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FRANCESCO LUBRANO DA PROCIDA A POZZUOLI: STORIA DI UNA FAMIGLIA FLEGREA AUTORI&EDITORI Monte di Procida

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FRANCESCO LUBRANO

DA PROCIDA A POZZUOLI:STORIA DI UNA FAMIGLIA FLEGREA

AUTORI&EDITORIMonte di Procida

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DA PROCIDA A POZZUOLI:STORIA DI UNA FAMIGLIA FLEGREAdi Francesco Lubrano

AUTORI&EDITORIMonte di Procida

CON IL PATROCINIO DEL COMUNE DI POZZUOLIQuesta iniziativa è contro il sistema della camorra

© Francesco Lubrano

Impaginazione e grafica:Graficart di Luca Iodicevia Cuma, 207 bis80070 Bacoli (Na)

Copertina:Marco Franzese

Finito di stampare:nel mese di dicembre 2018dalla Grafica Montese sncvia Cappella, 27780070 Monte di Procida (Na)

Pubblicazione non venale

Immagini di copertina:In alto: registrazione del matrimonio tra Francesco Antonio Lubrano della Vadera e Margarita Coppola [Archivio dell’abbazia di San Michele Arcangelo di Procida, registro dei matrimoni 1804]; in basso: barche in navigazione da Procida verso Pozzuoli [The Illustrated London News, Londra 1886].

Ringraziamenti:Franco Carannante per le foto, Fabio Cutolo Archivio Storico della Diocesi di Pozzuoli Angelo D’Ambrosio per il paziente aiuto nelle ricerche e nell’interpretazione della grafia di alcuni documenti, Liliana D’Angelo, Fausto Di Mattia Archivio di Stato di Napoli, Ahmed El Ouadih, Maurizio Erto per i preziosi suggerimenti, Vincenzo Figliolia Sindaco di Pozzuoli, Gennaro Gaudino, Raffaele Giamminelli per la realizzazione dell’arme della famiglia Lubrano e per i preziosi suggerimenti, Carlo Iacuaniello Anagrafe del Comune di Pozzuoli, Luca Iodice, Danila Lubrano, Francesco Lubrano fu Ciro per le foto, le notizie e soprattutto il sostegno morale, Pasquale Lubrano fu Paolo e Clelia Serafini per le foto e l’incoraggiamento, Pasquale Lubrano caporedattore del periodico Procida Oggi per il generoso e prezioso aiuto nelle ricerche e le numerose notizie, Andreana Moio e Maria Lenci Biblioteca Diocesana di Pozzuoli, don Francesco Rivieccio Archivio Storico della Diocesi di Napoli, Amedeo Scilla, Pascal Scotto di Vettimo presidente dell’associazione Grande Famille de Procida & Ischia di Parigi per le scansioni di alcune copie dei registri dell’abbazia di San Michele Arcangelo di Procida, Claudio Tenerello ed Erminia Zeno per le foto, Luigi Zeno.

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SOMMARIO

Premessa ............................................................................. p. 5

Il cognome Lubrano ............................................................ p. 8

Origini procidane ................................................................ p. 12

Il trasferimento su terraferma .............................................. p. 16

La nascita del soprannome Mazzuoccolo ............................ p. 21

Un’impresa agricola e la leggenda del tesoro dei Goti ....... p. 23

Un doloroso episodio di cronaca nera ................................. p. 25

Pubblicistica di fine Ottocento: due ‘misteriosi’ articoli ..... p. 28

L’arme della famiglia Lubrano-Mazzuoccolo ..................... p. 30

Albero genealogico sintetico ............................................... p. 32

Appendice: documenti e foto .............................................. p. 33

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PREMESSA

La storia sa esercitare un fascino unico su alcune persone, certamente ne ha sempre avuto su di me. La conoscenza del

passato consente di comprendere non solo ciò che circonda gli individui, ma anche le personali radici e la propria essenza.

Ricostruire e conoscere la storia implica fare ricerche, andare a caccia di informazioni in biblioteche, in archivi, in polverosi uffici, oppure parlare e intervistare i testimoni, i protagonisti degli eventi, coloro che nella propria memoria custodiscono preziose informazioni.

Consultare libri, registri, giornali, documenti, annusare il profumo della polvere, del tempo, riesce sempre a regalarmi emozioni intime.

A volte mi è accaduto di provare la sensazione di poter quasi rivivere eventi lontani, quasi stringere idealmente la mano ad una persona di cui ho tentato di ricostruire alcuni frammenti di vita e di tenerne vive le opere, le passioni, le scelte, o più semplicemente il ricordo.

La ricerca è più un sentimento che una attività fisica o intellettuale. Il sentimento cresce, si amplifica, diventa emozione quando il ritrovamento di un documento regala una goccia di conoscenza di un parente, di un antenato di cui neppure si aveva notizia, di cui anche la memoria familiare aveva perso ogni traccia.

Quel momento, unico nel suo genere, mi è parso capace di fermare il tempo, di portarmi in un luogo e in un istante lontano. Così mi è sembrato quasi di assistere al riavvolgersi del nastro di una vecchia pellicola cinematografica. Ho avuto la sensazione di andare indietro, ancora più indietro, fino all’incontro con il nonno del nonno del nonno...

Un incontro, intimo, emozionante, che mi ha fatto sfiorare con un dito le mie radici, la mia storia, il mio stesso essere.

Tentare di ricostruire la storia della famiglia Lubrano è stata un’esperienza emozionante e unica. Non solo per le notizie ritrovate, in verità non sempre così abbondanti rispetto all’oceano di eventi vissuti

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da ognuno dei Lubrano citati, ma anche per le informazioni riguardanti gli avi di cui non avevo ricordo e a cui si deve ciò che oggi sono.

Per alcuni antenati le notizie sono davvero scarne, ma tuttavia molto molto preziose, perché permettono di recuperarne almeno una minima traccia. Ho cercato di coniugare le notizie storiche, attinte dagli atti ufficiali dell’Anagrafe del Comune di Pozzuoli1, dai registri dell’Archivio Storico Diocesano Angelo D’Ambrosio di Pozzuoli2, dalla Biblioteca Diocesana di Pozzuoli3, dall’Emeroteca Tucci di Napoli4, dall’Archivio di Stato di Napoli5, dall’Archivio dell’abbazia di San Michele Arcangelo di Procida6, dall’Anagrafe del Comune di Monte di Procida7 e dall’Archivio Storico della Diocesi di Napoli8, con altri documenti in possesso della famiglia e con alcuni racconti. Questi ultimi rappresentano l’ultima traccia

1 Da ora ACP.2 Da ora ASDP.3 Da ora BDP.4 Da ora ETN.5 Da ora ASN. Qui, tuttavia, non sono state recuperate notizie riguardanti i Lubrano di Procida del Settecento consultando il catasto onciario. Esso, formato da 77 buste-volumi che vanno dal numero 233 al numero 307, comprende le rivele dei cittadini di Pozzuoli, delle sue borgate e del Comune di Procida. Questo catasto fu formato nel 1756 a conclusione di un lavoro iniziato già nel 1741, dà una fotografia degli stati patrimoniali dei nuclei familiari delle zone citate. ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti Onciari, Pozzuoli, buste 275-276, relative all’isola di Procida, più buste 249-250, 260, 272-274, 277, 286, 306-307. Non è stato possibile consultare le buste 307 I e 307 II a causa delle cattive condizioni in cui versano e per l’inaccessibilità ad alcuni ambienti dell’Archivio. Sul catasto onciario si veda anche M. L. CASTELLANO, Una fonte per la storia economica di Pozzuoli nel Settecento: il catasto onciario, pp. 205-223, in P. AMALFITANO (a cura di), Il destino della Sibilla, mito, scienza e storia dei Campi Flegrei. Atti del Convegno internazionale di studi sui Campi Flegrei promosso dalla Fondazione Napoli Novantanove, Napoli, 27-28 settembre 1985. 6 Da ora ASMAP.7 Da ora ACMP.8 Da ora ASDN

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di una tradizione orale che va sempre più scomparendo, soprattutto nelle nuove generazioni.

Ho cercato di dare a questa ricerca un taglio quanto più oggettivo, anche se in alcuni passaggi mi è piaciuto marcare linee romantiche e narranti. Ho provato a darle un ordine temporale, procedendo di padre in figlio, dalla fine del Millecinquecento fino ai i giorni nostri, focalizzando l’attenzione sulla mia linea diretta di discendenza.

Il mio augurio, così come la mia speranza, è che tanti altri Lubrano, in futuro, possano continuare questo racconto e possano parlare dei tanti antenati che hanno conosciuto o di cui hanno raccolto nuove informazioni. E ancora, che altri Lubrano possano allargare la ricerca, aggiungendo i propri rami e ricostruendo così una storia ancora più completa della Grande Famiglia Lubrano.

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IL COGNOME LUBRANO

Da ragazzo mi ha sempre incuriosito conoscere la storia della mia famiglia. Ho spesso fatto domande di scoperta ai miei

parenti più stretti, a mio padre, a mia zia Maria Rosaria, a mia nonna paterna Maria Angela. Ho sempre avuto la passione di conoscere, ma non sempre la pazienza di annotare tutte le informazioni che riuscivo a trovare. Tuttavia molti elementi sono rimasti infissi nella mia memoria.

Un racconto, in particolare, mi è tornato spesso in mente, quello che riguardava il mio trisavolo Francesco che, stando alla versione della mia nonna paterna, sarebbe giunto a Pozzuoli dall’isola di Procida a bordo di una barca. Con mio padre abbiamo spesso parlato di ciò e del fatto che egli immaginava un’origine spagnola dei Lubrano. Riguardo a quest’ultima possibilità, in verità, non ho ritrovato alcuna traccia.

Recentemente Pasquale Lubrano, caporedattore del periodico Procida Oggi, mi ha manifestato la sua idea che l’origine del cognome Lubrano potrebbe essere legata alle parole Lubiano o Lubiana, quest’ultima capitale della Slovenia, comunque riconducibile ad un’origine est europea.

Ma questa mi sembra più una semplice assonanza, che non una vera etimologia.

Ricercando in internet, tuttavia, ho trovato altre interessanti ipotesi. C’è chi farebbe derivare Lubrano da nomi gotici quali Adubrano o Alubrano9, chi dal Comune di Massa Lubrense10. In tutti questi casi

9 http://www.comune.pettoranellodelmolise.is.it/include/mostra_foto_allegato.phpservizio_egov=sa&idtesto=57&&nodo=nodo0].10 http://www.123genealogie.com/nom-de-famille/lubrano.html. Questo sito elenca le varianti «Lobrano, Lubrano, Lubranot, Plubrano, Lubrana». Aggiunge che «Lubrano est classé au 916885ème rang des noms de famille en France», e fornisce alcune interessanti informazione sull’arrivo dei Lubrano in Francia: «Nom italien fréquent dans

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restiamo nel campo delle supposizioni.Quest’ultima, tuttavia, sembrerebbe essere piuttosto verosimile.

C’è da dire per completezza di informazione che la parola Lubrense, che compone il nome della città di Massa Lubrense, che sostituì nel XIV secolo il precedente aggettivo latino publica (Massa Pubblica), secondo lo storico Gennaro Maldacea deriverebbe dal latino delubrum, che significa tempio e si riferisce all’edificio di culto dedicato alla dea Minerva, costruito all’estremità della penisola11, sul quale sorse poi una chiesa dedicata alla Madonna della Lobra.

Interessante pure ciò che viene riportato ne I Cognomi d’Italia. Dizionario Storico ed etimologico edito dalla Utet di Torino, secondo cui il cognome Lubrano deriverebbe: «Da un personale Lubrano, un Petrus de Lubrianus è attestato nel 1186 [NPI] o da un etnico relativo al toponimo Lobra (dal quale potrebbe dipendere l’antroponimo Lubrano) che ricorre in Marina di Lobra, la parte più pittoresca di Massa Lubrense (in provincia di Napoli) dove si trova anche il santuario di S. Maria della Lobra del 1528; qualche occorrenza potrebbe confrontarsi con Lubriano toponimo in provincia di Viterbo12.

la région de Naples, généralement arrivé en France via l’Algérie. Les Lubrano étaient en particulier très nombreux sur l’île de Procida, si bien que divers noms composés s’y sont créés pour distinguer les familles: Lubrano di Scampamorte, Lubrano di Scandalea (ou Scandalia), Lubrano Lavadera (ou di Lavadera), Lubrano di Figolo, Lubrano di Sbaraglione, Lubrano di Sbardello, etc. On rencontre le même phénomène avec les Scotto (voir ce nom). Le sens de Lubrano est incertain, mais il est tentant de rapprocher ce nom de la commune de Massa Lubrense, à l’extrémité de la péninsule de Sorrente, au sud de Naples. Une fraction de cette commune s’appelle la Marina della Lobra, et doit son nom à un sanctuaire dédié à la Madonna de la Lobra. Cette église aurait été construite à l’emplacement d’un temple dédié à Minerve, et on considère que Lobra correspond au latin “delubrum” (= temple, sanctuaire)».11 G. MALDACEA, Storia di Massa Lubrense, Napoli 1840, ristampa anastatica 1999 in formato *.pdf, p. 25.12 In provincia di Viterbo vi è un comune di 16,6 kmq e 960 abitanti (dati del 2008), denominato Lubriano. Si veda http://www.treccani.it/enciclopedia/lubriano/.

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Il cognome Lubriani è toscano (Livorno, il Pistoiese, ecc.) e romano, con il nucleo più numeroso nella capitale.

Lubrano si piazza al r. 40 a Isernia ma è soprattutto napoletano: Pozzuoli (r. 9), il capoluogo, Bacoli, Monte di Procida; inoltre è ben presente a Livorno e Monte Argentario-Gr, confermandosi cognome tirrenico, costiero e isolano (anche a Procida-Na, Cagliari e Palermo); denomina quasi 2500 portatori. Compare inoltre in alcuni cognomi doppi, tra cui Lubrano Lavadera (e la seconda forma oscilla tra numerose varianti: Lavandera, Lavatera, Lavedera, ecc.), tipica di Procida e di Monte di Procida nel Napoletano; Lubrano Lobianco a Pozzuoli; nonché Lubrano Di Carnuozzo a Monte di Procida, Lubrano Di Figolo sparso, Lubrano di Giunno a Torre del Greco, Lubrano Di Marzaiuolo a Procida (tutte forme inesistenti come primi cognomi o cognomi unici)»13.

Certo è che oggi i Lubrano, sparsi in un pò tutto il mondo, in Italia sono presenti in 205 Comuni ed hanno origini campane, luogo dove sono maggiormente concentrati14.

Non allontanandoci dalle ricerche in internet, secondo il sito Cognimix15, consultato il 30 maggio 2014 e con gli identici risultati il 22 giugno 2018, in Italia ci sarebbero 1.034 famiglie con il cognome Lubrano, di cui 676 residenti in Campania, 82 in Toscana, 62 nel Lazio, 41 in Sardegna, per citare i numeri più importanti.

In Campania la maggioranza, 650, è localizzata nella provincia di Napoli, 12 a Caserta, 8 a Benevento, 4 ad Avellino, 2 a Salerno. Della provincia di Napoli la distribuzione è la seguente: 197 a Procida, 114 a Monte di Procida, 110 a Pozzuoli, 97 a Napoli, 49 a Bacoli, 11 a Giugliano in Campania, 8 a Quarto, 7 ad Ischia, ecc. ecc.

13 AA.VV., I Cognomi d’Italia. Dizionario Storico ed etimologico, volume II, H-Z, Utet, Torino, 2008, p. 1004, voce: Lubrani, Lubrano. 14 Cfr http://www.gens.info/italia/it/turismo-viaggi-e-tradizioni-italia?cognome= LUBRANO#.U2j_oE2KDMw.15 http://www.cognomix.it/mappe-dei-cognomi-italiani/LUBRANO.

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Nella stessa giornata del 30 maggio 2014, consultando il sito Pagine Bianche16, risultavano 996 Lubrano possessori di un numero telefonico fisso, quindi i Lubrano in Italia sono probabilmente vicini ai 2.500 indicati ne I Cognomi d’Italia. Dizionario Storico ed etimologico della Utet.

16 http://www.paginebianche.it/ricerca?qs=lubrano&dv=. Lo stesso sito consultato il 13 luglio 2014 registra 970 utenti con il cognome Lubrano e il 21 settembre 965.

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ORIGINI PROCIDANE

In famiglia si è sempre parlato di origini procidane, in particolare lo sosteneva la mia nonna paterna Maria Angela. Gli elementi che

ho riscontrato ne danno piena conferma.Il primo antenato di cui abbiamo notizie è Battista Lubrano. Questi è

citato nell’atto di matrimonio del figlio Francesco Iacinto. Battista nacque verosimilmente verso la fine del Millecinquecento, quasi certamente a Procida. Sposò Laora (Laura) Schiano, da cui ebbe il figlio Francesco Iacinto17. Questi a sua volta diede alla luce nel 1677 Giuseppe18.

Arriviamo rapidamente alla fine del Seicento, precisamente al 21 novembre 1696, una data molto importante, che apre una nuova finestra sul cognome dei Lubrano. In questo giorno, infatti da Giuseppe e sua moglie Grazia Gaetana Cacciuttolo, nacque Francesco Antonio Andrea19. Il neonato fu battezzato nella chiesa di San Michele a Procida.

17 Francesco Iacinto Lubrano nacque da Battista e Laora Schiano. Il 2 dicembre 1634 sposò (nella chiesa di San Michele Arcangelo di Procida) Angela Mazzella, figlia di Giovanni Vincenzo e Locrecia (Lucrezia) Abbate, da cui ebbe il figlio Giuseppe. Il matrimonio fu celebrato nella cappella di Sant’Antuono di Padua, da don Giovanni Antonio di Iorio (ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1634). Come sua moglie, anche egli era procidano. Sappiamo che ebbe un altro figlio, Andrea, che sposò Agata Schiano (ASDN, Processetto matrimoniale di Nicola Lubrano della Vadera ed Agata Pugliese).18 Giuseppe Lubrano nacque da Francesco Iacinto e Angela Mazzella. Il 18 luglio 1677, orfano di padre e madre, sposò Grazia Gaetana Cacciuttolo (nella chiesa di San Michele Arcangelo di Procida), figlia del fu Sebastiano e Lucrezia Lubrano, da cui nacque Francesco Antonio Andrea. Il matrimonio fu celebrato da don Andrea Scotto di Palumbo vicario curato (ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1677).19 Francesco Antonio Andrea Lubrano della Vadera, nacque il 21 novembre 1696 da Giuseppe e Grazia Gaetana Cacciuttolo, fu battezzato da don Biase Scotto nella chiesa di San Michele di Procida (ASMAP, Libro dei battezzati, volume IX, foglio 79). Sposò (ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1722. Una curiosità: sul libro dei matrimoni la seconda parte del cognome, della Vadera, probabilmente fu aggiunta in un momento successivo alla registrazione: l’inchiostro, infatti ha una tonalità diversa rispetto al resto del testo)

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Fin qui niente di strano, se non che nel libro dei battezzati fu registrato come Francesco Antonio Andrea Lubrano della Vadera.

Proprio così, il cognome “della Vadera” accompagnò quello che fino a quel momento era stato semplicemente Lubrano. Ma perché accadde ciò?

Sull’isola di Procida la famiglia Lubrano era cresciuta sempre di più, così i vari rami familiari usarono aggiungere al primo cognome, Lubrano, un secondo, per distinguersi ed identificarsi. Sembrerebbe addirittura che ad un certo punto abbiano iniziato ad aggiungere finanche un terzo cognome o un soprannome.

Così, il ramo della nostra famiglia, verso la fine del Seicento affiancò al cognome Lubrano quello che divenne un secondo cognome, ovvero “della Vadera”, che poi si trasformò in “Lavadera”. Così ecco vedere la luce i vari Lubrano di Carnuozzo, Lubrano Chiarastella, Lubrano di Cicchitiello, Lubrano di Ciccone, Lubrano di Cippeto, Lubrano di Colonno, Lubrano di Diego, Lubrano di Figolo, Lubrano Lavadera (con le varianti Lavadero, Lavandera, Lavatera, Lavedera), Lubrano Lobianco, Lubrano di Luzio, Lubrano di Marzaiuolo, Lubrano di Negozio, Lubrano di Riccio, Lubrano di Scampamorte, Lubrano di Scorpaniello, Lubrano di Vavaria, Lubrano de Vella, Lubrano di Zaccaria e altri ancora20.

Maddalena Antonia Scotto di Lutio (Luzio), nata il 26 aprile 1701 (ASMAP, Libro dei battezzati, volume IX, foglio 143) dai fu Antonio e Ursolina Assante, il 14 novembre 1722 nella chiesa di San Michele Arcangelo di Procida. Il celebrante fu don Carlo Cacciuttolo. Al momento del matrimonio Francesco Antonio Andrea era orfano di padre. Dai documenti del processetto matrimoniale presenti presso l’Archivio Storico della Diocesi di Napoli, sappiamo che egli era occupato come «terrazzano», mentre la moglie era «maestra di cucire[?]». Entrambi erano analfabeti. Nello stato delle anime del 1727 (ASMAP, Stato delle anime, anno 1727), eseguito dopo la Pasqua, per annotare con C.C., ovvero “confessato e comunicato”, il prete annotò che Francesco aveva 31 anni, sua moglie Maddalena 26 anni e che avevano due figli, Giuseppe di un anno e mezzo e Michele Aniello di sette mesi. Abitavano in località Perillo Centane, all’inizio della contrada. Con loro viveva la mamma di Francesco Antonio Andrea, Grazia Gaetana Cacciuttolo, vedova di Giuseppe, la quale aveva 70 anni. Da Francesco Antonio Andrea e Maddalena Antonia nacque Nicola Tomaso.20 Le preposizioni «di» e «de» che seguono il cognome Lubrano, su alcuni documenti sono riportate con lettera minuscola, su altri con lettera maiuscola. Per uniformità le ho

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Come suggerito da Pasquale Lubrano di Procida Oggi, Lavadera deriverebbe dallo spagnolo e si riferirebbe ad una zona agricola pianeggiante21, da uno scambio con il professor Oscar Poerio, potrebbe avere origini arabe.

Stando alle ricerche effettuate da Pasquale Lubrano di Procida Oggi, i Lubrano Lavadera abitavano in una zona agricola pianeggiante, oggi denominata via Lavadera.

Il secondo cognome Lavadera, tuttavia, fu perso alla nascita di Francesco, Antonio, avvenuta il 20 febbraio 1843. Questi sul registro dei battesimi della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, fu trascritto semplicemente come «Francesco, Antonio Lubrano».

Ma per quale motivo con il solo cognome Lubrano? Forse che suo padre Vincenzo, trasferitosi sulla terraferma, abbia voluto dare vita ad un nuovo ramo della sua famiglia? Potrebbe essere una ipotesi da prendere in considerazione. Oppure che lasciata l’isola il legame con la zona pianeggiante si fosse interrotto e quindi il cognome semplificato?

Molto più semplicemente, potrebbe trattarsi di una dimenticanza. Ovvero, chi trascrisse il cognome alla nascita di Francesco, Antonio commise una omissione e da quel momento la parola Lavadera fu persa.

Consultando i registri dell’anagrafe, quelli diocesani dei matrimoni, delle confermazioni, dei battesimi e dei morti, è ricorrente trovare errori ed omissioni più o meno simili.

Ma non è questa l’unica scoperta riguardante il nostro cognome. Lavadera, infatti è riconducibile solo a Vincenzo (nato il 31 maggio 1814). Suo padre Francesco Antonio22, infatti, così come suo nonno Nicola e il suo bisnonno Francesco Antonio Andrea, furono registrati sui libri

riportate tutte con la minuscola.21 Per completezza di informazione la traduzione della parola spagnola lavadera è lavandaia.22 Nei documenti che ne registrano la morte fu annotato con il cognome Lubrano Lavadera.

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dei matrimoni dell’abbazia di San Michele Arcangelo di Procida con il cognome Lubrano della Vadera, che poi si trasformò appunto in Lavadera.

Tornando ai Lubrano di Procida, essi abitarono in una zona periferica dell’Isola, oggi denominata via Lavadera. Tra il Seicento e il Settecento quest’area era scarsamente abitata, lontana dal centro dell’Isola che da Terra Murata si estendeva verso il basso.

La famiglia continuò la sua permanenza sull’Isola flegrea anche con Nicola Tomaso Lubrano della Vadera23, il quale, però quasi certamente lavorò come agricoltore a Monte di Procida.

23 Nicola Tomaso Lubrano della Vadera, nacque il 30 ottobre 1730 da Francesco Antonio Andrea e Maddalena Antonia Scotto di Luzio. Fu battezzato nella chiesa di San Michele Arcangelo di Procida, sua madrina fu Cecilia Galatola (ASMAP, Libro dei battezzati, volume XI, foglio 62). Sposò (ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1762) il 4 agosto 1762 Agata Rosa Pugliese, nata il 23 novembre 1736 da Giovanni e Ursolina Florentino, sua madrina di battesimo fu Rosa Vinaccio (ASMAP, Libro dei battezzati, volume XI, foglio 119). Le nozze furono celebrate da don Giuseppe Lubrano, economo, nella chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo di Procida. Nel registro dei battezzati della stessa chiesa, quando fu registrato il loro figlio Francesco Antonio, fu annotato anche che essi erano «coniugi di Procida». Nonostante fossero parenti di terzo e quarto grado di consanguineità, i due sposi ebbero la dispensa con Bolla Apostolica da Papa Clemente XIII a fronte di una «pubblica penitenza».Nel corposo processetto matrimoniale presente nell’Archivio Storico della Diocesi di Napoli, si legge che essi «sono poveri e miserabili e vivono alla giornata con la loro fatica ed industria», che Nicola abitava a «Regine Camere» ed era «ortolano». Entrambi i coniugi erano analfabeti.Interpretando il percorso seguito dal prete nel redigere il documento relativo allo “Stato delle anime” del 1779, si ricorda che Nicola Tomaso e Agata Rosa, abitavano alla fine della contrada al confine con la zona La Vadera. Nicola risulta avere 48 anni, Agata 42 e i figli Francesco Antonio 13, Giuseppe 11 e Michele 4 (ASMAP, Stato delle anime, anno 1779).Ventuno anni più tardi, nello “Stato delle anime del 1800” (ASMAP, Stato delle anime, anno 1800), risulta che Nicola avesse 69 anni, Agata 63. Con loro vivevano i figli Michele di 25 anni e Francesco Antonio di 34 anni e mezzo. Quest’ultimo conviveva con Margherita Coppola di 26 anni, dalla quale aveva avuto due figli, Porfirio di 5 anni e Maddalena di 1 anno e mezzo. Nella registrazione di morte di suo figlio Francesco Antonio, fu annotato che Nicola era «colono» (ACMP, Registro degli atti de’ morti, volume 1845, numero d’ordine 2).

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IL TRASFERIMENTO SU TERRA FERMA

Come anticipato, Nicola Tomaso come tanti altri procidani lavorò la terra su quello che era definito il Monte di Procida. Anche

suo figlio Francesco Antonio, pur nascendo sull’Isola, morì su terra ferma. Il suo decesso fu registrato nel libro dei morti della parrocchia di Sant’Anna a Bacoli ed egli seppellito nel cimitero di Monte di Procida24.

Prima di andare avanti con la storia della famiglia, ci sono alcune cose da ricordare. Nell’Ottocento Bacoli faceva ancora parte del Comune di Pozzuoli, di cui ne era una borgata, da cui si distaccò solo nel 1919, inoltre il suo territorio faceva parte della Diocesi di Pozzuoli.

24 Francesco Antonio Lubrano della Vadera, nacque a Procida il 6 luglio 1766, da Nicola e Agata Rosa Pugliese (ASMAP, Libro dei battezzati, anno 1766). Fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di San Michele Arcangelo da don Domenico Mazzella. Sul registro dei battesimi, così come su quello dei matrimoni, fu segnato con il cognome Lubrano della Vadera, tuttavia nell’atto di battesimo di suo figlio Vincenzo e nei successivi documenti che ne registrano il decesso, il suo cognome fu riportato come Lubrano Lavadera.A trentotto anni, il 18 agosto 1804, sposò Margarita (Margherita) Coppola, figlia di Michele e Regina Lubrano Lavadera nella chiesa coadiutoria di Sant’Antonio Abate (ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1804). Nel registro dei matrimoni il nome di sua moglie fu annotato come Margarita, così come nel registro dei defunti di Sant’Anna a Bacoli, quando fu registrato il decesso di Francesco Antonio e così anche nell’atto di battesimo di suo figlio Vincenzo. Nell’atto di matrimonio di quest’ultimo, tuttavia, fu registrata come Margherita. Entrambi i coniugi erano di Procida ed erano parenti in 4° grado di consanguineità. Il decesso di Francesco Antonio, avvenuto il 21 gennaio 1845 alle ore 2.00 del mattino, come detto, fu annotato nel registro dei defunti della parrocchia di Sant’Anna, nella borgata di Bacoli, nel Comune di Pozzuoli, dove fu scritto anche che egli era vedovo (ASDP, parrocchia di Sant’Anna di Bacoli, Libro dei defunti, volume V, foglio 11v., numero 4) e nel registro degli atti dei morti del Comune di Monte di Procida in cui fu annotato che era deceduto nel «paterno domicilio», che era «colono» e che lasciava «sette figli, cioè 4 maschi e 3 femine» (ACMP, Registro degli atti de’ morti, volume 1845, numero d’ordine 2). Fu interrato nella «succursale del Monte».

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Monte di Procida, invece, faceva parte del Comune di Procida, da cui si separò nel 190725, questi ultimi territori facevano parte della Diocesi di Napoli.

Oggi solo Procida fa parte di questa ultima Diocesi, mentre Monte di Procida, già dal 1807, appartiene a quella puteolana.

A volte accadeva che i procidani, che si recavano a coltivare i terreni di Monte di Procida, celebravano i loro riti religiosi nella vicina chiesa di Sant’Anna a Bacoli26, molto più spesso quelli che si insediavano su terra ferma continuavano a celebrare i riti religiosi nella parrocchia di San Michele Arcangelo a Procida. Ciò sicuramente per il legame con l’isola madre, ma anche perché durante il regno dei Borbone i bambini maschi battezzati a Procida potevano beneficiare dell’esenzione dal servizio militare di terra riconosciuto ai procidani27.

Vincenzo Lubrano28, figlio di Francesco Antonio, rientra nella prima

25 R. GIAMMINELLI, I Campi Flegrei dal 1763 al 1991, «Bollettino Flegreo, rivista di Storia, Arte e Scienze», Terza Serie, n. 4, marzo 1997, pp. 47-121 e F. LUBRANO, Bacoli 1824-1919 da Borgata a Municipio, Napoli, 2011.26 È certo che dal loro trasferimento a Pozzuoli, ma anche durante la loro presenza a Monte di Procida, quindi già in pieno Settecento, i Lubrano furono dediti prevalentemente all’agricoltura. Già Nicola risultava essere colono, così come successivamente suo figlio Francesco Antonio e suo nipote Vincenzo. In precedenza a Procida, i loro avi svolsero quasi certamente la medesima attività.27 P. LUBRANO, Procida e Monte di Procida: un solo popolo, due Comuni, “Bollettino Flegreo, rivista di Storia, Arte e Scienze”, Terza Serie, n. 17, giugno 2004, p. 52.28 Vincenzo Lubrano Lavadera, nacque a Procida da Francesco Antonio e Margarita (Margherita) Coppola, fu battezzato (ASMAP, Libro dei battezzati, volume XVII foglio 158) nella chiesa di San Michele Arcangelo di Procida, dal parroco don Giacomo Tortora, il 31 maggio 1814, «nato alle ore 4 della notte scorsa». Certamente come molti procidani, e suo padre prima di lui, si trasferì su terra ferma per lavori agricoli. Fu cresimato nella cattedrale puteolana di San Procolo al rione Terra, dal vescovo di Pozzuoli monsignor Pietro Ignazio Marolda, suo padrino fu Michele Coppola (ASDP, parrocchia di San Procolo di Pozzuoli, Libro dei confermati, volume VI).Il 25 gennaio 1842 sposò con rito cattolico Maria Lubrano di Scorpaniello (ASDP, atti del processetto matrimoniale di Vincenzo Lubrano Lavadera e Maria Lubrano di Scorpaniello).

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casistica. Il suo matrimonio, precisamente il rito religioso, con Maria Lubrano di Scorpaniello, fu celebrato invece a Bacoli proprio nella chiesa di Sant’Anna. Insomma, nato a Procida, domiciliato a Monte di Procida, sposato a Bacoli, nel Comune di Pozzuoli, Vincenzo fu un flegreo a trecentosessanta gradi.

Vincenzo, così come suo padre Francesco Antonio ed ancora prima di lui suo nonno Nicola, lavorarono presumibilmente tutti a Monte di Procida.

Arrivando al legame con la città di Pozzuoli, è certo che i Lubrano di cui stiamo parlando, si siano legati al capoluogo flegreo a partire proprio da Vincenzo, che probabilmente vi si trasferì, e certamente da fuo figlio Francesco, il primo a nascervi, il 20 febbraio 184329.

Maria, di Giuseppe e Rosa Lubrano Lavadera, nacque anch’ella a Procida e fu battezzata nella chiesa di San Michele Arcangelo, il 19 agosto 1819 (ASMAP, Libro dei battezzati, volume XVII, foglio 97), «nata ad ore 6 della notte scorsa». Fu cresimata il 12 novembre 1837, nella cattedrale di San Procolo, dal vescovo di Pozzuoli Pietro Ignazio Marolda, madrina fu Maria Schiano Lo Moriello (ASDP, parrocchia di San Procolo di Pozzuoli, Libro dei confermati, volume XI, foglio 7).Il matrimonio civile fu registrato al Comune di Procida il 17 gennaio 1842, quello religioso nella chiesa di Sant’Anna a Bacoli, nella Diocesi di Pozzuoli. Le nozze furono celebrante dal parroco don Francesco Sommella, dinanzi ai testimoni Michele Lubrano e Pietro Giovanni Tiano. Al momento del matrimonio entrambi risultavano domiciliati a «Monte di Terraferma», ovvero a Monte di Procida.Vincenzo probabilmente si trasferì a Pozzuoli dove, il 20 febbraio 1843, divenne padre di Francesco. Al momento della dichiarazione di nascita a Francesco fu trascritto solo il cognome Lubrano e non Lubrano Lavadera.29 Francesco, Antonio Lubrano, fu il primo della famiglia a nascere a Pozzuoli il 20 febbraio 1843, alle ore 12.00, da Vincenzo e Maria Lubrano di Scorpaniello (ACP, Indice dei nati dal 1821 al 1843). Primogenito, fu battezzato nella chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie a Pozzuoli (ASDP, parrocchiale di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, Libro dei battezzati, volume XXX, foglio 23) dal reverendo don Domenico del Giudice, coadiutore. Il 24 maggio 1847 presso la chiesa Cattedrale di Pozzuoli ricevette il sacramento della confermazione dal vescovo della Diocesi di Pozzuoli monsignor Raffaele Purpo, ebbe come padrino Angelo Martuscello (ASDP, parrocchia di San Procolo di Pozzuoli, Libro dei confermati, volume V, foglio 22).

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Il legame della famiglia Lubrano con la terra ferma, tuttavia è precedente. Come detto Francesco Antonio della Vadera, benché nato a

Il 1° maggio 1867 all’età di 24 anni sposò nella chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie a Pozzuoli, Anna Mirabella, filatrice.Anna, nacque il 3 gennaio 1846 alle ore 10.00 a Pozzuoli da Paolo e Lucia Di Fiore, fu battezzata nella chiesa di Santa Maria delle Grazie il giorno seguente dal parroco, il reverendo don Luigi Ruggieri (ASDP, parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, Libro dei nati, volume XXX, foglio 101). Sposò in prime nozze, il 20 giugno 1863, Gennaro di Roberto, deceduto a Napoli presso l’ospedale degli Incurabili, il 12 luglio 1865. Anna morì a Pozzuoli il 14 giugno 1928 alle ore 13.00 nella sua abitazione in via Vecchia San Gennaro (ACP, Indice dei morti, 1928, n. 200).Sappiamo che fino al suo matrimonio Francesco abitò sempre a Pozzuoli. Egli era colono e come sua moglie non aveva studiato, tanto che sui documenti consultati, negli spazi riservati alle loro firme, sono presenti delle croci.Dal suo matrimonio nacque Pasquale, che fu dato alla luce nella casa di via Solfatara, al numero civico 4. Dai registri della parrocchia di Santa Maria di Pozzuoli e dalla memoria storica familiare sappiamo che oltre a Pasquale, Francesco e Anna ebbero altri figli, Vincenzo, che morì il 3 gennaio 1868 a soli otto giorni di vita (ASDP, parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, Libro dei defunti, volume XI, 1860-1869, foglio 232r), un altro figlio chiamato ancora Vincenzo, che morì il 2 dicembre 1869 a soli tre mesi di vita (ASDP, parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, libro dei defunti, volume XI, 1860-1869, foglio 300v.), poi ancora Gennaro, Ciro, Paolo, Carolina e Vincenzo Perito che avevano adottato. Tra questi ricordiamo Ciro, che nacque a Pozzuoli il 9 agosto 1882 (ASDP, Requisita Ordinandorum 65, ab anno 1895 ad annum 1901, cartella 1104. Da qui apprendiamo che ricevette la tonsura clericale il 23 dicembre 1899, fu ordinato lettore il 19 settembre 1903, accolito il 24 settembre 1904, subdiacono il 27 luglio 1905, diacono il 22 settembre 1906. Ciro, orfano di padre dall’età di tre anni, era sprovvisto del sacro patrimonio richiesto dai Canoni della Chiesa, ovvero di una dote. Grazie al vescovo Zezza ebbe il titolo di cappellaria perpetua, in sintesi si impegnò a celebrare messa nei giorni festivi e in settanta giorni feriali nella cappella privata del fu Giovanni Russo, in cambio di un vitalizio. Così gli fu possibile essere ordinato presbitero) e qui vi morì il 24 aprile 1921 alle ore 8.00 (ASDP, parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, Libro dei defunti, volume XVI, foglio 473, numero 64). Fu ordinato sacerdote il 30 marzo 1907 dal vescovo di Pozzuoli monsignor Michele Zezza dei baroni di Zapponeta.Tornando a Francesco, questi morì a Pozzuoli l’8 ottobre 1885 alle ore 2.00 pomeridiane «senza i conforti di religione per mancanza di tempo» (ASDP, parrocchia di San Procolo di Pozzuoli, Libro dei defunti, volume III, foglio 190r ).

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Procida il 6 luglio 1766, morì su terraferma il 21 gennaio 1845. Il suo decesso fu registrato nel libro dei morti della parrocchia di Sant’Anna a Bacoli30 e nel registro degli atti de’ morti del Comune di Monte di Procida31.

Tornando a Francesco, figlio di Vincenzo, da lui si svilupparono nuovi rami, uno di questi, facente capo al figlio Gennaro32, è rimasto nella zona della Solfatara, mentre un altro in buona parte si è stabilito nella zona costiera oggi denominata via Matteotti e, soprattutto, nella zona localizzata alle falde del monte Barbaro, dove ancora oggi viene identificato con il soprannome Mazzuoccolo.

30 ASDP, parrocchia di Sant’Anna di Bacoli, Libro dei defunti, volume V, foglio 11v., numero 4.31 ACMP, Registro degli atti de’ morti, volume 1845, numero d’ordine 2. Da segnalare un’anomalia, nonostante il Municipio di Monte di Procida sia nato solo nel 1907, il registro dove è segnato il decesso di Francesco Antonio, riporta in copertina l’intestazione «Comune di Monte di Procida». Deve trattarsi di un’aggiunta posteriore.32 Probabilmente a Gennaro fu dato questo nome di battesimo in onore del vescovo beneventano a cui è dedicato il santuario sorto sul luogo del martirio, proprio a pochi metri da via Solfatara.

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LA NASCITA DEL SOPRANNOME MAZZUOCCOLO

Ogni famiglia ha un antenato, la memoria del quale resiste al tempo, mentre la tradizione orale ne trasmette il ricordo di

generazione in generazione. Per noi è il caso di Pasquale Lubrano. Egli nacque a Pozzuoli il 23 gennaio 1876, alle ore pomeridiane 8 e 13 minuti, in via Solfatara, al numero civico 4, da Francesco e Anna Mirabella33. Fu dichiarato il giorno seguente all’anagrafe di Pozzuoli e per questo, probabilmente, sulla lapide della cappella di famiglia nel cimitero puteolano, ancora oggi riportata quale data di nascita il 24 gennaio. In quella data fu invece certamente battezzato nella cattedrale di Pozzuoli34.

Il 12 dicembre 1886 ricevette il sacramento della cresima nella chiesa di San Procolo di Pozzuoli, padrino fu Giuseppe Capuano35.

L’11 aprile 1895, a poco più di diciannove anni, sposò36 Maria Figlioli (Pozzuoli, 28 aprile 1879 - 25 aprile 1961), di Raffaele e Fortunata Cosenza, «donna di casa», dalla quale ebbe dodici figli37, Francesco, primogenito (7 marzo 1896 - 19 dicembre 1977), Anna (1 febbraio 1898 - 2 agosto 1990), Margherita (18 maggio 1900 - 26

33 ACP, Atti di nascita, anno 1876, numero 39.34 ASDP, parrocchia di San Procolo di Pozzuoli, Libro XIV dei battezzati, foglio 34v.35 ASDP, parrocchia di San Procolo di Pozzuoli, Libro VII dei confermati, lettera L.36 Il matrimonio fu celebrato dall’economo curato sacerdote Andrea Aversano. Cfr. ASDP, parrocchia di San Procolo di Pozzuoli, Libro dei matrimoni, volume 1856-1913 - 3, foglio 155v.37 Da Pasquale nacquero dodici figli, che composero una famiglia numerosa, che ha incarnato, in un certo qual modo, il carattere della popolazione puteolana, spesso divisa e non troppo frequentemente unita. Sul carattere dei Lubrano ho intervistato molti parenti, in sintesi sono emerse alcune caratteristiche ricorrenti tra le generazioni successive a Pasquale Lubrano: «silenziosi, introversi, a volte quasi burberi, impegnati in un costante dialogo interiore, generosi».

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agosto 1937), Fortuna (4 febbraio 1903 - 20 settembre 1993), Raffaele (4 dicembre 1904 - 11 dicembre 1989), Ciro (23 novembre 1906 - 27 febbraio 1989), Maria (26 marzo 1909 - 17 dicembre 1990), Antonio (5 luglio 1911 - 26 maggio 1971), Paolo (29 novembre 1919 - 24 marzo 2007) e Maria Grazia (14 novembre 1922 - 17 ottobre 1988). Altri due figli Salvatore (1 gennaio 1916 - 26 giugno 1916)38 e Gennaro (27 settembre 1913 - 19 aprile 1919)39, morirono in tenera età, il primo a sei mesi, sembrerebbe a causa del colera, il secondo a poco meno di sei anni, a quanto pare a causa del vaiolo, due malattie che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fecero molte vittime a Pozzuoli e nella provincia napoletana40.

Pasquale, secondo i racconti di famiglia, era solito infilare un piccolo mazzo di fiori, in dialetto mazzuoccolo nel taschino della sua giacca. Da qui ecco il soprannome familiare.

Il soprannome era frequentissimo tra le famiglie, specie dell’area flegrea. Esso permetteva di identificare un nucleo familiare o, come abbiamo visto per i Lubrano a Procida di identificare i rami della stessa famiglia.

38 ACP, Libro dei morti, anno 1916, numero 216.39 ASDP, parrocchia di San Procolo di Pozzuoli, Libro dei battezzati, volume XVII, 1908-1913, foglio 308, numero 220.40 Su questo argomento si veda A. D’AMBROSIO, Storia della mia terra: Pozzuoli, Pozzuoli 1976, pp. 87-88 e R. ZANNI, Mal’aria romanzo storico. Colerosi, affamati e ribelli di fine ‘800, Viterbo, 2008.

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UN’IMPRESA AGRICOLA E LA LEGGENDADEL TESORO DEI GOTI

Al momento della nascita di Francesco suo primogenito, Pasquale, risultava essere occupato come «colono». Partì

dal nulla nella costruzione della sua azienda agricola. I racconti della tradizione familiare tramandano che iniziò con una falce e, pian piano, con i proventi del suo lavoro acquistò alcuni terreni in contrada Luciano, detta anche contrada Montebarbaro, presso l’attuale via Vecchia Luciano, fino a fargli assumere le dimensioni di una grande azienda agricola.

Alla fine dell’Ottocento a Pozzuoli, era viva e tramandata oralmente una leggenda centenaria, legata ad un presunto tesoro dei Goti41. Durante la ritirata dai Campi Flegrei, i Goti avevano seppellito alle falde del Monte Gauro, detto anche monte Barbaro, un grandioso tesoro. Secondo qualcuno proprio dove Pasquale aveva acquistato i suoi terreni. L’invidia della gente fece sì che la fortuna imprenditoriale di Pasquale e la leggenda divenissero una sola cosa. E così, per molti, il tesoro dei Goti fu da lui ritrovato e utilizzato per l’acquisto di terreni42.

In realtà la sua fortuna crebbe dopo la prima guerra mondiale, allorché il prezzo del vino aumentò fortemente. I vigneti delle terre in affitto in località Toiano produssero una notevole ricchezza e la vendita del vino fu rivolta soprattutto verso il nord Italia e la Francia.

41 Per racconti popolari analoghi si veda R. DI BONITO, Racconti dei Campi Flegrei, Napoli 2004, pp. 23-26.42 Questa non sarebbe l’unica leggenda legata alla famiglia Lubrano. Ce ne sarebbe almeno un’altra, poco conosciuta e poco raccontata, legata ad una maledizione, secondo cui, in passato, un Lubrano avrebbe rapito e fatto sua una religiosa. La Giustizia Divina avrebbe punito quest’uomo maledicendo la sua famiglia per sette generazioni (intervista a Clelia Serafini moglie di Paolo Lubrano).

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Da qui l’acquisto dei fondi in contrada Luciano e la nascita di una lunga rivalità con la famiglia Guardascione, che ancora possiede terreni vicini a quelli dei discendenti di Pasquale.

Operò una scelta coraggiosa, sostituì i poco produttivi ciliegi e le percoche chianelle con agrumi siciliani. Per compiere questa operazione addirittura affittò un veliero e si recò in Sicilia dove acquistò ed importò oltre duemila alberi di mandarini e arance. La sua produzione di agrumi fu tra le prime dei Campi Flegrei. All’attività produttiva affiancò altre commerciali e finanziarie, tra cui il commercio del grano ucraino alla borsa merci di Napoli43.

Nonostante le sue idee socialiste, da attento imprenditore evitò di manifestarle pubblicamente e tanto meno si avvicinò alla politica.

Amante dell’eleganza, del ben vestire, trascorse la prima notte di nozze all’Hotel Excelsior di Napoli. Ebbe intensi rapporti commerciali a Roma, dove spesso si recava alloggiando nei migliori alberghi. Nella Capitale era spesso raggiunto dai figli e dai treni merci che portavano le sue produzioni agricole, soprattutto gli agrumi.

Entrò in contatto con personaggi importanti dell’epoca, tra cui Giuseppe Moscati, suo medico44, con l’avvocato Enrico De Nicola45, futuro primo presidente della Repubblica Italiana, in occasione del processo a Salvatore Torelli, assassino della figlia Margherita e con il sentore Vincenzo Cosenza, magistrato noto per la sua lotta alla mafia46. Di quest’ultimo prese in affitto alcune terre che andavano dall’attuale via Terracciano, zona oggi detta Palazzine, fino a piazza Capomazza.

43 Intervista a Francesco Lubrano fu Ciro.44 Testimonianza orale di Pasquale Lubrano fu Francesco.45 Intervista a Francesco Lubrano fu Ciro.46 A. ALOSCO, La giustizia spiritualizzata: Vincenzo Cosenza (1844-1924), Napoli, 2001.

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UN DOLOROSO EPISODIO DI CRONACA NERA

L’assassinio della figlia Margherita rappresentò una grave perdita per Pasquale. Ella, infatti, dotata di carattere forte e risoluto, era

stata il suo braccio destro negli affari di famiglia.L’omicidio fu la conclusione di un difficile rapporto di vicinato con

Salvatore Torelli. Margherita aveva in affitto un terreno in contrada Pezza, l’attuale Toiano. Tra i confinanti le relazioni erano tese da tempo tanto che, sette-otto giorni prima del ferimento mortale, tra i due c’era stato un altro episodio increscioso.

Secondo quanto c’è scritto nella sentenza di condanna di Torelli, Margherita stava zappando a ridosso del confine. A Torelli parve che la donna avesse sconfinato, così strappatale la zappa, l’aveva levata in alto per colpirla. Solo l’intervento di tale Di Costanzo aveva evitato il peggio.

Ciò che causò l’omicidio fu la mancata costruzione, in comune tra le parti, di una cisterna in cui invogliare l’acqua piovana, della quale avrebbero fatto uso insieme. Il marito di Margherita aveva comprato addirittura una botte per trasportare l’acqua occorrente all’impasto della calce. Tuttavia, il 23 agosto 1937 il proprietario del fondo in località Pezza, Emanuele D’Isanto, inviò a Margherita e suo marito una lettera, in cui si opponeva a quel lavoro. Nella mattinata del 24 agosto, i due coniugi informarono Torelli, il quale secondo la trascrizione presente nella sentenza, si limitò a dire «va bene».

Tuttavia, «mentre era intenta a sbucciare dei fagioli», Margherita fu aggredita e accoltellata alle spalle. Ella cercò di «trovare scampo nella fuga», ma Torelli la raggiunse, la pugnalò alle costole e alla pancia e per meglio far penetrare l’arma, fece peso con il suo corpo. Poi gettatala a terra scappò. Sul posto accorsero il marito e la figlia e fu trasportata all’ospedale. Qui fu interrogata dal pretore di Pozzuoli. Negli atti fu registrato che Margherita aveva riportato otto lesioni al braccio destro, all’avambraccio sinistro, al gomito sinistro, nella parte inferiore

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destra dell’addome, alla sezione anteriore dell’emitorace sinistro, al polmone destro e in varie parti dell’intestino. Fu colpita da peritonite acuta provocata dall’arma da punta a taglio e nonostante un intervento chirurgico, nel pomeriggio del 26 agosto perse la vita47.

Intanto, il 27 agosto, dopo alcuni giorni di latitanza, Salvatore Torelli si costituì ai Regi Carabinieri di Pozzuoli. Raccontò la sua versione dei fatti, secondo cui sarebbe stato minacciato da Margherita e che sarebbe poi riuscito a disarmarla. «Da quel momento», si legge nei documenti della Corte di Assise, «non rammentava più quanto era avvenuto, giacché la mente gli si era offuscata e gli occhi coperti».

Torelli provò inutilmente a giocare la carta dell’infermità mentale. L’esame generale, neurologico e psichico nulla mise in rilievo. Durante il processo, anzi, emerse che tempo prima l’uomo aveva avuto dissidi anche con Francesco D’Isanto, padre di Emanuele, nonché proprietario del fondo preso in affitto da Margherita.

La sua difesa provò ad infangare la memoria della vittima, tuttavia, durante il processo fu conclamato che Margherita era una «donna onesta, ottima moglie e ottima madre».

47 L’episodio fu raccontato, seppure con qualche imprecisione, dal quotidiano Il Mattino. «Fra il colono Salvatore Torelli, di 30 anni e la trentacinquenne Margherita Lubrano, maritata Di Gennaro, proprietari di fondi confinanti siti in contrada Pezza, presso Pozzuoli, non correva buon sangue: la ragione, futile e notevole al tempo istesso, a secondo del punto di vista: entrambi si ritenevano in diritto di usufruire di una cisterna per l’irrigazione delle terre. Se qualcuno si fosse messo nelle vesti di Salomone, forse sarebbe stato evitato il seguito increscioso che, invece, si è deplorato. I due ebbero a riguardo una nuova discussione che presto degenerò in rissa. D’improvviso il Torelli impugnato un pugnale s’avventò contro la donna, vibrandole numerosi colpi, quindi si dette alla fuga. La Lubrano, raccolta da alcuni contadini, è stata trasportata all’Ospedale di Pozzuoli, dove il capo reparto dottor Piccolo Artiaco e il dottore Giulio De Blasi le hanno riscontrato ferite da punta e taglio al torace, penetranti in cavità, con lesioni pulmonari e altre all’addome con ferite intestinali. Dopo l’operazione di laparotomia la Lubrano migliora», Un ferimento a Pozzuoli per il possesso d’una cisterna, in Il Mattino, anno XLVI, n. 203, giovedì 26 agosto 1937, p. 5.

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Salvatore Torelli, nato a Pozzuoli il 12 dicembre 1886, fu arrestato, detenuto dal 27 agosto 1937 e imputato «a) del delitto di cui agli art. 61 n. 4, 575 cod. pen. per avere, in Pozzuoli, il 24 agosto 1937, mediante numerosissimi colpi di pugnale, ed agendo con crudeltà verso la persona, cagionata la morte di Lubrano Margherita, verificatasi il giorno 26 dello stesso mese, b) porto di pugnale, nelle dette circostanze di tempo e di luogo art. 699 C. P.».

L’8 luglio 1939 la Seconda Sezione della Corte d’Assise di Napoli, composta dal presidente comm. Giuseppe Nunzio Volpe, dal consigliere Ferdinando Bello, dagli assessori Ferdinando Bello, Gaetano Marino, Pietro Bove, Gaetano Bruno, Luigi Lardi e Luigi Mazza, ed essendo stato pubblico ministero, sostituto procuratore generale del re, Emilio Leoni, emise la sentenza che condannava l’imputato ad «anni 22 di reclusione, alla liberà vigilata, alle spese processuali, pagamento spese processuali, 2.000 lire a Egidio Di Gennaro marito, 2.000 lire per onorario difesa, 2.560 a Lubrano Pasquale».

Il 3 giugno 1940 la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione del Regno, rigettò il ricorso avverso alla sentenza della Corte di Assise di Napoli e condannò il ricorrente al pagamento delle spese processuali di 500 lire e alla parte civile di 1.500 per spese ed onorari. Successivamente, l’8 maggio 1941, a Torelli furono condonati due anni di pena48.

Per dare degno riposo alla figlia, Pasquale acquistò una cappella gentilizia nel cimitero di Pozzuoli dove tutt’oggi riposa con la moglie e gran parte dei figli. Morì per arresto cardiaco nella sua campagna, in contrada Luciano, il 30 marzo 1942.

48 ASN, Corte di Appello Napoli, Sentenze, Assise, Seconda Sezione, 1939, volume 269, incartamento 34.

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PUBBLICISTICA DI FINE OTTOCENTO: DUE “MISTERIOSI” ARTICOLI

Una curiosità. Alcuni anni fa, durante una ricerca presso la Biblioteca Diocesana di Pozzuoli, ebbi modo di consultare

alcuni numeri de L’Operaio, uno dei primi giornali pubblicati a Pozzuoli e nei Campi Flegrei. Sul numero 77, datato 17-18 gennaio 1891, un articolo intitolato Ferimenti richiamò la mia attenzione. Riguardava una lite tra due giovani, uno dei quali si chiamava Pasquale Lubrano. Ne parlai incuriosito ed allarmato a mio padre che, però, escluse si potesse trattare di suo nonno. Alcuni elementi sembrano dargli ragione: in quella data, infatti, Pasquale Lubrano aveva quasi 15 anni e non 16 come il protagonista dell’articolo. Tuttavia resta un’omonimia e il fatto che gli avvenimenti accaddero in via Vigna, una zona vicinissima a via Solfatara dove Pasquale era nato. Inoltre, all’epoca, non era raro che i cronisti sbagliassero l’età dei personaggi dei loro racconti di cronaca.

Di seguito ecco il testo dell’articolo riportato da L’Operaio:

«Lubrano Pasquale, di anni 16, e Pollice Gaetano, di anni 17, si odiavano a morte, e non lasciavano occasione per dimostrarselo. Il 7 corrente, alle 4 ½ pom., s’incontrarono in via Vigna, e dopo di aversi scambiato ignobili parole, passarono a vie di fatto, ed il Pollice vibrava varii colpi di coltello al Lubrano, ferendolo al torace, alla regione laterale sinistra, sulla colonna vertebrale ed al braccio sinistro»49.

49 Ferimenti, in L’Operaio, organo popolare del circondario di Pozzuoli, anno II, n. 71, 17-18 gennaio 1891, p. 3.

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Lo stesso giornale qualche anno più tardi, nell’edizione di sabato 29 dicembre 1900 pubblicò un’altra notizia, che mi limito a trascrivere perché non ci sono elementi che la colleghino a Pasquale Lubrano:

«Pontillo Michele, conduttore del fondo del cav. Tito Zecca, è stato arrestato per aver venduto L. 990 di vino in danno di costui. Lo stesso Pontillo è stato denunziato da Lubrano Pasquale per furto di aranci»50.

50 In giro per Pozzuoli. Arresto, in L’Operaio, giornale politico amministrativo economico indipendente, anno 12°, serie 3ª, n. 236, 29 dicembre 1900, p. 2.

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L’ARME DELLA FAMIGLIALUBRANO - MAZZUOCCOLO

Occorre premettere che l’araldica è quella «disciplina che tratta delle armi o stemmi. È divisa in due settori: storia degli stemmi,

ossia origine, fioritura e decadenza del loro uso; regole araldiche, ossia disciplina della forma, delle figure, degli ornamenti degli stemmi. […] Il nome a. deriva dall’araldo, cui deve la sua nascita come disciplina sul finire del sec. XII. Con gli araldi infatti ebbe origine l’uso di studiare la storia genealogica delle famiglie e le imprese che le distinguevano, di vigilare su eventuali usurpazioni di titoli e sulla regolarità dei blasoni, di compilare raccolte di stemmi (stemmari) e registri genealogici. […] Solo nel sec. XVII l’a. acquistò caratteristiche di disciplina rigorosa, tanto da divenire nel sec. XIX scienza ausiliaria della storia».

Inoltre è «l’insieme dello scudo e di tutte le figure (pezze araldiche, smalti e ornamenti esteriori), rappresentate e disposte secondo determinate regole, che contraddistinguono, una famiglia, un ente, un ordine militare o religioso, una città, uno Stato. In Italia si usa più comunemente la parola stemma»51.

Detto ciò, sembra giusto ribadire che la famiglia Lubrano di cui parliamo, almeno a partire dalla fine del XVI secolo non può vantare origini nobili, né un’arme, ovvero uno stemma, in cui identificarsi. Come più volte detto, essendo numerosi i discendenti dei vari rami della famiglia Lubrano e non essendo particolarmente uniti tra loro, ho chiesto al professor Raffaele Giamminelli52, storico dei Campi Flegrei ed esperto di araldica, di ideare

51 AA.VV., Grande Enciclopedia, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1971-1986, vol. II, p. 277 e p. 375.52 Raffaele Giamminelli ha pubblicato numerosi articoli, saggi e libri sulla storia, lo sviluppo urbanistico, le tradizioni di Pozzuoli e dei Campi Flegrei, tra cui: Ieri e domani del Rione Terra di Pozzuoli, Pozzuoli, 1972; Le chiese del monte S. Angelo a Pozzuoli (con

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l’arme della famiglia Lubrano, del ramo Mazzuoccolo. Unico scopo di questa richiesta è stato quello di dare a tutti i componenti della famiglia un simbolo di comunanza. In fondo, anche in passato, gli stemmi nascevano anche così, per lo schiribizzo di un membro della famiglia.

Il soggetto dell’arme è stato in un certo senso semplice da pensare, il mazzuoccolo, ovvero il piccolo mazzo di fiori che Pasquale Lubrano era solito mettere nel taschino della giacca e che diede ai suoi discendenti un soprannome familiare53.

Lo scudo a tre punte presenta un campo arancione, su cui il mazzuoccolo, nei colori verde e rosso, è adagiato. Il fogliame, nei colori verde e nero, è sormontato da una testa recisa d’aquila coronata, una delle sette presenti nell’arme della Città di Pozzuoli, che sottolinea il legame della famiglia con la città. In basso, nel cartiglio ripiegato sui lati, evidenziata con un gioco di ombre e luci con i colori bianco e blu, campeggia la scritta «Lubrano-Mazzuoccolo»54.

Angelo D’Ambrosio), Pozzuoli, 1975; Il Convento-Ospizio dei Cappuccini di Pozzuoli. Da casa francescana a casa di ristoro “Vicienzo a mmare” (con Fiorenzo Ferdinando Mastoianni), Napoli, 1983; Raimondo Annecchino. Vita e Opere, Pozzuoli, 1984; Il centro antico di Pozzuoli. Rione Terra e Borgo, Pozzuoli, 1987; L’ospedale di Santo Spirito e la chiesa di Santa Marta a Tripergole a Pozzuoli, Pozzuoli, 1992; Le Terme dei Campi Flegrei. Topografia storica, Milano-Roma, 1992; Pozzuoli. Luoghi, Storie e Personaggi. Articoli da Il Notiziario Flegreo, Pozzuoli, 1994; Il Duomo di Pozzuoli. Evoluzione del tempio augusteo in chiesa cristiana – “episcopium sancti proculi” (con Angelo D’Ambrosio), Pozzuoli, 2000; Ncopp’ ‘a Terra. Usi e costumi degli ultimi abitanti nei ricordi di uno “scugnizzo”. Immagini e note storiche del rione Terra di Pozzuoli, Pozzuoli, 2002.53 Si veda R. ANDREAOLI, Vocabolario Napoletano Italiano, Napoli, 1993, voce: Mazzuóccolo, «calice de’ fiori non aperti, Boccia, Bottone – come ristrette insieme a guisa di mazzo, Mazzucchio» e anche F. D’ASCOLI, Dizionario Etimologico Napoletano, Napoli 1979, voce: MAzzuóCCOLO s.m.: «gemma, bottone, boccio»; etim. dimin. di mazzo nel senso di «foglioline strette insieme» come in un «mazzetto»; vd. ital. «mazzocchio».54 I materiali utilizzati sono stati: tempera e inchiostro di china, più mani di vernice finale aerosol 669, Maimeri, carta Fabriano 4 ruvida, incollata su masonite. L’opera originale, firmata dall’autore, datata 1° luglio 2014, misura cm. 29,5 x 24.

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ALBERO GENEALOGICO SINTETICODELLA FAMIGLIA LUBRANO

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APPENDICE: DOCUMENTI E FOTO

ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1634

ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1634

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ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1677

ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1722

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Recenti foto di via Lavadera a Procida

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ASMAP, Libro dei matrimoni, anno 1762

ASDN, processetto matrimoniale di Nicola Lubrano della Vadera e Agata Pugliese. È la prima eccezionale ricostruzione di albero genealogico della famiglia Lubrano

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ACMP, Registro degli atti dei morti, volume 1845

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ASDP, atti del processetto matrimoniale di Vincenzo Lubrano Lavadera e Maria Lubrano di Scorpaniello

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Don Ciro Lubrano (9 agosto 1882-24 aprile 1921) figlio di Francesco, Antonio Lubrano

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Due immagini di Pasquale Lubrano

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Maria Figlioli

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Francesco Lubrano

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Anna Lubrano (la seconda da sinistra)

Fortuna Lubrano

Margherita Lubrano

Raffaele Lubrano

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Ciro Lubrano

Oresta Marzano e Antonio Lubrano

Maria Lubrano

Paolo Lubrano

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Maria Grazia Lubrano

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Il Mattino, anno XLVI, n. 203, giovedì 26 agosto 1937, p. 5

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L’Operaio, organo popolare del circondario di Pozzuoli, anno II, n. 71, 17-18 gennaio 1891, p. 3