Da Kant a Freud

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 Da Kant a Freud Programma di quinta PAOLO REBAUDO

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 Da Kant

a Freud 

Programma di quintaPAOLO REBAUDO

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1 – Da Kant a Freud  – Programma di Quinta di Paolo Rebaudo 

I. Kant (1724-1804)

Opere. Si distingue un periodo pre-critico (precedente alla prima edizione della Critica della ragion

 pura, avvenuta nel 1781 –  la seconda edizione è del 1787) e il periodo critico, caratterizzato dallesue tre opere principali: la Critica della ragion pura, la Critica della ragion pratica  (1788) e la

Critica del giudizio  (1790). Al periodo critico appartengono anche: Prolegomeni ad ogni futurametafisica (1783); Fondazione della metafisica dei costumi (1785); Principi metafisici della scienzadella natura (1786); La religione nei limiti della semplice ragione(1793); La metafisica dei costumi(1797); Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798) e molti scritti minori.

La Critica della Ragion Pura

Kant intende col termine ―critica‖ un‘analisi sul fondamento di determinate esperienze chiarendonele possibilità (le condizioni che ne permettono l‘esistenza) e i limiti. Kant si richiama a Hume che loha svegliato dal «sonno dogmatico». La Critica della ragion pura è un‗analisi critica dei fondamentidel sapere. La scienza e la metafisica si presentavano in modo diverso. La prima, grazie ai successiconseguiti da Galileo e da Newton, appariva come un sapere fondato. Tuttavia, poiché il pensieroscettico di Hume aveva minato alla base non solo i fondamenti ultimi della metafisica, ma anchequelli della scienza, era necessaria un'analisi globale sulla validità della conoscenza che fosse ingrado di rispondere in modo esauriente alla domanda sulla scientificità di questi due campi delsapere. Da ciò le quattro domande di base: Come è possibile la matematica pura?,  —   Com‘è

 possibile la fisica pura?.  —   Com‘è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale?, —  Com‘è possibile la metafisica come scienza? Mentre nel caso della matematica e della fisica si devesemplicemente giustificare una situazione di fatto, chiarendo le condizioni che le rendono possibili,nel caso della metafisica si tratta di scoprire se esistano le condizioni tali che possano legittimare lesue pretese di porsi come scienza.

I giudizi sintetici a priori 

La conoscenza scientifica consta di giudizi universali e necessari ed incrementa continuamente ilconoscere (giudizi sintetici a priori). Kant è convinto che la scienza offra il tipico esempio di

 princìpi assoluti, di verità universali e necessarie, che valgono ovunque e sempre allo stesso modo.Tali sono ad es. la proposizione: "Tutto ciò che accade ha una causa". Kant chiama principi diquesto tipo giudizi sintetici a priori, giudizi poiché consistono nell‘aggiungere un predicato ad unsoggetto; sintetici perché il predicato dice qualcosa di nuovo e di più rispetto ad esso; a priori

 perché essendo universali e necessari non derivano dall‘esperienza. Dal punto di vista di Kant, igiudizi fondamentali della scienza non sono quindi né giudizi analitici a priori né giudizi sintetici a

 posteriori. I primi sono giudizi che vengono enunciati a priori, senza bisogno di ricorrere

all‘esperienza, in quanto in essi predicato non fa che esplicitare, con un processo di analisi basatosul principio di non contraddizione, quanto è già implicitamente contenuto nel soggetto: ad esempio"i corpi sono estesi". Ma i giudizi analitici, pur essendo universali e necessari (= a priori) sonoinfecondi, perché non ampliano la nostra conoscenza. Nei giudizi sintetici a posteriori il predicatodice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, aggiungendo una conoscenza in base alll‘esperienza,ovvero a posteriori: ad esempio "i corpi sono pesanti". Ma questi giudizi, pur essendo fecondi (=sintetici) sono privi di universalità e necessità perché derivano esclusivamente dall‘esperienza. Gliautentici principi della scienza —  i giudizi sintetici a priori —  sono pertanto sintetici, ossia fecondi,e a priori, ossia universali e necessari. Pur essendo formulata in modo logico, questa teoria kantianadei giudizi sottintende un confronto con le scuole filosofiche precedenti. I giudizi analitici a priori

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richiamano infatti la concezione razionalistica della scienza. I giudizi sintetici a posterioririchiamano invece l‘interpretazione empiristica della scienza.

La rivoluzione copernicana

Dopo aver chiarito che la scienza si basa su giudizi sintetici a priori, Kant si trova di fronte al problema di spiegare la provenienza di questi ultimi. Se non derivano dall‗esperienza, da dovederiveranno i giudizi sintetici a priori? Per materia della conoscenza si intende la molteplicitàmutevole delle sensazioni che provengono dall‘esperienza (= elemento empirico o a posteriori). Performa si intende l‘insieme delle modalità, fisse attraverso cui la mente umana ordina, secondodeterminati rapporti, tali impressioni (= elemento razionale o a priori). Kant ritiene infatti che lamente filtri attivamente i dati empirici attraverso forme innate che risultano comuni ad ognisoggetto pensante. Come tali, queste forme sono a priori rispetto all‘esperienza e sono fornite divalidità universale e necessaria, in quanto tutti le possiedono e le applicano allo stesso modo. Sesapessimo di portare sempre delle lenti azzurre, potremmo dire, con tutta sicurezza, che il mondo,anche in futuro, per noi continuerà ad essere azzurro. Analogamente, noi possiamo asserire con

certezza che ogni evento, anche in futuro, dipenderà da cause o si darà nello spazio e nel tempo, inquanto non possiamo percepire le cose se non attraverso la causalità e mediante lo spazio ed iltempo: "noi tanto conosciamo a priori delle cose quanto noi stessi poniamo in esse". In questanuova impostazione del problema della conoscenza sta la rivoluzione copernicana che Kant ritieneoperato in filosofia. Come Copernico, per spiegare i moti celesti, aveva ribaltato i rapporti fra lospettatore e le stelle, e quindi fra la terra e il sole, così Kant, per spiegare la scienza, rovescia irapporti fra soggetto ed oggetto, affermando che non è la mente che si modella passivamente

sulla realtà, ma la realtà che si modella sulle forme a priori attraverso cui la percepiamo .Questa nuova ipotesi gnoseologica comporta la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Ilfenomeno è la realtà quale ci appare tramite le forme a priori che sono proprie della nostra strutturaconoscitiva. Il fenomeno non è un‘apparenza illusoria, poiché è un oggetto, ed un oggetto reale, ma

reale soltanto nel rapporto con il soggetto conoscente. La cosa in sé è la realtà considerataindipendentemente da noi e dalle forme a priori mediante cui la conosciamo.

Le facoltà della conoscenza e le partizioni della Critica

Kant articola la conoscenza in tre facoltà principali: Ogni nostra conoscenza viene dai sensi, da quiva all‘intelletto, per finire nella ragione. La sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono datiintuitivamente attraverso i sensi e tramite le forme a priori di spazio e tempo. L‘intell etto è lafacoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie. La ragione è lafacoltà attraverso cui, procedendo oltre l‘esperienza, cerchiamo di spiegare la realtà mediante le treidee di anima, mondo e Dio. Su questa tripartizione della facoltà conoscitiva in generale è

sostanzialmente basata anche la divisione della Critica della ragion pura. Questa si biforca in duetronconi principali: la dottrina degli elementi, che si propone di trattare quegli elementi formalidella conoscenza che Kant chiama puri o a priori: e la dottrina del metodo, che consiste neldeterminare il metodo della conoscenza medesima. La dottrina degli elementi, che è la parte piùestesa della Critica, si ramifica a sua volta in Estetica trascendentale e Logica trascendentale(analitica e dialettica).

L‘Estetica trascendentale (intesa nel senso greco di dottrina della sensibilità) studia la sensibilità ele sue forme (spazio e di tempo), mostrando come su di essa si fondi la matematica.

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L'Analitica trascendentale studia l‘intelletto - le sue forme a priori  —  le 12 categorie  —  mostrandocome su di esse si fondi la fisica..

La Dialettica trascendentale, che studia la ragione e le sue tre idee di anima, mondo, Dio, mostrandocome su di esse si fondi la metafisica.

La matematica si fonda sulle forme a priori della sensibilità, la fisica sulle forme a priori

dell’intelletto, la metafisica sulle idee della ragione. Trascendentale non significa qualcosa cheoltrepassa ogni esperienza, bensì qualcosa che la precede (a priori) ma non è determinato a nulla piùche a render possibile la conoscenza nell‘esperienza. Chiamo trascendentale ogni conoscenza che sioccupi, in generale, non tanto di oggetti quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti nellamisura in cui questo deve essere possibile a priori.

L’estetica trascendentale 

La teoria dello spazio e del tempo Nell‘Estetica Kant studia la sensibilità e le sue forme a priori.

Kant considera la sensibilità recettiva perché essa non genera i propri contenuti. Tuttavia lasensibilità non è soltanto recettiva, ma anche attiva, in quanto organizza il materiale delle sensazioni(= le intuizioni empiriche tramite lo spazio ed il tempo che costituiscono le forme a priori (= leintuizioni pure) della sensibilità. Lo spazio è la forma del senso esterno, che sta a fondamento deldisporsi delle cose l‘una accanto all‘altra. Il tempo è la forma del senso interno, che sta afondamento del disporsi dei fenomeni l‘uno dopo l‘altro, secondo un ordine di successione.Tuttavia, poiché è unicamente attraverso il senso interno che ci giungono i dati senso esterno, iltempo si configura anche, indirettamente come la maniera universale attraverso la quale percepiamotutti gli oggetti. Kant fa emergere il proprio punto di vista confutando sia la visione empiristica, checonsiderava spazio e tempo come nozioni tratte dall‘esperienza, sia la visione oggettivistica, checonsiderava spazio e tempo come entità a sé o recipienti vuoti (Newton), sia la visione

concettualistica, che considerava spazio e tempo concetti esprimenti i rapporti fra le cose (Leibniz).Essi, pur essendo «ideali» o «soggettivi», sono tuttavia reali ed oggettivi rispetto all‘esperienza. Perquesto motivo, Kant parla di idealità trascendentale e di realtà empirica dello spazio e del tempo.Kant vede nella geometria e nell‘aritmetica  delle scienze sintetiche a priori per eccellenza.Sintetiche in quanto ampliano le nostre conoscenze mediante costruzioni mentali che vanno oltre ilgià noto. Ad esempio, la proposizione 7 + 5 = 12, è sintetica in quanto il risultato 12 viene aggiuntotramite l‘operazione del sommare e non può quindi esser ricavato per via puramente analitica (ciòrisulta evidente se si prendono in esame cifre più alte). Inoltre, le matematiche sono a priori inquanto i teoremi geometrici ed aritmetici valgono indipendentemente dall‘esperienza. Il punto diappoggio delle costruzioni sintetiche a priori delle matematiche risiede certamente nelle forme a

 priori di spazio e di tempo. Infatti la geometria è la scienza che dimostra sinteticamente a priori le

 proprietà. delle figure mediante l‘intuizione pura di spazio, stabilendo ad esempio, senza ricorrereall‘esperienza del mondo esterno, che fra le infinite linee che uniscono due punti la più breve è laretta, che due parallele non chiudono uno spazio, che in un cerchio il raggio è minore del diametroecc. Analogamente, l‘aritmetica è la scienza che determina sinteticamente a priori la proprietà delleserie numeriche, basandosi sull‘intuizione pura di tempo e di successione, senza la quale lo stessoconcetto di numero non sarebbe mai sorto. In quanto a priori, la matematica è anche universale enecessaria, immutabilmente valida per tutte le menti pensanti.

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L’analitica trascendentale: le categorie

Sensibilità e intelletto sono entrambi indispensabili alla conoscenza, poiché "senza sensibilità,nessun oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri senzacontenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche". Ma che cosa sono i concetti? Nella

Analitica Kant sostiene che i concetti sono delle funzioni, ovvero delle operazioni attive, checonsistono nell‘unificare diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune. Ad es. quellodi corpo è un concetto in quanto sotto di esso si trovano raccolte altre rappresentazioni. I concetti

 possono essere empirici, derivanti da materiali ricavati dall‘esperienza, o puri, ossia contenuti a priori nell‘intelletto. I concetti puri si identificano con le categorie (nel senso aristotelico deltermine), ossia con quei concetti basilari della mente che rappresentano le supreme funzionidell‘intelletto. Ma, a differenza delle categorie aristoteliche, che sono simultaneamente formedell‘essere e del pensiero, le categorie kantiane hanno una portata esclusivamente gnoseologica, inquanto rappresentano dei modi di funzionamento dell‘intelletto che non valgono per la cosa in sé,ma solo per il fenomeno. Stabilita la nozione di categoria, si tratta di redigerne una tavola completa.Kant formula il suo inventano sulla base del seguente filo conduttore: poiché pensare è giudicare, ci

saranno tante categorie quante sono le forme di giudizio (quante sono le maniere fondamentalitramite cui si attribuisce predicato ad un soggetto). E poiché la logica generale, secondo Kant,raggruppa i giudizi secondo la quantità, la qualità, la relazione e la modalità, egli fa corrispondereogni tipo di giudizio un tipo di categoria.

La deduzione trascendentale 

Formulata la tavola delle categorie, Kant si trova di fronte al problema della giustificazione dellaloro validità. Problema che egli denomina deduzione trascendentale. Kant usa il termine deduzionenon in senso logico-matematico, bensì in quello giuridico, di giustificazione che quest‘uso èlegittimo. Il problema della deduzione suona perciò in questo modo: perché le categorie, pur

essendo forme soggettive della nostra mente, pretendono di valere anche per li oggetti, ossia per lanatura che non è l‘intelletto a creare? Nei confronti delle forme della sensib ilità, ossia per lo spazioe per l tempo, tale problema non si affaccia. Infatti, un oggetto non può apparire all‘uomo, ossiaessere percepito da lui, se non attraverso queste forme. Invece, per quanto concerne le categorie,non è per nulla evidente che gli oggetti debbano sottostare ad esse. Il ragionamento kantianoconsiste quindi nel mostrare che: a) poiché tutti i pensieri presuppongono l‘io penso e b)poiché «l‘io

 penso pensa tramite le categorie, ne segue c) che tutti gli oggetti pensati presuppongono lecategorie. Il che equivale a dire che la natura (fenomenica) obbedisce necessariamente alle forme (a

 priori) del nostro intelletto. L‘io penso è quindi il principio supremo della conoscenza umana, ossiacome ciò cui deve sottostare ogni realtà per poter entrare nel campo dell‘esperienza e per divenireun oggetto-per-noi. Nello stesso tempo, esso rappresenta ciò che rende possibile l‘oggettività (=

l‘universalità e la necessità) del sapere. Kant insiste inequivocabilmente sul carattere formale dell‘io penso, il quale si limita semplicemente ad ordinare una realtà che gli preesiste.

Gli schemi trascendentali

Se nell‘analitica dei concetti Kant si è occupato delle categorie, nell‘analitica dei princìpi indaga ilmodo in cui esse si possono applicare ai fenomeni. Ciò avviene innanzitutto con la dottrina delloschematismo che mostra come ciò possa avvenire in concreto. Se la sensibilità e l‘intelletto sonodue facoltà eterogenee, quale sarà l‘elemento mediatore per cui l‘intelletto possa applicare i propriconcetti a priori alle intuizioni? Kant risolve il problema affermando che l‘intelletto, non potendo

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agire direttamente sugli oggetti della sensibilità, agisce indirettamente su di essi tramite il tempo,che è medium universale attraverso cui tutti gli oggetti sono percepiti. In altre parole. se il tempocondiziona gli oggetti, l‘intelletto, condizionando il tempo, condizionerà gli oggetti. Gli schemitrascendentali sono la prefigurazione intuitiva (= temporale) delle categorie, ovvero le regoleattraverso cui l‘intelletto condiziona il tempo in conformità ai propri concetti a priori. In altri

termini, potremmo dire che gli schemi trascendentali sono le categorie calate nel tempo, ovvero lecategorie tradotte in linguaggio temporale. Per quanto concerne le categorie di relazione, lo schemadella categoria di sostanza è la permanenza nel tempo (infatti, noi possiamo pensare qualcosa comesostanza solo a patto di rappresentarla come un quid che «permane» sotto il variare degli accidenti);lo schema della categoria di causa-effetto è la successione (irreversibile) nel tempo; lo schemadell‘azione reciproca è la simultaneità nel tempo. Per quanto concerne le categorie di modalità, loschema della categoria di possibilità è l‘esistenza in un tempo qualsiasi; lo schema della categoria direaltà è l‘esistenza in un determinato tempo; lo schema della categoria di necessità è l‘esistenza inogni tempo. E così via per le altre categorie.

Il concetto di noumeno

Le categorie funzionano solo in rapporto al materiale che esse organizzano, ossia in connessionecon le intuizioni spazio-temporali cui si applicano. Il conoscere non può estendersi al di làdell‘esperienza, in quanto una conoscenza che non si riferisca ad un esperienza possibile non èconoscenza, ma un vuoto pensiero. Questo principio  —  che implica la distinzione fra «pensare» e«conoscere» —  comporta che le categorie abbiano il loro unico uso possibile in quello empirico, peril quale vengono riferite solo ai fenomeni, agli oggetti d'esperienza. La delimitazione dellaconoscenza al fenomeno comporta un esplicito rimando alla nozione di cosa in sé o noumeno. Kantdistingue, a proposito del noumeno, fra un significato positivo ed uno negativo, In senso positivo ilnoumeno sarebbe l‘oggetto di un‗intuizione non sensibile, ossia di una conoscenza extra-fenomenica che potrebbe essere propria di un ipotetico intelletto divino. In senso negativo il

noumeno è invece il concetto di una cosa in sé come di una X che non può mai entrare in rapportoconoscitivo con noi ed essere quindi oggetto della nostra intuizione sensibile. In questo senso lacosa in sé è per noi un concetto-limite che serve a limitare le nostre pretese conoscitive.

La dialettica trascendentale // La genesi della metafisica e delle tre idee

 Nell‘Estetica e nell‘Analitica Kant ha dimostrato come sia possibile il sapere scientifico. NellaDialettica affronta il problema se la metafisica possa anch‘essa costituirsi come scienza. Già iltermine dialettica lascia intuire la risposta negativa di Kant a tal proposito. Riferendosi al significato

 peggiorativo del termine, per «dialettica trascendentale» Kant intende lo smascheramento deiragionamenti fallaci della ragione.. La metafisica è come la colomba, che, presa dall‘ebbrezza del

volo, immaginasse di poter volare anche senza l‘aria, non rendendosi conto che quest‘ultima,  puressendo un limite al suo volo, ne è anche la condizione, senza di cui essa precipiterebbe a terra.Kant ritiene che questo voler procedere oltre i dati empirici derivi dalla naturale tendenza allatotalità. Spiegazione che fa leva sulle tre idee trascendentali che sono proprie della ragione. Laragione è naturalmente portata ad unificare i dati del senso interno mediante l‘idea di anima, che èl‘idea della totalità assoluta dei fenomeni interni, ad unificare i dati del senso esterno mediantel‘idea di mondo, che è l‘idea della totalità assoluta dei fenomeni esterni; infine, ad unificare i datiinterni ed esterni mediante l‘idea di Dio, inteso come totalità di tutte le totalità e fondamento di tuttociò che esiste. L‘errore della metafisica consiste nel trasformare queste tre esigenze di unificazionedell‘esperienza in realtà, dimenticando che noi non abbiamo mai a che fare con la cosa in sé, ma

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solo con la realtà non oltrepassabile del fenomeno. La Dialettica trascendentale è la critica deglierrori della metafisica, ossia dei fallimenti del pensiero quando procede oltre gli orizzontidell‘esperienza possibile.

Critica della psicologia, della cosmologia e della teologia razionali

Kant ritiene che la psicologia razionale o metafisica sia fondata su di un paralogisma ossia su di unragionamento errato, che consiste nell‘applicare la categoria di sostanza all‘io penso,trasformandolo in una realtà permanente chiamata anima. In realtà, osserva Kant, l‘io penso non èun oggetto empirico, ma soltanto un‘unità formale e per di più sconosciuta, a cui non possiamoquindi applicare alcuna categoria. Anche la cosmologia razionale, che pretende di far uso dellanozione di mondo, inteso come la totalità assoluta dei fenomeni cosmici, è destinata, a fallire,Infatti, poiché la totalità dell‘esperienza non è mai un‘esperienza, in quanto noi possiamosperimentare questo o quel fenomeno, ma non la serie completa dei fenomeni, l‘idea di mondo cade,

 per definizione, al di f uori di ogni esperienza possibile. Tant‘è vero che quando i metafisici, pretendono di fare un discorso intorno al mondo nella sua totalità, cadono inevitabilmente nelle

antinomie, veri conflitti della ragione con se stessa, che si concretizzano in coppie di affermazioniopposte, dove l‘una (la tesi) afferma e l‘altra (l‘antitesi) nega, ma tra le quali, in assenza diun‘esperienza corrispondente, non è possibile decidere. Anche la teologia razionale. che si occupadel più arduo problema della metafisica, ossia della questione di Dio, risulta priva di valoreconoscitivo. Dio, secondo Kant, rappresenta l‘ideale della ragion pura, ossia quel supremo «modello

 personificato di ogni realtà perfezione che i filosofi hanno designato con il nome di Ensrealissimum, concependolo come l‘Essere da cui derivano e dipendono tutti gli esseri. La tradizioneha elaborato tutta una serie di prove dell‘esistenza di Dio», che Kant raggruppa in tre classi: provaontologica, cosmologica e fisico-teologica.

a) La prova ontologica, che risale a  S. Anselmo, ma che Kant assume nella forma cartesiana,

 pretende di ricavare l‘esistenza di Dio dal semplice concetto di Dio come essere perfettissimo,affermando che, in quanto tale, Egli non può mancare dell‘attributo dell‘esistenza. Distinguendocriticamente fra piano mentale e piano reale. Kant obbietta che non risulta possibile «saltare» dal

 piano della possibilità logica a quello della realtà ontologica, in quanto l‘esistenza è qualcosa che possiamo constatare solo per via empirica, e non dedurre per via puramente intellettiva. Kantsostiene infatti che l‘esistenza non è un predicato, intendendo dire che l‘esistenza non è una

 proprietà logica, ma un fatto esistenziale asseribile solo mediante l‘esperienza. Tant‘è vero chequando si è ben descritta la natura di una realtà qualsiasi in tutti i suoi caratteri, ci si può ancorachiedere se esista o meno. Per cui, scrive Kant, la differenza tra cento talleri  reali e cento talleri

 pensati non risiede nelle loro proprietà concettuali, che sono identiche, ma nel fatto che gli uniesistono e gli altri no.

 b) La prova cosmologica, che costituisce il centro delle vie di S. Tommaso e che Kant riprendedalla filosofia del suo tempo, gioca sulla distinzione fra contingente e necessario, affermando che sequalcosa esiste, deve anche esistere un essere assolutamente necessario; poiché io stesso, almeno,esisto, deve quindi esistere un essere assolutamente necessario. Secondo Kant, il primo limite diquesto argomento consiste in un uso illegittimo del principio di causa, in quanto esso, partendodall‘esperienza della catena degli enti eterocausati (= i contingenti), pretende di innalzarsi, oltrel‘esperienza, ad un primo anello incausato (= il Necessario). Ma il principio di causa è una regolacon cui connettiamo i fenomeni tra di loro e che quindi non può servire a connettere i fenomeni conqualcosa che va oltre il fenomeno.

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c) La prova fisico-teologica fa leva sull‘ordine, sulla finalità del mondo per innalzarsi ad una Menteordinatrice, identificata con un Dio creatore. Essa, rileva Kant, è la più antica, la più chiara e la piùadatta alla comune ragione. Anche questa prova, secondo Kant, implica una sene di forzaturelogiche e di fatto è basata sull'argomento ontologico. Innanzitutto, essa parte dall‘esperienzadell‘ordine del mondo, ma pretende di elevarsi subito all‘ idea di una causa ordinante trascendente,

dimenticando che l‘ordine della Natura potrebbe dipendere dalla Natura stessa e delle sue leggiimmanenti. Infatti, per asserire che tale ordine non può scaturire dalla Natura, è obbligati aconcepire Dio non solo come causa dell‘ordine del mondo, ossia come supremo Architetto —  secondo quanto la prova autorizzerebbe —  ma anche come causa dell‘esser stesso del mondo, ossiacome Creatore.

La funzione regolativa

Le idee della ragion pura, anche se non possono avere un uso costitutivo (conoscitivo), possonoavere un uso regolativo. Infatti ogni idea è, per la ragione, una regola che la spinge a dare al suocampo d‘indagine, che è l‘esperienza, non solo la massima estensione, ma anche la massima unità

sistematica. Così l‘idea psicologica spinge a cercare i legami fra tutti i fenomeni del senso interno ea rintracciare in essi una sempre maggiore unità proprio come se fossero manifestazioni di un‘unicasostanza semplice. L‘idea cosmologica spinge a passare incessantemente da un fenomeno naturaleall‘altro, dall‘effetto alla causa e alla causa di questa causa e via all‘infinito, proprio come se latotalità dei fenomeni costituisse un unico mondo. L‘idea teologica infine rimanda l‘interaesperienza a un ideale di perfetta organizzazione sistematica, come se tutto dipendesse da un unicocreatore. Le idee, cessando di valere dogmaticamente come realtà, varranno in questo caso

 problematicamente, come condizioni che impegnano l‘uomo nella ricerca naturale.

LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA (1788)

Realtà e assolutezza della legge morale

La ragione non serve solo a dirigere la conoscenza, ma anche l‘azione. Accanto alla ragioneconoscitiva esiste anche una ragione pratica. Kant è convinto che esista una legge morale a priori (è«un fatto») e che sia universale e necessaria, ossia valevole in ogni tempo e luogo. La morale sitrova all‘interno di una tensione fra ragione e istinto. Se l‘uomo fosse esclusivamente istinto è ovvioche essa non esisterebbe, perché l‘individuo agirebbe sempre per istinto. Viceversa, se l‘uomo fosse

 pura ragione, la morale perderebbe ugualmente di senso, in quanto l‘individuo sarebbe sempre inquella che Kant chiama santità etica, ovvero in una situazione di perfetta adeguazione alla legge.Invece la bidimensionalità dell‘essere umano fa sì che per Kant l‘agire morale prenda la formasevera del dovere e si concretizzi in una lotta permanente fra la ragione e l'istinto. Kant distingue i

 princìpi pratici che regolano la nostra volontà in massime e imperativi. La massima  è una prescrizione di valore puramente soggettivo, valida esclusivamente per l‘individuo che la fa propria(ad es. può  essere una massima quella di vendicarsi di ogni offesa subita). L‘imperativo  è una

 prescrizione di valore oggettivo, valida per tutti. Gli imperativi si dividono a loro volta in imperativiipotetici e in imperativo categorico. Gli imperativi ipotetici  prescrivono dei mezzi in vista dideterminati fini ed hanno la forma del se... devi (ad es.: se vuoi conseguire buoni risultati scolastici,devi studiare). L‘imperativo categorico ordina invece il dovere in modo incondizionato, ossia a

 prescindere da qualsiasi scopo, e ha la forma del devi-perché-devi (rigorismo etico kantiano).Essendo per Kant la morale strutturalmente incondizionata risulta evidente che essa non potràrisiedere negli imperativi ipotetici, che sono, per definizione, condizionati. Solo l‘imperativo

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categorico, in quanto in-condizionato, vale come legge, ovvero di un comando che vale per tutti e per tutte le circostanze. L‘imperativo categorico, che ordina un tu devi assoluto, è quindi universalee necessario. Poiché dire legge è dire universalità, l'imperativo categorico si concretizza nella

 prescrizione di agire secondo una massima che può valere per tutti. Da ciò la formula-basedell‘imperativo categorico: "Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere

nello stesso tempo come principio di una legislazione universale". L‘imperativo categorico è quelcomando che prescrive di tener sempre presenti gli altri e che ci ricorda che un comportamentorisulta morale solo se è generalizzabile, universalizzabile. Ad esempio, chi mente compie un attochiaramente immorale, poiché qualora venisse universalizzata la massima dell‘inganno i rapportiumani diventerebbero impossibili. Nella Fondazione della metafisica dei costumi troviamo ancheuna seconda ed una terza formula, che ricalcano comunque questa.

La formalità della legge

Un‘altra caratteristicadell‘etica kantiana è la formalità, in quanto la legge non ci dice che cosadobbiamo fare, ma come dobbiamo fare ciò che facciamo. Se la norma etica non fosse formale,

 bensì materiale, prescrivesse quindi dei contenuti concreti, sarebbe vincolata ad essi, perdendoinevitabilmente in termini di universalità, non potendo, qualsiasi contenuto o precetto particolare, possedere l‘universale portata della legge. Questo significa che l‘imperativo etico non può risiederein una casistica concreta di precetti, ma soltanto in una legge formale-universale, la quale affermasemplicemente: quando agisci tieni presente gli altri e rispetta la dignità umana che è in te e nel

 prossimo. Ognuno di noi deve poi «tradurre» in concreto, nell‘ambito delle varie situazioniesistenziali, sociali e storiche, la legge. Il vero significato del formalismo kantiano risiede neldovere-per-il dovere, ossia nello sforzo di attuare la legge della ragione solo per obbedienza allalegge e non in vista di risultati che possono venirne.

L’autonomia e la rivoluzione copernicana morale

Universalità e formalità convergono nell‘autonomia, terza caratteristica della morale kantiana. Ilsenso profondo dell‘etica kantiana, e della sua sorta di «rivoluzione copernicana morale», consisteinfatti nell‘aver posto nell‗uomo e nella sua ragione il fondamento dell‗etica. Se la libertà, presa insenso negativo, risiede nell‘indipendenza della volontà dalle inclinazioni, in senso positivo siidentifica con la sua capacità di autodeterminarsi, ossia nella prerogativa autolegislatrice dellavolontà, la quale fa sì che l‘umanità sia norma a se stessa. Di conseguenza, Kant polemizzaaspramente contro tutte le morali eteronome, ossia contro tutti quei sistemi che pongono ilfondamento del dovere in forze esterne all‘uomo o alla sua ragione. facendo scaturire la morale,anziché dalla pura forma dell‘imperativo categorico, da principi materiali.

I postulati pratici

Se nell‘Analitica della Ragion pratica Kant ha studiato il dovere, nella Dialettica prende inconsiderazione l‘assoluto morale o sommo bene. La felicità non può mai erigersi a motivo deldovere, perché in tal caso metterebbe in crisi la categoricità, formalità ed autonomia. C'è un sommo

 bene cui tende irresistibilmente la nostra natura e questo consiste nell‘unione di virtù e felicità. Main questo mondo virtù e felicità non sono mai congiunte, in quanto lo sforzo di essere virtuosi e laricerca della felicità sono due azioni distinte e per lo più opposte, in quanto l‘imperativo eticoimplica la sottomissione delle tendenze e l‘umiliazione dell‘egoismo. L‘unico modo per uscire datale antinomia è di «postulare» un mondo dell‘aldilà in cui possa realizzarsi ciò che nell‘aldiquà

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risulta impossibile: ovvero l‘equazione virtù=felicità. Nella matematica si chiamano  postulati quei princìpi che, pur essendo indimostrabili, vengono accolti per rendere possibili determinate veritàgeometriche. Analogamente, i postulati di Kant sono quelle proposizioni non dimostrabili  cheineriscono alla legge morale come condizione della sua stessa esistenza e pensabilità, ovvero quelleesigenze della morale che vengono ammesse per rendere possibile la realtà della morale stessa, ma

che di per se stesse non possono venir dimostrate. Kant pone due postulati «religiosi»,dell‘immortalità dell‘anima e dell‘esistenza di Dio, e un altro postulato: la libertà. Quest‘ultima èinfatti la condizione stessa dell‘etica, che nel momento in cui prescrive il dovere presuppone ancheche si  possa agire o meno in conformità di esso e che quindi si sia sostanzialmente liberi. Devi,dunque puoi, se c‘è la morale deve, per forza, esserci la libertà. I postulati kantiani non possonoaffatto valere come conoscenze. Se i postulati fossero delle verità dimostrate, la moralescivolerebbe immediatamente verso l‘eteronomia e sarebbe nuovamente la religione (o lametafisica) a fondare la morale, con tutti gli errori conseguenti. Rovesciando il modo tradizionale diintendere il rapporto tra morale e religione, Kant sostiene invece che non sono le verità religiose afondare la morale, bensì la morale, sotto forma di postulati, a fondare le verità religiose. In altritermini, Dio, per Kant, non sta all‘inizio e alla base della vita morale, ma eventualmente alla fine,

come suo possibile completamento.

La Critica del giudizio (1790)

La Critica della ragion pura si concludeva con una visione meccanicistica, in quanto la natura, dal punto di vista fenomenico, appariva come una struttura causale e necessaria, entro la quale nontrovava posto la libertà umana. Dalla Critica della ragion pratica affiorava invece una visione dellarealtà in termini finalistici, in quanto si postulava, come condizione della morale, la libertàdell‘uomo e l‘esistenza di Dio. In altre parole, da un lato un mondo fenomenico e deterministicoconosciuto dalla scienza, dall‘altro un mondo noumenico e finalistico postulato dall‘etica. Da ciòl‘abisso fra due mondi tanto diversi. La Critica del Giudizio è il tentativo di mediare il mondo

fenomenico con il mondo noumenico studiando una terza facoltà, intermedia, fra l‘intelletto (facoltàconoscitiva) e la ragione (facoltà pratica): il sentimento. Vi sono due tipi di giudizio: il giudizio

determinante (giudizio scientifico -sintetico a priori- studiato dalla Critica della ragion pura) e il Giudizio riflettente. Qui il termine riflettente vuole indicare che il soggetto "riflette" (come unospecchio) dall'interno all'esterno, attribuisce agli oggetti esterni una finalità che come taleappartiene solo al soggetto, alla sua interiorità. Il giudizio riflettente quindi serve a stabilire un

 ponte tra il mondo naturale (necessità) e il mondo della libertà. Il principio guida a- priori è l‘ipotesidella finalità della natura. I giudizi riflettenti sono il giudizio estetico e il giudizio teleologico.

 Nel giudizio estetico (Kant utilizza ora il termine estetico nel suo significato comune) noi vediamo

immediatamente la finalità della natura (es. di fronte a un bel paesaggio). Il giudizio estetico ha

una pretesa di universalità, di oggettività e si può specificare attraverso tre definizioni: Bello  èl‘oggetto di un piacere disinteressato (un campo di grano è utile per il guadagno che può dare al

 proprietario, ma è bello  perché contemplarlo provoca in me piacere); Bello è ciò che piaceuniversalmente, (vale per tutti); Bello è una ―finalità senza scopo‖ (espressione volutamentecontraddittoria per significare che l‘armonia che percepiamo in un oggetto bello non rientra inschemi concettuali precisi, senza scopo=senza concetti). Il carattere di universalità è quello piùtipico kantiano (normalmente si ritiene che de gustibus non est disputandum, che il gusto esteticosia soggettivo). Kant distingue fra giudizi estetici empirici (legati ai sensi) e questi sono soggettivi(mi piace), e giudizi estetici puri (non legati ai sensi e derivanti dalla pura contemplazione) e sonooggettivi (―è bello‖). Ciò viene giustificato attraverso la cosidetta (dai critici) rivoluzione

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copernicana estetica: il bello non è una proprietà dell‘oggetto (come nella filosofia greca), ma ilrisultato dell‘incontro fra l‘oggetto  e la nostra mente che nell‘oggetto percepisce armonia. Kantscrive che la bellezza non è un favore che la natura fa a noi, ma un favore che noi facciamo ad

essa portandola al livello della nostra umanità. La natura diventa bella quando noi scorgiamo in

essa la bellezza. Oltre al Bello Kant introduce il concetto di  sublime, che è "ciò che è

assolutamente grande al di là di ogni comparazione"; sublime matematico (immensamente grande)e sublime  dinamico  (forze immensamente grandi). Essi riguardano ciò che è "informe", ossiaillimitato (diametro terrestre, la via lattea, le galassie ecc.). Il sublime è in un certo modo presentitoquando, di fronte a certi spettacoli naturali che superano il potere della nostra immaginazione,

 proiettiamo su quest‘ultimi quella grandezza assoluta che è propria del sovrasensibile. 

La riflessione sull’ordine della natura, il  giudizio teleologico. Nel giudizio teleologico(finalistico) non vediamo immediatamente la finalità, ma la pensiamo  attraverso il concetto di

fine (es. riflettendo su uno scheletro capiamo che è stato prodotto per sorreggere l‘animale). Cosasia in sé la natura non lo sappiamo, perché la conosciamo solo fenomenicamente; tuttavia non

 possiamo fare a meno di considerarla come finalisticamente organizzata: "per la particolare struttura

della mia facoltà conoscitiva io non posso giudicare della possibilità di quelle cose [naturali] e dellaloro produzione se non pensando ad una causa che agisce intenzionalmente". Non possiamo fare ameno di scorgere nella natura anche cause finali (sebbene scientificamente possiamo solo conoscerele cause meccaniche. Critica ragion Pura). Tuttavia ―Non c’è nessuna ragione umana che possa

sperare di comprendere secondo cause meccaniche la produzione sia pure di un filetto

d’erba‖.

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ROMANTICISMO E IDEALISMO

Sturm und Drang Noi tutti siamo nati nella fede, dice Jacobi, e nella fede dobbiamo restare, cometutti siamo nati nella società e nella società dobbiamo restare. Ma fede è rivelazione. La filosofiadella fede si può considerare nel suo complesso come l‘espressione filosofica del movimento

letterario dello Sturm und Drang, tempesta e impeto. La ragione contro cui questa filosofia polemizza è la ragione finita, cioè la ragione di cui Kant aveva segnato le competenze ed i limiti;alla quale contrappone la fede come organo capace di cogliere ciò che ad essa è inaccessibile, Alleidee dello Sturm und Drang parteciparono Schiller e Goethe. Il poeta Friedrich Schiller  vedenell‘arte il principio che armonizza insieme la natura e lo spirito. L‘uomo  ha un istinto sensibile,che deriva dal suo essere fisico e lo lega alla materia ed al tempo; e un istinto della forma, chederiva dal suo essere razionale e tende a farlo libero. Deve dunque conciliare i due istinti, in modoche l‘uno limiti l‘altro; e dar luogo all‘istinto del gioco che porterà la forma nella materia e la realtànella pura forma razionale. L‘oggetto di questo istinto sarà la forma vivente, cioè la bellezza, In talmodo l‘uomo si sottrae sia alla determinazione della natura sensibile sia a quella della ragione, eraggiunge una condizione di pura problematicità, che è lo stato estetico. Johann Wolfgang Goethe 

è convinto che la natura e Dio sono strettamente congiunti e fanno tutt‘uno. ‗Tutto ciò che l‘uomo può raggiungere nella vita è che il Dio-natura gli si riveli. La natura non è che l‘abito vivente delladivinità. Storicamente il Romanticismo tedesco, cuore e centro propulsore del movimento, ha comeluogo di formazione la città di Jena e trova i suoi animatori ed esponenti di punta in FriedrichSchlegel, in August Wilhelm Schlegel, fratello di Friedrich; in Karoline Michaelis, donna dinotevole fascino e personalità, moglie di W. Schlegel e, in seguito, di Schelling; in Novalis, unadelle menti più rappresentative di tutto il Romanticismo tedesco e poeta d‘avanguardia del circolodi Jena. Nel 1797, nel corso di un‘aspra polemica con Schiller, F. Schlegel si trasferisce a Berlino,dove fonda la rivista «Athenaeum», che rappresenta il primo strumento di diffusione delle nuoveidee. Rientra inoltre nell‘atmosfera intellettuale del circolo, nonostante sia rimasto in disparte, ilgrande poeta Friedrich Hoelderlin. Gli Schlegel furono in rapporto anche con Fichte, conosciuto a

Jena nel 1796 e di cui subirono l‘influsso filosofico, attribuendogli la paternità ideale dello stessomovimento romantico; nonché con Schelling, che ad un certo punto parve la maggiore incarnazionefilosofica delle nuove idee. Hegel stesso, amico, negli anni giovanili, di Hoelderlin e di Schelling,ebbe modo di conoscere le dottrine estetiche e filosofiche del cenacolo degli Schlegel, che inseguito criticò aspramente, pur essendo influenzato dal generale clima romantico. Nel 1801, allamorte di Novalis, il gruppo si sciolse, ma le sue idee si diffusero rapidamente in altri centri dellaGermania e all‘estero.

Il circolo di Jena Dai poeti e dagli artisti, l‘organo più funzionale per rapportarsi alla vita e per penetrare nell‘essenza più riposta dell‘universo viene rintracciato nel sentimento: una categoriaspirituale che l‘antichità classica aveva per lo più ignorato. Questo valore predominante è la

 principale eredità che il Romanticismo riceve dallo Sturm und Drang. Il pensiero è soltanto unsogno del sentimento (Novalis). Goethe nel Faust scrive: Quando in cotesto sentire ti sentiveramente felice, chiamalo pure allora come vuoi: chiamalo felicità, cuore, amore, Dio. Per questoio non ho nome alcuno. Sentimento è tutto. La parola è soltanto suono e fumo. E Hoelderlinnell‘Iperione esclama: Un Dio è l‘uomo quando sogna, un mendicante quando pensa.

L‘esaltazione del sentimento L‘esaltazione del sentimento procede parallelamente al culto dell‘arte.Al poeta si conferiscono delle doti quasi sovra-umane e profetiche, che fanno di lui un «esploratoredell‘invisibile.‘, con poteri di intuizione superiori a quelli degli uomini comuni e della ragionelogica. Il poeta comprende la natura meglio che lo scienziato (Novalis). Questo concetto dell‘arte

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come meta-filosofica intuizione capace di attingere le profondità originarie della vita e di possederel‘Infinito, trova la sua più nota concettualizzazione in Schelling, che in essa individua l‘organotramite cui avviene la rivelazione dell‘Assoluto a se medesimo. Questo primato dell‘arte creativaimplica anche un primato del linguaggio poetico e musicale E nei romantici la musica diviene la«regina delle arti», anzi l‘arte romantica per eccellenza, poiché sprofondando l‘ascoltatore in un

flusso indeterminato di emozioni e di immagini gli fa vivere l‘esperienza stessa dell‘infinito. Lamusica è la più romantica di tutte le arti, il suo tema è l‘infinito.

Il senso dell’infinito  Il modello più seguito dai poeti e dai filosofi tedeschi è quello panteistico(primo Fichte e Hegel). Infatti il sentimento della immedesimazione fra Infinito e finito è così forteda far sì che i romantici tendano a concepire il finito come la realizzazione vivente dell‘Infinito.Sebbene prevalente, il modello panteistico non è, tuttavia, l‘unico, poiché accanto ad esso, neiromantici, troviamo anche un‘altra concezione dei rapporti fra finito ed Infinito: una concezione perla quale l‘Infinito viene in qualche modo a distinguersi dal finito, pur rivelandosi in esso. Il secondomodello, affermando la distinzione tra finito e Infinito, è una forma di trascendentismo e di teismo,che ammette la trascendenza dell‘Infinito rispetto al finito e considera l‘Infinito stesso come un Dio

che è al di li delle sue manifestazioni mondane,Sehnsucht Un altro dei motivi ricorrenti della cultura romantica è la concezione della vita comeinquietudine, desiderio, sforzo incessante, tipicamente incarnato dallo spirito faustiano, delineato daGoethe. L‘espressione Sehnsucht (desiderio, aspirazione struggente) costituisce forse la piùcaratteristica del Romanticismo tedesco, poiché sintetizza l‘interpretazione dell‘uomo comedesiderio frustrato verso qualcosa (l‘infinito, la felicità,.. ) che sempre sfugge.

Il culto per la storia Un altro degli aspetti caratterizzanti del Romanticismo tedesco è l‘interesse eil culto per la storia, antitetico all‘anti-storicismo illuministico. Mentre per l‘Illuminismo il soggettodella storia è l‘uomo, per il Romanticismo risulta essere la Provvidenza. L‘esito fallimentare dellaRivoluzione francese e dell‘impresa napoleonica aveva contribuito a generare l‘idea che a tirare lefila della storia non fosse l‘uomo, ovvero l‘insieme degli individui sociali, bensì una potenza extra-umana e sovra-individuale, concepita come forza immanente o trascendente. La storia prende lesembianze di un processo globalmente positivo, in cui non vi è nulla di irrazionale o di inutile e nelquale ogni regresso è soltanto apparente. Infatti la storia o è un progresso necessario e incessante,nel quale il momento successivo supera il precedente in perfezione e razionalità, o è una totalità. incui tutti i momenti sono egualmente razionali e perfetti (Hegel). Tutto ciò spiega perché lostoricismo romantico si accompagni ad una forma di tradizionalismo, che non solo giustifica. ma inqualche modo santifica il passato, ritenendolo espressione del corso di Dio nella storia.

La natura Un altro dei grandi temi del Romanticismo tedesco è la Natura. «Natura  —   esclamaGoethe. —  Noi siamo da essa circondati e avvinti, senza poter da essa uscire e senza poter entrare inessa più profondamente. Non invitati e non avvertiti, essa ci prende nel giro della sua danza e ciattrae nel vortice, finché, stanchi, cadiamo nelle sue braccia.  —   Essa crea eternamente nuoveforze….‖. Questo sentimento della natura si esprime in una nuova concezione complessiva di essa,che accomuna filosofi, poeti, uomini di scienza ecc. e che si definisce per antitesi nei confronti diquella emersa con la Rivoluzione scientifica e teorizzata dall‘Illuminismo, soprattutto dalmaterialismo francese. Da Galileo in poi, la Natura era stata prevalentemente considerata come unordine oggettivo e come un insieme di relazioni fattuali legate fra di loro da cause efficienti, mentrela scienza era stata interpretata come un‘indagine matematizzante sui fenomeni osser vabili. Ciòaveva prodotto un rifiuto della concezione rinascimentale del cosmo, generando ciò che va sotto il

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nome di meccanizzazione del quadro del mondo, ossia un‘interpretazione della natura come unsistema di materia in movimento retto da un insieme di leggi meccaniche, escludenti ogniriferimento a presunti «fini» o «scopi». I romantici pervengono ad una filosofia della naturaorganicistica (= la natura è una totalità organizzata nella quale le parti vivono solo in funzione delTutto), energetico-vitalista (= la natura è una forza dinamica, vivente, animata), finalistica (= la

natura è una realtà strutturata secondo determinati scopi, immanenti o trascendenti), spiritualistica(= la natura è uno spirito in divenire) e dialettica (= la natura è organizzata secondo coppie di forzeopposte, formate da un polo positivo ed uno negativo, e costituenti delle unità dinamiche).Reagendo alla disantropomorfizzazione e alla despiritualizzazione del cosmo effettuate dallamoderna scienza della natura, i romantici r itengono che la natura e l‘uomo posseggano unamedesima struttura spirituale. La scoperta della pila voltaica e i progressi del chimismo e delmagnetismo parvero, ad un certo punto, confermare talune intuizioni romantiche, come ad esempioquelle relative alla «dialetticità» dei fenomeni naturali, facendo sì che diversi pensatori guardasserotutti con interesse alla filosofia romantica della natura.

Hoelderlin 

Il poeta Friedrich Hoelderlin (1770-1843 nel suo romanzo Iperione, racconta la storia di un Grecomoderno, che vive il sogno dell‘infinita bellezza e perfezione della Grecia antica. Egli trova quella bellezza incarnata nella persona di una fanciulla di cui s‘innamora, Diotima: abbandona Diotima pertradurre in realtà. il suo ideale di perfezione spirituale e va a combattere per ricondurre la sua patriaa questo ideale. Ma incontra la sconfitta e la delusione; rinunzia allora alla sua amata, si ritira nellasolitudine, vive del suo sogno e finisce per esaltare il suo stesso dolore. Già in questa tramal‘Iperione porta tutti i tratti della concezione romantica. L‘ideale ellenizzante di Iperione è in realtàl‘ideale romantico. Essere uno col tutto, questa è la vita degli dèi, e il cielo dell‘uomo». Questotutto, che è uno, è l‘infinito e vive e si rivela nell‘uomo. Ma l‘uomo non può raggiungerlo soltantocol pensiero o con la ragione. Solo la bellezza gli rivela l‘infinito: e la prima figlia della bellezza èl‘arte, la seconda figlia è la religione, che è amore della bellezza. La filosofia nasce dalla poesi a

 perché solo attraverso la bellezza l‘uomo è in rapporto con l‘Uno infinito. La poesia è il principio eil termine della filosofia. Come Minerva dal capo di Giove, la filosofia sorge dalla poesia di unessere infinito, divino. Dal solo intelletto non scaturisce alcuna filosofia perché filosofia è più chenon limitata conoscenza del contingente.

Schlegel Friedrich Schlegel (1772-1829). Il concetto della poesia romantica, così come viene espresso daSchlegel. non è altro che il trasferimento nel dominio della poesia, considerata come mondo a sé.del principio fichtiano dell‘infinito. La poesia romantica è la poesia infinita. L‘idea dell‘infinitoaccomuna poesia, filosofia e religione in modo tale che nessuna di queste attività può sussisteresenza l‘altra. Poesia e filosofia sono, secondo che s‘intenda, sfere e forme diverse o anche i fattori

della religione. Provate infatti a congiungerle veramente insieme e non otterrete altro che religione. Nel Dialogo sulla poesia, il romantico è definito come ciò che ci rappresenta una materiasentimentale in una forma fantastica, definizione in cui per sentimentale s‘intende soprattutto ilmovimento spirituale dell‘amore. 

Novalis La concezione dell‘uomo come di un mago evocatore di mondi, creatore e annientatore della realtà,trova la sua migliore es pressione nell‘opera di Novalis. Mago è colui che sa dominare la natura sinoal punto da farla servire ai suoi fini.

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L’idealismo 

Per idealismo tedesco Tutto è Spirito e la Natura esiste non come realtà a sé stante, ma comemomento dialettico necessario della vita dello Spirito. Queste tesi di fondo dell‘intuizioneidealistica del mondo trovano una sorta di esemplificazione artistica nel racconto di Novalis  I

discepoli di Sais, dove si dice che: Accadde ad uno di alzare il velo della dea di Sais, Ma cosa vide?

 Egli vide  —  meraviglia delle meraviglie  —  se stesso. Secondo l‘interpretazione idealistica, la deavelata sarebbe il simbolo del mistero dell‘universo; quell‘uno che giunge a scoprirla è il filosofoidealista, che dopo una lunga ricerca si rende conto che la chiave di spiegazione di ciò che esiste,vanamente cercata dai filosofi fuori dell‘uomo, ad esempio in un Dio trascendente o nella Natura, sitrova invece nell‘uomo stesso, ovvero nello Spirito, Ma se l‘uomo è lo scopo dell‘universo, chesono gli attributi fondamentali che la filosofia occidentale ha riferito alla divinità, vuol dire che eglicoincide con l‘Infinito, cioè con Dio stesso, A questo punto risultano evidenti anche i rapporti cheuniscono e dividono l‘idealismo dalla tradizione ebraico-cristiana. Gli idealisti pensano anch‘essi,da un lato, che l‘uomo sia il re del creato tuttavia l‘idealismo tedesco, laicizzando il biblico Diocreò i cieli e la terra per l‘uomo», conclude che l‘uomo stesso è Dio. Tant‘è vero che la figuraclassica di un Dio trascendente e staticamente perfetto, per il primo Fichte, è solo una ‗ciarla

scolastica o una chimera‘, in quanto presupporrebbe l‘esistenza di un positivo senza il negativo.Invece, per gli idealisti, l‘unico Dio possibile è lo Spirito dialetticamente inteso, ovvero il soggettoche si costituisce tramite l‘oggetto. la libertà che opera attraverso l‘ostacolo, l‘io che si svil uppaattraverso il non-io. Con l‘idealismo ci troviamo di fronte, per la prima volta nella storia del

 pensiero, ad una forma di panteismo spiritualistico (= Dio è lo Spirito operante nel Mondo)

CARATTERI DELL‘IDEALISMO TEDESCO

In Filosofia si definiscono idealiste quelle visioni del mondo che ritengono che la realtà ―vera‖ nonsia quella materiale ma sia quella spirituale (Platonismo e Cristianesimo). Si definisce propriamenteIdealismo la corrente filosofica tedesca (Fichte, Schelling e Hegel) che giunge a dire che tutto èSpirito. Aspetti comuni dell‘idealismo sono: 1. una rinnovata fiducia nella metafisica; 2.l‘identificazione della realtà con lo Spirito; 3. l‘idea di Dio come processo continuo di auto-realizzazione; 4. la tesi che l‘infinito vive nel finito; 5. una concezione immanentistica della realtà.In Kant l‘io è qualcosa di finito che si limita ad ordinare con le proprie categorie la realtà che gli stadi fronte e che risulta per molti versi inconoscibile (cosa in sé). Con Fichte il discorso si sposta dal

 piano gnoseologico (relativo alla conoscenza) al piano metafisico (relativo all‘essere, alla realtà). Lacosa in sé (qualunque cosa estranea all‘Io) viene abolita e tutto viene ricondotto all‘Io che pertantodiventa Infinito, privo di limiti esterni. Per Io (o i suoi sinonimi Spirito, Assoluto, Infinito), Fichtenon intende l‘io empirico individuale, ma il Genere Umano, come attività conoscitiva e pratica. Se

Tutto è Spirito e l‘Io è Infinito, che cosa è, per gli idealisti, la materia, la Natura? Gli idealistielaborano un concetto del tutto nuovo di Dialettica degli opposti: nella realtà non esiste mai un positivo (tesi) senza un negativo (antitesi), un Soggetto senza un Oggetto, un Io senza un Non-Io.Lo Spirito ―crea‖ la Natura come suo opposto e la Natura esiste solo per lo Spirito, in funzione delloSpirito, come la scena dell‘attività dello Spirito. La natura esiste solo come polo dialettico negativo,necessario per la vita dello Spirito. Ecco il senso delle righe di Novalis. Il mistero dell‘universo(simbolizzato dalla dea velata) è risolto dal filosofo idealista che dopo aver vanamente cercato larisposta fuori dell‘uomo (la Natura, Dio trascendente ecc.), finalmente la trova nell‘Uomo stesso,nello Spirito. Ma se l‘Uomo (lo Spirito) è il senso del tutto, allora l‘Uomo coincide con il Tutto, conl‘Infinito, con Dio. L‘uomo è Dio stesso. Mentre tutte le filosofie naturalistiche e materialistiche

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avevano concepito la Natura come Causa dello Spirito (nel senso che l‘Uomo è un prodotto della Natura), l‘idealismo rovescia questa convinzione sostenendo che è lo Spirito (l‘Uomo) ad esserecausa della natura. Con l‘idealismo tedesco si ha la prima formulazione nella storia della filosofia  di una forma di panteismo spiritualistico (Dio è lo Spirito che opera nel Mondo, è l‘Uomo), che sidistingue nettamente dal panteismo naturalistico (Dio è la natura) e dal Trascendentismo (Dio

ebraico-cristiano trascendente la natura).

J. FICHTE (1762-1814) 

Kant aveva riconosciuto nell‘io-penso il principio supremo di tutta la conoscenza. Schulze, Maimone Beck hanno dichiarata chimerica la stessa cosa in sé in quanto esterna alla coscienza eindipendente da essa. Maimon e Beck avevano quindi giù tentato di attribuire all‘attività soggettivala produzione del materiale sensibile e di risolvere nell‘io l‘intero mondo della conoscenza, Fichtetrae per la prima volta le conseguenze da queste premesse. Se l‘io è l‘unico principio, non soloformale ma anche materiale del conoscere, l‘Io è infinito. Tale è il punto di partenza di Fichte. Il

quale è il filosofo dell‘infìnità dell‘Io, della sua assoluta attività, quindi della sua assoluta libertà.

La Dottrina della scienza e i suoi tre principi

L‘ambizione di Fichte è di costruire un sistema grazie al quale la filosofia, cessando di esseresemplice ricerca del sapere (secondo l‘etimologia greca del termine), divenga finalmente un sapereassoluto e perfetto. Infatti il concetto della Dottrina della scienza è quello di una scienza dellascienza, cioè di un sapere che metta in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza eche a sua volta si fondi, quanto alla sua validità, sullo stesso principio. Il principio della dottrinadella scienza è l‘Io o l‘Autocoscienza. Noi possiamo dire che qualcosa esiste, afferma il filosofo,solo rapportandolo alla nostra coscienza, ossia facendone un essere-per-noi, A sua volta la

coscienza è tale solo in quanto è coscienza di se medesima, ovvero autocoscienza. In sintesi:l‘essere per noi (l‘oggetto) è possibile soltanto sotto la condizione della coscienza (del soggetto) equesta soltanto sotto la condizione dell‘autocoscienza. La coscienza è il fondamento dell‗essere,l‘autocoscienza è il fondamento della coscienza. La Dottrina della scienza è il tentativo sistematicodi dedurr e dal principio dell‘autocoscienza la vita teoretica e pratica dell‘uomo. Fichte comincia inessa con lo stabilire i tre principi di questa deduzione. 1. l‘Io pone se stesso; 2. L‘Io oppone a sé unnon — io, ossia il mondo, in cui si trova anche il nostro io finito, pensa a se stesso comecontrapposto agli oggetti (non-io). 3. L‘lo oppone nell‘Io all‘io divisibile un non-io divisibile

Il primo principio è ricavato da una riflessione sulla legge d‘identità (per cui A = A), che la filosofiatradizionale aveva considerato come base universale del sapere. In realtà, osserva Fichte, tale legge

non rappresenta il primo principio della scienza, poiché essa implica un principio ulteriore che èl‘Io. Infatti, tale legge presuppone che se A è dato, deve essere formalmente uguale a se stesso (A =A; es. il triangolo è triangolo). In tal modo essa assume ipoteticamente la presenza cii A. Ora,l‘esistenza iniziale cli A dipende dall‘Io che la pone, poiché senza l‘identità dell‘lo (Io = Io)l‘identità logica (A = A) non si giustifica. In altri termini, il rapporto d‘identità è posto dall‘lo,

 perché è l‘Io che giudica cli esso. Ma l‘Io non può porre quel rapporto, se non pone se stesso.L‘esistenza dell‘lo ha dunque la stessa necessità del rapporto logico A = A, in quanto l‘I o non puòaffermare nulla senza affermare in primo luogo la propria esistenza. Di conseguenza, il principiosupremo del sapere non è quello d‘identità, che è  posto dall‘lo, ma l‘Io stesso. Questi, a sua volta,non è posto da altri, ma si pone da sé, Infatti la caratteristica dell‘Io consiste nell‘auto-creazione,

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Tale auto-creazione coincide con l‘intuizione intellettuale che l‘Io ha di se stesso. Il primo principiodella Dottrina della scienza stabilisce quindi che «l‘Io pone se stesso», chiarendo come il concettodi Io in generale si identifichi con quello di un‘attività auto-creatrice ed infinita, Il secondostabilisce che «l‘Io pone il non-io», ovvero che l‘Io non solo pone se stesso, ma oppone anche a sestesso qualcosa che, in quanto gli è opposto, è un non-io (oggetto, mondo, natura). Tale non-io è

tuttavia posto dall‘Io ed è quindi nell‘lo. Infatti, che senso avrebbe un Io senza un non-io, cioè unsoggetto senza oggetto, un‘attività senza un ostacolo, un positivo senza un negativo? Il terzo principio mostra come l‘Io, avendo posto il non-io, si trovi ad essere limitato da esso, esattamentecome quest‘ultimo risulta limitato dall‘Io, In altri termini, con il terzo principio perveniamo allasituazione concreta del mondo, nella quale abbiamo una molteplicità di io finiti che hanno di frontea sé una molteplicità di oggetti a loro volta finiti. E poiché Fichte usa l‘aggettivo divisibile perdenominare il molteplice e il finito, egli esprime il principio in questione con la formula:  L’lo

oppone nell’Io all’io  divisibile un non-io divisibile. Questi tre principi delineano i capisaldidell‘intera dottrina di Fichte, perché stabiliscono: a) l‘esistenza di un Io infinito, attivitàassolutamente libera e creatrice b) l‘esistenza di un io finito (perché limitato dal non-io), cioè di unsoggetto empirico (l‘uomo come intelligenza o ragione); c) la realtà di un non -io, cioè dell‘oggetto

(mondo o natura), che si oppone all‘io finito, ma è ricompreso nell‘Io infinito, dal quale è posto. Nello stesso tempo essi costituiscono il nerbo della deduzione idealistica del mondo, ossia di quellaspiegazione della realtà alla luce dell‘Io, che contrapponendosi all‘antica metafisica dell‘essere odell‘oggetto mette capo ad una nuova metafisica dello spirito e del soggetto. I tre princìpi nonvanno interpretati in modo cronologico, bensì logico, in quanto Fichte, con essi, non intende direche prima esista l‘Io infinito, poi l‘io che pone il nonio ed infine l‘io finito, ma semplicemente cheesiste un Io che, per poter essere tale, deve presupporre di fronte a sé il non-io, trovandosi in talmodo ad esistere concretamente sotto forma di io finito.

Friedrich SCHELLING (1755-1854)

Lo sviluppo del pensiero di Schelling risulta estremamente complesso e oggetto di discussionicritiche. In generale gli studiosi tendono a distinguere alcuni momenti o tappe del suo filosofare:1) Il momento fichtiano (1795-1796) 2) la fase della «filosofia della natura (1797-1799) 3) il

 periodo dell‘idealismo trascendentale» (1800) 4) lo stadio de/la «filosofìa dell‘identità (1801-1805)5) il periodo «teosofico» 6) la fase della filosofia positiva e della filosofia della religione.

L’assoluto come indifferenza di Spirito e Natura 

La filosofia di Kant è una filosofia del finito e si muove perciò, come Kant stesso riconobbe,nell‘ambito dell‘Illuminismo, La filosofia di Fichte è una filosofia dell‘infinito dentro e fuoril‘uomo ed apre l‘epoca del romanticismo. L‘Io di Fichte è il principio dell‘infinità soggettiva,Schelling vuole unire le due infinità nel concetto di un Assoluto che non è riducibile né al soggettoné all‘oggetto, perché dev‘essere il fondamento dell‘uno e dell‘altro. Ben presto egli si accorge cheuna pura attività soggettiva non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e che un principio

 puramente oggettivo (la Sostanza spinoziana) non potrebbe spiegare l‘origine dell‘intelligenza edell‘io, Il principio supremo deve essere quindi un Assoluto o Dio che sia insieme soggetto eoggetto, ragione e natura; cioè che sia l‘unità, l‘identità o l‘indifferenza di entrambi. La natura,secondo Schelling, ha vita e razionalità in se stessa. Deve avere in sé un principio autonomo che laspieghi in tutti i suoi aspetti. E questo principio deve essere identico a quello che spiega il mondodella ragione e dell‘io, quindi la storia. Il principio unico deve essere insieme soggetto e oggetto,

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attività razionale e attività inconsapevole, idealità e realtà. Tale è l‘Assoluto. Il riconoscimento delvalore autonomo della natura e la tesi dell‘Assoluto come identità o indifferenza di natura e spiritoconducono Schelling ad ammettere due possibili direzioni della ricerca filosofica: l‘una, la filosofiadella natura, diretta a mostrare come la natura si risolva nello spirito, l‘altra, la filosofiatrascendentale, diretta a mostrare come lo spirito si risolva nella natura.

La filosofia della natura

La filosofia della natura di Schelling è una costruzione tipicamente romantica la quale, prendendospunto dai problemi sollevati dalla Critica del Giudizio di Kant (a proposito della finalità degliorganismi viventi) si nutre di suggestioni disparate, che provengono sia dalla scienza dell‘epoca (in

 particolare dalla chimica e dagli studi sull‘elettricità e sul magnetismo) sia dalla cultura filosoficadel passato (dal pensiero greco e cristiano, dal naturalismo rinascimentale, da Spinoza e daLeibniz). Alla base di tale filosofia, che si trova esposta in varie opere sta il rifiuto dei duetradizionali modelli esplicativi della natura: quello meccanicistico-scientifico da un lato e quellofinalistico-teologico dall‘altro. Il primo, parlando in termini di materia. movimento e causa si trova

in difficoltà, come aveva già notato Kant. a spiegare gli organismi viventi. Il secondo, ricorrendoalla magia di un Intelletto divino agente dall‘esterno del mondo, finisce per comprometterel‘autonomia dei processi naturali. A questi due modelli Schelling contrappone il proprioorganicismo finalistico e immanentistico, ossia uno schema secondo cui: 1) ogni parte ha senso soloin relazione al tutto e alle altre parti (= organicismo); 2) l‘universo non si riduce ad una miracolosacollisione di atomi, poiché al di là del meccanismo delle sue forze si manifesta una finalitàsuperiore («oggettiva e reale) che, tuttavia, non deriva da un intervento esterno, ma è interno alla

 Natura stessa (= finalismo immanentistico). La Natura è un «organismo che organizza se stesso» enon già «un‘opera d‘arte il cui concetto stia fuori di essa, nella mente dell‘artista». Da ciò l‘idea diuno ‗Spirito‘ immanente nella Natura come «forza» organizzatrice e vivificatrice dei fenomeni.Forza che Schelling, rifacendosi agli antichi, denomina anche con il termine di «Anima del

mondo», precisando che la natura è un Tutto vivente, ovvero un immenso Organismo in cui ognicosa, compresa la sfera inorganica, risulta dotata di vita. Essendo spirito, sia pure inconscio, la Natura presenta gli stessi caratteri di fondo che Fichte aveva attribuito all‘Io. Essa è infattiun‘attività spontanea e creatrice, che esplica se stessa in una serie infinita di creature. La Natura si

 polarizza in due princìpi di base: l‘attrazione e la repulsione.

Le tre manifestazioni universali della Natura, nelle quali si concretizza la polarità attrazione-repulsione, sono il magnetismo, l‘elettricità e il chimismo. Il magnetismo esprime la coesione graziealla quale le varie parti dell‘universo gravitano le une verso le altre. L‘elettricità esprime quella

 polarità dialettica che fa del mondo la sede di un‘opposizione di forze di segno contrario. Ilchimismo esprime quella incessante metamorfosi dei corpi che fa dell‘universo una grande fucina in

cui si fabbricano per sintesi le più svariate realtà. La Natura si configura quindi come uno spiritoinconscio in moto verso la coscienza, cioè come un processo in cui si ha una progressivamaterializzazione della materia ed un progressivo emergere dello Spirito. La Natura, lungo un

 percorso che va dai minerali all‘uomo, appare come la preistoria dello spirito. La natura attinge ilsuo più alto fine, con l‘ultima e la più alta riflessione, che non e altro se non l‘uomo. o, piùgeneralmente, ciò che noi chiamiamo ragione.

La teoria dell’arte

 Nella filosofia teoretica e pratica Spirito e Natura, nonostante la loro corrispondenza, continuano aessere due poli distinti, separati da una divaricazione originaria, che è quella fra soggetto ed

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oggetto. Di conseguenza, l‘unità fra Spirito e Natura risulta più postulata che effettivamentedimostrata. Secondo Schelling, l‘unica maniera per risolvere questo nodo è di rintracciareun‘attività nella quale si armonizzino completamente spirito e natura, il produrre inconscio e quelloconscio  —  ovvero un‘attività nella quale si manifesti immediata mente ciò che nella storia si vaattuando progressivamente, a titolo di tappa finale di un processo in corso. L‘attività che compie

tale miracolo è l‘arte, Inserendosi nel quadro dell‘estetismo romantico. Schelling ritiene che l‘arte siconfiguri come l‘organo di rivelazione dell‘Assoluto nei suoi caratteri di infinità, consapevolezza einconsapevolezza al tempo stesso. Infatti, nella creazione estetica l‘artista risulta in preda ad unaforza inconsapevole, che lo ispira e lo entusiasma, facendo sì che la sua opera si presenti comesintesi di un momento inconscio o spontaneo (= l‘ispirazione) e di un momento conscio (=l‘esecuzione cosciente). L‘esaltazione romantica del valore dell‘arte trova quindi, in Schelling lasua più significativa espressione filosofica. L‗idealismo di Schelling, è anche denominato estetico. 

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G. W. F. HEGEL (1770-1831)

Gli scritti del periodo giovanile dimostrano un prevalente interesse religioso-politico. Questointeresse si trasforma nelle grandi opere della maturità in un interesse storico-politico). La realtà chesta dunque continuamente dinanzi a Hegel e nei cui confronti egli formula le sue categorie

interpretative è quella della storia umana e della vita dei popoli. Gli scritti giovanili rimasero ineditie sono quasi tutti di natura teologica: La positività della religione cristiana; Lo spirito delcristianesimo e il suo destino. La prima grande opera di Hegel è la Fenomenologia dello spirito(1807) nella cui prefazione (1806) egli dichiarava il suo distacco dalla dottrina di Schelling. A

 Norimberga Hegel pubblicò la Scienza della logica, le cui due parti apparvero rispettivamente nel1812 e nel 1816. A Heidelberg apparve, nel 1817, l‘Enciclopedia delle scienze filosofiche incompendio che è la più compiuta formulazione del sistema di Hegel. Nelle due successive edizionidel 182 e del 1830, Hegel stesso aumentò molto la mole dell‘opera. A Berlino Hegel pubblicavaquella che, in certo senso, è l‘opera più significativa, Lineamenti di filosofia del diritto ossia dirittonaturale e scienza dello stato in compendio (1821). Dopo la sua morte gli scolari raccolsero,ordinarono e pubblicarono i suoi corsi dì Berlino.

Le tesi di fondo del sistema

Per poter seguire lo svolgimento del pensiero di Hegel risulta indispensabile aver chiare, sindall‘inizio, le tesi di fondo del suo idealismo: 1) la risoluzione del finito nell‘infinito; 2) l‘identitàfra ragione e realtà; 3) la funzione giustificatrice della filosofia.

1. Per Hegel la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario di cui tuttociò che esiste è parte o manifestazione. Tale organismo coincide con l‘Assoluto e con l‘infinito,mentre i vari enti del mondo, essendo manifestazioni di esso, coincidono con il finito. La parte non

 può esistere se non in connessione con il Tutto. L‘hegelismo si configura quindi come una forma dimonismo panteistico, cioè come una teoria che vede nel mondo (= il finito) la manifestazione o la

realizzazione di Dio infinito. Mentre per Spinoza l‘Assoluto è una sostanza statica che coincide conla Natura, per Hegel si identifica invece con un Soggetto spirituale in divenire, di cui tutto ciò cheesiste è momento o tappa. Dire che la realtà non è «Sostanza», ma «Soggetto», significa dire,secondo Hegel, che essa non è qualcosa di immutabile e di già dato, ma un processo di auto-

 produzione che soltanto alla fine, cioè con l‘uomo (lo Spirito) e le sue attività più alte (arte,religione e filosofia), giunge a rivelarsi per quello che è veramente: I l vero è l’intiero. Ma l’intiero è

 soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto devesi dire che esso è

essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità.

2. Il Soggetto spirituale infinito che sta alla base della realtà viene denominato da Hegel con iltermine Idea o Ragione, intendendo con queste espressioni l‘identità di pensiero ed essere, o

meglio, di ragione e realtà. Da ciò il noto aforisma in cui si riassume il senso stesso dell‘hegelismo:« Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale‘.Con la prima parte della formula, Hegelintende dire che la razionalità non è pura idealità, astrazione, schema, ma la forma stessa di ciò cheesiste. Viceversa, con la seconda parte della formula, Hegel intende affermare che la realtà non èuna materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale (l‘idea o la Ragione) che simanifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell‘uomo. Per cui, con il suoaforisma, Hegel non esprime la semplice possibilità che la realtà sia penetrata o intesa dalla ragione,ma la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e ragione. Tale identità implica‘anchel‘identità fra essere e dover  — essere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deveessere. Il mondo, in quanto è, e così com‘è, è razionalità dispiegata, ovvero ragione reale e realtà

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razionale  —   che si manifesta attraverso una serie di momenti necessari che non possono esserediversi da come sono. Infatti. da qualsiasi punto di vista guardiamo il mondo, troviamo ovunque,secondo Hegel, una rete di connessioni necessarie e di «passaggi obbligati» che costituisconol‘articolazione vivente dell‘unica Idea o Ragione.

3. Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della realtà e nelcomprenderne le strutture razionali che la costituiscono: Comprendere ciò che è, è il compito dellafilosofia, poiché ciò che è, è la ragione. La filosofia arriva sempre troppo tardi; giacchésopraggiunge quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione. Essa, afferma Hegel, ècome la nottola di Minerva che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, cioè quando la realtà è già

 belle fatta. La filosofia deve dunque mantenersi in pace con la realtà» e rinunciare alla pretesaassurda di determinarla. Questi chiarimenti delineano il tratto essenziale della filosofia e della

 personalità di Hegel. L‘autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla filosofia è lagiustificazione razionale della realtà.

Idea, Natura e Spirito: le partizioni della filosofiaHegel ritiene che il farsi dinamico dell‘Assoluto passi attraverso i tre momenti dell‘Idea in sé e persé (tesi), dell‘Idea fuori di sé (antitesi) e dell‘Idea che ritorna in sé‘ (sintesi). Tant‘è vero che ildisegno complessivo dell‘Enciclopedia hegeliana è quello di una grande triade dialettica. L‘Idea insé e per sé o Idea pura è l‘Idea considerata in se stessa, a prescindere dalla sua concretarealizzazione nel mondo. Da questo angolo prospettico. l‘Idea, secondo un noto paragone teologicodi Hegel, è assimilabile a Dio «prima della creazione della natura e di uno spirito finito», ovvero, intermini meno equivocanti (visto che l‘Assoluto hegeliano è un infinito immanente. che non crea ilmondo, ma è il mondo) al programma o all‘ossatura logico-razionale della realtà. L‘Idea fuori di séo Idea «nel suo esser altro è la Natura, cioè l‘alienazione dell‘Idea nelle realtà spazio-temporali delmondo. L‘Idea che ritorna in sé è lo Spirito, cioè l‘Idea che dopo essersi f atta natura torna presso disé» nell‘uomo. Ovviamente, questa triade non è da intendersi in senso cronologico, come se primaci fosse l‘Idea in sé e per sé,  poi la Natura e infine lo Spirito, ma in senso ideale. Infatti ciò checoncretamente esiste nella realtà è lo Spirito (la sintesi), il quale ha come sua coeterna condizione la

 Natura (l‘antitesi) e come suo coeterno presupposto il programma logico rappresentato dall‘Idea pura (la tesi). A questi tre momenti strutturali dell‘Assoluto Hegel fa corrispondere le tre sezioni incui divide il sapere filosofico: 1) la logica, 2) la filosofia della natura, 3) la filosofia dello spirito.

La dialettica

L‘Assoluto, per Hegel, è divenire. La legge che regola tale divenire è la dialettica, che rappresenta,al tempo stesso, la legge (ontologica) di sviluppo della realtà e la legge (logica) di comprensione

della realtà. Hegel distingue tre momenti o aspetti del pensiero: a) «l‘astratto o intellettuale‘; h) «ildialettico o negativo-razionale; c) lo speculativo o positivo-razionale. Il momento astratto ointellettuale consiste nel concepire l‘esistente sotto forma di una molteplicità di determinazionistatiche e separate le une dalle altre. In altri termini, il momento intellettuale (che è il grado più

 basso della ragione) è quello per cui il pensiero si ferma alle determinazioni rigide della realtà,limitandosi a considerane nelle loro differenze reciproche e secondo il principio di identità e di non-contraddizione (secondo cui ogni cosa è se stessa ed è assolutamente diversa dalle altre). Ilmomento dialettico o negativo-razionale consiste nel mostrare come le sopraccitate determinazionisiano unilaterali ed esigano di essere messe in movimento, ovvero di essere relazionate con altredeterminazioni. Il terzo momento, quello speculativo o positivo — razionale, consiste invece nel

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cogliere l‘unità delle determinazioni opposte, ossia nel rendersi conto che tali determinazioni sonoaspetti unilaterali di una realtà più alta che li ricomprende o sintetizza entrambi

La dialettica consiste quindi: 1) nell‘af fermazione o posizione di un concetto astratto e limitato»,(tesi); 2) nella negazione di questo concetto come alcunché di finito e nel passaggio ad un concetto

opposto (antitesi); 3) nell‘unificazione della precedente affermazione e negazione in una sintesi positiva comprensiva di entrambe. Sintesi che è una riaffermazione potenziata dell‘affermazioneiniziale (tesi), ottenuta tramite la negazione della negazione intermedia (antitesi). Riaffermazioneche Hegel focalizza con il termine tecnico di Aufhebung il quale esprime l‘idea di un superamentoche è, al tempo stesso, un togliere (l‘opposizione fra tesi ed antitesi) ed un conservare la verità dellatesi, dell‘antitesi e della loro lotta). Ogni sintesi diviene, a propria volta,  tesi di un‘altra antitesi, cuisuccede un‘ulteriore sintesi e così via, sino al compimento del processo globale dell‘Assoluto . Ladialettica illustra il principio fondamentale della filosofia hegeliana: la risoluzione del finitonell‘infinito. Infatti essa ci mostra come ogni finito, cioè ogni parte di realtà., non possa esistere inse stesso ma solo in un contesto di rapporti. Poiché il tutto di cui parla Hegel, ovvero l‘Idea, è unaentità. dinamica, la dialettica esprime appunto il processo mediante cui le varie parti della realtà

diventano momenti di un‘Idea unica ed infinita.La Fenomenologia dello Spirito

Il principio della risoluzione del finito nell‘infinito, o dell‘identità di razionale e reale, è statoillustrato da Hegel in due forme diverse. Dapprima Hegel si è fermato a illustrare la via che pergiungere fino ad esso ha dovuto percorrere la coscienza umana. In secondo luogo, Hegel haillustrato quel principio quale appare in atto in tutte le determinazioni fondamentali della realtà. La

 prima illustrazione è quella che Hegel ha dato nella Fenomenologia dello spirito: la seconda èquella che ha dato nella Enciclopedia delle scienze filosofiche e nelle opere che estendono lesingole parti di essa (Scienza della logica, Filosofia dell‘arte, Filosofia  della religione, Filosofia deldiritto, Filosofia della storia). Le vicende dello spirito nella prima opera sono le vicende del

 principio hegeliano dell‘infinito nelle sue prime apparizioni, nel suo progressivo affermarsi esvilupparsi attraverso una serie di figure esprimenti i settori più disparati della vita umana (laconoscenza, la società. la religione, la politica ecc.). E‘  la storia romanzata della coscienza, cheattraverso contrasti, scissioni, e quindi infelicità e dolore, esce dalla sua individualità, raggiungel‘universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione. Perciò l‘intero ciclodella fenomenologia si può vedere riassunto in una delle sue figure particolari che non per nulla èdiventata la più popolare: quella della coscienza infelice. La fenomenologia ha pertanto uno scopointroduttivo e pedagogico. Il singolo, dice Hegel. deve ripercorrere i gradi di formazione dellospirito universale, anche secondo il contenuto, ma come figure dello spirito già deposte, come gradidi una via tracciata e spianata.

La prima parte della Fenomenologia si divide in tre momenti: Coscienza (tesi). Autocoscienza(antitesi) e Ragione (sintesi).

Coscienza

Il punto di partenza della coscienza è la certezza sensibile. Questa appare a prima vista come lacertezza più ricca e più sicura; in realtà è la più povera. Essa non rende certi che di una cosa singola,questa cosa, ma la cosa può essere un albero, una casa ecc., di cui siamo certi, non in quanto alberoo casa, ma in quanto questo albero o questa casa, cioè in quanto presenti qui e ora davanti a noi. Ciòimplica che la certezza sensibile non è certezza della cosa particolare. ma del questo. al quale la

 particolarità della cosa è indifferente e che perciò è un universale. Se dalla certezza sensibile si

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 passa alla percezione si ha lo stesso rinvio all‘io universale: un oggetto non può essere percepitocome uno, nella molteplicità delle sue qualità, (per esempio, bianco, cubico, sapido), se l‘io non

 prende su di sé l‘affermata unità, se cioè non riconosce che l‘unità dell‘oggetto è da lui stessostabilita, Se infine si passa dalla percezione all‘intelletto, questo riconosce nell‘oggetto solo unaforza che agisce secondo una legge determinata. È condotto perciò a vedere nell‘oggetto stesso un 

semplice fenomeno, a cui si contrappone l‘essenza vera dell‘oggetto, che è ultrasensibile. Poiché ilfenomeno è soltanto nella coscienza e ciò che è al di là del fenomeno o è un nulla o è qualcosa perla coscienza, la coscienza a questo punto ha risolto l‘intero oggetto in se stessa ed è diventatacoscienza di sé, autocoscienza.

Autocoscienza

Con la sezione dell‘autocoscienza, che contiene le figure più celebri, il centro dell‘attenzione sisposta dall‘oggetto al soggetto, ovvero all‘attività concreta dell‘io, considerato nei suoi rapporto congli altri. Di conseguenza, tale sezione non si muove più in un ambito astrattamente «gnoseologico»,ma concerne settori più vasti, quali la società, la storia della filosofia e la religione. L‘autocoscienza

 postula la presenza di altre autocoscienze in grado di darle la certezza di essere tale. Ma ilriconoscimento non può che passare attraverso un momento di lotta e di sfida, ossia attraverso ilconflitto fra le autocoscienze. Tale conflitto, nel quale ogni autocoscienza. pur di affermare la

 propria indipendenza, deve essere pronta a tutto. anche a rischiare la vita, non si conclude con lamorte delle autocoscienze contendenti (poiché in tal caso sarebbe annullata l‘intera dialettica delriconoscimento) ma con il subordinarsi dell‘una all‘altra nel rapporto servo-signore. Il signore ècolui che, per affermare la propria indipendenza, ha messo valorosamente a repentaglio la propriavita, sino alla vittoria, mentre il servo è colui che, ad un certo punto, ha preferito la perdita della

 propria indipendenza, cioè la schiavitù, pur di avere salva la vita. Tuttavia, argomenta Hegel conuna penetrante analisi dialettica, la dinamica del rapporto servo-signore (che corrisponde al tipo disocietà del mondo antico) porta ad una paradossale inversione di ruoli, ossia ad una situazione per

cui il signore diviene seno del serro e il servo signore del signore. Infatti, il signore, cheinizialmente appariva indipendente, nella misura in cui si limita a godere passivamente del lavoroaltrui, finisce per rendersi dipendente dal servo. Invece quest‘ultimo, che inizialmente apparivadipendente, nella misura in cui padroneggia e trasforma le cose da cui il signore riceve il propriosostentamento, finisce per rendersi indipendente. La figura hegeliana del servo-signore, che èsenz‘altro «tra le cose più belle, presenta una notevole ricchezza tematica, che è stata apprezzatasoprattutto dai marxisti, i quali hanno visto in essa un‘intuizione dell‘importanza del lavoro e dellaconfigurazione dialettica della storia, nella quale, grazie all‘esperienza della sottomissione, sigenerano le condizioni per la liberazione.

Stoicismo e scetticismo

Il raggiungimento dell‘indipendenza dell‘io nei confronti delle cose, trova la sua manifestazionefilosofica nello stoicismo, ossia in un tipo di visione del mondo che celebra l‘autosufficienza e lalibertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda. Ma nello stoicismo l‘autocoscienza, la quale

 pretende di svincolarsi dai condizionamenti della realtà (passioni, ricchezze ecc.), ritenendo diessere libera sul trono o in catene», raggiunge soltanto una astratta libertà interiore, giacché queicondizionamenti permangono e la realtà esterna non e fatto negata. Chi pretende di metterecompletamente tra parentesi quel mondo esterno da cui lo stoico si sente indipendente (e che lasciainvece sussistere) è lo scetticismo, ossia un tipo di visione del mondo che sospende l‘assenso sututto ciò che è comunemente ritenuto per vero e reale (di conseguenza, lo scetticismo è per sé, ossia

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in modo consapevole, ciò che lo stoicismo è in sé, ossia in modo inconsapevole; esattamente comelo stoicismo è per sé ciò che la servitù è in sé). Tuttavia, in virtù del suo esasperato «atteggiamentonegativo verso l‘alterità‘, lo scetticismo dà luogo ad una situazione contraddittoria ed insostenibile.Hegel non fa che usare, contro lo scetticismo, l‘argomento tradizionale: quello secondo cui loscettico si auto-contraddice poiché da un lato dichiara che tutto è vano e non-vero, mentre dall‘altro

 pretende di dire qualcosa di reale e di vero,La coscienza infelice

La scissione, presente nello scetticismo, fra una coscienza immutabile ed una mutevole divieneesplicita nella figura della coscienza infelice ed assume la forma di una separazione radicale fral‘uomo e Dio. E‘ questa la situazione propria dell‘ebraismo, nel quale l‘essenza, l‘Assoluto, la realtàvera è sentita come lontana dalla coscienza ed assume le sembianze di un Dio trascendente padroneassoluto della vita e della morte, ovvero di un Signore inaccessibile di fronte a cui l‘uomo si trovain uno stato di dipendenza (la coscienza infelice ebraica rappresenta la traduzione, in chiavereligiosa. della situazione sociale espressa dal rapporto servo-signore). Nel secondo momento

assume la figura di un Dio incarnato. E questa la situazione propria del cristianesimo medioevale, ilquale, anziché considerare Dio come un Padre o un Giudice lontano, lo prospetta sotto forma di unarealtà effettuale. Tuttavia, come Dio incarnato, vissuto in uno specifico ed irripetibile periodostorico, risulta pur sempre, per i posteri, inevitabilmente lontano: «accade necessariamente ch‘essosia dileguato nel tempo e nello spazio, e che sia stato lungi e senz‘altro lungi rimanga» . Diconseguenza, con il cristianesimo, la coscienza continua ad essere «infelice» e Dio continua aconfigurarsi come un «irraggiungibile al di là che sfugge». anzi, che è «già sfuggito nell‘atto in cuisi tenta d‘affermarlo». Tale vicenda prosegue e si esaspera con la mortificazione di sé, in cui si ha la

 più completa negazione dell‘io a favore di Dio. Infatti, con l‘ascetismo e le sue pratiche diumiliazione della carne, ci troviamo di fronte ad una personalità tanto misera quanto infelice e«limitata a sé e al suo fare meschino», ovvero come aggiunge caratteristicamente Hegel, ad una

 personalità «che non riesce se non a covare se stessa. Ma il punto più basso toccato dal singolo (ilquale cerca un estremo punto di contatto fra sé e l‘immutabile nella figura mediatrice della Chiesa )è destinato a trapassare dialetticamente nel punto più alto allorquando la coscienza, nel suo vanosforzo di unificarsi con Dio, si rende conto di essere, lei stessa, Dio, ovvero l‘Universale o ilSoggetto assoluto. Ciò non avviene nel Medioevo, ma nel R inascimento e nell‘età moderna.

La ragione

Come Soggetto assoluto l‘autocoscienza è diventata Ragione ed ha assunto in sé ogni realtà. Mentrenei momenti anteriori la realtà del mondo le appariva come alcunché di diverso e di opposto (comela negazione di sé), ora invece può sopportarla: perché sa che nessuna realtà è niente di diverso daessa. La ragione, dice Hegel, è la certezza di essere ogni realtà». Questa certezza tuttavia devegiustificarsi: e il primo tentativo di giustificarsi è ‗un inquieto cercare», che si rivolge da principioal mondo della natura. È questa la fase del naturalismo del Rinascimento e dell‘empirismo. Qui lacoscienza crede, bensì, di cercare l‘essenza delle cose, ma in realtà non cerca che se stessa; e quellacredenza deriva dal non aver fatto ancora della ragione l‘oggetto della propria ricerca. Si determinacosì l‘osservazione della natura che, partendo dalla semplice descrizione, si approfondisce con laricerca della legge e con l‘esperimento; e che si trasfer isce poi nel dominio del mondo organico, per

 passare infine a quello stesso della coscienza con la psicologia. Seguono le tre figure della ragioneattiva, la prima, che Hegel denomina del piacere e la necessità», è quella in cui l‘individuo,faustianamente deluso dalla scienza e dalla ricerca naturalistica, si getta nella vita e va alla ricerca

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del proprio godimento. Ma nella ricerca del piacere l‘autocoscienza incontra la necessità deldestino, che, incurante delle sue personali esigenze di felicità, lo travolge inesorabilm ente. ‗Egli

 prendeva la vita, ma con ciò afferrava piuttosto la morte‘. L‘autocoscienza cerca allora di opporsi alcorso ostile del mondo appellandosi alla «legge del cuore» (il filone sentimentale che va daRousseau ai romantici). Nasce in tal modo la seconda figura della ragione attiva, che Hegel

denomina «la legge del cuore e il delirio della presunzione‘, nella quale l‘individuo, dopo avercercato di individuare e di abbattere i responsabilità dei mali nel mondo (preti fanatici, despoticorrotti), entra in conflitto con altri presunti portatori dei vero progetto di miglioramento dellarealtà: ‗La coscienza che propone la legge del suo cuore avverte dunque la resistenza da parte dialtri, perché essa contraddice alle leggi altrettanto singole del cuore loro. Nasce in tal modo la terzafigura della ragione attiva, che Hegel denomina ‗La virtù e il corso del mondo. Ma il contrasto tra lavirtù, che è il bene astrattamente vagheggiato dall‘individuo nella sua speranza di invertirel‘invertito corso del mondo e la concreta realtà non può che concludersi con la sconfitta del‗cavaliere della virtù‘ e dei suoi donchisciotteschi propositi di moralizzazione dell‘esistente(Robespierre). Seguono ulteriori figure.

La seconda parte della Fenomenologia comprende tre sezioni (lo spirito, la religione e il sapereassoluto), che anticipano il contenuto della filosofia dello spirito. Hegel stesso, in una redazione piùconcisa del processo fenomenologico, contenuta nell‘Enciclopedia, ha eliminato tale parte.

La LOGICA

In quanto scienza dell‘idea pura, cioè dell‘Idea nell‘elemento astratto del pensiero‘ la logica —  allaquale Hegel ha dedicato la seconda delle sue opere fondamentali, la Scienza della logica (1812-1816), che ha poi ricapitolato nella prima parte della Enciclopedia  —  prende in considerazione lastruttura programmatica o l‘impalcatura originaria del mondo. Tale impalcatura si specifica in unorganismo dinamico di concetti o di «categorie» (Hegel usa preferibilmente il primo termine) iquali, in virtù della posta equazione fra pensiero ed essere, costituiscono altrettante determinazionidella realtà. La logica si divide in tre parti, che corrispondono ai tre momenti dello sviluppodell'idea. a) La logica dell'essere, che prende in esame i concetti più astratti, primo dei quali è ilconcetto di puro essere indeterminato, principio di tutto. "II puro essere," dice Hegel, "costituisce ilcominciamento", esso "preso nella sua immediatezza, è il nulla". Il cominciamento è dunque l'unitàdi essere e nulla, e questa unità è il concetto di divenire, col quale si ha la prima sintesi, ilsuperamento della prima opposizione. Dalla contraddizione esistente nella prima triade dialetticavengono dedotte le categorie dell'intuizione sensibile: qualità, quantità, misura. b) La logicadell'essenza, che prende in esame concetti più concreti, perché nel movimento dialettico l'essenza siesprime e si manifesta completamente nell'esistenza. Da questa vengono dedotte le categoriedell'intelletto, cioè della scienza: forma e materia, legge e fenomeno, causalità e azione reciproca. c)

La logica del concetto, che prende in esame la realtà come "sviluppo vivente" di se stessa. Daquesta vengono dedotte le categorie della concezione idealistica: concetti, giudizi, sillogismi.

La filosofia della natura

Il testo fondamentale della filosofia della Natura di Hegel è la seconda parte dell‘Enciclopedia.L'idea, quando si aliena da se stessa, si dispiega nell'esteriorità, dando origine alla natura, che è,appunto, "l'idea nella forma dell'essere altro" La filosofia della natura costituisce, nel sistemahegeliano, la fondamentale mediazione nel movimento dialettico che ha la sua sintesi nella filosofiadello spirito. Solo questa può a cogliere lo sviluppo organico della natura e a trarne una"considerazione concettuale", mentre la scienza empirica non riesce ad andare oltre la

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classificazione. Tuttavia, anche la filosofia della natura non è priva di limiti, a causa delleaccidentalità che la natura stessa presenta. Infatti la natura non mostra, nella sua esistenza, alcunalibertà, solo necessità ed accidentalità, e perciò deve essere divinizzata. Il mondo della natura vienededotto in tre gradi: la meccanica, dedicata all'esteriorità come tale (occupandosi dello spazio, deltempo e della loro sintesi, il luogo, culminante nella gravità); la fisica, dedicata alla materia

individualizzata (occupandosi della luce, del peso specifico, del calore, ecc.); l'organica, dedicataall'individualità soggettiva (occupandosi della natura geologica, di quella vegetale e di quellaanimale).

La filosofia dello spirito

La filosofia dello Spirito, che Hegel definisce la conoscenza «più alta e difficile‘ è lo studiodell‘Idea che, dopo essersi estraniata da sé, sparisce come natura, cioè come esteriorità e spazialità.

 per farsi soggettività e libertà. Lo sviluppo dello Spirito avviene attraverso tre momenti principali:lo spirito soggettivo (che è lo spirito individuale nell‘insieme delle sue facoltà), lo spirito oggettivo (che è lo spirito sovra-individuale o sociale), lo spirito assoluto (che è lo spirito il quale sa e

conosce se stesso nelle forme dell‘arte, della religione e della filosofia). Anche lo Spirito procede per gradi, ma diversamente da quanto accade nella Natura, nella quale i gradi sussistono l‘unoaccanto all‘altr o (come ad es. il mondo vegetale e quello animale), nello Spirito ciascun grado ècompreso e risolto nel grado superiore, il quale, a sua volta, è già presente nel grado inferiore. Lospirito soggettivo è lo spirito individuale, considerato nel suo lento e progressivo emergere dallanatura, attraverso un processo che va dalle forme più elementari di vita psichica alle più elevateattività conoscitive e pratiche. La filosofia dello spirito soggettivo si divide in tre parti;antropologia, fenomenologia e psicologia.

I momenti dello spirito oggettivo  —   che è la sezione storicamente più importante del pensierohegeliano —  sono tre: il diritto astratto, la moralità e l‘eticità. Il diritto astratto —  che coincide con ildiritto privato e con una parte di quello penale  —   riguarda l‘esistenza esterna della libertà delle

 persone, concepite come puri soggetti astratti di diritto, indipendentemente dai caratteri specifici edalle condizioni concrete che diversificano i vari individui fra loro. La persona trova il suo primocompimento in una cosa esterna, che diventa sua proprietà (definita come sfera esterna del liberovolere). La proprietà diviene però effettivamente tale soltanto in virtù del reciproco riconoscimentofra le persone, ossia tramite l‘istituto giuridico del contratto. Ovviamente, l‘esistenza del dirittorende possibile l‘esistenza del suo contrario, cioè la comparsa del torto (o dell‘illecito), che nel suoaspetto più grave è il delitto. Ma la colpa richiede una sanzione o una pena, che si configura,dialetticamente, come un ripristino del diritto violato. La pena, intesa come una ri-affermazione

 potenziata del diritto, ovvero come una negazione del delitto, il quale è a sua volta una negazionedel diritto, appare quindi come una necessità oggettiva del nostro razionale e giuridico vivere

insieme. Tuttavia, perché la pena sia efficacemente punitiva e formativa occorre che essa siariconosciuta interiormente dal colpevole. Ma questa esigenza, oltrepassando l‘ambito del diritto, checoncerne l‘esteriorità legale. richiama dialetticamente la sfera della moralità. La moralità è la sferadella volontà soggettiva, quale si manifesta nell‘azione, Quest‘ultima ha una portata morale solo inquanto sgorga da un proponimento (infatti il soggetto riconosce come sue soltanto le azioni cherispondono ad un suo deliberato e responsabile proposito. In quanto procede da un essere «pensante,il proponimento prende la forma dell‘intenzione.  Il dominio della moralità è caratterizzato dallaseparazione tra la soggettività, che deve realizzare il bene, e il bene che deve essere realizzato, Beneche assume inevitabilmente l‘aspetto di un dover -essere, ovvero, come scrive Hegel, di un essereassoluto, che tuttavia insieme non è. Da ciò la contraddizione tra essere e dover-essere, che è tipica

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della morale, soprattutto di quella kantiana, che Hegel critica per la sua formalità ed astrattezza,cioè per la sua mancanza di contenuti concreti. La separazione fra la soggettività ed il bene, che ètipica della moralità, viene annullata e risolta nell‘eticità, nella quale il bene si è attuatoconcretamente ed è divenuto esistente. Infatti, mentre la moralità è la volontà soggettiva, cioèinteriore e privata, del bene, l‘eticità è la moralità sociale, ovvero la realizzazione del bene in quelle

forme istituzionali che sono la famiglia, la società civile e lo Stato. Il primo momento dell‘eticità èla famiglia, nella quale il rapporto naturale dei sessi assume la forma di un‘unità spirituale fondatasull‘amore e sulla fiducia. La famiglia si articola nel matrimonio, nel patrimonio e nell‘educazionedei figli. Ma una volta cresciuti e divenuti personalità autonome, i figli escono dalla famigliaoriginaria per dare origine a nuove famiglie, aventi, ognuna, interessi propri. In tal modo si passa alsecondo momento dello spirito oggettivo. Con la formazione di nuovi nuclei familiari si ha lasocietà civile. La società civile non si riduce alla sola ‗base economica», in quanto il sistemaeconomico moderno presuppone, secondo Hegel, una serie di meccanismi giuridici che fanno parteintegrante della vita sociale. La società civile si articola in tre momenti: il sistema dei bisogni;l‘amministrazione della giustizia; la polizia e le corporazioni. L‘idea di porre, fra l‘individuo e loStato, quella sorta di terzo termine che è la società civile è stata ritenuta una delle maggiori

intuizioni di Hegel. Lo Stato rappresenta il momento culminante dell‘eticità, ossia la ri-affermazione dell‘unità della famiglia (tesi) al di là della dispersione della società civile (antitesi).Lo Stato, che è una sorta di famiglia in grande, nella quale l‘ethos di un popolo esprime se stesso,sta infatti alla società civile come l‘universale (= la ricerca del bene comune) sta al particolare (= laricerca dell‘utile  privato): «Lo Stato è la sostanza etica consapevole di sé.  —   la riunione del

 principio della famiglia e della società civile». Questa concezione etica dello Stato, visto comeincarnazione suprema della moralità, si differenzia nettamente dal modello politico elaborato daautori come Locke, Kant ecc., ossia dalla teoria liberale dello Stato come strumento volto agarantire la sicurezza e i diritti degli individui. Lo Stato di Hegel si differenzia pure dal modellodemocratico (Rousseau), ovvero dalla concezione secondo cui la sovranità risiederebbe nel popolo.La polemica anti-liberale ed anti-democratica di Hegel ha perciò, come suo presupposto teorico, la

 persuasione organicistica secondo cui non sono gli individui a fondare lo Stato, ma lo Stato afondare gli individui, sia dal punto di vista storico-temporale (in quanto lo Stato è prima degliindividui, che già nascono nell‘ambito di esso), sia dal punto di vista assiologico (in quanto lo Statoè superiore agli individui, come il tutto e superiore alle parti che lo compongono). La monarchiacostituzionale rappresenta, per il filosofo tedesco, la costituzione della ragione sviluppata. rispettoalla quale tutte le altre appartengono a gradi più bassi, Inoltre, essa risolve organicamente in sestessa le forme classiche di governo: monarchia, aristocrazia e democrazia. La filosofia dello statohegeliano mette capo ad una esplicita divinizzazione dello Stato.

La filosofia della storia

Hegel non nega che la storia possa apparire come un tessuto di fatti contingenti, insignificanti emutevoli e quindi priva di ogni piano razionale. Ma tale può apparire soltanto dal punto di vistadell‘intelletto finito, cioè dell‘individuo che non sa elevarsi al punto vista puramente speculativodella ragione assoluta. In realtà il grande contenuto della storia del mondo è razionale, e razionaledeve essere. Il fine della storia del mondo è che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso èveramente, e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone un mondo esistente, manifestioggettivamente se stesso. I mezzi della storia del mondo sono gli individui con le loro passioni. Male passioni sono semplici mezzi che conducono nella storia a fini diversi da quelli a cui esseesplicitamente mirano. Così il progresso trova i suoi strumenti negli eroi o individui della storia delmondo. Soltanto a tali individui Hegel riconosce il diritto di avverare la condizione di cose presenti

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e di lavorare per l‘avvenire. Il segno del loro destino eccezionale è il successo: resistere ad essi èimpresa vana. Apparentemente tali individui (Alessandro, Cesare, Napoleone) non fanno cheseguire la propria passione e la propria ambizione; ma si tratta, dice Hegel, di un‘astuzia dellaRagione che si serve degli individui e delle loro passioni come di mezzi per attuare i suoi fini,L‘individuo a un  certo punto perisce o è condotto a rovina dal suo stesso successo: l‘idea

universale, che l‘aveva suscitato, ha già raggiunto il suo fine. Rispetto a tale fine, individui o popolisono soltanto mezzi. Il disegno provvidenziale della storia si rivela nella vittoria che di volta involta consegue il popolo che ha concepito il più alto concetto dello spirito. Si è detto che il fineultimo della storia del mondo è la realizzazione della libertà dello spirito. Ora questa libertà sirealizza, secondo Hegel, nello Stato; lo Stato è dunque il fine supremo. La storia del mondo è, daquesto punto di vista, la successione di forme statali che costituiscono momenti di un divenireassoluto. I tre momenti di essa, il mondo orientale, il mondo greco-romano, il mondo germanico,sono i tre momenti della realizzazione della libertà dello spirito del mondo. Nel mondo orientaleuno solo è libero; nel mondo greco-romano alcuni sono liberi; nel mondo cristiano-germanico tuttigli uomini sanno di essere liberi. Infatti la monarchia moderna, abolendo i privilegi dei nobili e

 pareggiando i diritti dei cittadini, fa libero l‘uomo in quanto uomo.

Lo spirito assoluto

Lo spirito assoluto è il momento in cui l‘Idea giunge alla piena coscienza della propria infinità oassolutezza (cioè del fatto che tutto è Spirito e che non vi è nulla al di fuori dello Spirito). Tale auto-sapersi assoluto dell‘Assoluto non è qualcosa di immediato, ma il risultato di un processo dialetticorappresentato dall‘arte, dalla religione e dalla filosofia. Queste attività non si differenziano per illoro contenuto, che è identico, ma soltanto per la forma nella quale ciascuna di esse presenta lostesso contenuto, che è l‘Assoluto o Dio, L‘arte conosce l‘assoluto nella forma dell‘ intuizionesensibile, la religione nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del puro concetto,

L’arte rappresenta il primo gradino attraverso cui lo spirito acquista coscienza di se medesimo, inquanto, tramite essa, l‘uomo acquista consapevolezza di sé o di situazioni che lo riguardanomediante forme sensibili (figure, parole, musica ecc.). Inoltre nell‘arte lo spirito vive in modoimmediato ed intuitivo quella fusione fra soggetto ed oggetto, spirito e natura che la filosofiaidealistica teorizza concettualmente, sostenendo che la natura è nient‘altro che una manifestazionedello spirito. Hegel dialettizza la storia dell‘arte in tre momenti: l‘arte simbolica, l‘arte classica el‘arte romantica. L‘arte simbolica, tipica dei popoli orientali, è caratterizzata dallo squilibrio fracontenuto e forma, è incapace di esprimere un messaggio spirituale secondo forme sensibiliadeguate. Espressione vivente di questo squilibrio e di questa incapacità è il ricorso al simbolo e latendenza allo sfarzoso e al bizzarro, che testimoniano appunto l‘immaturità ed il travaglio di questo

 primo momento dell‘arte. L‘arte classica è caratterizzata da un armonico equilibrio fra contenuto

spirituale e forma sensibile, attuato mediante la figura umana, che è la sola forma sensibile in cuil‘arte riesce a rappresentarsi e manifestarsi compiutamente. Come tale, l‘arte classica si configuracome il culmine della perfezione artistica, L‘arte romantica è caratterizzata da un nuovo squilibriofra contenuto spirituale e forma sensibile, in quanto Io spirito acquista coscienza che qualsiasiforma sensibile è ormai insufficiente ad esprimere in modo compiuto l‘interiorità spirituale, cheinfatti preferisce volgersi alla filosofia, o fare dell‘arte stessa una sorta di filosofia, in cui ilcontenuto trabocca dalla forma. In altre parole, se nell‘arte simbolica il messaggio spirituale è così

 povero da non trovare la sua espressione figurativa adeguata, nell‘arte romantica è così ricco datrovare inadeguata ogni figurazione sensibile, lutto ciò determina la cosiddetta crisi modernadell‘arte.

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La religione è la seconda forma dello spirito assoluto, quella in cui l‘assoluto si manifesta nellaforma della rappresentazione. Si ha così la rappresentazione degli attributi divini singolarmente

 presi, delle relazioni tra Dio e il mondo nella creazione. della relazione tra Dio e la storia del mondonella provvidenza ecc. Tutte queste rappresentazioni vengono unite in modo puramente esteriore,sicché si giunge a riconoscere l‘inconcepibilità dell‘essenza divina che le unifica. In altri termini, la

religione non è in grado di pensare Dio dialetticamente e finisce per arenarsi dli fronte ad un presunto mistero dell‘Assoluto.Lo sviluppo della religione è lo sviluppo dell‘idea di Dio nellacoscienza umana. Le forme più basse di religione naturale sono la stregoneria ed il feticismo delletribù primitive dell‘Asia e dell‘Africa, Le forme più alte di religione naturale sono quelle in cui Dioappare come la potenza o la sostanza assoluta dei fenomeni. Tali sono le religioni panteistichedell‘estremo Oriente (indiana, buddistica). Nel secondo stadio troviamo le religioni naturali chetrapassano in religioni della libertà, cioè le religioni che già preludono alla visione di Dio comespirito libero, ma che si muovono ancora in un orizzonte naturalistico (religione persiana, siriaca edegiziana). Nel terzo stadio troviamo le religioni dell‘individualità spirituale (giudaica, greca,romana) in cui Dio appare in forma spirituale (o in sembianze umane). Nel quarto stadio troviamola religione assoluta, cioè la religione cristiana, in cui Dio appare come puro spirito. Sebbene il

cristianesimo sia la religione più alta e la più vicina alle verità della filosofia, essa presenta pursempre dei limiti che sono propri di ogni religione. Infatti, secondo Hegel, l‘unico sbocco coerentedella religione è la filosofia, che ci parla anch‘essa di Dio e dello Spirito, ma non più nella formainadeguata della rappresentazione, ma in quella adeguata del concetto.

Filosofia e storia della filosofia

 Nella filosofia, che è l‘ultimo momento dello spirito assoluto, l‘Idea giunge alla piena e concettualecoscienza di se medesima, chiudendo il ciclo cosmico. Hegel ritiene che la filosofia, al pari dellarealtà, sia una formazione storica, ossia una totalità processuale che si è sviluppata attraverso unaserie di gradi o momenti concludentesi necessariamente nell‘idealismo. In altre parole, la filosofia è

nient‘altro che l‘intera storia della filosofia giunta finalmente a compimento con Hegel. Diconseguenza. i vari sistemi filosofici che si sono succeduti nel tempo non devono essere consideraticome un insieme disordinato ed accidentale, in quanto ognuno di essi costituisce una tappanecessaria del farsi della Verità, che supera quello che precede ed è superato da quello che segue.Coerentemente con questa impostazione, la sua storia della filosofia, che inizia dalla filosofia grecae termina con quelle di Fichte e Schelling. si conclude veramente nella sua stessa filosofia. Lafilosofia, che è ultima nel tempo, è insieme un risultato di tutte le precedenti e deve contenere i

 principi di tutte: essa è perciò —  bene inteso se è davvero una filosofia  —  la più sviluppata, ricca econcreta. L‘ultima filosofia è quella di Hegel. L‘attuale punto di vista della filosofia è che l‘idea siaconosciuta nella sua necessità. A questo punto è pervenuto lo spirito universale, e ogni stadio ha,nel vero sistema della filosofia, la sua forma specifica.

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Schopenhauer (1788-1861)

Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22 Febbraio 1788 da Heinrich Floris, uomo ricco e potente, e da Henriette Trosianer, amante delle belle lettere. Si laurea in filosofia, pressol‘Università di Jena, con la tesi Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (1813).

Grazie all‘eredità lasciatagli dal padre, poté, d‘ora in poi, vivere di rendita e dedicarsicompletamente allo studio e alla ricerca. Nel 1818 pubblicò il suo capolavoro, Il mondo comevolontà e rappresentazione. Nel 1851 apparve Parerga e paralipomena, una raccolta di saggi.

Il mondo della rappresentazione come «velo di Maya»

Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa insé. Ma questa distinzione ha poco in comune con quella veramente professata da Kant. Perquest'ultimo il fenomeno è la realtà, l'unica realtà accessibile alla mente umana; e il noumeno è unconcetto-limite che serve da pro-memoria critico per rammentarci i limiti della conoscenza. PerSchopenhauer il fenomeno è invece parvenza, illusione, sogno, ovvero ciò che nell'antica sapienzaindiana è detto «velo di Maya»; mentre il noumeno è una realtà che si «nasconde» dietro

l'ingannevole trama del fenomeno, e che il filosofo ha il compito di «scoprire». Schopenhauerriconduce quindi il concetto di fenomeno ad un significato estraneo allo spirito del kantismo, e cheappare vicino, alla filosofia indiana e buddistica, che egli trae dagli antichi testi dei Veda e deiPurana. Per Schopenhauer questo è un principio simile agli assiomi di Euclide: ognuno ne riconoscela verità appena lo intende, e uno dei grandi meriti della filosofia moderna è di averlo portatodefinitivamente alla luce. La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cuidistinzione costituisce la forma generale della conoscenza: da un lato c'è il soggetto rappresentante,dall'altro c'è l'oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono soltanto all'interno dellarappresentazione, come due lati di essa, e nessuno dei due precede o può sussistereindipendentemente dall'altro. Di conseguenza, non ci può essere soggetto senza oggetto. Ilmaterialismo è falso perché nega il soggetto riducendolo all'oggetto o alla materia. L'idealismo è

 parimenti errato poiché compie il tentativo opposto e altrettanto impossibile di negare l'oggettoriducendolo al soggetto. Sulle orme del criticismo, anche Schopenhauer ritiene che la nostra mente,o più esattamente il nostro sistema nervoso e cerebrale, risultino corredati di una serie di forme a

 priori. Tuttavia, a differenza di Kant, Schopenhauer ammette solo tre forme a priori: spazio, tempoe causalità. Quest'ultima è l'unica categoria (Kant ne aveva elencate dodici), in quanto tutte le altresono riconducibili ad essa e poiché la realtà stessa dell'oggetto si risolve completamente nella suaazione causale su altri oggetti. La causalità, afferma Schopenhauer sin dallo scritto Sullaquadruplice radice del principio di ragion sufficiente assume forme diverse a seconda degli ambitiin cui opera, manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale, ovvero come

 principio del divenire (che regola i rapporti fra gli oggetti naturali), del conoscere (che regola i

rapporti fra premesse e conseguenze), dell'essere (che regola i rapporti spazio-temporali) e dell'agire(che riguarda i rapporti fra azione e motivi).

Schopenhauer considera la rappresentazione come ingannevole, traendo la conclusione che la vita è«sogno» o una sorta di «incantesimo», che fa di essa qualcosa di simile agli stati onirici. Andandoalla ricerca di precedenti illustri di questa intuizione, Schopenhauer cita i filosofi Veda (checonsiderano l'esistenza comune come una sorta di illusione ottica), Platone (il quale «dice spessoche gli uomini non vivono che in un sogno»), Pindaro (l'uomo è il sogno di un'ombra), Sofocle (che

 paragona gli individui a «simulacri e ombre leggere»), Shakespeare (il quale scrive che «noi siamodi tale stoffa, come quella di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è chiusa in un sonno»),

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Calderón de la Barca (autore del dramma La vida es sueño). Ma al di là del sogno e del fenomenoesiste la realtà vera, sulla quale l'uomo non può fare a meno di interrogarsi. Infatti, sostieneSchopenhauer, l'uomo è un «animale metafisico», che, a differenza degli altri esseri viventi, è

 portato a stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi sull'essenza ultima della vita.

La scoperta della via d'accesso alla cosa in sé

Schopenhauer presenta la sua filosofia come l'integrazione necessaria di quella di Kant, poiché sivanta di aver individuato quella via d'accesso al noumeno che il filosofo della Ragion pura aveva

 precluso. Ma se la nostra mente è chiusa nell'orizzonte della rappresentazione, com'è possibileandare oltre il velo di Maya? Se noi fossimo soltanto conoscenza e rappresentazione, o una «testad'angelo alata senza corpo», non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico, ossia dallarappresentazione puramente esteriore di noi e delle cose. Ma poiché siamo dati a noi non solo comerappresentazione, ma anche come corpo, non ci limitiamo a «vederci» dal di fuori, ma ci «viviamo»anche dal di dentro, godendo e soffrendo. Ed è proprio questa esperienza di base, che permetteall'uomo di «squarciare» il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in sé. Infatti, ripiegandoci su noi

stessi, ci rendiamo conto che l'essenza profonda del nostro io, è la «volontà di vivere», cioè unimpulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Più che intelletto, noi siamovita e volontà di vivere, e il nostro stesso corpo non è che la manifestazione esteriore dell'insiemedelle nostre brame interiori: l'apparato digerente non è che l'aspetto fenomenico della volontà dinutrirsi, l'apparato sessuale non è che l'aspetto oggettivato della volontà di accoppiarsi e diriprodursi, e così via. E l'intero mondo fenomenico non è altro che la maniera attraverso cui lavolontà si manifesta o si rende visibile a se stessa nella rappresentazione spazio-temporale.Fondandosi sul principio di analogia, Schopenhauer afferma che la volontà di vivere non è soltantola radice noumenica dell'uomo, ma anche l'essenza di tutte le cose, ossia la cosa in sé dell'universo.Infatti la volontà di vivere pervade ogni essere della natura, secondo gradi di consapevolezzadiversi, che vanno dalla materia organica, in cui appare in modo inconscio, sino all'uomo in cui essa

risulta pienamente consapevole.Caratteri della «Volontà di vivere»

Essendo al di là del fenomeno, la Volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo dellarappresentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di quest'ultimo: lo spazio, il tempo e lacausalità. Innanzitutto la Volontà primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e l'intellettocostituiscono soltanto delle sue possibili manifestazioni secondarie. Di conseguenza, il termineVolontà, preso in senso metafisico, non si identifica con quello di volontà cosciente, ma con ilconcetto più generale di energia o di impulso (ecco perché Schopenhauer attribuisca la volontàanche alla materia inorganica e ai vegetali). In secondo luogo, la Volontà risulta unica, poiché esisteal di fuori dello spazio e del tempo, che hanno la prerogativa di dividere e di moltiplicare gli enti.Essendo oltre la forma del tempo, la Volontà è anche eterna, ossia un Principio senza inizio né fine.Essendo al di là della categoria di causa, e quindi di ciò che Schopenhauer denomina «principio diragione», la Volontà si configura anche come una Forza libera e cieca, ossia come un'Energiaincausata, senza un perché e senza uno scopo. Miliardi di esseri (vegetali, animali, umani) nonvivono che per vivere e continuare a vivere. È questa, secondo Schopenhauer, l'unica crudele veritàsul mondo, anche se gli uomini hanno cercato per lo più di «mascherare» la sua terribile evidenza

 postulando un Dio cui sarebbe finalizzata e in cui troverebbe un «senso» la loro vita. Ma Dio,nell'universo doloroso di Schopenhauer, non può esistere e l'unico Assoluto è la Volontà stessa. I

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suoi caratteri di fondo (unicità, eternità) sono i caratteri che da sempre si sono conferiti a Dio e concui i romantici hanno caratterizzato l'Infinito.

Il pessimismo

a) Dolore, piacere e noia Affermare che l'essere è la manifestazione di una Volontà infinitaequivale a dire che la vita è dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare, e desideraresignifica trovarsi in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che non si ha e si vorrebbeavere. Il desiderio risulta quindi, per definizione, assenza, vuoto, indigenza: ossia dolore. E poichénell'uomo la Volontà è più cosciente egli risulta il più bisognoso e mancante degli esseri, e destinatoa non trovare mai un «appagamento» verace e definitivo: «Ogni volere scaturisce da bisogno, ossiada mancanza, ossia da sofferenza». Per di più, ciò che gli uomini chiamano godimento (fisico) egioia (psichica) è nient'altro, come avevano già sostenuto Pietro Verri e Giacomo Leopardi, che unacessazione di dolore, ossia lo scarico da uno stato preesistente di tensione, che ne rappresenta lacondizione indispensabile. Infatti, argomenta Schopenhauer, perché ci sia piacere bisogna per forzache vi sia uno stato precedente di tensione o di dolore (ad esempio il godimento del bere

 presuppone la sofferenza della sete). La stessa cosa non vale tuttavia per il dolore, che non puòaffatto essere ridotto, con un puro gioco dialettico di parole, a cessazione di piacere, poiché unindividuo può sperimentare una catena di dolori, senza che questi siano preceduti da altrettanti

 piaceri, mentre ogni piacere nasce solo come cessazione di una qualche preesistente tensione fisicao psichica. Accanto al dolore, che è una realtà durevole, e al piacere, che è qualcosa di mo-mentaneo, Schopenhauer pone, come terza situazione esistenziale di base, la noia, la quale subentraquando vien meno l'aculeo del desiderio oppure il frastuono delle attività o il pungolo delle

 preoccupazioni. Di conseguenza, conclude Schopenhauer, la vita umana è come un pendolo cheoscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l'intervallo breve del della gioia.Ma se il dolore costituisce la legge profonda della vita.

 b) La sofferenza universale  Poiché la Volontà di vivere, che è un desiderio perennementeinappagato e sempre rinnovantesi, si manifesta in tutte le cose sotto forma di una vera e propriaSehnsucht (desiderio inappagato) cosmica, il dolore non riguarda soltanto l'uomo, ma investe ognicreatura. Tutto soffre dal fiore che appassisce per mancanza d'acqua all'animale ferito, dal bimboche nasce al vecchio che muore. E se l'uomo, in cui si riassume e potenzia il male nel mondo, soffredi più rispetto alle altre creature, è semplicemente perché egli, avendo maggior consapevolezza, èdestinato a sentire in modo più accentuato la spinta della volontà, e a patire maggiormentel'insoddisfazione del desiderio e le offese dei mali. Schopenhauer perviene ad una delle più radicaliforme di pessimismo cosmico di tutta la storia del pensiero, ritenendo che il male non sia solo nelmondo, ma nel Principio stesso da cui esso dipende. Espressione di tale dolore universale è anche lalotta crudele di tutte le cose. Uno degli esempi più espressivi è dato dalla formica gigante

d'Australia «la quale, se viene divisa in due parti, ci offre lo spettacolo di un combattimento fra ilcapo e la coda. Il primo afferra coi denti quest'ultima, che si difende valorosamente, colpendolo colsuo pungiglione; la lotta può durare anche una mezz'ora, finché entrambe le parti muoiono o sonotrascinate via da altre formiche...».E in questa vicenda irrazionale della vita cosmica l'individuoappare soltanto uno strumento per la specie, fuori della quale egli non ha valore.

c) L'illusione dell'amore Il fatto che alla Natura interessi solo la sopravvivenza della specie trovauna sua manifestazione emblematica nell'amore, fenomeno che Schopenhauer ritiene basilare perl'individuo, e di cui la filosofia deve quindi occuparsi. Ma se l'amore è così forte da fare di Cupido«il signore degli dèi e degli uomini» è perché dietro le sue lusinghe e il suo incanto sta in realtà il

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freddo Genio della specie che mira alla perpetuazione della vita. In altre parole, il fine dell'amore, olo scopo per cui esso è voluto dalla Natura, è solo l'accoppiamento (ed è per questo che l'atto ses-suale è accompagnato da un particolare piacere). Ma se dietro il fascino di un bel volto c'è, in verità,un nascosto desiderio sessuale, che, con l'innamoramento, si traduce nel ciclo accoppiamento-

 procreazione, vuol dire che l'individuo è lo zimbello della Natura proprio là ove crede di realizzare

maggiormente il proprio godimento e la propria personalità. Manifestazione dell'essenza biologicadell'amore è il caso-limite della mantide femmina, che divora il maschio dopo l'unione sessuale, o latriste constatazione che la donna, dopo aver adempiuto alla procreazione, perde ben presto bellezzae attrattive.

Le vie di liberazione dal dolore

Schopenhauer fa proprie le sentenze pessimistiche dei saggi dell'Oriente («esistere è soffrire»), diPlatone («è meglio non essere nati piuttosto che vivere»), di Calderón de la Barca («il delittomaggiore per l'uomo è di essere nato»), nonché di certa tradizione biblico-cristiana (la vita è valle dilacrime) e afferma che l'esistenza, in virtù del dolore che la costituisce, risulta tal cosa che si impara

 poco per volta a non volerla. Di conseguenza, si potrebbe pensare che il sistema di Schopenhauermetta capo ad una «filosofia del suicidio universale». Invece Schopenhauer rifiuta e condanna ilsuicidio per due motivi di fondo: 1) perché «il suicidio, lungi dall'essere negazione della volontà, èinvece un atto di forte affermazione della volontà stessa» in quanto il suicida «vuole la vita ed èsolo malcontento delle condizioni che gli sono toccate», per cui anziché negare veramente lavolontà egli nega piuttosto la vita; 2) perché il suicidio sopprime unicamente l'individuo, ossia unamanifestazione fenomenica della Volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur morendoin un individuo rinasce in mille altri, simile al sole che, appena tramontato da un lato, risorgedall'altro. Di conseguenza la vera risposta al dolore del mondo non consiste nell'eliminazione,tramite il suicidio, di una vita o più vite, ma nella liberazione dalla stessa Volontà di vivere.

a) L'arte, secondo Schopenhauer, è conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee, ossiaalle forme pure o ai modelli eterni delle cose. Il soggetto che contempla le idee, e quindi gli aspettiuniversali della realtà, ovviamente non è più l'individuo naturale, sottoposto alle esigenze pratichedella volontà, ma il puro soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo. Proprio per questo suocarattere contemplativo e per questa sua capacità di muoversi in un mondo di forme eterne, l'artesottrae l'individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani, con un appagamentoimmobile e compiuto. L'arte risulta catartica per essenza, in quanto l'uomo, grazie ad essa, più chevivere contempla la vita, elevandosi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo. Posto a séoccupa invece la musica. Infatti essa non riproduce mimeticamente le idee, come le altre arti, ma si

 pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Ogni arte è quindi liberatrice: poiché il piacere che essa procura è la cessazione del bisogno e il suo porsi come disinteressata

contemplazione. Ma la funzione liberatrice dell'arte è pur sempre temporanea e parziale ed ha icaratteri di un gioco effimero o di un breve incantesimo. Di conseguenza essa non è una via peruscire dalla vita, ma solo un conforto alla vita stessa. La via della redenzione presuppone quindialtri sentieri.

b) L'etica della pietà Se nell‘arte c‘è un estraniarsi dalla realtà, la morale implica un impegno nelmondo a favore del prossimo. Infatti l'etica è un tentativo di superare l'egoismo e di vincere quellalotta incessante degli individui fra di loro. Pur riconoscendo, con Kant, che il «disinteresse» forma ilcuore della moralità, Schopenhauer, contro Kant, sostiene che l'etica non sgorga da un imperativocategorico dettato dalla ragione, ma da un sentimento di «pietà» attraverso cui avvertiamo come

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nostre le sofferenze degli altri. Di conseguenza, la pietà non nasce da un ragionamento astratto, mada un'esperienza vissuta, mediante la quale, squarciando i veli del nostro egoismo, compatiamo il

 prossimo (com-patire = sentire insieme) e giungiamo ad identificarci con il suo tormento. La moralesi concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità. La giustizia consiste nel non fare il malee nell'essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi. La carità

si identifica invece con la volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo. Diversamentedall'eros, che essendo egoistico e interessato, è un falso amore, l' agàpe, essendo disinteressato, èvero amore: «ogni puro e sincero amore è pietà». Ai suoi massimi livelli la pietà consiste nel far

 propria la sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti e nell'assumere su di sé il dolore cosmico.Sebbene la morale della pietà implichi una vittoria (che Schopenhauer definisce «eccezionale» e«misteriosa») sull'egoismo, essa rimane pur sempre all'interno della vita e presuppone un qualcheattaccamento ad essa.

c) L'ascesi è l'esperienza per la quale l'individuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere: «Con la parola ascesi... iointendo, nel senso più stretto, il deliberato infrangimento della volontà, mediante l'astensione dal

 piacevole e la ricerca dello spiacevole, l'espiazione e la macerazione spontaneamente scelta, per lacontinuata mortificazione della volontà». La soppressione della volontà di vivere, di cui l'ascesirappresenta la tecnica, è l'unico vero atto di libertà che sia possibile all'uomo. Infatti l'individuo,come fenomeno, è un anello della catena causale ed è necessariamente determinato dal suocarattere. Ma quando egli riconosce la volontà come cosa in sé, si sottrae alla determinazione deimotivi che agiscono su di lui come fenomeno. In altre parole, la coscienza del dolore come essenzadel mondo non è un motivo, ma un quietino del volere, capace di vincere il carattere stessodell'individuo e le sue tendenze naturali. Quando succede ciò, l'uomo diviene libero, si rigenera edentra in quello stato che i cristiani chiamano di grazia. Tuttavia, mentre nei mistici delCristianesimo l'ascesi si conclude con l'estasi, che è l'ineffabile stato di unione con Dio, nelmisticismo ateo di Schopenhauer il cammino nella salvezza mette capo al nirvana buddista, che è

l'esperienza del nulla. Un nulla che secondo quanto insegnano i testi e i maestri dell'Oriente non è ilniente, bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso. La teoria«orientalistica» dell'ascesi costituisce la parte più debole e contraddittoria del sistemaschopenhaueriano.

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Ludwig FEUERBACH (1804 – 1872)

E‘ stato un filosofo tedesco  tra i più influenti critici della religione ed esponente della sinistrahegeliana. Opere principali: L'essenza del cristianesimo (1841) Principi della filosofia dell'avvenire(1844) L'essenza della religione (1845)

Il rovesciamento dei rapporti fra soggetto-oggetto E‘ il metodo caratteristico usato da Feuerbachnella sua battaglia contro la mentalità idealistico-religiosa. Metodo che consiste nel ri-capovolgereciò che l‘idealismo ha capovolto, ossia nel riconoscere di nuovo ciò che è realmente soggetto (= ilconcreto) e ciò che è realmente predicato (= l‘astratto). Ad es. non è la natura a fungere da predicatoo attributo dello spirito (idealismo), ma lo spirito a fungere da predicato o attributo della natura(naturalismo). Dio secondo Feuerbach, è nient‘altro che l‘essenza oggettivata del soggetto, cioè la

 proiezione illusoria di qualità umane: «Tutte le qualificazioni dell‘essere divino sono...qualificazioni dell‘essere umano» (L‘essenza del cristianesimo). Circa l‘origine dell‘idea di DioFeuerbach si è variamente espresso. Talora ne ha individuato la genesi nella distinzione fraindividuo e specie; talora nel sentimento di dipendenza che l‘uomo prova nei confronti della Natura.

In ogni caso, la religione ha una chiara matrice antropologica.Antropologia capovolta È il modo con cui Feuerbach concepisce la religione, intesa come «la

 prima, ma indiretta autocoscienza dell‘uomo». Infatti, puntualizza il filosofo come l‘uomo pensa,quali sono i suoi princìpi, tale è il suo dio. Tu conosci l‘uomo dal suo Dio, e, reciprocamente, Diodall‘uomo. Da ciò la possibilità di una riduzione, in chiave antropologica, di tutti i dogmi dellateologia.

Alienazione È un termine, presente in Hegel e ripreso da Marx, che indica l‘elemento patologicoinsito nell‘«oggettivazione» religiosa descritta da Feuerbach, ovvero quello stato per cui l‘uomo,«scindendosi», proietta fuori di sé una Potenza superiore (Dio) alla quale si sottomette a guisa dioggetto: «L‘uomo —  questo è il mistero della religione —  proietta il proprio essere fuori di sé e poi

si fa oggetto di questo essere metamorfosato in soggetto, in persona; egli pensa, ma come oggettodel pensiero di un altro essere, e questo essere è Dio». L‘alienazione è collegata al fatto che quanto

 più l‘uomo pone in Dio, tanto più toglie a se stesso: «Nella religione l‘uomo opera una frattura nel proprio essere, scinde sé da se stesso, ponendo di fronte a sé Dio come un essere antitetico. Nulla èDio di ciò che è l‘uomo, nulla è l‘uomo di ciò che è Dio. Dio è l‘essere infinito, l‘uomo l‘esserefinito; Dio perfetto, l‘uomo imperfetto; Dio eterno, l‘uomo perituro; Dio onnipotente, l‘uomoimpotente; Dio santo, l‘uomo peccatore. Dio e l‘uomo sono due estremi: Dio il polo positivo,assomma in sé tutto ciò che è reale, l‘uomo il polo negativo, tutto ciò che è nullo». La presa dicoscienza del fenomeno dell‘alienazione, in quanto stato di «scissione» interiore e di «dipendenza»,genera, per Feuerbach, la necessità dell‘ateismo. 

L‘ateismo Si identifica con la ri-appropriazione, da parte dell‘uomo, della propria essenza alienata.Come tale, esso non esprime soltanto un atto di intelligenza filosofica, ma anche un dovere umano emorale. L‘ateismo di Feuerbach non ha n carattere puramente negativo, poiché si presenta anche, in

 positivo, come proposta di una nuova divinità: l‘Uomo. All‘ateismo Feuerbach finisce quindi persostituire una forma di antropoteismo. La filosofia dell‘avvenire è la nuova filosofia in antitesi allavecchia filosofia teologizzante. Filosofia che si identifica sostanzialmente con una forma diumanismo naturalistico. Umanismo,  perché fa dell‘uomo l‘oggetto e lo scopo del discorsofilosofico; naturalistico perché fa della Natura la realtà ontologica primaria da cui tutto dipende,compreso l‘uomo e i suoi bisogni: «La nuova filosofia fa dell‘antropologia la scienza universale».

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KARL MARX (1818-1883)

Marx nasce a Treviri, da famiglia di origine ebraica, malgrado ciò non fu educato alla fede inquanto il padre, in seguito alle leggi razziali, preferì non aderire alla religione per poter esercitare la

 professione di avvocato. Marx studiò a Bonn e poi a Berlino. Nel 1841 si laureò in filosofia.Dedicatosi alla carriera giornalistica, fu redattore della "Gazzetta Renana" ma in seguito allacensura e in conseguenza delle sue idee rivoluzionarie si vide costretto a trasferirsi a Parigi. Quiconobbe Engels, Proudhon, e Bakunin, ovvero anarchici e precursori di quel più vasto e organicomovimento politico che fu il socialismo (e quindi il comunismo).Nel 1848, assieme ad Engels,

 pubblica a Bruxelles il Manifesto del partito comunista. Espulso anche da Bruxelles si trasferìdefinitivamente a Londra, dove per mantenere la famiglia si vide costretto ad accettare gli aiutieconomici del compagno Engels.Nel 1864 fondò la Prima Internazionale dei lavoratori, a confermadel suo attivo impegno politico in favore degli operai e delle classi meno abbienti. Nel 1867 vide la

stampa il primo libro del Capitale, la sua più celebre e monumentale opera, pubblicata interamentein tre volumi (1885 il secondo, 1894 il terzo).Morì a Londra nel 1883.

Opere principali: Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro (sua tesi dilaurea, 1841); Tesi su Feuerbach (1845); La sacra famiglia (1845); L'ideologia tedesca (1846);Miseria della filosofia (1847); Manifesto del partito comunista (1848); Critica dell'economia

 politica (1859); Il Capitale (1867-1894).

In Marx confluiscono diverse posizioni precedenti: la filosofia hegeliana, le modifiche di Feuerbachalla stessa, le analisi degli economisti classici (Smith e Ricardo), quelle dei socialisti utopistici(Saint-Simon e Owen). Il concetto di filosofia come attività puramente teoretica viene criticata: i

filosofi hanno finora solo interpretato il mondo, si tratta ora di cambiarlo (Praxis)

Caratteristiche del marxismo

Il pensiero di Marx si pone come analisi globale della società e della storia, in grado di investirel‘intero assetto del capitalismo. Un secondo contrassegno del marxismo è il suo legame con la

 prassi, ovvero la tendenza a fornire un‘interpretazione dell‘uomo e del suo mondo che sia ancheimpegno di trasformazione rivoluzionaria.

La critica a Hegel

Secondo Marx lo stratagemma di Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche delle manifestazioni

necessarie dello Spirito. Questo significa che invece di limitarsi a constatare, ad esempio, che incerti ordinamenti storici esiste la monarchia, Hegel afferma che lo Stato presuppone per forza unasovranità, la quale si incarna necessariamente nel monarca, che è la sovranità statale personificata.Inoltre, poiché ciò che è necessario, per Hegel, è anche razionale, egli deduce la piena «logicità»della monarchia. identificandola con la razionalità politica in atto. Marx definisce questo

 procedimento misticismo logico, poiché in virtù di esso le istituzioni, anziché comparire per ciò chedi fatto sono, finiscono per essere allegorie. o personificazioni di una realtà spirituale che se ne staoccultamente dietro di essi. Al metodo mistico di Hegel, Marx, ispirandosi a Feuerbach, oppone

 polemicamente il metodo trasformativo, che consiste nel ri-capovolgere ciò che l‘idealismo hacapovolto. ossia nel riconoscere di nuovo ciò che è veramente soggetto e veramente predicato. Oltre

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che essere fallace sul piano filosofico, il metodo mistico» di Hegel è anche conservatore sul piano politico, poiché porta a canonizzare» o a »»santificare»» la realtà esistente, ossia a razionalizzare»»i dati di fatto, trasformandoli in manifestazioni razionali e necessarie dello Spirito. Lademistificazione» dell‘hegelismo non toglie che Marx riconosca ad esso dei meriti notevoli, che siassommano nella sua visuale dialettica»», ossia nella concezione generale della realtà come totalità

storico-processuale, costituita di elementi concatenati fra di loro e mossa dalle opposizioni.La critica della civiltà moderna e del liberalismo

Alla base della teoria di Marx e della sua adesione al comunismo, vi è una critica globale dellaciviltà moderna e dello Stato liberale, che rappresenta uno dei nuclei teorici più importanti delmarxismo. Il punto di partenza del discorso di Marx è la convinzione, mutuata da Hegel, che lacategoria del moderno si identifichi con quella della »»scissione»», che prende corpo innanzitutto,nella frattura fra società civile e Stato. Mentre nella polis greca l‘individuo si trovava in un‘»»unitàsostanziale»» con la comunità di cui faceva parte, e non conosceva antitesi fra ego pubblico ed ego

 privato, nel mondo moderno l‘uomo è costretto a vivere come due vite: una in terra come borghese,

cioè nell‘ambito dell‘egoismo e degli interessi particolari della società civile, e l‘altra in cielo comecittadino. Marx scorge i tratti essenziali della civiltà moderna nell‘individualismo, ossia nellaseparazione del singolo dal tessuto comunitario. E siccome lo Stato post-rivoluzionario legalizzaquesta situazione, riconoscendo, quali «diritti dell‘uomo», la libertà individuale (che nellaCostituzione del ‗93 viene intesa come l‘esercizio di tutto ciò che non nuoce ad altri) e la proprietà

 privata, esso non è altro che la proiezione politica di una società strutturalmente a-sociale. Questacritica filosofico-politica allo Stato è così radicale, in Marx, da far sì che egli rifiuti in blocco laciviltà. liberale, comprese quelle che vengono comunemente ritenute le due conquiste più preziosedella rivoluzione anti-feudale: il principio della rappresentanza (che presuppone già, perdefinizione, la «scissione» fra individuo e Stato) e quello della libertà individuale (espressionedell‘atomismo» borghese). Marx, denunciando tutto ciò come «mistificazione», ritiene che l‘unico

modo per realizzare tale modello di comunità solidale sia l‘eliminazione delle diseguagl ianze realifra gli uomini, ed in particolare del principio stesso di ogni diseguaglianza: la proprietà privata. NeiManoscritti economico-filosofici del 1844, l‘arma cui egli fa appello è la rivoluzione sociale, di cuiMarx ha ormai individuato anche il soggetto esecutore: il proletariato.

La critica dell’economia borghese e l’alienazione

I  Manoscritti economico-filosofici, del 1844, segnano il primo decisivo approccio di Marxall‘economia politica e rappresentano l‘applicazione, in sede economica. degli  schemi critico-dialettici applicati precedentemente al campo politico. L‘economia borghese, anziché collocarsi inuna prospettiva storica, eternizza il sistema capitalistico, considerandolo non come un sistemaeconomico fra i tanti della storia, ma come il modo naturale, immutabile e razionale di produrre e didistribuire la ricchezza. Inoltre l‘economia politica non scorge la struttura contraddittoria del

 proprio oggetto, ossia la conflittualità che caratterizza il sistema capitalistico e che si incarnasoprattutto nell‘opposizione reale fra capitale e lavoro, fra borghesia e proletariato. Nei Manoscrittitale contraddizione viene espressa mediante il concetto di alienazione. Questo concetto affonda lesue radici nella filosofia tedesca precedente. Marx si rifà soprattutto a Feuerbach, da cui accetta lastruttura formale del meccanismo dell‘alienazione, intesa appunto come una condizione patologicadi «dipendenza» e di autoestraniazione. Tuttavia, a differenza di Feuerbach, per il qualel‘alienazione è ancora un fatto prevalentemente coscienziale, derivante da un‘errata interpretazionedi sé, in Marx essa diviene un fatto reale, di natura socio-economica, in quanto si identifica con la

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condizione storica del salariato nell‘ambito della società capitalistica.   L‘alienazione dell‘operaioviene descritta da Marx sotto quattro aspetti fondamentali, strettamente connessi fra di loro: a) Illavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, in quanto egli, in virtù della sua forza-lavoro, produce un oggetto (il capitale), che non gli appartiene e che si costituisce come una potenzadominatrice nei suoi confronti. b) Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività, la quale

 prende la forma di un ‗lavoro forzato» o «costrittivo, in cui egli è strumento di fini estranei (il profitto del capitalista), con la grave conseguenza che l‘uomo si sente «bestia» quando dovrebbesentirsi veramente uomo‘, cioè nel lavoro sociale, e si sente uomo quando fa la bestia. cioè si«stordisce» nel mangiare, nel bere e nel procreare. c) Il lavoratore è alienato rispetto al suo stessoWesen, ossia alla sua essenza o «genere». Infatti la prerogativa dell‘uomo nei confrontidell‘animale è il lavoro libero, creativo e universale (in quanto egli sa produrre secondo la misur a diogni specie»), mentre nella società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato, ripetitivo eunilaterale. d) Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo. perché «l‘altro», per lui, è soprattutto ilcapitalista, ossia un individuo che lo tratta come un mezzo e lo espropria del frutto della sua fatica,facendo sì che il suo rapporto con lui, e con l‘umanità in genere, sia per forza conflittuale. La causadel meccanismo globale dell‘alienazione risiede dunque nella proprietà privata dei mezzi di

 produzione, in virtù della quale il possessore della fabbrica (= il capitalista) può utilizzare il lavorodi una certa categoria di individui (= i salariati) per accrescere la propria ricchezza, secondo unadinamica che Marx, nel capitale, descriver in termini di «sfruttamento» e logica del profitto.

Il distacco da Feuerbach

Pur avendo sottolineato la naturalità dell‘uomo (e questo è il passo in avanti rispetto ad Hegel),Feuerbach (e questo è il passo indietro rispetto a lui) ha perso di vista la sua storicità, nonrendendosi debitamente conto che l‘uomo. più che natura è società, e quindi storia, in quantol‘essere umano non è un‘astrazione immanente all‘individuo singolo bensì l‘insieme dei rapportisociali (VI tesi). Rompendo con Feuerbach e con l‘antropologia filosofica tradizionale, che parlava

dell‘uomo come di un‘essenza atemporale fornita di certe proprietà immutabili, Marx sostiene chel‘individuo è reso tale dalla società storica in cui egli vive, per cui non esiste l‘Uomo in astratto, mal‘uomo figlio e prodotto di una determinata società e di uno specifico mondo storico. In tal modo,Marx corregge Hegel con Feuerbach e Feuerbach con Hegel, poiché, contro l‘uno, può difendere lanaturalità vivente dell‘uomo, e, contro l‘altro, la sua costitutiva socialità e storicità. Marx è andatoelaborando la sua nota teoria della religione come oppio dei popoli. Secondo questa dottrina, lareligione, in sostanza, è prodotto di un‘umanità alienata e sofferente per causa delle ingiustiziesociali, che cerca illusoriamente nell‘aldilà ciò che le è negato di fatto nell‘aldiquà. Ma se lareligione, in quanto narcotico delle masse, è il sintomo di una condizione umana e sociale alienata,l‘unico modo per eliminarla non è la critica filosofica (come pensava ancora Feuerbach, nella suaastrattezza di intellettuale), ma la trasformazione rivoluzionaria della società. In altri termini, se la

religione è il frutto malato di una società malata, l‘unico modo per sradicarla è quello di distruggerele strutture sociali che la producono. La disalienazione religiosa ha dunque, come suo presupposto,la disalienazione economica, ossia l‘abbattimento della società di classe.

La concezione materialistica della storia

La critica a Feuerbach segna il passaggio di Marx dall‘umanismo al materialismo storico, poichécoincide con la transizione dall‘antropologia speculativa al sapere reale della storia. Il testo in cui siconcretizza tale processo è  L’ ideologia tedesca, scritta da Marx ed Engels. L‘originalità diquest‘opera risiede nel tentativo di cogliere il movimento reale della storia, al di là delle

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rappresentazioni ideologiche che ne hanno velato da sempre la struttura effettiva e le concrete forzemotrici. Infatti, il discorso storico-materialistico di Marx ed Engels presuppone una basilarecontrapposizione fra scienza reale e positiva ed ‗ideologia. In una delle sue accezioni principalil‘ideologia appare come una falsa rappresentazione della realtà, ed allude al processo per cui allacomprensione oggettiva dei rapporti reali fra gli uomini si sostituisce un‘immagine deformata di

essi. Per ora ci basti sapere che l‘intento di Marx è quello di svelare, al di là delle ideologie, laverità sulla storia, mediante il raggiungimento di un punto di vista obiettivo sulla società. Ma checos‘è l‘umanità, intesa finalmente in modo scientifico e non ideologico? Marx risponde in primadefinizione che essa è una specie evoluta, composta di individui associati, che lottano per la propriasopravvivenza. Di conseguenza, la storia non è, primariamente, un evento spirituale, ma un

 processo materiale fondato sulla dialettica bisogno-soddisfacimento: Il vivere implica prima di tuttoil mangiare e bere, l‘abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque lacreazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni; la produzione della vita materiale stessa... cheancora oggi, come millenni addietro, deve essere compiuta ogni giorno e ogni ora semplicemente

 per mantenere in vita gli uomini Ed è proprio quest‘azione «materiale‘ che umanizza l‘uomo.Infatti, commenta ironicamente Marx, si possono distinguere gli uomini dagli animali per la

coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole, ma essi cominciarono di fatto a distinguersidagli animali allorché, in virtù della necessità, cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza.Alla base della storia vi è dunque il lavoro, che Marx intende come creatore di civiltà e di cultura ecome ciò attraverso cui l‘uomo si rende tale, emergendo dall‘animalità primitiva e distinguendosidagli altri esseri viventi,

Struttura e sovrastruttura

 Nell‘ambito della storia, bisogna distinguere, secondo Marx, due elementi di fondo: le forze produttive e i rapporti di produzione. Per forze produttive Marx intende tutti gli elementi necessarial processo di produzione, ossia, fondamentalmente: 1) gli uomini che producono (= la forza-

lavoro); 2) i mezzi (terra, macchine ecc.) che utilizzano per produrre = i mezzi di produzione); 3) leconoscenze tecniche e scientifiche di cui si servono per organizzare e migliorare la loro produzione.Per rapporti di produzione Marx intende i rapporti che si instaurano fra gli uomini nel corso della

 produzione e che regolano il possesso e l‘impiego dei mezzi di lavoro, nonché la ripartizione di ciòche tramite essi si produce. I rapporti di produzione trovano la loro espressione giuridica neirapporti di proprietà. Forze produttive e rapporti di produzione costituiscono, nella loro globalità, ilmodo di produzione di un certo periodo. L‘insieme dei rapporti di produzione, o, più in generale, la

 base economica, quale si esprime nel modo di produzione‘ e nella relativa dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione, costituisce la struttura, ovvero lo scheletro economico, dellasocietà, intesa come organismo complessivo. Infatti, rispetto alla totalità sociale la strutturarappresenta il piedistallo concreto su cui si eleva una sovrastruttura giuridico-politico-culturale. In

altre parole, il termine sovrastruttura sta ad indicare che secondo il materialismo storico i rapportigiuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche non debbono essereintese, idealisticamente, come delle realtà a sé stanti, ma come delle espressioni più o meno direttedei rapporti che definiscono la struttura di una certa società storica. Di conseguenza, non sono leleggi, lo Stato, le forze politiche, le religioni, le filosofie ecc. che determinano la strutturaeconomica della società (= idealismo storico), ma è la struttura economica che determina le leggi, IoStato, le religioni, le filosofie ecc. (= materialismo storico). Quello di Marx è un materialismostorico che si contrappone polemicamente all‘idealismo storico.

La dialettica della storia

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Forze produttive e rapporti di produzione, oltreché rappresentare la chiave di lettura della staticadella società, si configurano anche come lo strumento interpretativo della sua dinamica, poiché siidentificano con la legge stessa della storia. Marx ritiene infatti che ad un determinato grado disviluppo delle forze produttive tendano a corrispondere determinati rapporti di produzione e di

 proprietà (ad esempio. rapporti di produzione di tipo feudale corrispondono a forze produttive di

tipo agricolo). Ora, poiché le forze produttive, in connessione con il progresso tecnico, sisviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione, che esprimendo delle relazioni di proprietàtendono a rimanere statici, ne segue periodicamente una situazione di frizione o di contraddizionedialettica fra i due elementi, che genera un‘epoca di rivoluzione sociale‘. Infatti le nuove forze

 produttive sono sempre incarnate da una classe in ascesa, mentre i vecchi rapporti di proprietà sonosempre incarnati da una classe dominante al tramonto. Di conseguenza, risulta inevitabile lo scontrofra di esse, che si gioca non solo a livello sociale, ma anche politìco e culturale. Alla fine finiscequasi sempre per trionfare la classe che risulta espressione delle nuove forze produttive, che in talmodo riesce ad imporre la propria maniera di produrre e di distribuire la ricchezza, nonché la suaspecifica visione del mondo, poiché le idee della classe dominante sono in ogni epoca le ideedominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza

spirituale dominante». Questo modello teorico, secondo Marx, trova la sua tipica esemplificazionenella Francia del Settecento, dove, ad un certo punto, vi fu uno scontro aperto fra la borghesia(espressione delle nuove forze produttive di tipo capitalistico) e l‘aristocrazia (espressione deivecchi rapporti di proprietà agrario-feudali). Vinse alla fine la borghesia, che riuscì ad imporre isuoi rapporti di proprietà e la sua visione del mondo. Analogamente, nel capitalismo moderno si stadelineando una contraddizione fra forze produttive e sociali e rapporti di produzione privatistici.Infatti la fabbrica moderna, pur essendo proprietà di un capitalista, produce soltanto grazie al lavorocollettivo di operai, tecnici, impiegati, dirigenti ecc, Ma se sociale è la produzione della ricchezza,sociale deve essere, secondo Marx, la distribuzione di essa. Ma questo significa che il capitalismo

 porta in sé. come esigenza dialettica, il socialismo. Infatti Marx afferma che il capitalismo pone le basi del socialismo, in quanto genera, per la prima volta nella storia, le condizioni oggettivefavorevoli ad una rivoluzione comunista mondiale. Le grandi formazioni economico-socialiindividuate dai «classici del marxismo» siano la comunità primitiva, la società asiatica, la societàantica, la società feudale, la società borghese e la futura società socialista. Sebbene queste epochenon costituiscano, a rigore, delle tappe necessarie, in quanto molte società hanno saltato l‘una ol‘altra fase, è indubbio che esse costituiscano altrettanti gradini di una   sequenza che procededall‘inferiore al superiore. Altrettanto indubbio è che la storia, secondo i classici del marxismo,

 proceda dal comunismo primitivo al comunismo futuro, attraverso il momento intermedio dellasocietà di classe, la quale si basa sulla divisione del lavoro e sulla proprietà privata. Parimentiindubbio è che questo diagramma storico dello sviluppo della civiltà poggi sulla tesi-convinzionedel socialismo come sbocco inevitabile della dialettica storica.

Il Manifesto

Il Manifesto del partito comunista (1848), nel quale Marx si propone di esporre gli scopi e i metodidell‘azione rivoluzionaria, rappresenta una somma della concezione marxista del mondo. I puntisalienti sono: 1) l‘analisi della funzione storica della borghesia; 2) il concetto  della storia come«lotta di classe» ed il rapporto fra proletari e comunisti; 3) la critica dei socialismi non-scientifici. Adifferenza delle classi che hanno dominato nel passato, che tendevano alla conservazione statica deimodi di produzione, la borghesia, secondo Marx, non può esistere senza rivoluzionarecontinuamente gli strumenti di produzione e tutto l‘insieme dei rapporti sociali. Di conseguenza, la

 borghesia appare una classe dinamica, che ha dissolto non solo le vecchie condizioni di vita, ma

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anche idee e credenze tradizionali. Ma il proletariato, classe oppressa della società borghese, non può fare a meno di mettere in opera una dura lotta di classe, volta al superamento del capitalismo edelle sue forme istituzionali e ideologiche. Il concetto della storia come lotta di classe è uno dei piùsignificativi del Manifesto. «La storia di ogni società, esistita fino a questo momento, è storia dilotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni

e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, econdussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con unatrasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.Conformemente alle sue analisi del capitalismo come fatto mondiale, Marx insiste inoltresull‘internazionalismo della lotta proletaria e termina il Manifesto con il noto slogan rivoluzionario:«Proletari di tutti i Paesi, unitevi!».

la critica dei falsi socialismi

Una delle sezioni più importanti del Manifesto è costituita dalla critica di Marx ai socialismi precedenti. Marx raggruppa e divide la letteratura socialista e comunista in tre tendenze di fondo: il

socialismo reazionario, il socialismo conservatore o «borghese» e il socialismo e comunismocritico-utopistici. In generale a questi tipi di socialismo «utopistico» Marx contrappone invece il proprio socialismo «scientifico», basato su un‘analisi critico-scientifica dei meccanismi sociali delcapitalismo e sull‘individuazione del proletariato come forza rivoluzionaria destinata ad abbattere ilsistema borghese.

Il Capitale

Il Capitale si propone di mettere in luce i meccanismi strutturali della società borghese, al fine di«svelare la legge economica del movimento della società moderna» (Prefazione al libro I). Essorappresenta quindi il capolavoro di Marx ed il testo-chiave della sua dottrina. Il fatto che Il Capitalerechi, come sottotitolo, Critica dell‘economia politica, rivela l‘esplicita contrapposizione di Marx

all‘economia classica. Come si è già accennato, Marx si differenzia dai grandi teorici dell‘economia borghese  —  da Smith a Ricardo  —   soprattutto per il suo metodo storicistico-dialettico. Infatti, adifferenza di tali autori, Marx è convinto che non esistano leggi universali dell‘economia, e cheogni formazione sociale abbia caratteri e leggi storiche specifiche (le leggi che valgono per ilfeudalesimo, ad esempio, non valgono per il capitalismo). In secondo luogo, Marx è convinto che lasocietà borghese porti in se stessa delle contraddizioni strutturali che ne minano la solidità, ponendole basi oggettive della sua fine. In terzo luogo, Marx è persuaso che l‘economia debba far uso delloschema dialettico della totalità organica, studiando il capitalismo come una struttura i cui elementirisultano strettamente connessi. Un‘altra caratteristica del metodo di Marx è di studiare ilcapitalismo distinguendone gli elementi di fondo ed astraendo da quelli secondari, al fine dimetterne in luce le caratteristiche strutturali e le tendenze di sviluppo, per poi formulare, su di esso,alcune previsioni. Tuttavia, dato il carattere tendenziale delle leggi rilevate, esse non vanno confusecon delle «profezie».

Merce, lavoro, plusvalore

Secondo Marx, la caratteristica specifica del modo capitalistico di produzione, rispetto alle società precedenti, è di essere produzione generalizzata di merci. Innanzitutto, una merce deve possedereun valore d‘uso, in quanto deve poter servire a qualcosa, ossia essere utile, poiché nessuno acquistaqualcosa che non venga incontro a determinati bisogni, sia che questi ‗provengano dallo stomaco odalla fantasia‘. In secondo luogo, una merce, per essere veramente tale, deve possedere un valore di

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scambio, che ne garantisca la possibilità di essere scambiata con altre merci. Ma in che cosa risiedeil valore di scambio di una merce? Marx, sulla scia degli economisti classici e dell‘equazionevalore=lavoro, risponde che esso discende dalla quantità di lavoro socialmente necessaria per

 produrla. Più lavoro è necessario per produrre una determinata merce e più essa vale. L‘espressione«socialmente necessaria», usata da Marx, significa che egli intende riferirsi alla produttività sociale

media esistente in un determinato periodo storico. Secondo Marx il valore non si identifica tuttaviacon il prezzo. Infatti su quest‘ultimo influiscono altri fattori, per esempio l‘abbondanza o lascarsezza di una merce. Per cui il prezzo di una singola merce può superare il suo valore reale ostare al di sotto di esso, anche se Marx è convinto che, in condizioni normali, la somma complessivadei prezzi delle merci esistenti in una determinata società equivalga alla somma complessiva dellavoro contenuto in esse, ossia al loro valore. Di conseguenza, sebbene nelle relazioni di mercato ilvalore non si presenti mai allo stato puro, ma sempre come prezzo, quest‘ultimo non è il valore, maha il valore alla propria base. Secondo Marx la caratteristica peculiare del capitalismo è il fatto chein esso la produzione non risulta finalizzata al consumo, bensì all‘accumulazione di denaro. Diconseguenza, il ciclo capitalistico non è quello semplice, prevalente nelle società pre-borghesi edescrivibile con la formula schematica M.D.M. (merce-denaro-merce), formula che allude al doppio

 processo per cui una certa quantità di merce viene trasformata in denaro ed una certa quantità. didenaro viene ri-trasformata in merce (ad esempio il contadino che vende del grano per comperarsiun vestito). Il ciclo economico peculiare del capitalismo è piuttosto quello descrivibile con laformula schematica D.M.D‘ (denaro- merce-più denaro). Infatti nella società borghese abbiamo unsoggetto (= il capitalista) che investe del denaro in una merce, per ottenere, alla fine, più denaro. Macom‘è possibile che qualcuno acquisti una merce che gli procura più denaro, e quindi —  essendo ildenaro l‘equivalente del valore —  più valore? Da dove deriva questo «più» monetario, ovvero tale

 plus-valore? Marx ritiene che l‘origine del plus-valore non debba essere cercata a livello di scambiodelle merci, bensì a livello della produzione capitalistica delle medesime. Infatti nella società

 borghese il capitalista compera una merce particolare, che ha come caratteristica quella di produrrevalore. Tale è la «merce umana», ossia l‘operaio. Infatti il capitalista compera la sua forza -lavoro,

 pagandola come una qualsiasi merce, ovvero secondo il valore corrispondente alla quantità dilavoro socialmente necessario a produrli nell‘operaio, corrisponde a quello dei mezzi che gli sononecessari per vivere, ossia al salario. Tuttavia l‘operaio, ed è questa la fonte del plus-x, produce unvalore maggiore di quello che gli è corrisposto col salario. Il plus-valore discende quindi dal plus-lavoro dell‘operaio, e si identifica con l‘insieme del valore da lui gratuitamente offerto al capitalista.Con questa teoria Marx ha voluto fornire una spiegazione scientifica dello sfruttamento» capitalista,che si identifica quindi con la possibilità, da parte dell‘imprenditore, di utilizzare la forza lavoroaltrui a proprio vantaggio. Ciò avviene in quanto il capitalista dispone dei mezzi di produzione,mentre il lavoratore dispone unicamente della propria energia lavorativa ed è costretto, per vivere, a‗vendersi‘ sul mercato, in vista del salario. Dal plus-valore deriva il profitto. Plus-valore e profitto,

 per Marx, non sono tuttavia la medesima cosa, come talora impropriamente si afferma, in quanto il profitto, pur presupponendo il plus-valore, non coincide totalmente con esso.

Contraddizioni del capitalismo

Poiché il capitalismo si regge sul ciclo D.M.D‘., il suo fine strutturale immanente è la maggiorquantità possibile di plus-valore. Ciò fa sì che il capitalismo insegua tutte le vie possibili perraggiungere tale scopo, caratterizzandosi come un tipo di società retto dalla logica del profitto

 privato, anziché dalla logica dell‘interesse collettivo. Delineando un‘analisi del capitalismo asfondo tragico, Marx descrive le varie strade imboccate da esso in vista del proprio auto-accrescimento, mostrando come tale sistema generi una serie di contraddizioni e difficoltà, che ne

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minano la sopravvivenza, preparandone la morte futura. In un primo momento il capitale cerca diaccrescere il plus-valore aumentando la giornata lavorativa (poniamo sino a quindici ore). Maquesta dilatazione d‘orario, pur generando maggior plus-lavoro, e quindi maggior plus-valore,

 presenta dei limiti invalicabili, poiché oltre un certo numero di ore la forza-lavoro dell‘operaiocessa di essere produttiva. Il capitalismo ha la necessità di introdurre in continuazione nuovi e più

efficienti metodi e strumenti di lavoro. La grande svolta del modo capitalistico di produzione è lanascita dell‘industria meccanizzata, che introduce, nel ciclo lavorativo, la macchina, capace diaumentare enormemente la quantità di merce prodotta nello stesso tempo con lo stesso numero dioperai, e quindi di erogare maggior plus-valore relativo. Le macchine, che non hanno bisogno diriposo, permettono anche una maggior estrazione di plus-valore assoluto, allungando la giornatalavorativa. Inoltre, rendendo meno faticose le operazioni lavorative, i capitalisti possono ricorrerealla forza-lavoro delle donne e dei bambini, meno costosa e più docile. Ma pr oprio l‘aumento di

 produttìvità conseguito con l‘uso delle macchine genera, accanto alla conflittualità operaia, ilfenomeno delle crisi cicliche di sovrapproduzione proprie del capitalismo. Mentre nei secoli

 precedenti le crisi erano generate dalla scarsità di beni (a causa di carestie, epidemie, guerre ecc.)nel capitalismo sono provocate da una sovrabbondanza di merci. Paradossalmente, nel capitalismo

c‘è crisi non perché vi sia poca merce in circolazione, ma perché ne esiste troppa. Questo è dovutoal fatto che il capitalismo (almeno quello classico dei tempi di Marx) risulta caratterizzato dalfenomeno dell‘anarchia della produzione, la quale fa sì che i capitalisti si precipitino alla cieca neisettori dove il profitto è più alto, facendo sì che, ad un certo punto, si verifichi un eccesso di

 produzione rispetto alle esigenze di mercato. Tutto ciò genera la crisi, che ha come effetticoncomitanti sia la distruzione capitalistica dei beni (spesso proprio quelli di cui avrebbero più

 bisogno le classi povere: caffè, ecc.) sia la disoccupazione, che va ad accrescere il cosiddettoesercito industriale di riserva». La necessità, per il capitalismo, di un continuo rinnovamentotecnologico, genera anche un altro inconveniente strutturale: la caduta tendenziale del saggio di

 profitto. Con questa espressione Marx intende quella legge per cui, accrescendosi smisuratamente ilcapitale costante (costituito dalle macchine e dalle materie prime) rispetto al capitale variabilediminuisce per forza il saggio di profitto. Per comprendere adeguatamente questa legge, cui Marxattribuisce una grande importanza, bisogna tener presente che: 1) il plus-valore non è generato dallemacchine di per sé, ma dal lavoro vivo, che viene pagato con il capitale variabile; 2) il saggio di

 plus-valore è dato dal rapporto fra il plusvalore stesso e il capitale variabile; 3) il saggio di profitto èdato dal rapporto fra il plusvalore da un lato e il capitale costante ed il capitale variabile dall‘altro.Ora, se v (capitale variabile) resta stabile, resta stabile anche p (= il plus-valore); ma se nelfrattempo c (= capitale costante) è accresciuto, risulta ovvio che il saggio di profitto è diminuito. Lalegge della caduta tendenziale del saggio di profitto equivale quindi ad una legge dei rendimentidecrescenti, demotivante ‘ rispetto agli investimenti capitalistici. Marx ha una visionesostanzialmente dualistica della società di classe, in quanto ritiene che in ogni momento della storia

le classi fondamentali siano due. Questa dottrina, portata ad attribuire minore importanza alle classimedie, riflette compiutamente, a giudizio di Marx, la situazione stessa del capitalismo industrialeavanzato, nel quale. in seguito al fenomeno della concorrenza e delle crisi, da un lato abbiamo una

 progressiva espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi». avente come effetto «ladiminuzione costante dei magnati del capitale, e dall‘altro abbiamo una massa sempre più grande disalariati, occupati e disoccupati.

La rivoluzione e la dittatura del proletariato

Le contraddizioni della società borghese rappresentano la base oggettiva della rivoluzione del proletariato, il quale, impadronendosi del potere politico, dà avvio alla trasformazione globale della

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vecchia società. attuando il passaggio dal capitalismo al comunismo. Di conseguenza, il proletariato, nella prospettiva di Marx. appare investito di una specifica missione storica. Larivoluzione comunista non abolisce soltanto un tipo particolare di proprietà, di divisione del lavoroe di dominio di classe, ma cancella ogni forma di proprietà, di divisione del lavoro e di classe,dando origine ad un‘epoca nuova nella storia del mondo. Lo strumento tecnico della trasformazione

rivoluzionaria è la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Marx ipotizza un periodo politico di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato. Il comunismo, parando nel contempo le inevitabili mosse contro-rivoluzionarie della borghesia, non può fare a meno di instaurare una sua dittatura che, a differenza delle altre dittaturestoricamente esistite, che sono sempre state dittature di una minoranza di oppressori su di unamaggioranza di oppressi, appare invece come una dittatura della maggioranza degli oppressi su diuna minoranza di (ex-)oppressori, destinata a scomparire.

Le fasi della futura società comunista

Marx distingue fra un comunismo rozzo, che è la prima forma di istanza socialista, ed un

comunismo superiore ed autenticamente tale. Nel primo tipo di comunismo —  che Marx attribuiscein parte alle scuole socialiste precedenti —  la proprietà viene abolita solo per essere trasformata in proprietà. di tutti. In questo stadio immaturo di comunismo, la proprietà, anziché venir totalmentesoppressa, viene dunque universalizzata o nazionalizzata. cioè attribuita alla comunità, mentre gliuomini sono tutti ridotti ad operai, con un medesimo salario. Il comunismo, inteso come «effettivasoppressione della proprietà privata», appare come quella situazione in cui l‘uomo, superato  completamente l‘orizzonte sociale della proprietà, cessa di intrattenere con il mondo rapporti di

 puro possesso e consumo. Nella Critica del programma di Gotha, Marx, muovendosi su di unterreno meno filosofico‘ e più socio-politico, distingue invece due fasi della società futura. Nella

 prima fase abbiamo a che fare con una società comunista, non come si è sviluppata sulla propria base, ma viceversa come emerge dalla società capitalistica, che porta ancora, sotto ogni rapporto —  

economico, morale e spirituale —  le macchie della vecchia società, dal cui seno è uscita. In questafase, l‘avvenuta socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio fa della società l‘unico datoredi lavoro e trasforma tutti in salariati. In essa ogni produttore riceve una quantità di beni equivalenteal lavoro prestato. Il principio di uguaglianza che regge questo stadio comunista consiste dunque nelmisurare con una misura eguale il lavoro erogato. Tuttavia, questo ‗uguale diritto‘ si rivela ancoradi tipo borghese‘, in quanto non tiene conto delle differenze individuali, limitandosi ad annullareastrattamente le persone e dimenticando che ‗l‘uno è fisicamente o moralmente superiore all‘altro, efornisce quindi nello stesso tempo più lavoro, oppure può lavorare durante un tempo più lungo.Inoltre un operaio è ammogliato, l‘altro no; uno ha più figli dell‘altro e così via. L‘uguaglianzaancora imperfetta di questa prima fase della società comunista richiede una «superiore» forma diuguaglianza e di comunismo, che tenga conto dei bisogni e non solo delle capacità degli individui.

Ognuno secondo le sue capacità: a ognuno secondo i suoi bisogni. Questo passo della Critica del programma di Gotha rappresenta il documento più importante che possediamo circa le idee di Marxsulla futura società comunista.

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Il POSITIVISMO

Corrente filosofica che si sviluppa nella seconda metà del XIX secolo, caratterizzata daun'esaltazione della scienza, considerata l'unica fonte legittima della conoscenza e il modello diriferimento per tutte le scienze Il positivismo, che nasce in Francia e si impone successivamente a

livello europeo e mondiale, trae il suo nome dalla esaltazione della positività della scienza e dallaconcretezza e oggettività dei fatti da essa studiati, in contrapposizione alle astrattezze e allefantasticherie delle religioni e delle concezioni metafisiche in genere. Da questo punto di vista, talemovimento filosofico appare strettamente legato ai notevoli successi ottenuti dalle scienze esatte neidiversi campi di applicazione (chimica, meccanica, elettrologia, ottica e biologia). Nello stessotempo non va sottovalutata l'influenza del processo di organizzazione scientifica e tecnica dellasocietà, dei sistemi di produzione, sulla maturazione delle nuove idee, le quali daranno, a loro volta,un impulso notevole a tale processo. Pur comprendendo pensatori che si diversificano tra loro sia

 per formazione intellettuale, che per temi affrontati e soluzioni specifiche, il positivismo può esseresintetizzato nei seguenti aspetti distintivi: La scienza è la sola forma di conoscenza possibile e ilmetodo della scienza è l'unico valido: pertanto il ricorso a cause o principi che non siano

riconducibili al metodo della scienza non fa progredire il cammino della conoscenza, ma vaconsiderato una pericolosa ricaduta nella metafisica. Il metodo della scienza, essendo l'unico valido,va esteso a tutti i campi d'indagine, compresi quelli che riguardano l'uomo e i fenomeni sociali. Il

 progresso della scienza rappresenta la base del progresso umano e lo strumento per unariorganizzazione complessiva della vita sociale, capace di trovare adeguate soluzioni ai numerosi

 problemi di ordine politico e sociale posti dalla Restaurazione e dalla rivoluzione industriale. Lafilosofia, non avendo oggetti suoi propri, o campi privilegiati di indagine sottratti alla scienza, tendea coincidere con la totalità del sapere positivo o, più in particolare, con l'enunciazione dei principicomuni alle varie scienze. La funzione peculiare della filosofia consiste quindi nel riunire e nelcoordinare i risultati delle singole scienze, in modo da realizzare una conoscenza unificata egenerale. In ciò, il positivismo si contrappone alla convinzione, tipicamente romantica, che la

filosofia debba essere separata dalla scienza in quanto disciplina contraddistinta da problemi emetodi del tutto diversi.

RAPPORTI CON L'ILLUMINISMO

I principali elementi di affinità tra positivismo e illuminismo, possono essere riassunti nei seguentitre punti: 1) fiducia nella ragione e nel sapere, concepiti come strumenti di progresso al serviziodell'uomo e del miglioramento sociale; 2) esaltazione della scienza a scapito della metafisica e diogni altro tipo di sapere non verificabile; 3) visione tendenzialmente laica ed immanentistica dellavita. D'altro canto, positivismo e illuminismo presentano anche alcune differenze di rilievo: 1)Sebbene i bersagli polemici del positivismo siano in parte identici a quelli dell'illuminismo (cioè la

tradizione metafisica e religiosa, come pure il parassitismo dell'aristocrazia agraria, considerato unostacolo al progresso), gli atteggiamenti politici sono differenti. Mentre l'illuminismo si configuracome riformismo di carattere rivoluzionario (posto in atto dalla Rivoluzione francese), il

 positivismo si presente come un riformismo anti-rivoluzionario, che pur lottando contro la vecchiatradizione politica e culturale, è fondamentalmente contrario alle nuove forme rivoluzionarierappresentate dal proletariato e dalle dottrine socialiste. 2) Diversità del modo di rapportarsi allascienza e alla filosofia: rispetto alla prima, gli illuministi vedono nel sapere sperimentale un mezzo

 per dissolvere le antiche credenze della metafisica e della religione, mentre nei positivisti, ilrichiamo alla scienza tende a una riedificazione di certezze assolute, esplicitamente presentate comela forma "moderna" e "positiva" delle antiche religioni e metafisiche. Riguardo alla filosofia, mentre

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gli illuministi sono interessati soprattutto a una fondazione gnoseologica e critica della scienza (chesfocerà nella concezione di Kant), i positivisti, dando per scontata la validità del pensieroscientifico, ritengono che il compito della filosofia sia quello di ordinare e di unificare le diversescienze. Il positivismo, colto nel suo nucleo storico-filosofico più decisivo, presenta anchecaratteristiche che lo accomunano al romanticismo. La più importante di tali caratteristiche è

l'idealizzazione della scienza, che si traduce in una esaltazione del sapere positivo, assunto a unicaverità ed unica guida della vita umana, in tutti i campi. Come i romantici e gli idealisti tendevano acaricare la poesia o la filosofia di significati assoluti, così i positivisti tendono ad attribuire allascienza una portata assoluta, con atteggiamenti analoghi alla fede religiosa. In Francia, il maggiorerappresentante del positivismo fu Auguste Comte. Successivamente il positivismo si diffuse anchein Inghilterra, soprattutto per merito di John Stuart Mill, impegnato a sottrarre la scienza morale allesue incertezze per stabilire invece per essa un insieme di regole ben definite. Di non minor staturafu lo scienziato naturalista Charles Darwin, ma una certa importanza ebbe anche Herbert Spencer.In Italia seguaci del positivismo furono Carlo Cattaneo e Roberto Ardigò.

AUGUSTE COMTE (1798-1857)

La legge dei tre stadi e la classificazione delle scienze

Comte elabora la legge dei tre stadi, che dichiara di aver ricavato da considerazioni storiche oltreche dall‘osservazione dello sviluppo organico dell‘uomo, ciascuna branca della conoscenza umana

 passa successivamente per tre stadi teorici differenti: lo stadio teologico o fittizio, lo stadiometafisico od astratto, lo stadio scientifico o positivo. Il primo è il punto di partenza necessariodell‘intelligenza umana; il terzo il suo stadio fisso e definitivo; il secondo è unicamente destinato aservire di transizione. Nello stadio teologico, lo spirito umano, dirigendo essenzialmente le suericerche verso la natura intima degli esseri e le cause prime e finali, cioè verso le conoscenzeassolute, si rappresenta i fenomeni come prodotti dall‘azione diretta e continua di agentisoprannaturali, più o meno numerosi, il cui intervento arbitrario spiega tutte le anomalieappartenenti dell‘universo. Nello stadio metafisico, che è solo una modificazione del primo, gliagenti soprannaturali sono sostituiti da forze astratte (si pensi ad es. alle essenze) inerenti ai diversienti del mondo e concepite capaci di generare da sé tutti i fenomeni osservati, la cui spiegazioneconsistere bbe quindi nell‘assegnare a ciascuno l‘entità corrispondente, Infine, nello stadio positivo,lo spirito umano, riconoscendo l‘impossibilità di raggiungere nozioni assolute, rinuncia a cercarel‘origine e il destino dell‘universo e a conoscere le cause intime dei fenomeni e si applicaunicamente a scoprire, mediante l‘uso ben combinato del ragionamento e dell‘osservazione, le loroleggi effettive: cioè le loro relazioni invariabili di successione e di somiglianza. Comte (che parladel Medioevo come di un‘età teologica e del mondo moderno sino alla Rivoluzione francese comedi un‘età metafisica o di crisi) fa corrispondere, ad ogni stadio, una specifica organizzazione politica

e sociale (monarchia teocratica e militare; sovranità popolare; organizzazione scientifica dellasocietà industriale). Questa legge dei tre stadi sembra a Comte immediatamente evidente di per sestessa. Essa inoltre è appoggiata dall‘esperienza personale. Chi di noi non ricorda, contemplando lasua propria storia, che è stato successivamente, rispetto alle nozioni più importanti, teologo nellasua infanzia, metafisico nella sua giovinezza e fisico nella sua virilità?‘. Ora, sebbene varie branchedella conoscenza umana siano entrate nella fase positiva, la totalità della cultura intellettuale umana,e quindi dell‘organizzazione sociale che su di essa si fonda, non sono state ancora permeate dallospirito positivo. In primo luogo, Comte nota che accanto alla fisica celeste, alla fisica terrestre,meccanica e chimica, e alla fisica organica, vegetale e animale, manca una fisica sociale cioè lostudio positivo dei fenomeni sociali. In secondo luogo. la mancata penetrazione dello spirito

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 positivo nella totalità della cultura intellettuale produce uno stadio di anarchia intellettuale e quindila crisi politica e morale della società contemporanea. È evidente che se una delle tre filosofie

 possibili, la teologia, la metafisica e la positiva, ottenesse in realtà una preponderanza universalecompleta, ci sarebbe un ordine sociale determinato. Ma poiché invece le tre filosofie oppostecontinuano a coesistere, ne risulta una situazione incompatibile con un‘effettiva organizzazione

sociale. Comte si propone perciò il compito di portare a termine l‘opera iniziata da Bacone, Cartesioe Galilei e di costruire il sistema delle idee generali che deve definitivamente prevalere nella specieumana, ponendo termine così alla crisi rivoluzionaria che tormenta i popoli civilizzati. Tale sistemadi idee generali o filosofia positiva presuppone però che sia determinato il compito particolare diciascuna scienza e l‘ordine complessivo di tutte le scienze: presuppone un‘enciclopedia dellescienze che muovendo da una classificazione sistematica fornisca il prospetto generale di tutte leconoscenze scientifiche. Le scienze si possono classificare considerando in primo luogo il lorogrado di semplicità o, ciò che è lo stesso, il grado di generalità dei fenomeni che costituiscono illoro oggetto. I fenomeni più semplici sono infatti anche i più generali; ed i fenomeni semplici egenerali sono anche quelli più facilmente osservabili. Perciò, graduando le scienze secondo l‘ordinedella complessità crescente e della semplicità decrescente, si viene a riprodurre, nella gerarchia così

formata, l‘ordine di successione con cui le scienze sono entrate nella fase positiva. Seguendo questocriterio si possono in primo luogo distinguere i fenomeni dei corpi bruti e i fenomeni dei corpiorganizzati come oggetti di due gruppi principali di scienze. I fenomeni dei corpi organizzati sonoevidentemente più complicati e più particolari degli altri; dipendono dai precedenti che a loro voltanon ne dipendono. Di qui la necessità di studiare i fenomeni fisiologici dopo quelli dei corpiinorganici. La fisica si trova dunque divisa in fisica organica e fisica inorganica. A sua volta lafisica inorganica, secondo lo stesso criterio della semplicità e della generalità, sarà dapprima fisicaceleste (o astronomia sia geometrica, sia meccanica) e poi fisica terrestre che a sua volta sarà fisica

 propriamente detta e chimica. Una divisione analoga sarà fatta per la fisica organica. Tutti gli esseriviventi presentano due ordini di fenomeni distinti, quelli relativi all‘individuo e quelli relativi allaspecie: ci sarà dunque una fisica organica o fisiologica e una fisica sociale che è fondata su di essa.L‘enciclopedia delle scienze sarà dunque costituita da cinque scienze fondamentali: astronomia,fisica, chimica, biologia e sociologia. L‘ordine logico delle scienze coincide con l‘ordine storico delloro svilup po e con l‘ordine  pedagogico del loro apprendimento. Di questa gerarchia non fanno

 parte, né la matematica, né la logica, né la psicologia. La matematica è stata esclusa non perché nonsia una scienza, ma perché costituisce la base di tutte le altre scienze. Anzi, tenendo presente cheessa è stata la prima scienza ad entrare nello stadio positivo, l‘enciclopedia comtiana può venirarticolata secondo l‘ordine seguente: 1) matematica: 2) astronomia; 3) fisica; 4) chimica; 5)

 biologia: 6) sociologia. La logica è stata esclusa poiché Comte ritiene che essa non sussista inastratto, ma si identifichi con il metodo concreto impiegato da ogni specifica branca del sapere. Lacosiddetta osservazione interiore che si è destinata allo studio dei fenomeni intellettuali è

impossibile. I fenomeni intellettuali non possono essere osservati nell‘atto stesso in cui siverificano. L‘individuo pensante non può dividersi in due, di cui l‘uno ragioni, mentre l‘altro loguardi ragionare. L‘organo osservato e l‘organo osservatore essendo in questo caso identici, come

 potrebbe l‘osservazione aver luogo?». Piuttosto, ciò che vi è di scientifico nella psicologia, da unlato è riconducibile all‘esame fisiologico del cervello (cioè alla biologia) e dall‘altro all‘esame delsuo comportamento sociale (cioè alla sociologia).

La sociologia

La scienza alla quale tutte le scienze sono subordinate è la sociologia. Compito di questa scienza èquello di percepire nettamente il sistema generale delle operazioni successive, filosofiche e

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 politiche, che devono liberare la società dalla sua fatale tendenza alla dissoluzione imminente econdurla direttamente ad una nuova organizzazione, più progressiva e più salda di quella cheriposava sulla filosofia teologica‘. A questo scopo la sociologia deve cos tituirsi nella stessa formadelle altre discipline positive e concepire i fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali che nerendano possibile la previsione sia pure nei limiti compatibili con la loro complessità superiore. La

sociologia, o fisica sociale, è divisa da Comte in statica sociale e dinamica sociale, corrispondenti aidue concetti fondamentali su cui essa si fonda, quelli dell‘ordine e del progresso. La statica socialemette in luce la relazione necessaria, il consenso universale», che hanno tra loro le varie parti delsistema sociale. L‘idea fondamentale della dinamica è invece quella del progresso, cioè dellosviluppo continuo e graduale. Per Comte la storia è sempre, in tutti i suoi momenti, tutto ciò chedeve essere. Poiché il perfezionamento effettivo risulta soprattutto dallo sviluppo spontaneodell‘umanità, come potrebbe esso non essere essenzialmente, a ciascun‘epoca, ciò che poteva esseresecondo l‘insieme della situazione?». Comte afferma che senza questa compiutezza diciascun‘epoca  della storia in se stessa, la storia sarebbe incomprensibile. E non esita neppure aripristinare nella storia il concetto di causa finale. Gli eventi della storia sono necessari nel duplicesignificato del termine: nel senso che in essa è inevitabile ciò che si manifesta dapprima come

indispensabile, e reciprocamente. La dottrina della scienza è la parte dell‘opera di Comte che haavuto più vasta e duratura risonanza nella filosofia e maggiore efficacia sullo sviluppo stesso dellascienza, Come già Bacone e Cartesio, Comte concepisce la scienza come essenzialmente diretta astabilire il dominio dell‘uomo sulla natura, Non che la scienza sia essa stessa di natura pratica oabbia esplicitamente di mira l‘azione. Comte. al contrario, afferma energicamente il caratterespeculativo delle conoscenze scientifiche e le distingue nettamente da quelle tecnico-pratiche,limitando ad esse soltanto il compito di un‘enciclopedia delle scienze. Tuttavia, considerato nel suoinsieme, lo studio della natura è destinato a for nire «la vera base razionale dell‘azione dell‘uomosulla natura‘; giacché «solo la conoscenza delle leggi dei fenomeni, il cui risultato costante è difarceli prevedere, può evidentemente condurci nella vita attiva a modificarli a nostro vantaggio». Losco po dell‘indagine scientifica è la formulazione delle leggi perché la legge permette la previsione:e la previsione dirige e guida l‘azione dell‘uomo sulla natura. » Scienza, previsione, azione tale è laformula semplicissima che esprime in modo esatto la r elazione generale tra la scienza e l‘arte,

 prendendo questi due termini nella loro accezione totale». L‘osservazione dei fatti e la formulazionedi leggi esauriscono il compito della scienza, Ma la dottrina di Comte insiste più sulla legge chesull‘osservazione dei fatti, Questa ha per scopo di rendere possibile la formulazione delle leggi. Lalegge permette la previsione perché, una volta accertata la condizione che provoca il verificarsi diun certo fatto, si può prevedere il verificarsi del fatto stesso, E la previsione consente all‘uomo diservirsi dei fatti, di volgerli a proprio vantaggio e così di estendere il suo potere su di essi. L‘operadi Comte risulta esplicitamente diretta a favorire l‘avvento di una società nuova che egli chiamòsociocrazia. cioè un regime fondato sulla sociologia, analogo e corrispondente alla teocrazia fondata

sulla teologia.La religione della scienza

Il Sistema di politica positiva è diretto esplicitamente a trasformare la filosofia positiva in unareligione positiva. Esso tende cioè a fondare l‘unità dogmatica, culturale e pratica dell‘umanità. Ilconcetto fondamentale è quello dell‘Umanità, che deve prendere il posto di quello di Dio.L‘Umanità è il Grande Essere come l‘insieme degli esseri passati, futuri e presenti che concorronoliberamente a perfezionare l‘ordine universale. Il concetto dell‘umanità non è un concetto biologico(per quanto sia anche biologico), ma un concetto storico, fondato sull‘identificazione romantica ditradizione e storicità. Comte delinea, con minuziosi particolari, anche il culto positivistico

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dell‘umanità.. Stabilisce un calendario positivista in cui i mesi e i giorni sono dedicati alle maggiorifigure della religione, dell‘arte, della politica e della scienza. Propone perfino un nuovo segno, chedovrebbe sostituire il segno della croce dei cristiani.

Il POSITIVISMO EVOLUZIONISTICO

L‘altro indirizzo del Positivismo è quello evoluzionistico. Questo indirizzo consiste nell‘assumere ilconcetto d‘evoluzione come il fondamento di una teoria gener ale della realtà naturale e nelloscorgere nell‘evoluzione stessa la manifestazione di una realtà —  soprannaturale o metafisica  —  infinita ed ignota. Il punto di partenza di questo indirizzo, cioè il concetto di evoluzione, è desuntodalla dottrina del trasformismo biologico, quale è stata elaborata da Lamarck e Darwin. Se il

 principio romantico dell‘infinito che si rivela o realizza nel finito è la categoria tacitamente presupposta dalla filosofia positivistica dell‘evoluzione, la teoria biologica della tr asformazionedella specie è il suo punto di partenza di fatto. L‘evoluzionismo è infatti una generalizzazione diquesta dottrina biologica, generalizzazione tacitamente fondata su quella categoria.L‘evoluzionismo biologico, cioè la dottrina che le specie animali e vegetali si trasformano l‘una

nell‘altra, fu concepito come semplice ipotesi da Buffon e fu poi difeso, ma senza successo, daLarnarck. Essa non poté trionfare nella scienza finché non fu eliminata la teoria delle catastrofi, proposta da Cuvier. secondo la quale la terra è stata il teatro di successivi cataclismi che ne hannocambiato la faccia e ciclicamente distrutte le specie viventi.

Charles DARWIN (1809 - 1882)

Dopo un viaggio per mare durato cinque anni. si dedicò a raccogliere e a riordinare il materiale perla sua grande opera L‘origine della specie. Il merito di Darwin consiste nell‘aver dato una compiutae sistematica teoria scientifica del trasformismo biologico fondandola su un numero enorme diosservazioni. La teoria di Darwin si fonda su due ordini di fatti: 1° l‘esistenza di  piccole variazioniorganiche che si verificano negli esseri viventi lungo il corso del tempo e sotto l‘influenza delle

condizioni ambientali, variazioni che sono vantaggiose agli individui che le presentano: 2° la lotta per‘ la vita che si verifica necessariamente tra gli individui viventi per la tendenza di ogni specie amoltiplicarsi secondo una progressione geometrica. Quest‘ultimo presupposto è desunto dalladottrina di Malthus. L‘accumularsi delle piccole variazioni e la loro conservazione per mezzo

 producono la variazione degli organismi animali che, nei suoi termini estremi, è il passaggio da unaspecie ad un‘altra. Ciò che l‘uomo fa per le piante e gli animali domestici producendo gradualmentele varietà di essi che sono più utili ai suoi bisogni, la natura può ben farlo su scala immensamente

 più vasta. Dalla teoria segue che, tra le varie specie, han dovuto esistere innumerevoli varietàintermedie che collegano strettamente tutte le specie di uno stesso gruppo: ma la selezione naturaleha sterminato queste forme intermedie di cui tuttavia si possono trovare le tracce nei residui fossili.Darwin crede di aver stabilito l‘inevitabile progresso biologico allo stesso modo che ilromanticismo idealistico e socialistico credeva all‘inevitabile progresso spirituale. L‘altra operafondamentale di Darwin,  La discendenza dell’uomo, tende a stabilire che non esiste alcunadifferenza fondamentale fra l‘uomo e i mammiferi più elevati per ciò che riguarda le loro facoltàmentali. La sola differenza tra l‘intelligenza e il linguaggio dell‘uomo e quelli degli altri animali èuna differenza di grado che si spiega con la legge della selezione naturale ed anche, in parte, con lascelta sessuale alla quale Darwin attribuisce, per l‘evoluzione dell‘uomo, importanza assaimaggiore che per l‘evoluzione degli animali. Darwin non crede che il riconoscimento delladiscendenza dell‘uomo da organismi inferiori diminuisca in qualche modo la dignità umana. Chi,egli dice, abbia veduto un selvaggio nella sua terra nativa non sentirà molta vergogna se sarò

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obbligato a riconoscere che il sangue di qualche creatura più umile gli scorre nelle vene. In quanto ame, vorrei tanto essere disceso da quell‘eroica scimmietta che affrontò il suo terribi le nemico persalvare la vita al suo custode o da quel vecchio babbuino che sceso dal monte strappò trionfante ilsuo giovane compagno a una muta attonita di cani, quanto da un selvaggio che si compiace ditorturare i suoi nemici, offre sacrifici di sangue, pratica l‘infanticidio senza rimorsi, tratta le sue

mogli come schiave, non conosce che cosa sia la decenza ed è dominato da grossolanesuperstizioni».

Herbert SPENCER ( 1820 –  1903 )

Spencer è il più importante rappresentante del positivismo evoluzionistico sviluppando la teoriadarwiniana sulla totalità del reale, per Spencer secondo un processo graduale avviene un‘evoluzione

 pre-organica, organica e superorganica, si tratta quindi di un meccanismo biologico. Le opere piùimportanti di Spencer sono: ― Statica sociale ―, ― Principi di psicologia ―, ― Principi primi ―. 

Spencer a differenza di una certa corrente del positivismo ammette la conciliabilità della scienza edella religione, in quanto la scienza si deve occupare dell‘ ambito del conoscibile, la r eligione

dell‘inconoscibile. Si tratta di una divisione fondamentale, la scienza offre una spiegazione sul piano fenomenico, del ―come―, la religione da un lato evidenzia i limiti della conoscenza umana,dall‘ altro svela il mistero profondo della realtà. La religione di cui parla Spencer è una teologianegativa; non definisce l‘inconoscibile ma si limita attraverso un processo negativo a dire cosadietro la conoscenza scientifica non stia. Scienza e religione hanno ambiti diversi: non possiamoconoscere la realtà così come essa è al di là del suo manifestarsi fenomenico, lo scienziato quindi

 può solo indagare il conoscibile, lasciando ad una religione negativa l‘ analisi sull‘ Inconoscibile.La filosofia diviene la scienza più importante, ma in quanto super  –   scienza perde una suaautonomia concettuale; la sua funzione è quella di esplicare le leggi generali ed universali dellarealtà nel processo evolutivo, leggi generali da cui dipendono quelle delle singole scienze, chearrivano ad intuizioni frammentarie. Le scienze analizzano aspetti particolari della realtà, aspetti cheuna volta analizzati vanno coordinati in una visione d‘ insieme, tale compito deve essere svoltodalla filosofia, che assurge ad un ruolo di sintesi. Tre sono i principi a cui pervengono le scienze: a)Indistruttibilità della materia, b) continuità del movimento, c) persistenza della forza. Tali principivengono rielaborati dalla filosofia, che costruisce un unico principio evoluzionistico, fondato su un

 processo triadico: a) passaggio dall‘ incoerente al coerente ( progressiva concentrazione), b) passaggio dall‘ omogeneo all‘ eterogeneo, dall‘ uniforme al multiforme (progressivadifferenziazione), c) passaggio dall‘ indefinito al definito (progressiva determinazione ). La leggedell‘ evoluzionismo regola l‘ intera realtà dal mondo inorganico fino al mondo superorganico, dalSistema Solare al mondo umano; Spencer formulando tale teoria non si accorge che sussiste unadifferenza evidente tra il mondo inorganico e quello umano, in quest‘ ultimo intervengono fattori

come la cultura e la coscienza intesa come consapevolezza del proprio sviluppo. Spencer dirà nei ―Principi primi ― che: L‘ evoluzione è una integrazione di materia accompagnata da dispersione dimoto, durante la quale la materia passa da un‘omogeneità incoerente, indefinita, a una eterogeneitàcoerente, definita, mentre il moto subisce una trasformazione parallela.

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Friedrich NIETZSCHE (1844-1900)

Opere principali: La nascita della tragedia in Grecia (1872); Considerazioni inattuali (1876);Umano, troppo umano (1878); Aurora (1882); La gaia scienza (1882); Così parlò Zarathustra(1883); Aldilà del bene e del male (1886); Sulla genealogia della morale (1887); Il caso Wagner

(1888); Il crepuscolo degli idoli (1888); L'Anticristo (1888); Ecce homo (1888).Il pensiero di Nietzsche è complesso e non sempre di facile lettura. L'uso di metafore, simboli eaforismi rende possibile una molteplicità di interpretazioni e di punti di vista sull‘opera del filosofotedesco e costituisce altresì il segno della fecondità intellettuale del suo pensiero che, ancora oggi,stimola la riflessione sull‘esistenza, i valori e la verità. Paul Ricoeur ha annoverato Nietzsche(insieme a Marx e a Freud) tra i «filosofi del sospetto», poiché ha ingenerato il dubbio nellecertezze condivise della maggior parte degli uomini.

LA SCRITTURA

 Nei primi scritti Nietzsche é ancora legato alla forma accademica del saggio, ma, al tempo stesso,

egli già cerca di evitare il tono impersonale e distaccato di questa forma letteraria, rivolgendosidirettamente ai suoi lettori. "In tutte le opere che ho scritto, io ho messo dentro anima e corpo: nonso che cosa siano problemi puramente intellettuali". A partire da "Umano, troppo umano" prendecorpo la forma dell' aforisma, ossia della definizione breve: "L'aforisma, la sentenza, sono le formedell'eternità; la mia ambizione è dire in dieci frasi quello che chiunque altro dice in un libro, quelloche chiunque altro non dice in un libro." L'aforisma é paragonato da Nietzsche alle figure in rilievo,che, essendo incomplete, richiedono all'osservatore di completare "col pensiero ciò che si stagliadavanti". un libro composto di aforismi richiede, dunque, un tipo diverso di lettura: una letturadiscontinua, per lascia tempo alla riflessione e all'interpretazione, ad una pratica che i modernihanno disimparato e che Nietzsche chiama ruminare. Con "Così parlò Zarathustra" il modellostilistico é fornito dalla scrittura in versetti, propria dei Vangeli, una sorta di poesia in prosa, più

conforme al tono rivelativo, intriso di simboli, e alieno da sviluppi troppo argomentativi. Esso siadatta maggiormente al senso della propria missione, che segna l'inizio di una nuova epoca storica,dopo il tramonto del cristianesimo, e della morale occidentale. Uno stile che scava, scalza disottoterra i pregiudizi e i valori dominanti nel proprio tempo. "I miei scritti sono stati chiamati unascuola di sospetto e ancor più di disprezzo; per fortuna però anche di coraggio, anzi di temerarietà".

L‘opera di Nietzsche viene convenzionalmente suddivisa in alcune fasi, che non vanno intese allastregua di scansioni rigide, ma come tappe transitorie di un pensiero in divenire.

  Gli scritti giovanili del periodo wagneriano-schopenhaueriano (1872-1876), che come, prendono La nascita della tragedia (1872). le quattro Considerazioni inattuali (1873-1876)

  Gli scritti intermedi del periodo «illuministico» o «genealogico» (1878-1882), checomprendono Umano, troppo umano (1878-1880), Aurora (1881). La gaia scienza (1882)

  Gli scritti del meriggio o di «Zarathustra» (1883-1885), che comprendono Così parlò laZarathustra e frammenti

  Gli scritti del tramonto o degli ultimi anni (1886-1889). che comprendono Al di là del bene edel male (1886), Genealogia della morale (1887), Il caso Wagner, Crepuscolo degli idoli,L‗Anticristo, Ecce homo, Nietzsche contra Wagner (tutti del 1888).

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Il primo periodo: Apollineo e Dionisisaco

La prima fase del pensiero di Nietzsche è caratterizzata dagli studi filologici e dalla passione per ilmondo greco, dall'influenza di Schopenhauer e dall'ammirazione per l'opera di Wagner: La nascitadella tragedia riunisce tali influssi per generare una nuova visione della civiltà greca.

Il motivo centrale di La nascita della tragedia è la distinzione fra «apollineo» e dionisiaco‘. Conquesta coppia di opposti (che si concretizza in altre sotto-coppie, come forma-caos, stasi-divenire,finito-infinito, sogno-ebbrezza, luce-oscurità, serenità-inquietudine) Nietzsche intende, innanzitutto,i due impulsi di base dello spirito e dell‘arte greca. L‘apollineo (Apolloè il dio greco dell'armonia,in esso vengono identificati la proporzione e la bellezza) che scaturisce da un impulso alla forma eda un atteggiamento di fuga di fronte al divenire, si esprime nelle forme limpide e armoniche dellascultura e della poesia epica. Il dionisiaco (Dioniso è il dio greco -il corrispettivo greco del dioromano Bacco- che incarna tutto ciò che vi è di istintivo, caotico e irrazionale nella vita) chescaturisce dalla forza vitale e dalla partecipazione al divenire, si esprime nell‘esaltazione creatricedella musica. In contrasto con la filologia dominante e con l‘immagine (neoclassica) dell‘Ellade

come mondo della serenità e dell‘equilibrio (ossia come regno dell‘apollineo), Nietzsche insiste sulcarattere originariamente dionisiaco (o «asiatico‘) della sensibilità. greca, portata a scorgereovunque il dramma della vita e della morte e gli aspetti orribili dell‘essere.

La tragedia greca univa questi due aspetti: quello apollineo, espresso dalle arti figurative e dallogos, e quello dionisiaco, espresso dalle musica, simbolo della vita spontanea. I due momenti dellospirito si uniscono perfettamente nella tragedia di Eschilo ma già Euripide tende a eliminare dallatragedia l'elemento dionisiaco, col predominio della razionalità. Socrate comunque è il principaleresponsabile della decadenza della cultura occidentale. Con Socrate si impone l'ideale della ragionee della scienza, in contrasto con la vita. Socrate e Platone sono "gli strumenti della dissoluzionegreca, gli pseudogreci, gli antigreci". Loro hanno usato di quella dialettica, che "può essere soloun'estrema risorsa nelle mani di chi non ha più armi. Quel che si lascia dimostrare ha poco valore."Socrate fu ostile alla vita, volendo dominare e soffocare l'istintività spontanea in nome dellaragione. Fu malato.

La decadenza della tragedia funge quindi da spia rivelatrice della decadenza della civiltàoccidentale nel suo complesso. Da Schopenhauer Nietzsche deriva la tesi del carattere dolorosodell‘essere, ma ne respinge la tematica dell‘ascesi. Infatti, alla noluntas schopenhaueriana eglicontrappone, sin dall‘inizio, un atteggiamento di entusiastica accettazione dell‘essere nella globalitàdei suoi aspetti. La vita è dolore, lotta, distruzione. crudeltà, incertezza, errore. Essa non ha ordine,né scopo, il caso la domina e i valori umani non trovano in essa garanzie precostituite. Dueatteggiamenti sono allora possibili di fronte a essa. Il primo è quello della rinuncia e della fuga. chemette capo all‘ascetismo. E l‘atteggiamento che Schopenhauer derivò dalla sua diagnosi ed èl‘atteggiamento proprio della morale cristiana e della spiritualità comune. Il secondo è quellodell‘accettazione della vita così com‘è ed è l‘atteggiamento che mette capo all‘esaltazione della vitae al superamento dell‘uomo. Nietzsche vuole essere un discepolo di Dioniso, poiché nell‘anticafigura greca egli vede il simbolo del suo «Sì totale al mondo". Questa esaltazione della tragedia, chesi accompagna a una concezione della civiltà come processo di decadenza dovuto al progressivoimporsi dello spirito antitragico, di tipo socratico- platonico, sfocia nell‘ideale di una rinascita dellacultura tragica, incentrata sull‘arte, in particolare sulla musica. di cui Nietzsche scorgeun‘incarnazione emblematica in Wagner (a cui è dedicato il capolavoro giovanile). Artista

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wagneriano e filosofo schopenhaueriano appaiono quindi, al Nietzsche di questo periodo, come idue fari, o i due maestri ispiratori, di ogni possibile opera di rinnovamento.

Storia e Vita

Fra il 1873 e il 1876 Nietzsche scrive le quattro Considerazioni inattuali, in cui l‘auspicata rinascitadella cultura tragica, più che in un progetto alternativo di civiltà, si traduce in un‘opera di criticadella cultura contemporanea. Strauss, Feuerbach e Comte sono mediocri filistei. Nietzsche combattela saturazione di storia e l‘idolatria del fatto (i fatti «sono stupidi»; solo le teorie che li interpretano

 possono essere intelligenti). Nella seconda Inattuale, Sull‘utilità e il danno della storia per la vita(1874). Nietzsche si schiera apertamente contro lo storicismo e la storiografia, sostenendo chel‘eccesso di storia indebolisce le potenzialità creatrici dell‘uomo. Nietzsche, ammette non solo ildanno, ma anche «l‘utilità» della storia per la vita. A patto che la storia sia al servizio della vita enon viceversa, ossia che la storia non si erga di fronte all‘uomo alla stregua di una scienza puraincurante dei suoi bisogni vitali. La «vita» rappresenta quindi l‘ottica con cui rapportarsi alla storiae instaurare un rapporto proficuo con il passato. Secondo Nietzsche, la storia appartiene al vivente

sotto tre rapporti. Essa gli occorre in quanto è attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, inquanto soffre e ha bisogno di liberazione‘. A questi tre rapporti corrispondono tre specie distoriografia, che hanno, ognuna, sia un aspetto positivo (o fisiologico) sia un aspetto negativo (o

 patologico): la storia monumentale, la storia antiquaria e la storia critica.

Periodo illuministico. Il metodo genealogico

 Nietzsche aveva dedicato a Wagner la Nascita della tragedia. Intanto, però, si distacca sia daWagner che da Schopenhauer, come testimoniato da opere quali Umano, troppo umano , Aurora eLa gaia scienza. Schopenhauer è «null‘altro che l‘erede della tradizione  cristiana»; il suo è «il

 pessimismo dei rinunciatari, dei falliti e dei vinti». E Wagner non è affatto lo strumento dellarigenerazione della musica; Nietzsche ne Il caso Wagner scrive Wagner è una malattia: «est une

névrose». Umano, troppo umano (1878-1880) segna l‘inizio di un periodo «illuministico» di Nietzsche che coincide con l‘avvento della scrittura aforistica. La scienza (intesa come procedimento critico) diventa la guida: metafisica, religione e arte vengono sottoposte a giudizio esmascherate come menzogne. Nietzsche dedica la prima edizione di Umano, troppo umano aVoltaire. Nietzsche è illuminista, si intende, non perché creda nell'ingenua fiducia settecentescanella ragione e nel progresso, ma perché impegnato in un‘opera di critica della cultura tramite laragione e la scienza. Per scienza Nietzsche non intende l‘insieme delle scienze particolari, bensì unmetodo di pensiero in grado di emancipare gli uomini dagli erroriche gravano sulle loro menti.Metodo che Nietzsche finisce per identificare con un procedimento critico di tipo storico egenealogico. Critico perché eleva il »»sospetto» a regola di indagine. Storico o genealogico poichéritiene che non esistano realtà statiche o immutabili, ma che ogni cosa sia l‘esito di un processo daricostruire. Questo metodo storico-genealogico assume la forma concreta di una chimica delle ideeimpegnata a far scaturire un atteggiamento dal suo opposto (la verità dalla menzogna, l‘altruismodall‘egoismo ecc.) e a mettere a nudo le origini umane, troppo umane, dei cosiddetti valorisovrumani.

LA MORTE di DIO (Gott ist tot)

Per Nìetzsche Dio è 1) il simbolo di ogni visione dualistica che ponga il senso dell‘essere al di làdell‘essere, ovvero in un altro mondo contrapposto a questo mondo; 2) la personificazione dellecertezze ultime dell‘umanità, ossia di tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate attraverso i

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millenni per dare un ordine rassicurante alla vita. Il primo punto è connesso alla convinzionenietzscheana secondo cui Dio e l‘oltre-mondo abbiano storicamente rappresentato una fuga dallavita e una rivolta contro questo mondo. In Dio è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, allavolontà di vivere! Dio, la formula di ogni calunnia dell‘aldiquà. di ogni menzogna dell‘aldilà. Ilsecondo punto discende dalla maniera nietzscheana di concepire la metafisica. Secondo questo

filosofo, l‘immagine di un cosmo ordinato e benefico è soltanto una costruzione della nostra mente,ai fini di sopportare la durezza dell‘esistenza: C‘è un solo mondo ed è falso, crudele.contraddittorio. corruttore, senza senso... Un mondo così fatto è il vero mondo... Noi abbiamo

 bisogno della menzogna per vincere questa realtà, questa ―verità‖, cioè per vivere 1...] Lametafisica, la morale, la religione, la scienza [...l vengono prese in considerazione solo comediverse forme di menzogna: col loro sussidio si crede nella vita. Di fronte a una realtà che risultacontraddittoria, crudele e non-provvidenziale, gli uomini hanno dovuto convincere se stessi che ilmondo è qualcosa di logico e di provvidenziale. Le metafisiche e le religioni risultano decorazionidella realtà e bugie di sopravvivenza. Essendo la più antica delle bugie vitali (la nostra più lungamenzogna), Dio si configura come la quintessenza di tutte le credenze escogitate attraverso i tempi

 per poter fronteggiare il volto caotico dell‘esistenza. Per Nietzsche è la realtà stessa, cioè l‘essenza

caotica del mondo, a confutare l‘idea di Dio ed è superflua ogni ulteriore contro-dimostrazione dellanon esistenza di Dio. Di conseguenza, più che la dimostrazione del carattere a-finalistico, a-razionale e quindi ateo dell‘universo, a Nietzsche premono ormai: 1) l‘annuncio dell‘evento incorso della morte di Dio: 2) la riflessione sulle conseguenze prodotte da questo fatto decisivo dellastoria umana. In La gaia scienza. in uno dei passi più significativi della sua opera Nietzschedrammatizza il messaggio della morte di Dio con il noto racconto dell‘uomo folle: ‖Avete sentito diquel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise agridare incessantemente: ‗Cerco Dio! Cerco Dio!‖. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti diquelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa…‖ Come il platonico mito della caverna, anchequesto passo contiene una ricca simbologia filosofica. L‘uomo folle = il filosofo-profeta; le risaironiche degli uomini del mercato = l‘ateismo ottimistico e superficiale dei filosofi dell‘Ottocentoecc. La tesi della morte di Dio non viene argomentata secondo le modalità della metafisicatradizionale. L‘ateismo non è un risultato, e tanto meno un avvenimento —   come tale non loconosco; io lo intendo per istinto. Dio è una risposta grossolana, una indelicatezza verso noi

 pensatori, è solo un grossolano divieto che ci vien fatto; non dovete pensare! L‘ateismo di Nietzschevuol essere così radicale, che egli non contesta soltanto Dio, ma anche ogni suo ipotetico surrogato,

 ben conscio che gli uomini, abbattute le antiche divinità, tendono inevitabilmente a crearne altre.Tant‘è che nelle pagine finali di Cosi parlò Zarathustra, Nietzsche racconta di uomini che simettono ad adorare un asino, con grande ira del filosofo-profeta, il quale constata come il passaggiodall‘uomo al supeuomo sia lento e difficile. L‘asino è simbolo di ogni sostituto idolatrico di Dio eallude probabilmente alle varie forme dell‘ateismo positivo dell‘Ottocento, nelle quali il vecchio

Dio per opera di una serie di pallidi ateisti, anticristi si trova «rimpiazzato da altrettanti supplenti (loStato, l‘Umanità, la scienza, il socialismo ecc.), che vengono a riempire il vuoto lasciato dalle precedenti strutture metafisiche; «Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare lasua ombra in una caverna —  un‘immensa orribile ombra. Dio è morto; ma stando alla natura degliuomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. E noidobbiamo vincere anche la sua ombra!» (La gaia scienza).

Così parlò Zarathustra  (1883-1885) apre la terza la decisiva fase del filosofare nietzscheano ed èuna sorta di poema in prosa. Il tono profetico che lo caratterizza e il profluvio di immagini e di

 parabole in cui si articola lo rendono, di difficile lettura e interpretazione. Una fase che comincia là

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ove si era conclusa la filosofia del mattino, ossia con la consapevolezza che con l‘eliminazione del«mondo vero è tolto di mezzo anche il mondo «apparente», cioè ogni scissione dualistica dellarealtà. Dopo la «morte di Dio» si aprono due possibilità; l‘ultimo uomo e il superuomo;«‗L‘opposto del superuomo è l‘ultimo uomo; li ho creati insieme». Zarathustra insegna ilsuperuomo mostrando l‘abiezione dell‘ultimo uomo. Zarathustra non è il superuomo, ma soltanto il

suo profeta: ‗io sono un messaggero del fulmine e il fulmine si chiama superuomo. Perché Nietzsche ha eletto la figura arcaica di Zarathustra a portavoce delle proprie idee? Essendo stato il primo ad aver tradotto la morale in termini metafisici, sarebbe stato anche il primo ad essersiaccorto dell‘errore della morale: "Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale: diconseguenza egli deve essere anche il primo a riconoscere quell‘errore". A trent‘anni (l‘età in cuiGesù di Nazareth comincia il suo insegnamento) Zarathustra «si ritira ancora per dieci anni inmontagna. nella solitudine, e giunto così vicino all‘essenza di tutte le cose, comincia il suo―tramonto‖, la sua discesa tra gli uomini, per portar loro l‘insegnamento, che prima annunci a sulmercato e poi ai singoli. Ma ancora gli orecchi non sono svegli e aperti al suo messaggio: egliritorna e tiene ai suoi seguaci la seconda serie di parabole. ma esita ad annunciare il suo il pensiero

 più profondo, il pensiero dell‘Eterno Ritorno dell‘Uguale. La quarta parte mostra il tentativo di vita

degli ―uomini superiori‖, proprio di quelli che rappresentano il ―resto di Dio‖, degli idealisti, aiquali il cielo ideale è sprofondato e ora provano il grande terribile vuoto. Ma il pensatore superaanche questi ―uomini superiori‖. Dal punto di vista concettuale, i temi di base dello Zarathustrasono sostanzialmente tre: il superuomo (annunciato nella prima parte), la volontà di potenza(annunciata nella seconda parte) e l‘eterno ritorno. 

Il superuomo (Uebermensch) La morte di Dio coincide con l‘atto di nascita del superuomo. Solo chiha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è ormaimaturo, secondo Nietzsche, per varcare l‘abisso che divide l‘uomo dall‘oltre-uomo. Il superuomoha dietro di sé, come condizione necessaria del suo essere, la morte di Dio e la vertigine da essa

 provocata, ma ha davanti a sé, a titolo di conquista, il ‗mare aperto‘ delle  possibilità connesse a una

libera progettazione della pr opria esistenza al di là di ogni struttura metafisica data; ‗ Noi filosofi e―spiriti liberi‖ alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di unanuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di  presentimento, d‘attesa,

 —   finalmente l‘orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, —  finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo;ogni rischio dell‘uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancoraaperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così ―aperto‖. In linea generale, possiamodire che il superuomo è un concetto filosofico di cui si serve Nietzsche per esprimere il progetto diun tipo di uomo qualificato da una serie di caratteristiche che coincidono con i temi di fondo del suo

 pensiero. Il superuomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiacadell‘esistenza; di «reggere» la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute; di far propria la

 prospettiva dell‘eterno ritorno; di emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo ; di porsi comevolontà di potenza; di procedere oltre il nichilismo ; di affermarsi come attività interpretante e

 prospettica ecc. In quanto tale, il superuomo non può che stare nel futuro. Il superuomonietzscheano, che non va confuso con un esteta di tipo dannunziano o con un‘entità biologica di tipodarwiniano, ma un uomo diverso da quello che conosciamo. Nietzsche presenta il superuomo come‗il senso della terra e come il fautore di una antiidealistica fedeltà al mondo: Vi scongiuro, fratelli,rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappianoo no: costoro esercitano il veneficio. L‘uomo è terra ed è nato per vivere sulla terra. L‘anima, chedovrebbe essere il soggetto di un‘ipotetica esistenza ultraterrena, è insussistente: l‘uomo è

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sostanzialmente corpo. «Corpo io sono in tutto e per tutto‘, esclama Zarathustra, «e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo» («Dei dispregiatori del corpo‘). Questarivendicazione della natura terrestre del superuomo fa tutt‘uno con l‘accettazione totale della vitache è propria dello spirito dionisiaco.

L‘eterno ritorno In una pagina di Ecce bomo egli racconta di essere stato «folgorato» da questa ideadurante una passeggiata in Alta Engadina. 6000 piedi al di là dell‘uomo e del tempo. Il peso piùgrande. Che accadrebbe se, un giorno o urla notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitariadelle tue solitudini e ti dicesse: Questa vita, come tu ora la vivi e l‘hai vissuta, dovrai viverla ancorauna volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore eogni piacere e ogni pensiero e sospiro. e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vitadovrà fare ritorno a te. e tutte nella stessa sequenza e successione  —  e così pure questo ragno equesto lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L‘eterna clessidra dell‘esistenzaviene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!‖? Non ti rovesceresti a terra,digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una voltaun attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: ―Tu sei un dio e mai intesi cosa più

divina‖? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire unametamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: ―Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?‖ graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure,quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun‘altra cosa che questa ultimaeterna sanzione, questo suggello?. La formulazione più eloquente e suggestiva della teoriadell‘eterno ritorno la troviamo in Così parlò Zarathustra. Zarathustra narra di una salita su di unimpervio sentiero di montagna (= simbolo del faticoso innalzarsi del pensiero), durante la qualeegli, con il nano che lo segue, si trova di fronte a una porta carraia, su cui è scritta la parola«attimo» (= il presente) e dinanzi alla quale si uniscono due sentieri che «nessuno ha mai percorsosino alla fine», in quanto si perdono nell‘eternità: il primo porta all‘indietro (= il passato) e l‘altro

 porta in avanti ( il futuro). Zarathustra chiede al nano se le due vie sono destinate a contraddirsi in

eterno oppure no‘ Alla risposta un po‘ affrettata del nano, che allude alla circolarità del tempo(«Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso èun circolo»), Zarathustra espone un abbozzo di teoria dell‘eterno ritorno: ‗non dobbiamo tuttiesserci stati un‘altra volta?», «non dobbiamo ritornare in eterno?‘. A questo punto abbiamo  unatrasformazione di scena, una sorta di visione nella visione, entro la quale. sullo sfondo di undesolato paesaggio lunare Zarathustra vede: un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso,stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo elivido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentrole fauci e —  lì si era abbarbicato mordendo. La mia mano tirò con forza il serpente. tirava e tirava

 —  invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca:―Mordi! Mordi! Staccagli il capo...‖. Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido; e

morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente — : e balzò in piedi. Non più pastore, non piùuomo  —   un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva. Mai prima al mondo aveva riso unuomo, come lui rise!». Tuttavia, la scena centrale del pastore che trasformandosi in creaturaluminosa e «ridente», al fatto che l‘uomo può trasformarsi in creatura superiore e ridente (= ilsuperuomo), solo se supera la ripugnanza soffocante del pensiero dell‘eterno ritorno ( il serpente,circolo). mediante una decisione coraggiosa nei suoi confronti (= il morso del serpente). Dopo piùdi duemila anni. Nietzsche torna dunque a recuperare una visione pre-cristiana del mondo presentenella Grecia presocratica e nelle civiltà indiane, la quale presuppone una visione ciclica del tempoin opposizione a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno: Tutto va, tutto torna eternamente ruota

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la ruota dell‘essere. Tutto muore, tutto torna a fiorire, eternamente corre l‘anno dell‘essere. Tuttocrolla, tutto viene di nuovo connesso; eternamente l‘essere si costruisce la medesima abitazione.Tutto si diparte, tutto torna fedele a se stesso rimane l‘anello dell‘essere. Questa dottrina, che a tutta

 prima sembrerebbe la semplice ripresa di un antico mito, costituisce in realtà il punto piùcontroverso dell‘intera filosofia nietzscheana. Che cos‘è veramente la teoria dell‘eterno ritorno?Una

certezza cosmologici, come sembra far credere Nietzsche stesso, che in taluni luoghi della sua operasembra persino inseguire l‘obiettivo di una spiegazione ‗scientifica‘ di essa, sostenendo chesiccome la quantità di energia dell‘universo è finita, mentre il tempo in cui essa si esprime èinfinito, le manifestazioni e le combinazioni di essa dovranno per forza ripetersi? Le difficoltàrelative al concetto di eterno ritorno e ai suoi rapporti con la ‗decisione‘» umana non escludonocomunque che la funzione di questa teoria, all‘interno dell‘economia complessiva del pensiero di

 Nietzsche, risulti sufficientemente chiara. 1.Mettersi nell‘ottica dell‘eterno ritorno vuol dire rifiutareuna concezione lineare del tempo; 2.Disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa. Ovviamente, iltipo di uomo capace di decidere l‘eterno ritorno, e quindi di vivere come se tutto dovesse ritornare,non può essere l‘uomo che conosciamo, ma solo un oltreuomo in grado di vivere la vita come  ungioco creativo.

Ultimo Nietzsche Esaurita, nello Zarathustra, la parte costruttiva del suo pensiero, Nietzsche, più«inattuale» che mai, entra in una serrata polemica con il proprio tempo e si propone di distruggeredefinitivamente le credenze dominanti, per far posto all‘avvento di un nuovo pensiero, finalizzatoalla creazione del superuomo. Nei frammenti inediti, parallelamente al ventilato progetto di Lavolontà di potenza, campeggiano i temi della volontà di potenza. del nichilismo e del

 prospettivismo.

Il crepuscolo degli idoli e la trasvalutazione dei valori

Il tema dell‘accettazione della vita porta il filosofo a polemizzare aspramente contro la morale e ilcristianesimo, considerati come le tipiche forme di coscienza e di azione attraverso cui l‘uomo ègiunto a porsi contro la vita stessa. Secondo Nietzsche la morale è sempre stata considerata come unfatto. Di conseguenza. il primo passo da compiere nei confronti della morale è di mettere indiscussione la morale stessa: abbiamo bisogno di una critica dei valori morali, di cominciare a porreuna buona volta in questione il valore stesso di questi valori, Proprio in vista di ciò, Nietzscheintraprende un‘analisi genealogica della morale, al fine di scoprirne la genesi psicologica effettiva,

 Nell‘ambito di questo viaggio alle sorgenti dei comportamenti etici, il filosofo è guidato da unaconvinzione che esprime con una frase famosa: dove voi vedete cose ideali. io vedo cose umane, ahitroppo umane. Egli ritiene infatti che i pretesi valori trascendenti della morale e la morale stessasiano solo una proiezione di determinate tendenze umane, che il filosofo, in virtù della psicologia,signora delle scienze, ha il compito di svelare nei loro meccanismi segreti. Innanzitutto la cosiddetta

«voce della coscienza», da cui procederebbe la morale. secondo Nietzsche, è nient‘altro che la presenza, in noi, delle autorità sociali da cui siamo stati educati. Per cui, anziché essere «la voce diDio nel petto dell‘uomo», la coscienza risulta piuttosto «la voce di alcuni uomini nell‘uomo», Inaltre parole, la moralità è «l‘istinto del gregge nel singolo», ovvero il suo assoggettamento adeterminate direttive fissate dalla società. In un primo momento, soprattutto nel mondo classico, lamorale espressione di un‘aristocrazia cavalleresca, risulta improntata ai valori vitali della salute,della fierezza, della gioia (= la morale dei signori), in un secondo momento (ebraismo ecristianesimo), la morale appare improntata ai valori del disinteresse del sacrificio di sé ecc. (= lamorale de schiavi) La civiltà occidentale abbia imboccato la strada della malattia e della decadenza,

 perché la morale dei signori originariamente comprendeva in sé non solo l‘etica dei guerrieri, ma

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anche quella dei sacerdoti. Il guerriero (virtù del corpo), il sacerdote invece tende a perseguire levirtù dello spirito. Per sentimento di inferiorità, il sacerdote non può fare a meno di provare un certorisentimento verso i guerrieri, ovvero una segreta invidia e un desiderio di rivalsa nei loro confronti.

 Non potendo dominare la casta dei guerrieri sul loro stesso terreno, la casta sacerdotale cerca quindidi affermare se medesima elaborando una tavola di valori antitetica a quella dei cavalieri. In tal

modo, al corpo viene anteposto lo «spirito», all‘»orgoglio». l‘umiltà», alla sessualità.» la castità»» ecosì via. Questo rovesciamento di valori»‘ è rappresentato soprattutto dagli ebrei, nei quali Nietzsche vede un popolo sacerdotale»» per eccellenza. Infatti, a suo parere, »»sono stati gli ebreiad aver osato, con una terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell‘odio piùabissale (l‘odio dell‘impotenza), il rovesciamento dell‘aristocratica equazione di valore (buono =nobile potente = bello = felice = caro agli dei), ovverossia i miserabili soltanto sono i buoni; solo i

 poveri, gli impotenti, gli umili sono i buoni; i sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sonoanche gli unici devoti... (La genealogia della morale). Questo tipo di morale, appena viene

 partecipata dalle masse, si trasforma in una vera potenza e mette capo al cristianesimo. In tal modola Giudea, umiliata dai romani, capovolge i valori del mondo antico e conquista Roma stessatramite il cristianesimo, ossia mediante una religione che è il risentimento dell‘uomo debole verso

la vita. Nel cristianesimo storico dell‘Occidente Nietzsche scorge infatti il simbolo della vita che simette contro la vita, ovvero la più sotterranea congiura che sia mai esistita contro salute, bellezza..,contro la vita stessa». Ma proprio perché ha inibito gli impulsi primari dell‘esistenza ilcristianesimo ha prodotto un tipo d‘uomo preso da continui «sensi di colpa». L‘uomo cristiano è

 psichicamente un auto-tormentato, che. nel suo risentimento. nasconde in se un‘aggressivitàrabbiosa contro la vita e uno spirito di vendetta contro il prossimo. Questo spiega perché dallareligione dell‘amore sia potuta scaturire una casta sacerdotale, spesso crudele, che non ha esitato a

 bagnarsi del sangue altrui. Da ciò la sua proposta di una radicale trasvalutazione dei valori: «la miaverità è tremenda: perché fino a oggi si chiamava verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti ivalori: questa è la mia formula per l‘atto con cui l‘umanità prende la decisione suprema su se stessa,un atto che in me è diventato carne e genio (Ecce homo). Trasvalutazione che non va intesa allastregua di un semplice rifiuto dei valori antivitali a favore di quelli vitali, ma come un nuovo mododi rapportarsi ai valori, che non vengono più intesi alla stregua di entità metafisiche autosussistenti,ma come libere proiezioni dell‘uomo e della sua antiascetica volontà di potenza. In rapporto aquesta trasvalutazione. Nietzsche si sente investito di una missione epocale. finalizzata a porre le

 basi di un nuovo tipo di civiltà. Da ciò la figura del filosofo come legislatore e costruttore di storia.Gli operai della filosofia, come Kant e Hegel, non sono i veri filosofi. I veri filosofi sono dominatorie legislatori. Essi dicono «così deve essere! e stabiliscono la meta dell‘uomo, utilizzando i lavori

 preparatori di tutti gli operai scientifici della filosofia e di tutti i dominatori del passato: Il loroconoscere è creare, il loro creare è una legislazione (Al di là del bene e del male).

Volontà di potenza

 Nietzsche identifica la volontà di potenza con «l‘intima essenza dell‘essere»:‗volete un nome perquesto mondo? Una soluzione per i suoi enigmi? Una luce anche per voi ? Questo mondo è lavolontà di potenza  —   e nient‘altro! E anche voi stessi siete questa volontà di potenza  —   enient‘altro!»- La volontà di potenza si identifica con la vita stessa, intesa come forza espansiva eautosuperantesi: «Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato la volontà di

 potenza. La molla fondamentale della vita non sono gli impulsi autoconservativi o la ricerca del piacere, ma la spinta all‘autoaffermazione «Volontà di vita? Ai suo posto ho sempre soltantotrovato volontà di potenza». Avere e voler avere di più, in una parola la crescita: ciò è la vita stessa.Questo costitutivo espandersi della vita, di cui troviamo tracce in ogni forma di esistenza e di

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attività, trova la sua espressione più alta nel superuomo, perché la sua essenza consiste nel continuosuperamento di sé. Ma se l‘essenza della vita è il potenziamento della vita e se tale potenziamento siidentifica con la creazione che la vita fa di se stessa, ne segue che l‘arte, intesa nel senso ampio diforza creatrice, non è soltanto una forma della vita, ma la sua forma suprema. La volontà di potenzasembra urtare contro un ostacolo insuperabile: la non modificabilità del passato, che le si impone e

rende prigioniera. Zarathustra afferma invece il carattere creativo della volontà rispetto al tempo,grazie alla quale il macigno del così fu si scioglie nel così volli che fosse pronunciato dalsuperuomo: ‗Ogni ―così fu‖ è un frammento, un enigma, una casualità orrida fin che la volontà checrea non dica anche: ―ma così volli che fosse!‖. Questa redenzione del tempo fa tutt‘uno conl‘accettazione della sua essenza eternamente ritornante (amor fati! formula di matrice stoica che in

 Nietzsche non ha un significato passivo, bensì attivo, in quanto il superuomo non subisce, maistituisce l‘eterno ritorno). La volontà di potenza di cui parla Nietzsche non ha solo queste valen zeteoriche —  che sono certamente le più decisive sul piano filosofico. Essa ne contiene anche altre,

 ben più «crude» (e storicamente funeste). Sono le valenze connesse al concetto della volontà di potenza come sopraffazione e dominio. Valenze che si trovano non solo nei frammenti postumi, maanche nelle opere edite da Nietzsche. Vi sono taluni passi che manifestano con chiarezza le

 posizioni di Nietzsche. Ad es. La vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione ditutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie (Al di làdel bene e del male).

Il nichilismo

Il problema del nichilismo costituisce uno dei motivi più rilevanti della riflessione di Nietzsche. Inuna prima accezione. Nietzsche intende per nichilismo «la volontà del nulla», ovvero ogniatteggiamento di fuga nei confronti del mondo concreto. Atteggiamento che vede incarnatosoprattutto nel platonismo e nel cristianesimo. In una seconda accezione, Nietzsche adopera iltermine nichilismo per descrivere la specifica situazione dell‘uomo moderno e contemporaneo, che,

non credendo più nei «valori supremi» (Dio. la verità, il bene ecc.) e in un senso o in uno «scopometafisico» delle cose, finisce per avvertire, di fronte all‘essere, lo sgomento del ‗vuoto» e del‗nulla‘. Nietzsche allora presenta se stesso come il primo perfetto nichilista d’Europa, che però hagià vissuto in sé fino in fondo il nichilismo stesso  —  che lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé‘ -L‘equivoco del nichilismo consiste nel  dire che il mondo, non avendo quella serie di significati«forti» che i metafisici gli attribuivano (unità. verità assoluta ecc.), non ha nessun senso: ‗Risultato:il credere nelle categorie di ragione è la causa del nichilismo  —   abbiamo misurato il valore delmondo in base a categorie che si riferiscono a un mondo puramente fittizio. Questo mostra come

 Nietzsche, pur essendo anch‘egli nichilista radicale lo sia in modo tale da superare il nichilismostesso. Infatti, poiché patologica è la conclusione che non c‗è nessun senso, il nichilismo appare a

 Nietzsche soltanto uno stadio intermedio, ovvero un No alla vita che prepara il grande Sì ad essa,

attraverso l‘esercizio della volontà di potenza. Nietzsche chiama estrema la forma di nichilismoattivo che distrugge ogni residua credenza in qualche verità in sé di tipo metafisico: ‗Che non ci siauna verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una ―cosa in sé‖ —  ciò stesso è unnichilismo, è anzi il nichilismo estremo.

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SIGMUND FREUD (1856-1939)

Sigmund Freud nasce nel 1856 a Freiberg, in Moravia, da genitori ebrei. Fondatore dellaPsicoanalisi, una scienza che ha rivoluzionato i metodi di cura delle malattie mentali e ha disegnatouna nuova immagine dell‘uomo, della sessualità e della civiltà.

Opere principali: Studi sull‘isteria (1892-95), con Breuer; L‘interpretazione dei sogni (1899) (è la prima opera in cui viene compiutamente formulata la teoria psicoanalitica), Psicopatologia dellavita quotidiana (1901); Totem e tabù (1913); Introduzione alla psicoanalisi (1915-17); Al di là del

 principio di piacere (1920); L‘io e l‘es (1922); L‘avvenire di un‘illusione(1927); Il disagio dellaciviltà (1929).

DAGLI STUDI SULL’ISTERIA ALLA PSICANALISI 

La medicina ufficiale ottocentesca si muoveva in un orizzonte teorico di tipo materialistico. Essatendeva infatti a interpretare tutti i disturbi della personalità in chiave somatica. L‘isteria avevaattirato l‘attenzione di un gruppo di medici. Charcot era giunto a usare l‘ipnosi come metodo

terapeutico, Br euer utilizzava l‘ipnosi non come strumento di inibizione dei sintomi, ma comemezzo per richiamare alla memoria avvenimenti penosi dimenticati. Nel caso di Anna O.,un‘isterica gravemente ammalata, curata da Breuer, fra gli altri sintomi (paralisi motorie, turbe dellavista e dell‘udito, tosse nervosa, anoressia, afasia ecc.) vi era pure una caratteristica idrofobia acuta(paura di bere). Mediante l‘ipnosi, Breuer aveva scoperto che la paziente, avendo scorto da bambinail cane della governante bere in un bicchiere, aveva provato un forte senso di repulsione. Pur avendorimosso quell‘episodio, la paziente manifestava sintomi idrofobici, che erano spariti soltantoquando Breuer, in virtù dell‘ipnosi, li aveva portati alla coscienza. Breuer e Freud mettono a  puntoil cosiddetto metodo catartico, consistente appunto nel tentativo di provocare una «scarica emotiva»capace di «liberare» il malato dai suoi disturbi. Freud arriva alla scoperta che la causa delle

 psiconevrosi è da ricercarsi in un conflitto tra forze psichiche inconsce, ossia operanti al di là della

sfera di consapevolezza del soggetto, i cui sintomi risultano quindi psicogeni (non organici).

Inconscio e vie d’accesso 

Prima di Freud si riteneva comunemente che la «psiche» si identificasse con la coscienza. Il medicoviennese afferma invece che la maggior parte della vita mentale si svolge fuori della coscienza e chel‘inconscio costituisce la realtà abissale primaria di cui il conscio (come la punta di un iceberg) èsolo la manifestazione visibile. L‘inconscio viene eletto a punto di vista privilegiato da cuiosservare l‘uomo. Freud divide l‘inconscio in due zone. La prima comprende l‘insieme dei ricordiche pur essendo momentaneamente inconsci, possono, in virtù di uno sforzo dell‘attenzione,divenire consci. Tale è il «preconscio». La seconda zona comprende quegli elementi psichici

stabilmente inconsci che sono mantenuti tali da una forza specifica  —   la «rimozione»  —  che puòvenir superata solo in virtù di tecniche apposite. Freud pensò di usare l‘i pnosi per superare le«resistenze» che ne sbarrano l‘accesso alla coscienza . Ma la scarsa efficacia di quest‘ultima loindusse presto ad elaborare un nuovo metodo: quello delle associazioni libere. Mettere il pazientein grado di abbandonarsi al corso dei propri pensieri, fa. sì che fra le varie parole da lui pronunciatesi instaurino delle catene associative con il materiale rimosso che si vuole portare alla luce.Scoperto quel nuovo continente scientifico che è l‘inconscio, Freud si propose di decodificarne imessaggi tramite lo studio di quelle sue manifestazioni privilegiate che sono i sogni, gli atti mancatie i sintomi nevrotici.

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LA TEORIA DELLA PSICHE

Rifiutando la concezione intellettualistica dell‘Io come semplice Io cosciente, Freud afferma che la psiche è un‘unità complessa costituita da diversi metaforici luoghi (topoi) psichici. La prima topica psicologica viene elaborata da Freud nell‘interpretazione dei sogni e distingue tre sistemi: il

conscio, il preconscio e l‘inconscio. La seconda topica viene elaborata da Freud a partire dal 1920 edistingue tre istanze: l‘Es, l‘Io e il Super -io. L‘Es (termine tedesco che indica il pronome neutrodella terza persona singolare) è il polo pulsionale della personalità, la matrice originaria della nostra

 psiche. L‘Es non conosce né il bene, né il male, né la moralità ma obbedisce unicamente al principio del piacere. Esso esiste inoltre al di là delle forze spazio-temporali codificate da Kant (inquanto le pulsioni rimosse vivono in una sfera senza luogo e senza tempo) e ignora le leggi dellalogica. Il Super-io è ciò che comunemente si chiama coscienza morale, ovvero l‘insieme delle

 proibizioni che sono state imposte all‘uomo nei primi anni di vita e che poi lo accompagnanosempre, anche in forma inconsapevole: Il Super-io è il successore e rappresentante dei genitori. L‘Ioè la parte organizzata della personalità, è l‘istanza che si trova a dover equilibrare.

I sogni, gli atti mancati e i sintomi nevrotici. Nell‘Interpretazione dei sogni Freud vede nei fenomeni onirici la via regia che porta allaconoscenza dell‘inconscio nella vita psichica. Egli ritiene infatti che i sogni siano «l‘appagamento(camuffato) di un desiderio (rimosso)». Per motivare questa tesi Freud distingue, all‘interno deisogni, un contenuto manifesto (la scena onirica) e un contenuto latente (l‘insieme delle tendenzeche danno luogo alla scena onirica). Il contenuto manifesto dei sogni è nient‘altro che la formaelaborata e travestita —  sotto effetto della censura  —  in cui si presentano i desideri latenti. Ma seogni sogno è la realizzazione di un desiderio, l‘interpretazione psicoanalitica dei sogni consiste nelripercorrere a ritroso il processo di traslazione del contenuto latente in quello manifesto. NellaPsicopatologia della vita quotidiana Freud prende in esame quei contrattempi della vita di tutti igiorni (lapsus. errori, dimenticanze, incidenti banali ecc.) che prima di lui si era soliti attribuire alcaso. Applicando il principio del determinismo psichico Freud scopre invece come anche talifenomeni abbiano un ben preciso significato. Questo schema risulta facilmente applicabile ai casi dilapsus linguae, ma vale per qualsiasi incidente (ad es. noi tendiamo a dimenticare determinati nomi,o a smarrire determinati oggetti, per il fatto che a essi sono associati sentimenti spiacevoli). Anchenei sintomi nevrotici abbiamo il punto di incontro fra una o più tendenze rimosse e quelle forzedella personalità che si oppongono all‘ingresso ditali credenze nel sistema conscio. E poiché Freudscoprì ben presto che gli impulsi rimossi che stanno alla base dei sintomi psiconevrotici sonosempre di natura sessuale, egli fu portato a porre la sessualità al centro della propria attenzione.

La teoria della sessualità

Prima di Freud la sessualità era sostanzialmente identificata con la genitalità, ossia con ilcongiungimento con un individuo di sesso opposto, ai fini della procreazione. Di conseguenza,secondo questo schema la sessualità dovrebbe mancare nell‘infanzia, subentrare intorno all‘epocadella pubertà.. Ora, se tutto ciò fosse vero, resterebbero inspiegate tutte le tendenze psicosessualidifferenti dal coito. Ad es. resterebbero inspiegate la sessualità infantile la sublimazione (cioè iltrasferimento di una carica originariamente sessuale sopra oggetti non-sessuali, come il lavoro,l‘arte, la scienza ecc.) e le perversioni. Freud fu condotto ad ampliare il concetto di sessualità, sino avedervi un‘energia suscettibile di dirigersi verso le mete più diverse. Energia che Freud denominòlibido e che pensò alla stregua di un flusso migratorio localizzato di volta in volta, incorrispondenza dello sviluppo fisico, su alcune parti del corpo, dette zone erogene (generatrici di

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 piacere erotico). Parallelamente a questa rifondazione del concetto di sessualità, Freud elaboròun‘originale dottrina della sessualità infantile. Respingendo la mistificante immagine del bambinocome sorta di angioletto asessuato Freud giunse a definire il piccolo uomo come un essere perverso

 polimorfo, ossia come un individuo capace di perseguire il piacere indipendentemente da scopiriproduttivi e mediante i più svariati organi corporei. In particolare. Freud sostiene che lo sviluppo

 psicosessuale del soggetto avviene attraverso tre fasi, ognuna delle quali appare caratterizzata dauna specifica zona erogena: fase orale, anale e genitale. 1) La fase orale, che caratterizza i primimesi di vita e che dura sino a un anno e mezzo circa, ha come zona erogena la bocca e risultaconnessa a quella che, in questo periodo, costituisce la principale attività del bambino: il poppare.2)La fase anale, che va da un anno e mezzo circa a tre anni, ha come zona erogena l‘ano ed ècollegata alle funzioni escrementizie, che per il bambino sono oggetto di particolare interesse e

 piacere.3) La fase fallica, che inizia alla fine del terzo anno, ha come fattore erogeno la zonagenitale. La fase genitale in senso stretto, che segue a quella fallica dopo un periodo di latenza (cheva dal declino della sessualità infantile  —  quarto o sesto anno  —   sino all‘inizio della pubertà) ècaratterizzata dall‘organizzazione delle pulsioni sessuali sotto il primato delle zone genitali. Ilcomplesso edipico —  che prende il nome dalla mitica vicenda del personaggio greco, destinato dal

Fato a uccidere il padre e a sposare la madre  —   consiste in un attaccamento ―libidico‖ verso ilgenitore di sesso opposto e in un atteggiamento ambivalente (con componenti positive affettuosità etendenza alla identificazione, e componenti negative di ostilità verso il genitore di egual sesso Talecomplesso si sviluppa fra i tre cinque anni, ossia durante la fase fallica, e, a seconda della suarisoluzione o meno, determina la futura strutturazione della personalità.

Religione e Civiltà

 Nell‘ultimo periodo della sua vita Freud si è espresso in modo originale sui temi della religione edella civiltà (Totem e tabù, L‘avvenire di un ‗illusione, Il disagio della civiltà, Mosè e ilmonoteismo). Per quanto riguarda le «rappresentazioni religiose», Freud ritiene che esse siano

«illusioni, appagamenti dei desideri più antichi, più forti, più pressanti dell‘umanità». A sua volta,l‘amato e temuto Padre celeste (Dio) non sarebbe altro che la proiezione psichica dei rapportiambivalenti con il padre terreno. Per la civiltà, Freud afferma che essa implica un costo in terminilibidici, essendo costretta a «deviare» la ricerca del piacere in prestazioni sociali e lavorative.Inoltre la civiltà, proseguendo l‘opera paterna, dà origine a un Super -io collettivo, incarnato da unaserie di norme e divieti: Il Super-io della civiltà, come quello individuale, affaccia severe esigenzeideali, il mancato conformarsi alle quali viene punito con l‘angoscia morale» (Il disagio dellaciviltà). L‘antropologia dell‘ultimo Freud, che presenta punti di contatto con quella di Schopenhauer, è decisamente pessimistica. La sofferenza è la componente strutturale della vita, checi costringe a patire nel corpo e nella psiche, a decadere e a morire. L‘uomo è una creatura tra le cuidoti istintive è da annoverare un forte quoziente di aggressività. Di conseguenza, lo stato civile è un

male minore rispetto a un‘umanità-senza-società, che potesse dar sfogo a tutti i suoi desideri. Negliultimi scritti Freud ha diviso le pulsioni in due specie, quelle che tendono a conservare e a unire, esono quindi erotiche o genericamente sessuali: e quelle che invece tendono a distruggere e auccidere, e sono quindi aggressive o distruttive. Nella lotta tra Eros e Thanatos Freud ha vistol‘intera storia del genere umano.

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TESTI

KANT La rivoluzione copernicana (tratto da Immanuel Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura)

La matematica e la fisica sono le due conoscenze teoretiche della ragione, che devono determinare a priori il lorooggetto: la prima in modo del tutto puro, la seconda almeno in parte, ma poi tenendo conto ancora di altre fonti diconoscenze oltre a quella della ragione.

La matematica, dai tempi più remoti a cui giunge la storia della ragione umana, è entrata, col meraviglioso popolo deiGreci, sulla via sicura della scienza. Soltanto, non bisogna credere che le sia riuscito cosi facile come alla logica, dovela ragione ha da fare solo con se stessa, trovare, o meglio aprire a se medesima, la via regia; io credo piuttosto che alungo (specialmente presso gli Egizi) sia rimasta ai tentativi incerti, e che questa trasformazione definitiva debba essereattribuita a una rivoluzione, posta in atto dalla felice idea d'un uomo solo, con una ricerca tale che, dopo di essa, la viada seguire non poteva più essere smarrita, e la strada sicura della scienza era ormai aperta e tracciata per tutti i tempi e

 per infinite tratto. La storia di questa rivoluzione della maniera di pensare, la quale è stata ben più importante dellascoperta della via al famoso Capo, e quella del fortunato mortale che la portò a compimento, non ci è stata tramandata.Ma la leggenda che ci riferisce Diogene Laerzio, il quale nomina il supposto scopritore dei principi più elementari delledimostrazioni geometriche, che, secondo il comune giudizio, non han bisogno di dimostrazione, prova che il ricordodella rivoluzione che si compi col prime passo nella scoperta della nuova via, dove sembrare straordinariamenteimportante ai matematici, e perciò divenne indimenticabile. II primo che dimostrò il triangolo isoscele (si chiamasseTalete o come si voglia), fu colpito da una gran luce: perché comprese ch'egli non doveva seguire a passo a passo ciòche vedeva nella figura, ne attaccarsi al semplice concetto di questa figura, quasi per impararne le proprietà; ma, permezzo di ciò che per i suoi stessi concetti vi pensava e rappresentava (per costruzione), produrla; e che, per sapere consicurezza qualche cosa a priori, non doveva attribuire alla cosa se non ciò che scaturiva necessariamente da quello che,secondo il suo concetto, vi aveva posto egli stesso. La fisica giunse ben più lentamente a trovare la via maestra dellascienza; giacché non è passato più di un secolo e mezzo circa dacché la proposta del giudizioso Bacone di Verulamio, in

 parte provocò, in parte, poiché si era già sulla traccia di essa, accelerò la scoperta, che può allo stesso modo esserespiegata solo da una rapida rivoluzione precedente nel modo di pensare. Io qui prenderò in considerazione la fisica soloin quanto è fondata su principi empirici. Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato, con un pesoscelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all'aria un peso, che egli stesso sapeva di già uguale a quello di una

colonna d'acqua conosciuta, e, più tardi, Stahl trasformo i metalli in calce, e questa di nuovo in metallo, togliendovi oaggiungendo qualche cosa, fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che laragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che, con princìpi de' suoi giudizi secondoleggi immutabili, deve essa entrare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidareda lei. […] 

Alla metafisica, conoscenza speculativa razionale, affatto isolata, che si eleva assolutamente al di sopra degliinsegnamenti dell'esperienza, e mediante semplici concetti (non, come la matematica, per l'applicazione di questiall'intuizione), nella quale dunque la ragione deve essere scolara di se stessa, non è sinora toccata la fortuna di potersiavviare per la via sicura della scienza; sebbene essa sia più antica di tutte le altre scienze, e sopravviverebbe anchequando le altre dovessero tutte quante essere inghiottite nel baratro di una barbarie che tutto devastasse. Giacché laragione si trova in essa continuamente in imbarazzo, anche quando vuole scoprire (come essa presume) a priori quelleleggi, che la più comune esperienza conferma. In essa si deve innumerevoli volte rifar la via, poiché si trova che quellagià seguita non conduce alla mèta; e, quanto all'accordo dei suoi cultori nelle loro affermazioni, essa è così lontanadall'averlo raggiunto, che è piuttosto un campo di lotta: il quale par proprio un campo destinato ad esercitar le forzeantagonistiche, in cui nemmeno un campione ha mai potuto impadronirsi della più piccola parte di terreno e fondar sullasua vittoria un durevole possesso. Non v'è dunque alcun dubbio, che il suo procedimento finora sia stato un sempliceandar a tentoni e, quel che è peggio, tra semplici concetti. Da che deriva dunque che essa non abbia ancora potutotrovare il cammino sicuro della scienza? Egli è forse impossibile? Perché dunque la natura ha messo nella nostraragione questa infaticabile tendenza, che gliene fa cercare la traccia, come se fosse per lei l'interesse più grave tra tutti?Ma c‘è di più: quanto poco motivo abbiamo noi di ripor fede nella nostra ragione, se essa non solo ci abbandona in unodei più importanti oggetti della nostra curiosità, ma ci attira con lusinghe, e alla fine c'inganna? Oppure, se fino ad oggiabbiamo semplicemente sbagliato strada, di quali indizi possiamo profittare, per sperare di essere più fortunati che glialtri finora non siano stati, rinnovando la ricerca? Io dovevo pensare che gli esempi della matematica e della fisica, chesono ciò che ora sono per effetto di una rivoluzione attuata tutta d'un colpo, fossero abbastanza degni di nota, per

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riflettere sul punto essenziale del cambiamento di metodo, che è stato loro di tanto vantaggio, e per imitarlo qui, almenocome tentativo, per quanto l'analogia delle medesime, come conoscenze razionali, con la metafisica ce lo permette.Sinora si è ammesso che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi di stabilire intornoad essi qualche cosa a priori, per mezzo dei concetti, coi quali si sarebbe potuto allargare la nostra conoscenza,assumendo un tal presupposto, non riuscirono a nulla. Si faccia, dunque, finalmente la prova di vedere se saremo piùfortunati nei problemi della metafisica, facendo l'ipotesi che gli oggetti debbano regolarsi sulla nostra conoscenza: ciò

che si accorda meglio con la desiderata possibilità d'una conoscenza a priori, che stabilisca qualcosa relativamente aglioggetti, prima che essi ci siano dati. Qui è proprio come per la prima idea di Copernico; il quale, vedendo che non poteva spiegare i movimenti celesti ammettendo che tutto l'esercito degli astri rotasse intorno allo spettatore, cercò senon potesse riuscir meglio facendo girare l'osservatore, e lasciando invece in riposo gli astri. Ora in metafisica si puòveder di fare un tentativo simile per ciò che riguarda l'intuizione degli oggetti. Se l'intuizione si deve regolare sullanatura degli oggetti, non vedo punto come si potrebbe saperne qualcosa a priori; se l'oggetto invece (in quanto oggettodel senso) si regola sulla natura della nostra facoltà intuitiva, mi posso benissimo rappresentare questa possibilità. Ma,

 poiché non posso arrestarmi a intuizioni di questo genere, se esse devono diventare conoscenze; e poiché è necessarioche io le riferisca, in quanto rappresentazioni, a qualcosa che ne sia l'oggetto e che io determini mediante quelle; cosìnon mi rimane che ammettere: o che i concetti, coi quali io compio questa determinazione, si regolino anchesull'oggetto, e in questo caso io non mi trovo nella stessa difficoltà, circa il modo cioè in cui possa conoscerne qualchecosa a priori; oppure che gli oggetti o, ciò che è lo stesso, l'esperienza, nella quale soltanto essi sono conosciuti (inquanto oggetti dati), si regolino su questi concetti; allora io vedo subito una via d'uscita più facile, perché l'esperienza

stessa è un modo di conoscenza che richiede il concorso dell'intelletto, del quale devo presupporre in me stesso la regola prima che gli oggetti mi siano dati, e perciò a priori; e questa regola si esprime in concetti a priori, sui quali tutti glioggetti dell'esperienza devono necessariamente regolarsi, e coi quali devono accordarsi. Per ciò che riguarda gli oggettiin quanto sono semplicemente pensati dalla ragione, ossia necessariamente, ma non possono esser dati puntonell'esperienza (almeno come la ragione li pensa), i tentativi di pensarli (devono pur potersi pensare!) forniranno quindiuna eccellente pietra di paragone di quel che noi assumiamo come il mutato metodo nel modo di pensare, e cioè: chenoi delle cose non conosciamo a priori, se non quello stesso che noi stessi vi mettiamo.

Hegel Lo Stato e la libertà

§ 257. Lo Stato è la realtà dell‘Idea etica. Esso è lo Spirito etico in quanto vo lontà sostanziale, manifesta, evidente a sestessa, volontà che si pensa e si sa, e che porta a compimento ciò che sa e nella misura in cui lo sa. Nell‘ethos, lo Statoha la propria esistenza immediata. Nell‘autocoscienza del singolo, nel sapere e nell‘attività del singolo, lo Stato hainvece la propria esistenza mediata. Da parte sua, mediante la predisposizione spirituale, l‘autocoscienza ha la propriaLibertà sostanziale nello Stato come nella propria Essenza, come nel fine e nel prodotto della propria a ttività. […] § 258. Lo Stato, in quanto è la realtà della volontà sostanziale, ha questa realtà nell‘autocoscienza particolare che si èelevata fino alla propria universalità. In tal senso, lo Stato è il Razionale in sé e per sé. Ora, questa unità sostanziale èautofinalità assoluta e immobile nella quale la Libertà perviene al suo diritto supremo; analogamente, questo fine ultimoha il supremo diritto nei confronti dei singoli. I singoli, a loro volta, hanno il dovere supremo di essere membri delloStato. Se lo Stato viene scambiato per la società civile, e se quindi la sua destinazione viene posta nella sicurezza e nella

 protezione della proprietà e della libertà personale, allora l‘interesse dei singoli in quanto tali diviene il fine ultimo pe rcui essi sono uniti, e, a un tempo, il fatto di essere membro dello Stato finisce col dipendere dal capriccio individuale.Lo Stato ha invece un rapporto completamente diverso con l‘individuo. Lo Stato, infatti, è Spirito oggettivo, el‘individuo stesso ha oggettività, verità ed eticità solo in quanto è un membro dello Stato. L‘unione in quanto tale è essa

stessa l‘autentico contenuto e fine, e la destinazione degli individui consiste nel condurre una vita universale: ogni loroulteriore appagamento, attività, modo di comportarsi, ha per suo punto di partenza e risultato questo elementosostanziale e universalmente valido. […] 

§ 260. Lo Stato è la realtà della Libertà concreta. Ora, la Libertà concreta consiste nel fatto che la singolarità personale ei suoi interessi particolari, per un verso, hanno il loro sviluppo completo e il riconoscimento del loro diritto per sé (nelsistema della famiglia e della società civile); per altro verso, invece, essi in parte passano da se stessi nell‘interessedell‘universale, e in parte, con il loro sapere e volere, riconoscono l‘universale stesso: precisamente, lo riconosconocome loro proprio Spirito sostanziale, e sono attivi in vista di esso come in vista del loro fine ultimo. In questo senso,l‘universale non vale e non viene compiuto senza l‘interesse, il sapere e il volere particolari, né gli individui vivonocome mere persone private in vista di questo interesse particolare: essi, piuttosto, vogliono a un tempo nel e in vistadell‘universale, e hanno un‘attività consapevolmente  rivolta a questo fine. Il principio degli Stati moderni ha questa

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immane forza e profondità: esso fa sì che il principio della soggettività si compia fino all‘estremo autonomo della particolarità personale, e, ad un tempo, lo riconduce nell‘unità sostanziale, conservando così quest‘ultima in quel principio stesso.

(dai Lineamenti di filosofia del diritto)

Commento Per Hegel, lo Stato è il momento più elevato dell‘eticità e dello spirito oggettivo. Hegel pensa allo Stato moderno,inteso come un organismo nel quale libertà individuale e appartenenza al tutto trovano una sintesi: da una parte, lo Statogarantisce il diritto alla proprietà e alla libertà individuale, dall‘altro esprime, tramite le leggi, la volontà universale,  nella quale i cittadini si devono riconoscere. Nel sentirsi attivamente componente dello Stato, infatti, nel comprendereche il bene della totalità è la condizione per la realizzazione del proprio bene gli individui realizzano,contemporaneamente, il loro dovere e la loro vera libertà. Proprio perché incarna la suprema istanza etica, che tutela,ma al tempo stesso, trascende l‘interesse dei singoli, lo Stato non può nascere da un contratto tra individui che,esercitando il loro arbitrio, si accordano per tutelare la vita e la proprietà (critica i contrattualisti, che, secondo Hegel,confondono lo Stato con la società civile: scopo della società civile è garantire l‘ordinato perseguimento degli interessi

 particolari, scopo dello Stato è realizzare la superiore unità etica tra i cittadini. La «libertà sostanziale», che l‘individuorealizza nel sentire lo Stato come il suo fine, non ha nulla a che vedere con la libertà intesa come indipendenza oarbitrio: l‘individuo è libero quando sente di appartenere a un‘entità superiore per la quale deve e ssere pronto a

sacrificare la vita e tutto ciò che possiede.

Schopenhauer // Il mondo come rappresentazione

«Il mondo è una mia rappresentazione»: ecco una verità valida per ogni essere vivente e pensante, benché l‘uomo possa soltanto venirne a coscienza astratta e riflessa. E quando l‘uomo sia venuto di fatto a tale coscienza, lo spiritofilosofico è entrato in lui. Allora, egli sa con chiara certezza di non conoscere né il sole né la terra, ma soltanto unocchio che vede un sole, e una mano che sente il contatto d‘una terra; egli sa che il mondo circostante non esiste se noncome rappresentazione, cioè sempre e soltanto in relazione con un altro essere, con il percipiente, con lui medesimo. Sec‘è una verità che si può affermare a  priori, è proprio questa; essa infatti esprime la forma di ogni esperienza possibileed immaginabile: la quale forma è più universale di tutte le altre, e cioè del tempo, dello spazio e della causalità,

 perché tutte queste implicano già la prima. E mentre ciascuna di tali forme, riconosciute da noi come altrettante

 particolari determinazioni del principio di ragione, ha valore soltanto per una singola classe di rappresentazioni, ladistinzione in oggetto e soggetto è invece la forma comune a tutte le classi, la sola con cui si possa concepire unarappresentazione di qualsiasi specie, astratta o intuitiva, pura o empirica. Nessuna verità è dunque più certa, piùassoluta, più lampante di questa: tutto ciò che esiste per la conoscenza, e cioè il mondo intero, non è altro che l‘oggettoin rapporto al soggetto, la percezione per lo spirito percipiente; in una parola: rappresentazione. Questa legge valenaturalmente sia per il presente, sia per il passato e per tutto l‘avvenire; per ciò che è a noi lontano come per il vicino;infatti essa vale anche per il tempo e per lo spazio, in cui soltanto ogni cosa può essere percepita. Tutto quanto il mondoinclude o può includere è inevitabilmente dipendente dal soggetto, e non esiste che per il soggetto. Il mondo èrappresentazione. [...] Il mondo come rappresentazione, cioè sotto l‘unico punto di vista da cui ora lo consideriamo, hadue metà essenziali, necessarie ed inseparabili. La prima è l‘oggetto, le cui forme sono lo spazio, il tempo, mediante iquali, come si è detto, si ha la pluralità. La seconda metà, il soggetto, sfugge però alla legge del tempo e dello spazio,

 poiché esiste intera e indivisa in ogni essere capace di rappresentazione; quindi anche uno solo di questi esseri, insiemecon l‘oggetto, basta a costituire il mondo come rappresentazione con la stessa completezza di milioni d‘esseri esistenti;lo svanire invece di quest‘unico soggetto porterebbe con sé lo svanire del mondo come rappresentazione. Le due metàsono dunque inseparabili, anche per il pensiero; ciascuna delle due, infatti, non ha senso né esistenza se non per mezzodell‘altra e in ordine all‘altra, ovvero ciascuna esiste con l‘altra e con essa si dilegua. ( tratto da N. Abbagnano  –  G.Fornero, Itinerari di filosofia 2B, Paravia, Torino 2002)

Il mondo come volontà e rappresentazione si apre con l‘affermazione che Il mondo è una mia rappresentazione.Schopenhauer intende con ciò riproporre la rivoluzione copernicana di Kant stia ben nota distinzione tra mondofenomenico e mondo noumenico; ma la sua tesi è influenzata dall‘antica filosofia indiana ancor più che dal criticismo.Per Kant il fenomeno è reale, mentre Schopenhauer lo definisce illusione, sogno, e con l‘espressione indiana «velo diMaya». Polemizzando con l‘idealismo da un lato e con il materialismo dall‘altro, Sch openhauer sostiene che nellarappresentazione vi sono due aspetti inscindibilmente correlati, cioè soggetto e oggetto, nessuno dei quali può essereridotto all‘altro. L‘opera principale di Schopenhauer, stampata nel dicembre 1818, è articolata in quattro libri, il primo

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dei quali concerne per l‘appunto il mondo come rappresentazione, quale si ha nell‘esperienza comune e nellaconoscenza scientifica. Nel secondo libro Schopenhauer spiega che il mondo può essere considerato anche da un altro

 punto di vista, per quello che esso è in se stesso, non più come rappresentazione ma come volontà. La scoperta dellarealtà in sé, al di là delle apparenze fenomeniche, è resa possibile dall‘autocoscienza mediante la quale l‘uomo haesperienza di sé dal di dentro e si rende conto che la propria essenza (e, per analogia, l‘essenza del mondo intero) stanella volontà di vivere.

Marx// Il materialismo storico

L'insieme di forze produttive e di rapporti di produzione costituiscono per Marx la base reale della società. L'insiemedelle teorie giuridiche e politiche, dell'attività culturale, delle concezioni morali e delle visioni religiose checaratterizzano una data società nel suo aspetto «spirituale» e che si concretizzano nelle sue istituzioni, ne rappresentanole ideologie che variano al variare della base reale, perché dipendono da essa.

 Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dallaloro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive

materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base realesulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienzasociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona in generale il processo sociale, politico e spirituale dellavita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determinala loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizionecon i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica)dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, siconvertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economicasi sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura... Una formazione sociale non perisce finché nonsi siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dar corso, nuovi e superiori rapporti di produzione non subentranomai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza.

(Prefazione a Per la critica dell'economia politica)

L’alienazione 

I Manoscritti economico-filosofici, da cui è tratto il brano che segue, è un testo giovanile di Marx, composto nel 1844,ma rimasto inedito e sconosciuto fino al 1932. Marx studia e discute le teorie dei più noti economisti, come Smith,Ricardo, Malthus, ma soprattutto analizza la struttura dell'economia capitalistica. Ecco allora che un concetto filosoficofondamentale, quello di alienazione, mutuato da Hegel e da Feuerbach, assume una valenza nuova: il giovane Marxscopre che l'alienazione primaria non è quella spirituale, bensì quella socio-economica generata dalla proprietà privatacapitalistica. L'alienazione dell'operaio nel suo concreto rapporto di lavoro viene esaminata nei suoi quattro aspetti. Illavoratore infatti viene estraniato a) rispetto al prodotto del suo lavoro b) rispetto alla sua attività lavorativa c) rispettoalla sua stessa essenza d'uomo d) rispetto agli altri uomini con cui convive.

 Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto attuale.L'operaio diventa tanto più povero quanto più

 produce ricchezza, quanto più la sua produzione cresce in potenza ed estensione. L'operaio diventa una merce tanto piùa buon mercato quanto più crea delle merci. Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto lasvalutazione del mondo degli uomini. Il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratorecome una merce, precisamente nella proporzione in cui esso produce merci in genere. Questo fatto non esprimenient'altro che questo: che l'oggetto, prodotto dal lavoro, prodotto suo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo,come una potenza indipendente dal producente. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, che si èfatto oggettivo: è l'aggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazionedel lavoro appare, nella condizione descritta dall'economia politica, come annullamento dell'operaio, e l'oggettivazioneappare come perdita e schiavitù dell'oggetto, e l'appropriazione come alienazione, come espropriazione. [...]Certamenteil lavoro produce meraviglie per i ricchi, ma produce lo spogliamento dell'operaio. Produce palazzi, ma caverne perl'operaio. Produce bellezza, ma deformità per l'operaio. Esso sostituisce il lavoro con le macchine, ma respinge una

 parte dei lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine l'altra parte. Produce spiritualità, e produce la

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imbecillità, il cretinismo dell'operaio. [...] Ma l'alienazione non si mostra solo nel risultato, bensì nell'atto della produzione, dentro la stessa attività producente. Primieramente in questo: che il lavoro resta esterno all'operaio, cioènon appartiene al suo essere, e che l'operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagatoma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensì mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito.L'operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di sé nel lavoro... Il suo lavoro non è volontario,

 bensì forzato, è lavoro costrittivo. Il lavoro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensì è soltanto un mezzo per

soddisfare dei bisogni esterni ad esso.[…]Il risultato è che l'uomo (il lavoratore) si sente libero ormai soltanto nelle suefunzioni bestiali, nel mangiare, nel bere e nel generare, tutt‘al più nell'avere una casa, nella sua c ura corporale ecc., eche nelle funzioni umane si sente solo più una bestia. Il bestiale diventa l'umano e l'umano il bestiale.[…]Abbiamoancora da trarre delle precedenti una terza caratteristica del lavoro alienato.[…]L'animale forma cose solo secondo la  misura e il bisogno della specie cui appartiene, mentre l'uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie edappertutto sa conferire all'oggetto la misura inerente, quindi l'uomo forma anche secondo le leggi della bellezza.Proprio soltanto nella lavorazione del mondo oggettivo l'uomo si realizza quindi come un ente appartenente al genere.Questa produzione è la sua attività generica. Per essa la natura si palesa come sua, dell‘uomo, e sua realtà. L'oggetto dellavoro è quindi l'oggettivazione della vita dell'uomo in quanto vita appartenente al genere: poiché egli si sdoppia nonsolo intellettualmente, come nella coscienza, bensì anche attivamente, realmente, e vede quindi se stesso in un mondofatto da lui. Allorché, dunque, il lavoro alienato sottrae al l‘uomo l‘oggetto della sua produzione, è la sua vita genericache gli sottrae, la sua reale oggettività di specie, e così trasforma il suo vantaggio sull‘animale nello svantaggio dellasottrazione del suo corpo inorganico della natura. Se il prodotto della natura mi è estraneo, mi sta di fronte come una

 potenza straniera, a chi esso appartiene allora? Se la mia propria attività non mi appartiene, ma è un estranea e coartataattività, a chi appartiene allora? A un ente altro da me.[…] L'ente estraneo, al quale appartiene il lavoro e il prodotto dellavoro, al servizio del quale sta il lavoro e per il godimento del quale sta il prodotto del lavoro, può esser soltantol'uomo stesso. Quando il prodotto del lavoro non appartiene all'operaio, e gli sta di fronte come una potenza estranea,ciò è solo possibile in quanto esso appartiene ad un altro uomo estraneo all'operaio. Quando la sua attività gli è penosa,essa dev'essere godimento per un altro, gioia di vivere di un altro. Dunque, nel lavoro alienato, espropriato, l'operaio

 produce il rapporto che a questo lavoro ha un uomo estraneo e che sta fuori di esso. Il rapporto dell'operaio col lavorogenera il rapporto del capitalista  —  o come altrimenti si voglia chiamare il padrone del lavoro  —  col medesimo lavoro.La proprietà privata è dunque il prodotto, il risultato, la necessaria conseguenza del lavoro espropriato, del rapportoestrinseco dell'operaio alla natura e a se stesso.

A. Comte, La legge dei tre stadi  

Per spiegare convenientemente la vera natura ed il carattere proprio della filosofia positiva è necessario gettare unosguardo d‘insieme sulla marcia progressiva dello spirito umano, perché qualsiasi dottrina può essere meglio conosciutaquando se ne conosce la storia. Studiando così lo sviluppo dell‘intelligenza umana nelle sue diverse sfere di attività,dalle prime manifestazioni fino ai nostri giorni, credo di aver scoperto una grande legge fondamentale, alla quale esso èsoggetto con ferrea necessità e che può essere definita in modo preciso sia con prove razionali ricavate dalla conoscenzadella nostra organizzazione, sia con la verifica storica risultante da un attento esame del passato. Questa legge consistenel fatto che ogni nostra concezione fondamentale, ciascun settore delle nostre conoscenze, passa successivamenteattraverso tre stadi diversi: lo stadio teologico o fittizio; lo stadio metafisico o astratto; lo stadio scientifico o positivo. Inaltre parole lo spirito umano, per sua natura, adopera successivamente, in tutte le sue ricerche, tre metodi di filosofare, ilcui carattere è essenzialmente differente e persino opposto: all‘inizio il metodo teologico, quindi quello metafisico,infine il metodo positivo. Da lí hanno origine tre tipi di filosofia, o di concezioni generali sull‘insieme dei fenom eni,che si escludono reciprocamente; il primo è il punto di partenza necessario dell‘intelligenza umana, il terzo la suasistemazione definitiva e fissa, il secondo vale soltanto come momento di passaggio. Nello stadio teologico lo spiritoumano indirizza essenzialmente le sue ricerche verso la natura intima delle cose, le cause prime e le cause ultime di tuttigli effetti che lo colpiscono, in una parola, verso le conoscenze assolute e si rappresenta i fenomeni come prodottidall‘azione diretta e continua di agenti sovrannaturali piú o meno numerosi, il cui arbitrario intervento dà ragione ditutte le contraddizioni apparenti dell‘universo. Nello stato metafisico, che non è in fondo se non una semplicemodificazione generale del precedente, gli agenti sovrannaturali sono sostituiti da forze astratte, vere entità inerenti aidiversi esseri del mondo e concepite come capaci di produrre esse stesse tutti i fenomeni osservati, la cui spiegazioneconsiste dunque nell‘assegnare a ciascuno l‘entità corrispondente.  Infine nello stato positivo lo spirito umanoriconoscendo l‘impossibilità di raggiungere delle nozioni assolute rinuncia a cercare l‘origine ed il destino dell‘universoed a conoscere le cause intime dei fenomeni, per dedicarsi unicamente a scoprire, con l‘uso opportunamente combinatodel ragionamento e dell‘osservazione, le loro leggi effettive, cioè le loro relazioni invariabili di successione e disomiglianza. La spiegazione dei fatti, ridotta dunque nei suoi termini reali, non è altro ormai che il legame posto tra i

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diversi fenomeni particolari ed alcuni fatti generali; di qui derivano i progressi della scienza che tende sempre piú adiminuire il numero delle leggi [...] Ordunque, se la filosofia positiva è il vero e proprio stato definitivo dell‘intelligenzaumana, quello stato verso cui essa è stata sempre più intensamente protesa, nondimeno essa ha dovuto necessariamenteimpiegare all‘inizio e durante una lunga successione di secoli sia come metodo, sia come dottrina provvisoria, lafilosofia teologica; filosofia il cui carattere è d‘essere spontanea, e perciò la sola possibile all‘origine, la sola anche che

 possa offrire al nostro spirito nascente un interesse sufficiente. È ora molto facile accorgersi che per passare da questa

filosofia provvisoria alla filosofia definitiva, lo spirito umano ha dovuto naturalmente adottare, come filosofiatransitoria, i metodi e le dottrine metafisiche. Quest‘ultima considerazione è indispensabile per completare il breveragguaglio generale sulla grande legge che ho prospettato.

(A. Comte, Corso di filosofia positiva in F. Tonon, Auguste Comte e il problema storico-politico nel pensierocontemporaneo, G. D‘Anna, 1975) 

F.Nietzsche // Il superuomo e la fedeltà alla terra

Giunto nella città vicina, sita presso le foreste, Zarathustra vi trovò radunata sul mercato una gran massa di popolo: erastata promessa infatti l'esibizione di un funambolo. E Zarathustra parlò così alla folla: Io vi insegno il superuomo.L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al disopra di sé: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l'uomo?Che cos'è per l'uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l'uomo per ilsuperuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il cammino dal verme all'uomo, e molto in voi haancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. E il più saggio travoi non è altro che un'ibrida disarmonia di pianta e spettro.

Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta? Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso dellaterra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli rimanete fedeli alla terra e noncredete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatoridella vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire! Un tempo ilsacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi.Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell'imperscrutabile

 più del senso della terra! In passato l'anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa più

alta: essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra. Maquesta anima era anch'essa macilenta, orrida e affamata: e crudeltà era la voluttà di questa anima! Ma anche voi, fratelli,ditemi: che cosa manifesta il vostro corpo dell'anima vostra? Nonè forse la vostra anima indigenza e feccia e miserabile

 benessere? Davvero, un fiume immondoè l'uomo. Bisogna essere un mare per accogliere un fiume immondo, senzadiventare impuri. Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è il mare, nel quale si può inabissare il vostro grande disprezzo.Qual è la massima esperienza che possiate vivere? L'ora del grande disprezzo. [...] Non il vostro peccato - la vostraaccontentabilità grida al cielo, la vostra parsimonia nel vostro peccato grida al cielo! Ma dov'è il fulmine che vilambisca con la sua lingua! Dov'è la demenza che dovrebbe esservi inoculata? Ecco, io vi insegno il superuomo: egli èquel fulmine e quella demenza!

COMMENTO L'annuncio del superuomo è fatto attraverso una metafora biologica. L'evoluzionismo al quale allude Nietzsche èesclusivamente di tipo morale. Essa indica che il superuomo è un oltre-uomo, secondo la traduzione letterale del

termine impiegato da Nietzsche, Uebermensch; è, cioè, un essere diverso e non un uomo migliorato. Il salto "biologico"dall'uomo al superuomo consiste essenzialmente nel fatto che mentre l'uomo, nel corso della propria storia, ha derivatoil senso del mondo e della vita da qualcosa d'altro (come la scimmia che imita comportamenti altrui, invece di produrli),il superuomo è creatore di valori, deve essere egli stesso "il senso della terra".Il sacrilegio è contro la terra, dunque la terra ha preso il posto di Dio. Dio costituiva il centro di gravitazione, ilriferimento per le certezze e per i valori, ed è proprio questo il senso che deve avere la terra. Per Nietzsche la "terra" è ilcorpo, la naturalità, gli istinti. Nella storia della filosofia, e in particolare nella tradizione platonica, il corpo è statoidentificato con il male, con il peccato. L'anima doveva purificarsi, allontanandosene e liberandosi dalle passioni.

 Nietzsche inverte la prospettiva. La naturalità è la sorgente dei valori vitali, e vivifica anche l'anima. La repressionedegli istinti impoverisce l'anima, ne comprime l'energia e la vitalità. La repressione - la morale - rende l'anima limitata,ne soffoca gli impulsi, mutila l'uomo. Il superuomo di Nietzsche è colui che rifiuta l'autorepressione, che accetta la

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68 – Da Kant a Freud – Programma di Quinta di Paolo Rebaudo 

libera manifestazione delle pulsioni, di ciò che è a-razionale ("la demenza"). Riappropriandosi della propria naturalità,egli supera la morale, costruita storicamente in base alla razionalità contro le forze vitali, istintive, inconsce.

(Brano tratto da Cosi parlò Zarathustra in Opere di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano, 1977.

Freud, Due sgradevoli affermazioni

Con due delle sue affermazioni la psicoanalisi offende il mondo intero e se ne attira l‘avversione; una di esse urta controun pregiudizio intellettuale, l‘altra contro un pregiudizio estetico-morale. Dobbiamo stare attenti a non trascurare troppoquesti pregiudizi: essi sono potenti, sono sedimenti di evoluzioni utili, o addirittura necessarie, dell‘umanità. Vengonomantenuti in vita da forze affettive e la lotta contro di essi è una lotta difficile. La prima di queste sgradevoliaffermazioni della psicoanalisi è che i processi psichici sono di per sé inconsci e che di tutta la vita psichica sono conscesoltanto alcune parti e alcune azioni singole. Tenete presente che, al contrario, noi siamo abituati a identificare lo

 psichico con il cosciente. La coscienza è da noi ritenuta addirittura la caratteristica che definisce lo psichico, la psicologia la dottrina dei contenuti della coscienza. Anzi, questa equiparazione ci sembra talmente ovvia che crediamodi avvertire come un palese controsenso ogni sua contestazione; tuttavia la psicoanalisi non può fare a meno di sollevare

questa contestazione, né può accettare l‘identità di cosciente e psichico. Secondo la sua definizione, lo psichico consistein processi quali il sentire, il pensare, il volere ed essa deve sostenere che esiste un pensiero inconscio e un volere di cuisi è inconsapevoli. Con questo si è però giocata fin dall‘inizio la simpatia di tutti gli amici della sobrietà scientifica e siè attirata il sospetto di essere una fantasiosa dottrina occulta, che vorrebbe costruire al buio e pescare nel torbido. Voinaturalmente, miei ascoltatori, non potete ancora capire con quale diritto io possa tacciare di pregiudizio una

 proposizione di natura così astratta come «lo psichico è il cosciente»; né potete indovinare per quale strada si sia giuntial disconoscimento dell‘inconscio, ammesso che esso esista, e quale vantaggio sia potuto risultare da questodisconoscimento. La questione se si debba far coincidere lo psichico con il cosciente o estenderlo al di là di esso, suonacome una vuota disputa verbale; e tuttavia posso assicurarvi che, con l‘ammissione di processi psichici inconsci, si èaperto un nuovo, decisivo orientamento nel mondo e nella scienza. Non può non esservi altrettanto nascosta l‘intimaconnessione che collega questa prima audacia della psicoanalisi alla seconda, di cui sto per parlarvi. Quest‘altra

 proposizione, che la psicoanalisi rivendica come una delle proprie scoperte, afferma che alcuni moti pulsionali, i qualinon possono essere chiamati che sessuali, sia in senso stretto che in senso più lato, hanno una grandissima parte, finora

non apprezzata a sufficienza, nella determinazione delle malattie nervose e mentali. Afferma inoltre che questi stessiimpulsi sessuali forniscono un contributo che non va sottovalutato alle più alte creazioni culturali, artistiche e socialidello spirito umano.Stando alla mia esperienza, l‘avversione per questo risultato della ricerca psicoanalitica è il piùimportante motivo della resistenza che essa ha incontrato. Volete sapere come ce lo spieghiamo? Noi riteniamo che laciviltà si sia formata sotto l‘urgenza delle necessità vitali a spese del soddisfacimento delle pulsioni, e che essa venga in  gran parte continuamente ricreata ex novo, quando il singolo, che fa il suo primo ingresso nella comunità umana, ripeteil sacrificio del soddisfacimento delle pulsioni a favore della società.

(S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, in Opere 1915-1917, vol. VIII, Bollati Boringhieri, 1990)

COMMENTO 

In questa lezione di carattere introduttivo, Freud sottolinea soprattutto gli ostacoli che la nuova forma di sapere ha

dovuto superare, combattendo contro alcuni pregiudizi profondamente radicati, sia nel pensare comune che nellacomunità scientifica. Le più contestate sono appunto le tesi su cui si fonda il suo pensiero: il carattere inconscio dellagran parte dei processi psichici e l‘origine sessuale degli impulsi attivi tanto nelle malattie psichiche, quanto nei

 processi mentali sani e creativi. L‘intento di Freud non è solo quello di sostenere la loro verità e importanza per lacomprensione delle cause della malattia psichica, ma anche quello di spiegare perché esse sono state considerate contanta avversione intellettuale e morale: la prima tesi va a colpire la rassicurante convinzione che siamo in grado didominare completamente i processi psichici con le capacità razionali della coscienza; la seconda costituisce una veraminaccia per la cultura civile, che non può accettare la presenza pervasiva della sessualità, poiché si avvale di forme dicontrollo repressivo degli impulsi, allo scopo di dirottarne le energie verso mete sociali più elevate (sublimazione).

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