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65 Da LOS ARCOS a LOGROÑO Data 06/05 Tappa 7 Distanza 28 km Abitanti 150.071 Regione LA RIOJA Logroño è un comune, capoluogo della comunità autonoma di La Rioja, la più piccola delle 17 regioni spagnole. Logroño ospita quasi la metà della popolazione dell'intera regione. Situata nel nord della Spagna è un punto di incontro, riferimento e incrocio di strade. La via più famosa, il Cammino di Santiago di Compostela porta alla scoperta della città i pellegrini di paesi lontani. Il suo nome deriva dal termine celtico Gronio che significa guado. I Ro- mani, dei quali nella zona esistono numerose testimonianze nelle rovine di insediamenti antichi, la chiamarono Vareia. Fu occupata dagli Arabi e liberata nel 1092 dal leggendario Cid Campeador (Rodrigo Diaz De Vi- var) da Burgos vissuto dal 1043 al 1099, alle cui gesta s'ispirano i Ro- mances o i cancioneros del Cid, il famoso poema medioevale spagnolo Cantar de mio Cid di autore incerto del XII secolo, due drammaturghi del '600 lo spagnolo Guillen de Castro e il francese Pierre Corneille. A partire dall'XI secolo la città crebbe in importanza per la sua strategica posizione di incrocio strada- le e nel 1431 re Giovanni II di Castiglia le concesse il titolo di "città". Gradatamente la città incrementò le sue risorse economi- che e si allargò demolendo le mura che la rinserravano e si dotò di nuove vie, piazze ed edifici. Appartenuta sempre alla Castiglia, nel 1982, essendosi creata la comunità autonoma della Rioja, ne viene dichia- rata capitale e sede dei relativi organi amministrativi. È sede vescovile.

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Da LOS ARCOS

a LOGROÑO

Data

06/05

Tappa

7

Distanza

28 km Abitanti

150.071 Regione

LA RIOJA

Logroño è un comune, capoluogo della comunità autonoma di La Rioja, la più piccola delle 17 regioni spagnole. Logroño ospita quasi la metà della popolazione dell'intera regione. Situata nel nord della Spagna è un punto di incontro, riferimento e incrocio di strade. La via più famosa, il Cammino di Santiago di Compostela porta alla scoperta della città i pellegrini di paesi lontani. Il suo nome deriva dal termine celtico Gronio che significa guado. I Ro-mani, dei quali nella zona esistono numerose testimonianze nelle rovine di insediamenti antichi, la chiamarono Vareia. Fu occupata dagli Arabi e liberata nel 1092 dal leggendario Cid Campeador (Rodrigo Diaz De Vi-var) da Burgos vissuto dal 1043 al 1099, alle cui gesta s'ispirano i Ro-mances o i cancioneros del Cid, il famoso poema medioevale spagnolo Cantar de mio Cid di autore incerto del XII secolo, due drammaturghi del

'600 lo spagnolo Guillen de Castro e il francese Pierre Corneille. A partire dall'XI secolo la città crebbe in importanza per la sua strategica posizione di incrocio strada-le e nel 1431 re Giovanni II di Castiglia le concesse il titolo di "città". Gradatamente la città incrementò le sue risorse economi-che e si allargò demolendo le mura che la rinserravano e si dotò di nuove vie, piazze ed edifici. Appartenuta sempre alla Castiglia, nel

1982, essendosi creata la comunità autonoma della Rioja, ne viene dichia-rata capitale e sede dei relativi organi amministrativi. È sede vescovile.

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Parto di prima mattina, dopo aver dimenticato da qualche parte il mio bastone telescopico da escur-sione. Il paesaggio è ricco di vigneti costituiti non da filari come in Italia ma da alberelli tenuti bas-si, forse per evitare il vento. Dopo un’ora si arriva a Torres del Rio dove c’è una chiesa ottagonale del Santo Sepolcro. Manco a dirlo, è chiusa come quasi tutte le chiese che incontro lungo il percor-so. Le aprono solo se è orario di Messa. Da Torres c’è un lungo percorso che chiamano rompepier-nas (spaccagambe) per i continui saliscendi per 10 km.. A metà strada c’è Viana, con l’imponente Chiesa di Santa Maria, dove fu sepolto Cesare Borgia il Valentino. Visito la Chiesa per vedere la tomba, ma non la trovo. Allora mi avvicino ad un passante, non faccio neppure a tempo ad iniziare la domanda, che mi dice: C’è una targa fuori la chiesa che indica dove fu sepolto il Valentino. Evi-dentemente tutti giorni si trovano a rispondere alle stesse domande. Trovo la targa, ma non un mo-numento, come mi aspettavo. Infatti la salma del Valentino fu tumulata nella chiesa di Viana, alla destra dell'altare maggiore, ma non a lungo i resti mortali riposarono in quel luogo, perché il vesco-vo di Pamplona volle che fossero riesumati per seppellirli nuovamente in terra sconsacrata e le ossa finirono con il disperdersi. Passando, un tizio mi saluta: Ehi, Peregrino! Buen Camino!

In questa tappa si lascia il Regno di Navarra e si entra nella Regione Autonoma La Rioja, famosa per il vino.

Poco prima di entrare a Logroño c’è un banchetto davanti la casa della Señora Felicia, di cui parla-no le guida quasi fosse un’istituzione del Camino. La Señora è morta, ma la figlia Maria seguita ad accogliere i pellegrini con lo stesso calore, vendendo piccoli ricordini e apponendo il timbro sulla credenziale, a chi vuole. Si entra in città attraverso un grande ponte di pietra sul Rio Ebro.

Pensavo che Logroño fosse un paesetto, invece è una bella cittadina, capitale de La Rioja, piena di fontane, monumenti, belle strade, belle piazze.

Man mano che i pellegrini arrivano all’Albergo, mettono gli zaini in fila lungo il muro del palazzo, in attesa che l’albergo apra. Ogni nuovo arrivato viene invitato a mettersi in fila. Si crea una lunga fila. Arriva anche un vecchio di forse 80-90 anni, con moglie, ma nessuno ha il coraggio di indicar-gli la fila. E infatti, quando l’Albergo apre, entrano tra i primi.

Visto che la fila è lunga, anche le operazioni di registrazione e pagamento si protraggono abbastan-za a lungo. Meno male che c’è una macchinetta distributrice di bibite, perché la stanchezza e il cal-do mi hanno maturato una sete da cammello.

Dopo qualche ora, quando le operazioni di registrazione sono terminate, ritorno dagli hosteleros e chiedo se qualcuno per caso ha abbandonato un bastone. No, non hanno bastoni abbandonati, però hanno un ombrello, se può servirmi. Lo prendo e levo tutte le stecche. Mi va meglio del mio basto-ne, che mi creava i calli sulle mani. Su questo bastone invece appoggio il palmo senza problemi.

La sera vado a cena in un bel ristorante, che si riempie rapidamente di pellegrini; è nella piazza ac-canto alla Chiesa principale, Santa Maria la Redonda. Il menu prevede: primo, secondo, dessert, a scelta, pane acqua e vino, la candela sul tavolo, il tutto per 10 euro. Ci ritornerò.

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L’albergo de Los Arcos, appena lasciato

In cammino

Ora il Cammino è su asfalto

La Chiesa ottagonale del Santo Sepolcro

Ancora si fanno strade stile Roma Antica

Cammino sull’asfalto; in lontananza, Logrono

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La via principale di Viana

La chiesa di Santa Maria, dove fu sepolto Cesare

Borgia

Cesare Borgia, generalissimo degli eserciti di

Navarra e Pontifici morto sul campo, Viana

Viana

Vigneti e fiori

A sinistra un cippo con conchiglia, indicante il

Cammino

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Monumento al peregrino del Camino de Santiago

Vista desde el Puente de Piedra

Hospital de La Rioja

A sinistra,l’albergo e zaini in fila; a destra i proprietari

Campanile con cicogne, Chiesa di Santa Maria del

Palacio

Nido di cicogne sul campanile

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Plaza del Mercado

Plaza San Agustín

Plaza Alférez Provisional

Gran Vía Rey Don Juan Carlos I

Gran Vía Rey Don Juan Carlos I

Gran Vía Rey Don Juan Carlos I

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Fuente del General Espartero en el Paseo De "El Espolón"

Interior Concatedral de La Rioja, Iglesia De Santa Maria de La Redonda

Interior Concatedral de La Rioja, Iglesia De Santa Maria de La Redonda

Interior Concatedral de La Rioja, Iglesia De Santa Maria de La Redonda

Interior Concatedral de La Rioja, Iglesia De Santa Maria de La Redonda

Calle Ruavieja

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Da LOGROÑO

A NÁJERA

Data

07/05

Tappa

8

Distanza

29 km Abitanti

7.105

Regione

LA RIOJA

Nájera è un comune della comunità autonoma di La Rioja. Il nucleo abita-to si trova all'altitudine di 485 metri s.l.m. sulla riva sinistra del fiume Na-jerilla a 27 km da Logroño capitale della provincia e della regione. Nájera è conosciuta per il Monasterio de Santa María la Real con all'interno una pregevole chiesa gotica del XV secolo. Ivi sono custoditi i resti di alcuni re di Navarra e di Castiglia e León, essendo stata la cittadina, in alcuni perio-di della sua storia, capitale di entrambi i Regni. Nel medio Evo fu una tap-pa del Camino de Santiago. I Romani s'insediarono nel I secolo e vi rimasero fino al VI. In questo pe-riodo fece parte di Tritium località posta a 2 km dall'attuale città e fu un centro importantissimo per la produzione e il commercio delle stoviglie di terracotta. Le ceramiche di Tritium furono diffuse in tutti centri non solo della penisola iberica ma anche nei paesi dell'area mediterranea occidenta-le. Durante la guerra d'indipendenza le truppe napoleoniche agli inizi del XIX secolo occuparono la città, imposero forti contribuzioni agli abitanti e saccheggiarono tutto ciò che aveva valore materiale e artistico spogliando la città. Nel 1835 in seguito alla legge di demortisacion che espropriò i be-ni immobili improduttivi degli enti religiosi i Cistercensi abbandonarono l'antico monastero di santa Maria la Real, che a partire dal 1895 fu gover-nato dai Cappuccini francescani. Nel secolo XX la città crebbe lentamente ma con continuità passando dai 1836 abitanti nel 1900 ai 7076 censiti nel 2000. Il Monasterio de Santa Maria la Real fu fondato per i benedettini nel 1056 e dal 1895 è sede di monaci capuccini. Del complesso monastico fa anche parte la chiesa gotica del 1422 di Santa Cruz, che ospita il panteon

reale con tombe di re di Navarra, di Castiglia e Leon. Molto bello è il Chiostro di stile isabellino costruito negli anni dal 1517 al 1528. Il Convento de Santa Elena è del XVII secolo. Il ponte sul fiume Najerilla è del XII secolo e sostituì un ponte esistente già anteriormente al 1020 uti-lizzato dai pellegrini. L'attuale è stato rifatto nel 1883.

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Parto di mattina presto per Nájera con il mio nuovo bastone. La città è quasi buia e deserta; dopo vari incroci cittadini proseguo attraverso il Parque de la Grajera, zona alberata intorno all’omonimo laghetto artificiale. Mi perdo nuovamente seguendo un tizio con zaino in spalla, credendolo un pel-legrino; invece forse era uno che faceva un’escursione da tutt’altra parte. Fortunatamente incontro dei pescatori mattinieri cui chiedo informazioni e mi rimettono sulla strada giusta. Circa a metà per-corso, dopo 13 km, arrivo alla città di Navarrete, famosa per la produzione di ceramica. C’è anche un monumento al ceramista. All’uscita da Navarrete, sul muro del cimitero, una lapide ricorda Alice de Graemer, pellegrina belga morta nel 1986, travolta dal turbinoso traffico della statale che corre parallela al cammino. Proseguendo ancora, a qualche km dalla meta, su una parete di recinzione di una fabbrica di farina, Eugenio Garibay, parroco di un paese vicino, ha scritto un piccolo poema sul Cammino, che riporto più sotto.

La zona è un po’ squallida e disordinata ma Nájera è una bella cittadina sul Rio Yalde, i cui argini cittadini sono pianeggianti, curati e verdeggianti, sui quali donne in costume da bagno prendono il sole.

Arrivo all’Albergo e al solito bisogna aspettare le 2, per l’apertura. Mi metto pazientemente in fila e converso con due ecuadoregni , moglie e marito, ma solo la moglie chiacchiera, e mi chiedo: ma si può traversare l’oceano per venire a fare il Cammino?

Dopo aver ottenuto il letto, esco per comprare qualcosa da mangiare e per comprare qualche paio di calzini di cui ho bisogno. E anche qui trovo un negozio di cinesi: tre paia di calzini spessi per ginna-stica, 2 euro.

Nájera è stata capitale della Navarra fino al 1076, dopo la distruzione di Pamplona ad opera dei mu-sulmani. Il principale complesso architettonico è il Monastero di Santa Maria la Real; siccome bi-sogna pagare per entrare, risparmio.

La città è ai piedi di uno sperone roccioso sul quale si appollaiano o svolazzano numerose cicogne.

La sera vado a cena in un ristorante che una ragazza, mentre eravamo in attesa che l’albergo aprisse, ci aveva reclamizzato mediante volantini. Rigatoni e una trota cotta al momento e di un sapore spet-tacoloso. Tutto al solito prezzo.

In Albergo trovo anche il computer libero e scrivo un’email, quasi in piedi perché non c’è una se-dia, e con la tastiera spagnola: Mi ricordo di quello che andava in bici, ... senza mani,.. poi senza piedi... poi... senza denti.

Date: Thu, 7 May 2009 16:00:56

To: [email protected]> From: [email protected]>

Cristina, inoltra a Manuela, Filippo, Lena, Gabri, Pupi, perché mi e`difficile trovare ogni volta gli indi-

rizzi; ieri sono arrivato a Logroño, che pensavo fosse un paesone tipo Battipaglia ; invece e`una bella

cittadina piena di monumenti, di fontane monumentali, di fiori di strade ben fatte. E`la capitale della

Rioja.

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Questa mattina alle 6,45, sacco in spalla mi sono incamminato per Nájera , 29,5 km e pensavo che

dovevo dividerla in due perché mi sentivo cotto. Invece dopo un'ora ero nuovamente a posto. Pro-

babilmente ieri troppo vino al ristorante. Da oggi niente vino. Siamo arrivati al Nájera e preso posto

in una cameretta dove ci sono forse trenta letti a castello: a sinistra appaiati come fossero matrimo-

niali, per gli uomini, altrettanti a destra per le donne e un po’ di meno al centro, forse per gli ambigui.

Mo' mi riposo fino alle 6, poi vado a fare la spesa e vedere la città, al ristorante e è finita Nájera . A

Navarrete uno mi ha salutato: Ei, Peregrino, Buen Cammino! Ho fatto la strada per un buon tratto

con uno della Navarra trasferitosi a Barcellona. Invece ho come vicino di letto un Belga con

il quale scambiare quattro chiacchiere.

Ci sentiamo domattina.

Il Peregrino

L’Ayuntamento

Il Laghetto de la Grajera

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Navarrete

Monumento al vasaio, a Navarrete

Pellegrini in cammino

Pellegrini in cammino

Poemetto sul Cammino

Ingresso a Nájera

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Polvo, barro, sol y lluvia

es el camino de Santiago

millares de peregrinos

y más de un millón de años.

Polvere, fango, sole e pioggia

è il cammino di Santiago

migliaia di pellegrini

e più di un milione di anni.

Peregrino, ¿quién te llama?

¿qué fuerza oculta te atrae?

No es el camino de las estrellas

ni las grandes catedrales.

Pellegrino, chi ti chiama?

quale forza oscura ti attrae?

Non è il cammino delle stelle

né le grandi cattedrali.

No es la bravura Navarra

ni el vino de los Riojanos

ni los mariscos gallegos

ni los campos castellanos.

Non è la potenza della Navarra

né il vino della Rioja

né i frutti di mari della Galizia

né le campagne della Castilla.

Peregrino, ¿quién te llama?

¿qué fuerza oculta te atrae?

Ni las gentes del camino

ni las costumbres rurales.

Pellegrino, chi ti chiama?

Quale forma oscura ti attrae?

Non sono le persone del cammino

né le usanze della campagna.

Ni es la historia y la cultura

ni el gallo de la Calzada

ni el palacio de Gaudi

ni el castillo de Ponferrada.

Non è la storia e la cultura,

né il gallo della Calzada

non è il palazzo di Gaudì né il castello di Ponferrada.

Todo lo veo al pasar

y es un gozo verlo todo

más la voz que a mi me llama

lo siento mucho más hondo.

Tutto questo vedo al mio passaggio

ed è un piacere ammirare ogni cosa

ma la voce che mi chiama

la sento molto più nel profondo

La fuerza que a mi me empuja

la fuerza que a mi me atrae

no sé explicarla ni yo

sólo el de arriba lo sabe.

La forza che mi spinge

la forza che mi attrae

non so spiegarla nemmeno io

solo chi sta lassù lo sa

Ponte sul Rio Yalde, a Nájera

L’Albergo a Nájera

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A destra il Monastero

La rupe dietro la città

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Da NÁJERA

a SANTO DOMINGO DELLA CALZADA

Data

08/05

Tappa

9

Distanza

21 km Abitanti

5.622 Regione

LA RIOJA

Santo Domingo de la Calzada è un comune situato nella comunità autonoma di La Rioja. Questo paese è stato legato al Cammino di Santiago fin dalle sue origini nel secolo XI. Calzada significa sentiero o cammino. Santo Domingo (San Domenico), un giovane pa-store originario della Rioja, fu educato al monastero di Valvanera e volle entrare nel famoso monastero di San Milán de la Cogolla. Quando la sua richiesta fu accolta, di-venne assistente di Gregorio di Ostia, il legato pontificio, che lo ordinò sacerdote. Alla morte di Gregorio, Domingo si ritirò presso il fiume Oja per condurre una vita e-remitica e assistere i pellegrini che andavano a Compostela. Si chiamò "de la Calzada" per la sua opera nel mantenimento e miglioramento della vecchia strada romana che portava da Nájera a Redecilla del Camino. Nell'anno 1044 costruì un ponte sul fiume Oja, il più famoso di tutta una serie di ponti di cui guidò la costruzione. Edificò anche una cappella dedicata a Santa Maria, un ospedale e un albergo per i pellegrini, oggi ri-strutturato (Parador Nacional de Turismo). Le opere di Santo Domingo in favore dei pellegrini di Santiago non terminarono con la sua morte. Molte guarigioni miracolose di pellegrini, accadute in città, si attribuiscono all'intercessione del santo. Si racconta, ad esempio, di un cavaliere francese posseduto dal demonio che fu liberato dallo spirito maligno davanti alla tomba del santo; o che Bernardo, un pellegrino tedesco del XV secolo che guarì di una infezione purulenta agli occhi durante la visita alla tomba di Santo Domingo. Oggi, nove tavole dipinte decorano una parete della cattedrale e narrano i miracoli del santo.

Timbro dell’Albergo

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Lascio Nájera diretto a Santo Domingo de la Calzada. La strada è in salita per poi scorrere attraver-so i campi, su un altopiano. L’unico paese che si incontra è Azofra, a 6 km da Nájera. Infine il Cammino arriva a Santo Domingo de la Calzada, una delle tappe più importanti del Cammino, che attraversa la cittadina da un lato all’altro.

Mentre mi avvicino alla città, incontro due pellegrini, un ragazzo ed una ragazza, che vanno contro-corrente; io indosso la maglietta azzurra con i colori dell’Italia e loro mi salutano in italiano. Io chiedo se sto andando per il verso giusto, visto che loro vanno in direzione opposta. Mi rispondono che non stanno facendo il Cammino di Santiago, ma vanno a Montserrat, cioè a Barcellona. Dentro di me concludo che il mondo è pieno di matti14: con tutti i Santuari che abbiamo in Italia, loro van-no a Montserrat.

Questa bella cittadina commemora con il suo nome un monaco -proclamato santo- che dedicò gran parte della sua vita a facilitare il passaggio ai pellegrini, costruendo lui stesso il ponte che attraversa il fiume Oja e la strada che unisce la sua cittadina con Redecilla. A Santo Domingo de la Calzada sono attribuiti diversi miracoli, tra loro il più noto è quello accaduto circa 300 anni dopo la sua mor-te e che è conosciuto popolarmente con il nome della Leggenda del Gallo e della Gallina. Questo meraviglioso fatto attrasse durante secoli i pellegrini, che arrivavano a Santo Domingo de la Calzada -proclamata cittadina nel 1134 per concessione di Alfonso XI-, desiderosi di contemplarne qualcuno. Una volta a Santo Domingo, il camminante deve visitare la Cattedrale, magnifico edificio iniziato verso la metà del secolo XII e concluso poi in epoca gotica, che conserva, tra le altre pre-ziose opere d’arte, il mausoleo del Santo ed una pala d'altare maggiore di stile rinascimentale.

Santo Domingo morì qui a 90 anni nel 1109.

Arrivato in Albergo, che è stato inaugurato a marzo del 2008, e quindi è nuovissimo oltre che bel-lissimo, mi assegnano il letto. Il pagamento è a offerta; ognuno offre da tre a dieci euro, ma c’è an-che chi non dà niente. Mi sistemo e vado a fare il bucato. Proprio di fronte all’albergo c’è una la-vanderia a gettoni con asciugatrici. Quando arrivo c’è un altro pellegrino che ha appena iniziato il lavaggio e mi dice che se fossi arrivato un attimo prima avrei risparmiato i tre euro del lavaggio, approfittando della sua lavatrice. Dentro di me penso: meno male... Il tizio è di Verona, gli manca mezzo braccio ed ha un occhio color cenere. Mi dice che anni fa’ fece il giro della Spagna in moto e arrivò fino a Finisterre e poi passò in Portogallo. Quindi ho pensato che a quel tempo il braccio e l’occhio ancora ce li avesse: avrà avuto un incidente di moto?

Nel pomeriggio vado a visitare la chiesa e, seguendo le indicazioni della guida, cerco il famoso mu-seo che illustra la storia di come si costruivano i grandi altari di legno dorato (retablo) che si ammi-rano in molte chiese della Spagna. Lavori che duravano anni. Entro al museo annesso alla Cattedra-le e mi ritrovo in una mostra multimediale; dei retabli non sanno niente. La mostra è molto interes-sante e mi sorprende che una città non grande né importante possa organizzare una mostra multi-mediale di quel tipo, e possa esporre opere molto belle custodite nel Museo Diocesano o prestate

14

Vedi Coelho a pag. 16 e seguente

80

dai Musei Vaticani. Il percorso era dal peccato alla salvazione, alla redenzione. All’ingresso mi hanno dato una carta elettronica e fatta la foto. Con la carta elettronica potevo interagire nei vari pannelli e settori della mostra. Per esempio, nell’illustrazione dei sette vizi capitali, c’era un tizio che mangiava a quattro ganasce; accostando la tessera o la mano, il tizio si sentiva male, vomitava, si torceva dai dolori. Nel pannello illustrante la lussuria, c’era una pittura, mi sembra di Bosch, raf-figurante tanta gente; accostando la mano il quadro raffigura la stessa gente denudata. Nel pannello dedicato all’avarizia c’è un bellissimo anello con un grosso brillante, poggiato su un piano; se fai per prenderlo, non trovi niente perché è un ologramma perfetto. Nel pannello dedicato all’ira, si ve-de una persona che parla tranquillamente ma come ti accosti viene preso da accessi d’ira e succede il pandemonio. Con la foto che mi hanno fatto, mi vedo in processioni penitenziali con il saio da penitente....

Finita la mostra, devo andare alla cassa a restituire la tessera e la cassiera mi dà un biglietto con il quale posso andare all’inferno; visto che non capisco, me lo ripete in inglese, ma capisco ancora di meno. Probabilmente c’è qualcosa in mostra dentro la Chiesa, forse nel matroneo, dove quindi mi dirigo. C’è un’addetta alla quale mostro il biglietto, ma mi dice che, finché c’è la funzione non pos-so accedere. Allora me ne vado a cena alle 7 per ritornare subito dopo. Al ristorante un’ottima mi-nestra di fagioli (senza pasta), una sogliola super ed un dolce ripieno di un impasto simile a quello delle sfogliatelle; il tutto per 9 euro.

Ritorno alla Cattedrale per vedere l’inferno. L’addetta non c’è più. Apro una porta, nella chiesa, pensando che sia l’accesso all’”inferno”, invece è l’accesso al... cesso. Quindi dentro la cattedrale ci sono anche i bagni. Intanto comincia la Messa con due Vescovi; la Chiesa è piena di gente perché, ricorrendo il 9° centenario del Protettore della Città, c’è una specie di giubileo con indulgenza ple-naria. Cori possenti, di voci maschili, mi ricordano quelli in chiesa a Collamato; prima del Sanctus cantano anche il coro dell’Aida. Prima della Comunione invece delle voci maschili, voci femminili cantano canzoni del tipo di quelle delle feste campestri. Il gallo, disturbato dai canti e dalle luci ab-baglianti che non lo lasciano dormire, ogni tanto lancia dei forti chicchirichì. Nella chiesa infatti c’è un’artistica gabbia con una coppia di polli, a ricordo del miracolo attribuito al Santo.

La storia del miracolo è questa. Una famiglia di pellegrini, padre, madre e giovane figlio, prove-niente da Colonia, sostò in una locanda di Santo Domingo per trascorrervi la notte. La figlia del lo-candiere si invaghì del ragazzo e cercò di sedurlo. Il giovane resistette e la ragazza, indispettita, per vendicarsi nascose nella sua bisaccia una coppa d'argento, poi lo denunciò per furto al magistrato del paese. li ragazzo fu perquisito e gli venne trovata addosso la refurtiva: riconosciuto colpevole, fu quindi impiccato come ladro. I genitori, affranti dal dolore, continuarono ugualmente la loro peregrinazione verso Santiago; sulla via del ritorno, con grande stupore, trovarono il figlio appeso alla forca ma ancora vivo, sostenuto per i piedi da San Giacomo. Corsero dunque a dirlo al magistrato, perché il miracolo testimoniava l'innocenza del giovane. Il giudice, interrotto durante il pranzo, non trovò di meglio che ridere di loro, esclamando: "Vostro figlio è vivo, come sono vivi questi polli arrostiti che sto mangiando". Ma, come finì di parlare, ec-co che i polli si rivestirono di piume, ripresero vita e si misero a cantare...

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In Albergo ci sono 4 computer e io ne approfitto per mandare la relazioncina di ieri:

Da: [email protected]

To: [email protected]

Oggetto: RE:

Data: 08/05/09 17:18

Cristina, a gentile richiesta di Lena, che mi ha telefonato (anche Anna mi ha telefonato) faccio una ve-

loce relazione che inoltri a tutti.

Ieri sono arrivato in un paese, Nájera , dove ho dovuto comprare tre paia di calzini in un emporio ci-

nese (2 euro) e sono andato a mangiare in una locanda per pellegrini; primo: porri spettacolosi; se-

condo: trotona con un condimento spettacolare; gelato, pane e coca cola per 8,50.

Questa mattina sono partito alle 6,40 e alle 11 sono arrivato a Santo Domingo della Calzada. Qui

quest'anno e`anno giubilare. Leggete su google dei polli nella chiesa. La chiesa e`molto bella, come

quasi tutte le chiese spagnole.

il Paese non ha niente di particolare ma è tutto pulito. La Spagna secondo me riflette Zapatero, sem-

pre azzimato. L'albergo del Pellegrino è molto caro: si paga facendo un'offerta. Io gli ho dato 3 euro,

ma c'e' chi non da niente, perché la regola e`: dai quanto puoi, prendi quanto hai bisogno. Cioè, vo-

lendo, ti puoi far pagare.

Sono arrivato poco dopo le undici, sono andato a fare la doccia portandomi i vestiti, perché intorno a

me ci stanno tutte donne. Poi ho fatto il bucato 3,50 euro, compreso il sapone e 2 euro per l'essicca-

trice. L'albergo e`molto bello, ho fatto molte foto. C'e` una cucina scicchissima. Poi sono andato a fa-

re la spesa, giusto per domattina e per merenda; e a fare il turista.

Mi sto abituando a camminare; meno male, perché fra poco inizieranno le tappe di 35 - 40 km..

Quanti matti ci stanno in giro: ce n'e`un fiume, quasi tutti in solitario e anche un'infinità di donne,

generalmente sole. Pero e`un tragitto tranquillo. C’è sempre qualcuno dietro a te o davanti a te.

Domani altra tappa corta: 21 km. Oggi ho rivisto un corridore che ci ha sorpassato: porta solo il ba-

stone e un marsupio. Forse spedisce lo zaino. Io mi ero perso il bastone a Los Arcos, allora a Logroño

ho chiesto all'hostelero se per caso qualcuno avesse abbandonato un bastone, mi ha detto: un ba-

stone no, però c’è questo ombrello

se le può essere utile. Ne ho ricavato un bastone da passeggio bellissimo e molto comodo che mi di-

spiacerà dover abbandonare. Alle sei esco a fare le foto alla cattedrale e poi alle sette a cena nei pa-

raggi, sempre a 9 euro.

Se volete venire, vi ospito.

Ciao

Il Pellegrino

Da: [email protected]

To: [email protected]

Oggetto: RE:

Data: 08/05/09 13:13

Caro Papino,

quanto sei bravo.

ma stai facendo le foto?

82

qui tutto bene. Nessuna novità.

Lavoro e mi sto facendo un programma per le nostre pratiche.

Te l'ho detto, vero, che Saverio ha detto che paga?

bacioni

Chicca

Da: [email protected]

To: [email protected]

Oggetto: RE:

Data: 08/05/09 17:29

Manuelina mia bellissima e dolcissima, un bacione

Papa

All’uscita da Nájera

Lungo sentiero solitario in mezzo ai campi

Pellegrini in cammino

Verde e fiori

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Il sentiero in mezzo alla campagna

In lontananza, Santo Domingo de la Calzada

S.to Domingo; in fondo a destra, l’Albergo

A destra, l’Albergo

L’Albergo

Lavanderia autoservizio, di cui si avvalgono i

pellegrini

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Una piazza nelle vicinanze

Una stanza dell’Albergo

Lavatoio dell’Albergo

Un corridoio e la ringhiera in ferro

Le scale

Palazzo dell’Ayuntamento

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Una piazza di S.to Domingo

Una strada di S.to Domingo

La Cattedrale

La Cattedrale

Una via di S.to Domingo

Una piazza; al di là c’è l’Albergo

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Soggiorno dell’Albergo

Cucina dell’Albergo

Targa commemorativa dell’inaugurazione dell’Albergo, 20.3.09, 9° centenario di S.to Domingo

La gabbia dei polli, nella Cattedrale

Statua di Santo Domingo

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Targa nella Chiesa, in cui si riassume il miracolo del

gallo e la gallina

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Uno dei vizi capitali illustrati nella mostra accanto la

Cattedrale (La cicala e la formica)

Cantando la cigarra

pasó el verano entero

sin hacer provisiones

allá para el invierno;

los fríos la obligaron

a guardar el silencio

y a acogerse al abrigo

de su estrecho aposento.

Viose desproveída

del precioso sustento:

sin mosca, sin gusano,

sin trigo y sin centeno.

Habitaba la hormiga

allí tabique en medio,

y con mil expresiones

de atención y respeto

la dijo: «Doña hormiga,

pues que en vuestro granero

sobran las provisiones

para vuestro alimento,

prestad alguna cosa

con que viva este invierno

esta triste cigarra,

que, alegre en otro tiempo,

nunca conoció el daño,

nunca supo temerlo.

No dudéis en prestarme,

que fielmente prometo

pagaros con ganancias,

por el nombre que tengo».

La codiciosa hormiga

respondió con denuedo,

ocultando a la espalda

las llaves del granero:

«¡Yo prestar lo que gano

con un trabajo inmenso!

Dime, pues, holgazana,

¿qué has hecho en el buen tiempo?».

«Yo», dijo la cigarra,

«a todo pasajero

cantaba alegremente,

sin cesar ni un momento».

«¡Hola! ¿con que cantabas

cuando yo andaba al remo?

Pues ahora, que yo como,

baila, pese a tu cuerpo».

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Uno dei tanti pellegrini15

15

Colui che cammina, senza altro tempo che quello cronometrato dalla creazione, senza altro rumore che il silenzio del-la natura e dei suoi passi, percepisce che essere uomo significa capacità di apertura, capacità di cercare, di incontrare ed interrogare tutto quello che lo circonda. Ma soprattutto la sua ricerca è volta all’infinito, al mistero, a Dio nella profon-dità della sua interiorità (cfr. S.Agostino “Deus interior intimo meo, superior summo meo”).

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Da SANTO DOMINGO DELLA CALZADA

a BELORADO

Data

09/05

Tappa

10

Distanza

22,5 km Abitanti

2.156

Regione

CASTIGLIA-LEON

Belorado è un municipio appartenente alla provincia di Burgos. Ubicato all'est della provincia, prossima a La Rioja ai piedi dei Monti di Ayago. Vi passa il fiume Tirata, affluente dell'Ebro.

L'origine di Belorado è Celta.

Le strade del centro storico, strette e tortuose, con tipici corridoi denotano la numerosa popolazione che abitò dentro le sue mura. Fu piazza forte del Cid, come dote di Fernando, primo re castigliano, sposandosi con Jimena. Oggi del castello rimane appena un muraglione terroso dal quale si scorge una bella panoramica.

Timbro dell’Albergo

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Lascio Santo Domingo diretto a Belorado. Il Cammino procede parallelo alla statale. A metà strada c’è un grande cartello che indica il passaggio dalla Regione La Rioja alla Regione Castilla-Leon, ed indica anche il percorso del Cammino per tutta la Regione. Ne incontreremo spesso di questi cartel-li. Il primo paese che incontro nella nuova regione è Redecilla del Camino, dove fu battezzato Santo Domingo. Attraverso anche il paese di Viloria de Rioja, dove nacque Santo Domingo. Finalmente arrivo a Belorado. Dopo 28 km sono un po’ stanco, ma soprattutto mi danno fastidio le vesciche. Sono tentato di fermarmi al primo albergo, a un km dal paese; ma è troppo bello e pieno di bandiere e penso che possa costare come un albergo normale. Poi invece vengo a sapere che ci si sono ferma-ti molti pellegrini pagando 5 euro. C’è anche la possibilità di avere stanze singole e doppie, ad un prezzo un po’ superiore.

Arrivo a Belorado alle 11, ma l’albergo apre alle 13:30. Come al solito i pellegrini, man mano che arrivano, mettono gli zaini in fila per la precedenza all’ingresso. L’Albergo è in una canonica adia-cente alla Chiesa di Santa Maria e consta di 50 posti letto, bagni, docce e cucina. Il prezzo è un’offerta; io do 5 euro. La mattina dopo ci hanno pure offerto la colazione: pane, marmellata, latte, biscotti e cioccolato. Tutt’intorno al nostro, ci sono numerosi alberghi reclamizzati a 5 euro. La “mia stanzetta” contiene 10 letti a castello. Sopra la facciata della Chiesa ci sono numerosi nidi di cicogne che battendo il becco fanno fracasso. Un francese che è passato qui due o tre anni fa’ mi ha detto che non lo facevano dormire. Io invece ho dormito benissimo.

L’Albergo è tenuto da due spagnoli emigrati in Svizzera, uno dei quali 50 anni fa’, e tornati per 15 giorni a fare volontariato per devozione. Io ho delle vesciche ai talloni che mi fanno un po’ male. Uno dei due mi suggerisce di andare al Centro Medico. Vado con un po’ di esitazione, invece sono accolto benissimo; mi bucano le vesciche con un apposito ago e a traverso ci fanno passare un filo che dovrebbe aiutare il drenaggio di successiva formazione di liquido. Mi danno anche dei cerotti di scorta. Mostrando la tessera sanitaria italiana, che registrano, non pago niente. La sera, nella chiesa del paese, San Pedro in Plaza Mayor, c’è la messa con benedizione del pellegrino.

Nel pomeriggio sono stato fotografato da uno spagnolo, Francisco, che avrei conosciuto dopo qual-che tappa e che ora mi ha mandato le foto.

Cartello all’ingresso in Castilla-Leon

Redecilla del Camino

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Redecilla del Camino

Sentiero con fiori

Albergo un km prima di Belorado

Chiesa di Santa Maria

Cicogne sulla facciata della Chiesa di Santa Maria

Cicogne sulla facciata della Chiesa di Santa Maria

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Cicogne sulla facciata della Chiesa di Santa Maria

Cicogne davanti la Chiesa di Santa Maria

Dietro la Chiesa di Santa Maria

Belorado, la Chiesa di San Pedro

Interno della Chiesa di San Pedro

Cappella dove il Parroco ha riunito i Pellegrini

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Belorado, Plaza Mayor

Belorado, Plaza Mayor

Francisco Jr e Javier, e me

Francisco e Javier, e me

Me

Javier e me

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Da BELORADO

a SAN JUAN DE ORTEGA

Data

10/05

Tappa

11

Distanza

24 km Abitanti

20

Regione

CASTIGLIA-LEON

Il vecchio convento di San Juan de Ortega è un monumento romanico nella provincia di Burgos. Si crede comunemente che fu costruito da San Juan de Ortega stesso, con l'aiuto del suo amico, Santo Domingo de la Calzada, co-me un punto d’appoggio per i pellegrini diretti a Santiago di Compostela. Oggi i pellegrini sono ancora ospitati nel vecchio convento.

La chiesa è un esempio di tarda arte romantica, i capitelli meritano attenzio-ne, così come la tomba del Santo, nella cripta.

San Juan de Ortega. Maestro costruttore di prima grandezza. (1080-l150/1163 circa). Il suo vero nome era Juan Ve1asquez, o secondo un'altra versione Juan de Quintanaommo; Ortega deriverebbe da ortiga, l'ortica, evi-dentemente molto diffusa in questa regione. In questo caso il simbolo di San Domenico -la falce - avrebbe la sua giustificazione. Il fatto che invece non troviamo questo simbolo associato anche a Juan de Ortega, rafforza la tesi che la falce sempre presente nell'iconograna di San Domenico doveva avere un significato simbolico per gli iniziati. Benché Juan de Ortega sia vissuto poco più tardi di San Domenica, e sia sta-to praticamente un suo contemporaneo, la sua vita è documentata molto me-glio. Almeno così si sostiene. Poiché non si sa neppure esattamente l’anno in cui è morto -le date oscillano tra il 1150 e il 1163 - risulta davvero stupefa-cente che si sappia il giorno in cui si deve festeggiare, cioè il 2 giugno. Si dice che abbia portato dalla Terra Santa le reliquie di San Nicola di Myra,

per la cui conservazione costruì la prima cappella. Segui-rono poi un ospizio per i pellegrini e un convento. Timbro dell’Albergo

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Lascio Belorado attraversando il ponte sul Rio Tiron e si cammina per sentieri attraverso i campi. La prima metà del tragitto è quasi pianeggiante, ma con un po’ di fango. A metà strada, superato il Rio Oca si arriva a Villafranca Montes de Oca. Sono arrivato a Villafranca insieme a Licel, che non conosco ancora, ma che, avendo io abbandonato il sentiero per seguire la strada asfaltata, incontro che stava tornando indietro alla ricerca del Camino. Ma ‘ndo vai! La strada asfaltata è più corta e poi il sentiero, se guardi bene è la in fondo che corre parallelo; e così abbiamo fatto qualche km in-sieme. A Villafranca ci fermiamo per fare merenda, poi ognuno prosegue per conto proprio e si co-mincia a scalare i Montes de Oca.

Quassù il vento freddo batte questi verdi boschi, come prigioniero in un labirinto corre di albero in albero facendosi strada col suo fischio, scuote i rami e solleva le foglie morte per poi smarrirsi nelle strade che attraversano i monti. Queste strade sono l’unica concessione al sole, il calore della luce non filtra lo stretto abbraccio con cui gli alberi paiono trattenersi fra loro. Di tanto in tanto la strada incontra un’altra strada creando un incrocio. Nastri gialli legati ai rami degli alberi, tracce di vernice dello stesso colore sui rami o su qualche pietra o dei mucchietti di pietre lasciate dai pellegrini in passaggio, indicano la strada che mi interessa. Mi muovo con lentezza a causa del fastidio procura-tomi dalla vescica, ma non mi dispiace d’esser rimasto solo in questa solitudine. Adesso non c’è nessuno davanti e dietro di me, c’è solo la strada di terra battuta e gli alberi padroni di questi monti, che sembrano scuotersi solo al mio passaggio. La via che percorro va sempre dritta e pare non finire mai, ad un certo punto diventa anche larghissima per fungere da sparti-fuoco in caso d’incendio, ce-spugli continui con fiorellini rosso-viola; in alcuni tratti il rumore prodotto dalle automobili sull’autostrada che costeggia i monti, risale fin quassù, rompendo il silenzio. Non lo capisco subito e la prima volta sentendo il rumore di una camion, istintivamente mi spingo verso il ciglio della strada attendendolo passare, ma non c’è niente. Come fantasmi per questi monti solitari. Su una al-tura, prima che la strada si getti in una gola attraversata da un torrente, incontro un monumento che ricorda la guerra civile. E’ una sorta di parallelepipedo irregolare sopra una base di cemento, c’è una colomba in metallo, una lapide e in ognuno dei quattro lati una targa col numero 1936, qualche metro più in là una croce nera conficcata nel terreno porta la scritta "riposate in pace".

Nel pomeriggio dopo aver camminato a lungo, il paesaggio comincia ad aprirsi, lo sguardo può am-pliarsi e diventato più grande e curioso scova S. Juan de Ortega. S. Juan è una comunità rifugiata fra questi boschi, i cui tratti schivi e solitari si riflettono sui caratteri di quella dozzina di persone che ne fanno parte. E’ un unico complesso architettonico con una chiesa romanica, e ricavati da un’ala del monastero: un rifugio ed un piccolo bar-ristorante; poi c’è solo qualche sparuta casa, tanto vuote fuori quanto lo devono essere dentro. Se non fosse per i pellegrini che decidono di fermarsi per la notte, ci sarebbero più cani che persone. E’ un luogo suggestivo però, la luce del sole mette a nudo impietosamente la vecchiaia delle costruzioni e l’abbandono in cui versa il monastero, ma non ne tradisce il fascino. Deve il suo nome al Santo che si ritirò da queste parti per aiutare i pellegrini nel difficile transito per questi monti. Morendo, S. Juan venne seppellito nella cappella romanica da lui stesso costruita. Nel XV secolo, Isabella la Cattolica in pellegrinaggio in questo luogo in virtù delle miracolose proprietà contro la sterilità attribuite al Santo, dovette restare piacevolmente impressio-nata e fece in modo che la piccola cappella venisse ingrandita ed arricchita facendola divenire quel-la meraviglia che è oggi, resa imponente dal marmo bianco finemente lavorato, ed impreziosita dall’unico capitello romanico rimasto, raffigurante l’Annunciazione, su cui ogni anno, nei giorni

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dell’equinozio, si posa un raggio di luce proveniente da una piccola cavità orientata a meridione, re-alizzando così quello che viene chiamato il miracolo della luce.

Arrivato all’Albergo, all’ingresso bisogna lasciare, come in quasi tutti gli alberghi, bastone e scar-poni. Il rifugio è costituito da tre enormi camere. Sono contigue l’una all’altra divise soltanto da porte di legno che cigolano ogni volta che vengono aperte, per poi chiudersi con un botto. I bagni si trovano dopo l’ultima camera cosicché lì dentro è un continuo stridente cigolio e sbattere di porte. L’acqua è fredda. Le prese di corrente per caricare i telefonini non funzionano. Non c’è internet, non c’è una sala ritrovo, niente. Ho provato ad uscire per andare al bar della Señora Marcela, ma ti-ra vento e fa un freddo cane. Allora ho pensato che potevo passare il tempo a scrivere il diario che mi ha chiesto Cristina.

Ogni giorno viene preparata della zuppa all’aglio, che viene offerta a tutti i pellegrini, così come del latte caldo la mattina seguente, pagandosi solo con la generosità di chi è stato qui.

Ci accomodiamo in una grande stanza da pranzo con degli enormi tavoli, ci sediamo l’uno di fronte all’altro. Alcune pellegrine aiutano l’hospitalero a riempire le ciotole e portarle ai tavoli.

Dopo la zuppa d’aglio vado comunque a cena nel vicino bar-ristorante della Señora Marcela e scel-go come secondo mochillos a la Burgos. Mi hanno portato 4 salcicciotti che in un primo momento pensavo fossero di carne tritata mista a riso. Non mi piaceva molto, poi un italiano mi ha detto che si trattava di sanguinaccio. La notte e`stata movimentata perché c’era uno che russava e almeno una decina di persone sulla trentina del camerone, che cercavano di farlo smettere con versi strani. Quindi non si poteva dormire non perché quello russava, ma per tutti gli altri versi che ognuno fa-ceva.

L’Albergo è pieno, tanto che alcuni non hanno trovato posto ed hanno dovuto arrangiarsi altrove. Qualche giorno dopo Carla, che non conoscevo ancora, mi ha detto che, non avendo trovato posto, ha dovuto dormire nel camper del marito, parcheggiato fuori dell’Albergo. Facendo il Cammino in maniera diversa si danno periodici appuntamenti, come a San Juan de Ortega.

Un cartello azzurro con conchiglia indicante il

Cammino

Villafranca Montes de Oca

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Il sentiero, che fa anche da spartifuoco

Monumento ai morti della Guerra Civile, 1936

No fue inutil su muerte, fue inutil su fusilamiento

Veduta del sentiero e nubi spettacolari

Il nostro sentiero

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In lontananza, San Juan de Ortega

Il paese di San Juan de Ortega

Chiesa di San Juan de Ortega

Chiesa di San Juan de Ortega, interno

Chiesa di San Juan de Ortega, interno

Chiesa di San Juan de Ortega, interno

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Chiesa di San Juan de Ortega, interno

Cappella dove è stata impartita la Benedizione del Pellegrino

Cappella dove è stata impartita la Benedizione del

Pellegrino

Chiesa di San Juan

Zaini in fila, in attesa dell’0apertura dell’Albergo

Una stanza dell’Albergo ex-convento