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Tratto da S. Kanizsa (a cura di), Oltre il fare. I laboratori nella formazione degli insegnanti, Edizioni Junior-Bambini Srl, Reggio Emilia 2017 (parte online), ISBN 978-88-8434-798-5 1. Introduzione A partire dal secolo scorso la perdita di spazi naturali e biodiversità, il crescente processo di inurbamento e il degrado ambientale ci hanno allontanato sempre più dai sistemi ecologi da cui però, ovviamente, continuiamo a dipendere, pur con sempre minor consapevolezza. Sebbene il nostro stile di vita, di popoli cosiddetti sviluppati, renda sempre più difficile percepire il legame indissolubile con le risorse di un pianeta finito e con tempi di trasformazione e riciclo della materia spesso non compatibili con il ritmo frenetico del nostro prelievo e utilizzo, l’emergenza socio-ambientale è oggi sotto gli occhi di tutti, tanto da rappresentare per alcu- ni un’urgenza che impone finalità educative nuove e un rinnovamento profondo dell’intero sistema formativo (Orr, 1992; Morin, 2001; Mortari, 2001; Bocchi, Ceruti, 2004; Edwards, 2005; Sterling, 2006). Da oltre quindici anni il nostro lavoro all’interno del Corso di laurea di Scien- ze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi di Torino prevede inse- gnamenti e laboratori che rientrano nell’ambito dei fondamenti e della didattica delle Scienze Naturali che noi conduciamo nella convinzione che la formazione primaria e, dunque, la formazione iniziale dei suoi insegnanti, debba farsi carico di promuovere un modello socio-culturale improntato sui valori della sostenibilità e contribuire far maturare nelle giovani generazioni un’identità ecologica forte e consapevole. omashow (1996) definisce “identità ecologica” il modo attraverso cui percepiamo noi stessi in connessione, in relazione, con gli ecosistemi naturali e con le risorse che il nostro pianeta ci mette a disposizione. Lavorare su ciò, ave- re questo come ideale educativo, ha significato trovare nuovi modi di veicolare i contenuti delle scienze della terra e della vita, ma soprattutto ha significato inve- stire tempo e risorse sulla progettazione e organizzazione di laboratori, di contesti educativi a forte componente emotiva e, quindi, in grado di rispondere in modo più efficace alle nostre finalità didattiche. Nell’insegnamento delle scienze, infatti, Dal golem di argilla agli haiku in natura: alla ricerca di una nuova identità ecologica Marco Davide Tonon 1,2 , Anna Perazzone 1,3 e Andrea Caretto 1,4 1 iris - Istituto di Ricerca Interdisciplinari sulla Sostenibilità (www.iris.unito.it) 2 Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino 3 Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, Università degli Studi di Torino 4 Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Torino

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Tratto da S. Kanizsa (a cura di), Oltre il fare. I laboratori nella formazione degli insegnanti,Edizioni Junior-Bambini Srl, Reggio Emilia 2017 (parte online), ISBN 978-88-8434-798-5

1. Introduzione

A partire dal secolo scorso la perdita di spazi naturali e biodiversità, il crescente processo di inurbamento e il degrado ambientale ci hanno allontanato sempre più dai sistemi ecologi da cui però, ovviamente, continuiamo a dipendere, pur con sempre minor consapevolezza. Sebbene il nostro stile di vita, di popoli cosiddetti sviluppati, renda sempre più difficile percepire il legame indissolubile con le risorse di un pianeta finito e con tempi di trasformazione e riciclo della materia spesso non compatibili con il ritmo frenetico del nostro prelievo e utilizzo, l’emergenza socio-ambientale è oggi sotto gli occhi di tutti, tanto da rappresentare per alcu-ni un’urgenza che impone finalità educative nuove e un rinnovamento profondo dell’intero sistema formativo (Orr, 1992; Morin, 2001; Mortari, 2001; Bocchi, Ceruti, 2004; Edwards, 2005; Sterling, 2006).

Da oltre quindici anni il nostro lavoro all’interno del Corso di laurea di Scien-ze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi di Torino prevede inse-gnamenti e laboratori che rientrano nell’ambito dei fondamenti e della didattica delle Scienze Naturali che noi conduciamo nella convinzione che la formazione primaria e, dunque, la formazione iniziale dei suoi insegnanti, debba farsi carico di promuovere un modello socio-culturale improntato sui valori della sostenibilità e contribuire far maturare nelle giovani generazioni un’identità ecologica forte e consapevole. Thomashow (1996) definisce “identità ecologica” il modo attraverso cui percepiamo noi stessi in connessione, in relazione, con gli ecosistemi naturali e con le risorse che il nostro pianeta ci mette a disposizione. Lavorare su ciò, ave-re questo come ideale educativo, ha significato trovare nuovi modi di veicolare i contenuti delle scienze della terra e della vita, ma soprattutto ha significato inve-stire tempo e risorse sulla progettazione e organizzazione di laboratori, di contesti educativi a forte componente emotiva e, quindi, in grado di rispondere in modo più efficace alle nostre finalità didattiche. Nell’insegnamento delle scienze, infatti,

Dal golem di argilla agli haiku in natura:alla ricerca di una nuova identità ecologica

Marco Davide Tonon1,2, Anna Perazzone1,3 e Andrea Caretto1,4

1iris - Istituto di Ricerca Interdisciplinari sulla Sostenibilità (www.iris.unito.it)2Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

3Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, Università degli Studi di Torino4Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Torino

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la dimensione affettiva è estremamente importante: provare sentimenti positivi nell’atto del pensare, del conoscere e dell’agire è cruciale nel miglioramento del processo di apprendimento. Le sfere cognitive e affettive devono essere integrate al fine di realizzare un insegnamento delle scienze che educhi all’ambiente, attraverso un senso di relazione interdipendente che è essenziale per sviluppare comporta-menti pro-ambiente, senso di responsabilità e consapevolezza. Molti studi testimo-niano come le emozioni vissute in attività coinvolgenti siano in correlazione con un apprendimento significativo dei concetti scientifici (Littledyke, 2008; Zuway-R Hong, Huann-ShyangLin, Lawrenz, 2011; Davila Acedo et al., 2015).

2. In natura

È nei laboratori che si riescono a coniugare conoscenze, esperienze e azioni, per poi riflettere su quanto osservato e prodotto in momenti di condivisione che hanno l’obiettivo di trasformare il mondo percepito in nuovi modi pensare e agire (Angelotti et al., 2009).

Anno di prima

attivazione

Studenti coinvolti

Anno 2015/16

(NO)

Aula/Campo(solo NO)

RIELABORAZIONE

M.P. Alla scoperta delle risorse naturali

2007/2008 140 3/13 Performance artistiche

Avventure e giochi in Natura 2014/15 25 3/13 Metariflessione

Il mondo invisibile 2015/16(2000/01)

50 8/8 Metariflessione

Educazione alla sostenibilità 2003/04 - 12/4 Progettazione didattica

Scoprire l’ambiente montano attraverso l’escursione

didattica

2003/2004 35 3/22+ tirocinio indiretto

Metariflessione e progettazione didattica

Noi e la Natura: un rapporto spesso dimenticato

2006/07 25 3/22+ tirocinio indiretto

Metariflessione e progettazione didattica

Con il tempo la progettazione dei laboratori, che nella riorganizzazione del Corso di laurea sono divenuti necessariamente più brevi allargandosi però ad un numero maggiore di studenti, ha progressivamente privilegiato il lavoro in campo rispetto a quello svolto in aula.

Infatti, dal punto di vista metodologico, i contesti naturali sono caratterizzati da elementi essenziali in grado di attivare contemporaneamente le tre sfere che

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rendono l’apprendimento davvero significativo. Da un lato la sfera cognitiva con l’esperienza diretta a contatto con i sistemi ecologici che vengono scoperti o ri-sco-perti con occhi nuovi. Si raccolgono campioni, si analizza il dettaglio, si allarga lo sguardo all’ambiente complessivo, si immaginano relazioni fra diverse componen-ti, si cercano tracce per ricostruire processi e trasformazioni avvenute nel tempo... Tutto questo porta a muoversi attivamente nell’ambiente, percependo cose nuo-ve, esplorando con curiosità luoghi che non fanno parte della quotidianità e che, proprio per questo, consentono di avventurarsi ed emozionarsi attivando pensieri nuovi. Accanto alla sfera cognitiva gli ambienti naturali stimolano, dunque, la sfera percettivo-motoria e quella emotivo-relazionale. Quest’ultima, oltre a quanto già abbiamo detto sopra, assume particolare rilevanza quando si dà spazio a percorsi di condivisione. Condividere le esperienze aiuta, infatti, a costruire significati che vanno oltre il proprio punto di vista e la relazione con gli altri diventa parte stessa di un percorso educativo che, invece di chiudersi, apre nuove strade da percorrere. Il laboratori residenziali riescono perciò ad essere particolarmente efficaci: non c’è confine fra il momento in cui si lavora, quello in cui ci si diverte, quello in cui si condivide un pasto e quello in cui ci si esprime di fronte agli altri facendo emergere qualcosa di sé che, in contesto diverso, rimarrebbe probabilmente nascosto.

La sfera percettivo motoria è, invece, fondamentale per lo sviluppo dell’autono-mia personale: si impara a muoversi su territori inusuali, sconnessi e diversi dagli ambienti urbani, si cerca di riconoscere elementi di pericolo, valutandone il rischio e imparando a prevenire o ad affrontare tali situazioni e, infine, ci si abitua a com-portarsi (e a vestirsi) in modo adeguato in risposta alle variazioni meteorologiche e climatiche del luogo. Oltre a ciò l’utilizzo consapevole dei nostri sistemi percettivi induce processi di meta-riflessione sui nostri modi di apprendere.

Ecco perché l’ambiente naturale è divenuto il principale scenario delle attività laboratoriali che proponiamo ai maestri in formazione i quali, ge-neralmente, rimangono positivamente colpiti da un processo di apprendimento mai troppo defi-nito a priori e di cui si sentono i principali attori. Senza alcun bisogno di esplicitarlo l’approccio didattico utilizzato determina motivazione e in-clusione creando feedback positivi sia sul piano delle conoscenze disciplinari, sia su quello delle competenze professionali. Se non ti viene offer-ta la possibilità di sperimentare la natura come contesto di apprendimento perché mai dovresti, quando toccherà a te, riconoscervi importanza e investire energie per uscire con la tua classe dall’aula ed entrare, per esempio, in un bosco?

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3. Dal prodotto al processo e ritorno

I sistemi complessi che sono oggetto di studio dei corsi frontali diventano, nei nostri laboratori, contesti educativi con cui si è chia-mati a misurarsi, sottolineando un legame in-scindibile fra la realtà e i modi di conoscerla. Gli ambienti in cui conduciamo gli studenti non sono affatto incontaminati ma carichi di natura e di risorse che vengono percepite, in molti casi, come direttamente connesse all’attività umana. In particolare, due dei nostri laboratori prevedono escursioni in cave di argilla e su affioramenti di gesso in cui, sporcandosi letteralmente le mani, si preleva la materia prima e successiva-mente la si manipola fino a giungere ad un prodotto finito. La produzione di un oggetto a partire dalla risorsa naturale di cui l’oggetto è fatto sposta necessariamen-te la riflessione dal piano ambientale a quello socio-ambientale facendo emergere, in modo pressoché spontaneo, il concetto di sostenibilità su cui si riflette proprio a partire dal processo che ci ha portato alla produzione dell’oggetto stesso (Ingold, 2004; Bennet, 2010; Kagan, 2011; Ingold, 2013).

Sia che si parli in modo esplicito di sostenibilità oppure di un mondo invisibile esplorato dalle scienze naturali, gli studenti sono chiamati ad attivare le loro com-petenze, mettendosi in gioco, cooperando e restituendo al gruppo un prodotto da cui si riparte per una meta-riflessione che arriva a toccare anche il piano professionale.

Il “prodotto” realizzato può configurar-si in modi molto diversi: un’installazione in natura realizzata con materiali naturali (Goldsworthy, 2008; Udo, 2012), una per-formance teatrale, un preparato da osservare al microscopio, la produzione di un pasto da consumare in modo condiviso dopo una rac-colta di piante in natura, oppure la costruzio-ne di una capanna all’interno di un bosco, una poesia, una fotografia...

In ogni caso in ciò che proponiamo si ar-riva sempre, ad un certo punto, a costruire collettivamente qualcosa che ci permette di ri-flettere in termini di processo, svelando come il nostro modo di approcciarci alla realtà sia profondamente condizionato dai nostri saperi,

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dai nostri sensi, dal contesto in cui operiamo e infine anche dai nostri preconcetti. La meta-riflessione che parte dal prodotto finito rende l’esperienza ricca di signifi-cato, più facile da condividere e fortemente connessa agli aspetti di competenza su cui gli studenti vengono costantemente sollecitati all’interno dei corsi universitari. Conoscenze e competenze disciplinari e didattiche si fondono e si con-fondono per poi armonizzarsi in un vissuto carico di significati proprio perché condiviso.

4. Estetica ed ecologia: uno studio sugli aspetti formali della realtà

La tradizione del pensiero moderno occidentale, che si è poi riflessa nel sistema educativo, induce a pensare all’arte e alla scienza come due sfere separate: la scienza è il regno del razionale, del cognitivo e dell’indagine; l’arte il campo della creativi-tà, dell’estetica e dell’intuitivo.

Tale dicotomia riflette, in qualche modo, l’orizzonte antropologico della cultu-ra occidentale di natura vs cultura, e si è rivelata decisiva nell’elaborazione dell’idea di progresso positivista che sta alla base di un modello di società decisamente poco sostenibile, che interpreta la natura come materia inerte da prendere e manipolare a proprio piacimento.

In realtà l’arte e la scienza coinvolgono entrambe pensiero, intuizione, imma-ginazione e ricerca. Etimologicamente, il termine “estetica” (dal greco aisthetikòs) significa “conoscenza delle cose attraverso i sensi” e il modo in cui l’ambiente viene percepito è oggi considerato tra i fattori più importanti nel determinare il modo in cui le persone si relazionano e “utilizzano” la natura. Estetica ed ecologia possono, quindi, essere considerati complementari e interdipendenti.

Nei laboratori proposti arte ed ecologia convergono in una forma di ricerca transdisciplinare che prevede un’apertura mentale spesso molto carente nelle no-stre scuole.

L’arte investiga le dimensioni multiple della realtà in modo intuitivo: relazioni sociali, valori morali, concetti filosofici ma anche aspetti formali e fisici della ma-teria. L’ecologia, dal canto suo, utilizza un approccio alla realtà di tipo sistemico, concentrandosi sulle relazioni fra le componenti biotiche e abiotiche, fra le struttu-re e le funzioni, fra gli oggetti e il contesto. Per entrambe la forma è l’espressione di forze incorporate, ed è una proprietà emergente dalle interazioni nel contesto in cui si essa si sviluppa. Ma mentre lo scienziato cerca la spiegazione dei fenomeni natu-rali per il bisogno di comprendere meglio il mondo, l’artista agisce come mediatore tra l’uomo e il mondo: indaga l’ordine delle cose, poi lo rigetta e si serve dell’espe-rienza per ricostruire un ordine nuovo che avrà caratterizzato con la sua impronta. Dal punto di vista educativo questa mediazione tra ciò che già siamo, percepiamo, sappiamo e una realtà nuova, è estremamente liberatoria e preziosa perché in grado di innescare il cambiamento in noi stessi e nella realtà di cui facciamo parte.

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Il golem d’argilla costruito collettivamen-te, pezzo a pezzo, a partire dalla materia pri-ma prelevata dalla cava, è una forma sim-bolica che racconta di noi e del luogo che è stato palcoscenico di una relazione nuova e al tempo stesso antica. L’haiku, scritto in-dividualmente e interpretato nell’immagine fotografica realizzata da altri, ci parla di un legame profondo, condiviso, ma vissuto da ognuno a suo modo. La capanna costruita nel bosco è rifugio progettato insieme e rea-lizzato in funzione di un contesto e delle sue risorse, ma anche in funzione di un nostro modo di interpretare quel luogo e di una nostra sensibilità estetica che rende quel ri-paro unico e irripetibile.

La ricerca sugli aspetti formali della realtà è alla base degli studi sulla complessità: l’e-cologia e l’arte esplorano entrambe questo campo e didatticamente l’intreccio risulta interessante e assai efficace anche rispetto alle competenze professionali di un futuro insegnate. Riflettere in termini di sistemi complessi è, infatti, qualcosa di estremamen-te pertinente alla realtà educativa: l’insegna-mento scolastico innesca ma non determina nessun cambiamento nell’identità cognitiva del soggetto che apprende; l’acquisizione del sapere è l’esito di un processo di trasforma-zione che attiviamo in virtù della nostra sto-ria personale! E allora più gli stimoli sono diversificati più è probabile che si riesca a raggiungere tutti, attivando molteplici for-me di costruzione della conoscenza capaci di dialogare e avviare cambiamenti effettivi.

5. La raccolta come atto estetico

La raccolta in natura è una modalità che esplora un intreccio ecologia/arte/sostenibilità di tipo particolare. La raccolta di erbe in un prato o di ciottoli su

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un greto fluviale sono atti estetici perché coinvolgono tutte le nostre modalità di percezione e l’impulso naturale e ancestrale del raccogliere per costruire qualcosa o per nutrire il nostro corpo; il successivo allestimento di una installazione artistica che racconti di noi o la realizzazione di un pasto condiviso con ciò che si è raccol-to richiede studio, conoscenza, sia rispetto a quanto si è raccolto sia rispetto alle necessarie trasformazioni. Gli oggetti così raccolti sono facilmente contestualizzati con l’ambiente nel quale si trovano, direttamente in relazione con i processi che li hanno generati e trasformati fino a renderli come li vediamo; essi raccontano sto-rie biologiche e geologiche del territorio che permettono di ricostruire le relazioni spaziali e temporali degli ecosistemi. Inoltre, c’è una forte dimensione affettiva in ciò che si raccoglie: la raccolta non è casuale ma generata da senso di curiosità e di scoperta poiché le forme raccolte hanno colpito la nostra attenzione e sono cariche di emozioni.

Gli studenti nei laboratori compiono esperienze di raccolta attraverso “incontri estetici” con i materiali naturali e il paesaggio che li contestualizza, sperimentando un’ontologia non-gerarchia dove viventi e non viventi, materiali organici e inor-ganici sono sullo stesso piano. Qui, i consueti dualismi forma/sostanza, organico/inorganico, uomo/animale perdono di significato, lasciando spazio all’immagina-zione delle possibili storie dei materiali, delle loro trasformazioni e della colloca-zione all’interno di un ciclo onnicomprensivo in cui la vera essenza è la forma della materia. In tutto ciò assumono particolare significato la passione per la scoperta, la conoscenza e la cura verso l’oggetto/soggetto, la sua forma e le relazioni tra tutte le sue diverse componenti originate dalla materia stessa in un contesto ambientale specifico. L’umanità, all’interno di questo contesto, risulta essere solo una delle tante possibili manifestazioni della materia, una componente di tutte le forme di vita correlate e ciò porta, inevitabilmente, ad una messa in discussione radicale del paradigma antropocentrico.

6. Il feedback degli studenti

Alla fine dei laboratori chiediamo ai nostri studenti di scrivere un commento libero sul percorso condiviso (impressioni, suggerimenti, aspetti critici ed elementi positivi...) La word-cloud qui sotto è stata prodotta utilizzando quegli elaborati. Le parole più ricorrenti fanno riferimento all’attività pratica e all’esperienza. Ma a ben vedere sono molti i termini che rivelano aspetti emozionali e di interazione fra il sé (me), la natura e gli altri. Un modo di conoscere diverso che attiva pensieri, fa riflettere e che è sicuramente apprezzato!

Dai commenti dei futuri maestri emerge soprattutto il vissuto personale, ovvero le riflessioni che le attività hanno innescato rispetto al proprio modo di conoscere, rapportarsi con sé stessi, gli altri e la natura.

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È stata un’esperienza che mi ha permesso di riflettere e soprattutto di soffermarmi su alcuni aspetti; per esempio sulla percezione della realtà e sulla relazione che ho con essa. Inizial-mente pensavo che questo laboratorio mi sarebbe stato utile soprattutto per l’insegnamen-to, ma in realtà è stato molto utile per me stessa.È stato stimolante mettermi alla prova facendo cose che non ho mai fatto [...]Il fatto di mettersi in gioco a livello personale ed emotivo per me è stato difficile, ma pian piano mi sono sciolta un po’ e sono riuscita ad entrare nello spirito di gruppo e ad espri-mermi di più.

L’aspetto professionale compare, talvolta, di sfuggita, come se le esperienze fatte avessero bisogno di più tempo per essere rielaborate in quella chiave.

Opportunità di vivere tre giorni in condivisione a contatto con la natura scoprendo nuove cose di essa e di se stessi. Attività molto stimolanti sia per me stessa che con sguardo rivolto alla didattica.

In effetti è la riflessione sul piano personale che permette alle competenze professionali di maturare. Per questo nei nostri laboratori parliamo poco di scuo-la e di tutte le possibili trasposizioni delle attività nella didattica della scuola dell’infanzia e primaria. È un aspetto importante, da non trascurare ma che, al tempo stesso, non può che appoggiarsi ad un cambiamento che è innanzitutto individuale. Solo ciò che abbiamo vissuto sulla nostra pelle ci rende davvero con-sapevoli circa l’efficacia che quell’esperienza può avere all’interno di un nuovo contesto educativo. Per favorire e monitorare meglio questo aspetto negli ultimi anni abbiamo messo a punto un progetto sperimentale che ci vede collaborare con l’ufficio di coordinamento del tirocinio nel Corso di laurea. Gli studenti che ne fanno richiesta possono agganciare ad un laboratorio residenziale frequentato un breve percorso di tirocinio indiretto (1 cfu = 25 ore) in cui, grazie agli in-segnanti tutor, le esperienze laboratoriali vengono riprese a distanza di qualche mese e condivise con modalità nuove che spostano la riflessione dal piano perso-nale a quello professionale.

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In questi anni abbiamo continuamente sperimentato e innovato i percorsi pro-posti, mettendo in gioco noi stessi e spesso divertendoci ed emozionandoci al pari dei nostri studenti. Lo abbiamo fatto insieme intrecciando e lasciando dialogare sensibilità, competenze e discipline diverse. La codocenza è stato elemento essen-ziale e certamente un valore aggiunto che nell’università, così come nella scuola, andrebbe incentivato investendo risorse che sono, invece, sempre più scarse.

Sono contenta che l’università ci abbia dato quest’opportunità.Torno a casa con uno sguardo diverso!

Riferimenti bibliografici

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