con il fenomeno

che interessò le regioni del Nord-Africa, poste immediatamente a

sud del Mediterraneo (regioni pre-sahariane e sahariane). A ciò

fece seguito la totale alterazione delle componenti biologiche,

faunistiche e floristiche del primitivo habitat e l’originarsi di

nuove formazioni costitutive di ecosistemi endemici, ridotti ri-

spetto alle precedenti, sia per estensione che per composizione

delle specie vegetali ed animali partecipanti, dando luogo alla

costituzione di ecosistemi di oasi. L’immediata conseguenza, a

livello umano, fu l’insorgere ed il manifestarsi di uno squilibrio,

sempre più accentuato, fra le necessità alimentari delle popola-

zioni, allora in fase di crescita demografica, e l’entità delle risor-

se, affermando il valore del rapporto Risorse/Popolazione, la

cui entità tendeva sempre più a divenire <1. Ciò spinse la popo-

lazione umana ad impostare strategie diverse e innovative, al fine

di soddisfare agli immediati ed impellenti bisogni alimentari.

54

nostro possesso riguardante le condizioni climatiche prevalenti nel periodo di pas-saggio tra Pleistocene e Olocene non ci sono indizi d’un inaridimento del clima delVicino Oriente [...]”.

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Il luogo d’origine del fenomeno agricolo, verificatosi nel

Neolitico, coincise con quelle aree naturali del Vicino Oriente

nelle quali è stata accertata l’esistenza di alcuni capostipiti dei

principali cereali di larga coltura (frumento, orzo, segale8) e dove

la documentazione archeologica ha evidenziato anche la presen-

za delle forme selvatiche di ovini e di caprini, successivamente

addomesticati e quindi allevati e selezionati dall’uomo in età coin-

cidente alla coltivazione dei vegetali o in tempi immediatamente

successivi.

Esula dal discorso in atto indagare ulteriormente sul modo di

manifestazione del fenomeno che portò alla rivoluzione neoliti-

ca 9; ciò che qui interessa maggiormente è, infatti, esaminare le

modalità secondo le quali la cultura neolitica della coltivazione e

dell’allevamento e addomesticamento degli animali, uscendo dal-

le regioni geografiche che ne videro l’iniziale affermarsi ed il suc-

cessivo progredire, si espanse nell’area mediterranea, interessan-

do fortemente le isole e in special modo la Sicilia, la cui posi-

zione geografica la proponeva come “regione centrale del Medi-

terraneo”. L’isola, infatti, è situata a circa metà distanza fra la costa

orientale del Mediterraneo (Siria, antica Fenicia, Libano) e la vasta

penisola sud-occidentale iberica che chiude il mare alle correnti

dell’Oceano Atlantico, lasciando solamente aperto lo stretto cana-

55

8 A. DE CANDOLLE, Origine des plantes cultivée, Paris, Librerie Germer Balliere, 1883;P. BETTA, Ecologia, classificazione, miglioramento genetico, costituzione morfologi -ca e fisiologia dell’accrescimento e sviluppo di: Triticum vulgare, Oriza sativa, Zeamais, Ordeum vulgare, Secale cereale e Avena sativa, Milano, Vita e Pensiero, 1964.9 Riguardo al modo d’attuazione dell’agricoltura si rimanda a F. GIUSTI, La nascitadell’agricoltura, Roma, Donzelli Editore, 1996; G. FORNI, Gli albori dell’agricoltura,Roma, Reda, 1990.

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le marittimo naturale di separazione fra Europa, a nord, e Africa,

a sud, (Stretto di Gibilterra).

Certamente, dopo il Cane10, i primi animali ad essere addo-

mesticati ed allevati dall’uomo furono gli Ovini ed i Caprini,

anche perché animali di indole più mansueta di altri e fortemen-

te inclini a instaurare facili rapporti di dipendenza con l’uomo.

Il fenomeno agricolo del Neolitico si espanse, quasi sospin-

to da forze naturali, dalle regioni d’origine dell’ Asia anteriore ,

all ’Africa ed all’Europa, seguendo alcune particolari vie e soste-

nuto da diverse tecniche. Le direzioni delle vie seguite e la natu-

ra delle tecniche adottate sono state dedotte dall’esame analiti-

co delle testimonianze che l’archeologia ha saputo trarre dagli

oggetti materiali sopravvissuti in gran numero nelle aree inte-

ressate da tale fenomeno, ordinandoli in base all ’età pre s u n t a ,

calcolata con metodo scientifico (radio carboni o C1 4) . È stato

così possibile giungere ad individuare e definire, per quanto

r i g u a rda la diffusione in Europa della cultura neolitica, tre prin-

cipali direttrici d’espansione. La prima di queste, certamente la

m a g g i o re, risulta aver raggiunto la regione del medio Danubio

p rovenendo dall’Anatolia, dopo aver interessato il mare Egeo e

le sue isole e risalito il corridoio naturale Morava-Vadar (circ a

8.000-7.000 a.C.). È infatti da questa via che prese origine, in

tempi successivi (circa 5.000 anni a.C.) la cultura danubiana

(5.000-4.000 circa a.C.) che penetrò e si espanse interessando in

tempi successivi l ’Europa centro-settentrionale e occidentale.

A l t re due vie di penetrazione in Europa del Neolitico d’origine

56

10 Il Cane fu addomesticato già nel Paleolitico superiore.

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medio-orientale hanno invece interessato il Mediterraneo. Una

di queste induce a ritenere che la diffusione dell’agricoltura sia

avvenuta prendendo origine dalla regione orientale della Siria

settentrionale, e, dopo aver raggiunto l’Anatolia meridionale,

abbia seguito la via di mare congiungente le grandi isole del

Mediterraneo occidentale: Cipro, Creta e la Sicilia, per appro d a-

re nella regione calabro-pugliese della penisola Italiana. Quanto

alla seconda via mediterranea di diffusione neolitica, questa,

dopo aver raggiunto ed essersi estesa ad intere s s a re tutta la

valle del Nilo (7.000-6.000 a.C.), avrebbe seguito l ’ itinerario afri-

cano, perc o r rendo le regioni dell’ Africa settentrionale in piena

fase di desertificazione, ma ancora parzialmente verdeggianti, e,

dopo aver attraversato lo stretto canale marino che separa la

costa dell ’Africa dell’attuale Marocco, dall’Europa sud-occiden-

tale (G i b i l t e r r a), sarebbe penetrata nella regione iberica, inte-

ressandola al fenomeno, per poi superare i Pirenei con un ramo

occidentale diretto alle Isole britanniche dove formò la c u l t u r a

di Windmill Hill (4.000-3000 circa a.C.), mentre un secondo

ramo meridionale si diresse alla regione alpina e a quella ap-

penninica dando origine alla cultura di Almeria ( 5 . 0 0 0 - 4 . 0 0 0

c i rca a.C.).

L’agricoltura, così giunta e diffusa in Europa, differenziava

negli aspetti tecnologici e nell’espressione produttiva. Infatti,

mentre il Neolitico orientale aveva una impostazione basata pre-

valentemente sulla pratica delle coltivazioni (cerealicoltura domi-

nante), con scarsa attenzione all’allevamento animale, il quale,

tuttavia, era specificamente rivolto ai bovini, nella corrente neoli-

tica meridionale (mediterranea) prevaleva la pastorizia, rivolta

57

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all’allevamento di ovini e di caprini 11. Accettando i valori propo-

sti da un recente studio (A. AMMERMANN - C.L. CAVALLI SFORZA, 1988)

la diffusione dell’agricoltura nelle diverse regioni dell’Europa

avvenne con una velocità media calcolata in 25 km per genera-

zione e con una duplice modalità: quella demica e quella cultu -

rale 12.

La pratica dell’addomesticazione e dell’allevamento, per

quanto non tutti gli autori concordino, si sviluppò in epoca pres-

soché contemporanea a quella della coltivazione, se non addirit-

tura la precedette (F. GIUSTI, p. 40). Comunque, alcuni ritrova-

menti in siti archeologici hanno avvalorata l’ipotesi che l’addo-

mesticamento e il successivo allevamento di alcuni animali, prin-

cipalmente ovini e caprini, e la coltivazione dei principali cereali

siano state attività economico-produttive certamente contempora-

nee o quasi, anche per il fatto che la pratica agricola, unitamen-

te all’allevamento animale, garantivano, alle prime comunità neo-

litiche, una buona riserva di carne e di granaglie da utilizzare nei

periodi di scarsa raccolta e di scarsa cacciagione, evitando così la

carestia e la fame. Inoltre, l’allevamento consentiva l’utilizzo di

sottoprodotti di grande impiego, come pelli, lana e, posterior-

mente, del latte e dei suoi derivati: formaggi e latticello.

58

11 Secondo S. PIGGOTT (p. 44), l’allevamento ovino e caprino rappresentò il primopasso di superamento di una economia primitiva impostata sulla caccia e sulla rac-colta.12 L.C. CAVALLI SFORZA, Geni, popoli e lingue, Milano, Adelphi, 1996, p,157.

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3. Il Neolitico in Sicilia

Non è dato di conoscere con certezza quale sia stata la via

di propagazione seguita dalla cultura neolitica medio-orientale

per raggiungere la Sicilia e diffondersi nell’ isola e consolidarsi.

Tuttavia, in considerazione della particolare natura geografica

della Sicilia, definita da un chiaro e deciso carattere d’isolamen-

to, che, specialmente all ’ inizio dell ’epoca neolitica, poneva l’ iso-

la ai margini estremi occidentale dell’orizzonte mediterraneo, è

possibile avanzare l’ ipotesi del formarsi d’una o più comunità

neolitiche di provenienza dalla Siria settentrionale e dalla vicina

regione della Cilicia, nell’Anatolia meridionale, situata a sud dei

monti Tauri, a cui attribuire la diffusione, via mare, del Neolitico

e la formazione di insediamenti non autoctoni. Ciò è testimonia-

to anche dai caratteri e dalla distribuzione di reperti d’antichi

insediamenti di grotta o di tracce di insediamenti in villaggi di

capanne, rinvenuti in prevalenza lungo la costa di sud-est della

Sicilia. Questi reperti costituire b b e ro, infatti, i relitti dei più anti-

chi siti archeologici indicativi della presenza di una f a c i e sc u l t u-

r a l e n e o l i t i c a, propria dell’ isola, ma ancora delineata dai caratte-

ri che ne testimoniano l’evidente primordiale origine asiatica.

Le genti neolitiche medio-orientali, indotte sia dall ’ insorg e re

i n t e rno d’una crescente necessità di soddisfare agli aumentati

bisogni alimentari, che non potevano più essere adeguatamente

appagati a causa del fatto che le risorse alimentari naturali off e r-

te dalle regioni d’origine erano ormai divenute insuff i c i e n t i ,

quindi non più atte a bilanciare le richieste della popolazione,

sia a motivo della continua crescita demografica, sia, infine, in

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conseguenza dei mutamenti climatici sopravvenuti, ai quali era

dovuto l’ inaridimento pro g ressivo di vaste aree prima a fertile

pascolo naturale, entrarono in una intensa fase migratoria, fina-

lizzata al conseguimento di un adeguato bilancio di corre s p o n-

sione fra i bisogni e la limitatezza dei beni atti alla sopravviven-

z a1 3. Ciò le sospinse a muoversi, in gruppi familiari anche nume-

rosi, alla ricerca di nuovi spazi abitabili, dai caratteri climatici più

f a v o revoli all’espletamento della pastorizia, perché più ricchi di

acque e con maggiori risorse naturali che li proponevano più

adatti all’allevamento di ovini e di caprini, in quanto dotati di fre-

schi pascoli spontanei, più numerosi, vasti e fecondi di quelli

o rmai residuali dei luoghi d’origine, abbandonati perché in fase

di pro g ressiva desertificazione. I gruppi di neolitici migranti

a v re b b e ro raggiunto, navigando su rozze zattere sulle quali era

trasportato anche il loro bestiame ovino e caprino, le isole del

Mediterraneo orientale, Cipro, Creta e le Eolie, formanti, nel loro

insieme, come un ponte naturale di contatto e di comunicazio-

ne fra l’Oriente asiatico e l’Occidente mediterraneo euro p e o .

Quindi, dopo aver raggiunto il Peloponneso, trascinati dalle cor-

renti litoranee del Mediterraneo, che, scorrendo con movimento

antiorario, lambiscono le coste settentrionali dell’ Africa, della

Siria e dell’Anatolia asiatica, e sospinti dalla brezze e dai venti di

sud-est, con pecore e capre al seguito appro d a rono sulle coste

ioniche della Sicilia, che si proponevano disabitate, ma ospitali e

si consolidarono, maturando nel tempo espressioni culturali tipi-

60

1 3 F.G. PE R R O U X, “L ’Univers économique et sociale, in Encyclopedie française,tome IX.

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che del sistema di vita nomadica o semisedentaria proprie dei

p a s t o r i - a l l e v a t o r i .

Questa via migratoria, secondo alcuni autori (sebbene il feno-

meno non sia ancora del tutto confermato nel suo manifestarsi),

non è considerata l’unica. Infatti, alcuni nuclei neolitici, prove-

nendo dalla valle del Nilo, dove ebbero modo di affermarsi e di

consolidarsi, avrebbe percorso, via terra, la regione costiera sub-

sahariana, nella quale, a causa del mutamento climatico in atto,

si affermava sempre più il deserto, anche a seguito del costante

e progressivo prosciugamento delle uadi, gli antichi fiumi che, in

tempi precedenti solcavano le pianure verdeggianti, ma ora de-

sertiche, del Sahara, e, dopo aver attraversato il non ampio brac-

cio di mare libico prospiciente la Sicilia, sospinti anche dalle con-

trocorrenti che si originano entro l’area del golfo della Sirte, le

quali si spostano anch’esse con moto antiorario, raggiunsero le

isole di Malta e di Gozo, da dove avrebbero continuata la navi-

gazione fina ad approdare sulle coste sud-orientali della Sicilia.

Qui giunti, i gruppi neolitici in migrazione colonizzarono con la

loro presenza e i loro animali (pecore e capre) le aree apparen-

temente più favorevoli all’insediamento stabile, formando gruppi

familiari di pastori-allevatori.

Indagini archeologiche condotte nella regione nord-occiden-

tale della Sicilia hanno portato alla luce relitti di siti neolitici, di

età certamente più recente dei siti sud-orientali, la cui formazio-

ne, anche sulla base dei caratteri culturali distintivi da essi evi-

denziati, è stato possibile attribuire ad una cultura neolitica pasto-

rale, qui certamente presente ed affermata. Si tratta certamente di

siti costruiti durante una fase di colonizzazione indiretta subita

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dalla regione di nord-ovest. Infatti, questi relitti di siti abitati, per

quanto sempre di decisa antica origine orientale, si propongono

con evidenti caratteri che ne attestano la loro successiva deriva-

zione continentale europea, databile ad un’età posteriore di circa

un millennio rispetto agli insediamenti dell’area orientale della

Sicilia, precedentemente citati.

I coloni neolitici che abitarono la regione nord-occidentale

della Sicilia sarebbero giunti nell’isola sospinti dal manifestarsi di

un fenomeno di riflusso migratorio, derivando dal distacco, avve-

nuto verso il III millennio a.C., di alcuni gruppi di popolazioni

neolitiche iberiche che avevano saputo maturare, in modo spon-

taneo ed indipendente, la cultura di Almeria – successivamente

estesasi, come accennato, anche alla regione europea delle Alpi

e dell’Appennino – prevalentemente pastorale. Questa cultura si

era spontaneamente originata, seguendo una propria evoluzione

interna, attuatasi, circa 4000-3000 anni a.C., nell’Iberia orientale,

e costituiva un ramo secondario dell’originario flusso migratorio

di genti di stirpe mediterranea provenienti dal Vicino Oriente14,

pervenuto in Europa dopo aver percorso l’intera costa settentrio-

nale dell’Africa e aver superato il ristretto istmo di mare che si

frappone fra l’Atlantico ed il Mediterraneo (Stretto di Gibilterra).

Giunti sul continente, dopo essersi affermati e stabilizzati lungo

la sezione costiera orientale della Penisola iberica, per cause

ancora oscure, forse dipendenti da una forte crescita demografi-

ca, uno o più gruppi di questi neolitici, divenuti Iberi, si distaccò

dalla comunità che frattanto si era formata e, abbandonati i terri-

62

14 C. T. SMITH, Geografia storica d’Europa, Bari, Laterza, 1974, p. 28.

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tori di nuovo insediamento, avrebbe intrapresa una seconda fase

migratoria, sempre condotta per via di mare, ma, questa volta,

con direzione a levante, cioè a ritroso, e, dopo aver navigato for-

tunosamente, in balia delle onde, dei venti e delle tempeste, il

bacino occidentale del Mediterraneo, e aver raggiunto, in un

primo tempo, la Sardegna15, che servì come ponte “[...] a quelle

popolazioni che dall’Oriente si erano stabilite nella penisola ibe-

rica [...]”16, si stabilirono nell’isola, affermandosi con insediamenti

a villaggio, scegliendo con preferenza le regioni interne, perché

qui trovarono vallate più fresche e ricche di pascoli e riparate dai

venti salsi del mare. E, mentre alcuni gruppi familiari avrebbero

dato origine a formazioni autoctone di pastori-allevatori, altri

gruppi, proseguendo la migrazione, sempre via mare, approda-

rono, infine, sulle coste nord-occidentali della Sicilia, occupando-

le e diffondendosi lungo le regioni costiere, fertili ed accoglienti,

fino a raggiungere la piana dell’attuale Conca d’Oro. Sono questi

i Sikani,di cui parla TUCIDIDE (St.,VI, 2), e li dice giunti dalla

regione del fiume Sikanòs dell’Iberia, e a cui fa cenno anche

ERODOTO (St.,VII, 170) (fig. 3).

Tutte le genti portatrici della cultura neolitica in Sicilia sono

state riconosciute in popolazioni nomadi o seminomadi, ma mai

sedentarie, perché formate da pastori-allevatori, appartenenti ad

una antica stirpe di etnia pre-indoeuropea, detta mediteranea17,

giunte dalla Siria, come prima regione di dispersione. Esse si dif-

63

15 F. PULLÈ, Italia genti e favelle, vol. I, Torino, F.lli Bocca, 192716 A. M. RADMILLI , Guida alla preistoria italiana,Firenze, Sansoni, 1978, p. XXIII.1 7 V. Gordon Childe, P reistoria della società euro p e a ,F i renze, Sansoni, 1962, p. 62; P.ME S S E R I, Paleontologia umana, F i renze, Ed Scuola Universitaria, 1978, pp. 256-257.

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fusero successivamente e s’insediarono, già in età tardo paleoliti-

ca e mesolitica, anche in Africa, stabilendosi lungo la fertile valle

del Nilo e nelle ridenti e vicine oasi predesertiche. Già da lungo

tempo in possesso di alcune tecniche agricole, pur non trascu-

rando di rivolgersi alla coltivazione di cereali, essi tendevano in

particolar modo all’attività della pratica pastorale, cioè alla prati-

ca dell’addomesticazione e dell’allevamento di ovini e di caprini.

Si deve, infatti, a queste genti, appartenenti all’ancestrale ceppo

neolitico proveniente, in origine, dalle regioni dei monti Zagros e

dell’Armenia, che erano pure le regioni d’origine degli ovini e dei

caprini, se la pecora e la capra, già in piena fase evolutiva indi-

rizzata alla costituzione delle razze ovine e caprine attuali, giun-

sero e si affermarono in Sicilia e nelle altre isole del Mediterraneo,

acclimandosi, tanto da interessarle in modo pressoché totale; spe-

cialmente là dove erano le condizioni climatiche e pedologiche

più confacenti all’attività pastorale, non più solamente indirizzata

alla fornitura di carne, ma, già in quei lontani tempi (5.000 anni

a.C. circa) ormai già volta, principalmente, alla produzione del

latte e suoi derivati, specialmente dei formaggi,e della lana18.

Questi antichi pionieri neolitici invasero e si impadronirono

della Sicilia, sovrapponendosi ai precedenti abitatori, genti paleo-

litiche e mesolitiche residuali disperse sull’isola, ed erano identi-

ficati, secondo la tradizione, a quanto riferiscono ERODOTO e

TUCIDIDE, nei mitici Lestrigoni, forse d’origine pelasgica (cioè pro-

venienti, via mare, dalle isole e dalle terre bagnate dal mar Egeo),

64

18 È noto che il vello della peccora è un’acquisizione dovuta a selezione indotta dal-l’uomo.

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Figura 3 - Le probabili vie di migrazione seguite dai pastori -allevatorineoli ti ci provenienti dal Vicino Medio Oriente.

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che s’insediarono stabilmente lungo l’ampia e fertile regione

costiera del sud-est, estesa dalle falde meridionali dell’Etna al mar

Ionio. La regione si presentava ricca di acque, per la presenza dei

fiumi Simeto, il quale bagna le falde vulcaniche meridionali per

poi scaricare le sue correnti nel mare, Alcantara e Anapo, i cui

alvei solcano la regione meridionale della pianura.

I pastori-allevatori neolitici erano formati da un popolo cer-

tamente barbaro e violento e dedito alla rapina, che abitava, ini-

zialmente, le caverne dell’isola abbandonate o sottratte ai prece-

denti abitatori, divenendo autoctoni della Sicilia. Essi furono noti

ai popoli delle isole e delle terre bagnate dal Mediterraneo orien-

tale, con i quali vennero certamente a contatto durante gli scam-

bi economici e culturali avvenuti nel corso dei millenni iniziali

della storia dell’area mediterranea orientale, sotto l’etimo di

Sikani, popolo che la tradizione riteneva autoctono dell’isola. I

Sikani si distinguevano principalmente per l’isolamento geografi-

co della loro terra sul quale fondavano i caratteri della loro eco-

nomia, prevalentemente pastorale, perché mancante di segni di

formazione e di coltivazione dei campi, nonostante la fertilità

della terra abitata.

Nulla si conosce con certezza del popolo dei Sikani; solo

vaghe notizie sono giunte al riguardo, quindi rimane un’etnia

ancora avvolta nel mistero delle loro origini e pertanto entrano

a far parte della geografia mitica (come intesa da L. DA R D E L

1998), il cui discorso si rifà agli iniziali tempi “eroici” della for-

mazione storica e culturale delle società umane. Ecco, allora,

che dei Sikani s’ impadronisce la letteratura, con OM E R O, lascian-

doli però nel mito della loro origine. Solo così, infatti, il poeta

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poté evidenziare razionalmente, seppure in modo ancora certa-

mente controverso, i rapporti iterativi di fondo e di stretta con-

nessione fra l’ immaginario geografico, che non era certamente

p roposto come semplice fantasia di menti impreparate al cono-

s c e re, ma esprimeva la possibilità, offerta all’ intelletto, di perve-

n i re all’ idea del re a l enella totalità delle possibili apparenze che

ne distinguono i caratteri, derivanti dall’ intuizione soggettiva

delle cose e dei fatti concreti. Questi, tuttavia, trovano una loro

giustificazione non nella razionalità d’una logica esplicativa,

bensì nel narrato mitologico. Infatti, è proprio nel narrato mito-

logico che i fatti inerenti l ’uomo ed il suo mondo trovano sem-

p re una giustificazione apprezzabile. Ulisse ed i suoi sventurati

compagni, come narra Omero, giungono in Sicilia dove incon-

trano i mitici Ciclopi:

Di là navigammo avanti, sconvolti nel cuore

e dei Ciclopi alla terra, ingiusti e violenti,

venimmo, i quali fidando nei numi immortali,

non piantano piante di loro mano, non arano,

ma inseminati e inarati là tutto nasce,

grano, orzo, viti, che portano

il vino nei grappoli, e a loro li gonfia la pioggia di Zeus

[Odissea, IX, 105 – 111]

Il racconto omerico dell’incontro di Ulisse con i mitici Ciclopi,

al di là di una lettura superficiale, conferma il fatto che la Sicilia,

antecedentemente alla colonizzazione fenicia e greca, era abitata

da una popolazione di pastori allevatori di pecore e di capre, i

quali già erano in possesso delle tecniche di utilizzazione del latte

nella preparazione di “caci” o “formaggi pecorini”.

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Entrati nell’antro, osservammo ogni cosa;

dal peso dei caci i graticci piegavano ...

... tutti i boccali traboccavano di siero,

e i secchi e i vasi nei quali mungeva ...

...Seduto, quindi, mungeva le pecore e le capre belanti,

ognuna per ordine, e cacciò sotto a tutte i lattonzoli.

E subito cagliò una metà del candido latte

e , rappreso, lo mise nei canestri intrecciati

metà nei boccali lo tenne, per averne da prendere

e bere, che gli facesse da cena...

[Odissea, IX, 212-213; 228-229; 245-249]

I barbari ed inospitali Ciclopi 19, “...mortali, forniti di parola...”20, come li dice ESIODO, se emendati dal mito, possono essere rap-

presentativi degli antichi Sikani abitatori della Sicilia neolitica,

ancora oscurata nel buio conoscitivo della protostoria, quando la

favola facilmente nascondeva la realtà delle cose, o parte di essa,

lasciando vagare la mente dell’uomo negli infiniti spazi della fan-

tasia creativa; quegli spazi di un non mondoche appartengono al

dominio dell’immaginato, cioè alla sfera del virtuale21.

La mancanza di una approfondita ricerca archeologica, este-

sa all’intero territorio siculo, rende arduo affrontare il discorso

riguardante l’evoluzione culturale e sociale della popolazione

della Sicilia preistorica, e, pertanto, non consente neppure di sfu-

mare le ombre che ne avvolgono e ne oscurano gli avvenimenti.

68

19 A. FERRARI, Dizionario di mitologia latina, Torino, UTET, 1999.20 ESIODO, Catalogo, fr. 34.21 P. BETTA, Il paesaggio fra reale ed immaginativo, Parma, Maccari, 1997.

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Non rimane, quindi, che riferirsi al mito, nelle cui incerte ombre

è possibile inserire la presenza dei Ciclopi, di Polifemo e dei suoi

compagni, come lui pastori di pecore e di capre, e riconoscere in

essi i primissimi, lontani abitatori neolitici della Sicilia. Il mito,

infatti, è tendenzialmente considerato una storia vera, dato che

cerca di svelare, mediante un discorso originale, fondato nel

dominio del fantastico, come si sia formulato, nella mente umana,

un possibile concetto giustificativo del reale delle cose che appar-

tengono al mondo.

Pertanto, il mito è creazione di un modello giustificativo del-

l’attività dell’uomo, legato al sentimento di appartenenza ad una

etnia partecipe di un territorio vissuto, e si propone come dimen-

sione nascosta esperienzialed’unione psichica dell’uomo con il

mondo del suo vissuto, che la memoria ha saputo tramandare,

pur deformando il vero della realtà delle cose che sono state e

che sono nella loro consistenza antropologica, seguendo un’in-

terpretazione decisamente funzionalistica, legata, cioè, al ricordo,

seppur vago, di accadimenti ormai superati, ma ancora vivi nella

coscienza. Ossia, il mito è il ricordo collettivo appartenente al vis-

suto di un popolo, della presa di coscienza di una umanità in

fieri, avvenuta in un ambiente nuovo, del quale tutto è scono-

sciuto all’io collettivo. E l’io si trova, quindi, a dover ricostruire la

passata esperienza del vivere, ossia, l’apparente concretezza, vali-

da anche nell’oggi, di un passato, quale motivo causativo di

mutamento e di progresso culturale.

Non dovrebbe re c a re scandalo, allora, al lettore, l’ identifica-

zione raffigurativa dei mitici Ciclopi, barbari e crudeli, allevato-

ri di pecore e di capre, perciò in possesso della cultura neoliti-

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ca, con i colonizzatori mediterranei, giunti dal mare, che si tro-

v a rono d’ improvviso soli in una terra sconosciuta, dove persino

la realtà dei luoghi era celata nel rimbombo dei moti vulcanici

che salivano dall’ imo della montagna, elevata al cielo, dalla cui

cima uscivano getti di fiamme, sassi infuocati e fumo ard e n t e .

Pastori-allevatori furono, quindi, i neolitici giunti in Sicilia, già in

possesso delle tecniche per la lavorazione del latte e la pro d u-

zione di “c a c i” .

I coloni neolitici, in millenni di vita pressoché isolata, diven-

nero gli abitatori autoctoni della Sicilia e seppero conseguire un

certo grado culturale che consentì loro di organizzarsi in comuni-

tà complesse, economicamente indirizzate all’allevamento ovino e

caprino, e, nel contempo, adattarsi ad alcune pratiche di coltiva-

zione, insediandosi in villaggi fortificati.

Gli abitatori della Sicilia, come ricorda anche DI O D O R OSI C U L O,

f u rono conosciuti nell ’area mediterranea con la denominazione di

“ Sikani” , onde il nome di Sikanìa con il quale OM E R O (O d i s s e a ,

X X I V, 307) e lo storico ER O D O T O(S t o r i e, VII, 170) indicano l’isola.

I Sikani, quindi, rappre s e n t a rono a lungo un popolo di pastori di

g reggi e di allevatori di ovini e di caprini, isolati, nel loro ristre t-

to contesto ambientale, dalle vicende che motivarono il nascere e

il pro g re d i re dei vicini popoli mediterranei: Minoici, Micenei,

Fenici e Greci, i quali, in successivi millenni, si susseguirono l’un

l ’ a l t ro nel dominio economico e politico del Mediterraneo (t a l a s-

s o c r a z i a ), coinvolgendo nel loro contesto politico, sociale ed

economico anche la Sicilia, la cui posizione geografica la poneva

al centro degli interessi del commercio mediterraneo, favore n d o-

ne la successiva uscita dal suo iniziale isolamento. Infatti, verso la

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Figura 4 - Gli insediamenti e la composizione etnica della Sicilia pro t o -s t o r i c a .

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metà del II millennio a.C. (1600?), come testimonia ER O D O T O(S t o -

r i e, VII, 170), la Sicilia certamente aveva già aperto relazioni con

C re t a2 2 e con la cultura minoica, portatrice delle tecnologie di

lavorazione del rame. Infatti, dice ER O D O T O che Minosse2 3, il

potente re cretese, figlio di Zeus, giunse nell’ isola alla ricerca di

Dedalo, e qui vi trovò la morte nella città di Càmico per mano del

re dei Sikani Kokalo, che lo aveva ospitato.

A t t o rno al 1200 a.C. la Sicilia subì l’ invasione di un popolo

p roveniente dalla penisola italica, i Siculi. Un popolo dotato di

tecnologie più avanzate dei Sikani, che contemplavano l’uso del

rame e l’impiego del cavallo. I Siculi, guidati, secondo la tradizio-

ne storica, da Siculo, figlio del re italico I t a l o, migrarono nella

Sicilia orientale (mutando il nome dell’ isola in quello di S i k e l ì a)

sostituendosi agli antichi Sikani che avevano abbandonate quelle

t e r re, a causa delle violente eruzioni dell’Etna, e, sospinti con le

a rmi dai Siculi, erano andati ad occupare le regioni centrali dell’i-

sola, aride e quasi spopolate, fermandosi ai confini delle terre abi-

tate dagli E l i m i. Questi ultimi costituivano un popolo form a t o s i ,

secondo la leggenda, da un gruppo di Troiani che, sotto la guida

di Elimo, figlio naturale del re di Troia Anchise, fuggendo per

m a re dalla loro città distrutta dagli Achei, raggiunse la Sicilia occi-

72

22 C’è un’isola, Creta, in mezzo al livido mare,bella e ricca, cinta dall’onde, e là uominiinnumerevoli, senza fine, e novanta città …

[OMERO, Odissea, XIX, 172-174.]

23 Minosse, che era il più regale di tutti i sovrani mortali e regnava su moltissimiuomini dei paesi vicini, avendo lo scettro di Zeus …

[ESIODO, Catalogo delle donne, 68]

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dentale e si sostituì alle popolazioni indigene. A seguito di questi

fatti l’ isola, alla fine del secondo millennio, risultò suddivisa fra tre

e t n i e: i Siculi che abitavano la regione orientale, più fertile e ricca;

i S i k a n i, stabilitisi al centro; gl i E l i m i insediati nella regione occi-

dentale della Sicilia (fig. 4). È all’ influenza re c i p roca di queste tre

etnie conviventi sull’ isola, che può attribuirsi il superamento del

primo neolitico siculo e la fondazione di città fortificate.

4. Micenei, Fenici e Greci in Sicilia

L’isola Sikanìe, per la sua posizione geografica sulla via marit-

tima di passaggio fra il bacino orientale e quello occidentale del

Mediterraneo, proprio in posizione mediana tra la penisola itali-

ca e l’Africa settentrionale, ha quindi conosciuto genti provenien-

ti da tutte le terre bagnate dall’antico mare Mediterraneo, eviden-

ziando così l’importanza della sua posizione geografica di centra-

lità mediterranea e di attrazione. Infatti, viaggiatori, mercanti cre-

tesi, micenei, fenici, punici e greci e popoli migranti, alla ricerca

di nuove terre da colonizzare, hanno contribuito all’evoluzione

culturale e sociale dell’isola, preparandola alla storia, con la sua

umanità divenuta sempre più ricca e vivace.

Che la Sicilia abbia subito, in età protostorica, una certa

influenza minoica e soprattutto micenea è dimostrato, principal-

mente, dal centro di Pantaleo, sul fiume Anapo. In questa loca-

lità, le rovine di un grande edificio, le cui forme architettoniche

richiamano quelle dei palazzi dell’antica Micene, testimoniano il

concretizzarsi di rapporti stabili fra la Sicilia e l’oriente egeo

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dominato dalla presenza delle forze achee. Di quel popolo guer-

riero, di stirpe indoeuropea, proveniente dal nord dei Balcani,

che seppe distruggere la potenza troiana e cretese, per imporre

la propria lingua, la proprio raffinata cultura e il proprio spirito

critico. Gli Achei, infatti, ebbero la forza e la capacità di sostituir-

si a Creta, dopo averla distrutta (1400 circa a.C.), nel dominio del

Mediterraneo orientale e centrale, spingendosi, con i loro com-

merci, sulle coste della Fenicia, dell’Egitto e raggiungendo, verso

occidente, la Sicilia, all’epoca considerata ancora l’estremo lembo

occidentale del mondo conosciuto.

Tuttavia, la presenza micenea in Sicilia non portò a grandi tur-

bamenti negli equilibri dei rapporti fra i pastori-allevatori autoc-

toni, in fase di superamento della loro primitiva cultura, e l’am-

biente; specialmente nei riguardi dell’economia dell ’ isola, se non,

forse, per aver dato un maggiore impulso iniziale alla pratica delle

coltivazioni cerealicole, nonostante la pastorizia abbia sempre

conservata la preminenza sui territori occupati. La civiltà micenea,

quindi, alla pari della civiltà minoica che la precedette, non si

rivelò di particolare influenza sul pro g resso della Sicilia, se non

fosse per il fatto di averla inserita in un contesto geografico in fase

espansionistica economica, politica, culturale e conoscitiva, soste-

nuta da quell’insieme di vicende storiche che potarono, in tempi

successivi, prima al declino mercantile e politico fenicio, pre c e-

dente a quello ellenico, sul Mediterraneo, soprattutto sul bacino

orientale e sulle terre gravitanti attorno a questo antico mare .

I Fenici, conosciuti nell’area mediterranea, prima dell’avvento

dei Greci, con la denominazione da loro stessi attribuitasi, come

popolo unitario, di Cannanei (S. MO S C AT I, 1999), poi di Sidoni o

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Tiri, e n t r a rono in contatto con i Sikani nel corso dell’espansioni-

smo commerciale mediterraneo che ne contraddistinse, fin dal loro

a p p a r i re sulla scena del mondo, il loro sistema di vita, in certo

modo ad essi imposto dalla natura geografica della loro terra, pre-

valentemente montuosa e boscosa, di navigatori e di merc a n t i

esploratori di regioni ancora ignote agli uomini, perché ancora

poste al di là dell’orizzonte conosciuto e si erano creata la fama di...

... navigatori famosi,

furfanti, cianfrusaglie infinite nella nave nera portando

[OMERO, Odissea, XIV, 415-416]

...giungendo in ogni paese e creandosi ovunque fama ed

acquistando potenza, tanto da suggerire alle genti il senso della

loro forza:

Tiro tu dicevi: io sono una nave di perfetta bellezza.

In mezzo al mare è il tuo dominio ...

[EZECHIELE, 27, 3-5]

Fra le terre raggiunte era la Sicilia che subì la colonizzazione

fenicia, dapprima solamente mercantile con la fondazione di fon-

dachi o empori commerciali, ma, successivamente, anche agrico-

la ed industriale, sia per le necessità sempre sentite dai Fenici di

utilizzare i prodotti agricoli dell’isola, tanto scarsi e ricercati nella

loro terra d’origine, sia per riempire le cambuse delle loro navi e

prepararle ai lunghi viaggi per mari anche parzialmente ignoti,

alla ricerca di nuovi mercati.

Specialmente nei momenti iniziali che segnarono i primi

approcci con la Sicilia, gli insediamenti fenici si proposero come

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luoghi costieri e isolati e generalmente situati su promontori pro-

spicienti il mare e ricchi di acque sorgive, per poi trasferirsi in

modo pacifico, all’arrivo dei Greci, nell’estrema regione nord-

occidentale dell’isola. Gli insediamenti fenici in Sicilia, richiama-

vano, nella loro strutturazione, quelli della terra d’origine, la

Fenicia, come evidenzia specialmente l’insediamento di Mozia

(fig. 1), all’epoca situato su una piccola penisola protesa nel mare

ed oggi separata dalla costa da un brevissimo e basso fondale.

I contatti fra Fenici e Sicilioti furono essenzialmente di natu-

ra commerciale, come ricorda TUCIDIDE (Storie, VI, 2) e come è

anche comprovato da alcuni reperti archeologici di diverse epo-

che, ma di provenienza insulare, benché nulla sia riferito dalle

fonti storiche scritte per quel che riguarda la natura e i tipi di pro-

dotti agricoli siculi oggetto di scambio. Tuttavia, è possibile affer-

mare la sicura esistenza di un intenso traffico di prodotti caseari,

tipici della Sicilia, come il formaggio pecorino, che rappresenta-

va la base della produzione caratteristica dovuta all’allevamento

ovino e caprino, fortemente esteso nella Sikanie. L’attività casea-

ria, infatti, costituiva una delle produzioni peculiari utilizzate per

il rifornimento delle navi fenicie dirette verso le più lontane colo-

nie, come quelle fondate sulle coste atlantiche dell’Iberia, oltre i

Pilastri di Melkar (Stretto di Gibilterra), dove erano numerosi

empori, fra i quali primeggiava Cadice, nella regione sud-orienta-

le della penisola iberica.

Lo scambio commerciale di caci o formaggi pecorini siculi,

doveva essere piuttosto ingente se ARCHESTRATO DI GELA (330 a.C.),

nel suo poema didascalico Hedypàtheia, nel quale narra di un

viaggio gastronomico, cantò un elogio dei caci siciliani, definen-

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Figura 5 - Un gregge di pecore al pascolo liber o .

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doli famosi e rinomati formaggi, tipici della regione sud-orientale

della Sicilia, bagnata dal mar Ionio, e, soprattutto, più famosi dei

formaggi di Creta, l’isola dove, ai tempi delle origini, la capra

Amaltea allattò Zeus neonato e dove il centauro Chirone fece

cagliare il latte per alimentare il futuro re dell’Olimpo.

Fra il nono e l’ottavo secolo a.C. le popolazioni indigene

della Sicilia (Siculi, Sikani, Elimi) furono sopraffatte da due distin-

te ondate di immigrati provenienti dalla Ionia. Erano coloni Greci

che, agli inizi della fase espansionistica coloniale degli antichi

Elleni, avvenuta durante il periodo definito medioevo ellenico,

affrontarono gli sconosciuti mari dell’ovest e del nord dell’Egeo,

narrati solo dal mito, per fondare delle colonie. I Greci, giunti in

vista delle coste ioniche della Sicilia, approdarono sulle regioni

sud-orientali dell’isola, ed entrarono in contatto con i nativi, anco-

ra strettamente legati alla loro cultura pastorale d’origine che abi-

tavano, per lo più, in piccoli villaggi con popolazione non supe-

riore a un migliaio di persone. Lo scontro culturale che contrap-

pose i nuovi venuti con gli autoctoni fu certamente violento, dato

anche il dislivello tecnologico che li distingueva e li separava e

certamente non si risolse in una coabitazione pacifica; anzi, le

etnie siciliote furono sottomesse con la forza dagli invasori e

ridotte allo stato servile e costrette a coltivare le terre ormai occu-

pate dai nuovi venuti. Solamente una piccola frazione di autoc-

toni, ritiratisi nell’interno della Sicilia e nelle regioni più aspre del-

l’isola, conservò la propria antica cultura di pastori-allevatori,

rimanendo sostanzialmente passivi di fronte alla realtà storica del

momento vissuto.

I primi coloni greci giunti in Sicilia avevano superato, già da

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lungo tempo, la fase economica della semplice pastorizia, anche

da essi vissuta nei lontani tempi protostorici, ed erano divenuti

esperti agricoltori. Essi occuparono, innanzitutto, le terre riviera-

sche più fertili e le pianure interne irrigue dell’isola, e vi fonda-

rono delle città, ad imitazione delle poleis della madrepatria.

Queste poleisgravitavano generalmente sulle grandi vie marittime

già percorse dai commerci minoici e, principalmente, fenici e ne

ereditarono le funzioni commerciali, scambiando i prodotti del-

l’agricoltura siciliana e dell’industria casearia locale – basata quasi

esclusivamente sulla lavorazione del latte di pecore e di capre,

che acquistò grande fama nell’area del mare Egeo, superando la

notorietà conseguita degli stessi formaggi pecorini greci – con

prodotti diversi, provenienti sia dalla Grecia e dalle isole, che dai

mercati orientali e mediterranei dei Fenici, come la porpora di

Tiro e l’argento, l’oro e le sete di Sidone, che da quelli di prove-

nienza dall’Africa settentrionale dell’area punica o cartaginese,

costituiti da avorio e lane e tappeti dell’Iberia e ambra da Cadice,

sia, infine, del ferro che le navi dei mercanti etruschi trasportava-

no direttamente dalle miniere dell’isola d’Elba.

In seguito a questi fatti, la Sicilia, sotto la dominazione colo-

nialista degli Elleni, venne inserita nel discorso storico, culturale

ed economico che investì l’intera area mediterranea, senza però

perdere totalmente i propri caratteri etnici e culturali, e la tradi-

zione del proprio artigianato agricolo, il quale, sebbene ancora

tradizionalmente basato sulla pratica pastorale, volto alla produ-

zione di carne e lana, ma soprattutto di formaggi pecorini e capri-

ni, aveva saputo emergere e proporsi all’attenzione e conquista-

re i mercati dell’intera area mediterranea.

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... e Roma

Poi venne Roma, il cui discorso occupazionale delle terre di

Sicilia s’aprì riproponendo le metodologie delle precedenti occu-

pazioni coloniali fenicia e greca. I nuovi “padroni” si divisero le

terre sicule e le introdussero nel discorso economico europeo e

mondiale di Roma, la quale necessitava, soprattutto, di grandi

quantità di grano e di altri prodotti agricoli, principalmente di

carni fresche di agnello e di capretto, assai richieste, oltre che di

ulteriori prodotti primari dell’attività dell’allevamento ovino e

caprino, provenienti in particolare dalla piana alluvionale e vul-

canica di Catana (Catania), la più fertile area agricola di tutta la

Sicilia, dove, in un’ampia e fresca valle, ricoperta di grasse erbe

e di fiori24, sorgeva il centro agricolo e culturale di Hybla.

Fra i prodotti di esportazione siculi erano soprattutto quelli

caseari: i caci siciliani, la cui domanda sul mercato di Roma era

grandissima; infatti, i formaggi pecorini provenienti dalla Sicilia

erano preferiti persino a quelli ricavati dal latte di produzione del-

l’allevamento locale.

Per tanto l’allevamento di pecore e di capre e la produzione

di caci o formaggi pecorini, connessa alla tradizione atavica della

pratica casearia, ereditata dai pastori neolitici dell’antica isola

Sikanie (pratica casearia che rappresentava uno dei principali

aspetti della pastorizia seminomade), principalmente della regio-

ne costiera di sud-est, dove emergeva per antichità, il centro di

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24 “Hyblaeis apibus florem depasta salicti, …[VIRGILIO, Egloga I, 55]

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Siracusa, colonia di fondazione corinzia risalente al 734 a.C., eret-

ta sui resti di siti del primo Neolitico, rimase consolidata negli usi

zootecnici familiari delle genti indigene dell’isola, quasi fosse il

segno di una tradizione culturale antica quanto antica era la stes-

sa isola Sikanie. Ciò impedì che la produzione artigianale del for-

maggio pecorino siciliano, sia pure limitata a livello di famiglia

pastorale, anche, sotto il dominio coloniale di Roma, aveva sapu-

to conquistare il pur ridotto mercato caseario urbano dell’epoca,

“...dove trovò sviluppo e storia...”25.

Così il formaggio pecorino prodotto in Sicilia seppe conser-

vare integre nei secoli, fino ai giorni nostri, i propri caratteri orga-

nolettici, quasi a simboleggiare, in essi, il significato economico e

il valore alimentare che il cacio siciliano, quale risultato tecnico-

produttivo d’una tipica espressione autoctona delle capacità di

lavorazione casearia e artigianale del latte ovino e caprino d’alle-

vamento insulare, acquisita in millenni di vita pastorale dalle

genti di Sicilia, poté superare, nei vasti silenzi e nell’isolamento

di aprichi pascoli verdeggianti, i successivi e numerosi inghippi

della storia vissuta dall’isola, indotti da invasioni subite di popoli

diversi, da guerre che sconvolsero l’isola e dalle diatribe umane.

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CAPITOLO TERZO

Fausto Cantarelli*

Azioni e prospettive

1. Dalla Sicilia alla Gallia

I formaggi hanno rivestito nell ’alimentazione dei tempi

passati un ruolo decisivo, che si è espresso nella rapida diff u-

sione del sistema pastorale e nella sua tenuta fino ai giorn i

n o s t r i .

La storia del Pecorino Siciliano è la storia della prima indu-

stria agraria europea; anche gli Etruschi e i Romani, popoli di

pastori, hanno apprezzato subito questo formaggio ripro p o-

nendolo nella penisola e consumandolo in abbondanza. Anche

nei nuovi territori la trasformazione del latte è avvenuta con

criteri analoghi a quelli della Sicilia di allora, che non sono dis-

simili da quelli di oggi: il latte munto alla sera veniva trasfor-

mato la mattina successiva facendolo cagliare con l’aggiunta

del latice di fico o di fiori di cardo, di cartamo tintorio, di aceto

o di caglio estratto dallo stomaco degli agnelli.

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* Titolare della cattedra di Economia agro-alimentare e docente di marketing ali-mentare nell’Università degli Studi di Parma.

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P resso i Romani si cominciarono a distinguere i formaggi a

lunga conservazione, da quelli da consumare freschi e da altri

ancora che erano pressati (caseus manus pressus). I form a g g i

più pregiati erano: il Velabrano, un formaggio aff u m i c a t o ,

molto quotato all ’epoca di Marziale; il formaggio Vestino, pro-

dotto nell’ Italia Centrale; il formaggio Trebulano della Sabina.

Viene poi citato quello famoso fatto a piramide di Sarsina,

località ricca di latte, allora umbra ed oggi in Romagna. Vi

erano poi le enormi forme di caseus lunensis che arrivavano a

p e s a re più di kg 300 e molti altri, inclusi alcuni importati da

diverse parti dell’ impero .

Si può ben dire che gran parte della produzione casearia

e u ropea affondi le radici in Sicilia, la prima provincia di Roma,

dove i Romani erano arrivati poco prima delle guerre puniche

(241 a.C.).

Dalla Sicilia l ’arte casearia si è diffusa ovunque arrivassero

le legioni grazie a una cultura superiore a quella dei vinti.

I Romani hanno migliorato con il tempo le tecniche casea-

rie, traendo profitto dalle conquiste di nuovi territori, da cui

hanno appreso usi e costumi; Cesare osserva che i Germani si

nutrivano di latte, formaggio e carne; anche Tacito cita il for-

maggio come loro alimento usuale.

Anche i Greci erano gran mangiatori di formaggi perc h é ,

non disponendo di molti alimenti, si rifacevano sul latte di

pecora e di capra; anzi questi ultimi sono rimasti anche nei

secoli successivi le principali risorse della dieta di quel paese.

Fin qui la storia antica della prima industria alimentare re a-

lizzata dall ’uomo; ma c’è di più: con un suo editto Carlo

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Magno, che era un formidabile consumatore di formaggi, nel

812, ne ha regolamentato il mercato in Euro p a .

Ancora alla fine del primo millennio il latte era considera-

to un prodotto secondario dell’agricoltura destinato alla sussi-

stenza, non diversamente da quanto avviene ancora oggi in

molti luoghi della Sicilia e del Mezzogiorno, dove è diffuso il

m e rcato diretto per la parte eccedentaria i consumi familiari.

Nel Medio Evo si diff e re n z i a rono le zone tipiche dei for-

maggi a seconda che pro v e n i s s e ro da latte bovino (al nord) e

ovi-caprino (al sud).

Infine nell’età moderna, dopo l’unificazione d’I talia, l ’ indu-

stria del nord ha incominciato ad appropriarsi dell ’arte casea-

ria, dando l’avvio alla costruzione delle grandi imprese lom-

b a rde. Ha iniziato Pietro Locatelli (1860) a Ballabio Inferiore ,

seguito da Pietro Polenghi a Codogno (1870) ecc.

Tralasciando le complesse vicende della formazione dei

diversi assetti industriali per regione e l’evoluzione delle tec-

niche, i formaggi si sono moltiplicati tanto che, già nel 1885 ne

esistevano una cinquantina con produzioni limitate ai luoghi

d’origine come il grana lodigiano, il gorgonzola, il quartiro l o ,

la crescenza, l ’uso monte, il bitto, in Lombardia; la fontina, il

bra, il castelmagno, in piemonte; l ’asiago, il montasio, il verre-

na, il tolminotto, in Veneto; il parm i g i a n o - reggiano in Emilia;

il pecorino grossetano e il pecorino romano in I talia Centrale;

il caciocavallo, la mozzarella e il provolone in I talia Meridio-

nale; i pecorini e i canestrati in Sicilia; il fiore sardo, il bacel-

lone e la fresa in Sardegna. Le produzioni erano sempre cor-

relate alle necessità locali.

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Nel 1880, Antonio Zazzera, staccatosi da Polenghi, ha ini-

ziato a imitare nel nord i formaggi meridionali, incominciando

con il provolone dolce; visto il successo dell ’ iniziativa, si è

fatto lo stesso anche con quelli svizzeri (Andrea Ponti nel

1822). Analogamente per il Pecorino Romano, l ’aumento di

domanda degli emigrati ha suggerito alla Latteria Soresinese di

i m i t a re quella produzione e alla Sardegna di sostituire il tradi-

zionale Fiore Sardo con il Pecorino Romano, mentre il

Pecorino Siciliano rimaneva sempre ancorato all ’ isola e al con-

sumo intern o .

In questo modo sono saltati molti degli equilibri storici, nei

quali ogni area consumava il proprio formaggio e ha incomin-

ciato a farsi avanti il mercato che diventerà sempre più ampio

e più dinamico, specie dopo essersi ampliato dopo l’ultimo

conflitto mondiale.

Arrivati ai tempi nostri, dobbiamo constatare che i form a g-

gi delle aree umide del centro e del nord Europa premono sui

confini nazionali facendo una concorrenza spietata agli ottimi

f o rmaggi tipici italiani, penalizzati dalla mancata org a n i z z a z i o-

ne degli allevatori-produttori. Nei mercati dinamici, nei quali

l ’ o f ferta è costantemente superiore alla domanda e le vendite

richiedono organizzazione e sostegno, non esistono form a g g i

tanto buoni che si vendano da soli e nei quali viene penalizza-

to nel prezzo chi si presenta al mercato senza essere opportu-

namente sostenuto. È per questo motivo che i prezzi più alti

nei superm e rcati italiani vengono riconosciuti ai formaggi fran-

cesi, e non a quelli italiani. Dei dieci formaggi a maggiore pre z-

zo sette sono francesi e tra questi sei si trovano ai primi posti.

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Lir e/hg

1 - Roquefort - Francia................................................................................5.050

2 - Aperifrais - porzioni di formaggiocon aromi per aperitivi prodotto in Francia........................ 4.330

3 - Formaggio con noci - Francia.......................................................3.560

4 - Caprino - Francia.....................................................................................2.870

5 - Cantadou - formaggio francesecon erbe aromatiche...............................................................................2.730

6 - Rondele - formaggio francese aromatizzato....................... 2.680

7 - Parmigiano-Reggiano - Italia ...........................................................2.660

8 - Caprice des Dieux - Francia...........................................................2.500

9 - Mozzarella di Bufala Campana - Italia.....................................2.490

10 - Fontina Valdostana - Italia ................................................................2.430

2. Il contesto

Quale sarà il futuro rapporto dell’uomo con i formaggi tipici?

In una società immersa nella cultura del superfluo, analisi e pre-

visioni diventano complesse e gli esiti incerti. Non possiamo

chiudere gli occhi tuttavia davanti al grande capitale internazio-

nale che continua a sfornare prodotti “innovati” e “appiattiti” e a

rivolgersi alla globalizzazione con strategie puntuali e mirate,

apparse con il self-service, poi continuate con la grande distribu-

zione, le norme igienico-sanitarie, le certificazioni, il franchising

e, buoni ultimi, gli organismi geneticamente modificati (Ogm); né

possiamo ignorare la preminenza del capitale familiare, nelle aree

mediterranee dell’Ue, con produzioni polverizzate, bassi volumi

d’offerta e domanda locale, in armonia con cultura, tradizione e

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qualità. Nel primo caso, gli alimenti standardizzati a prezzi ridot-

ti e ad alto contenuto di servizi aggiunti e incorporati percorrono

con disinvoltura itinerari senza confini, mentre, nel secondo, non

riescono a trovare risposte favorevoli per costi e prezzi alti (la

qualità però è migliore) per carenze organizzative e per dimen-

sione locale.

Il modello produzione-consumo alimentare italiano, che rien-

tra per gran parte in questo secondo contesto, oggi è accreditato

di un’immagine suggestiva, che viene apprezzata dagli slogan dei

concorrenti (“dieta mediterranea” o “stile italiano a tavola”), ma

non dai ricavi delle aziende; eppure sono questi prodotti di alta

qualità delle piccole e piccolissime imprese ad avere tenuto alto

il pregio e l’immagine degli alimenti della grande industria, dando

corpo a uno standard nazionale superiore.

Risulta evidente da questa sommaria analisi che, nonostante

il pregio indiscusso, le prospettive per l’economia agro-alimenta-

re italiana non sono delle migliori; pur tuttavia il sistema fino ad

ora ha retto bene, nonostante che molti economisti l’avessero

dato per spacciato da anni, da quando cioè si è affacciato all’o-

rizzonte il mercato globale (a dire il vero, in ambito alimentare il

mercato globale riguarda più le commodities degli alimenti); l’op-

posizione ha avuto esito fortunato perché le abitudini alimentari,

da noi più radicate che altrove, hanno tenuto bene, contrastando

l’ingresso in Italia di alimenti estranei al nostro costume. È bene

ricordare però che le abitudini alimentari offrono resistenze nei

tempi brevi, non nei tempi lunghi, come dimostrano le rivoluzio-

ni del neolitico e gli alimenti nuovi arrivati a suo tempo dalle

Americhe.

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I prossimi anni saranno decisivi e con esisti che dipende-

ranno più dalle nostre azioni, carenti per il passato, che dalla

p ressione altrui; l’emancipazione della piccola e media impre s a ,

agricola e industriale, richiede, molto coraggio e grande lungi-

m i r a n z a .

In proposito è importante la tempestività con cui i produtto-

ri sapranno cogliere segnali promettenti, tra cui segnaliamo la

nascita dell’”Osservatorio Internazionale per la valorizzazione dei

prodotti tipici dei paesi mediterranei dell’Ue”, per iniziativa

dell’Unione Nazionale delle Camere di Commercio (è stato nomi-

nato un Comitato promotore e stanziato un primo finanziamen-

to); il marketing di settore con il 2001, anno dedicato ai formag-

gi tipici italiani, con il 2002 per i salumi ecc.; infine, la rete inte-

runiversitaria per la formazione in marketing agro-alimentare con

l’intento di avere un’unica metodologia nazionale, che eviterebbe

le troppe fantasie ed estemporaneità oggi presenti sul territorio.

Se questa triade testimonia l’esistenza di una volontà e costi-

tuisce l’avvio di un’azione strategica a favore degli alimenti tipici

e, di riflesso, anche di altri, non dobbiamo dimenticare un’altra

prospettiva di tutto rilievo: il turismo. Infatti, l’espansione di que-

sta attività è fatto consolidato; iniziata negli anni Sessanta, ha visto

triplicare gli arrivi internazionali in un ventennio (1960-1980),

quintuplicati (654 milioni) in 35 anni (1995) e presentare ancora

oggi un trend positivo, che ha permesso all’organizzazione mon-

diale del turismo (Omt) di prevedere un ulteriore raddoppio degli

arrivi nel 2010 (un miliardo di arrivi) con un aumento medio

annuo del 4,3%.

In questo modo, il peso della componente turistica, nel con-

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testo dell’economia mondiale, è destinata a cre s c e re fino a rag-

g i u n g e re il primo posto tra le attività industriali e a sviluppare un

indotto ampio e complesso (trasporto, agroindustria ecc.); il fat-

turato, che, nel 1995, ha fatto re g i s t r a re entrate nel mondo per 400

m i l i a rdi di $ Usa, aumenterà a un ritmo di quasi il 7% all’anno.

L’Italia è destinata a trarre benefici ulteriori dall’espansione

dell’attività turistica, accrescendo il suo ruolo grazie alla storia,

alle testimonianze monumentali e artistiche, alle diverse espres-

sioni del paesaggio, al Mediterraneo, su cui si affaccia in gran

parte ecc. ... e alla peculiarità degli alimenti e delle gastronomie.

Per questi e altri motivi, il Paese, che ha ricevuto in passato una

domanda turistica tra le più alte nel mondo, continuerà ad espan-

derla anche se il ritmo sarà inferiore a quello di altri territori, oggi

ancora scoperti (Asia dell’Est e Oceano Pacifico).

Il richiamo a questa prospettiva è d’obbligo per l’Italia perché

può essere l’occasione per potenziare, con la difesa della parte

più debole del nostro sistema agro-alimentare, l’immagine del

modello italico, garantendogli non solo la sopravvivenza, ma

anche l’espansione; ne conseguirebbe nuovo sviluppo della

nostra economia con maggiore armonia e migliore distribuzione

sul territorio, rendendo possibile al Paese vivere nel benessere

senza rinunciare a storia, cultura e tradizione, e preservando alle

future generazioni la prima gastronomia del mondo e gli alimen-

ti di pregio su cui si regge.

Le esperienze anche rilevanti, che l’Italia ha condotto in

ambito turistico sono state spesso frutto di improvvisazione, ma

nel momento in cui il Paese assegna a questa attività un ruolo

portante, occorre fare qualcosa di più: una strategia, e questa, a

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MOZIA – Fondata dai Fenici nell’VIII sec. a.C. nell’isola di S. Pantaleo,divenne avamposto cartaginese nell’Isola e fu distrutta dai Siracusani nel397 a.C. Importanti scavi hanno messo in luce interessanti tracce dell’anti-ca città. Nel fotogramma l’intera isola e, in alto, la strada sommersa di col-legamento alla terraferma. In alto a sinistra l’estremità dell’isola S. Maria(fotografia della Società Generale Riprese Aeree).

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sua volta, richiede il ricorso alle innovazioni, alle interazioni ali-

mento-turismo, alle sinergie ecc.

Però non sono tutte rose e fiori. All’orizzonte incombe un

pericolo, che minaccia in qualche misura uomo e ambiente; si

tratta degli Ogm, che si stanno diffondendo rapidamente e solo

ora incominciano a trovare qualche resistenza anche nelle zona

d’origine (Usa); sono alimenti nuovi, frutto dell’ingegneria gene-

tica, prodotti da poche industrie della chimica internazionale, che

vorrebbero acquisire l’oligopolio dell’alimentazione mondiale

non senza qualche rischio per l’ambiente e i consumatori; oggi la

Ue ne ha vietato la produzione per il consumo ed è in attesa di

esprimere un parere sul loro futuro.

È evidente, nel contesto globale, il tentativo da parte di chi

non ha sensibilità storico-culturale, di scalzare usi e costumi del-

l ’ a rea mediterranea e di altri territori tradizionalisti per sostituir-

li con altri più appiattiti e più convenienti, approfittando della

capacità delle multinazionali del Nuovo Mondo di espandere il

b e n e s s e re generale più di quanto riescano a fare le tradizionali

m i c roeconomie locali; in linea con questa ipotesi, che punta al

p rofitto, potre b b e ro scomparire dal nostro costume alimentare

abitudini e cibi storici per mancata competitività.

Per contrastare l’ipotesi, che sarebbe di grave danno per l’e-

conomia del Paese, basterà sviluppare finalmente azioni finaliz-

zate agli obiettivi.

È bene chiarire, in proposito, che neppure gli americani

sono ancora certi della supremazia della loro proposta alimen-

t a re, se diamo retta ai giudizi benevoli che rivolgono alla nostra

tavola, alle manifestazioni di disaccordo sempre più fre q u e n t i

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ERICE – A quota 750 m sulla vetta del monte Erice, in posizione dominan-te su un vasto panorama in giro d’orizzonte, sorge l’abitato di Erice che èsede della scuola internazionale E. Maiorana. Città antichissima degliElimi fu cartaginese, romana, bizantina e normanna. Ha un bellissimo eben conservato impianto medioevale. Nel fotogramma la forma triangolaredell’abitato e le verdeggianti pendici circostanti (fotografia della SocietàGenerale Riprese Aeree).

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nei confronti della loro, all ’ inizio di crisi che ha colpito Coca

Cola ecc.; lo stesso prof. A. Goldberg dell’Università di Harvard ,

p a d re dell ’a g r i b u s i n e s se fondatore dell’ ” International Food and

Agribusiness Management Association” (Iama), venuto di re c e n-

te in Italia, non ha rinunciato ad esprimere pareri favorevoli sul

sistema agro - a l i m e n t a re italiano, condizionandone i futuri suc-

cessi alla capacità dei produttori di accentuare l’ immagine della

qualità e di espandere i mercati, traguardi accessibili con la con-

centrazione dell ’offerta, con adeguati supporti mercantili e con

una più diffusa cultura alimentare. È quello che si sta cerc a n d o

di fare ed è il messaggio che gli economisti agro-alimentari più

lungimiranti hanno trasmesso da tempo.

3. Il marketing

Passando ad esaminare alcune situazioni più vicine alla ope-

ratività e, quindi, al marketing, e rimanendo aderenti alla logica

di risanare la precarietà attuale dei formaggi tipici italiani, i

sostanziali principi strategici riguardano, innanzitutto l’org a n i z-

zazione dei produttori per concentrare l’offerta e per fare la pro-

mozione, senza delle quali i prezzi non potre b b e ro re c u p e r a re

t e r reno; rimangono, inoltre, da definire l’area dove re c u p e r a re i

segmenti di domanda, gli itinerari commerciali da privilegiare e

il marketing comunicazionale da applicare .

Andiamo con ordine. La polverizzazione dell ’offerta del Pe-

corino Siciliano è molto alta con la conseguenza, di fronte alla

concentrazione della domanda, di ridurre il potere contrattua-

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S. FLAVIA SOLUNTO – Centro famoso e di antica storia perché sede dellacittà di Solus (oggi Solunto) fondata dai Fenici nel sec. VIII a.C. Sul monteomonimo scavi recenti hanno messo in luce l’impianto urbanistico dellavecchia città. Nel fotogramma il parco archeologico è in alto, in basso l’a-bitato di S. Flavia e Porticello con il porto peschereccio (fotografia dellaSocietà Generale Riprese Aeree).

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le dei produttori e di fare loro accettare dei prezzi mortifican-

ti, che non coprono neppure i costi reali. Il rigetto di questa

situazione avvilente comporta la ricostruzione dei caseifici, nel

caso si voglia raggiungere la produzione associata, oppure

l ’ a g g regazione dell ’offerta degli attuali caseifici; nel primo caso

sono necessari capitali consistenti e tempi lunghi, nel secondo

si può pro c e d e re più speditamente. Si accompagna a questa

prima operazione anche la definizione dello standard della

f o rma del Pecorino Siciliano, che oggi si presenta con dimen-

sioni diff e renti. La scelta dovrebbe orientarsi su una delle

f o rme presenti con maggiore frequenza per ridurre gli inter-

venti modificatori.

In secondo luogo, una volta raggiunti questi primi obietti-

vi, resta da disegnare la strategia operativa, che si esprime con

t re azioni. La prima riguarda la definizione dell’area di merc a-

to, che comprenderà quella di consumo abituale con l’aggiun-

ta di una seconda area, contigua o distanziata, per assicurare

che l’offerta rimanga comunque costantemente inferiore alla

domanda in modo che risulti evidente il grado di rarità del for-

m a g g i o .

Inoltre, poiché l’entità del prezzo è l’obiettivo principale,

occorre determinare quali saranno i segmenti della futura doman-

da al nuovo prezzo e scegliere gli strumenti comunicazionali più

idonei a raggiungerli, compatibilmente con i costi da sostenere.

La produzione attuale di Pecorino Siciliano è di circa q 70.000,

che portano la disponibilità media per ogni siciliano da kg 1,4

rispetto a una disponibilità media nazionale di formaggi di kg

18,52 (1995). Naturalmente in Sicilia vengono prodotti altri for-

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maggi e altri ancora vengono importati nell’isola per cui la dispo-

nibilità complessiva è molto superiore.

Le modeste disponibilità di formaggi di latte bovino e di

latte ovi-caprino in Sicilia incoraggia l ’azione di trascinamento

del prezzo del Pecorino Siciliano nei confronti dei prezzi degli

altri formaggi dell’ isola, quelli bovini compresi. Paiono allora

opportuni l ’uso dello slogan: “Dal mito alla storia” e le azioni

c o n s e g u e n t i .

L’attenzione va rivolta, quindi, all’immagine del formaggio in

modo che il consumatore, avvicinandosi al prodotto, sappia che

acquista non soltanto dei contenuti energetici ed organolettici,

ma, oltre a questi, anche tutto ciò che quel prodotto rappresenta

per i consumatori abituali e straordinari. È bene sottolineare l’a-

spetto, non sempre noto, per il quale un bene non viene acqui-

stato per quello che è, ma per ciò che rappresenta; se non fosse

così non si giustificherebbero i prezzi dello Champagne e di altri

prodotti di pregio che il prestigio riesce a tenere alti.

F a re immagine in Italia significa riferirsi alla storia, in arm o-

nia con i suggerimenti avanzati nel Primo Capitolo del pre s e n t e

fascicolo; l’ Italia è ricca di avvenimenti e di personaggi delle

diverse epoche storiche, i quali potre b b e ro essere di grande

aiuto per valorizzare formaggi e altri alimenti tipici, che pure

sono storici.

Va allontanata, invece, l ’idea del riferimento al folklore, ad

imitazione di ciò che fanno i francesi, perché gli italiani non

hanno mostrato la stessa disinvoltura nella recitazione e nell’u-

so di abiti d’epoca e, quindi, non sono riusciti ad essere altre t-

tanto efficaci. È inutile pro s e g u i re su questa via; la storia, inve-

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ce, a cominciare dalle origini, pone il Paese e i prodotti ali-

mentari della tradizione in una luce molto favorevole, essendo-

si comportata l ’Italia, tra l’altro, come il primo e più autore v o l e

laboratorio alimentare che ha filtrato il modello pro d u z i o n e -

consumo del Medio Oriente, che è la culla della civiltà occi-

d e n t a l e .

In questa immagine, che per il Pecorino Siciliano abbiamo

sintetizzato nelle parole “dal mito alla storia”, ci sono preistoria,

protostoria e storia... e c’è la cultura, quella cultura alimentare, di

cui si sente tanto la mancanza, quando invece dovrebbe essere

coltivata molto di più di quanto non si sia fatto; il riferimento alla

storia ha carattere dinamico, cioè tiene conto degli avvenimenti

che hanno coinvolto direttamente o indirettamente i formaggi

mutandone immagine e caratteri.

Per costruire un’immagine, che sia valida per gli obiettivi

che si intendono raggiungere, ogni riferimento è utile purc h é

r i g u a rdi avvenimenti o personaggi che abbiano avuto qualche

rapporto con il prodotto. Il Pecorino di Filiano, per esempio,

potendo avvalersi di un castello federiciano in zona, quello di

Lagopesole, può benissimo collegarsi alla storia di questo gran-

de uomo di cultura e di stato e alle vicende che l’hanno visto

p rotagonista in loco.

Arrivati a questo punto, interviene il marketing che è analisi,

ideazione e azione.

Escludendo per il momento l’analisi, che è in corso di attua-

zione, e soffermandoci all’ideazione, è stata confermata la scelta

storica, concepita in linea con quanto è stato scritto nei paragra-

fi precedenti, presentando il Pecorino Siciliano, formaggio pro-

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dotto e consumato in tutta l’isola, tra i prodotti entrati nel Vecchio

Continente attraverso la Sicilia “porta alimentare d’Europa”.

L’idea, che ha consistenti basi preistoriche, protostoriche e

storiche, inserisce a buon diritto la Sicilia, che è al centro del

Mediterraneo, nell’itinerario del neolitico, riguardante le radici

della stessa civiltà occidentale con un coinvolgimento di ampio

significato scientifico, tecnico-storico e suggestivo.

L’espansione socio-economico-culturale del Vecchio Conti-

nente trova i suoi presupposti nel neolitico del Medio Oriente,

la cui influenza è stata fedelmente esportata per via d’acqua e

di terra (non a caso la cucina aristocratica italiana dalle origini

al Rinascimento ha fatto largo uso di spezie medio-orientali): la

prima è quella che ha trovato sulla propria rotta la Sicilia prima

di raggiungere, attraverso il Mediterraneo occidentale, Sard e g n a ,

Francia e Spagna; la seconda corrisponde a due corridoi più

accidentati del primo: quello balcanico-danubiano, che ha inte-

ressato l’ Europa dell’Est, e quello africano-iberico nella parte

o c c i d e n t a l e .

Vorremmo aggiungere che l’idea, che nasce dai formaggi,

risulta troppo suggestiva e utile per essere limitata alla sola pro-

mozione casearia. Al di là di questa considerazione, che non spet-

ta a noi commentare, la stessa idea è destinata a trovare un’ecce-

zionale cassa di risonanza nel corso del 2001, che sarà dichiarato

”anno dei formaggi tipici italiani”. Fra l’altro intendiamo allargare

questo approccio siciliano – e siamo già al lavoro – disegnando

il tracciato delle strade dei formaggi in Europa, completando cioè

le fasi delle colonizzazioni in Sicilia e quelle successive nel

Mezzogiorno d’Italia: i Fenici ad Occidente (Mozia, Solunto e

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Panormo); i Greci ad Oriente (Naxos, Zanclea, Lentini, Catania,

Siracusa, Megara-Hyblaca, Selinunte, Gela e Agrigento) e in Italia

Meridionale.

“L’Italia rappresenta il fulcro della grecità d’Occidente, l’area

centrale di riferimento per i moti che si svolgono da un capo

all’altro del Mediterraneo” ha scritto S. Moscati.

Nel golfo di Napoli, area lontana, ma in posizione strategica

sulla via dei metalli, la colonia più antica è sorta a Ischia, segui-

ta da Cuma, Partenope e Poestum; nel golfo di Taranto, più

accessibile del precedente ai greci, le prime colonie furono Sibari,

Crotone, Metaponto, Taranto, Locri.

I popoli prevenienti dal Mediterraneo Orientale (Fenici e

Greci) hanno costituito il fenomeno determinante dell’VIII secolo

a.C., che darà inizio alla storia. La colonizzazione viene dopo un

lungo periodo di frequentazione delle coste italiane da parte di

mercanti provenienti dalle aree orientali. La concentrazione in

Italia delle testimonianze precoloniali rientra in un periodo in cui

la circolazione via mare era sempre più assidua.

Il processo di reazione delle popolazioni italiche di fronte ai

colonizzatori si è sviluppato specialmente nel V e nel VI secolo

a.C.; Roma all’inizio, era solo una città in espansione. La Sicilia è

rimasta per lungo tempo al di fuori dell’influenza romana finché

si è verificato il primo scontro tra Roma e Cartagine (264 a.C.);

con la fine delle guerre puniche uscirà completato il dominio

delle aree mediterranee da parte di Roma. A questo punto l’area

casearia siciliana e del Mezzogiorno conquisterà l’Urbe e da qui

ripartirà per espandersi in Europa.

L’anno dei formaggi tipici italiani racconterà la storia casearia

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PALERMO – La sua fondazione risale all’VIII sec. A.C. ad opera dei Fenici(Panormus = tutto porto) che sul litorale nord-occidentale dell’isola fonda-rono altre due colonie a Solus (Solunto) ed a Mozia. Nella storia millenariadella città e del suo governo si sono succeduti Cartaginesi, Romani, Bizan-tini, Saraceni, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Borboni. Insorse perla libertà più volte e nel 1860 venne annessa all’Italia. Nell’ultima guerrasubì gravi danneggiamenti. Dal 1947 è la capitale della Regione e contaoggi più di 700.000 abitanti. Nel fotogramma è rappresentato il CentroStorico ed il suo ampliamento nella città ottocentesca (fotografia della So-cietà Generale Riprese Aeree).

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nelle diverse regioni mediterranee, la Sicilia in testa, presentando

una nuova immagine dei formaggi, divenuti l’espressione più

significativa della protocultura europea, che la storia dei singoli

territori enfatizzerà con le testimonianze disponibili attraverso la

communication mix, che è la combinazione di pubblicità, direct

marketing, sales promotion, propaganda,sponsorizzazioni ecc.

Siamo di fronte alla comunicazione di settore, non d’impresa,

che è troppo debole per poterla assumere a tutela di prodotti che

hanno bisogno di raggiungere prezzi adeguati ai sacrifici che

richiedono. In queste condizioni, l’obiettivo consiste nel raggiun-

gere questi livelli di prezzo e nel renderli stabili, puntando sugli

elementi, storico-culturali e d’immagine appunto, per migliorare

la posizione di mercato.

Nonostante il ruolo rivestito dal Pecorino Siciliano in Europa,

quale porta d’ingresso degli ovini e dei caprini, dell’arte casearia

e delle coltivazioni cerealicole e leguminose, nessun riconosci-

mento in tal senso è mai stato chiesto né riconosciuto.

Nel momento in cui ci preoccupiamo di valorizzare il for-

maggio dell’isola, la strada principale da seguire non può che

essere quella del ripristino delle verità storiche, nonostante le

oggettive difficoltà di risalire a tempi tanto lontani.

Questa tesi, qualora fosse accettata, sarebbe destinata a scon-

v o l g e re il pacifico contesto, nel quale non è mai stato riconosciu-

to alla Sicilia alcun merito in campo lattiero-caseario, off rendo una

nuova chiave di lettura all’ intero nostro passato con l’isola nel

ruolo di terra di origine dell’ intera vicenda alimentare euro p e a .

Poiché gli allevamenti e le coltivazioni citati hanno trovato in

Europa l’habitat adatto e sono diventati tutti ingredienti di fondo

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della cucina continentale, trovano spiegazione per questa via la

ricchezza e il prestigio del patrimonio di prodotti tipici dell’Italia

e la gastronomia, considerata la prima nel mondo.

Questi traguardi, qualora fossero raggiunti, dovrebbero esse-

re accreditati alla Sicilia per diritto di nascita, avendo l’isola messo

in opera il citato primo laboratorio alimentare d’Europa. Non è un

caso che la prima testimonianza scritta dell’arte casearia nella sto-

ria del mondo sia quella omerica di Polifemo, che si comportava

nella Sicilia orientale, come fanno ancora oggi i pastori dell’isola.

Fu dall’origine che il territorio italiano si è diversificato:

- a nord ha prevalso il modello che ebbe origine sulle rive del

Danubio e che si è caratterizzato per l’allevamento bovino (l’a-

rea di questa civiltà, che ha interessato l’Italia Settentrionale, si

è differenziata per l’intensità colturale e degli allevamenti e, in

parte, per le grandi superfici agricole);

- a sud è rimasto operante il modello mediterraneo, caratterizza-

to da un’agricoltura debole, nella quale prevale spesso il siste-

ma agro-pastorale con l’allevamento ovino.

Le strutture agrarie e i sistemi agricoli, nati nel neolitico, non

sono molto cambiati e si ritrovano spesso nell’impostazione del-

l’agricoltura italiana di oggi, specie in Sicilia e nel Mezzogiorno.

La strategia aziendale o di comparto nei riguardi del mercato

è il motore dell’attività economica e si esprime in modo implici-

to ed esplicito: il primo consiste nel complesso delle decisioni dei

diversi settori funzionali e raramente rappresenta la strategia più

efficace; il secondo si realizza tramite processi pianificati.

Nel caso dei formaggi tipici, la strategia si limita alla scelta del

modo con cui possono competere sul mercato, realizzando l’o-

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biettivo prezzo che garantisce la continuità produttiva in posizio-

ne di stabilità e di distacco dalla concorrenza. Tutto questo si può

realizzare soltanto assicurando un vantaggio competitivo coeren-

te con il mercato in cui si opera.

La parola d’ordine di un marketing strategico applicato ai for-

maggi tipici è: “dare al consumatore qualcosa di più della con-

correnza a compenso del maggiore prezzo richiesto”.

La strategia è triplice: offrire prodotti analoghi a quelli della

concorrenza a prezzi minori; offrire prodotti analoghi a quelli

della concorrenza aventi in più un vantaggio significativo (qualità

e immagine per i formaggi tipici italiani); rivolgersi a un segmen-

to di mercato, grazie ai prezzi ridotti o ai maggiori vantaggi di

prodotto.

In tutti i casi la strategia mira ad elevare il rapporto costi

benefici del consumatore.

Se la strategia è quella della qualità, letta in termini di imma-

gine, come nel nostro caso, occorre seguire la via della segmen-

tazione e della diversificazione del prodotto, verificando la pre-

senza dei determinanti; questi sono: orientamento dei consuma-

tori verso la qualità, alta capacità di spesa, presenza di elementi

di differenziazione, alte barriere all’entrata di nuovi concorrenti,

massimo livello qualitativo, massima efficienza di marketing, alto

valore d’immagine.

Nel contesto attuale della società italiana, il ricorso alla stra-

tegia di qualità è coerente con la capacità di acquisto del consu-

matore, che tende a spostarla verso il cibo-soddisfazione e verso

la dotazione in servizi.

A livello operativo non si presentano particolari problemi a

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una strategia di qualità, purché si indaghi sulla propensione al

consumo per segmenti di popolazione.

La domanda del consumatore riguarda sempre il problema

che vuole risolvere: lo Champagne risolve un problema di rap-

presentanza in particolari momenti felici della vita dell’uomo per-

ché per questo è stato proposto; l’imballaggio in materiale resi-

stente al forno a microonde permette di usare questo strumento

con facilità ecc.

Il concetto di marketing mix fa riferimento a quattro elemen-

ti (prodotto, prezzo, posizione, promozione).

È compito della politica di comunicazione trasferire il grado

di qualità al consumatore potenziale. La pubblicità soddisfa l’esi-

genza conoscitiva, cioè fa sapere al consumatore che ciò che

desidera è presente nel bene, e l’esigenza emotiva, indicando il

modo con il quale il carattere desiderato è presente.

La pianificazione del marketing mix non può essere attuata –

nel caso dei formaggi tipici a maggiore ragione –, se non si tiene

conto della politica dei prezzi; infatti, ogni vantaggio competitivo

può essere annullato da un prezzo eccessivo rispetto a quelli

della concorrenza. È per questo motivo che il prodotto alimenta-

re della grande industria riesce al massimo ad eguagliare il prez-

zo del prodotto tipico, non a superarlo. Non dobbiamo dimenti-

care, infatti, che il vantaggio competitivo comporta dei costi e che

il consumatore è condizionato dal rapporto costi/benefici. Se il

consumatore si comportasse in modo da ottimizzare i benefici,

dovrebbe sommare i valori del prodotto in senso stretto, quello

dei servizi incorporati e aggiunti e quello proveniente dall’imma-

gine, confrontando il valore complessivo con i costi totali, che

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corrispondono alla somma di quelli finanziari, di quelli dipen-

denti dall’uso e psicologici secondo lo schema proposto da

Kotler-Bliemel.

La domanda è rivolta a soddisfare l’esigenza di chi la eserci-

ta e dipende dalla differenza prevedibile tra la situazione a poste-

riori e quella a priori; il modello considera il prodotto come il

mezzo per risolvere il problema e quindi, ritiene la decisione del-

l’acquisto non dipendente dal bene in senso stretto.

Dopo di che, essendo aumentati la capacità di spesa del con-

sumatore e, in parallelo, la qualità alimentare e i prezzi, le scelte

strategiche, nel contesto attuale, sono le seguenti:

- mantenere il livello qualitativo, abbassando i prezzi rispetto alla

concorrenza;

- elevare la qualità, mantenendo i prezzi della concorrenza (stra-

tegia di differenziazione);

- rivalutare la qualità restaurando l’immagine dei beni tradiziona-

li e recuperando i prezzi che erano stati svalutati dall’incuria del

passato.

Quest’ultima scelta strategica interessa il Pecorino Siciliano,

gli altri formaggi e gli altri prodotti tipici, ridimensionati nei prez-

zi negli ultimi decenni per mancato adeguamento alle esigenze

dei nuovi mercati dinamici. In questo caso la ripresa dei prezzi

dipenderà dal restauro dell’immagine che il ricorso alla storia

potrebbe rendere possibile in tempi brevi e che le strategie ope-

rative, tra cui il 2001, anno dei formaggi tipici italiani, dovrebbe-

ro enfatizzare.

Le piccole e medie aziende si distinguono dalle altre per la

produzione di alimenti con accentuate particolarità e destinati a

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mercati ristretti. La strategia diventa per forza quella della seg-

mentazione, essendo non facile competere sugli stessi mercati

con le grandi imprese. Nel caso in cui ci fosse, come alle volte

c’è stata, flessione nei segmenti tradizionali interni, provocata dal

distacco dai modelli di consumo tradizionali sul mercato origina-

rio, oggi verrebbero in soccorso il turismo e il commercio elet-

tronico.

Tutto questo presuppone sempre e comunque la discesa in

campo dei produttori organizzati con corrispondente concentra-

zione dell’offerta, accompagnata da strategie mercantili che sap-

piano trarre vantaggio dalla nuova immagine dei formaggi tipici,

laddove per immagine si considera l’insieme combinato di tutte

le azioni organizzative ed operative capaci di affrontare e risol-

vere finalmente i gravi problemi in cui si dibattono da tempo for-

maggi e altre tipicità.

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