Da san Paolo a Dioniso, appunti per un viaggio a ritroso nel tempo fra tarantole e totem

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Da san Paolo a Dioniso Federico Capone appunti per un viaggio a ritroso nel tempo fra tarantole e totem www.sataterra.blogspot.it

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Ricondurre le cause del tarantismo esclusivamente a ragioni di disagio economico e sociale delle popolazioni del Meridione medievale è antistorico e riduttivo. Il tarantismo è esistito da Palermo a Sidone, ha colpito, indifferentemente, uomini e donne, di qualsiasi ceto o classe. Si può dunque supporre un legame con ancestrali culti poi cristianizzatisi?

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Da san Paolo

a Dioniso

Federico Capone

appunti per un viaggio a ritroso nel tempo

fra tarantole e totem

www.sataterra.blogspot.it

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In copertina: raffigurazione da un vaso nolano. Quella sulla sinistra è una Baccante o una

Epimelide? e la figura postale di fronte? un Dioniso che sorge dall’albero o uno dei Mes-

sapi tramutati in ulivi? Un dubbio che dimostra come il legame fra i culti della Grecia e i

culti della Messapia siano da sempre confusi, nel senso di “essere fusi insieme”.

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Da san Paolo

a Dioniso

Federico Capone

appunti per un viaggio a ritroso nel tempo

fra tarantole e totem

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Ogni parte di questo scritto può essere ripresa e rielaborata, purché

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di pagina 6 (rif. http://www.canterbury-archaeology.org.uk/#/viper/4567422170); quelle

delle  pagine  9  e  12  (rif.  http://arturjotaef-numancia.blogspot.it/2013/04/misterios-

antigos-do-vinho-de-dionisio.html); quella in alto a destra di pagina 15 (rif.  Wikipedia)

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Ricondurre le cause del tarantismo

esclusivamente a ragioni di disagio economico

e sociale delle popolazioni del Meridione

medievale è antistorico e riduttivo.

Il tarantismo è esistito da Palermo a Sidone,

ha colpito, indifferentemente, uomini e donne,

di qualsiasi ceto o classe.

Si può dunque supporre un legame con  ancestrali culti

poi cristianizzatisi?

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Vecchia Corinto, museo archeologico

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IntroDa san Paolo a Dioniso pone le basi per un potenziale studio, più

ampio e approfondito, attraverso il quale cercheremo di dare ul-

teriore dimostrazione di come il tarantismo sia legato al culto di

Dioniso  e,  più  in  generale,  di

quanto il culto del figlio di Zeus

fosse vivo nel Salento in era pre-

cristiana e di come si sia riconte-

stualizzato  (cristianizzato,  nel

caso specifico, nel corso dei se-

coli).  Per  fare  questo  abbiamo

cercato di intraprendere un per-

corso a ritroso: partendo da san

Paolo, che qui rappresenta il ri-

sultato finale del processo di ri-

contestualizzazione  /

cristianizzazione,  arriveremo a

Dioniso, soffermandoci, durante

questo viaggio nel  tempo, sulla  figura di Cristo che  funge da

anello di congiunzione fra il dio greco (ma catalizzatore, questo è

tautologico, anche di altri culti e religioni) e il santo cristiano. Ac-

cenneremo i primi due passaggi, poiché saranno oggetto di pros-

simi articoli più approfonditi e puntuali, qui invece proponiamo

quanto già pubblicato, rielaborandolo e ampliandolo, in Viaggio

nel Salento Magico (Capone Editore 2013). 

San Paolo di TarsoIl percorso a ritroso comincia dunque da San Paolo di Tarso che,

pur non avendo conosciuto Gesù  – la sua conversione fece seguito

alla folgorazione avvenuta sulla via di Damasco  –, è considerato il

principale ambasciatore del Vangelo fra le genti; proseguendo

l’opera di evangelizzazione avviata da Gesù e dai discepoli, gli

diviene complementare, fin quasi a sostituirne la figura. Il mira-

5

Vecchia Corinto, museo archeologico,

Dioniso

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colo compiuto in vita a noi più noto e che lo lega al tarantismo fu

compiuto sull’isola di Malta:

«II. Di fatto, acceso un gran fuoco, si ristorarono tutti dalla

pioggia che cadeva e dal freddo».

«III. Avendo poi Paolo raccolto de’ sermenti e messili sul

fuoco, una vipera uscì fuori, per il calore, e gli s’attaccò alla

mano».

«IV. E quando i barbari videro la bestia pendergli dalla mano,

dicevan tra loro: ‘Di certo, egli è un omicida, perché, sebbene

scampato dal mare, la giustizia divina non lo lascia vivere’».

«V. Ma egli, scossa la bestia nel fuoco, non ne risentì male al-

cuno».

«VI. Coloro intanto s’aspettavano ch’egli dovesse gonfiarsi e

cader morto a un tratto; ma, dopo che ebbero aspettato a lungo

e visto che nessun male gliene veniva, mutarono parere, sino

al punto di dire che era un Dio».

Il fatto di essere rimasto immune al morso del rettile velenoso

lo fa divenire, pertanto, protettore dei tarantati, non bisogna in-

fatti dimenticare che, da Palermo a Sidone (da Goffredo di Mala-

terra ad Alberto D’Aquisgrana) la tarantola non è per forza un

ragno: può essere infatti uno scorpione, una scolopendra e finan-

che una lucertola, come ci dice Francesco Cacellieri nella sua Let-

tera. 

Ecco dunque, in breve, cosa lega san Paolo al tarantismo ed a

Cristo.

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Canterbury, cappella

di Sant’Anselmo,

affresco raffigurante

san Paolo nell’atto

di  gettare la vipera

nel fuoco

(1160 circa)

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Attributi comuni a Cristo e a DionisoOra cercheremo di analizzare il rapporto di Cristo con Dioniso,

partendo da un paio di caratteristiche comuni (ma non sono le

sole) che rivestono una importanza fondamentale per la nostra

indagine:

1) ambedue sono concepiti dalla volontà di un dio, per mezzo

di una mortale (Zeus - Semele Spirito Santo - Maria); tale genera-

zione li  fa rientrare nell’ambito divino piuttosto che in quello

umano;  tuttavia,  il  fatto di  essere  stati  originati da una  (non)

unione,  li pone in una situazione non univoca, di confine,  fra

morte e vita; da questa ambiguità scaturisce la loro duplicità ed

il ciclo perenne vita-morte-rinascita, attraverso il sacrifico. Alcuni

vangeli apocrifi parlano di un Cristo spirito ai piedi della Croce,

intento ad osservare il suo corpo patire e perire, sacrificato dunque

dagli uomini per gli uomini. Anche Dioniso, d’altronde, veniva

immolato attraverso l’uccisione di un animale a lui sacro (perché

lo incarnava), quali il toro o la capretta, per propiziarne la rina-

scita che coincideva, poi, con quella della natura. Questo ciclo,

proprio di tutti i culti misterici, rappresenta un cammino verso la

conoscenza; 

2) altro elemento comune è la Croce, simbolo del martirio di Cri-

sto e della cristianità, che, in sostannza era un palo conficcato nel

terreno.

Il palo nel terreno simboleggia l’albero che dona la vita, ha molti

riscontri nelle società arcaiche: anche Dioniso, come vedremo più

fra poco, avrà un particolare legame con tronchi, pietre fitte e più

in generale con i simboli totememici.

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Dioniso nel SalentoNicandro di Colofone, autore greco del II secolo a. C., narra

nelle sue Metamorfosi che in un luogo della Messapia, chiamato

dei “Sassi sacri” e probabilmente collocato presso i “massi della

vecchia”, nel territorio di Giuggianello, ci fu una sfida fra gli in-

digeni e le ninfe Epimelidi:

«[…] Queste cose sono accadute molto tempo prima della spe-

dizione di Ercole. In quel tempo si viveva con le pecore e i pa-

scoli.

Si racconta dunque che, nella  terra dei Messapi, presso  il

luogo chiamato dei Sassi sacri, apparvero le ninfe Epimelidi

che guidavano le danze. I fanciulli messapi, osservandole dan-

zare, abbandonarono le greggi e, dirigendosi verso di loro, af-

fermarono di poter condurre ancor meglio le danze.

Le ninfe non gradirono questo discorso e si gareggiò tra le

parti:  i  fanciulli pensavano di  sfidare donne mortali,  erano

ignari di competere con esseri divini.

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Apulus pastor procax in nymphas mutatus in oleastrum

(ill. Johann Wilhelm Baur, XVII sec.)

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I giovinetti avevano una maniera di ballare semplice, rozza,

come quella che si addice ai pastori, di contro, quella delle

ninfe, si accresceva d’eleganza ad ogni passo. 

Vinti i fanciulli così dissero loro: pazzi, avete sfidato le ninfe

Epimelidi e, poiché siete stati sconfitti, sarete puniti. Fu così

che i pastori messapi, nel luogo stesso ove si erano fermati, vi-

cino al tempio delle ninfe, si mutarono in ulivi: ed oggi, si ode,

di notte, una mesta voce proveniente dalla selva, quasi a la-

mentarsi. Il luogo si appella delle ninfe e dei fanciulli»

Analizziamo  ora  il  racconto  di  Nicandro  di  Colofone.

Un primo indizio, per collocare il luogo e il tempo della battaglia

ce lo fornisce sùbito l’autore: gli avvenimenti risalirebbero ad epo-

che remote «molto tempo prima della spedizione di Ercole» in

un’età  nella  quale  «si  viveva  con  le  pecore  e  i  pascoli». 

La spedizione alla quale si fa riferimento è quella che vede impe-

gnato Ercole all’inseguimento dei Titani Leuterni, rèi di aver sfi-

dato Zeus, definitivamente sconfitti a Santa Cesarea Terme.

Prima di arrivare a quella che oggi è Santa Cesarea Terme, sul

promontorio della Japigia, Eracle sarebbe passato da Giuggianello

e, presso i “Massi della vecchia”, avrebbe lasciato una sua im-

pronta, individuata nel monolite lì presente la cui forma richiama

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Dioniso “degli alberi” o “sorgente dall’albero”

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quella di un piede dalle forme gigantesche; non solo, opera sua

sarebbe anche il “Masso oscillante d’Ercole” del quale parla Ari-

stotele nel De Mirabilibus Auscultationibus: «Nella Japigia, vi è una

pietra talmente grande da non poter essere caricata su alcun carro.

Tale masso è stato alzato e trasferito lì da Eracle, ed attualmente

basta un solo dito per muoverlo», la tradizione popolare locale,

lo  identifica nel  così detto “Furticiddhu della Vecchia e de  lu

Nanni” (“il fuso della strega e dell’orco”). 

Ma torniamo alla leggenda, che esalta i comuni attributi fra le

Epimelidi e Dioniso: ambedue sono protettori delle greggi, degli

alberi ed hanno una spiccata attitudine al ballo, lo stesso Dioniso

è sovente raffigurato nell’atto di uscire da un tronco d’albero così

come ci dice anche Frazer (ma un riscontro l’abbiamo trovato

anche in un vaso nolano, si veda immagine in copertina) nel Ramo

d’Oro, quando afferma che «in un vaso la sua rozza effigie è rap-

presentata sorgente fuori da un alberetto o da un cespuglio. Si

dice che un’immagine di Dioniso fosse stata trovata a Magnesia,

sul Meandro (Magnesia al Meandro, ndr), in un platano rotto dal

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Giuggianello (Le), “Furticiddhu della Vecchia e de lu Nanni” (“il fuso della strega e dell’orco”)

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vento. Era il patrono degli alberi coltivati, gli si offrivano pre-

ghiere perché li facesse crescere, ed era venerato specialmente

dagli agricoltori, sopratutto frutticoltori, che innalzavano la sua

immagine nei loro frutteti in forma di un tronco d’albero natu-

rale.

Si diceva che fosse stato lui a scoprire tutti gli alberi da frutto,

specialmente i meli e i fichi. Lo chiamavano il multi-fruttifero il

dio dai verdi frutti, colui che fa crescere i frutti.

Uno dei suoi titoli era il fecondo o il germogliante; vi era nel-

l’Attica, a Patra, in Acaia, un Dioniso floreale e gli Ateniesi gli sa-

crificavano per la prosperità dei frutti della terra. Tra gli alberi gli

era particolarmente sacro, oltre la vite, il pino. 

L’oracolo di Delfo comandò ai Corinti di venerare un pino spe-

ciale “nello stesso grado del dio”. Ne fecero quindi due statue di

Dioniso con le facce rosse e il corpo dorato. Nelle figurazioni ar-

tistiche il dio e i suoi adoratori portano comunemente un tirso

con una figura in cima. Anche l’edera e il fico erano in special

modo associati con lui. Nel demo attico di Acarne v’era un Dio-

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Melendugno (Le) dolmen “Placa”, in stato di abbandono,

un albero di ulivo sta spostando l’ortostato

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niso dell’edera e a Nasso, dove i fichi si chiamavano meilicha,

c’era un Dioniso Meilichio e il volto della sua statua era fatto di

legno di fico».

Anche il posto dell’incontro, a nostro avviso, non è casuale: quei

“Sassi sacri”, richiamano in toto la Terra d’Otranto, ricca in ogni

dove di pietre cultuali (o pseudo-tali) siano esse dolmen o menhir.

Questi ultimi, in particolare, potrebbero essere legati alla devo-

zione del figlio di Zeus, non di rado rappresentato e venerato con

una semplice pietrafitta (talvolta adorna di rami, a simboleggiare

la natura che rifioriva, perché Dioniso era meilichio, ossia propi-

zio, con particolare riferimento all’albero di fico, e dendrites, ossia

dell’albero, nato dall’albero) e pertanto potrebbero essere una te-

stimonianza del culto di Dioniso in Terra d’Otranto.

Qualcuno obietterà che molti menhir sono di origine medievale,

così come sostiene, in maniera fondata, Paul Arthur. Pur tuttavia,

da antropologi, non possiamo sottrarci dall’andare oltre il dato

“fisico e visibile”, quindi architettonico-strutturale, e ricerche-

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Dioniso “degli alberi” o “sorgente dall’albero”

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remo il valore più profondo di queste pietrefitte che, a nostro av-

viso, coincide col significato cultuale, retaggio, questo sì, di epo-

che remote.

Un esempio pratico di come il simbolo prevalga sulla funzione,

in ambito religioso, è dato dai campanili e dalle campane che, col

loro rintocco, segnalano e avvertono. Oggi se ne potrebbe benis-

simo fare a meno, poiché, a sostituire le campane, basterebbero

degli altoparlanti, più economici e funzionali. Eppure resistono,

dimostrazione contemporanea di come il simbolo prevalga sulla

funzione: la stessa cosa crediamo sia avvenuta per i menhir che

hanno, dalla notte dei tempi e fino al Medioevo, conservato il pro-

prio significato cultuale.

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Giurdignano (Le), menhir “San Paolo” (su impianto dolmenico),

in basso, Supersano (Le), specchia “Torricella”

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Significato attuale del racconto di NicandroMa quella tramandataci da Nicandro è foriera di un messaggio

più che mai attuale per gli sprovveduti salentini: come allora pa-

garono a caro prezzo il voler sfidare un nemico presentatosi sotto

mentite spoglie e furono tramutati in ulivi, così oggi, accogliendo

la grande imprenditoria, straniera e non, si stanno lasciando tra-

scinare in una sfida già persa in partenza.

A farne le spese, stavolta, potrebbero essere non solo gli uomini,

ma anche gli alberi e il territorio, coperto da colate di cemento e

da schiere di pannelli fotovoltaici, costretto a dare alloggio a rifiuti

e gasdotti, per vedere infine i suoi abitanti tramutarsi in pale eo-

liche.

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Goni (Ca) tomba a tumulo e menhir

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Dall’alto a sinistra, in senso orario: Spongano (Le), menhir “Croce”; Vancouver (Canada), Musqueam

Totem pole, (ubicato presso il campus della UBC; Vitigliano (Le) menhir dedicato a Carmelo Bene

(opera di Virgilio Pizzoleo); Gemini di Ugento (Le), menhir “Croce”

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Intro3

San Paolo di Tarso3

Attributi comuni a Cristo e a Dioniso7

Dioniso nel Salento8

Significato attuale del racconto di Nicandro14

Pubblicato online il primo settembre 2013

Sommario

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