CVODICE ERO DAVINCI - la Repubblica

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DOMENICA 14 MARZO 2010 D omenica La di Repubblica i sapori Buon compleanno Gualtiero Marchesi LICIA GRANELLO e GUALTIERO MARCHESI cultura Manuale dell’arte di scrivere DEL GIUDICE, HEMINGWAY, MCEWAN, MILLER e VARGAS LLOSA spettacoli A proposito di Robert Altman ANTONIO MONDA le tendenze Sneakers, la tribù che cammina IRENE MARIA SCALISE l’incontro Virna Lisi, ribellarsi alla bellezza LAURA LAURENZI l’attualità Mafia & Stato, il primo accordo ATTILIO BOLZONI BARBARA FRALE A lcuni anni fa la leggenda di un Leonardo da Vinci esoterico, custode di segreti iniziatici, ha fatto il giro del mondo sull’onda del successo del ro- manzo Il Codice da Vinci di Dan Brown. Adesso una notizia che arriva dal Vaticano svela la verità che sta dietro la leggenda: un “Codice da Vinci” esiste davvero. Il genio non si esprimeva solo con le opere d’arte e i libri di scienza. Parlava anche per enigmi e inseriva nei suoi di- pinti un codice cifrato, per quelli che erano in grado di compren- derlo. Lo sostiene una studiosa italiana, Sabrina Sforza Galitzia, che ha già pubblicato una prima parte del suo lavoro con la Li- breria Editrice Vaticana (Il Cenacolo di Leonardo in Vaticano. Sto- ria di un arazzo in seta e oro, Città del Vaticano 2009). La prefa- zione è firmata dall’archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, cardinale Raffaele Farina, e contiene la trascrizione di do- cumenti originali conservati nell’Archivio segreto vaticano. L’oggetto dello studio di Sabrina Sforza Galitzia è un magnifico arazzo conservato ai Musei Vaticani. (segue nelle pagine successive) SABRINA SFORZA GALITZIA «C osa vuoi fare da grande?» e io risponde- vo: «Voglio essere Papa». Mi si diceva: «Ah! Non credo sarà possibile» e io deci- sa: «Allora voglio essere Leonardo da Vinci». Fu così che nacque il mio interes- se per Leonardo e il suo mondo fiabesco. Mi imbarcavo in pensieri più grandi di me, volavo con la mia im- maginazione. Ero lontana dal pensare che un giorno avrei dav- vero studiato i numerosi manoscritti vinciani alla Ucla, l’univer- sità di Los Angeles. La loro quantità, oltre diecimila pagine, po- trebbe inizialmente stordire per la scrittura a specchio ma dopo un mese, con una lente e un po’ di pazienza, diventa naturale per tutti leggerle. Mi affascinavano i suoi calcoli, le figure geometri- che. I numeri: il linguaggio più internazionale. La continua ricor- renza degli otto e dei suoi multipli, del dodici e soprattutto del set- tantadue. La quadratura del cerchio, del triangolo, delle lunule, dello gnomone, un antico linguaggio caduto in disuso. Nulla a che vedere con cabala o esoterismo. (segue nelle pagine successive) PARTICOLARE DEL “CENACOLO” DI LEONARDO DA VINCI. FOTO ALINARI DA V INCI V ERO C ODICE I L UN MESSAGGIO SEGRETO NEL CENACOLO NASCOSTO IN SIMBOLI , PROPORZIONI GEOMETRICHE E CALCOLI ASTRONOMICI , UNA PROFEZIA SULLA FINE DEL MONDO ELARRIVO DEL NUOVO MESSIA NON È DAN BROWN, È LA RIVELAZIONE DI UNA STUDIOSA ESPERTA DI ARCHIVI VATICANI Repubblica Nazionale

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DOMENICA 14MARZO 2010

DomenicaLa

di Repubblica

i saporiBuon compleanno Gualtiero Marchesi

LICIA GRANELLO e GUALTIERO MARCHESI

culturaManuale dell’arte di scrivere

DEL GIUDICE, HEMINGWAY, MCEWAN, MILLER e VARGAS LLOSA

spettacoliA proposito di Robert Altman

ANTONIO MONDA

le tendenzeSneakers, la tribù che cammina

IRENE MARIA SCALISE

l’incontroVirna Lisi, ribellarsi alla bellezza

LAURA LAURENZI

l’attualitàMafia & Stato, il primo accordo

ATTILIO BOLZONI

BARBARA FRALE

Alcuni anni fa la leggenda di un Leonardo da Vinciesoterico, custode di segreti iniziatici, ha fatto ilgiro del mondo sull’onda del successo del ro-manzo Il Codice da Vinci di Dan Brown. Adessouna notizia che arriva dal Vaticano svela la veritàche sta dietro la leggenda: un “Codice da Vinci”

esiste davvero. Il genio non si esprimeva solo con le opere d’artee i libri di scienza. Parlava anche per enigmi e inseriva nei suoi di-pinti un codice cifrato, per quelli che erano in grado di compren-derlo. Lo sostiene una studiosa italiana, Sabrina Sforza Galitzia,che ha già pubblicato una prima parte del suo lavoro con la Li-breria Editrice Vaticana (Il Cenacolo di Leonardo in Vaticano. Sto-ria di un arazzo in seta e oro, Città del Vaticano 2009). La prefa-zione è firmata dall’archivista e bibliotecario di Santa RomanaChiesa, cardinale Raffaele Farina, e contiene la trascrizione di do-cumenti originali conservati nell’Archivio segreto vaticano.L’oggetto dello studio di Sabrina Sforza Galitzia è un magnificoarazzo conservato ai Musei Vaticani.

(segue nelle pagine successive)

SABRINA SFORZA GALITZIA

«Cosa vuoi fare da grande?» e io risponde-vo: «Voglio essere Papa». Mi si diceva:«Ah! Non credo sarà possibile» e io deci-sa: «Allora voglio essere Leonardo daVinci». Fu così che nacque il mio interes-se per Leonardo e il suo mondo fiabesco.

Mi imbarcavo in pensieri più grandi di me, volavo con la mia im-maginazione. Ero lontana dal pensare che un giorno avrei dav-vero studiato i numerosi manoscritti vinciani alla Ucla, l’univer-sità di Los Angeles. La loro quantità, oltre diecimila pagine, po-trebbe inizialmente stordire per la scrittura a specchio ma dopoun mese, con una lente e un po’ di pazienza, diventa naturale pertutti leggerle. Mi affascinavano i suoi calcoli, le figure geometri-che. I numeri: il linguaggio più internazionale. La continua ricor-renza degli otto e dei suoi multipli, del dodici e soprattutto del set-tantadue. La quadratura del cerchio, del triangolo, delle lunule,dello gnomone, un antico linguaggio caduto in disuso. Nulla ache vedere con cabala o esoterismo.

(segue nelle pagine successive)

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VEROCODICE

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UN MESSAGGIO

SEGRETO

NEL CENACOLO

NASCOSTO

IN SIMBOLI,PROPORZIONI

GEOMETRICHE

E CALCOLI

ASTRONOMICI,UNA PROFEZIA

SULLA FINE

DEL MONDO

E L’ARRIVO

DEL NUOVO

MESSIA

NON ÈDAN BROWN,

È LA RIVELAZIONEDI UNA STUDIOSA

ESPERTADI ARCHIVIVATICANI

Repubblica Nazionale

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 14MARZO 2010

Codice da Vinci

(segue dalla copertina)

Un “gemello” del famosoCenacolo di Milano: in-fatti è stato lavorato sul-la base dello stesso dise-gno tracciato da Leo-nardo per il tavolo e gli

apostoli del murale. E qui entriamo inuno spazio segreto. Dentro l’arazzo nonc’è solo l’arte sublime di un artista ge-niale. Leonardo — come ha spiegato lastudiosa in una conferenza del ciclo Ivenerdì di Propaganda, organizzata daNeria De Giovanni presso la LibreriaPaolo VI a Roma — avrebbe nascostonel disegno del Cenacolo, e dunque sianel murale che nell’arazzo, un codicesegreto, un discorso criptico accessibi-le solo a chi padroneggia il linguaggiomatematico-astronomico. Un sentieroinvisibile ai più, intrecciato ai fili dell’a-razzo e alle vernici del murale, che por-ta a una profezia capace di illuminare il

futuro dell’umanità.Cominciamo dalla storia dell’arazzo.

Re Luigi XII lo commissiona a Leonardoper celebrare la successione al trono diFrancesco Primo in vista delle sue noz-ze con la figlia Claudia. Il prezioso ma-nufatto nasconde nei suoi intrecci unmappamondo — che si desume dallepieghe della tovaglia rappresentanti la-titudine e longitudine celeste e terrestre— e linee orarie che formano il reticola-to prospettico della scena: il meccani-smo del cifrario dove ventiquattro ore sisostituiscono a ventiquattro lettere del-l’alfabeto. In vari strati la bellezza e lagrazia inimitabile delle figure di Leo-nardo si intrecciano a simboli astrali esegni di un linguaggio matematico dis-simulati con geniale sapienza. Per unocchio avvertito tutto emerge chiara-mente. Il numero 8, ad esempio, è fati-dico: appare ovunque, nelle striaturedelle otto colonne, nel bordo della tuni-ca di Cristo, intrecciato come elementodecorativo nella bordura dell’arazzo...Nello stemma di Francia è rappresenta-

to coricato, come il simbolo dell’infini-to. E ancora, è il simbolo dei Savoia maanche la firma di Leonardo: il nome del-la città di provenienza con cui era cono-sciuto, in latino “Vincius”, significa pro-prio “nodo”. Ed è anche simbolo di Cri-sto, incarnazione dell’infinito e nodo dicongiunzione fra il divino e l’umano.

La ricerca della Sforza Galitzia poggiasu anni di studio condotti presso l’Ucla(Università della California Los Ange-les), dove ha avuto accesso diretto aimanoscritti lasciati da Leonardo. E con-tinua poi in Vaticano. La consulenzascientifica è di Padre Juan Casanovas,astronomo di Sua Santità presso la Spe-cola vaticana, e dell’ingegner GianniFerrari di Modena.

«Il grande inganno della fiction diDan Brown — spiega la Sforza Galitzia,anticipando alcuni risultati delle sue ul-teriori ricerche — è che parla di un codi-ce, ma non offre il cifrario necessarioper decrittarlo. Eppure nei dipinti diLeonardo un meccanismo cifrato esistedavvero: sono segni che rimandano al-

le ore del gior-no, ognuna delle quali cor-risponde a una lettera dell’alfabeto la-tino, che si componeva di ventiquattrolettere». A detta della ricercatrice, Leo-nardo esprime un’equazione spazio-temporale: egli vede l’universo comeun orologio cosmico, un cronometroche scandisce le epoche. Si tratta del-l’armonia delle sfere regolate dalle leg-gi di Dio, che tutto fece in accordo a nu-mero, peso e misura. Le parti del cosmosono tutte in contatto fra loro. Tutto èopera del Creatore.

«Il codice cifrato che Leonardo mettenei suoi dipinti — continua la studiosa— segna un cammino verso la cono-scenza della Creazione e della Rivela-zione. Il Sommo Centro di tutto, il “mo-tore immobile” di Aristotele, ma anchela conflagrazione delle sfere celesti dicui parla Platone nel Timeo, come Raf-faello ci indica nella Scuola di Atene inVaticano, affidando l’immagine di Pla-tone a Leonardo che col dito della manodestra punta al cielo e con la sinistra reg-

OGNI POSTO APPARECCHIATO È UN PEZZO DI CIELOLeonardo basa la prospettiva sull’astronomia, come

lui stesso scrive in tre passaggi del Codice Madrid

riportati sullo sfondo di questa pagina: “mediante il razovisuale con numero e misura si conclude le distantiee misure de corpi celesti si come de terresti”Nel Codice B di Francia annota “da ffare un cieloa uno apparechio”, cioè ogni spicchio di cielo corrisponde

a un posto apparecchiato sulla tavola

la copertina

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‘‘Codice Atlantico 362 bDelo sgomberare l’ogni santi vedrassi li alberidelle gra(n) selve di Taurus e di Sinai Apenino

e Atlante scorrere per laria da ori(en)te a occide(n)teda aquilone a meridie e porteranno per laria gra(n)

moltitudine d(’)omini / o qua(n)ti voti! O qua(n)ti mortio quanta separatio(n) damici e di pare(n)ti

La profezia di Leonardo

LA SCOPERTA

Sabrina Sforza Galitzia

nel libro Il Cenacolo di Leonardoin Vaticano (Libreria Editrice

Vaticana, 106 pagine, 48 euro)

dimostra che l’arazzo dell’ultima

cena conservato in Vaticano

è stato fatto utilizzando

lo stesso cartone disegnato

da Leonardo come base

per l’affresco milanese

IL MAPPAMONDODalle posizioni delle pieghe della tovaglia si rileva una proiezione

conica o vera di Tolomeo come appare qui sopra insieme

alla sua ricostruzione; la mappa di Waldsemuller rappresenta

il grafico della tovaglia/mappamondo per esteso, suddivisa

in dodici spicchi/dodici apostoli che rappresentano

le case zodiacali sulla cintura di 360 gradi dell’eclittica

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Modelli astronomici e mappe celesti. Calcoli prospettici e simboli esotericiIl Cenacolo nasconde un segreto che una ricercatrice vaticana ha svelatoÈ la data del nuovo Diluvio. E del nuovo inizio del mondo

BARBARA FRALE

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ge il libro Timeo. Ma c’è anche il mes-saggio cifrato tessuto in una tela, dicui il poeta latino Ovidio parla nel mi-to di Progne, Filomela e Tereo, nella

sua famosa opera Metamorfosiche Leo-nardo possiede sin da giovane».

Dunque un codice per iniziati cheserve a trasmettere messaggi. Tra que-sti — sostiene la Sforza Galitzia — Leo-nardo avrebbe celato una profezia. Unadata precisa: il 21 marzo dell’anno 4006avrà inizio un cambiamento completonelll’ordine delle cose, che si conclu-derà il primo novembre. Forse la fine delmondo, ma anche l’inizio di una nuovaera per l’umanità.

«Più che alla fine del mondo — spie-ga l’autrice — Leonardo pensava alla Ri-velazione e al Diluvio universale. Leo-nardo vuole parlare agli uomini usandodue linguaggi diversi: quello della teo-logia, della fede, per i credenti; quellodelle scienze per i non credenti. Per luiscienza e fede sono due cose del tuttocompatibili, essendo il risultato uguale.Ma vive in un’epoca difficile. Leonardo

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LA TOVAGLIALe pieghe della tovaglia sono intervallate in manieradiseguale. Una zona larga quattro gradi, con 10 davanti,12 sul tavolo e 10 dietro; una di sei gradi, 15 davanti,18 sul tavolo, 15 dietro; una di otto gradi, 20 davanti,24 sul tavolo, 20 dietro. La tovaglia è divisa in 16 particon spaziature conseguenti a tre piegature una sull’altra

I NODII nodi nella tovaglia sono una firma: Vinci,città natale di Leonardo, deriva dal latinovincius, vincolo, nodo Inoltre rappresentanoCristo, il nodo tra i due mondi. In araldicasono il simbolo dei Savoia al quale si legòLuigi XII dando in sposa la figlia Claudiaa Francesco, figlio di Luisa di Savoia. Il re eraaffascinato da Leonardo e dal suo Cenacoloal punto da tentare in ogni modo di trasferirloin Francia. Il nodo della tovaglia corrispondeal punto d'intersezione dell'eclittica (cioè lafascia costellazioni zodiacali) sul planisfero/mappamondo proiettato sul tavolocosì come appare su quello di Tolomeo

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IL NUMERO OTTOUn numero che ricorre è l’otto, usatoanche rovesciato come simbolo dell’infinitoSpesso Leonardo lo usava come firmaoltre che come forma geometricaOtto sono gli arazzi presenti nella scenaL’ottagono viene usato per la configurazionegeometrica delle ghirlande, nelle lunetteLeonardo ne parla anche nel manoscrittoWindsor e lo applica in prospettivainsieme al dodecaedro

L’ANTICRISTOIn Codice Atlantico 362b, oltre alla profezia,c’è lo schema del quadrato magico del sole(qui in alto): sei quadrati di base per seidi altezza. Rappresenta il 666 dell’Anticristoed è dipinto sul soffitto del Cenacolo

era principalmente un ministro delladifesa, un ingegnere e architetto di Sta-to a cui erano necessarie diverse vite persoddisfare tutte le richieste, inclusequelle della curia romana. Tutti se locontendevano. E lui nascondeva in ci-fra il messaggio per non essere attacca-to, non desiderava essere profeta nellasua patria. Voleva essere capito da chiavrebbe usato la stessa fatica per arriva-re alle sue conclusioni, perché faticosoè il cammino che porta alla vera cono-scenza».

Insomma, dove Michelangelo parlaapertamente della Rivelazione biblicanella Cappella Sistina, Leonardo è me-no ovvio e usa il gioco degli enigmi, deirebus e dei codici cifrati. Ad ognuno ilsuo stile. Agli scettici, agli appassionatidi Leonardo e ai semplici curiosi non re-sta quindi che aspettare il secondo librodi Sabrina Sforza Galitzia, una custodedi arcani destinata a portare a compi-mento la ricerca sul vero “Codice daVinci”.

LO ZODIACOI segni zodiacali del planisfero di Tolomeo, 360 gradi in tutto,sono rappresentati geometricamente sul piano del muraledai dodici apostoli. Attraverso la misurazione delle distanzetra un astro e l'altro è possibile misurare anche la distanzatra un punto della terra e l'altro come riferisce Leonardo,parlando della prospettiva usata, in Codice Madrid II, f 62 bis

LA PROFEZIALe lunette del Cenacolo rappresentano le ruote o ingranaggi di un orologio/calendario; ciascuna indicaun’ora per una data. Il giorno è lo stesso per tutte e tre: il 21 marzo, equinozio di Primavera. La lunettadi destra rappresenta l’anno 33 alle sette di sera, quando si svolse l’ultima cena; quella centrale il 1494,quando Leonardo iniziò a dipingere il Cenacolo; quella di sinistra il 4006, quando, dopo un diluvio che dureràsino al primo novembre, incomincerà una nuova era. È questa la profezia del diluvio universale di Leonardo

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Pensieri cifrati per sfuggireal mestiere della guerra

SABRINA SFORZA GALITZIA

(segue dalla copertina)

Si trattava della terminologia propria del cosmografoo cartografo per fare mappe, planisferi celesti, maanche per costruire meridiane per il calcolo del ca-

lendario. Era la parte celeste che affascinava Leonardo:l’astronomia, la fisica e la meccanica erano alla base ditutto per lo studio della geologia, della meteorologia, delDiluvio universale. Le sue preoccupazioni non erano tan-to diverse da quelle di Einstein. Studiare Leonardo signi-fica apprendere le opere di Platone, Aristotele, Archime-de, Tolomeo, Euclide, Vitruvio e Fra’ Luca Pacioli, che nelDe divina proportione parla della prospettiva usata daLeonardo per il Cenacolo milanese, mentre nel De viribusquantitatis, in ben venti pagine spiega in un colloquio conLeonardo, vari metodi per scrivere in cifra. Iniziai ad ana-lizzare i testi matematici citati. Come Pitagora, egli scrive:

«Non mi legga chi non è matematico». Più chiaro di così. Ma la sua principale attività era basata non sull’arte e la

pittura, ma sull’eliminazione di vite umane. Era un epo-ca di guerre cruente. Leonardo, a lungo al servizio di Lu-dovico il Moro, passa a lavorare per due gonfalonieri diSacra romana chiesa, Cesare Borgia e Giuliano de’ Medi-ci, e due re di Francia, Luigi XII e Francesco I, che invase-ro l’Italia a più riprese. La costruzione di armi da fuoco erala sua fonte di guadagno. Da questa «pazzia» Leonardo sirifugiava negli studi sulla natura e il creato per «pascerel’intelletto». Anch’io ho trovato rifugio in questi studi, tra-sformando completamente la mia vita. Ne ho fatta unavera professione: un agente 008. Otto è un numero chia-ve per Leonardo: otto sono le lettere del suo nome, dellaGioconda, del Cenacolo, del Battista... Otto, otto, otto chepassione. Anche passione ha otto lettere.

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Codice Atlantico 1033 rectoVedrassi tutti li elementi insieme misti

con gran revolutione transcorrere ora in versoil centro del mondo ora inverso il cielo e quando dalle

parte meridianali scorreran con furia in verso il freddosettantrione a(l)cu(n)a volta dall oriente in verso

l occidente e cosi di questo in quell altro emjsperio

IL DODICIUn altro dei numeri che torna nell’affrescoè il dodici. I dodici bicchieri sono a formapentagonale, richiamano le dodici basipentagonali del dodecaedro, formageometrica di cui si avvalse Leonardoper la prospettiva basandosi sul De divinaproportione del suo insegnante Fra’ LucaPacioli. Il dodecaedro, nel Timeodi Platone è il quinto solido cosmico

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strategiche, attorno alle quali costituire cordoniprotettivi e al cui interno esercitare un governo mi-litare assoluto». L’ufficiale della Military Intelligen-ce riferiva poi ai suoi superiori, nel dettaglio, la pra-ticabilità delle tre soluzioni prospettate.

Il primo punto è riportato al paragrafo numero14: «La prima soluzione — il controllo della mafia,ndr — richiede un’azione fulminea e decisiva nel-l’arco di giorni o al massimo di settimane (...) e l’ar-resto simultaneo e concertato di cinque o seicentocapifamiglia — senza curarsi della personalità edelle loro connessioni politiche — affinché sianodeportati, senza alcuna traccia di processo, per tut-ta la durata della guerra (...)». Il secondo punto è alparagrafo numero 15. Ed è tutto dedicato alla trat-tativa con i boss di Cosa Nostra. Scrive Scotten: «Laseconda soluzione sembra apparentemente quel-la il cui successo è meno garantito. Ma la sua buonariuscita dipende dall’estrema segretezza di fronte aisiciliani e al personale stesso del Governo MilitareAlleato». E aggiunge il capitano: «Dipende anchedalla personalità del negoziatore e dalla sua abilitànel conquistare la fiducia di questi capimafia dacontattare sui seguenti punti: 1) l’unico interessedegli Alleati nel governare la Sicilia consiste nellacontinuazione dello sforzo bellico; 2) gli Alleati nondesiderano interferire negli affari interni della Sici-lia e desiderano restituirne il governo al popolo si-ciliano al momento opportuno; 3) gli Alleati accon-sentono a non interferire con la mafia, a patto chequesta accetti di desistere da tutte le attività riguar-danti il movimento e il commercio di generi ali-mentari o di altri beni di prima necessità, oppure diprodotti che servono alla prosecuzione della guer-ra (...) e a patto che la mafia concordi nell’astenersidall’interferire con il personale e le operazioni delGoverno Militare Alleato». Che cosa, americani einglesi, avrebbero potuto offrire in cambio? Scottennon ha dubbi: «Questo significa l’accettazione a uncerto grado, da parte degli Alleati, del principio del-

Gliamericani erano arrivati in Si-cilia in estate e avevano subitocapito che era un luogo moltospeciale. Al Quartier generale al-leato di Algeri cominciaronoperò ad allarmarsi davvero verso

l’inizio dell’autunno, quando decisero di spedirein missione a Palermo un giovane capitano deiservizi segreti: volevano un dettagliato rapporto«su un fenomeno che avrà gravi implicazioni perla situazione politica attuale e futura dell’isola edel resto d’Italia». Volevano capire cosa stavasuccedendo in quel pezzo irrequieto d’Europaliberata.

Il capitano W. E. Scotten contattò le suefonti nelle province occidentali dell’isola e,dopo qualche settimana, inviò una relazio-ne ai superiori: «A parte le opinioni popo-lari o gli aspetti politici, questo è un pro-blema estremamente importante: tutticoloro che non ne sono venuti a contat-to diretto però hanno serie difficoltà avalutarlo». Fu così che il capitanoScotten scoprì la mafia. E fu così chegli Alleati scoprirono che lo sbarcodel 10 luglio del 1943 aveva riporta-to nell’isola non soltanto la libertàma anche i suoi vecchi padroni: iboss di Cosa Nostra.

In quel rapporto che l’uffi-ciale della Military Intelligen-ce inoltrò al brigadiere gene-rale Julius Cecil Holmes —sei pagine custodite nei Na-tional Archives di Kew Gar-dens, alle porte di Londra— c’è la prova di un ac-cordo cercato dagliagenti segreti statuni-tensi e britannici conla mafia siciliana.Uno dei primi, unodei tanti. È un docu-mento in cui si ri-trovano le tracce di un ne-goziato fra gli apparati di sicurez-za e le “famiglie”, probabilmente la gene-si di un patto che porterà nel nostro Paese — de-cennio dopo decennio e strage dopo strage — all’a-bitudine “trattativista”, al dialogo permanente frapoteri politici e poteri criminali. Da Portella dellaGinestra fino a Capaci, dalle spie inglesi agli uomi-ni dei servizi di sicurezza italiani, un intrigo cheaffonda le sue radici nei mesi che seguirono l’Ope-razione Husky, nome in codice dell’invasione al-leata dell’isola. È la storia che sembra cronaca. Vi-cende lontane che si intrecciano con l’attualità piùinquietante, le carte del passato che in qualche mo-do spiegano un presente ancora avvolto nel miste-ro: lunghe e indisturbate latitanze di capi mafiosi,covi immancabilmente protetti, complicità fra altifunzionari dello Stato e assassini, massacri di CosaNostra e depistaggi, bombe di mafia e di Stato.

Il capitano W. E. Scotten sapeva già tutto in quel-l’autunno di sessantasette anni fa, quando — ter-minata la sua missione in Sicilia — cominciò a sten-dere il rapporto da consegnare al generale Holmesche da Palermo dirigeva le grandi manovre bellichesul fronte mediterraneo. Il dossier porta la data del29 ottobre 1943 (cartella del Foreign Office371/37327, numero di protocollo R11483) ed è sta-to archiviato a Kew Gardens alla fine della guerra.Pubblicato per la prima volta dallo storico RosarioMangiameli — nel 1980 — in Annalidella facoltà diScienze politiche dell’Università di Catania, oggimerita di essere riletto e interpretato per tutto ciòche sta affiorando in Italia sulle collusioni di CosaNostra. Oggetto del rapporto: «Memorandum sulproblema della mafia in Sicilia». Sulla copertina deldossier, in poche righe ci sono le note di un funzio-nario del ministero degli Esteri inglese (la firma è il-leggibile). Anche lui aveva ricevuto l’informativa diScotten. Laconico il suo commento: «Il paragrafo 8di questo rapporto sostiene che le attività della ma-fia sono risorte in maniera considerevole dalla datadello sbarco in Sicilia». Ma non era al paragrafo 8 ilpassaggio più riservato e tortuoso del resoconto diScotten. Era al paragrafo 13, la parte del dossier checonteneva le «possibili soluzioni per affrontare ilproblema mafia». E dove, per la prima volta, com-pariva quella parola: negoziato.

Dopo un’analisi della realtà criminale siciliana, ilcapitano Scotten suggeriva al generale Holmes co-me il Governo militare alleato avrebbe dovutomuoversi. E valutava tre ipotesi: «a) un’azione di-retta, stringente e immediata per controllare la ma-fia; b) una tregua negoziata con i capimafia; c) l’ab-bandono di ogni tentativo di controllare la mafia intutta l’isola e il [nostro] ritiro in piccole enclaves

ATTILIO BOLZONI

Memorandum d’intesa

DOMENICA 14MARZO 201036 LA DOMENICA DI REPUBBLICA

Mafia & Statola prima volta

l’attualità Scendere a patti con Cosa Nostra. È quanto suggerisce,nell’ottobre 1943, un ufficiale dei servizi segreti alleatiinviato appositamente in Sicilia. Dagli archivi militari inglesiecco le carte che raccontano come è nato nel nostro Paese

l’intreccio tra potere politico e criminale

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IL RAPPORTOIl rapporto Scotten (1943) è consultabile,in copia pdf dell’originale, sul sitodell’Archivio Casarrubea di Partinico(Casarrubea.wordpress.com)In queste pagine gli originali dei documenti

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 14MARZO 2010

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ed equipaggiamenti moderni, il problema si molti-plicherà creando difficoltà alla Polizia». Sulla capa-cità corruttiva di Cosa Nostra: «La popolazione sici-liana non crede che i carabinieri o gli altri corpi dipolizia siano in grado di affrontare la mafia. Li ritie-ne corrotti, deboli e, in molti casi, in combutta conla stessa mafia. Carabinieri e polizia ricevono indi-vidualmente una parte dei guadagni dei vari racket,ma anche intere porzioni di questi introiti». Sulle in-filtrazioni nel Governo militare alleato: «Molti sici-liani si lamentano del fatto, ed è la cosa più inquie-tante, che molti nostri interpreti di origine sicilianaprovengono direttamente da ambienti mafiosi sta-tunitensi. La popolazione afferma che i nostri fun-zionari sono ingannati da interpreti e consigliericorrotti, al punto che vi è il pericolo che essi diven-tino uno strumento inconsapevole in mano allamafia».

Alla fine del suo rapporto, il capitano della Mili-tary Intelligence descrive il clima che si respira nel-l’isola negli ultimi mesi del 1943: «Agli occhi dei si-ciliani, non solo il Governo Militare Alleato non è ingrado di affrontare la mafia, ma è arrivato addirittu-ra al punto da essere manipolato. Ecco perché algiorno d’oggi molti siciliani mettono a raffronto ilGoverno Militare Alleato e il Fascismo… Sotto il Fa-scismo la mafia non era stata interamente debella-ta, ma veniva almeno tenuta sotto controllo. Oggiinvece cresce con una velocità allarmante e ha rag-giunto addirittura una posizione di rilievo nel Go-verno militare alleato».

Qualcuno avrà mai risposto per iscritto al capita-no Scotten? In qualche scaffale di Kew Gardens si ri-troverà mai un’altra carta con le decisioni prese da-gli Alleati «per risolvere il problema della mafia»?Basterebbe qualche foglio ingiallito, basterebbeanche una sola pagina per scoprire fino a dove si èspinta la «soluzione B» proposta dall’agente segre-to Scotten in missione in Sicilia.

LA FOTO

La famosa fotodi Robert Capascattata dopolo sbarcoin Sicilia

l’omertà, un codice che la mafia comprende e ri-spetta interamente». In sostanza propone ai supe-riori un armistizio con i boss: loro non «interferi-scono» con gli affari del Governo militare, gli Allea-ti chiudono gli occhi su tutto il resto.

La terza soluzione ipotizzata dal capitano — riti-rarsi in alcune zone della Sicilia e lasciare alla mafiail controllo del territorio — è giudicata dallo stessoufficiale «debole» e «così da essere interpretata dalnemico [la Germania nazista], dal resto d’Italia e da-gli altri Paesi occupati». Una via non praticabile perScotten: «Ciò significherebbe consegnare la Siciliaper lungo tempo ai poteri criminali».

Come poi sono andate le cose in Sicilia è noto. GliAlleati non hanno abbandonato l’isola e non han-no mai deportato un solo mafioso. Al contrario.

Molti capimafia sono stati i primi sindaci nei paesidella Sicilia liberata, altri boss hanno trafficato coni grandi capi del Governo militare alleato, gli aristo-cratici e i latifondisti legati a Cosa Nostra sono di-ventati i «rispettabili» signori che hanno governatol’isola subito dopo il fascismo.

Gli appunti del capitano Scotten raccontanomolto di quella stagione. Sul ritorno dei boss: «I con-tatti da me sostenuti con la popolazione siciliana,concordano pienamente sul seguente fatto: la ma-fia è rinata. Tale fenomeno non è sfuggito alla se-zione Intelligence del Governo militare e all’inviatospeciale del Dipartimento di Stato Usa Alfred Ne-ster, ex console americano a Palermo (...) Il terroredella mafia sta rapidamente tornando e, secondo imiei informatori, la mafia si sta ora dotando di armi

“...questo significa, da partenostra, l’accettazionedel principio di omertà...”

Repubblica Nazionale

Alla ricercadel meccanismosegreto e semprediverso nascostodentro i capolavoridella letteraturae della poesiaUna sfida propostada un libro in uscita:un’antologiadi pensieri sul temafirmati da grandiautori stranierie pubblicatisu “The Paris Review”Accompagnatidalla testimonianzadi un grandescrittore italiano

“Metterti al tavoloogni mattinasenza troppi grillisull’ispirazioneascoltando invecel’insoddisfazioneche ti abita”

CULTURA*

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 14MARZO 2010

Se c’è un’arte dello scrivere ionon la conosco però ne co-nosco il mestiere, parola lai-ca che mi aiuta a intendere ilmio lavoro per ciò che è, unfare artigianale e quotidia-

no: metterti al tavolo ogni mattina sen-za troppi grilli sull’ispirazione, ascol-tando invece l’insoddisfazione che tiabita ripetutamente quando ti accorgiche non funziona nulla di quanto haiscritto il giorno prima, quando non ti ri-trovi nel modo e nel tono.

Per me scrivere è in gran parte tecni-ca dello scrivere: uso realistico o nonrealistico dei tempi verbali, uso dell’ionarrante muto o esplicito, uso attentodei linguaggi di settore, uso del punto divista moltiplicato e simultaneo, insom-ma aderire o non aderire a una o più del-le convenzioni che si è deciso di accet-tarema sempre secondo un’intenzionelimpida e inseguendo chiarezza e coe-renza e per quanto possibile armonia.Tecnica che non è soltanto un modo dinarrare “bene” le proprie storie ma è ri-spettare, storia dopo storia, l’accordogià stabilito con il lettore. Lavorare almeglio a beneficio del lettore, inclusome stesso che sono il primo lettore del-le mie storie, è quanto credo di dover fa-re e francamente lo trovo un lavoro lun-go faticoso e a volte noioso perché è mi-nuto e angariato dal dettaglio.

Un esempio lieve che è sotto gli occhidi tutti è quello delle borse di tante don-ne che frugano e frugano aprendo e ri-chiudendo cerniere, rovistando in ta-sche e scomparti, estraendo scartandoe riponendo e alla fine se ne escono conuna monetina. Sono sicuro che ognunadi loro ha la tentazione di rovesciare cla-morosamente l’intero contenuto delsuo bagaglio variegato e multiforme;anche a loro deve balenare l’idea dimettere in vista ogni cosa e come vieneviene, sapendo di indurre comunque inchi guarda non solo stupore ma ancheuna qualche forma rapida di commo-zione. Così, però, non fanno. Non si fa.

Il lessico italiano, la cui ricchezza èdovuta alle contaminazioni linguisti-che degli invasori, alla stratificazionedei passaggi successivi, sovrapposti al-la radice indoeuropea, è un lessicostraordinario; e la nostra sintassi è uni-

ca per capacità di snodo e di comples-sità, di accelerazione e di rallentamen-to, ha una modulabilità che nessun’al-tra sintassi europea possiede. L’etica dichi fa questo mestiere è importante ed èquestione da trattare con delicatezza:sta nel portare il più possibile a compi-mento la grande vocazione della specieanimale cui apparteniamo che non è ilsemplice possesso di un linguaggio — èovvio ed evidente che anche gli altri ani-mali parlano — ma impiegare il lin-guaggio consapevolmente, operare sul-le parole e industriarsi sulla sintassi che

le ordina e così innescare e accendere iltono che si impiega riflettendo sulla na-tura di quel che si fa e sulla portata delleforme e dei contenuti che si raccontanoe sono resi pubblici.

Lo scrittore sta con gli altri attraversola narrazione — o la poesia — e così puòrealizzare fino in fondo la sua natura dianimale portato alla comunicazionelinguistica; ma deve farlo con intentosano, senza trascuratezze né inganni, emeno che mai pretese, sapendo che ilsuo lavoro, se è ben fatto, contempla an-che il nascondimento e il silenzio nella

cura e nel controllo dell’esito. È «filtra-re, lavare, essiccare, pesare», come scri-ve Primo Levi quasi alla fine di Il sistemaperiodico, quando spiega le intenzionicon le quali l’aveva iniziato. Fornire me-ra esposizione di sé o di altri, magariconfidando in una credibilità previa, èeludere il debito con il lettore e tradire labuona etica del fare. Proprio l’operaiospecializzato Faussone in La chiave astella di Levi è una grande figura del “la-voro ben fatto”, chiara metafora dell’e-tica dello scrittore che non si vuole arti-sta ma artigiano, qualcuno che impiega

L’autore? Una ragazzache fruga nella borsa

DANIELE DEL GIUDICE

L’artedi

scrivere

IL LIBRO

The Paris Review - Il Libro(Fandango Libri, 1111 pagine, 29,50 euro)esce in libreria il 18 marzoÈ un’antologia di poesie,interviste, saggi, estratti da romanzi pubblicatisulla rivista americanaThe Paris Review e firmatidai più grandi geni letteraricontemporanei:da Gabriel García Márquez a William Faulkner,Ernest Hemingway,Octavio Paz, RaymondCarver, Italo Calvino, PrimoLevi, David Foster WallaceUn’intera sezione è dedicataall’“arte di scrivere”Anticipiamo in paginaalcuni interventi d’autore

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 14MARZO 2010

una tecnica, applica regole e continua anormalizzare il percorso intrapreso.

Detto questo, devo ammettere cheparlare del proprio lavoro rimane un’o-perazione difficile e sempre incomple-ta perché, arte o mestiere che sia, se nepuò parlare soltanto in termini di inten-zioni, “questo è l’obbiettivo che mi pre-figgo”, “questa la strada che intendopercorrere”, ma non si sa mai dove siandrà a parare, in letteratura le inten-zioni non valgono granché. D’altrondeè necessario che uno scrittore abbiaun’idea di ciò che sta facendo o si ac-cinge a fare, che tracci una mappa delpercorso per non perdersi tra quelle cheJoseph Conrad chiama “le nebbie”. Al-tra cosa, evidentemente, è stare dentroil lavoro della narrazione, ritrovarsi nel-la compresenza di molte possibilità,nella fluidità delle emozioni e delle im-magini che arrivano o delle ossessionida tenere a bada, non disposte secondoun ordine necessario. E altra cosa, infi-ne, è ammettere, da sé e insieme ai pro-pri lettori, che il progetto non è statoportato a compimento.

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I miei racconti venuti subevendo Valdepeñas

ERNEST HEMINGWAY

Le storie di cui parli le ho scritte in un giorno, a Madrid, il 16 di maggio, men-tre fuori dalla corrida di San Isidro nevicava. Prima ho scritto I sicari, cheavevo provato a scrivere in precedenza senza riuscirci. Poi, dopo pranzo,

sono andato nel letto per riscaldarmi e ho scritto Oggi è venerdì. Avevo bevutocosì tanto alcol che pensavo sarei impazzito, e avevo sei altre storie da scrivere.Cosi mi vestii e andai da Fornos, il vecchio caffè dei toreros, bevvi del caffè e poitornai a scrivere Dieci indiani. La cosa mi rese molto triste, cosi bevvi del brandye andai a dormire. Avevo dimenticato di mangiare e uno dei camerieri mi portòin camera del bacalao, una bistecchina con le patate fritte e una bottiglia di Val-depeñas. La donna che gestiva la pensione era sempre preoccupata che nonmangiassi abbastanza e mi aveva mandato il cameriere. Ho questo ricordo dime seduto a letto a mangiare, bevendo Valdepeñas. Il cameriere disse che miavrebbe portato su un’altra bottiglia. Disse che la señora voleva sapere se avreiscritto per tutta la notte. Risposi di no, pensavo di smettere per un po’. Perchénon prova a scriverne un altro, chiese il cameriere. Devo scriverne uno solo, dis-si. Non ha senso, disse. Potrebbe scriverne sei. Ci proverò domani, dissi. Provistanotte, disse lui. Perché pensa che la vecchia abbia mandato su cibo?

Sono stanco, gli dissi. Non ha senso, disse (questa frase non aveva senso). Leistanco dopo tre miseri racconti. Me ne traduca uno.

Mi lasci in pace, dissi io. Come faccio a scrivere, se non mi lascia in pace. Co-si mi misi a sedere nel letto e bevvi il Valdepeñas e mi chiesi che razza di scritto-re ero se mi veniva bene già il primo racconto.

Ma noi siamo solo tramitidi storie che esistono giàHENRY MILLER

Ognuno ha il suo modo. Dopotutto, gran parte della scrittura nasce lon-tano dalle macchine da scrivere, lontano dalle scrivanie. Direi che suc-cede tutto negli attimi di calma, di silenzio, mentre cammini o ti radi o

giochi a qualcosa, persino mentre parli con qualcuno che non ti suscita gran-de interesse. Lavori tutto il tempo, la tua mente lavora, a quel problema nel re-tro del tuo cervello. Così, quando ti metti alla macchina da scrivere è una me-ra questione di trascrizione. Che cos’è un artista? È un uomo che ha le anten-ne, che sa come allacciarsi alle correnti dell’atmosfera, del cosmo; è sempli-cemente portato al fiuto, insomma. Chi è originale? Tutto ciò che facciamo,tutto ciò che pensiamo esiste già, e noi siamo solo intermediari, ecco tutto,che pescano quel che c’è nell’aria. Perché molto spesso le invenzioni, le gran-di scoperte scientifiche vengono fatte contemporaneamente in parti diversedel mondo? Lo stesso vale per gli elementi che vanno a comporre una poesiao un grande romanzo o qualsiasi opera d’arte. Sono già nell’aria, non hannoancora trovato qualcuno che dia loro voce, tutto là. Hanno bisogno dell’uo-mo, dell’interprete, per venire alla luce.

L’ispirazione perfetta?“Espiazione”, pagina dueIAN MCEWAN

La gioia è nella sorpresa. Può essere piccola quanto un’accoppiata felicedi nome e aggettivo. O quanto una nuova scena, o l’emergere improv-viso di un personaggio non previsto che nasce da una frase, così. La cri-

tica letteraria, che è legata all’inseguimento del senso, non riesce a capacitar-si del fatto che certe cose sono sulla pagina semplicemente perché fanno go-dere lo scrittore. Uno scrittore in una mattinata favorevole, di grande scorre-volezza compositiva, sperimenta una gioia calma e intima. Questa gioia in se-guito libera una densità di pensiero che può scatenare nuove sorprese. Loscrittore agogna questi momenti, queste sessioni. Se posso citare la secondapagina di Espiazione, questo è l’attimo di maggior successo dell’iniziativa.Nient’altro — presentazioni riuscite, successo di pubblico, buone recensio-ni — vi si avvicineranno per intensità.

I testi che pubblichiamo sono tratti da The Paris Review - Il Libro pubblicato da Fandango Libri

© 2003, The Paris Review. Per gentile concessione di The Wylie Agency Ltd All Rights Reserved 2010, Fandango Libri

La doppia vita degli artisticannibali affamati di realtàMARIO VARGAS LLOSA

All’inizio c’è qualcosa di molto nebuloso, uno stato d’allerta, di vigilan-za, una curiosità. Qualcosa che avverto nella nebbia e nella vaghezza eche attira la mia attenzione, la curiosità, l’eccitazione, e poi si traduce

in opera, appunti sparsi, il riassunto della trama. Poi quando ho l’abbozzo ecomincio a mettere le cose in ordine, quel qualcosa di molto diffuso e nebu-loso persiste. L’“illuminazione” arriva solo durante il lavoro. È lavorando ac-canitamente che, da un momento all’altro, può scaturire quella... percezionesuperiore, quell’eccitazione che porta alla rivelazione, alla soluzione, e alla lu-ce. Quando raggiungo il cuore di una storia, significa che ci ho lavorato per unpo’ di tempo e poi, ecco, è successo qualcosa. La storia ha smesso di esserefredda, distaccata da me. Addirittura, è diventata così viva, così importante,che tutto quello che mi succede esiste solo in rapporto a ciò che sto scriven-do. Tutto quello che sento, vedo, leggo sembra aiutare, in un modo o nell’al-tro, il mio lavoro. Divento una specie di cannibale della realtà. Ma per rag-giungere questo stato, devo passare attraverso la catarsi dell’opera. Ho unaspecie di doppia vita permanente.

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Repubblica Nazionale

È stato il regista americano più anarchico e citatoHollywood lo ha consacrato in ritardo,con un Oscar alla carriera poco prima che morisse

Ma adesso l’autore di “Nashville” e “America oggi” rivive nei ricordidei suoi attori, da Warren Beatty a Julianne Moore, che hanno compostouna “biografia orale” tracciandone un ritratto appena uscito negli Usa

SPETTACOLI

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 14MARZO 2010

QNEW YORK

uando Robert Altman morì, nel novembre 2006,Scorsese dichiarò che l’eredità di questo granderegista americano era, prima ancora che nei filmche ci ha lasciato, «nel suo spirito». Altman avevacompiuto da poco ottantuno anni, e se ne era an-dato pochi mesi dopo aver ricevuto un Oscar allacarriera da quella stessa Academy che gli aveva ne-gato il riconoscimento come migliore regista, a di-

Sissy SpacekLo spirito da ragazzino

era molto vivo in BobBob era il monello

pestifero che, alla festadi fine riprese, metteva

di nascosto un escrementodi plastica al centro

della torta e poirimaneva nei paraggi

Prendeva in disparte alcunidi noi per guardare insieme

l’arrivo della genteMoriva dal ridere

quando nessuno smettevadi mangiare la torta,

tutti mangiavano attornoall’“ostacolo”Per lui giocare

questi tiri alle personerappresentava il massimo

del divertimento

‘‘Warren BeattyQuando mi invitò a vedere in proiezione privataI Compari rimasi sconcertato: c’erano interibrani di dialogo che non si sentivano! Reagiicon rabbia, anche perché alcune battute eranofondamentali per la comprensione della storiaGli dissi: «Non capisco una fottuta parolaPuoi fare qualcosa prima che venga distribuito?»Lui mi disse che ci avrebbe pensato, ma non feceniente. Poi il film divenne di culto

‘‘Paul NewmanAltman mi chiamò con un cenno. Restòpensieroso per un minuto — recitavo una scena(di Buffalo Bill e gli indiani) con un altro attore —e poi disse: «Stagli addosso». Era così chiaroe inequivocabile cosa volesse da quella scenae da quel personaggio che te lo rendeva facileda recitare. Sapevi esattamente cosa intendesseE allora tiravi fuori tutta la tua presenza fisicaper incidere sulla scena

ALTMANproposito

di

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Ora un libro a firma di Mitchell Zuckoff, intito-lato Robert Altman. The Oral Biography, ne analiz-za la personalità affascinante e controversa attra-verso i racconti di amici, sodali e rivali che lo han-no frequentato lungo una carriera durata cin-quant’anni. Come molti registi della sua genera-zione, Altman ha iniziato in televisione (ha all’at-tivo anche alcuni episodi di Bonanza), esperienzache lo ha formato nell’uso delle riprese simultaneecon diverse macchine da presa. Ha realizzato unacinquantina di film: alcuni sono autentici capola-vori, molti ordinaria amministrazione, altri anco-ra appaiono oggi quasi inguardabili. Ma nessuno,anche tra quelli meno riusciti, è affetto dalla me-diocrità: si tratta semmai di sbagli di autore. Per-ché Altman ha imposto un modo di concepire il ci-nema assolutamente innovativo: i suoi film nonassomigliano a quelli di alcun regista che lo ha pre-ceduto, viceversa sono molti i cineasti che ne sonostati influenzati in maniera netta, a cominciare daPaul Thomas Anderson (Magnolia).

Nel dipanare una carriera piena di alti e bassi ar-tistici e commerciali, il libro racconta soprattuttol’uomo: geniale, arrogante, seducente, irascibile,magniloquente, curioso, mai pago della soluzionefacile. Originario dell’America più profonda (è na-to a Kansas City) ma affascinato dall’Europa (havissuto a lungo a Parigi), Altman aveva manifesta-to una personalità singolare sin da quando erabambino e si divertiva ad allevare serpenti e tatua-re cani. È stato refrattario ad ogni forma di autoritàsin da quegli anni e nei primi, incerti film giovani-li ha intuito che ogni persona porta con sé un mon-do, ed ogni personalità è arricchita dal confrontocon gli altri. È su questa intuizione che si basano gliinimitabili film corali, nei quali persone allo sban-do non perdono mai la propria umanità.

Il libro conferma l’approccio umanista che resegrande il suo cinema, ma ne svela anche molti

Bob, cattivo ragazzoraccontato dalle star

spetto di cinque candidature. Nel corso della ceri-monia, trionfale e consolatoria come sa essere so-lo Hollywood, Altman aveva ironizzato sulla suapersonalità anarchica, rivelando poi di avere subì-to recentemente un trapianto di cuore: pertanto sisentiva giovanissimo e pronto per molti altri film.I membri dell’Academy avevano applaudito con ilsussiego che si tributa a uno scocciatore di talen-to, per dedicarsi subito dopo alle stelline del mo-mento sulle quali investire il proprio entusiasmoe, soprattutto, i propri finanziamenti. Quella seraAltman aveva rifiutato di credere che quello fosseil canto del cigno e aveva accettato il premio par-lando di una Hollywood che cambia sempre pernon cambiare mai, sapendo che era un’afferma-zione valida anche per se stesso.

ANTONIO MONDA

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Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 14MARZO 2010

aspetti controversi. Era adorato dagli attori e in pe-renne conflitto con i produttori. Leggendari gliscontri con Dino De Laurentiis sul set di BuffaloBill e gli indiani; venate di un greve antisemitismole battute attribuitegli a proposito di Peter New-man, che chiamava «l’ebreo con i soldi» e al qualeaugurò pubblicamente la morte; per non parlaredi Jack Warner, che lo licenziò nel mezzo del primofilm per aver chiesto agli attori sovrapporsi nel-l’intreccio dei dialoghi, di «parlarsi addosso». Ep-pure quello che sembrava inconcepibile al poten-tissimo mogul divenne con gli anni un segno in-confondibile del suo stile.

La biografia orale affronta anche i ricordi diguerra: vide la morte da vicino e sopravvisse perfi-no a un incidente aereo. Ma quello che affascinamaggiormente è il ricordo di un carattere indoma-bile, che lo spinse a cimentarsi nei generi cinema-tografici più disparati, a fallire e risorgere innume-revoli volte, senza piegare mai la testa davanti al-l’interlocutore di turno, anche quando questoaveva ragione. Si consentì eccessi di ogni tipo maebbe sempre un rapporto franco con la vita e conle persone che lo circondavano, che non trattò maida cortigiani.

Era un uomo di contraddizioni anche artistiche:chi lo ha visto lavorare sul set sa bene che le im-provvisazioni che chiedeva ai suoi attori andava-no di pari passo con il controllo totale del mezzo ela pianificazione scrupolosa di ogni dettaglio. Sivantava sempre di «non dirigere i suoi attori»: eravero il contrario e, per la gioia degli interpreti, fa-ceva sentire che nel cinema la libertà è illusoria co-me la realtà. Quando gli dicevano che ne I prota-gonisti aveva sferrato uno degli attacchi più ferocial mondo del cinema, replicava: «La mia è una cri-tica blanda e affettuosa: Hollywood è un postomolto più vuoto e crudele».

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Julianne MooreMi disse: «Bene, ho in balloquesto film (America oggi, ndr)e c’è una parte che vorreitu interpretassi». E io: «Certo.Certo». Lui ribatté: «No, no,davvero... Devi prima leggereil copione perché c’è una scenadi nudo e non è affattonegoziabile». Ed io: «Sì, non miinteressa. Farò qualsiasi cosatu vuoi che faccia». E lui: «Ok,tesoro, davvero pensaci suMa sono felice che tu siaentusiasta». Allora mi spiegòbene del nudo, della scenain cui sarei rimasta nudadalla cintola in giù. E gli dissi:«Perfetto. Lo farò». Bobsostiene che dopo questo — ma sfortunatamente non ricordodi averlo fatto — io gli avreidetto sull’onda dell’entusiasmo:«Indovina un po’, sono una rossa naturale»

Copyright © 2009 by the Estateof Robert B. Altman and Mitchell Zuckoff

‘‘Robert AltmanNon ho interesse a viverenovantacinque anni,e non sarebbe neanchetroppo lontano da adessoE certamentenon mi interessa arrivarea novantasette anni,perché so che non riuscireia fare film. Sono mortaleMa per un periodonegli anni Settanta e Ottantaero immortaleNon vedevo la lucealla fine del tunnelOra la vedo

‘‘Lauren BacallFui la prima ad esserescritturata per Prêt-à-porter: mi invitò a cenae mi offrì un ruolo modellatosu Diane Vreeland. Il suoapproccio con gli attoriera del tipo: «Dimmicosa vuoi e io sarò lì»Era lo stesso talentoche aveva John Hustoncon Bogey. Il filmnon funzionò: era malatoe, nonostante quelloche si è detto, non si trovavaa suo agio in Francia,con il suo accento di KansasCity. Non vedeva l’oradi andarsene

MANIL LIBRO

Robert Altman The Oral Biography di Mitchell Zuckoff (Knopf, 560 pagine, 35 dollari) è una “biografia orale” del grande regista americano. L’autore di M.A.S.H., scomparso nel 2006 a ottantuno anni, viene raccontato attraverso le sue stesse parole, i ricordi dei familiari e quelli dei tantissimi attori e colleghi che hanno lavorato con lui. Ci sono, tra gli altri, Meryl Streep, Harry Belafonte, Elliott Gould. Alcuni li pubblichiamo in pagina

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Repubblica Nazionale

i saporiCucina italiana

a cucina è di per sé una scienza, sta al cuoco farla divenire arte». Gualtie-ro Marchesi non fa sconti, nemmeno adesso, alla vigilia del suo ottante-simato (data di nascita: 19 marzo 1930), come lui stesso l’ha battezzato.Per il Grande Vecchio della cucina italiana, del resto, gli aggettivi si spre-cano da più di trent’anni: geniale, sensibile, rigoroso, ma anche assolu-tista, permaloso, perfezionista e irrimediabilmente tranchant, come lodefiniscono i suoi colleghi francesi, ovvero incapace di addolcire giudi-zi e commenti per convenienza.

Il più grande cuoco italiano del Novecento non ha mai smesso di stu-pire. Sarà perché la sua storia da solista della cucina è cominciata rela-tivamente tardi (il mitico “Gualtiero Marchesi” di via Bonvesin della Ri-va, a Milano, nasce nel 1977, dopo una lunga militanza negli alberghidei genitori, di cui il primo dal nome profetico, AlMercato). Sarà che pri-ma di mettersi in proprio, già quarantacinquenne, aveva fatto a tempoa studiare in Svizzera, sposare la sua insegnante di pianoforte, diventa-re padre due volte e tutto lasciare (temporaneamente) per andare a cu-cinare nei migliori ristoranti di Francia, nel periodo embrionale dellaNouvelle Cuisine.

L’indomabile energia che ancora gli consente di ispirare, guidare e bac-chettare chiunque pratichi i fornelli in sua presenza ha marcato indele-bilmente le generazioni di cuochi che si sono succedute dagli anni Settan-ta a oggi: c’è chi lo venera e chi ha preso le distanze, cercando di “uccidere”un padre straordinario e ingombrante. Tutti continuano a rispettarlo mol-tissimo, citandone a memoria le ricette come fossero poesie d’infanzia o in-terrogandosi sui segreti di una cucina che ha fatto di cultura e finezza rivolu-zionarie il suo biglietto da visita.

Lui, il Maestro, tiene pochissimo del suo sapere per sé. Se quasi tutto il me-glio della nuova ristorazione d’autore è uscito da dietro i suoi fornelli, il prima-to ancora non gli basta. Così negli anni è nata Alma, la scuola di Colorno (Parma)che forma gli chef di domani. E poi docenze, conferenze, cene didattiche, su su fi-no alla nascitura fondazione con sede a Varese, che porterà il suo nome.

Perfino nei suoi libri più tecnici, quelli più complessi, dove la cucina sposa le altrearti — musica e pittura in primis — non mancano mai i piccoli trucchi che fanno sdi-linquire gli appassionati delle pentole, dalla mollica di pan carrè passata al setaccio perla più croccante delle impanature, all’uovo che si fa sodo non con la bollitura, ma spe-gnendo il fuoco al primo fremito dell’acqua e lasciandocelo riposare per un quarto d’ora.Questione di correttezza di esecuzione ma anche di salubrità del piatto.

Felicemente sospesi tra l’approdo gourmand dell’Albereta in Franciacorta, e quello piùfacile e immaginifico di fianco alla Scala (Il Marchesino), regalatevi una visita alla mostra“Storie d’Italia, Gualtiero Marchesi e la Grande Cucina Italiana” che il 19 aprile aprirà alCastello Sforzesco di Milano. In programma, oltre all’esposizione, dimostrazioni prati-che e incontri, per raccontare finalmente da dentro il grande, trascurato patrimonio delnostro magnifico made in Italy tutto da mangiare.

LICIA GRANELLO

I magnifici ottantadi Gualtiero Marchesi

Un’intera vita dietro ai fornelli ad “assaggiaree sperimentare”, una serie di ricette che hanno fatto storia,una carriera da “solista” cominciata solo nel 1977Il più grande cuoco italiano del Novecento non ha maismesso di stupire, ha fatto scuola e trasformatola cultura gastronomica. E ora di sé racconta che...

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RavioloapertoLa rivoluzione delle pasteripiene: due sfogliesovrapposte,una colorata con succodi spinaci, l’altra tatuatacon una bella fogliadi prezzemolo. In mezzoci sono le cappesante,spadellate con burro, vinobianco e succo di zenzero

Riso, oroe zafferanoIl campione dei risottiparte da una leggerabrillatura nel burroPoi vino bianco, brododi pollo e stimmidi zafferano. Burro acido,lavorato con cipollae vino bianco,per la mantecaturaCinque minuti di riposo

Piramide di riso VenereIl riso nero, cucinatocome risotto con zenzeroe soia e modellatocon lo stampo, vieneirrorato con una salsafrullata di nero di seppia,olio, limone, zenzeroe soia. Intorno,calamaretti e codedi gamberi spadellati

QuattropasteQuattro formati (paccheri,pastina, fusilli, spaghetti)cotti separatamente,conditi con extraverginee pecorino grattugiato,appoggiati sul piattoin quattro modalitàindipendentiper apprezzare le diverse consistenze

IL LIBRO

Si intitola Marchesi si nasce -Questa è la mia storial’autobiografia di GualtieroMarchesi, scrittacon Carlo Valli e pubblicatain questi giorni da Rizzoli(17,50 euro). A corollariodel libro, una seriedi “malizie finali”,come ama definirle l’autore,alcune ricette del cuoree un personalissimo dizionarioche illustra l’universogastronomico marchesiano

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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 14MARZO 2010

2001200019821981

Repubblica Nazionale

GUALTIERO MARCHESI

Quandomi chiedono di raccontare della mia vita, la sequenza è semprecasuale: i ricordi riaffiorano intrecciati a momenti e luoghi lontani, for-se provvisti di una qualche ragione che mi sfugge. Se penso alla mia in-

fanzia a San Zenone Po, per esempio, mi viene in mente come non ho im-parato a nuotare, o meglio, come per molto tempo sono riuscito a nuotaresolo sott’acqua. Si pescava, eccome, dei pesci-sole, lanciando una lenzacorta che rimaneva a galla. Ancora non sapevo che quei pesci, di lì a pochianni, sarebbero diventati materia di studio e di pratica in cucina.

Non più in quei paraggi, ma a Milano, nel ristorante-albergo dei miei, AlMercato, in via Bezzecca, ricordo il primo, brusco impatto con il mondo deicuochi. Nella cucina, compariva a periodi un cugino di mia mamma. Sichiamava Dominico Bergamaschi ed era stato capocuoco in uno dei piùimportanti alberghi di Bergamo. Ero piccolo e il posto mi incuriosiva, percui cercavo di passarci del tempo per osservare cosa di meraviglioso acca-desse. Fu una di quelle volte che il cugino si arrabbiò, tirandomi dietro unapentola con il suo contenuto di burro. Non sopportava di essere spiato.

Sempre Al Mercato è legato un altro souvenir, ovvero la prima volta cheaccompagnai mio padre a comprare dei prosciutti in una ditta che si chia-mava Tavella. Mi riaffiora il profumo del Parma, nel momento in cui è giun-to a maturazione. Strano perché i sapori e i profumi invecchiati, nel cibo co-me nel vino, mi interessano poco. Io resto legato agli odori freschi.

Altra scena, ancora a Milano, nei primi anni Sessanta. Tra i clienti, una se-ra si presentò Lucio Fontana. Alla fine della cena, gli chiesi di lasciare due ri-

ghe sul libro delle dediche. Sbuffò, dicendo che il solito oste pretendeva unomaggio. Mi scusai e richiusi il libro, offeso, perché davvero si trattava solo di

mettere un saluto per iscritto. Insieme a Fontana c’era Dada Maino, che per rab-bonirmi, al momento di uscire, mi confidò di aver visto il maestro tracciare un

disegno sulla tovaglia. Andai a controllare e sotto il copriposto c’era uno schizzoche ritagliai dalla tovaglia e misi sotto vetro. Quando mi capitò di rincontrarlo,

Fontana negò di avermi lasciato alcunché: quei segni non erano suoi. Però, disse,a quel punto poteva disegnarmi qualcosa e quel qualcosa lo conservo ancora ac-

canto al falso Fontana.C’è un altro artista, un amico fraterno, Aldo Calvi, che in un’occasione usò, invece,

una frase che mi è rimasta nel cuore. Aveva disegnato un mio ritratto lasciandone in-compiuta, quasi in ombra, una parte. Quando gli chiesi il perché, mi rispose che anda-

va bene così, che quella era la parte infinita del quadro. Aveva ragione: un piatto riuscitonon è mai perfetto. L’emozione richiede intemperanza, slancio. L’eccesso di tecnica, dibravura, finisce con lo sciupare tutto.

L’ultimo ricordo che voglio condividere, pensando ai miei ottant’anni di vita e ses-santa di lavoro è legato alla Franciacorta, all’Albereta dove ho aperto il mio ristorante,perché con Vittorio Moretti avevamo un amico in comune: Gianni Brera. Mi torna inmente una giornata di grande calore e due clienti tedeschi, padre e figlio, seduti al tavo-lino, ordinando delle bollicine. Mi avvicinai e gli indicai due calici, belli, freschi, frizzan-ti. «È il più bel momento della serata», dissi. E loro capirono, condividendo quell’entu-siasmo sottile, l’amore totale di un attimo, il benessere, a sera, in un bicchiere gelato. Tut-to quello che viene dopo è banale.

Un piatto riuscito non è mai perfettotroppa bravura sciupa tutto

gli allieviANDREA BERTONTRUSSARDIALLA SCALAPiazza della Scala 5, MilanoTel. 02-80688201Chiuso domenicamenù da 90 euro

CARLO CRACCOCRACCOVia Victor Hugo 4, Milano Tel. 02-876774Chiuso domenica e lunedì a pranzoMenù da 75 euro

ENRICO CRIPPAPIAZZA DUOMOPiazza Risorgimento 4, AlbaTel. 0173-296003Chiuso domenica serae lunedìMenù da 70 euro

MARCO FADIGAMARCO FADIGA BISTROT Via Rialto 23/C, BolognaTel. 051-220118Chiuso dom. e lunedìMenù da 32 euro

ERNST KNAMPASTICCERIAL’ANTICA ARTEDEL DOLCEVia A. Anfossi 10, MilanoTel. 02-55194448Chiuso domenica sera

PIETRO LEEMANNJOIAVia Panfilo Castaldi 18MilanoTel. 02-2952 2124Chiuso domenicaMenù da 50 euro

PAOLO LOPRIOREIL CANTODELLA CERTOSADI MAGGIANOStrada Certosa 82SienaTel. 0577-288180Chiuso martedì e a pranzoMenù da 75 euro

DAVIDE OLDANID’OVia Magenta 18Cornaredo (Mi)Tel. 02-9362209Chiuso dom. e lunedìMenù da 32 euro

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Savarin di risointegraleCartolina gourmand dalla campagna di San Zenone. Un risottoda riso non sbiancato,modellato da uno stampobucato: all’interno, coscedi rana rosolate. Intorno,una salsa fattacon brodo di rana, panna e crescione crudo

Spaghettialle alici saltateAttenta cottura al denteper gli spaghetti,raffreddati, conditi con poco extraverginee colatura di alici,quindi appoggiati nella loro lunghezza nel piatto. Sopraa pioggia: pinoli, uvetta e pane grattugiato tostato

Drippingdi pesceIspirato ai quadridi Jackson Pollock,il piatto di calamarettie vongole appoggiatisu una maionese naturalealleggerita con acquaSopra, pois di salsadi pomodoro e maionesetinta con nero di seppie,pesto, prezzemolo

La velanel piattoUn taglio insolito,verticale, per la pera cottanel vino rossoe impreziosita da crema inglesePer variare consistenza,due croccantidi zucchero: uno vieneprofumato al cioccolato,l’altro alla cannella

Chef

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 14MARZO 2010

2003 2004 2004 2005

Seppia al nero (1983)4 seppie da 150 grammi l’una,1 dl di vino bianco, 1 litro di acqua,20 rametti di cerfoglio, 10 grammidi burro, liquido nero di seppia

Distaccare la testa dal corpo della seppia, recuperare il liquidonero in una ciotola. Pulire la seppiaestraendo dal corpo l’osso e dalla testagli occhi. In una casseruola aggiungereil vino bianco e l’acqua, salare, portare

a ebollizione; immergere i tentacolie il corpo delle seppie e cuocerea calore moderato per 20 minutiTogliere dal fuoco. In una casseruolamettere il liquido nero, mescolarloe diluirlo con una pari quantità d’acqua,aggiungere il burro a fiocchetti, salaree pepare. Scaldare a fuoco basso,emulsionando con la frusta, senzaportare a ebollizione. Spargere la salsasui piatti caldi, disporre le seppie

Repubblica Nazionale

NIKEQuadretti vichyper la scarpa biancae rossa di Nikecon puntamonocoloree lacci bianchiUna fantasiache piaceràalle più giovani

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le tendenzeTribù urbane

Suola di gomma, tomaia in pelle, camoscio, cotoneresistente o magari lino. Tanto colore e altrettantafantasia: così la “vecchia” (ma intramontabile)“scarpa da tennis” torna per l’ennesima voltaalla ribalta. Stavolta, però, deve essere altafino alla caviglia e unica come un’opera d’arte

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 14MARZO 2010

IRENE MARIA SCALISE

Sneakers

Nate poco più di cento anni fa comeumili scarpe da lavoro, sono diven-tate un simbolo del pensiero ribel-le. Oggi sono celebrate in libri e mu-sei con gli stessi onori riservati alleopere d’arte. Per gli appassionati

rappresentano l’ultima mania da collezionare, machiunque ne possiede almeno un paio nell’arma-dio. Sono le sneakers, scarpe da ginnastica, trai-ner, turnschuhe o basket. Nomi diversi che acco-munano un unico genere: scarpe comode, dallasuola in gomma, perfette per stupire. Scarpe tra-sversali tra generazioni, sono forse le sole in gradodi mettere d’accordo genitori e figli, manager emetrosexual, artisti e fashion victim. Basti pensa-re che, nel 2009, le famiglie italiane hanno acqui-stato quasi venti milioni di paia di sneakers (datiAnci) per una spesa superiore a un miliardo di eu-ro (1,1 per cento in più rispetto al 2008). Per i piùentusiasti è stato addirittura coniato un nuovo ter-mine: sneaker culture social network. In praticauna rete sociale di famelici collezionisti che, pur dimigliorare il loro “bottino”, si riuniscono virtual-mente per confrontare, scambiare e mostrare cal-zature da collezione.

La storia delle sneakers è, in fondo, quella di unmodo di essere. Prima riservate ai lavoratori e poiagli sportivi, dagli anni Cinquanta si sono impostecome un simbolo di trasgressione. Più tardi anco-ra hanno avuto un indiscusso merito: trasformarela moda in un fatto democratico. Grazie a loro, in-fatti, si può essere glamour senza spendere un pa-trimonio. Indossare queste icone del tempo libe-ro, soprattutto tra i ragazzi, definisce senza troppeparole l’appartenenza a una tribù urbana. L’hiphop, tanto per dirne una, considera le scarpe digomma come parte integrante della propria cul-tura musicale. Anche per i punk le scarpe da gin-nastica, rigorosamente nere, sono state una sorta

Liberi di camminareal centro della moda

di carta d’identità. Per chi è attento alle sfumature,poi, conta non solo il modello ma anche come è in-dossato. «Le scarpe da ginnastica sono di destra,sporche e slacciate diventano di sinistra», cantavanon a caso un ironico Giorgio Gaber.

Ma avere un paio di sneakers nell’armadio nonbasta più. L’ultima mania è possederne un paioassolutamente unico, diverso, rarissimo. In unaparola ad edizione limitata. Ad edizione limitatis-sima sono, naturalmente, tutte quelle ideate daartisti o designer. Gli ottocento modelli che il ge-niale architetto Zaha Hadid ha disegnato la scor-sa stagione, più simili a sculture che calzature, so-no andati a ruba dopo essere stati esposti in nego-zi come Colette a Parigi, Dover Street Market aLondra e Corso Como a Milano. Ricercatissimeanche le sneakers griffate. Gucci, per esempio, incollaborazione con l’artista Mark Ronson, haaperto una serie di negozi flash itineranti Gucci-Icon Temporary mettendo in vendita un numeroesiguo di modelli che possono essere ulterior-mente personalizzati con iniziali sui lacci e sullatarghetta in pelle.

Repubblica Nazionale

CULTCi sono i colori dell’arcobaleno nelle sneakersCult con zip laterale. Per renderle più spiritosesi completano con un laccio in varie tinte

SERGIO ROSSIÈ quasi una calzatura da sera quella che SergioRossi ha realizzato in collaborazionecon Puma. Raso verde acido e impunture in tinta

GUCCIScarpa alla caviglia Gucci con grandi fibbiein metallo argento e borchie nello stessomateriale. Disponibile in bianco e in nero

YOHJI YAMAMOTODestinata a farsi notare per il colore giallo fluola Y3 Yohji Yamamoto con doppia chiusuracon lacci e linguetta laterale. Perfetta coi jeans

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 14MARZO 2010

“Mi piace quel tipo di ragazzache è sexy anche senza tacchi”

Intervista a Fabri Fibra, rapper italiano

Luile sneakers, quelle create solo per gli sportivi, le indossa in ogni occasione. Fabri Fi-bra, rapper italiano amatissimo dai giovani, vive in scarpe da ginnastica e apprezzale donne che sanno indossarle, «quel tipo di ragazze che riescono a essere sexy anche

con un paio di sneakers piuttosto che con i tacchi».Le sneakers come mezzo di espressione e di emancipazione delle tribù urbane. In che

modo rappresentano la cultura rap?«Le sneakers sono molto amate dai giovani in generale, quindi anche da quelli che ascol-

tano la musica rap o che ballano la house; anche Mika indossa le sneakers eppure fa musi-ca pop, poi mi viene in mente il mitico Bob Marley che era inseparabile dalle sue Adidas».

Quali sono le scarpe che indossano i rapper di oggi?«Ultimamente si sente molta nostalgia per i vecchi trend, per i vecchi modelli di sneakers.

Le grandi multinazionali infatti stanno riproponendo i modelli vintage, i classici, vedi Adi-das con l’L. A. Trainer usata negli anni Ottanta solo dagli sportivi, mentre oggi noi le met-tiamo anche per andare a fare la spesa al supermercato».

Ma per un rapper è impensabile indossare un paio di mocassini? Quando si trova ob-bligato ad indossare altro come si comporta?

«Nessun problema, anzi, mi piacciono molto. Una volta ho suonato con un paio di mo-cassini scamosciati, mi stavano anche bene».

Sportivi, musicisti, star del cinema, skaters e artisti hanno sempre amato le sneakers.Quali personaggi preferisce legati a questo stile?

«Non ho mai visto Snoop Dogg indossare qualcosa di diverso dalle sneakers, eppure hamoglie e figli anche se sembra ancora un ragazzino quando canta. Sono un suo fan ma ap-prezzo molto anche una cantante come Katy Perry, che riesce ad essere femminile anchevestita come un ragazzo. Mi piace osservare quel tipo di ragazza che riesce ad essere sexyanche con un paio di sneakers piuttosto che con i tacchi».

Kanye West è testimonial delle sneakers da lui create in collaborazione con Louis Vuit-ton e anche lei è stato testimonial per Adidas. Quello tra moda e musica sembra un ma-trimonio sempre più diffuso…

«Penso che la musica sia evocativa, richiama scenari colorati, fantasie e immagini, coseche si ritrovano anche nella moda, nei vestiti e nei mille colori, scritte e fantasie usati percreare nuove t-shirt e sneakers legate ai diversi stili musicali. Nell’arte in generale esiste uncontinuo scambio di idee. Bisogna anche considerare il potenziale che la musica e la mo-da hanno sul mercato, è un buon business».

Oltre alle sneakers qual è la divisa del rapper? «Ultimamente sono fissato per la camicia, bianca oppure celestina. Fa ancora freddo per

metterla ma mi sta benissimo».(i. m. s.)

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REEBOKSono coloratissime le sneakers Reebok,perfette per un pubblico under 20 e con tantavoglia di camminare in massima comodità

DOLCE & GABBANAPiacerà a un pubblico over trenta la sneakerDolce & Gabbana in pelle e camosciototal black. Una calzatura sportiva ma elegante

JOHN RICHMONDÈ nera con il logo la sneaker John Richmondcon zip laterale e inserti in vernice. Un modofashion d’interpretare la scarpa in chiave punk

REPLAYLeggere e molto chic le scarpe ReplayIn cotone bianco mille righe, con bordatureverdi a contrasto. Da indossare sempre

D.A.T.E.Scarpe bicolori dai toni militari per D.A.T.E.Sono perfette con pantaloni larghi e una giaccamilitare. Per un look estivo camouflage

DIOR HOMMEÈ una calzatura sportiva ma così chic che verràvoglia d’indossarla in ogni occasione quellaideata da Dior Homme. Un pezzo da collezione

NEW BALANCEÈ adatta agli animi più sportivi la basketNew Balance bianca e verde. Una scarpa indicataper ballare, divertirsi e giocare in grande libertà

ONITSUKA TIGERFantasia sfrenata per i quadratinisui toni del verde e del rosa di Onitsuka TigerVezzoso il laccio color confetto

CONVERSESono da sempre riconosciute come le reginedel basket le scarpe Converse. Questomodello è in tela militare con applicazioni

ASICSUna scarpa fluo come quella di Asicsnon può passare inosservata. L’elemento modain più è la fascia con velcro alla caviglia

Repubblica Nazionale

l’incontroSempreverdi A Carosello la sua era la bocca

che “può dire ciò che vuole”, poi entròtrionfalmente nella “gabbia d’oro”di Hollywood e ne fuggì quando

le offrirono la partedi BarbarellaOra settantaduenneè oberata di lavoro“Certo la bellezzaall’inizio della carrieraè una benedizione

poi diventa un ingombro:io per recitare i ruoli miglioriho sempre dovuto imbruttirmi”

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È come se fossi natacon la cinepresaaddosso:più me la accostanoalla faccia, piùme la mettono vicina,più io mi sentoprotetta, sicura,fiduciosa

vuole. «Lo slogan funziona ancora, an-cora qualcuno se lo ricorda, e sono pas-sati quarantacinque anni! La pubblicitàdi oggi la trovo un po’ noiosetta. Tuttiquesti spot martellanti uno dietro l’al-tro: alla fine non ti rimane niente. Caro-sello raccontava delle storielline maibanali, con sceneggiature carine, me-glio di certi brutti film».

La bellezza come fortuna ma a volteanche come ingombro: «Ho sempredovuto imbruttirmi per recitare i ruolimigliori. Nel cinema c’è questo pregiu-dizio che una donna bella difficilmentereciterà bene un ruolo drammatico.Quando impersonai la sorella di Nietz-sche in Al di là del bene e del male, la Ca-vani me lo disse con franchezza: Virna,come temperamento ci siamo, ma ti de-vi imbruttire. Nella Regina Margot miavevano addirittura messo delle prote-si sulla fronte, e un corsetto per gonfiar-mi il punto vita con delle stecche che milasciavano delle scie sanguinolente.Per La Cicala Lattuada mi obbligò a in-grassare almeno sette chili».

Ogni ruolo l’ha recitato con natura-lezza. «È un po’ come se fossi nata con lamacchina da presa addosso. Più mel’accostano alla faccia, più me la metto-no vicina, più io mi sento protetta, sicu-ra, fiduciosa, fin dal giorno del debutto,quando avevo solo quattordici anni emezzo. E ancora oggi so che la macchi-na da presa mi ama, e dunque mi pro-tegge. Lo sento: è come se dentro quel-la cosa nera ci fosse un vero occhio, uncervello».

Quanto c’è di studio e quanto di istin-to nel suo lavoro? «Beh io sono tedesca,perfezionista, di una precisione impla-cabile, mi preparo molto anche per ri-spetto verso gli altri, pretendo da me di-sciplina e rigore. Ma quando la prepa-razione è eccessiva può fare ombra allaspontaneità. È una questione di equili-brio». Lattuada, Comencini, Risi, Ger-mi, Monicelli, Bolognini, Maselli, Lo-sey: quale regista ha lasciato in lei latraccia più profonda? «Forse Germi. Mimetteva una soggezione terribile. Midiceva tre parole in tutto, non di più,masticando il sigaro, ma mi trasmette-va una tale forza... Sentivo se sbagliavooppure se lui era contento senza che luiaprisse bocca. Pensare che io ero cosìscettica sul mio personaggio in Signoree signori, non volevo farlo, mi sembravauna deficiente, una talmente stupida. Einvece è così tenera: un’ingenua. A pen-sarci bene uno dei miei ruoli preferiti».

In realtà le commedie, soprattuttoquelle di gran cassetta girate a Hol-lywood, a suo parere non ti lascianoniente, acqua fresca: «Sì, ben scritte,ben confezionate. Ma io preferisco i

ruoli drammatici. Molto più intensi.Sognerei di impersonare Caterina diRussia, ma non lo produrrà mai nessu-no perché costerebbe troppo. Ma vorreianche portare sullo schermo i drammidi una donna qualunque, una donna dioggi. E non faccio molta differenza fra ilcinema e la fiction. La fiction non è di se-rie B rispetto al cinema: è sbagliato pen-sarlo. Anzi, c’è molto cinema brutto cheè assai peggio delle fiction televisive. Iopoi vengo da successi come Una trage-dia americana, 1962, regia di AntonGiulio Majano: si fermava l’Italia...».

Fu quando le proposero di girare Bar-barella, ruolo poi andato a Jane Fonda,che decise di fuggire da Hollywood, do-ve l’avevano lanciata come la nuovaMarilyn Monroe: «Mi tenevano prigio-niera in una gabbia d’oro. Ville da so-gno, limousine, servitù ma anche tanteimposizioni e proibizioni. Senza il per-messo della produzione non potevoneanche uscire da casa. Io me ne frega-vo e andavo a fare la spesa al supermer-cato». Erano gli anni in cui Playboycon-tinuava a proporle di posare nuda: «Maipreso in considerazione. Per rispetto

verso me stessa, verso mio marito, ver-so mio figlio che aveva tre anni, verso imiei genitori. Sarei morta di vergogna».

In un’età in cui solitamente un’attri-ce tira i remi in barca, oggi Virna Lisisembra oberata di lavoro e di proposte:«Non me le vado certo a cercare, ancheperché recitare è faticoso. Poi mi vieneanche rabbia quando vedo che la miaultima fiction, Caterina e le sue figlie 3,ha subito una controprogrammazionemicidiale: tutti i mercoledì le partite dicalcio, poi addirittura Sanremo...».

Certo non ha nulla della diva: «Unaparola che solo a sentirla mi dà l’aller-gia. Non ho mai fatto capricci, non misono mai atteggiata. Spenti i riflettori,finito il mio lavoro, io sono sempre tor-nata alla mia vita normale, alla mia fa-miglia. Come dice la canzone, tutto il re-sto è noia. Ho sempre odiato la monda-nità, le feste, il presenzialismo. Mai fat-to comunella con gli attori, e ho recita-to con i più grandi. Ma siccome io nonso scindere l’attore dall’essere umano,se qualcuno non mi piace dal punto divista morale, difficilmente mi interessa,non lo considero». Con le dovute ecce-zioni: «Jack Lemmon per esempio eraun uomo straordinario, intelligente,onesto, gentile, divertente. E ancheMarcello Mastroianni: una persona digrande umanità e generosità».

Il fatto che non frequenti il suo am-biente non significa che non vada al ci-nema, tutt’altro. «Fosse per me vedreianche tre film al giorno. Quelli che misono piaciuti di più quest’anno sono Ilnastro bianco e Il concerto. Bellissimo,qualche tempo fa, Le vite degli altri. Maperché in Italia non riusciamo più a fa-re grandi film? Solo robetta».

Fra le sue colleghe giovani ne segna-la due: «Bianca Guaccero mi pare mol-to brava, soprattutto in Assunta Spina:gran temperamento, grande grinta. Ap-prezzo anche Micaela Ramazzotti, tut-to un altro genere: tenera, dolce; l’ho vi-sta nell’ultimo film di Virzì, che mi è pia-ciuto come tutti i suoi film».

Quanto conta nella vita e nel lavoroavere senso dell’umorismo? «Tantissi-mo. Ti aiuta a campare molto meglio,peccato che sia una dote così rara, nonesiste quasi più. Dici una battuta e chihai di fronte magari non la capisce, op-pure si offende. Allora è meglio lasciarperdere».

Che origine ha il nome Virna? «Se loinventò mio padre quando andò a de-nunciarmi all’anagrafe. Lui voleva chia-marmi Siria, ma era il nome di un paesenon amico, eravamo in guerra e nonglielo consentirono. Così su due piedi siinventò Virna. Poi abbiamo scopertoche è un nome russo, significa fedeltà».

Vede molti film ma guarda pochissi-mo la televisione, tendenzialmente do-cumentari storici. Mai visto un reality invita sua: «Non chiedetemi troppo». Lapolitica la segue in modo distratto, at-traverso i tg: «Mi innervosisce. Li mettotutti sullo stesso piano: non mantengo-no le promesse, si contraddicono, cam-biano bandiera, cambiano idea. E inve-ce di costruire distruggono, demolisco-no, sanno solo criticare l’avversario».

Arriva un cameriere filippino in li-vrea bianca con un vassoio di bevande.L’occhio corre al grande giardino ultra-curato al di là dei finestroni sui cui da-vanzali sono allineate le orchidee: «Lefaccio fiorire tutto l’anno. Bisogna an-naffiarle con l’acqua piovana, e darglie-la da sotto. Io ci parlo, con le piante. Nel-la mia vita il giardinaggio occupa un po-sto speciale. Mi occupo non solo delgiardino, ma anche dell’orto, del frutte-to. Poto gli alberi e le siepi con le mie ma-ni fino a rovinarmele, ed è un lavoro chedura quindici giorni. Mi piace immen-samente seminare, vedere crescere lepiante, proteggerle d’inverno. È unapassione che ho ereditato da mio non-no, il padre di mio padre, che era capogiardiniere e curava le ville più belle del-le Marche».

Grande contatto con la natura, nes-sun contatto con la tecnologia. Virna Li-si tiene in mano un telefono cordless eha difficoltà a metterlo correttamentesulla sua base: «Non c’è niente da fare,sono negata. Anche col cellulare ho pa-recchi problemi, non so memorizzare inumeri e se mi arriva un messaggio nonso come si fa a leggerlo. Il computer?Non so neanche come si accende. Qual-che anno fa mio figlio me ne regalò unoma dopo quindici giorni gli ho detto: te-soro, fammi questa cortesia, riprendite-lo che mi ingombra la scrivania».

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LAURA LAURENZI

ROMA

Èla prima cosa che pensi, laprima cosa che ti chiediquando te la trovi davanti: macome fa? Come fa Virna Lisi

ad avere settantadue anni e a mantene-re intatto il suo fascino, la sua grazia, lasua bellezza leggendaria? Sorride e sischermisce la signora, seduta nel son-tuoso salotto della sua villa con giardi-no e piscina hollywoodiana in zona Ca-milluccia. Sorride — appartata e prota-gonista — fra le sue orchidee, i suoi ar-genti, i suoi tre cani, le tante foto di non-na felice con schiera di tre nipoti tuttimaschi. «La bellezza all’inizio della car-riera è una benedizione. Sarei una bu-giarda a dire che non mi ha aiutato. Mapoi diventa una responsabilità. Manmano che passano gli anni ti chiedi: chene sarà di me? E questo terrore di diven-tare brutta, di perdere quello che hai, tidà un’angoscia...».

La prospettiva appare veramentelontana. «Diciamo che madre natura èstata generosa. Le cose basilari hannoretto, fortunatamente ho gli zigomi alti,non ho mai avuto il doppio mento. In-somma, ho qualche ruga, ma ci si puòstare. Invece quando mi guardo intor-no vedo certi scempi fatti dai chirurghiplastici. Capisco rifarsi il seno, ma lafaccia! Sì, io ho avuto fortuna. Ancheperché non faccio niente per mante-nermi in forma, e sono anche una granmangiona. Certo, quando devo girare,quindici giorni prima rinuncio alla pa-sta e al pane, ma dopo riprendo a man-giare come prima. E invece ci sono tan-te donne giovani che fanno sacrifici in-credibili per essere belle. Mi fanno mol-ta tenerezza».

Con quella bocca può dire ciò che

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Virna Lisi

Repubblica Nazionale