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In questo numero Anno XLIV - N. 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 Poste Italiane spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza PERIODICO DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DELLE TRE VENEZIE CV CV CV CV CV www.commercialistaveneto.com di MASSIMO DA RE L' INSERTO: ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DELLO STUDIO PROFESSIONALE 2 EMERSIONE CAPITALI DETENUTI ALL'ESTERO: LO SCUDO-TER 3/4 L’INTERVISTA – DANIELE MARINI 4 ENASARCO: VIGILANZA E RICORSI 5/8 SOCIETÀ: APPROVAZIONE DI PROPOSTA E CONDIZIONI DEL CONCORDATO 9/10 AGGIORNAMENTO ISTAT CANONE DI LOCAZIONE 11/12 ACCERTAMENTI DI ESTEROVESTIZIONE IN VENETO 12 PROROGA ACCERTAMENTI IN SEGUITO A CONDONO 13/16 L'ENCICLICA E L'ECONOMIA 17/18 RIMBORSI ASSICURATIVI E IMPRESA: SEMPRE REDDITO? 19/21 INDENNITÀ DI FINE MANDATO PER AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ 22 IL VALORE DELLA CREATIVITÀ AZIENDALE: L'IDENTITÀ DELLE IDEE 23 DAGLI STUDI DI SETTORE AL REDDITOMETRO Segreteria Associazione: Viale S. Agostino, 134 - 36100 Vicenza Tel. 0444 964333 Fax 567107 E-mail [email protected] - ATTIVITÀ FORMATIVA 09-10 - CALENDARIO DEL TRIVENETO - PROPOSTE FORMATIVE Stacca la brochure all'interno di questo numero. E' la tua guida. Non mancare a questi appuntamenti decisivi per la nostra formazione PRIMA GIORNATA DI STUDIO DEL TRIVENETO 16 Ottobre 2009 - ENTE FIERA DI VICENZA COMPETIZIONE, ETICA, COMUNICAZIONE Una professione sotto i riflettori, oggi più che mai Federalismo sì... ma dal volto umano I n un momento come questo, di rientro dalla pausa estiva, in cui si sente parlare prevalen- temente di scudi fiscali, redditometro e studi di settore, ritengo sia importante riportare l’atten- zione anche sull’altro lato dell’ipotetico conto eco- nomico dello Stato: la spesa e la sua equità! Quando parlo di equità mi riferisco anche a quel- lo che possiamo definire “trade off sociale”, cioè quanto viene restituito mediamente al cittadino rispetto alle imposte che paga. L’Italia è il fanalino di coda. L’unico dei Paesi dell’area Euro che ha un saldo negativo, perché sono maggiori le tas- se che versiamo rispetto a quanto ci viene resti- tuito in termini di spesa (sanità, istruzione, prote- zione civile ecc.). Chiaro che la cifra dell’equità di un sistema fiscale (giustizia contributiva) dipen- de innanzitutto dal modo in cui viene decisa e gestita la spesa pubblica. Tramite il corretto con- trollo di quest’ultima si può rendere tollerabile - e quindi non oppressivo - il sistema fiscale. Non c’è giustizia ed equità nel continuare a pagare più degli altri quando la sensazione generale, diciamolo pure, è di ricevere in cambio servizi più scadenti in termini di qualità e quantità. Razionalizzazione della spesa pubblica e riduzio- ne di imposte può significare anche “federalismo fiscale”. Siamo infatti alla vigilia del percorso attuativo di questa riforma e per fine anno è atte- so il primo decreto. È’ ormai dimostrato che i Paesi ad impianto federalista spendono meno a livello di spesa pubblica rispetto a quelli ad impianto centralista. Il federalismo può quindi rappresentare un obiet- tivo fondamentale per il futuro del nostro Paese, per il quale può e deve lavorare la nostra catego- ria. In termini propositivi e di indirizzo mediante la sollecitazione di incontri di confronto attivo con le istituzioni, per proporre meccanismi sem- plici che riducano la complessità dei tributi in corrispondenza dei livelli in cui lo stato federale si articola e permettano così di ottenere quella semplificazione del sistema di governo del Paese che tutti gli italiani auspicano, anche adottando metodi progressivi di sperimentazione. La devoluzione di risorse e competenze in un primo tempo esclusivamente a regioni o aree del Paese che abbiano dimostrato capacità gestionali proprie consentirebbe di verificare nel concreto se effettivamente sono in grado di of- frire servizi più efficienti dello Stato conseguen- do risparmi nei costi e, quindi, nell’imposizione per i cittadini. La verifica dei risultati raggiunti dovrebbe con- sentire eventuali aggiustamenti o la valutazione di ipotesi alternative. In sintesi la proposta di un federalismo dal “volto umano” graduale, consa- pevole e soprattutto responsabile nei confronti dei cittadini. La vignetta è tratta dal blog "max-fra parentesi"

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In questo numero

Anno XLIV - N. 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009Poste Italiane spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003

(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza

PERIODICO DEI DOTTORI COMMERCIALISTIE DEGLI ESPERTI CONTABILI DELLE TRE VENEZIECVCVCVCVCV

www.commercialistaveneto.com

di MASSIMO DA RE

L' INSERTO: ORGANIZZAZIONEE GESTIONE DELLO STUDIO

PROFESSIONALE

2 EMERSIONE CAPITALI DETENUTI ALL'ESTERO:LO SCUDO-TER

3/4 L’INTERVISTA – DANIELE MARINI4 ENASARCO: VIGILANZA E RICORSI5/8 SOCIETÀ: APPROVAZIONE DI PROPOSTA

E CONDIZIONI DEL CONCORDATO9/10 AGGIORNAMENTO ISTAT CANONE DI LOCAZIONE11/12 ACCERTAMENTI DI ESTEROVESTIZIONE IN VENETO12 PROROGA ACCERTAMENTI IN SEGUITO A CONDONO13/16 L'ENCICLICA E L'ECONOMIA17/18 RIMBORSI ASSICURATIVI E IMPRESA:

SEMPRE REDDITO?19/21 INDENNITÀ DI FINE MANDATO PER AMMINISTRATORI

DI SOCIETÀ22 IL VALORE DELLA CREATIVITÀ AZIENDALE:

L'IDENTITÀ DELLE IDEE23 DAGLI STUDI DI SETTORE AL REDDITOMETRO

Segreteria Associazione: Viale S. Agostino, 134 - 36100 VicenzaTel. 0444 964333 Fax 567107 E-mail [email protected]

- ATTIVITÀ FORMATIVA 09-10- CALENDARIO DEL TRIVENETO- PROPOSTE FORMATIVE

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decisivi per la nostra formazione

PRIMA GIORNATA DI STUDIO DEL TRIVENETO16 Ottobre 2009 - ENTE FIERA DI VICENZA

COMPETIZIONE, ETICA, COMUNICAZIONEUna professione sotto i riflettori, oggi più che mai

Federalismo sì... madal volto umanoIn un momento come questo, di rientro dalla

pausa estiva, in cui si sente parlare prevalen-temente di scudi fiscali, redditometro e studi

di settore, ritengo sia importante riportare l’atten-zione anche sull’altro lato dell’ipotetico conto eco-nomico dello Stato: la spesa e la sua equità!Quando parlo di equità mi riferisco anche a quel-lo che possiamo definire “trade off sociale”, cioèquanto viene restituito mediamente al cittadinorispetto alle imposte che paga. L’Italia è il fanalinodi coda. L’unico dei Paesi dell’area Euro che haun saldo negativo, perché sono maggiori le tas-se che versiamo rispetto a quanto ci viene resti-tuito in termini di spesa (sanità, istruzione, prote-zione civile ecc.). Chiaro che la cifra dell’equità diun sistema fiscale (giustizia contributiva) dipen-de innanzitutto dal modo in cui viene decisa egestita la spesa pubblica. Tramite il corretto con-trollo di quest’ultima si può rendere tollerabile - equindi non oppressivo - il sistema fiscale. Nonc’è giustizia ed equità nel continuare a pagare

più degli altri quando la sensazione generale,diciamolo pure, è di ricevere in cambio servizi piùscadenti in termini di qualità e quantità.Razionalizzazione della spesa pubblica e riduzio-ne di imposte può significare anche “federalismofiscale”. Siamo infatti alla vigilia del percorsoattuativo di questa riforma e per fine anno è atte-so il primo decreto. È’ ormai dimostrato che iPaesi ad impianto federalista spendono menoa livello di spesa pubblica rispetto a quelli adimpianto centralista.Il federalismo può quindi rappresentare un obiet-tivo fondamentale per il futuro del nostro Paese,per il quale può e deve lavorare la nostra catego-ria. In termini propositivi e di indirizzo mediantela sollecitazione di incontri di confronto attivocon le istituzioni, per proporre meccanismi sem-plici che riducano la complessità dei tributi incorrispondenza dei livelli in cui lo stato federalesi articola e permettano così di ottenere quellasemplificazione del sistema di governo del Paeseche tutti gli italiani auspicano, anche adottandometodi progressivi di sperimentazione.

La devoluzione di risorse e competenze in unprimo tempo esclusivamente a regioni o areedel Paese che abbiano dimostrato capacitàgestionali proprie consentirebbe di verificare nelconcreto se effettivamente sono in grado di of-frire servizi più efficienti dello Stato conseguen-do risparmi nei costi e, quindi, nell’imposizioneper i cittadini.La verifica dei risultati raggiunti dovrebbe con-sentire eventuali aggiustamenti o la valutazionedi ipotesi alternative. In sintesi la proposta di unfederalismo dal “volto umano” graduale, consa-pevole e soprattutto responsabile nei confrontidei cittadini.

La vignetta è tratta dal blog "max-fra parentesi"

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2 NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 IL COMMERCIALISTA VENETO

Emersione dei capitalidetenuti all'estero: lo scudo-terPrime considerazioni

Con un emendamento alla manovra d’estate, approdato in Com-missione della Camera lo scorso 15 luglio, è stato introdottonuovamente nel nostro ordinamento il cosiddetto “scudo fisca-le”, seppur con elementi di novità rispetto alle precedenti edi-zioni.La nuova versione del provvedimento, che istituisce un’impostastraordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute fuoridal territorio dello Stato, prevede che è possibile effettuare lamera regolarizzazione (mantenendo quindi le attività all’estero),solo se i capitali sono detenuti in un Paese aderente allo spazioeconomico europeo che garantisce lo scambio di informazioniin via amministrativa. In tal caso quindi la norma agevolativaimpone l’obbligo di rimpatriare le somme o i beni esistenti al difuori della Unione europea (con l’unica eccezione ad oggi dellaNorvegia) con la conseguenza che possono verificarsi una se-rie di problemi di carattere operativo di non facile soluzione. Sipensi ad es. all’ipotesi di beni immobili che dovranno, necessa-riamente, essere ceduti per essere trasformati in liquidità“scudabili” prima del pagamento delle somme dovute a titolo diimposta straordinaria.Condizione per usufruire del nuovo scudo fiscale è che le attivi-tà finanziarie e patrimoniali siano detenute almeno al 31 dicem-bre 2008 e a condizione che le stesse non abbiano ancora for-mato oggetto di attività accertative da parte dell’Amministra-zione Finanziaria.Il rientro, ovvero la regolarizzazione delle attività detenute al-l’estero, deve avvenire mediante la presentazione di una dichia-razione riservata da effettuarsi nel periodo dal 15 settembre2009 al 15 aprile 2010.La scelta del momento in cui aderire al provvedimentoagevolativo non è privo di conseguenze.Infatti, qualora oggetto di rimpatrio o regolarizzazione siano del-le attività produttive di reddito, quest’ultimo va dichiarato in Ita-lia, ai fini fiscali, a partire dalla dichiarazione dei redditi per l’an-no 2009, se la dichiarazione riservata viene presentata entro il

31.12.2009, ovvero dalla dichiarazione dei redditi per l’anno 2010se la dichiarazione riservata viene invece presentata nel perio-do compreso tra l’01.01.2010 ed il 15.04.2010.Inoltre dalla data del rimpatrio o della regolarizzazione scattaall’indietro il conteggio del quinquennio per il calcolo della baseimponibile per il pagamento dell’imposta straordinaria sul ren-dimento (che di fatto corrisponde ad un 5% dei capitali).E’ necessario però considerare il fatto che, un’eventualeposticipazione al 2010 della data di adesione allo scudo potreb-be vanificare alcuni interessanti effetti fiscali derivanti dal prov-vedimento agevolativo nel caso vengano avviate attività di ac-certamento prima della definizione.Infatti uno degli effetti dello scudo è di consentire al contri-buente di “annullare” le conseguenze di un eventuale accerta-mento tributario mediante esibizione della dichiarazione riser-vata, nei limiti degli importi “scudati”, ma ciò a condizione, comegià detto, che l’attività di accertamento non sia stata già avvia-ta prima della definizione agevolata.Destinatari del provvedimento sono esclusivamente le personefisiche. Rimangono, invece, escluse dall’applicazione dello scudofiscale le società di persone nonché le società di capitali.Il valore delle attività finanziarie e patrimoniali esposto nelladichiarazione riservata costituirà per il contribuente il valorefiscale iniziale delle stesse. Sarà, quindi, opportuno effettuareuna riflessione sul valore attuale di dette attività, se diverse dasomme liquide, anche in considerazione del fatto che le attivitàfinanziarie che vengono mantenute in altro Paese Ue sono sog-gette alla tassazione del capital gain nello Stato estero di rife-rimento.Nessun reato, falso in bilancio, riciclaggio, ricettazione e ban-carotta, può beneficiare dello scudo fiscale. Sono, invece, sa-nate le violazioni in materia di infedele e omessa dichiarazione.Per coloro che decidono di non usufruire delle disposizioni inmateria di “scudo”, le sanzioni riferite agli ammontari non di-chiarati ed eventualmente accertati dal Fisco saranno raddop-piate, dal 5-25% al 10-50%. Reintrodotta la possibilità di confi-sca delle attività non “scudate”.

Tra gli intermediari che sono abilitati ad effettuare il rimpatrio, rientrano le società fiduciarie autorizzate in base alla legge n. 1966 del1939, società che possono garantire, per la loro abituale attività istituzionale, un elevato livello di professionalità e un alto grado diriservatezza. La Delta Erre spa, società fiduciaria di organizzazione aziendale, di revisione e di servizi di trust, con sede in Padova,autorizzata all’attività fiduciaria e di revisione dal Ministero dell’Industria dal lontano 1975, può contare su una grande esperienzaprofessionale, consolidata anche attraverso l’assunzione di incarichi relativi agli scudi uno e bis negli anni 2001-2003.

Delta Erre S.p.A.– via Trieste, 49/53 35121 – PADOVATel. 049 650322 Fax. 049 8751306 E-Mail: [email protected] - www.deltaerre.it

Società Fiduciaria di Organizzazione Aziendale, di Revisione e di servizi di Trust

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 3

L'INTERVISTA

DANIELE MARINI

LUCA CORRÒOrdine di Venezia

IL COMMERCIALISTA VENETO

«Dobbiamo guardare al futuro dando unanuova governance al territorio del Nordest»

Chi è il prof. Daniele Marini

SEGUE A PAGINA 4

Dott. Marini, con Lei parlerei di Nord Est, naturalmente; ha appenapubblicato -con Silvia Oliva, per i tipi della Marsilio- il “X rapportosulla società e l’economia” , sintesi dello stato della nostra macro-regione. In quale stato di salute è giunto il Nord Est ad affrontare lafase recessiva?Nel complesso direi che il Nord Est non è arrivato male alla fase reces-siva e questo grazie alle trasformazioni adottate per tempo ma ancora incorso, che si sono rivelate fondamentali per affrontare la crisi. Lariorganizzazione del sistema produttivo industriale grazie alle nuovetecnologie ha consentito il cambiamento del modo di produrre, ciò èstato causa-effetto del secondo processo legato alla creazione di mag-gior valore aggiunto di prodotto in risposta alla competizione globale ealla concorrenza dei prezzi conseguente. Tutto ciò ha rafforzato il siste-ma produttivo in presenza di una crisi che ha un elemento di fondo:quello di accelerare a tassi crescenti i processi. Tempo fa parlavo di“processo frenato” riferendomi a quanto accadeva anni fa, chi annu-sando l’aria e le tendenze in atto alla soglia del 2000 ha accelerato iprocessi e si è ben posizionato, chi invece si è attardato, oggi è fuori.

Parafrasando quanto ha scritto in un recente intervento su Il Sole 24Ore che riprende il suo intervento introduttivo del Rapporto, Le chie-do, secondo la Sua valutazione e per la comprensione di chi ci legge,“il nuovo si genera ancora lontano dal Centro” ? il Nord Est è ancoraterra di talent scout?Il Nord Est è decisamente ed ancor più oggi centrale nello sviluppodell’intero paese; in situazioni di crisi i centri decisionali di potere ten-dono ad accentrare ogni decisione per aumentare il controllo del siste-ma; tale processo è controproducente poiché il nuovo -da sempre- sigenera ai margini, nelle periferie, fisiche e culturali. Anche oggi le nuo-ve tendenze si trovano e si stanno elaborando nei campi di periferia equi il Nord Est mi pare essere periferia rispetto al Centro.

Che Lei sappia e sulla base delle vostre ricerche, questo fenomeno di“novità ed originalità apportate” vale anche per i servizi professionalioltre che per il settore industriale?Sì e no. Sì, perché questi processi di crescita del sistema tendono adesternalizzare, richiedendo domande di servizi nuovi che spinge il mondodei servizi a generare offerte legate al cambiamento; il mondo dei serviziprofessionali, quindi, ha una grande opportunità che si sta aprendo eda cogliere. Tuttavia, in merito al “No” di cui sopra, se debbo guardarea quanto sta accadendo in casa nostra -anche se la cosa è peculiaritàgenerale del terziario avanzato- vedo ancora grossi limiti che derivanodal fatto che le imprese del settore si mantengono su livelli dimensiona-li micro in particolare nel Nord Est. Le imprese si stannointernazionalizzando e non trovano tali offerte in un terziario -mi scusi iltermine ma vorrei rendere l’idea- fatto di piccole botteghe o di singoliprofessionisti, si deve, quindi andare a Milano. Questo è il limite deiservizi professionali del Nord Est che mi pare potersi sintetizzare nellaformula che “crescono e si strutturano in stile nordestino” nell’acce-zione, purtroppo, negativa del termine.

Nel post-scriptum al Rapporto si ricordano le persone che hanno con-tribuito all’avvio di un laboratorio, autonomo ed indipendente, di ri-flessione quale la Fondazione Nord Est; leggo anche di qualcuno deiNostri; ma, in generale, i dottori commercialisti sembrano marginalia questa elaborazione; è una mia impressione che sia mancato uncoordinamento tra l’anima imprenditoriale e quella professionale nel-l’elaborazione di strategie di sviluppo futuro? Sono queste formule dicollaborazioni possibili o auspicabili o utili?

Nella mia esperienza alla Fondazione debbo dire che, effettivamente, ilmondo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili si è raramenteincrociato; nel nostro caso si è incrociato tramite una ricerca effettuataper l’Associazione del Triveneto oramai anni fa, iniziativa che, tuttaviae purtroppo, non ha trovato continuità. Da questo punto di vista, dalpunto di vista della riflessione culturale, io personalmente non ho av-vertito una presenza forte di questo mondo. Sia chiaro, non c’è solo laFondazione Nord Est ma, in verità mi pare che anche negli altri contestidi cui sono venuto a conoscenza -mi riferisco a contesti bancari, istitu-zionali, del sociale - la vostra presenza, il vostro apporto di riflessionesia non avvertito.

Nel Rapporto parlando di “trasformazioni”, mi pare che un aspetto diparticolare interesse venga dalla forte trasformazione in atto dei pro-fili delle professioni. Vuole darci una sintesi?Lo si nota evidentemente in quelle aziende vocate alla dimensioneinternazionale che si sono dotate di figure professionali di alto livelloove l’entità imprenditoriale si è svuotata degli operai per essere costi-tuita da portatori di conoscenze, tecnici, esperti di logistica, marketing,finanza, designing; siamo oramai ad oltre il 60% del personale checompone le aziende industriali che si sta trasformando in tali elevatiprofili professionali. Nel terziario avanzato e nelle professioni tutto ciòè ancora più evidente ed esasperato con una tendenza delle professio-ni a specializzarsi in modo tecnico ed in nicchie iperspecialistiche.

In tale contesto, ha qualche riflessione che riguardi anche i dottoricommercialisti? Che ne è di Noi sulla base della sua esperienza e dalSuo osservatorio?Come le dicevo sopra, lo stile di crescita di questo settore necessita dirisposte complesse a domande complesse, ora, poiché il futuro si gio-cherà essenzialmente sul terziario è necessario che questo evolva di

Daniele Marini (Padova, 1960) si èlaureato, a pieni voti con lode, pressola Facoltà di Scienze Politiche del-l’Università degli Studi di Bologna. Haconcentrato la sua attività di studio edi ricerca, in prevalenza, sui modellidi sviluppo sociale ed economico, conparticolare riferimento al Nord Est,alle trasformazioni delle culture dellavoro imprenditoriale e dei lavorato-ri. È stato componente del Consigliodi Amministrazione dell’Istituto diPromozione Industriale (IPI) di Roma.Attualmente è Professore associato di Sociologia dei processi economici edi Sociologia del lavoro presso la Facoltà di Scienze della Formazionedell’Università di Padova.Inoltre, è Direttore Scientifico della Fondazione Nord Est ed editorialistae analista de “Il Sole 24 Ore”. È componente del Comitato Tecnico-Scien-tifico del Centro Studi Interdipartimentale “Giorgio Lago” dell’Universi-tà di Padova, oltre che membro del Comitato Scientifico di EntER (Centrodi ricerca Imprenditorialità e Imprenditori) dell’Università Bocconi diMilano. Autore di numerosi saggi e libri, fra i più recenti ricordiamo:Nord Est 2009. Rapporto sulla società e l’economia, Venezia, Marsilio, 2009(curato assieme a S. Oliva) e (a cura di) Fuori dalla media. Percorsi disviluppo delle imprese di successo, Venezia, Marsilio, 2008.

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pari passo all’evoluzione in atto nel settore industriale. Si tenga inoltre inconsiderazione che, secondo le mie analisi, negli anni 90 le aziende davanoin outsourcing i servizi professionali e tecnologici, oggi, invece appareevidente un processo in cui molte aziende industriali - in particolare quellestrutturate e dimensionate perciò che meglio intendono competere suimercati- stanno iniziando a ri-internalizzare molte funzioni terziarie graziealle nuove tecnologie, prima di oggi portate fuori dall’azienda in un otticadi outsourcing. Questo mette a rischio la grande platea delle imprese delterziario e mi pare che ciò sia coniugabile anche in capo alla vostra profes-sione che, secondo me, se vuole continuare ad essere elemento trainantedeve alimentarsi, ingrandirsi, trovare forme di cooperazione ed aggregazio-ne, specializzarsi in servizi, essere portatrice di conoscenza vera: in unaparola, alzate il valore aggiunto del vostro prodotto/servizio, altrimenti ilrischio sale per l’esistenza medesima della professione.

Nel Rapporto ho colto qualche riferimento sull’evoluzione della “classemedia”; riviste e giornali preconizzano la “fine” della classe media cuigran parte della categorie professionali sembrano appartenere; qualcu-no lamenta la pericolosità di questo fenomeno non tanto e non solo da unpunto di vista economico ma per i riflessi in termini di tenuta del plurali-smo, rischio potenziale di forti estremizzazioni della società civile, peri-coli di derive; come la pensa Lei sulla questione?Io faccio sempre più fatica nella nostra società a ragionare in termini diclassi, marxianamente concepibili, come blocchi sociali ben distinti e con-notati. La classe media è fatta al suo interno da una pluralità di gruppisociali; in questi anni il ceto medio, in particolare quello da lavoro dipen-dente, è quello che più ha pagato lo scotto di questa situazione ed evolu-zione della società. Tuttavia il tema vero è, a mio giudizio, quello dei sistemie dei meccanismi meritocratici che consentono alle persone una mobilitàsociale professionale all’interno della nostra società. Su questo c’è unforte impoverimento della nostra società: nel nostro sistema infatti questi

L'intervista / DANIELE MARINImeccanismi sono del tutto bloccati, i dati a disposizione di mobilità socialeintergenerazionale applicati all’Italia sono evidenti in tal senso. Di conse-guenza questo fenomeno impedisce una mobilità professionale nel temporappresentando l’assenza di ricambio nella società. Una battuta per sinte-tizzare: le persone che oggi occupano posti di potere - mi passi l’espressio-ne - nella politica e nell’economia hanno nel nostro paese almeno 60 anni;il Presidente degli Stati Uniti ne ha 48.

Nel Rapporto sembra chiaro l’orientamento che le sfide del futuro dellenostre regioni sono il Territorio, le Infrastrutture e la Residenzialità:cosa dobbiamo temere? Quali opportunità potremmo cogliere?Sintetizzerei questi elementi con questa espressione: oggi vi è la necessitàdi guardare al futuro dando una nuova governance al Territorio. Il Territo-rio nordestino è oramai, inconsapevolmente, una metropoli, soprattuttonella sua area centrale -Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Venezia Mestre,Pordenone, sino a lambire Udine-, in tale contesto non possiamo cheguardare ad un’unica grandissima contiguità fisica che configura, di paesein paese, un’unica megalopoli. La questione è che questa metropoli è“inconsapevole” nel senso che si gestiscono una serie di servizi che, ora-mai, non possono più essere gestiti da singoli comuni od entità del Territo-rio ma devono essere gestiti da una entità di livello superiore. Se si inizia apensare in questi termini avremo due benefici di grande valore: si miglioral’organizzazione interna e, inoltre, si diventa attrattivi poiché le grandi en-tità, in questo caso le metropoli, sono, per definizione e per storia, attrattivenel senso che tali fenomeni sono attraenti per personalità, risorse, profes-sionalità altamente qualificate, quel tipo di figure che non siamo in grado diauto produrre. Questo vale ed è estensibile per tutti i servizi e, mi lasci dire,professioni. In sintesi, il tema della nuova governance porta alla nuovagestione del territorio ed allo sviluppo delle infrastrutture le quali cosesignificano evoluzione della residenzialità: la massa critica sarà vincente intermini di opportunità e non di rischio.

SEGUE DA PAGINA 3

L'attività di vigilanza dell'Enasarco e relativi ricorsiPremessaFra la pluralità di funzionari pubblici che accedo-no per delle verifiche presso le ditte private figu-rano anche gli accertatori dell’Enasarco, che gesti-sce l’assicurazione sociale degli agenti e rappre-sentanti di commercio. Specie in questo periodo,questa attività si conclude con verbali in base aiquali si contesta alle ditte il mancato versamentodei contributi dovuti all’ente a favore di collabora-tori che l’ispettore qualifica agenti e rappresentantidi commercio in base a situazioni di fatto rilevateanche se gli interessati non sono iscritti con talequalifica alla Camera di Commercio competente.I documenti sulla base dei quali si costruisce l’ac-cusa sono lettere di incarico, le fatture emesse,l’esame del modello 770, ed alle volte anche leinterviste agli interessati.Quando si tratta di morosità la pretesadell’Enasarco è senza alcun dubbio fondata men-tre l’azione di recupero riguardante altre fattispecieè alle volte discutibile specie in riferimento allecollaborazioni dei procacciatori d’affari. Per que-sta categoria, non iscritta all’ente, in questi casi, sicontesta l’obbligo assicurativo e le sanzioni civili.

Agente e rappresentante di commercioAi sensi dell’art. 1742 c.c. “col contratto di agen-zia una parte assume stabilmente l’incarico dipromuovere, per conto dell’altra, verso retribu-zione, la conclusione di contratti in una zona de-terminata. Il contratto deve essere provato periscritto. Ciascuna parte ha diritto di ottenere dal-l’altra un documento dalla stessa sottoscritto cheriproduca il contenuto del contratto e delle clau-sole aggiuntive. Tale diritto è irrinunciabile”.

- Caratteristica essenzialeCaratteristica esenziale del rapporto di agenzia èla promozione, verso retribuzione, di contratti perconto del proponente, ossia di negozi che ven-

gono stipulati con i terzi dal proponentemedesimo (su cui grava il relativo rischio),direttamente o per tramite dell’agente, ovequesti sia fornito di potere di rappresentan-za (Cass. 19 febbraio 1983 n. 1278). Trattasicome noto di lavoratori autonomi iscritti allaC.C.I.A.A. competente, dotati di P.Iva ediscritti all’Inps e all’Enasarco ai finiprevidenziali.Per la disciplina dei rapporti fra le parti docu-menti base sono il contratto scritto di lavoroindividuale ed i contratti collettivi della cate-goria. Rilevante poi in materia è la conoscen-za della giurisprudenza sui casi concreti.

- La nozione di procacciatore d’affariMentre l’agente è colui che assume stabil-mente l’incarico di promuovere per contodell’altra parte (preponente o mandante) laconclusione di contratti in una zona deter-minata (art. 1742), il procacciatore d’affari ècolui che raccoglie le ordinazioni dei clienti,trasmettendole alla ditta da cui ha ricevutol’incarico di procacciare tali commissioni,senza vincolo di stabilità (a differenza del-l’agente) e in via del tutto occasionale an-che se, poi, per la disciplina del rapportopuò farsi ricorso analogico alla normativaconcernente il contratto di agenzia (Cass. 8febbraio 1999, n. 1078).Il procacciatore d’affari è colui che racco-glie le ordinazioni dei clienti, trasmettendolealla ditta da cui ha ricevuto l’incarico, senzavincoli di stabilità e in via del tutto occasio-nale; per la disciplina del rapporto può farsiricorso in via analogica alla disciplina sulcontratto d’agenzia, cosicché, se ilprocacciatore è munito di rappresentanza, ilcontratto stipulato produce i suoi effetti di-rettamente tra il proponente ed il soggetto

che ha contrattato con il procacciatore, mentre leriscossioni effettuate per conto del preponentesono regolate secondo le norme del mandatocon rappresentanza, e quindi l’acquisto della pro-prietà della somma si produrrà in capo alprocacciatore, che avrà poi l’obbligo di ritrasferirlaal preponente (Cass. 9 dicembre 2003 n. 18736).

- Ricorsi contro i verbali dell’EnasarcoAvverso i verbali redatti dagli accertatoridell’Enasarco (Pubblici Ufficiali) sono esperibiliprima il ricorso amministrativo ed eventualmenteil ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale diRoma (avendo l’Enasarco sede legale a Roma). Insede amministrativa, entro 30 giorni dal ricevi-mento del verbale sono previste due ipotesi diricorso quali:a) su carta semplice alla Direzione provinciale dellavoro di Roma –comitato regionale per i rapportidi lavoro-Via Cesare De Lollis n. 12 ai sensi dell’art.124/04 avente per oggetto la sussistenza o la qua-lificazione dei rapporti di lavoro;b) al Comitato esecutivo della Fondazione Enasarcodi Roma, via A. Usodimare 31 negli altri casi.In caso di esito negativo dei ricorsi le ditte hannotre alternative:1) pagano il richiesto e concludono la lite;2) attendono il ruolo esattoriale dell’ente per pre-sentare, tramite legale, entro 40 giorni dalla notifi-ca ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale diRoma;3) oppure attivano in anticipo un ricorso del Giu-dice del lavoro del Tribunale del luogo chieden-do una sentenza di accertamento negativo av-verso la pretesa dell’Enasarco (Vedi Cass. n. 9686del 23.04.2009)

Claudio Milocco(Ordine di Udine)Consulente del lavoro

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 5

La decisione della societàdi approvazione della proposta

e delle condizioni del concordato

DIRITTO FALLIMENTARE

PAOLO TALICE Notaio in Treviso

IL COMMERCIALISTA VENETO

SEGUE A PAGINA 6

1. Premessa. Il recente rilevante aumento delle procedure di concordatopreventivo e fallimentare, come riformate dai DD.Lgss. 5/2006 e 169/2007,indotto dallo stato di crisi economico/finanziaria attualmente in atto, haevidenziato una serie di fattispecie concrete non compiutamente discipli-nate dal legislatore della riforma del diritto fallimentare.Tale carenza di disciplina positiva, spesso associata ad una non sempliceindividuazione dei principi generali ai quali la “nuova” legge fallimentareha inteso ispirarsi, ha generato negli operatori dubbi ed incertezzeapplicative.Alcune di queste fattispecie non espressamente disciplinate dal legislato-re si verificano nella fase iniziale della procedura, quella in cui la società èchiamata ad approvare la domanda e le condizioni del concordato.La Commissione Società del Comitato Interregionale dei Consigli Notarilidelle Tre Venezie, nell’edizione “settembre 2009” della raccolta degli “Orien-tamenti del Comitato Triveneto dei Notai in Materia di Atti Societari” (alle-gata, come tradizione, a questo numero della rivista “Il CommercialistaVeneto”), ha esaminato la maggior parte di dette ultime fattispecie, cercan-do di offrire delle soluzioni interpretative che diano certezze agli operatorie che garantiscano la corretta soddisfazione degli interessi in gioco, nelrispetto dei principi generali.

2. Il quadro normativo. Anteriormente alla riforma gli artt. 152, comma 2, e161, comma 4, del R.D. 267/42 (legge fallimentare), prevedevano che laproposta e le condizioni del concordato fallimentare, nonché la domanda diammissione al concordato preventivo, dovessero essere approvate daisoci che rappresentassero la maggioranza assoluta del capitale socialenelle s.n.c. e nelle s.a.s., e dall’assemblea straordinaria (salvo delega agliamministratori) nelle s.r.l., s.p.a., s.a.p.a e nelle cooperative.Per quanto riguardava dunque le società di persone la disposizione erachiara e non generava particolari dubbi interpretativi.Erano state sollevate critiche solo di merito. In particolare erano state rite-nute inopportune le scelte del legislatore di escludere dalla decisione i socid’opera e gli ex soci ancora fallibili, nonché di riconoscere pari dignità alvoto dei soci accomandanti rispetto a quello degli accomandatari.Nelle società di capitali era invece sorto il dubbio se l’attribuzione naturaledella competenza all’assemblea straordinaria rendesse applicabili alladelibera di approvazione della domanda di concordato, oltre alla pacificaverbalizzazione per atto pubblico, anche l’obbligo di iscrizione nel registroimprese e il controllo omologatorio dei tribunali prima, e dei notai dopo lariforma operata con la L. 340/2000.Tale dubbio è stato peraltro di semplice soluzione, posto che le norme sul-l’iscrizione nel registro imprese e sul controllo omologatorio erano piuttostoben delineate nel loro ambito di applicazione. Si era quindi rapidamente affer-mato il convincimento che la deliberazione dell’assemblea straordinaria diapprovazione della domanda di concordato non dovesse essere pubblicizzatanel registro imprese né sottoposta ad alcun controllo di legittimità.Il legislatore della riforma del diritto fallimentare ha notevolmente innovatola materia.La nuova formulazione dell’art. 152 della l.f., dettato in materia di concorda-to fallimentare, ma applicabile anche al concordato preventivo per effettodell’espresso richiamo contenuto nell’art. 161, comma 4, ora prevede che:“La proposta di concordato per la società fallita è sottoscritta da coloroche ne hanno la rappresentanza sociale.La proposta e le condizioni del concordato, salva diversa disposizionedell’atto costituivo o dello statuto:a) nelle società di persone, sono approvate dai soci che rappresentano lamaggioranza assoluta del capitale;b) nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilitàlimitata, nonché nelle società cooperative, sono deliberate dagli ammini-stratori.In ogni caso, la decisione o la deliberazione di cui alla lettera b), del

secondo comma deve risultare da verbale redatto da notaio ed è deposi-tata ed iscritta nel registro delle imprese a norma dell’articolo 2436 delcodice civile.”.Le novità introdotte dalla nuova formulazione dell’art. 152 l.f., non riguar-dano dunque le società di persone, la cui disciplina rimane stanzialmenteinvariata, quanto piuttosto le società di capitali. Per queste ultime infatti lacompetenza ad approvare la domanda e le condizioni del concordato viene“naturalmente” attribuita agli amministratori (salvo diversa disposizionedell’atto costitutivo o dello statuto) e la loro decisione o deliberazionedeve essere iscritta nel registro imprese dopo essere stata sottoposta alcontrollo omologatorio del notaio ex art. 2436 c.c.Numerosi, come detto, sono i problemi applicativi che detta nuova formu-lazione dell’art. 152 l.f. pone agli operatori.

3. Contenuto minimo della decisone ai fini della sua iscrivibilità. Ante-riormente alla riforma del diritto fallimentare era frequente che l’assembleastraordinaria della società di capitali chiamata a deliberare sulla domanda diconcordato, adottasse in concreto una delibera generica, con la quale siesprimeva unicamente la volontà di richiedere un concordato, delegandoall’organo gestorio la definizione in forma non notarile della relativa do-manda e delle sue condizioni.Tale prassi assecondava l’esigenza pratica, molto sentita, di adottare ladecisione formale in un momento in cui non erano ancora definiti tutti glielementi che avrebbero concorso a formare la domanda di concordato verae propria. Le condizioni finali del concordato dipendono infatti da valuta-zioni, accertamenti e trattative che vengono svolti in tempi ristretti, conritmi spesso frenetici, che mal si conciliano con il modo di operare delleassemblee straordinarie.La legittimità di tale prassi era pacificamente condivisa.Era infatti pienamente conforme ai principi che l’assemblea straordinariaesprimesse la sola volontà di presentare una domanda di concordato senzadefinirne i contenuti, in quanto, così facendo, non si spogliava del suopotere decisionale, bensì lo esercitava delegando la sola fase esecutiva,come peraltro espressamente consentito dalla normativa allora vigente.La riforma, come sopra precisato, ha ora attribuito agli amministratori lacompetenza “naturale” in ordine alla decisione di richiedere l’ammissionead una procedura concordataria, rendendo dunque oggi assai arduo rite-nere legittima l’adozione di delibere generiche come quelle che assumeva-no le assemblee straordinarie dei soci anteriormente alla novella.Non è infatti concettualmente ipotizzabile che l’organo amministrativo possaesprimere formalmente, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 152, comma3, l.f., la sola volontà di presentare una domanda di concordato “delegan-do” poi se stesso a definirne successivamente, con decisioni adottatenelle forme ordinarie, le condizioni.Tale comportamento, non trasferendo in alcun modo la competenza adassumere la decisone sulle condizioni ma attuando un semplice differimento

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di tale decisione, realizzerebbe infatti unicamente una deroga agli obblighidi forma e di procedimento imposti dal legislatore della riforma: atto pubbli-co; controllo di legittimità ex art. 2436 c.c.; iscrizione nel registro delleimprese. E’ dunque indubbio che la decisone che l’organo amministrativodeve oggi adottare con i formalismi imposti dall’art. 152, comma 3, l.f., nonpuò riguardare la sola domanda ma deve comprendere anche le condizionidel concordato.E’ tuttavia evidente che è tuttora attuale la già enunciata esigenza pratica,che ricorreva anteriormente alla riforma, di adottare la decisione formale dirichiesta di concordato in un momento in cui non si siano ancora esatta-mente definite tutte le condizioni dello stesso.Risulta quindi utile per gli operatori comprendere quale sia il contenutominimo che deve avere la decisone dell’organo amministrativo per ottenerel’“omologa” e la successiva iscrizione nel registro imprese.Per fare ciò occorre individuare l’interesse che il legislatore ha ritenuto ditutelare imponendo per la decisione di approvazione della domanda e dellecondizioni del concordato gli obblighi di verifica e di iscrizione nel registroimprese previsti dall’art. 2436 c.c.Dalla relazione accompagnatoria alla riforma del diritto fallimentare si ap-prende che la scelta di prevedere per le società di capitali l’iscrizione delladelibera relativa alla domanda di concordato nel registro imprese deriva daun’esigenza di simmetria con l’impostazione della riforma del dirittosocietario (D. Lgs. 6/2003) che ha enfatizzato, per tali tipi di società, lapubblicità come elemento perfezionativo dei procedimenti decisionali dimaggior rilevanza.Nel caso concreto l’avvenuta iscrizione nel registro imprese garantisce aisoci e ai terzi che l’iter decisionale è stato regolarmente adempiuto, che èstato posto in essere dall’organo competente (si ricorda che lo statuto puòderogare alla competenza “naturale” dell’organo amministrativo ex art. 152,comma 2, l.f.), e che ha superato il controllo di legittimità da parte del notaioverbalizzante (anche e soprattutto in relazione alla circostanza che in basealla nuova formulazione della legge fallimentare è oggi possibile attuare unconcordato con varie operazioni straordinarie: emissione di prestitiobbligazionari convertibili; emissione di titoli di debito; conferimenti dirami di azienda in società preesistenti o di nuova costituzione; aumenti dicapitale riservati ai creditori; fusioni; scissioni; trasformazioni; ecc.).L’esigenza di tutela dei soci appare in particolare, dopo la riforma, una dellepiù importanti, poiché è oggi possibile che gli stessi vengano a conoscen-za della circostanza che la propria società ha richiesto l’ammissione ad unaprocedura concordataria solo dopo che il fatto sia avvenuto.Ciò anche nel caso di società con soci illimitatamente responsabili, e dun-que fallibili (società in accomandita per azioni, società con unico socio chenon ha rispettato i formalismi connessi con la responsabilità limitata).Anche i terzi in genere, intesi come collettvità sociale, stante le finalitàpubblicistiche delle procedure concordatarie, trovano la giusta soddisfa-zione dei loro interessi negli obblighi di preventiva verifica di legittimità edi iscrizione della decisione sulla domanda e le condizioni del concordato.Per quella particolare categoria di terzi costituita dai creditori della società(siano essi fornitori, banche, dipendenti od altro) non sembra inveceravvisabile in questa fase una esigenza di tutela specifica.Detti terzi creditori, che non hanno alcun potere di impugnare la delibera-zione sulla domanda, saranno infatti chiamati ad esprimersi sulle condizio-ni del concordato in un momento successivo rispetto a quello in cui gliamministratori hanno assunto la decisione di richiesta di ammissione allaprocedura.Non appare nemmeno rilevante in questa fase un controllo sulla fattibilitàconcreta del piano concordatario, peraltro estraneo alla competenzameramente giuridica del notaio verbalizzante, e che la stessa legge attri-buisce ad un professionista specifico (c.d. attestatore).Così individuati gli interessi tutelati dalla norma, è ora possibile determina-re quale sia il contenuto minimo che la delibera degli amministratori deveavere per poter essere “omologata” dal notaio verbalizzante e quindi iscrit-ta nel registro delle imprese.Tale determinazione è contenuta nel seguente orientamento pubblicatonell’edizione “settembre 2009” degli “Orientamenti del Comitato Trivenetodei Notai in Materia di Atti Societari”:

“P.A.1 – (CONTROLLO NOTARILE SUL CONTENUTO DELLA DECISIO-NE DI APPROVAZIONE DELLA DOMANDA E DELLE CONDIZIONI DELCONCORDATO AI FINI DELLA SUA ISCRIVIBILITA’ NEL REGISTROIMPRESE – 1° pubbl. 9/09) Il controllo che il notaio verbalizzante ladecisione o deliberazione di approvazione della domanda e delle condi-zioni del concordato deve effettuare al fine di valutare la sua iscrivibilitànel registro imprese ai sensi dell’art. 2436 c.c., richiamato dal comma 3dell’art. 152 l.f., è di legittimità e non di merito.Il notaio dovrà quindi verificare:

a) che la decisione sia stata adottata dall’organo competente;b) nell’ipotesi di concordato fallimentare, che siano stati rispettati ilimiti temporali di cui all’art. 124, comma 1, l.f.;c) che la decisione approvi non solo la domanda ma anche le condizionidel concordato; a tal fine si ritiene che sia soddisfatto detto ultimo requi-sito qualora sia precisato, anche genericamente, ai sensi degli artt. 124e 160 l.f., se il concordato avverrà:1 – mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinariecomunque specificate (aumenti di capitale; emissione di obbligazioni, altristrumenti finanziari o titoli di debito; costituzione di nuove società conconferimenti di rami di azienda e attribuzione delle partecipazioni ai creditori,ecc.);2 – con l’intervento di un assuntore;3 – con la suddivisione dei creditori in classi diverse;4 – con soddisfazione non integrale dei creditori muniti di privilegio,pegno o ipoteca.Al contrario il notaio non potrà effettuare alcuna valutazione in ordinealla ricorrenza dello “stato di crisi”; alla opportunità e fattibilità delpiano; alla consistenza dell’attivo e del passivo; ed in genere ogni altravalutazione relativa ad elementi il cui esame è riservato dalla leggeall’attestatore, al giudice e ai creditori.E’ inoltre inibita al notaio qualsiasi valutazione in ordine agli elementiche devono risultare dai documenti e dalla relazione del professionistache accompagneranno la domanda di concordato ai sensi dell’art. 161l.f., ancorchè indicati nella decisione o deliberazione da luiverbalizzata.”.Così risolta la delicata questione del contenuto minimo della decisione diapprovazione della domanda e delle condizioni del concordato ai fini dellasua iscrivibilità nel registro imprese, è stato possibile per i notai triveneti,sfruttando i principi sopra enunciati e assecondando, nei limiti del consen-tito, la già più volte ricordata esigenza pratica di assumere la decisoneformale di approvazione della domanda di concordato in una fase in cuinon si siano ancora verificate le condizioni di fattibilità del piano, affermarela legittimità della approvazione con un’unica delibera di più domande traloro alternative, purché siano rispettati i limiti enunciati nel seguente orien-tamento:

“P.A.2 - (LEGITTIMITA’ DELLA ADOZIONE DI UN’UNICA DECISIONEDI APPROVAZIONE DI PIU’ DOMANDE DI CONCORDATO TRA LOROALTERNATIVE – 1° pubbl. 9/09) Si ritiene legittimo adottare con un’uni-ca decisione o deliberazione più domande di concordato tra loro alter-native, purchè la scelta di presentazione dell’una o dell’altra domandanon sia rimessa al mero arbitrio del presentatore ma sia legata al verifi-carsi di determinati presupposti oggettivi (ad esempio fattibilità tecnica,consenso preventivo di una o più categorie di creditori: banche od altri,ecc.). Appare infatti meritevole di tutela l’interesse della società ad adot-tare una procedura economica, quale quella dell’unica delibera, in unmomento in cui non si siano ancora verificati i presupposti oggettivi checonsentano l’esatta definizione di una sola domanda di concordato.”.

4. Fattispecie non espressamente disciplinate. L’art. 152, comma 3, l.f.,disciplina positivamente la sola ipotesi della decisione di approvazionedella domanda e delle condizioni del concordato assunta dagli amministra-tori, rimettendo quindi all’interprete l’individuazione della disciplinaapplicabile nelle ulteriori ipotesi in cui lo statuto rimetta ai soci detta deci-sone, ovvero in quelle in cui la società sia priva di “amministratori” insenso letterale (si pensi alle società amministrate da un organo monocratico,a quelle azionarie che hanno optato per il sistema dualistico o a quelle inliquidazione).Anche in questo caso è l’analisi dei principi sottostanti alla nuova norma-tiva dettata dall’art. 152 l.f. che rende possibile l’individuazione del tratta-mento da riservare alle suddette fattispecie.E’ innanzitutto importante ricordare, come già evidenziato nel paragrafoprecedente, che la decisone degli amministratori non ha natura“autorizzatoria”, volta cioè a consentire ad un altro organo della societàun’attività altrimenti ad esso preclusa.Essa è piuttosto l’espletamento di un potere originario ed esclusivo, conobblighi di forma che travalicano gli interessi dei soggetti direttamenteinteressati per confondersi con quelli della collettività, ed in ultima analisicon l’ordine pubblico.Tali interessi pubblicistici sono gli stessi ravvisabili nelle norme che inibi-scono di porre in essere, a pena di nullità, determinati negozi senza rispet-tare la forma dell’atto pubblico. Si pensi all’ipotesi delle donazioni (art. 782c.c.), a quella delle convenzioni matrimoniali (art. 162 c.c.) o ancora a quelledella costituzione di società di capitali (artt. 2328 e 2463 c.c.).

Società: approvazione proposta e condizioni concordatoSEGUE DA PAGINA 5

SEGUE A PAGINA 7

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 7IL COMMERCIALISTA VENETO

In tutti questi casi la forma non è richiesta in relazione al soggetto che ponein essere l’atto, bensì in funzione della natura di quest’ultimo e della suaparticolare rilevanza sociale. A ciò consegue che è possibile individuarenell’art. 152 l.f. il principio in base al quale la decisone di approvazione delladomanda e delle condizioni del concordato deve sempre rivestire la formadell’atto pubblico soggetto ad “omologa” e ad iscrizione nel registro im-prese, prescindendo dall’organo che in concreto l’abbia adottata.Per quanto riguarda poi l’individuazione positiva dei soggetti naturalmen-te competenti ad adottare la decisone sul concordato nelle società di capi-tali, letteralmente limitata dall’art. 152, comma 2, lett. b), l.f., agli “ammini-stratori”, non può non osservarsi come la stessa debba intendersi riferitaall’organo gestorio, quale che esso sia, e non ai soli amministratori in quan-to tali. Il legislatore che ha riformato la normativa fallimentare ha operatouna semplice scelta tra la conferma della competenza sull’approvazionedella domanda di concordato prevista dalla vecchia normativa a favoredell’assemblea straordinaria dei soci (organo peraltro non più esistentenelle società non azionarie), ovvero l’attribuzione della stessa all’organo digoverno della società, qualunque esso fosse nel caso concreto: consigliodi amministrazione; coamministratori; amministratore unico; consiglio digestione; liquidatore unico; comitato di liquidatori; ecc.E’ solo per semplicità redazionale, e per conformarsi a scelte stilistiche giàoperate dal nuovo diritto delle società, che nel testo finale dell’art. 152 l.f. lascelta a favore dell’organo gestorio è stato esplicitata come a favore degli“amministratori”.Non è dunque ragionevole sostenere che tutte le volte che la società siaoccasionalmente priva di “amministratori” in senso letterale, la competen-za legale non opera, con la conseguenza che la decisone sulla domanda diconcordato deve essere rimessa ai soci.Del resto è lo stesso inciso contenuto nell’art. 152, comma 2, l.f. che, con-sentendo all’atto costitutivo o allo statuto delle società di capitali di dero-gare alla competenza a favore degli amministratori, postula la necessità diuna volontà pattizia per attribuire ai soci il potere di compiere ciò che lalegge gli ha “naturalmente” sottratto.E’ dunque possibile individuare nella normativa in oggetto l’ulteriore prin-cipio in base al quale, salvo diversa disposizione dello statuto o dell’attocostitutivo, la competenza ad adottare la decisione sulla domanda e lecondizioni del concordato spetta all’organo gestorio.Tale principio deriva anche dalla volontà del legislatore di considerare ilnuovo concordato come uno strumento di rilancio dell’attività imprendito-riale della società (in stato di crisi e non necessariamente di insolvenza),che non comportando lo scioglimento di fatto della stessa, né presuppo-nendo la sua messa in liquidazione, è sistematicamente sottratto alla com-petenza naturale dei soci.Per quanto riguarda le società in liquidazione è tuttavia necessario aggiun-gere che i poteri dei liquidatori, quali organo gestorio di detta fase, posso-no essere liberamente modulati in sede di nomina ai sensi dell’art. 2487,comma 1, lett. c), c.c.Sarà pertanto possibile, senza modificare lo statuto o l’atto costitutivo,riservare ai soci la competenza ad approvare la domanda di concordatomediante la semplice non attribuzione del relativo potere all’organo di li-quidazione all’atto della sua nomina.E’ infine da ricordare che è principio generale del diritto delle società che ledecisioni adottate dagli organi sociali sopravvivono al mutare soggettivoo qualitativo di detti organi, con la conseguenza che la decisone sul con-cordato eventualmente adottata da un amministratore unico potrà poi es-sere eseguita dal consiglio di amministrazione o dal liquidatore che even-tualmente gli sono succeduti, senza necessità della ripetizione formale, conintervento notarile, di una nuova decisone.Qualora invece il nuovo organo gestorio non intenda dar seguito alla do-manda di concordato approvata dal suo predecessore dovrà porre in esse-re una revoca formale della relativa deliberazione, al fine di rimuovere unapubblicità altrimenti ingannevole.Alla luce di queste considerazioni sono stati formulati dai notai del trivenetoi seguenti orientamenti:

“P.A.3 - (FORME DELLA DECISIONE DI APPROVAZIONE DELLA DO-MANDA E DELLE CONDIZIONI DEL CONCORDATO IN PRESENZA DIORGANI MONOCRATICI – 1° pubbl. 9/09) La previsione sulla formadella decisione di approvazione della domanda e delle condizioni delconcordato contenuta nel comma 3 dell’art. 152 della l.f., trova pienaapplicazione anche in presenza di organi monocratici (amministratoreunico o liquidatore).Tale disposizione è infatti essenzialmente volta a tutelare gli interessi deisoci e dei terzi a che siffatta decisione sia assunta nel rispetto dellenorme di legge e di statuto.”.

“P.A.4 - (FORME DELLA REVOCA DELLA DECISIONE O DELIBERA-ZIONE DI APPROVAZIONE DELLA DOMANDA DI CONCORDATO – 1°pubbl. 9/09) L’eventuale decisione o deliberazione di revoca della pre-cedente approvazione della domanda di concordato deve essere assuntanel rispetto delle forme previste dal comma 3 dell’art. 152 l.f. ed iscrittanel registro imprese ai sensi dell’art. 2436 c.c.”.

“P.A.9 – (COMPETENZA A DELIBERARE IL CONCORDATO NELLESOCIETA’ DI CAPITALI IN LIQUIDAZIONE – 1° pubbl. 9/09) Nel caso disocietà per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata,nonché di società cooperative, in liquidazione, la competenza a delibe-rare la proposta e le condizioni della domanda di concordato spettaall’organo di liquidazione, sempre che l’atto costitutivo o la delibera dinomina dei liquidatori non abbiano disposto diversamente. La disposi-zione contenuta nella lettera b) del comma 2 dell’art. 152 l.f., che attri-buisce tale competenza agli “amministratori”, deve infatti essere inter-pretata come norma attributiva della competenza all’organo gestorio,quale che esso sia, in luogo dell’assemblea dei soci.”.

“P.A.10 – (SORTE DELLA DELIBERA DI APPROVAZIONE DELLA DO-MANDA DI CONCORDATO ADOTTATA DAGLI AMMINISTRATORI NEL-L’IPOTESI DI SUCCESSIVA MESSA IN LIQUIDAZIONE DELLASOCIETA’ – 1° pubbl. 9/09) La delibera adottata dagli amministratori diapprovazione della domanda e delle condizioni del concordato, al paridi tutte le decisioni dell’organo gestorio, conserva la sua validità anchenell’ipotesi che successivamente alla sua adozione, e prima della pre-sentazione della domanda al tribunale, la società sia posta in liquida-zione e vengano nominati uno o più liquidatori.Non sarà dunque necessario che il neonominato organo di liquidazionerideliberi, nelle forme previste dall’art. 152, comma 3, l.f., la domanda diconcordato, nell’ipotesi che intenda presentare la medesima domandagià deliberata.Qualora invece il nuovo organo gestorio intenda presentare una diversadomanda di concordato, sarà necessaria una nuova formale delibera diapprovazione, verbalizzata da notaio, previa revoca della precedente.”.

Un’altra delicata questione che si è posta agli operatori è quella relativa allanecessità o meno di una concorrente decisone degli amministratori nelcaso in cui lo statuto o l’atto costitutivo rimetta la decisone sulla domandadi concordato ai soci. Tale dubbio è generato dalla circostanza che, dopo lariforma del diritto societario, gli amministratori delle società azionarie sonosempre responsabili degli atti gestori, anche nel caso in cui gli stessi sianostati preventivamente autorizzati dai soci (art. 2364, comma 1, n. 5), mentrenelle società a responsabilità limitata è prevista una loro responsabilità soli-dale con i soci nel caso in cui gli atti di amministrazione da loro posti in esseresiano stati decisi od autorizzati da questi ultimi (art. 2476, comma 7, c.c.).Nel caso in esame sembra tuttavia potersi escludere che nell’ipotesi in cuilo statuto rimetta ai soci la competenza a deliberare sulla domanda di con-cordato sia necessaria una concorrente e conforme decisione degli am-ministratori, ciò in virtù della chiara formulazione della disposizione di cuiall’art. 152, comma 2, l.f.Detta disposizione evoca infatti una competenza originaria ed esclusiva,che in quanto tale non può avere natura autorizzatoria, sia essa attribuitalegalmente all’organo gestorio o convenzionalmente ai soci.E’ inoltre da considerare che l’approvazione della domanda e delle condi-zioni del concordato non possono essere considerati, quantomeno dalpunto di vista della responsabilità degli amministratori, come un atto diamministrazione nel senso voluto dal codice civile, essendo l’intera disci-plina di detta attività contenuta in una legge speciale.L’orientamento dei notai del triveneto che ha affrontato la questione èdunque il seguente:

“P.A.5 - (NON NECESSITA’ DEL CONCORSO DELLA CONFORME DE-CISIONE DELL’ORGANO GESTORIO NEL CASO IN CUI LA COMPE-TENZA AD APPROVARE UNA DOMANDA DI CONCORDATO SIA RI-MESSA AI SOCI – 1° pubbl. 9/09) Nell’ipotesi che l’atto costitutivo o lostatuto riservino la competenza ad approvare una domanda di concor-dato ai soli soci, non si ritiene necessario che tale domanda debba essereanche approvata dall’organo gestorio. In tale fattispecie, infatti, la deci-sione assunta dai soci non ha natura autorizzatoria, ma è l’espressionedi una competenza esclusiva. Quanto sopra vale anche per le societàazionarie.”.

5. Approvazione del piano concordatario che preveda operazioni straordi-narie di competenza dei soci. Una delle più importanti novità introdotte

SEGUE DA PAGINA 6

Società: approvazione proposta e condizioni concordato

SEGUE A PAGINA 8

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dalla riforma del diritto fallimentare in materia di concordato, sia preventivoche fallimentare, è quella di poter prevedere nel piano la ristrutturazione deidebiti e la soddisfazione dei crediti senza alcun limite di forme.E’ dunque possibile, in assenza di limiti legali, che il piano del concordatopreveda l’effettuazione di operazioni straordinarie di competenza dei soci.La stessa legge fallimentare (artt. 160 e 124) esemplifica alcune di questepossibili operazioni: “attribuzione ai creditori, nonché a società da que-sti partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibiliin azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito.”.Ma la casistica delle operazioni straordinarie di competenza dei soci chepossono essere poste utilmente in atto per soddisfare le esigenze del con-cordato è assai più ampia. Si pensi alle fusioni o alle scissioni; alle trasfor-mazioni; agli aumenti di capitale riservati a particolari soggetti o conconferimenti in natura; alla costituzione di nuove società (good company)mediante conferimenti di rami di azienda e successiva cessione delle quoteo azioni delle stesse.In tutti questi casi si pone il problema se, in assenza di specifiche disposi-zioni statutarie, la competenza ad approvare la domanda e le condizioni delconcordato rimanga attribuita in via esclusiva agli amministratori o debbaessere trasferita all’assemblea dei soci, ovvero ancora se sia necessarioporre in essere due delibere conformi e concorrenti, una degli amministra-tori e l’altra dei soci, ed in tal caso i tempi di queste delibere.La questione è delicata e pone un problema già noto del diritto societario inrelazione alla possibilità di far assumere una qualche rilevanza esterna,giuridicamente rilevante, a vicende endosocietarie.In altre parole è necessario comprendere se sia possibile che gli organi diuna società adottino una decisione, rilevante nei confronti dei terzi, cheabbia l’effetto di obbligare altri organi, la società o se stessi ad assumereuna qualche deliberazione, ovvero a non revocare un’eventuale deliberagià adottata ma non ancora eseguita. Si pensi al caso di una società cheintenda lanciare un’offerta pubblica di acquisto e scambio di azioni di un’al-tra società. In detta ipotesi l’organo amministrativo della società che lancial’OPAS sarà competente a deliberare l’offerta di acquisto e scambio, mal’aumento di capitale della medesima società che dovrà essere posto aservizio dello scambio sarà di competenza dell’assemblea dei soci.In tal caso si pone dunque il problema se l’organo amministrativo chedelibera l’OPAS potrà anche obbligare la società, e per essa la sua assem-blea, a deliberare l’aumento di capitale a servizio dello scambio, o a nonrevocare la delibera già eventualmente adottata in tal senso; ovvero se taleobbligazione di assunzione di delibera o di non revoca della medesimapotrà validamente essere assunta solo dall’assemblea dei soci; ovveroancora se nessuno di detti organi potrà validamente obbligare se stesso ola società a far adottare una qualche delibera, positiva o di revoca.In mancanza di norme espresse è necessario ancora una volta far riferimen-to ai principi generali del diritto delle società.Secondo la teoria organica i singoli organi della società non assumonoautonoma rilevanza esterna, così come gli organi del corpo umano nonpossono essere considerati distinti dalla persona cui appartengono.Gli amministratori assumono le decisioni di loro competenza, così fanno isoci, saranno poi i legali rappresentanti che esprimeranno all’esterno ledecisioni adottate dagli organi sociali, assumendo in tal modo valide obbli-gazioni a carico della società. Analogamente la persona fisica rappresentaall’esterno tramite i suoi organi a ciò deputati le decisioni assunte dalcervello. E’ dunque inconcepibile che un organo possa assumere valida-mente delle obbligazioni a proprio carico o a carico di altri organi, sarà solo ilsoggetto cui l’organo appartiene che potrà assumere tali obbligazioni nelleforme proprie. E’ poi importante sottolineare che, in omaggio ai principi ditutela della buona fede dei terzi contraenti, il legale rappresentante ha ilpotere di obbligare la società anche nell’ipotesi in cui non sia stata assuntadall’organo competente la relativa decisone (artt. 2384 e 2475bis c.c.).Trasferendo tali principi al caso dell’approvazione della domanda e dellecondizioni del concordato che preveda l’effettuazione di operazioni straor-dinarie, si può affermare che, salvo diversa disposizioni statutaria, saràl’organo gestorio che dovrà approvare sia la domanda che le condizioni,mentre sarà l’assemblea dei soci che dovrà deliberare l’operazione straor-dinaria. Tale ultima delibera potrà essere adottata sia prima che dopo lapresentazione della domanda, costituendo esecuzione del piano e non suopresupposto.Nel caso poi che nel corso del concordato l’assemblea non intenda adotta-re la delibera di approvazione dell’operazione straordinaria, o revochi laprecedente delibera di approvazione della medesima operazione non anco-ra eseguita, saranno esperibili gli ordinari rimedi offerti dall’ordinamento.Nel caso di concordato preventivo sarà quindi dichiarato il fallimento deldebitore per mancanza nel corso della procedura delle condizioni prescrit-te per l’ammissibilità del concordato ex art, 173, comma 3, l.f. Mentre nel

caso di concordato fallimentare sarà riaperta la procedura di fallimento permancato adempimento degli obblighi derivanti dal concordato ex art. 137,comma 1, l.f. In omaggio a tali principi l’orientamento dei notai triveneti cheaffronta la questione è il seguente:

“P.A.8 - (COMPETENZA NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI AD APPROVA-RE UN PIANO CONCORDATARIO CHE PREVEDA L’EFFETTUAZIONEDI OPERAZIONI STRAORDINARIE – 1° pubbl. 9/09) Nel caso in cui unpiano concordatario di società di capitali preveda l’effettuazione du-rante la procedura di operazioni straordinarie di competenza dell’as-semblea dei soci, quali un aumento di capitale o l’emissione di obbliga-zioni convertibili (art. 124, comma 2, lett. c) e art. 160, comma 1, lett. a)l.f.), la competenza ad adottare la decisione o deliberazione di approva-zione della domanda e delle condizioni del concordato rimane attribui-ta ai soli amministratori ai sensi dell’art. 152, comma 2, lett. c), l.f., senon diversamente disposto dall’atto costitutivo o dallo statuto.In tal caso, tuttavia, per poter dar corso all’operazione straordinariasarà comunque necessaria la rituale concorrente deliberazione dell’as-semblea dei soci che la approvi.La deliberazione dei soci potrà essere anteriore alla presentazione delladomanda, e dunque sospensivamente condizionata all’omologa del con-cordato, o successiva.”.

6. Altre questioni di rilevanza formale. A completamento dell’esame delleprincipali fattispecie che sono state poste all’attenzione dei notai in questoprimo periodo di attuazione della riforma del diritto fallimentare, si segnala-no i dubbi che sono stati avanzati da alcuni professionisti in ordine allanecessità di richiedere l’intervento del notaio per la verbalizzazione delledecisioni sulla domanda di concordato assunte dalle società di persone;su quelle relative alla presentazione del fallimento “in proprio”; nonché perquelle integrative del piano concordatario richieste dal tribunale ai sensidell’art. 162, comma 1, l.f. E’ evidente che tali dubbi sono stati generati daapprocci particolarmente prudenti con la nuova normativa, peraltro nonchiara nei principi, poiché dal tenore letterale delle norme sembra potersiescludere la necessità dell’intervento notarile in dette fattispecie.Solo per le società di persone esiste un possibile lettura della disposizionedi cui all’art. 152, comma 3, l.f., che renda applicabile a dette società gliobblighi di forma previsti per le società di capitali, poiché l’inciso “di cuialla lettera b) del secondo comma” potrebbe riferirsi esclusivamente alsostantivo “deliberazione”, e quindi all’ipotesi di cui al secondo comma didetto articolo (società di capitali), mentre il sostantivo “decisione” potreb-be riferirsi alle sole ipotesi di cui alla lettera a) di detto secondo comma (equindi alle società di persone). Detta lettura, per quanto possibile, nonpuò tuttavia essere condivisa, poiché, oltre ad essere apparentemente mac-chinosa, disattende il principio in base al quale per le società di persone lapubblicità nel registro imprese ha valore di mera “pubblicità notizia”.Sull’argomento sono comunque sono stati formati dai notai triveneti i se-guenti orientamenti:“P.A.6 - (FORME DELLA DECISIONE DI PRESENTAZIONE DELL’ISTAN-ZA DI FALLIMENTO “IN PROPRIO” – 1° pubbl. 9/09) La disposizione dicui al comma 3 dell’art. 152 l.f. ha carattere speciale, pertanto la stessanon trova applicazione nella procedura di approvazione da parte di unasocietà della domanda con la quale si richiede il proprio fallimento.”.“P.A.7 - (NON NECESSITA’ DI VERBALIZZAZIONE NOTARILE PER AP-PORTARE LE EVENTUALI INTEGRAZIONI AL PIANO CONCORDATARIORICHIESTE DAL TRIBUNALE AI SENSI DELL.’ART. 162, COMMA 1, L.F.– 1° pubbl. 9/09) Le integrazioni al piano di concordato eventualmenterichieste dal tribunale ai sensi dell’art. 162, comma 1, l.f., non costituen-do una nuova domanda, né una modifica discrezionale di quella giàpresentata, possono essere validamente adottate dall’organo societariocompetente nelle forme ordinarie, senza che sia necessaria laverbalizzazione notarile di cui all’art. 152, comma 3, l.f.”.

“P.A.11 – (FORME DELLA DECISIONE DI APPROVAZIONE DELLA DO-MANDA E DELLE CONDIZIONI DEL CONCORDATO NELLE SOCIETA’DI PERSONE – 1° pubbl. 9/09) Nelle società di persone la decisione diapprovazione della domanda e delle condizioni del concordato non devenecessariamente risultare da verbale redatto da notaio e depositato ediscritto nel registro imprese a norma dell’art. 2436 c.c..La disposizione di cui al comma 3 dell’art. 152 l.f., nella parte in cuiimpone l’intervento del notaio per la verbalizzazione sia delle “decisio-ni” che delle “deliberazioni”, appare infatti unicamente volta a chiarireche, con esclusivo riferimento alle ipotesi di cui alla lettera b) del comma2 del detto art. 152 l.f. (società di capitali), la forma notarile è necessariain ogni caso: decisione assunta in forma collegiale, mediante consulta-zione scritta o consenso espresso per iscritto, ovvero decisione assuntain forma non collegiale.”.

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Società: approvazione proposta e condizioni concordato

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 9

Aggiornamento Istatdel canone di locazione

NORME E TRIBUTI

GIUSEPPE REBECCA Ordine di Vicenza

IL COMMERCIALISTA VENETO

GIULIA TESCARO Praticante Ordine di Vicenza

PremessaPrima dell’entrata in vigore della legge 14/2009l’aggiornamento annuale dei canoni dei contrattidi locazione ad uso commerciale era limitato allamisura massima del 75% dell’indice ISTAT deiprezzi al consumo per le famiglie di operai e im-piegati1.Dal 1 marzo del 2009, invece, è possibile unadeguamento fino al 100% del suddetto indice;condizione posta per tale maggior adeguamentoè che il contratto abbia una durata superiore aquella minima di legge, ovvero 6 o 9 anni (usoalberghiero)2.La stessa percentuale di aggiornamento del 100%è utilizzabile anche nei contratti delle locazioniresidenziali, per effetto di un intervento legislati-vo meno recente, la legge 431/1998, che ha abro-gato l’art. 24 della legge 392/19783.Esaminiamo ora più in dettaglio l’evoluzione, lemodifiche e gli effetti sulle due fattispecie.

Immobili adibiti ad uso di abitazioneLa legge 392/1978 all’art. 24 regolamentava l’ag-giornamento del canone degli immobili adibiti aduso di abitazione, prevedendo che tale canonepotesse essere aggiornato annualmente, su ri-chiesta del locatore, entro il 75% dell' indice Istat.La legge 431/1998 ha poi abrogato l’articolo 24consentendo che le parti pattuissero anche unaggiornamento pari al 100% della variazione del-l’indice Istat, o anche di un indice diverso.Tale ipotesi è esclusa per i contratti con canoneconvenzionato-sindacale4, i contratti a locazionetransitoria (non turistica e nei quali non sia con-duttore l’ente locale), e per quelli per le esigenzeabitative di studenti universitari5.Tale normativa, in seguito, non è stata più ogget-to di variazioni, nemmeno da parte della legge 14/2009.

Immobili adibiti ad uso diversoda quello di abitazionePrima della legge 14/2009 l’aggiornamento delcanone di locazione per gli immobili adibiti ad

uso diverso da quello di abitazione (ad esempiouso industriale, artigianale, commerciale comenegozi, studi professionali, palestre, o anchecome uso alberghiero) era disciplinato dall’art.32 della legge 392/1978, secondo il quale le varia-zioni non potevano essere superiori al 75% diquelle del suddetto indice Istat.Attualmente, invece, con la modifica dell’art. 32della legge 392/78, è consentito, per i contratti dilocazione su immobili ad uso diverso da quello diabitazione, la possibilità di un adeguamento su-periore al 75% dell’indice Istat, qualora la durata

1 Ex art. 32 della legge 392/1978, ora appunto modificato dalla legge 14/2009.2 La richiesta dell’aggiornamento del canone continua a configurarsi come un onere del locatore, al cui adempimento è legato il suo diritto ad ottenere l’aggiornamento; si ritienetuttavia possibile inserire tra le clausole contrattuali l’aggiornamento automatico anche senza preventiva richiesta da parte del locatore. La clausola potrebbe avere più o menoil seguente tenore: “Le parti convengono che il canone di locazione verrà aggiornato annualmente, anche senza preventiva richiesta del locatore, nella misura massimaconsentita dalla legge delle variazioni accertate dall’ISTAT dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati”.Le pattuizioni, invece, aventi ad oggetto veri e propri aumenti del canone devono ritenersi nulle in quanto dirette ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quelloprevisto dalla norma di legge.3 L’art. 24 della legge 392/1978 stabiliva: “Per gli immobili ad uso d’abitazione il canone di locazione definito ai sensi degli articoli da 12 a 23 è aggiornato ogni anno in misurapari al 75 per cento della variazione, accertata dall’ISTAT dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente. L’aggiorna-mento del canone decorrerà dal mese successivo a quello in cui ne viene fatta richiesta con lettera raccomandata”.4 Sul tema Tamborrino F., Le locazioni abitative, Il Sole 24 Ore, Milano, 2006, pp. 67.L’art. 1 comma 9 del D.M. del 30 dicembre 2002 stabilisce che l’aggiornamento dei canoni convenzionali-sindacali è possibile solo se recepito negli accordi locali e, se recepito,solo entro il 75% della variazione Istat.5 Gli artt. 2 e 3 del D. M. Infrastrutture e Trasporti del 30 dicembre 2002, relativamente ai contratti di locazione transitoria e di locazione a studenti universitari, non prevedela possibilità di aggiornamento del canone.

L’impianto normativo relativo all’aggiornamento dei canoni di locazione risulta, quindi, cosìriassumibile:

Ex Art. 32

Le parti possono convenire che il canone di lo-cazione sia aggiornato annualmente su richiestadel locatore per eventuali variazioni del potere diacquisto della lira.

Le variazioni in aumento del canone non posso-no essere superiori al 75 per cento di quelle, ac-certate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al con-sumo per le famiglie di operai ed impiegati.

Le disposizioni del presente articolo si applicanoanche ai contratti di locazione stagionale.

Le parti possono convenire che il canone di lo-cazione sia aggiornato annualmente su richiestadel locatore per eventuali variazioni del potere diacquisto della lira.

Le variazioni in aumento del canone, per i con-tratti stipulati per durata non superiore a quel-la di cui all’articolo 27, non possono esseresuperiori al 75 per cento di quelle, accertatedall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo perle famiglie di operai ed impiegati.

Le disposizioni del presente articolo si applicanoanche ai contratti di locazione stagionale ed aquelli in corso al momento dell’entrata in vigo-re del limite di aggiornamento di cui al secon-do comma del presente articolo.

Nuovo Art. 32

contrattuale sia superiore a quella minima di leg-ge 6 o 9 anni. La legge 14/2009 ha anche stabilitoche tale beneficio è applicabile anche ai contrattiin corso. Ovviamente, in questo caso, la clausolacontrattuale di aggiornamento non dovrà fare ri-ferimento specifico alla percentuale del 75%, maalla percentuale stabilita dalla legge o alla per-centuale massima stabilita dalla legge. Oppureben si potrà, in teoria, farne oggetto di nuovocontratto con il conduttore.La tabella sotto riportata evidenzia in dettaglio lemodifiche al suddetto articolo.

Conclusione

SEGUE A PAGINA 10

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Tale maggiore deregulation nell’aggiornamentodel canone consente di favorire maggiormentel’autonomia delle parti contrattuali e potrebberispondere a una volontà di omogeneizzare la di-sciplina delle due tipologie di immobili oppureanche alla volontà di incidere direttamente suiprezzi degli immobili commerciali.Infatti la maggiore flessibilità che la recente leg-ge estende anche ai contratti di locazione ad usodiverso da quello abitativo potrebbe essere larisposta a quanti si interrogavano sulle motiva-zioni della diversità di trattamento6.Per quanto riguarda invece la ratio della recenteprevisione di legge sembra che l’obiettivo sia lamaggiore autonomia contrattuale. Un’autonomiache risulta comunque delimitata dalle ipotesi dinullità di cui all’art. 79 della legge 392/1978 e dal-

 

Locazioni ad uso abitativo 

 

 

‐I contratti abitativi cosiddetti liberi non sono soggetti ad alcun vincolo per quanto riguarda l’aggiornamento. 

 

‐Il patto d’aggiornamento richiede la forma scritta. 

 

‐Generalmente si prevede l’aggiornamento annuale, automatico  e nella misura del 100% dell’indice Istat. 

LOCAZIONI AD USO ABITATIVO

-I contratti abitativi cosiddetti liberi nonsono soggetti ad alcun vincolo perquanto riguarda l’aggiornamento.

-Il patto d’aggiornamento richiede laforma scritta.

-Generalmente si prevedel’aggiornamento annuale, automatico enella misura del 100% dell’indice Istat.

-Il parametro di riferimento dellarivalutazione può anche essere diversodall’indice Istat.

-È nullo ogni patto per determinare unimporto del canone di locazione superiorea quello stabilito. La mancatacorresponsione da parte del conduttoredell’aggiornamento del canone, protrattanel tempo, costituisce causa per larisoluzione del contratto.

 

Locazioni ad uso abitativo 

 

 

‐I contratti abitativi cosiddetti liberi non sono soggetti ad alcun vincolo per quanto riguarda l’aggiornamento. 

 

‐Il patto d’aggiornamento richiede la forma scritta. 

 

‐Generalmente si prevede l’aggiornamento annuale, automatico  e nella misura del 100% dell’indice Istat. 

LOCAZIONI AD USO DIVERSO DAQUELLO ABITATIVO

-Dal 1 marzo 2009 la percentuale diadeguamento può arrivare al 100%dell’indice Istat, per i contratti cheprevedono una durata superiore a quellaminima di legge (6 o 9 anni).

-Tale rivalutazione si applica anche aicontratti in corso (se non prevedonospecificatamente il 75%).

-A differenza dei contratti a usoresidenziale, nelle locazioni ad usodiverso, il patto sull’aggiornamento puòanche essere verbale.

-Il parametro di riferimento è l’indice Istatdei prezzi al consumo.

-Il mancato pagamento da parte delconduttore dell’aggiornamento Istat,protratto nel tempo, può costituire motivodi risoluzione del contratto.

la durata contrattuale.Inoltre la possibilità di estendere l’ambito di appli-cazione della norma anche ai contratti in corso7

risponde a una maggiore liberalizzazione e ancheall’orientamento della recente giurisprudenza8.Possiamo quindi concludere che l’interventonormativo presenta sicuramente unaconnotazione positiva, l’unico elemento discuti-bile è relativo al parametro di riferimento: anchenella recente legge, per le locazioni commerciali,è stata ribadita l’indicizzazione al solo indice Istat.Questo evidenzia un altro aspetto di diversitàrispetto alle locazioni residenziali e inoltre sem-bra di dubbia ragionevolezza, dato che l’indicedel costo delle costruzioni, rappresenterebbe,secondo l’opinione dominate, il parametro piùadeguato9.

6 Gabrielli G., Padovini F., La locazione di immobili urbani, CEDAM, Padova, 2005, p. 362.Tale diversità poteva essere giustificata dal fatto che solo l’indicizzazione integrale del contratto ad uso diversodall’abitativo si riflette in uno stimolo immediato di pressione sul livello del prezzi, viceversa l’aggiornamento delcontratto ad uso abitativo, rappresentando un consumo finale, non si ripercuote direttamente su questo livello.7 La legge 14/2009 si riferisce ai contratti in corso, con durata superiore a quella minima di legge, ove le partiricontrattino la clausola relativa all’aggiornamento, ovvero nel caso in cui nel contratto sia contenuta una clausolache preveda l’aggiornamento Istat, nella misura massima stabilita dalla legge.8 Vedere Corte di Cassazione, 23 febbraio 2007, n. 4210.9 A Riguardo Tamborrino F., Le locazioni abitative, Il Sole 24 Ore, Milano, 2006, pp. 66-68.

Tipologia Locazioni residenziali Locazioni commerciali

Adeguamento di legge 75% 75%

Adeguamento massimo 100% 100%

Base di riferimento Libera

Indice ISTAT dei prezzi al

consumo per le famiglie di

operai e impiegati

Condizioni Nessuna Contratti con durata

minima superiore a quella

minima di legge (6 o 9

anni, rinnovabili)

Aggiornamento Istat

Aggiornamento Istatdel canone di locazione

SEGUE DA PAGINA 9

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 11

Accertamentidi esterovestizione in Veneto

INTERNAZIONALE

ENNIO VIAL Ordine di Treviso

IL COMMERCIALISTA VENETO

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IntroduzioneGli accertamenti in materia di esterovestizione disocietà si stanno pian piano diffondendo anchenella nostra regione. Quello che sembrava unproblema tipico delle multinazionali si sta invecerivelando una questione che riguarda principal-mente le piccole e medie imprese che, proprio peril fatto di non essere dotate di un impianto ammi-nistrativo e organizzativo particolarmen-te evoluto, rischiano di scivolare avolte ingenuamente in questabuccia di banana.Accade sovente che inoccasione di un acces-so, i verificatori rinven-gano fax, e mail e docu-mentazione varia che la-sciano presumere unpotere decisionale ita-liano con la inevitabileattrazione della residenzadella società estera nel no-stro Paese.Le conseguenze sono ca-tastrofiche: l’omessa tenu-ta delle scritture fa scattare un accerta-mento extracontabile con la proroga diun anno a causa della mancata presentazionedella dichiarazione dei redditi. La conseguenza è chein questo periodo, se l’impresa non ha aderito a nes-suna forma di condono, in caso di esterovestizionesi può arrivare ad essere accertati sino al 2002. Ilcontenzioso che ne esce è drammatico e il cinicosorriso del professionista che pensa di aver perle mani un “grosso” lavoro sfuma presto in an-goscia quando si sente minacciare dal suo clien-te una possibile azione di responsabilità profes-sionale per il fatto di non averlo informato ade-guatamente.

La prevenzione del problemaIl moto ormai trito, retaggio di una pubblicità chesentivamo da giovani o da fanciulli, ci ricordache la prevenzione è meglio della cura. Ma comeprevenire? Il primo passo è sicuramente quellodell’informazione al cliente che sappiamo dete-nere società all’estero. Ma per informare dobbia-mo essere consapevoli dell’ampiezza dellaproblematica che non può risolversi in una meralettura dell’art. 73 o di quattro slide recuperatead un convegno dove chi parlava non avevamagari mai esaminato professionalmente il caso.Un aneddoto divertente riguarda la storia di untale che si pregiava di implementare questo tipodi consulenza e che, recitandomi l’art. 73 co. 3 delTUIR, quando gli chiesi chiarimenti in merito alcriterio dell’oggetto dell’attività mi disse: “ma saiche non lo so!!!”. Tutti sanno cosa è l’oggetto

dell’attività, ma come identificare il luogo di que-sto oggetto? I processi verbali di constatazionediramati dalla Gdf sono tutt’altro che banali inquanto citano varia dottrina e mostrano di cono-scere anche le proposte di modifica alCommentario OCSE (questo sconosciuto!!!).E allora, volendo per un attimo distaccarsi dalleosservazioni sul tema ormai note a tutti, si sug-gerisce di approfondire i seguenti temi:- valutare se la sede dell’amministrazione riguardila gestione corrente o quella del top management;- approfondire il tema dell’oggetto dell’attività chenell’interpretazione data dall’Agenzia delle Entratenella C.M. 48/2007 diramata in materia di trust sem-bra coincidere con il luogo in cui si trovano i beni;- valutare se ci sono modalità ovviamente legaliper non segnalare la partecipata estera nel bilan-cio;- valutare riorganizzazioni intracomunitarie chenel rispetto della normativa antielusiva, consen-ta di ridurre questo tipo di problemi;- valutare il vero ruolo del Commentario OCSEcitato come fosse il Vangelo dai verificatori.

La disciplina della residenzaNell’attesa di avviare questi approfondimenti, ri-cordiamo alcune considerazioni di carattere ge-nerale sul tema. E’ ormai noto a tutti che l’art. 73,co.3 D.P.R. 22.12.1986, n. 917 stabilisce che unasocietà di capitali o un ente sono considerati re-

sidenti nel nostro Paese quando per la maggiorparte del periodo di imposta hanno in Italia:- la sede legale;- la sede dell’amministrazione;- l’oggetto principale della propria attività.La società è considerata residente quando an-che una sola delle condizioni appena illustratepuò dirsi verificata. L’art. 5, co. 2, lett. d) D.P.R.917/1986, inoltre, prevede una norma del tutto

analoga anche per le società di persone e leassociazioni professionali.

Ciò significa che la residenzanon è legata esclusivamen-

te al dato formale dellasede legale ma anche aquello sostanziale del-la sede dell’ammini-strazione. Pertanto, sela società italiana hatrasferito la propriasede all’estero, ma gliamministratori sonotutti italiani, la stessacontinuerà ad essereconsiderata residente(e tassabile) nel nostroPaese in quanto l’Am-

ministrazione Finanziariaavrà buon gioco a dimostrare che le decisionisono prese in Italia.Chiariamo con un esempio. Alfa Srl è una societàromena con un consiglio di amministrazione di 3soggetti italiani che si recano in Romania di tan-to in tanto per controllare e in occasione dell’ap-provazione il bilancio annuale.La società è probabilmente residente in Italia inquanto è difficile ipotizzare che il consiglio diamministrazione prenda le decisioni solamentein sede di approvazione del bilancio.

Le conseguenze della residenza italianae la disciplina convenzionaleIl fatto che la società estera sia considerata resi-dente in Italia comporta conseguenze di varianatura. Innanzitutto potranno esservi sanzioniper l’omessa tenuta delle scritture contabili nelnostro Paese, ma non solo. Si possono pensaread ulteriori conseguenze fiscali relative alla tas-sazione dei dividendi e delle plusvalenze1.Il problema della residenza è affrontata anchedall’art. 4 del Modello di Convenzione dell’OC-SE del 2008 il quale stabilisce che, se entrambi gliStati considerano residente una società in basealla proprie disposizioni interne, deve prevalereil criterio della sede dell’amministrazione.Ciò significa, per riprendere l’ultimo esempio

1 Alcuni effetti sono menzionati anche nel punto 8.2 della C.M. 4.8.2006, n. 28.

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SEGUE A PAGINA 7

proposto, che se la Soparfi Omega è effettiva-mente amministrata in Lussemburgo la stessanon potrà essere ritenuta residente in Italia2.Le Convenzioni stipulate dall’Italia si ispiranogeneralmente al modello Ocse per cui la portatadella nuova disciplina introdotta dal D.L. 223/2006 appare notevolmente ridimensionata in quan-to troverà applicazione nei casi in cui la societàintermedia risiede in un Paese non convenziona-to. Di fatto, si realizza solamente una inversionedell’onere della prova che sicuramente non gio-va al contribuente ma che tuttavia non sortiràparticolari effetti per gli operatori che corretta-mente amministrano le società estere all’estero.Il 18 luglio 2008 l’Ocse ha approvato il contenutodell’aggiornamento del 2008 del Modello di con-venzione contro le doppie imposizioni. L’appro-vazione è avvenuta da parte del consiglio in data17 luglio a seguito delle precedente approvazio-ne da parte del comitato per gli affari fiscali avve-nuta il 24 e 25 giugno. Sono state introdotte an-che talune modifiche al commentario dell’art. 4 inmerito al concetto di residenza delle persone fisi-che e delle persone giuridiche.Su quest’ultimo aspetto non si segnalano parti-colari novità, rimanendo sempre cruciale il con-cetto di «place of effective management» qualecriterio per far assegnare la residenza ad uno Sta-to in luogo della sede legale.Si è tuttavia consapevoli che questo criterio nonsia facile da applicare, soprattutto in considera-zione dei progressi della tecnologia. IlCommentario, al riguardo, menziona anche la po-sizione sostenuta da alcuni paesi secondo cui èimpossibile fornire un criterio generale doven-dosi fare, piuttosto, una valutazione caso per caso.Seguendo questa impostazione si suggeriscel’utilizzo di una clausola convenzionale che affi-di la risoluzione della questione ad un mutuo ac-cordo tra le autorità di riferimento. Si tratta di unapproccio pragmatico che risolverebbe il proble-ma in modo definitivo, evitando possibili conflit-ti tra i due paesi. Il commentario suggerisce inogni caso di considerare, ai fini della valutazio-ne, i seguenti aspetti come :- il luogo dello svolgimento dell’attività da partedell’Amministratore delegato o di altri consiglie-ri delegati;- la gestione quotidiana dell’attività sociale;- la localizzazione del quartier generale della società;- la legge nazionale che regola i contratti;- il luogo di tenuta delle scritture contabili.

Accertamentidi esterovestizionein Veneto

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2 L’art. 4, paragrafo 3 della Convenzione tra l’Italia e ilLussemburgo stabilisce che quando, in base alle disposi-zioni del paragrafo 1, una persona diversa da una perso-na fisica è considerata residente di entrambi gli Staticontraenti, si ritiene che essa è residente dello Statocontraente in cui si trova la sede della sua direzioneeffettiva.Il paragrafo 1 stabilisce che «Ai fini della presente Con-venzione, l’espressione «residente di uno Stato contraen-te» designa ogni persone che, in virtù della legislazione didetto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Statoa motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sededella sua direzione o di ogni altro criterio di natura ana-loga».Quindi la Soparfi sarà considerata residente in Italia inbase alla normativa interna (art. 73, co. 5 bis) tuttavia ilsuccessivo paragrafo 3 farà rilevare come in passato lasede della amministrazione effettiva.

Alcune recenti sentenze della Corte Europea hanno reso nuovamente attuale(pur dopo la pronuncia resa in materia dalla Corte Costitzionale con la sentenzan. 356/2008) la questione tesa ad appurare se la norma di proroga degliaccertamenti fiscali legata ai condoni di cui alla Legge n. 289/2002, in ispeciel’art. 10 di detta legge, sia compatibile con la normativa europea, tanto in materia

tributaria quanto in materia di certezza del diritto finalizzata a non penalizzare la liberacircolazione dei beni, dei servizi e dei capitali. Un primo quesito si pone in raffronto a quantodeciso dalla Corte di Giustizia CE – Sez. Grande con le sentenze n. C-132/06 e C-174/07emesse rispettivamente il 17 luglio e l’11 dicembre 2008. Con tali pronunce, i giudici continentalihanno infatti statuito che le norme sul condono attuano un’ingiustificata disparità ditrattamento in favore dei contribuenti che abbiano aderito al condono ed in danno di quelliche invece – per qualsiasi motivo – non lo abbiano fatto.Ciò in quanto, secondo le citate sentenze, la libertà attribuita a ciascuno Stato membro dellaComunità in relazione al modo di utilizzare i mezzi a disposizione nell’ambito delle operazionidi accertamento è limitata “…dall’obbligo di non creare differenze significative nel mododi trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insiemedi tutti loro”.Con le stesse sentenze la Corte di Giustizia CE, nel sostenere che la legge n. 289/2002pregiudica seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’IVA (con particolareriferimento agli articoli 2 e 22 della sesta Direttiva ed all’art. 10 del Trattato CE), afferma che:“Le disposizioni di detta legge, introducendo rilevanti differenze di trattamento fra isoggetti passivi sul territorio italiano, alterano il principio di neutralità fiscale”. Insostanza, interpretando le decisioni della Corte continentale, appare ragionevole laconclusione che escludere totalmente dall’accertamento quella parte di contribuenti cheabbia aderito al condono in danno di coloro che – per qualsiasi circostanza – non abbianousufruito di tale possibilità, prolungando fra l’altro i termini di accertamento in danno diquesti ultimi, costituisca una inammissibile disparità di trattamento fra soggetti aventi glistessi diritti e doveri.Con la sentenza emessa in data 11 giugno 2009 in ordine alle cause n. C-155/08 e C-157/08, laCorte di Giustizia CE, Sez. IV, ha inoltre stabilito il principio secondo cui risponde all’esigenzadi certezza del diritto, ai fini dell’applicazione degli artt. 49 e 56 del Trattato Istitutivo della CE(libera circolazione dei servizi e dei capitali) il fatto che uno Stato membro preveda un terminecerto per l’espletamento degli accertamenti fiscali (si trattava in quei casi della proroga di dettitermini, da 5 a 12 anni, prevista da alcuni Stati - Olanda e Germania in particolare - nel caso dioccultamento di capitali all’estero da parte di propri cittadini). In particolare, la Corte ha conclusoche la normativa interna che stabilisce un termine di rettifica fiscale prolungato per situazioniparticolari non è incompatibile con gli artt. 49 e 56 del Trattato a condizione che:

1. le situazioni a cui fare riferimento in ordine alla proroga dei termini siano oggetto dioccultamento da parte del cittadino alle autorità tributarie del suo stato;

2. le autorità non dispongano di alcun indizio, tale da consentire l’avvio di un indagine,in merito all’esistenza di maggiori imponibili collegabili a dette situazioni.

In ogni altro caso, dunque, la previsione di una proroga dei termini di accertamento, avendol’effetto di minare la certezza del diritto penalizzando il trasferimento di servizi e/o di capitalida uno Stato all’altro della Comunità, viene giudicata dalla Corte come discriminatoria e taleda violare gli artt. 49 e 56 del Trattato. Nel caso che qui interessa, a parere di chi scrive, è daritenersi che la proroga dei termini di accertamento per consentire allo Stato italiano diportare a termine le procedure legate al condono fiscale abbia creato una situazione disfavore per quegli operatori comunitari i quali, sulla base della conoscenza dei termini ordinariper l’accertamento delle imposte, avevano trasferito le proprie attività e i relativi capitali nelnostro Paese prima dell’emanazione delle norme di sanatoria fiscale, subendo fra l’altrol’ingiusta imposizione di dover pagare una “tassa” straordinaria, non prevista né prevedibile,al solo fine di non subire il prolungamento dei termini per l’accertamento. Così facendo, loStato italiano, avrebbe pertanto violato la normativa europea in discorso.Sulla base di tali considerazioni verrebbero fra l’altro superate anche le giustificazioni datealla proroga dei termini dalla Corte Costituzionale italiana, con la sentenza n. 356/2008, laquale, richiamandosi a concetti già espressi in passato in ordine ai precedenti condoni, haritenuto prevalente, in relazione al principio di buon andamento della PubblicaAmministrazione, l’interesse dello Stato italiano a portare a termine le procedure legate aicondoni senza pregiudicare l’azione accertatrice.Opportuno sarebbe che la giurisprudenza tributaria di merito, opportunamente sollecitataladdove tali eccezioni siano proponibili, non le trascuri ma le riproponga ai giudici competentiquali, nuovamente, la Corte Costituzionale, sotto il profilo della compatibilità della normanazionale con quella comunitaria, ovvero, con la procedura di rinvio pregiudiziale, la stessaCorte di Giustizia CE.

Proroga accertamentiin seguito a condono

SENTENZE EUROPEE

CLAUDIO POLVERINO Ordine di Gorizia

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L'enciclica e l'economia

L’integralità dello sviluppoNel paragrafo 18 il Papa, molto acutamente, ri-prendendo le parole di Paolo VI, ripropone il con-cetto di “autentico sviluppo” che va inteso come“integrale, il che vuol dire volto alla promozionedi ogni uomo e di tutto l’uomo” [p. 24]. Al para-grafo 42 questo concetto viene espresso in ter-mini più incisivi auspicando che la globalizzazionedell’umanità avvenga in termini di “relazionalità,di comunione e di condivisione”. [p. 70]

Passaggi salienti dell’enciclica Eventuali correlazioni con i principali filoni di studio nella scienza economica

COSTITUISCE SICURAMENTE UNA SFIDA notevole per gli economisti, quella appena sottolineata.Con un semplice esempio sta ad indicare che se la forza lavoro, in un contesto di staticità, è pari a L,con La i lavoratori del mondo sviluppato e Lb quelli del mondo sottosviluppato, in un sistema diequilibrio economico “statico”, la variazione positiva della prima variabile non deve trovarecompensazione con una variazione di segno opposto della seconda [giacchè, in tal caso, la crescitain un paese nell’impiego dei gruppi di lavoratori al medesimo appartenenti avverrebbe a danno deilavoratori del secondo paese]. In una logica invece di “mutuo beneficio”, le variazioni dei fattoriproduttivi primari [di cui l’uomo è il più importante, come dirà in un successivo punto il Pontefice]devono essere ambedue positive. E’ evidente il riferimento ai modelli di sviluppo con impiego disolo lavoro [filone post-keynesiano] e soprattutto le condizioni di pieno impiego del fattore lavoroin presenza di mutamenti tecnologici secondo lo schema di Kregel e Pasinetti [1993].E’ altresì evidente la preservazione del ruolo del mercato come strumento per l’avvicinamento deipopoli [la relazionalità], anche se lo stesso dovrà essere accompagnato da una apposita ed adeguatastruttura sovranazionale che accompagni il percorso della globalizzazione all’interno di un disegnopiù ampio di comunione; il tutto nel rispetto dell’equa ripartizione dei surplus o sovrappiù a livellomondiale [la condivisione].Il paper di Mastromatteo Giuseppe “Sviluppo economico e sviluppo umano nell’età dellaglobalizzazione”, sintetizzato opportunamente, aiuta a meglio spiegare ed approfondire alcuni aspettilegati alla problematica.

La “moralità” nell’utilizzo del profittoL’affermazione sul punto del Pontefice èpoderosa: “Il profitto è utile se, in quanto mezzo,è orientato ad un fine che gli fornisca [all’uomo]un senso tanto sul come produrlo quanto sulcome utilizzarlo. [p. 29].

QUI SI APRE UN DIBATTITO, alquanto esteso, circa il reimpiego [accumulazione del profitto]. IlPapa non prende una posizione netta riguardante il giudizio se ed entro quali misura sia consentito ilreinvestimento del profitto per scopi ancora produttivi [la crescita economica] oppure per la suadestinazione ad altri fini. Si limita semplicemente ad avvertire l’umanità che se il profitto è “malprodotto” [p. 30] e senza il bene comune sotteso come fine ultimo, allora rischia di distruggerericchezza e creare povertà. Si tratta evidentemente di una ricchezza che viene misurata non con ilmetro monetario ma con parametri e valori di riferimento che investono la persona nella suo sviluppointegrale ed armonioso.

“Obbiettivi/strumenti”. Parziale superamenodella “Popolorum progressio”Il Papa sottolinea come, in passato, vi era spazioper politiche [economiche] che assegnavano uncompito centrale, anche se non esclusivo, ai“poteri pubblici” (cita in proposito Paolo VI,Popolorum Progressio, n. 23.33).Oggi invece “..lo Stato si trova nella situazionedi dover far fronte alle limitazioni che alla suasovranità frappone il nuovo contestoeconomico-commerciale e finanziariointernazionale, contraddistinto anche da unacrescente mobilità dei capitali finanziari e deimezzi di produzione materiali ed immateriali.Questo nuovo contesto ha modificato il poterepolitico degli Stati” [p. 34]

IL PONTEFICE PRENDE ATTO che, sul piano delle politiche macroeconomiche, è finita l’epoca deimodelli à la “Fleming-Mundell”, molto in voga ed utilizzati in Europa a partire dai primi anni ’60 finoal termine degli anni ’90. Il modello trovava fondamento sulla assegnazione dell’obbiettivo dellapiena occupazione o alla politica monetaria o alla politica fiscale, in presenza di tassi di cambioflessibili. La globalizzazione, di fatto, ha comportato una contrazione dell’autonomia di strumentolegato alla politica monetaria.La ragione è riconducibile al fatto che l’elasticità dei movimenti dei capitali rispetto ai tassi di interes-se [determinati dal processo di globalizzazione dei mercati], di pari passo con la creazione di areevalutarie, ha svuotato di contenuto l’autonomia decisionale (deliberativa) dei poteri pubblici locali.La conseguenza è che il fenomeno dovrà accentuare non solo “accordi bilateriali” [che avevano unaforte spinta in materia di tassi di cambio] ma concertazioni di ampio respiro a livello di banche centrali,del tipo la Banca Europea.

Conseguenza: sono nate nuove forme di com-petizione tra Stati onde attirare centri produt-tivi di imprese straniere, tra le quali un fiscopiù favorevole e soprattutto la “deregulation”a livello di protezione sociale.Il Pontefice, nel paragrafo 25 dell’Enciclica, ma-nifesta una non comune preoccupazione legataalla ricerca di “vantaggi competitivi” tra Stati adanno del benessere sociale globale.

SU QUESTO PUNTO LA LETTURA economica è sterminata. Basti in proposito confrontarsi conl’economia delle imprese multinazionali, tese a sfruttare tutte le aree di potenziale agevolazione insitenelle normative dei vari Stati [sviluppati e non].Il Papa, giustamente, caldeggia l’importanza di dare una risposta pronta e lungimirante all’“urgenzadi instaurare nuove sinergie a livello internazionale, oltre che locale”.

“Il primo capitale da salvaguardare e valoriz-zare è l’uomo..” [p. 37]. Si veda anche quanto ilPapa andrà dicendo a proposito della crescitadella popolazione in correlazione con la morsadel sottosviluppo [p. 73, paragrafo 44].

L’argomento può essere sviluppato facendo leva sul paper di Bowles e Gintis [“Social capital andcommunity governance”, Economic Journal, 2002] nel quale vengono posti in rassegna alcuni impor-tanti contributi e modellistica applicati ai PVS riguardanti l’importanza dello sviluppo del capitaleumano nel contesto di profilo “comunitario”. Vedere in proposito la sintesi della modellistica svilup-pata, i cui risultati sembrano egregiamente in linea con il principio proposto dal Santo Padre.

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 15IL COMMERCIALISTA VENETO

L'enciclica e l'economiaPassaggi salienti dell’enciclica Eventuali correlazioni con i principali filoni di studio nella scienza economica

La generalizzazione della giustizia al sistemadi mercato. “Senza forme interne di solidarietàe di fiducia reciproca, il mercato non può pie-namente espletare la propria funzione econo-mica” [p. 55].Il tutto nella convinzione, che peraltro fu già diPapa Paolo VI, che in presenza della giustiziaquale guida dei processi di interscambio fra glistati ricchi e i paesi poveri, “… i primi a trarrebeneficio dallo sviluppo dei Paesi poveri sareb-bero stati quelli ricchi.”Ancora più incisivamente, in un successivo pas-saggio dell’Enciclica, sulla scorta di quanto giàaffermato dal Pontefice Paolo VI, l’attuale SantoPadre pone l’accento sul fatto che occorre “…va-lutare seriamente il danno che il trasferimentoall’estero di capitali a esclusivo vantaggio per-sonale può produrre alla propria Nazione..”[paragrafo 41, p. 64].Ancora, prendendo sempre le mosse dal prede-cessore, “La diffusione delle sfere di benessere alivello mondiale non va, dunque, frenata con pro-getti egoistici, protezionistici o dettati da inte-ressi particolari…” [p. 69]

La questione andrebbe affrontata nella branca scientifica riguardante i vantaggi conseguenti daapertura commerciale giusta e solidale nei confronti dei paesi in via di sviluppo.In campo scientificol’affermazione del Santo Padre risulta da moltissimo tempo “provata”. Basterà solo per adesso citarela problematica dell’”immizerising growth”, scoperta nel lontano 1958 dall’economista indiano JagdishBhagwati (considerata uno dei paradigmi più importanti della teoria del commercio internazionalereale), fondata sulla dimostrazione che anche aprendosi ad interscambio con l’estero un paese, pur inpresenza di progresso tecnologico, potrebbe non guadagnare grazie al commercio internazionale. Laragione è riconducibile al peggioramento del “term of trade” correlato ad una determinata strutturadella domanda interna ed internazionale del bene o del paniere di beni da produrre. Questo non deveavvenire.Per ragioni di completezza si puntualizza come il triste fenomeno testè detto non emergereb-be e addirittura incrementerebbe il benessere dei paesi ricchi sulla scorta della dimostrazione che unmaggior benessere all’esterno accresce la domanda di manufatti tecnologicamente più avanzati pro-dotti dai paesi sviluppati. Per questa via il progresso tecnico riceve nuovi impulsi di generalizzazionee si dimostra che così operando gli incrementi di benessere delle due aree del mondo [sviluppato enon] fanno il paio.Si potrebbe prendere le mosse, per questo aspetto, dalla rassegna di Carlo BerniniCarri “Trade liberalization, growh and food security”, disponibile sul Web.Sicuramente, nella valuta-zione degli effetti di ricaduta sulle economie in via di sviluppo di una apertura ad interscambio, nonva trascurato il ruolo di “traino” che è rappresentato dal settore dei “non-traded goods”, settore nelquale rientra a pieno titolo anche la branca dell’economia “non-profit”, argomento questo che meritaun approfondimento a parte. L’evidenza empirica ha al riguardo dimostrato come il progresso tecno-logico potrebbe comportare, in presenza di un simile rilevante comparto dell’attività economica, unacontrazione dei salari dei lavoratori meno “addestrati” [unskilled workers], impatto che sarebberelativamente minore nei paesi esportatori netti di beni incorporanti maggior progresso tecnologicorispetto ai paesi partners. Il principio etico-morale deve assumere, in tale contesto, un ruolo dipreminente importanza [“Non-traded goods, technical progress and wages”, di Olodi R. e Beladi H.,in “Open Economies Review”, 2008]. Potrà risultare complicato effettuare generalizzazioni allorchè lematerie prime delle nazioni esportatrici [paesi in via di sviluppo, almeno allo stadio iniziale dell’analisidinamica] si configurino come “beni produttivi puri”, potendo in qualche caso comportare mutamen-ti di intensità fattoriale tali da mutare la direzione di cambiamento dell’offerta, delle remunerazionicomparative dei fattori della produzione e quindi i livelli di benessere raggiungibili [sia dei paesiimportatori che esportatori di queste]. Ma lo sprone che promana dal Pontefice è quello di ponderare,in un’ottica di dinamicizzazione dei processi economici, tutti questi aspetti e fenomeni intimamente“interconnessi”, per il principio di fondo dell’enciciclica che ormai non è più possibile separare le fasidel processo economico bensì considerarle nel loro insieme, quindi anche le fasi intermedie dellaproduzione che potrebbero riverberarsi nella direzione di imprimere mutamenti umanamente sfavore-voli [per le nazioni povere] alle remunerazioni fattoriali [in sostanza il teorema di Rybczynsky eStolper-Samuelson da adattare nella cornice di valori giudicati “etici” dalle autorità sovranazionali].Il tutto complicato poi dalla presenza eventuale di mobilità internazionale dei fattori della produzionediversi dal capitale [il lavoro in particolare]. Molta strada da fare sul piano della risposta scientifica atali sollecitazioni, quindi!

“La logica del dono senza contropartita” [p.59]Il Pontefice punta il dito sul fatto che ogni seg-mento del processo economico [“il reperimentodelle risorse, i finanziamenti, la produzione, il con-sumo e tutte le altre fasi del ciclo economico ..”]hanno implicazioni morali.Oggi, a causa della globalizzazione, non è piùlecito pensare come in passato secondo lo sche-ma che prima l’economia si preoccupa della pro-duzione e successivamente la politica del compi-to della sua distribuzione.Nel mondo moderno, pur essendo importante lagiustizia contrattuale [commutativa], tuttavia nonmeno importante si palesa “la logica del donosenza contropartita”.

LE ARGOMENTAZIONI A SOSTEGNO E SVILUPPO di questa importante affermazione sono conte-nute nel working paper del prof. Zamagni S. “Gratuità e agire economico: il senso del volontariato” n.9, marzo 2005, AICCON, Università Bologna e dello stesso autore “Responsabilità delle imprese e“democratic stakeholding””, working paper n. 28/2006, presso lo stesso ente.In tali papers vi sono riportati i fondamenti scientifici della argomentazione in disamina.In buona sostanza la logica del “dono senza contropartita” sta a significare che nel circuito econo-mico si frappongono soggetti che producono “a costo monetario nullo o quasi” beni e/o servizi chevengono non destinati al mercato [pur essendo in qualche caso surrogabili con prodotti provenientida enti appartenenti al comparto “profit”] bensì destinati a determinate categorie sociali. Questaproduzione/collocazione/distribuzione dei prodotti interrompe il ciclo economico inteso nell’acce-zione tradizionale in quanto, non essendoci scambio e pagamento di fattori della produzione, vienemeno il termine di raffronto per la produttività.

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L'enciclica e l'economiaPassaggi salienti dell’enciclica Eventuali correlazioni con i principali filoni di studio nella scienza economica

La non esclusività dell’impresa capitalistica“Accanto all’impresa privata orientata al profit-to, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono po-tersi radicare ed esprimere quelle organizzazioniproduttive che perseguono fini mutualistici esociali. E’ dal loro reciproco confronto sul merca-to che ci si può attendere una sorta di ibridazionedei comportamenti d’impresa e dunque un’atten-zione sensibile alla civilizzazione dell’economia.”[par. 39, p. 60]. Ancora, al paragrafo 39, si legge: “Ilbinomio esclusivo mercato-Stato corrode lasocialità, mentre le forme economiche solidali, chetrovano il loro terreno migliore nella società civilesenza ridursi ad essa, creano socialità” [p. 62].Tali nuove imprese arrecano, secondo il Pontefi-ce, “un mercato più civile e allo stesso tempo piùcompetitivo” [p. 78, par. 46].Ed è influente “il fatto che queste imprese distri-buiscano o meno gli utili oppure che assumanol’una o l’altra delle configurazioni previste dallenorme giuridiche diventa secondario rispetto allaloro disponibilità a concepire il profitto come unostrumento per raggiungere finalità diumanizzazione del mercato e della società”, para-grafo 46, p. 77.Addirittura il Pontefice, quasi con taglio daeconomista macroeconomico giunge ad affer-mare a p. 66 che “Questa concezione più ampia[del ciclo economico e più in generale dei pro-cessi economici, ndr] favorisce lo scambio e laformazione reciproca tra le diverse tipologie diimprenditorialità, con travaso di competenzedal mondo non profit a quello profit e vicever-sa, da quello del pubblico a quello proprio del-la società civile, da quello delle economie avan-zate a quello dei paesi in via di sviluppo”.Personalmente ed umilmente ritengo quest’ul-timo passaggio di una fecondità sorprendente atutti i livelli dell’economia.

IL PAPA SEMBRA SUGGERIRE AGLI ECONOMISTI [in primis ma poi anche ai politici] una attenzio-ne molto puntuale (e scientificamente provata) da rivolgere al versante del “fallimento del mercato”nei contesti ovviamente dove potrebbe verificarsi [non in linea di principio, in quanto, testualmente,egli ammette la coesistenza delle imprese tradizionali, dello Stato e di quelle appartenenti ad un nuovosettore]. A questo riguardo vien molto semplice osservare come la produzione dei servizi nonscambiabili internazionalmente non attirerebbe nel settore specifico capitale a sufficienza, essendo lasua produttività marginale potenzialmente più bassa rispetto ai rimanenti settori altamente competi-tivi ed esposti, soprattutto, alla concorrenza esterna. La gestione diretta dello Stato [intromissionetradizionale] nella produzione dell’output corrispondente al soddisfacimento dei bisogni sociali ren-derebbe alquanto costosa la prospettiva [si pensi in proposito alla necessaria burocratizzazione chene seguirebbe]. Ecco che allora molto giustamente il Papa sottolinea la necessità di una coesistenzafra le imprese del settore profit [orientate al profitto secondo l’accezione tradizionale che gli econo-misti forniscono], che forniscono allo Stato una parte dei loro surplus sottoforma di tassazione e leimprese appartenenti al settore non-profit [che di regola vengono “detassate” in radice, si pensi alriguardo alle ONLUS italiane]. Coesistenza che addirittura porterebbe il sistema economico a vincerein partenza problematiche posizioni di monopolio ma comunque a garantire una maggiore concorren-za, con susseguente benessere generalizzato per tutti gli appartenenti alle singole comunità. E ilprofitto [“surplus”] che anche tali imprese sono in grado di conseguire troverà, a differenza delguadagno delle imprese “profit-oriented”, diretto reinvestimento nello stesso loro gruppo di appar-tenenza (anziché parzialmente devoluto allo Stato o consumato).Sono due modi non diametralmenteopposti di produzione bensì complementari, il cui effetto di “spillover” è tutto da approfondire estudiare, nonostante l’esistenza di alcuni studi (in Italia) che si indirizzano verso tale filone dellaricerca [Zamagni]. Il Pontefice invoca in proposito l’auspicio che in tutti i paesi queste nuove formedi imprese trovino una “adeguata configurazione giuridica e fiscale” [p. 78]. A modesto parere di chiscrive il Papa, inconsapevolmente forse, nel passaggio di p. 66 dell’Enciclica, è come se avesse“riesumato”, ma in maniera positiva, l’importante teorema del Professor Baumol sull’interazione fra laproduttività e il progresso tecnologico del settore privato e quello pubblico, nella versione dinamicarecentemente estesa dalla nuova letteratura economica. Solo che vi ha aggiunto un terzo settore. Suquesto filone di indagine necessiteranno approfondimenti e ricerca. Potrà risultare utile, nello spiritodell’enciclica [laddove il Pontefice fa riferimento ad esempio alla “sussidiarietà fiscale”, che permet-terebbe ai cittadini di decidere sulla destinazione di quote delle loro imposte versate allo Stato, p.101], individuare quei sistemi di sostentamento del “terzo settore”, che consentano di ottimizzarnel’utilità [ad esempio l’analisi condotta dal Prof. Bises “Sistema tributario e settore non profit”, paperpresentato al convegno del 6-7 ottobre 1995 presso il SIEP Università di Pavia in ordine al finanzia-mento del settore o mediante appositi “grants” ovvero tramite esenzione tributaria]. Quando il Pon-tefice fa riferimento in senso generico alle “organizzazioni” che perseguono fini mutualistici e sociali,egli si riferisce, implicitamente, per l’Italia, alle cooperative, alle associazioni e fondazioni, alle ONLUSe, da ultimo, alle imprese sociali di cui al D.Lgs. 155/06 che ha innovato non poco nella materia.

La gestione dell’impresaDa ciò nasce l’esigenza, secondo il SantoPadre, che “…la gestione dell’impresa non puòtener conto degli interessi dei soli proprietaridella stessa, ma deve anche farsi carico di tuttele altre categorie di soggetti che contribuisco-no alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, ifornitori dei vari fattori di produzione, lacomunità di riferimento..” [paragrafo 41, p. 63].E ciò nel riflesso che “l’imprenditorialità ha unsignificato plurivalente” [ p. 65]

IL COLLEGAMENTO DIRETTO DI QUESTA AFFERMAZIONE si individua con riguardo alla “socialaccountability”, cioè a dire la rendicontazione sociale [bilancio sociale, bilancio di missione, calcolodel “valore aggiunto sociale”] perché solo in quest’ottica si riesce ad individuare il contributo che lepersone, le categorie e i gruppi sociali hanno portato alla creazione del benessere.

L’eticità dei processi economici“L’economia ha bisogno dell’etica per il suo cor-retto funzionamento, non di un’etica qualsiasima di un’etica amica della persona..”, paragrafo45, p. 75.

NON È ALTRO QUANTO SI PROPONE di investigare la fiorente letteratura sviluppatasi a partiredal contributo seminale del professor Sen.Qui lo studioso viene saggiamente rivalutato.

Il ruolo centrale del “lavoro”“Considerare l’aumento della popolazione comecausa prima del sottosviluppo è scorretto, anchedal punto di vista economico..” paragrafo 44, p. 73Ancora: “Grandi Nazioni hanno potuto uscire dal-la miseria anche grazie al grande numero e allacapacità dei loro abitanti”, stesso paragrafo, p. 74

Non è altro che la predizione del professor Luigi Lodovico Pasinetti, sviluppata in molteplici suoicontributi [si ricorda, per tutti, “A multisector growth model”, 1963, in “Pontificiae AcademiaeScientiarum Scripta Varia”], laddove egli sostiene che il tasso di crescita del sistema economico èvincolato al tasso di crescita della popolazione [oltre allo sviluppo della tecnologia]. Su questo puntopenso che ci sia pochissimo da scrivere.

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 17

Rimborsi assicurativi e impresa:sempre reddito?

NORME E TRIBUTI

ANGELA LORO Praticante Ordine di Vicenza

IL COMMERCIALISTA VENETO

RiepilogoLa stipula di contratti di assicurazione contro idanni consente alle imprese di ottenere dei risar-cimenti a fronte di fatti straordinari allavita aziendale. Dal punto di vista tri-butario tali somme sono consideratein maniera differente. Gli indennizzi voltia compensare la perdita/danneggia-mento di beni merce o il mancato gua-dagno vengono trattati ai fini fiscalialla stregua di ricavi o sopravvenienzeattive, partecipando quindi, senza al-cun dubbio, alla formazione del redditoaziendale. Per quanto riguarda invece ibeni strumentali, la partecipazione al red-dito va valutata di volta in volta, tenen-do in considerazione l’entità del dannosubito (totale o parziale) e l’importo ot-tenuto dall’istituto assicurativo.

La disciplina fiscaledei risarcimenti assicurativiIn questo articolo si mettono in evi-denza le diverse tipologie di rimborsiassicurativi, valutando in particolarela loro possibilità di partecipare alla de-terminazione del reddito d’impresa. Lesomme incassate a titolo di risarcimentopossono essere alternativamente con-siderate:- Ricavi (art. 85, c. 1, lett. f): Sono conside-rati ricavi “le indennità conseguite a titolo di ri-sarcimento, anche in forma assicurativa, per laperdita o il danneggiamento di beni di cui alleprecedenti lettere”, (ossia i beni alla cui produ-zione o al cui scambio è diretta l’attività dell’im-presa ed inoltre le materie prime, sussidiarie,semilavorati ed altri beni mobili, esclusi quelli stru-mentali, acquistati o prodotti per essere impiega-ti nella produzione);- Plusvalenze (art. 86, c.1, lett. b): Sonoconsiderate plusvalenze i risarcimenti “anche informa assicurativa, per la perdita o il danneggia-mento dei beni” relativi all’impresa, diversi daquelli indicati nel comma 1 dell’art. 85. L’ammon-tare della plusvalenza è costituito “dalla diffe-renza fra il corrispettivo o l’indennizzo consegui-to, al netto degli oneri accessori di diretta impu-tazione, e il costo non ammortizzato” (comma 2dell’articolo 86);- Sopravvenienze attive (art. 88, c. 3, lett.a): Sono considerate sopravvenienze attive “leindennità conseguite a titolo di risarcimento, an-che in forma assicurativa, di danni diversi daquelli considerati alla lettera f) del comma 1 del-l’articolo 85 e alla lettera b) del comma 1 dell’ art.86". Si ha sopravvenienza attiva solo qualora inun precedente periodo di imposta sia stato iscrit-to un danno (componente negativo) in bilancio

(Cass. Sez. I, 3.7.1997, n.5989).Le indennità in esame concorrono a determinareil reddito dell’esercizio in cui diventano certe eobiettivamente determinabili, ai sensi dell’art. 109,comma 1 del TUIR, e ciò a prescindere dall’avve-nuta liquidazione concreta delle somme all’assi-curato. L’esistenza di un documento interno allacompagnia assicurativa e prodotto all’assicura-to in cui si liquida il risarcimento per un determi-nato importo conferisce definitività al provento(Risoluzione 251/E del 14 settembre 2007, Agen-zia delle Entrate).Detto ciò, passiamo ora a valutare più in detta-glio la disciplina fiscale, peraltro non unitaria,che caratterizza gli indennizzi per la perdita/dan-neggiamento di beni.

1. Indennità per danneggiamento o perditadi beni merce

In questo caso la somma conseguita sotto formadi rimborso assicurativo viene considerata allastregua di un ricavo; essa infatti è diretta a com-pensare:- il mancato o minor ricavo che si sarebbeconseguito dall’alienazione dei beni danneggiatio persi;- ovvero,il minor valore delle rimanenze finali.In tale situazione il ricavo sarà tassato come una

qualsiasi vendita nell’anno, secondo il principiodella competenza economica sancito dall’art. 109,comma 1, del TUIR.

Dal punto di vista economico, ai sud-detti ricavi sono contrapposti i costiderivanti dalla perdita della merce, ri-levata nella contabilità di magazzinomediante scritture di storno, con ef-fetto di diminuire le rimanenze finali.Se l’indennità viene liquidata nel-l’esercizio della rilevazione del dan-neggiamento o il relativo credito ècomunque certo e obiettivamentedeterminabile alla data di redazionedel bilancio d’esercizio, il risarcimen-to costituirà un ricavo; costituirà in-vece sopravvenienza attiva se talipresupposti si verificano in un eser-cizio successivo a quello nel quale siè subito il danno (cfr. Ris. 251/E 2007)

2. Indennità per perditao danneggiamentodi beni strumentaliPer quanto riguarda l’indennizzo dibeni strumentali si possono prospet-tare diverse situazioni con differentieffetti dal punto di vista fiscale.Nel caso in cui un bene strumentalevenga completamente distrutto, la

differenza tra l’ammontare dell’indennizzo e l’ul-timo costo fiscalmente riconosciuto del benecostituisce plusvalenza (stesso esercizio) osopravvenienza (altro esercizio). Tale differenza,sia essa plusvalenza o sopravvenienza, concor-rerà a formare il reddito per l’intero ammontarenell’esercizio in cui è stata conseguita, oppure,qualora i beni strumentali siano posseduti da unperiodo non inferiore a tre anni, a scelta del con-tribuente, in quote costanti al massimo in cinqueanni.Nel caso invece di “danneggiamento” del beneche abbia prodotto soltanto una diminuzione divalore del bene (riduzione di funzionalità del bene,a prescindere dall’entità della medesima riduzio-ne, ad esempio, un crollo del tetto del fabbricatoaziendale) è necessario stornare la quota di costoe di ammortamento relativi alla parte andata per-duta. In tale ipotesi, posto che sia possibile, laplusvalenza derivante dal rimborso assicurativosarà costituita dalla differenza tra l’indennizzo con-seguito, al netto degli oneri di diretta imputazione,e il costo del bene non ammortizzato proporzio-nalmente attribuibile alla parte del bene danneg-giato1.Così come sottolineato in precedenza, se l’in-

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1 Per determinare la plus/minusvalenza derivante dall’indennizzo assicurativo, nell’ipotesi di bene strumentale o patrimoniale che abbia subito un danno che ne comporti unariduzione del valore patrimoniale, si può fare riferimento a quanto disposto nella relazione degli Ispettorati di Compartimento del 28-29 giugno 1989, nella quale è statoprecisato che la plusvalenza va determinata utilizzando la seguente formula:

indennizzo ricevuto x costo residuo fiscalmente riconosciutovalore normale del bene (determinato senza considerare il danno subito)

La differenza tra l'importo dell'indennizzo conseguito e la "quota di costo relativa al bene danneggiato", così ottenuta, determinerà la relativa plus/minusvalenza.

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dennizzo o parte di esso non viene liquidato nel-l’esercizio, non essendo ancora certo nédeterminabile, parteciperà a determinare il risul-tato, e dunque il reddito, nell’esercizio in cui ver-rà liquidato quale sopravvenienza attiva2.Se il danno è tale da poter essere riparato, il beneal quale si riferisce, reintegrato nella sua funzio-nalità, manterrà i valori espressi in bilancio primadell’insorgenza del danno, mentre le spese di ri-parazione concorreranno alla formazione dellabase imponibile come componenti negativi e ilrelativo indennizzo assicurativo costituirà com-ponente positivo di reddito da contrapporre allespese di riparazione.

3. Altre indennità e risarcimentiEsistono poi altre indennità, ad esempio quelleriguardanti le polizze “All Risks” o “Danni Indi-retti” che indennizzano l’azienda anche perevenienze diverse dalla perdita di beni materiali,quali, ad esempio, i risarcimenti a terzi danneg-giati, i risarcimenti per mancato guadagno o altreipotesi che si possono variamente configurarenella stesura delle polizze assicurative.Ai sensi dell’art. 88, c. 3, lett. a), si consideranosopravvenienze attive le indennità risarcitorieconseguite per danni relativi a beni non di pro-duzione o non relativi all’impresa.

4. Un caso concretoFormuliamo un’esemplificazione: la società x hasubito danni a beni merce e strumentali in segui-to ad un evento naturale verificatosi nel 2008.L’azienda in questione, avendo precostituitoun’adeguata copertura assicurativa contro il ri-schio di calamità naturale, usufruirà nel corso del2009 dei seguenti indennizzi:- sinistro per perdita coltivazioni;- sinistro per danneggiamento tetto.

2 Per quanto riguarda la disciplina IRAP, ai sensi dell’articolo 11 comma 3, del decreto legislativo 446/97 gli indennizzi per il danneggiamento dei beni strumentali concorronoalla formazione della base imponibile ai fini IRAP, in quanto proventi correlati a componenti del valore della produzione di periodi di imposta precedenti o successivi.

ESEMPLIFICAZIONE:

Stato Patrimoniale(Situazione ante evento dannoso)

Attivo Passivo Beni strumentali 100 Fondo Ammortamento 30

Valore netto di iscrizione in bilancio del bene: 70 Valore effettivo del bene: 1000Valore effettivo del bene successivo al danno: 900 Indennizzo: 80 (contro una perdita

effettiva di 100)

Costo non ammortizzato proporzionalmente attribuibile alla parte del bene danneggiato:(80 x 70)/ 1000 = 5,6

Plusvalenza : 80-5,6 = 74,4La relativa scrittura contabile sarà la seguente:

Credito (dare) : 80 (indennizzo)Fondo ammortamento (dare) : 2,4 (rettifica del Fondo ammortamento)Beni strumentali (avere) : 8 (rettifica Beni strumentali)Sopravvenienza attiva (avere) : 74,4

L'importo del Fondo ammortamento da stornare è determinato applicando al Fondo esistente (30), lapercentuale che scaturisce dal rapporto tra il costo non ammortizzato attribuibile alla parte danneg-giata (5,6) e il costo non ammortizzato complessivo (70) 30 x 0,08 = 2,4Lo stesso calcolo viene eseguito per stornare la voce beni strumentali 100 x 0,08 = 8

L’indennizzo ottenuto per la distruzione dei benimerce (in questo caso per le culture) provocatadalla calamità atmosferica, va considerato allastregua di ricavo, o meglio, essendo passatol’esercizio, di sopravvenienza attiva, e come taleconcorre a formare il reddito dell’esercizio in cuitale somma diventa certa e obiettivamentedeterminabile. Per quanto riguarda i danni subiti dall’immobileè necessario verificare lo stato dello stesso. In-fatti bisogna distinguere:- se il danno può essere riparato, l’immobi-le manterrà i valori dichiarati in bilancio primadell’insorgenza della calamità e il relativo inden-nizzo assicurativo costituirà componente positi-

vo di reddito da contrapporre alle spese di ripa-razione già sostenute o da sostenere. Queste ul-time saranno deducibili nei limiti ed alle condizio-ni di cui all’art.102, comma 6 del TUIR e cioè nellimite del 5% del costo complessivo di tutti i beniammortizzabili risultanti all’inizio dell’esercizio;- se invece l’immobile rimane parzialmentedanneggiato, è necessario procedere allo stornodella quota di costo e di ammortamento relativialla parte andata perduta, calcolando inoltre laplusvalenza relativa al rimborso assicurativo econfrontando l’entità stessa dell’indennizzo conil valore contabile del bene.Si veda a tal proposito il seguente esempio nu-merico:

Rimborsi assicurativi e impresa: sempre reddito?SEGUE DA PAGINA 17

Sulla parete più importante della mia stanza, in studio, ho appeso il beldiploma di laurea di mio papà: porta la firma di Gino Zappa ed è datato aVenezia il 18 novembre 1941. Mi sono sempre domandato come mai, in quelperiodo, sia stata possibile una lunga e faticosa disputa, tutta Cafoscarina,ma di portata generale, tra il pensiero di Besta e il nuovopensiero di Zappa.Oggi ci pare ovvio che l’esame della gestione aziendale portimigliori risultati e valutazioni più complete guardando ilconto economico piuttosto che, come sostanzialmente sostenevaBesta, esaminando il raffronto fra due situazioni patrimoniali.Oggi il pensiero di Besta ci appare insostenibile ed assurdo. Eallora, perché, solo settant’anni fa, tutto questo discutere?Perché il problema era così sentito?C’è un unico motivo: il sistema produttivo stava modificando-si; l’economia da agricola diventava industriale, da staticadinamica, il patrimonio perdeva importanza con il cresceredell’ innovazione, della trasformazione manifatturiera, dellaproduzione industriale.E ha vinto Zappa, perché l’evoluzione non può essere fermata.Già qualche anno prima, la sensibilità poetica dei futuristi aveva intuito ilgrande cambiamento che si è manifestato nel modo di vivere, ma anche diprodurre, di gestire le aziende, e di conseguenza nel modo di rappresentarne,con i numeri, la gestione e la valutazione dei risultati.La grave crisi di questi giorni non può non accelerare l’arrivo di nuovicriteri per misurare il risultato e l’impatto economico della futura azienda.E’ un vero guadagno quello di un’azienda che chiude con un grosso utilema inquina oltre il limite? E’ vera perdita quella evidenziata dalla valuta-zione ex articolo 2426 dei titoli mobiliari che, oggi, hanno toccato quotazio-

ni ridicole? E’ corretto rilevare la perdita conseguente alle rischioseoperazioni finanziarie che troviamo in molti bilanci delle società nostreclienti? Risponde alla reale situazione e alla buona gestione aziendalel’eventuale decisione di abbattere il capitale e, magari, di intraprendereuna procedura concorsuale? Da più parti arrivano suggerimenti, soluzio-ni, proposte, obiezioni, critiche, prudenti consigli, spiegazioni ed analisida inserire nella relazione sulla gestione. Ma cosa facciamo di fronte ad

un’economia che è cambiata in un esercizio? Mi è semprepiaciuto capire come l’uomo ha gestito e controllato l’attivitàcommerciale o produttiva e, nel corso della mia vita, horaccolto oggetti, documenti, contratti e libri che sono servitinei rapporti fra aziende. Ho alcuni bilanci del periodo cheva dalla fine dell’ottocento all’inizio del novecento. Ed èbello vedere gli sforzi dei nostri vecchi colleghi per cogliere idati più significativi che, oggi, sono del tutto evidentidall’esame del conto economico, utilizzando un difficile eimprobabile raffronto fra due documenti che oggi possiamoassimilare ad una situazione patrimoniale. Assimilare, perchési tratta non di una situazione patrimoniale come nel nostrobilancio europeo: è una serie di stime valutative dei cespiti.In una economia statica pesavano più le migliorie apportatead un terreno, una eventuale bonifica, una nuova irrigazio-

ne, piuttosto che l’utile derivante dalla produzione o dalla trasformazionedel prodotto. Se il bilancio è lo strumento per rappresentare la realtàaziendale, quando cambia il contesto, quando sorgono problemi e situazio-ni nuove, è necessario trovare un nuovo linguaggio, una nuova tecnicache permetta la lettura di una nuova situazione. Fra settant’ anni i nostrifuturi colleghi, forse, si domanderanno come mai noi abbiamo perso tantotempo e tante discussioni per trovare uno strumento che allora sembreràovvio. Ma fra settant’ anni.

Paolo Lenarda (Ordine di Venezia)

FRA SETTANT'ANNI

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Indennità di fine mandatoper amministratori di società

DIRITTO SOCIETA'

KETI CANDOTTI Ordine di Venezia

IL COMMERCIALISTA VENETO

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In analogia con il più noto trattamento difine rapporto di lavoro subordinato, nellapratica si riscontra il ricorso al trattamentodi fine mandato degli amministratori di so-

cietà, che presenta peculiarità economiche e fi-scali sia per la società che eroga il compenso siaper l’amministratore che lo riceve.Per una analisi del Trattamento di Fine Mandato(T.F.M.), è opportuno fare riferimento a due arti-coli del Codice Civile: il 2120 e il 2364 (comma 1lett. c) e agli artt.17 e 50 del TUIR.L’art. 2120 c. c. riconosce che: In ogni caso dicessazione del rapporto di lavoro subordinato,il prestatore di lavoro ha diritto ad un tratta-mento di fine rapporto… (omissis)… La quota(…) comprende tutte le somme, compreso l’equi-valente delle prestazioni in natura, corrispostein dipendenza del rapporto di lavoro, a titolonon occasionale e con esclusione di quanto ècorrisposto a titolo di rimborso spese.In sostanza in tutti i casi di risoluzione del rap-porto di lavoro il prestatore ha diritto a una in-dennità calcolata sulla base di appositi parametriche tengono conto, tra l’altro, del costo dellavita, del periodo di lavoro effettuato, della parti-colare caratteristica del lavoro prestato.L’art. 2364 c. c. sancisce poi che: nelle societàprive di consiglio di sorveglianza (…), l’assem-blea ordinaria determina il compenso degliamministratori e dei sindaci, se non è stabilitodallo statuto; (…)Quindi il Codice Civile riconosce la possibilità distabilire il compenso degli amministratori o conapposita previsione dallo statuto sociale oppu-re, quando lo statuto tace in proposito, in sede diassemblea dei soci. Ancora l’art. 2389 del codi-ce civile afferma che il compenso agli amministra-tori è stabilito al momento della nomina oppuredall’assemblea dei soci. Pertanto l’assemblea deisoci o degli azionisti delle società di capitale, op-pure i soci di società di persone, sono gli organi esoggetti legittimati con la più ampia autonomia adecidere sui compensi in parola; in tale autonomial’unico limite risulta essere il rispetto del principiodi congruità. Si ritiene che anche il TFM rientrinella libera determinazione assembleare.Sul piano fiscale i compensi agli amministratori,che non svolgano tale funzione nell’ambito dellapropria attività professionale di lavoro autono-mo, sono considerati, ai sensi dell’art. 50, comma1, lett. c bis), del D.P.R. del 22 dicembre 1986, n.917 (TUIR), redditi assimilati a quelli di lavorodipendente. In via esemplificativa ma nonesaustiva, titolari di tali compensi possono esse-re: gli amministratori di società di capitali e/odi persone, i sindaci, i procuratori, i revisorinon professionisti, i collaboratori fissi a gior-nali, riviste, enciclopedie e simili non professio-nisti, i collaboratori non esercenti una profes-sione (ad esempio: i consulenti esterni). Si notiche, se tali compensi sono conseguiti nello svol-gimento di un’arte o professione, le società nonpossono riconoscere la corresponsione di un trat-tamento di fine mandato.

Misura dell’accantonamentoNon esiste attualmente alcun vincolo legislativoche condizioni la determinazione dell’ammontare

dei compensi riconosciuti agli amministratori, sia-no detti compensi pecuniari, in natura o differiti(se trattasi di indennità di fine mandato), e nonesistono determinazioni oggettive al proposito.Pertanto la valutazione deve essere fatta casoper caso tenendo conto di tutte le variabili checonsentono l’identificazione di un importo so-stanzialmente congruo, commisurato cioè allarealtà economica della società, ai suoi volumidi affari o di reddito e soprattutto all’attivitàeffettivamente prestata dall’amministratore.Il Trattamento di Fine Mandato può essere de-terminato in misura fissa oppure sulla base diappositi parametri come gli utili conseguiti, gliobiettivi raggiunti e così via, ma sempre seguen-do criteri di congruità e in relazione diretta con icompensi percepiti.A tal proposito, appare opportuno ricordare chel’art. 1 comma 34 della Finanziaria 2008, con di-sposizione specifica, in vigore dal periodo di im-posta successivo a quello in corso al 31.12.2007,prevede che gli accantonamenti, ammortamenti ealtre rettifiche di valore imputati a conto econo-mico, possono essere disconosciuti dall’Ammi-nistrazione Finanziaria se non coerenti con i com-portamenti contabili sistematicamente adottatinegli esercizi precedenti, salvo dimostrare che ipredetti comportamenti avevano una giustifica-zione di carattere economico. In altre parole ilfisco può disconoscere comportamentialtalenanti posti in essere dalla società in meritoalla misura dell’accantonamento per il T.F.M.Si è ipotizzato che una misura congrua dell’in-dennità da accantonare annualmente possa es-sere compresa tra il 20 e il 30% del compensoannuo. A nulla vale, invece, un eventuale raf-fronto con la liquidazione prevista in favore deilavoratori dipendenti data la diversità della natu-ra contrattuale, della normativa di riferimento e,in ultima istanza, dei benefici contributivo/previdenziali di cui il dipendente usufruisce.

Tassazione dell’indennitàDall’analisi congiunta degli artt. 50 (co. 1 lett. c-bis) e 17 (co. 1 lett. c) del Testo Unico delle Impo-ste sui Redditi (TUIR) si evince che le indennitàdi fine mandato spettanti agli amministratori disocietà possono essere assoggettate a tassazio-ne separata.Condizione indispensabile per poter fruire del-la tassazione separata è che il diritto alla in-dennità risulti da atto avente data certa ante-riore all’inizio del rapporto di “collaborazio-ne”, altrimenti detta indennità verrà assogget-tata a tassazione ordinaria.Grazie al regime della tassazione separata, cheprevede l’utilizzo di un’aliquota corrispondenteal reddito medio netto conseguito dall’ammini-stratore nel biennio anteriore all’anno in cui èsorto il diritto alla percezione, invece dell’aliquo-ta marginale IRPEF, il percipiente può consegui-re un risparmio d’imposta evitando l’incidenza ditali erogazioni nella determinazione del redditocomplessivo e quindi la progressività del prelie-

vo fiscale.Solitamente, con la tassazione separata, risultaun’aliquota ridotta, ma è comunque consentitooptare, se lo si ritiene più conveniente, per latassazione nei modi ordinari. Nel biennio antece-dente alla scadenza dell’incarico l’assembleapotrebbe peraltro deliberare una riduzione deicompensi e, conseguentemente, dei redditi del-l’amministratore e dell’aliquota applicabile,sempreché ciò possa congruamente corrispon-dere alla situazione economica aziendale e tenen-do presente quanto detto in tema di congruità.Nel momento in cui cessa il rapporto con il pro-prio amministratore, la società può trovarsi in unadi queste due situazioni:1) Trattamento di Fine Mandato soggetto atassazione separata: la società, che agisce in qua-lità di sostituto di imposta, applicherà una rite-nuta di acconto pari al 20% sulla parte imponibiledel T.F.M. (quella al netto delle spese - Circolaren. 37/E del 06/07/2001). In questo caso, il T.F.M.non deve essere indicato nella dichiarazione deiredditi del percettore, ma è soggetto a IRPEF contassazione separata ex art. 17 TUIR. L’imposta defi-nitiva verrà determinata dall’Ufficio Imposte conriferimento all’aliquota calcolata sulla media dei red-diti percepiti dall’amministratore stesso nel biennioantecedente alla liquidazione dell’indennità.2) se il Trattamento di Fine Mandato non rien-tra nelle previsioni dell’art. 17 (co. 1 lett. c) delTUIR perché non è possibile ricavare la “datacerta” anteriore all’inizio dell’incarico, la societàapplicherà ad esso le normali ritenute fiscali allafonte relative ai redditi da lavoro dipendente, fa-cendo così concorrere il T.F.M. al reddito com-plessivo dell’amministratore. In sostanza l’inden-nità viene considerata come un normale compensoe deve essere indicata nel cedolino.Il Trattamento di Fine Mandato deve essere sot-toposto anche a contribuzione previdenziale.Secondo l’INPS (prot. 27/7265 del 15/3/02) ilcontributo previdenziale deve essere calcolatoindipendentemente dalla forma di tassazioneai fini delle imposte dirette, separata oppureordinaria, sull’importo lordo della indennità;tale contributo inoltre grava per 1/3 sull’am-ministratore stesso.In caso di assoggettamento del TFM alla ritenu-ta del 20% la stessa va calcolata, una volta deter-minato il contributo, sull’indennità al netto dellaquota di contributi previdenziali a carico dell’am-ministratore.

Deducibilià dell’accantonamentoLa società che intende erogare il Trattamento diFine Mandato accantona, al termine di ogni eser-cizio, la relativa quota di competenza deducibiledal reddito di esercizio ai sensi dell’art. 105 co. 4del TUIR.Condizione per la deducibilità è che l’ammini-stratore maturi il diritto all’indennità, ovveroche quest’ultima sia prevista contrattualmentenello statuto o dall’assemblea, in base a quan-to stabilito dall’art. 2389 del codice civile.Inoltre ai fini del riconoscimento fiscale dell'ac-

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20 NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 IL COMMERCIALISTA VENETO

cantonamento effettuato dall’Azienda la quotaannua da accantonare deve essere certa ed og-gettivamente determinabile.Dal punto di vista della società, quindi, un primovantaggio fiscale deriva dalla piena deducibilità ditale accantonamento che rappresenta una norma-le voce di spesa inerente la produzione del reddi-to, alla stessa stregua dei compensi usualmentecorrisposti all’amministratore o per analogia, delT.F.R. di legge previsto per i lavoratori dipendenti.A seguito di interpello, l’Agenzia delle Entratecon risoluzione n.211/E del 22/5/2008 ha conclu-so che per la società che eroga il T.F.M. ladeducibilità fiscale delle quote accantonate puòessere riconosciuta secondo il principio di com-petenza oppure secondo il principio di cassa e ladiscriminante tra i due principi, in analogia conquanto previsto per il percettore, è data dal fat-to che il diritto alla indennità risulti da attoavente data certa anteriore all’inizio del rap-porto di collaborazione.1

L’aspetto innovativo della R.M. n. 211/E consi-ste nell’aver vincolato la deducibilità per compe-tenza, degli accantonamenti eseguiti dalla socie-tà, alla presenza degli stessi requisiti previsti perla fruizione della tassazione separata in capo al-l’amministratore (art. 17, co. 1, lett. c), del TUIR).Secondo l’interpretazione restrittiva della Agen-zia quindi la deduzione del relativo costo, avver-rà nell’anno di effettiva erogazione dell’indenni-tà medesima; in sostanza se manca la data certaanteriore il TFM è deducibile per cassa.La posizione espressa dall’Agenzia, è stata criti-cata osservando che l’art. 105, co. 4, del TUIR,dispone, richiamando i precedenti co. 1 e 2, chegli accantonamenti delle indennità di fine man-dato sono deducibili nei limiti delle quote annua-li maturate nell’esercizio2, ma non fa riferimento aparticolari condizioni richieste per la deducibilià,fermo restando che questa è già prevista per com-petenza dall’art. 105 TUIR.Se il legislatore avesse voluto vincolare la dedu-zione, in capo alla società, degli accantonamentialla presenza di un atto avente data anteriore al-l’inizio del rapporto, avrebbe dovuto precisare lanecessità della presenza dei requisiti di cui allacitata lett. c) dell’art. 17 del TUIR.In altre parole, secondo la tesi permissiva, piena-mente condivisibile a parere di chi scrive, si ritie-ne che il richiamo contenuto nel citato co. 4dell’art. 105 alla disposizione di cui all’art. 17, co.1, lett. c), del TUIR, debba riferirsi alla tipologiadell’accantonamento, e non anche ai requisitisanciti dall’art. 17 per la tassazione separata incapo al percipiente. Pertanto, ciò che determinala possibilità di deduzione in capo alla società èla delibera di riconoscimento dell’indennità, laquale può essere anche successiva all’incaricoconferito all’amministratore. In tale ultimo caso,infatti, l’amministratore non potrà fruire della tas-

sazione separata dell’indennità percepita (fermarestando la tassazione per cassa), ma non vi sonomotivi per non consentire alla società di dedurrel’accantonamento per competenza.Appare opportuno ricordare, infine, che per leimprese industriali e commerciali tale forma di in-dennità, alla stregua degli stessi compensi ero-gati agli amministratori, risulta indeducibile ai finiIRAP ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. b), n. 3),del D.Lgs. del 15 dicembre 1997, n.446, laddovesi precisa, ai sensi del citato art. 11, che non sonoammessi in deduzione i costi per prestazioni dicollaborazione coordinata e continuativa.

Il requisito della data certaCome sopra descritto l’art. 17, 1° comma, lett. c)del Testo Unico sancisce che, per godere della tas-sazione separata, l’indennità deve risultare da attodi data certa anteriore all’inizio del rapporto.Tale obbligo è giustificato dalla volontà del legisla-tore di evitare comportamenti di natura elusiva qualil’attribuzione di una indennità, con efficaciaretroattiva, nell’imminenza della fine del rapporto.Nella interpretazione di “atto anteriore all’ini-zio del rapporto” la dottrina tributaria si è divisaed ha proposto molteplici soluzioni. Ciò è dovu-to soprattutto alla non chiara stesura dell’art. 17.Per amministratori di prima nomina, o per societàcostituende, non si presenta alcuna difficoltà:sarà infatti sufficiente inserire il diritto alpercepimento della indennità di fine mandatonell’atto costitutivo o nel novero dei compensiper l’amministratore stabiliti dall’assemblea.Diverso invece il caso di società già in essere edin cui l’amministratore sia già in carica. Alla lucedi una restrittiva lettura della normativa, nel casoin cui il mandato sia in corso, perché si rispetti lacondizione richiesta dalla legge, parrebbe ne-cessario interrompere, seppure temporaneamen-te, il rapporto in essere; successivamente, rico-noscere il TFM alla carica di amministratore equindi instaurare un nuovo rapporto con l’am-ministratore in precedenza uscito.L’art. 2383 codice civile prevede espressamentela rieleggibilità degli amministratori; le eventualidimissioni di un amministratore, seguite dalconferimento di un nuovo mandato, sono quindiprassi pienamente ammissibile e che si configuraquale cessazione e instaurazione di due rapportia tutti gli effetti distinti e separati, anche nel con-testo di un unica assemblea, senza che si deter-mini alcuna sostanziale elusione della norma.Il riconoscimento della data certa anteriore al rap-porto si può alternativamente ottenere con:- la redazione di verbale di assemblea da parte diun notaio;- l’estratto notarile del libro delle deliberazionidell’assemblea;- l’autentica notarile delle firme dei soci sul ver-bale di delibera;- la notifica rituale del verbale di delibera all’am-ministratore stesso;- la registrazione della delibera dei soci pressol’Ufficio del Registro oppure presso il Registrodelle Imprese;- l’invio all’amministratore con raccomandata dicopia della delibera in plico senza busta.L’accettazione dell’amministratore deve avveni-re in data successiva a quella in cui l’atto di no-

mina ha ricevuto data certa. Nel caso in cui nonsiano soddisfatte le condizioni precedentementeillustrate, l’indennità di fine mandato sarà sog-getta a tassazione ordinaria.3

L’utilizzo di programmi assicurativi sulla vitaUna valida alternativa alla corresponsione diret-ta del Trattamento di Fine Mandato è costituitadalla stipula, da parte della società, di una polizzaassicurativa che permette di accumulare un capi-tale per un certo periodo di tempo al termine delquale si provvederà a riscattarlo per far frontealle esigenza di dover corrispondere il T.F.M. abeneficio degli Amministratori, dei Consiglieri diamministrazione, dei Sindaci, dei Revisori e ingenerale di tutti coloro che partecipano all’attivi-tà con un rapporto di collaborazione.L’obiettivo è quello di consentire all’azienda diprecostituire le fonti dei propri impegni finanziarifuturi. Per la sua stessa natura di strumento strut-turato sulla copertura del rischio demografico lapolizza assicurativa richiede che la figura dell’as-sicurato sia configurata da una persona fisica;differente è il discorso invece del beneficiarioche può essere anche una persona giuridica, conla possibile distinzione delle figure contrattualidel beneficiario caso vita da quella delbeneficiario caso morte.

All’atto dell’accantonamentoa) Per l’Azienda la quota annua di indennità èdeducibile dal reddito di impresa, così come previ-sto dall’art. 105, del D.P.R. 917/86; il premio con-fluisce in una voce di credito assicurativo per TFM;b) per l’amministratore le quote accantonatedall’Azienda non costituiscono reddito.

Alla cessazione del rapporto di mandatoLa compagnia liquiderà all’amministratore quan-to maturato, al netto:1) della tassazione sulla plusvalenza di polizza(differenza tra il capitale maturato e l’ammontaredei premi pagati);2) di una somma pari alla ritenuta d’acconto del20% sugli accantonamenti effettuati,3) dell’ammontare eventualmente da destinare allacontribuzione previdenziale;L’importo totale (con ritenuta più eventualecontribuzione) deve essere comunicato dallaSocietà alla Compagnia la quale provvederà aliquidare tale somma alla società stessa.La Società provvederà quindi al relativo versa-mento all’Erario ed all’Ente previdenziale nei ter-mini di legge.L’amministratore, da parte sua, verrà sottopostoalla tassazione separata (solo sulla parte del ca-pitale maturato corrispondente ai premi pagati) anorma degli artt. 17 e 19 del D.P.R. 917/86.Il costo spesabile è unicamente quello relativoall’accantonamento così come, per contro, il pre-mio assicurativo non costituisce una componen-te in natura del reddito dell’amministratore. Essoinfatti rappresenta solo ed unicamente una dellepossibili modalità di impiego del denaro per farfronte ad un preciso obbligo contrattuale. Ai finifiscali, infatti, come tale denaro venga impiegato

1 “Più in particolare, il citato comma 1, lettera c), dell’articolo 17 del TUIR prevede, ai fini della tassazione di tali indennità in capo al soggetto percipiente, l’applicazionedel beneficio della tassazione separata solo “se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto”. Si ritiene che il rinvio a quest’ultimadisposizione debba rigorosamente ed esclusivamente intendersi quale specifico riferimento ai rapporti risultanti da data certa con la conseguenza che, per i rapporti che nonsoddisfano tale condizione, viene meno la deducibilità del relativo accantonamento per indennità di fine mandato.” (R.M. n. 211/2008)2 Art.105 c.4 TUIR: le disposizioni dei commi 1 e 2 (relative agli accantonamenti del TFR) valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cuiall’art. 17, c.1 lettere c),d) f).3 Per quanto concerne la data certa, l’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano, nella norma di comportamento n. 125, ritiene che la condizione possaconsiderarsi soddisfatta se si adotta uno dei seguenti metodi:- trascrizione del verbale nel libro delle assemblee e vidimazione del libro, prima dell’inizio del rapporto, presso un notaio oppure effettuazione di estratto notarile della paginadel libro;- notifica agli amministratori della delibera che attribuisce loro l’indennità;- invio, agli stessi, con raccomandata, di copia dell’atto in plico senza busta.

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 21IL COMMERCIALISTA VENETO

non ha alcuna rilevanza4.Il presupposto resta comunque uno solo: l’even-tuale decisione di avvalersi di un programma as-sicurativo deve essere contestuale o successivaall’atto di data certa sopra descritto e, quindi,deve prevedere la sottoscrizione di una nuovaed apposita polizza, escludendo a priori l’utilizzodi eventuali contratti già in essere.5

Le figure del contratto di assicurazioneSia dal punto di vista motivazionale che da quel-lo fiscale esistono differenze a seconda che ilbeneficiario della polizza sia l’amministratore (osuoi eredi) oppure la società.Infatti se per la parte relativa al cumulo dei versa-menti effettuati alla Compagnia assicuratrice,ovvero per il corrispettivo dell’indennità accan-tonata e dovuta, non sussistono dubbi circal’assoggettamento a tassazione separata in capoall’amministratore, sottili, ma sostanziali, diffe-renze riguardano l’imponibilità delle plusvalenzematurate ed erogate al beneficiario della polizza.Tenendo presente la varietà di fattispecie in temadi tassazione di redditi di capitale unita alle mol-teplici soluzioni assicurative offerte, in estremasintesi, e rinviando a ulteriori doverosi appro-fondimenti, si può rilevare che alle plusvalenzederivanti dai contratti assicurativi viene applica-ta, direttamente dalla Compagnia, una ritenutaalla fonte a titolo d’imposta del 12,50%, con unabbattimento del 2% della base imponibile perogni anno di durata contrattuale superiore al de-cimo. Ove il beneficiario delle prestazioni garan-tite dalla polizza sia l’amministratore, esso nonsarà tenuto al versamento di alcuna ulterioreimposta; ove, invece, quale beneficiario, fosseindicata la società, una volta ricevute dalla Com-pagnia le plusvalenze al netto della ritenuta,queste ultime saranno trattate allo stesso mododei proventi derivanti da interessi esenti dal-l’imposta sul reddito dalle persone giuridiche aisensi dell’art. 31 D.P.R. 601 (titoli di Stato edassimilati).La durata minima del contratto è in genere quin-quennale, ma è consentito il riscatto senza penaliper fine mandato, dimissioni, revoca mandatodell’amministratore o altro collaboratorebeneficiario. Alla scadenza del contratto ilbeneficiario può percepire l’intera prestazione fi-nale sotto forma di capitale o convertirla in rendi-ta, traducendo l’accantonamento in un vero eproprio piano previdenziale.Rammentiamo inoltre che, in ogni caso, il con-tratto può ritenersi valido dove l’amministra-tore assicurato abbia rilasciato dichiarazionescritta di accettazione della polizza, secondoquanto previsto all’art. 1919 codice civile.Secondo l’INPS in caso di polizza assicurativa:- se il beneficiario è la società, il contributoprevidenziale si calcola sul TFM al netto dei ren-

Scritture contabiliL’accantonamento al fondo T.F.M. (ex art. 2424 c.c.) si effettua redigendo la seguente scrittura:

CE B.7 Accantonamento TFM 1.000 SP B.1 Debito TFM 1.000

Quando la società dovrà pagare il T.F.M. al suo amministratore effettuerà le seguenti registrazioni:

SP B.1 Debito TFM 10.000 SP B.1 Debiti v/amministratori 10.000

SP B.1 Debiti v/amministratori 10.000 DiversiSP C.IV.1 Banca 7.340SP D.12 Erario c/ritenute 1.835SP D.13 Inps gest.separata 825

La ritenuta è calcolata sul compenso al netto del contributo INPS di euro 825 a carico dell’amministra-tore.

Il contributo a carico del committente viene così rilevato:

CE B.7 Contr.gest.separata a carico del committente 1.648 SP D.13 Inps gest.sep 1.648

Nel caso in cui la società decida di non accantonare direttamente il TFM ma di stipulare una polizzaassicurativa a garanzia del TFM, viene effettuato il pagamento del premio che permetterà la coperturafinanziaria del fondo di trattamento di fine mandato. Se il beneficiario della polizza è la società questadovrà rilevare il credito vantato nei confronti della compagnia assicurativa e imputare la quota diaccantonamento per indennità di fine mandato.

Si avranno delle scrittura simili alle seguenti:

CE B.7 Accantonamento TFM 1.000 SP B.1 Debiti TFM 1.000

Per quanto concerne il pagamento del premio assicurativo la società redigerà la seguente scrittura:

SP B.III.2.d Crediti assicurativi TFM 1.000 SP C.IV.1 Banca 1.000

Al momento della cessazione del rapporto dell’amministratore con la società, l’istituto assicurativoerogherà il capitale accantonato e si avranno le seguenti scritture (per semplicità si tralascia l’aspettoprevidenziale):

Diversi DiversiSP C.IV.1 Banca 34.625SP C.II.4-bis Erario c/ritenute

alla fonte (su 3.000x12,5%) 375SP B.III.2.d Credito v/assic. 32.000CE C.16.d Altri proventi finanz. 3.000

Se il beneficiario dell’assicurazione è l’amministratore la scrittura sarà la seguente:

SP B.1 Debito TFM 32.000 SP B.III.2.d Credito v/assic. 32.000

Si ricorda infine la compilazione del modello 770 relativo al periodo in cui l’emolumento è corrisposto.

dimenti finanziari;- se il beneficiario è l’amministratore detti rendi-menti costituiscono compenso e pertanto vannoassoggettati a contributo.Un vantaggio della soluzione assicurativaLe somme dovute dall’assicuratore al contraen-te o al beneficiario non possono essere sottopo-ste ad azione esecutiva o cautelare”, ai sensidell’art. 1923, comma 1, del codice civile.E’ appena il caso di sottolineare che la Corte diCassazione con sentenza della prima sezione civi-le n. 8676 del 25 gennaio - 26 giugno 2000 ha datouna lettura restrittiva all’articolo 1923 del codicecivile con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante

4Va comunque ricordato che, secondo l’Amministrazione Finanziaria, nei casi in cui la polizza sia stata stipulata non in relazione ad un obbligo legislativo o contrattuale dicorresponsione dell’indennità di fine rapporto in questione, bensì in relazione all’intento della società di garantire un beneficio aggiuntivo al proprio collaboratore, l’importodei premi costituisce un elemento aggiuntivo dei compensi (ovvero un benefit) e quindi una componente del reddito di lavoro; conseguentemente l’importo di tali premi deveessere compreso nella base imponibile degli emolumenti corrisposti all’amministratore, applicandosi sugli stessi le relative ritenute mentre le somme che saranno riscosse ascadenza dall’amministratore o dai suoi eredi saranno assoggettate soltanto al regime tributario tipico dei capitali derivanti da contratti di assicurazione sulla vita (12,50 sulleplusvalenze - completa esenzione in caso di premorienza).5 Nella generalità dei casi si ritiene opportuno optare per una polizza mista in forma collettiva; mista , perché, prevedendo la liquidazione di un capitale sia in caso di vita chein caso di morte dell’assicurato, tutela pienamente azienda, amministratore ed eredi di quest’ultimo a cui l’indennità verrà liquidata in caso di decesso. Collettiva, poiché lapossibilità di inserire in un unico contratto più assicurati, come nel caso di interi consigli di amministrazione, per importi anche diversi e con condizioni di miglior favore riservateagli interessati rende questa soluzione sicuramente preferibile.6 È dubbio se l’art. 1923 si applichi anche in caso di fallimento dell’avente diritto (contraente o beneficiario). La soluzione positiva si basa sulla disposizione dell’art. 46, 5°comma, legge fallimentare, che esclude dal fallimento le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. Il 2° comma dell’art. 1923 c.c. fa salva, rispetto ai premipagati, la possibilità per i creditori del contraente di agire in revocatoria se ne ricorrano i presupposti (art. 2901 c.c.).

i versamenti in un prodotto assicurativo, cercasseuno scudo giuridico al riparo dei creditori.La Corte di Cassazione ritiene che, oggetto dellespeciali tutele previste dall’articolo 1923 del co-dice civile come impignorabilità einsequestrabilità, siano la rendita o il capitale ero-gati a favore del contraente o del beneficiario alverificarsi dell’evento per cui è stato stipulato ilcontratto. Il divieto non si riferisce solo alla sommaassicurata ma anche a quella proveniente dal ri-scatto della polizza; tale divieto opera finché le som-me si trovano presso l’assicuratore, perché, dopo ilpagamento, il denaro percepito dall’avente dirittosi confonde nel suo patrimonio e ne segue le sorti.6

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Indennità di fine mandatoper amministratoridi società

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22 NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 IL COMMERCIALISTA VENETOPROFESSIONE

IN QUESTO MIO INTERVENTO cercherò diraggiungere un obiettivo che per noi dottoricommercialisti potrebbe rappresentare uno

strumento nuovo per lo sviluppo della nostraprofessionalità: quello di farvi percepire quantopuò essere concreta la creatività, e l’importanzache è giusto vada sempre più assumendo nelcreare valore aziendale. Comincio cercando di in-tenderci sul concetto di creatività.Nel corso degli ultimi decenni in Italia la creativi-tà è sempre stata percepita con una intrinsecaleggerezza: un paradigma legato alla ideologiadella creatività, ad una sua rappresentazione chei settori trainanti del made in Italy hanno raffor-zato. Auto, abbigliamento, alimentare e arreda-mento: le 4 A. Pensiamo al fenomeno della“archistars”: non più semplici architetti, mavisionari degli spazi abitativi e sociali. Piano,Fuksas, Aulenti.Una visione sicuramente affascinante, ma che amio avviso sconta un limite: quello di non colle-gare la creatività alla quotidiana fatica che nerende possibile la stabile riproduzione all’inter-no di una organizzazione aziendale. Questa vi-sione ne ha enfatizzato la componente sponta-nea, quel modo di vedere innovazione e creativi-tà come opera del nostro innato genio nazionale,non caratterizzate da elementi di concretezza,riconoscibilità, identificabilità, tali da costruirneuna “tangibilità”. Elementi che in azienda dovreb-bero consentire di vivere la creatività come unabuona prassi: un atteggiamento mentale, conno-tato da stabilità applicativa, da metodo.Qui nasce una sfida, dettata ora più che mai dalrapido evolversi dei mercati internazionali, dallanecessità di non perdere una storica occasione ditrasformazione: passare da una visione sostanzial-mente individuale della creatività, ad una pianifica-zione, ad una percezione della creatività e della in-novazione come fattori produttivi strategici.Da anni questo “dilemma” è stato alimentato daparticolarismi che hanno cercato di enfatizzarneaspetti peculiari di una produzione specifica, diun luogo, non consentendo di perseguire nel si-stema economico una sintesi a medio lungo ter-mine idonea a garantire alla creatività il ricono-scimento del suo valore di fattore produttivo.I testi di economia sono pieni di metodologie chetendono a misurare la creatività. Un indice comeil Roc, return on creativity, per esempio, collegale unità di tempo impiegate dal gruppo creativoper produrre le idee al numero di idee prodottedal gruppo stesso. Il rapporto tra queste due gran-dezze è un indice che consente di confrontare laproduttività creativa di gruppi di lavoro di repartie di progetti diversi. Nel coaching si cerca di faremergere la creatività del singolo, e del gruppo.Ma non è di questo l’aspetto della questione chemi interessa. Voglio cercare di dare un contenutoal concetto di “stabile riproduzione della creati-vità”, e del valore che ne può derivare.Vi sottopongo alcune considerazioni del Prof.Enzo Rullani, che a mio avviso possono indicaredelle strade da percorrere.La prima: nelle aziende bisogna passare dall’in-novazione di quantità (più volumi, maggiori quan-tità) all’innovazione di qualità, che crea valore

FRANCO BARIN Ordine di Vicenza

agendo sui significati, sulle esperienze, sulle iden-tità e sui servizi forniti agli utilizzatori. Tradurrel’innovazione in un valore che il cliente è dispo-sto a pagare.La seconda: creatività ed innovazione che si con-frontano con la sostenibilità ambientale. A miomodo di vedere ciò implica anche un orientare leproduzioni verso settori nuovi, nei quali ci sianodei bisogni inespressi.La terza: l’energia innovativa che scaturisce dal-l’utilizzo di tecnologie come internet, e il web ingenerale.Sicuramente possono esserci anche altri percor-si da indicare. Ma qualunque percorso vengaindicato, in Italia si corre un rischio: quello di daredegli strumenti prevalentemente verbali. Cioè, ditrovarsi a discutere di creatività e innovazionedando tale connotazione a ogni manifestazione dialterità rispetto al conosciuto, indipendentemen-te dal campo in cui ciò succede. In altre parole:quando tutto è creativo, nulla lo è più veramente.Parlare di creatività …perché è il tema all’ordinedel giorno, senza operare scelte di sistema.Siamo tornati alla ideologia della creatività. Dallaquale dobbiamo uscire, definitivamente. Perse-guendo quella che ho prima definito “la stabileriproduzione della creatività”.Sempre Rullani ci fornisce una ulteriore conside-razione: “Il circuito della produzione materiale(macchine, capannone, prodotto) deve fare spa-zio alla produzione immateriale di significati, espe-rienze, identità, servizi che sono sempre più im-portanti nel dare valore al prodotto”.Analizziamo il pensiero di Rullani.Il materiale che fa spazio all’immateriale. Non unacontrapposizione, ma una sinergia nuova, tesaad amplificare l’origine e la provenienza dellemerci, dei prodotti, rendendo tangibile l’origine ela provenienza delle idee.Si va delineando un nuovo fattore produttivo.Fatto di stile, qualità, etica, ambiente, ricerca esviluppo, innovazione, cultura, storia.Fatto proprio questo approccio, come comuni-carlo? E come trasformarlo in valore?Non è facile, nè immediato. Perchè in questo ap-proccio è insita una modifica della mentalitàaziendale: l’enfasi si sposta dal fare al saper fare.Dal prodotto al nome dell’azienda.Quante aziende possono avere la forza di comu-nicarlo? Mi spiego: pensiamo ai nomi, a cosa in-tendiamo per nomi. Ferrari, Ferrero, Armani,Valentino, le multinazionali tascabili leader nelloro settore, fenomeno italiano dalle grandi luci edalle profonde ombre.E le altre circa 200.000 aziende italiane che espor-tano, con quale forza possono investire in unprocesso di riproduzione stabile della creativitàpotendolo poi altrettanto stabilmente comunica-re, trasformandolo in “valore aziendale”?La mia convinzione è che ciò possa essere fattoattraverso una metodologia che garantisca neltempo la riconoscibilità della creatività come fat-tore produttivo strategico, esplicitandone

- la identificabilità, cioè gli elementi che lacaratterizzano, che ne rendono possibile la “sta-bile riproducibilità”;- il controllo sui processi (ove possibileanche dal punto di vista legale);- la capacità di generare benefici economi-ci futuri, non solo in termini di vendite.In sintesi, il maggiore apporto al valore immate-riale dell’azienda, alla sua componente intangibi-le che trova ora espressione in quello che la dot-trina contabile definisce “avviamento”.Il tutto inserito in una logica di “sistema Italia”.Pronti a superare particolarismi ed egoismi diposizione.Mi permetto quindi di sottoporre alla vostra at-tenzione una possibile metodologia, che potreb-be trovare la sua espressione in un progetto de-nominato “Brain IN Italy”. Questa metodologiaconsentirebbe di valutare gli aspetti che portanoalla riproducibilità della creatività in azienda, dan-done poi espressione di sintesi in un rapporto divalutazione, e nell’apposizione di un marchiod’identità che comunichi verso l’esterno la capa-cità dell’azienda di “fare creatività”.Inoltre, tale metodologia potrebbe, in sede divalutazione dell’azienda, contribuire a rafforzarel’apporto dei beni immateriali alla determinazionedel valore. L’avviamento di una azienda potreb-be risultare amplificato se la stessa fosse in gra-do di dimostrare la stabile capacità della suaorganizzazione di creare e innovare, e la sua ca-pacità di essere identificata sui mercatiinternazioni come tale, attraverso un segno rico-nosciuto e riconoscibile.Anche i rapporti con il mondo bancario potreb-bero averne dei benefici: una progettualitàaziendale non solo dichiarata, ma identificata nellesue componenti, traducibile quindi in un contri-buto concreto al valore dell’azienda, darebbe ele-menti di dialogo importanti e non trascurabili.Nei contesti descritti noi commercialisti potrem-mo diventare dei “costruttori di valore”, amplian-do quindi la nostra riconoscibilità a forme di atti-vità che, pur venendo dalla nostra esperienza, siconfrontano apertamente con il profondo cam-biamento in atto nel sistema economico, e ne trag-gono nuova forza.

Il valore della creatività aziendale:l’identità delle idee

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NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009 23IL COMMERCIALISTA VENETO

ENRICO ZANETTI*Ordine di Venezia

NORME E TRIBUTI

Dagli studi di settoreal redditometro

* Coordinatore Ufficio Studi di Presidenzadel CNDCEC

Questo passaggiodesindacalizzerà

il diritto tributarioe aiuterà

il senso di coesionesociale di un paesesempre più diviso

IL PROBLEMA dell’infedeltà fiscale va affron-tato su due diversi piani. C’è il piano “elita-rio”, riconducibile all’implementazione di sche-

mi elusivi complessi, alle frodi IVA e alla localizza-zione o all’occultamento di redditi in paradisi fi-scali e finanziari. Per contrastare questo tipo diinfedeltà fiscale servono norme efficaci, ma so-prattutto grande capacità di indagine da partedegli uffici e verifiche mirate.C’è poi il piano “popolare”, riconducibile alla purae semplice economia sommersa, ossia, per dirlain modo assai poco elegante, al “nero”. Per con-trastare questo tipo di infedeltà fiscale “di mas-sa” servono necessariamente degli automatismiche supportino l’azione di verifica degli uffici.Nell’ultimo decennio si è puntato sugli studi disettore. Si è però commesso l’errore di tentare dicaricarli di eccessivo significato.Da un lato, una certa corrente di pensiero all’in-terno dell’Amministrazione Finanziaria ha volu-to vedere in questi strumenti la premessa di unaccertamento automatico per i contribuenti noncongrui.Dall’altro, molte rappresentanze del mondo dellapiccola e della micro impresa hanno cullato l’ideadi vedere in questi strumenti la premessa di unaquantificazione forfetaria del reddito, per effettodella quale, una volta determinato il reddito sullabase di un livello di ricavi congrui, il contribuen-te avrebbe potuto ritenersi libero da ulteriori ob-blighi tributari (non a caso, capita sovente di leg-gere sui giornali interventi di rappresentanti lo-cali di queste categorie che, di fronte ai loro rap-presentati colti sul fatto della mancata emissionedegli scontrini fiscali, giustificano il tutto dicen-do che “tanto pagano le imposte sugli studi disettore”, come se questa colossale sciocchezzapotesse essere una valida giustificazione).In realtà, entrambe le visioni sono a dir pococensurabili:- quella dell’accertamento automatico per-ché lo studio di settore è soltanto uno strumentostatistico ed è del tutto fisiologico che un nume-ro più o meno rilevante di soggetti si collochi aldi sotto di quelle che, per l’appunto, sono mediedi settore;- quella della forfetizzazione del livello deiricavi perché ciascuno deve contribuire alle spe-se dello Stato secondo la sua capacità contribu-tiva individuale, ivi compreso il caso in cui essasia superiore alle risultanze che discendono dal-l’applicazione di coefficienti medi di settore.Oggi, grazie al costante apporto della dottrina,della giurisprudenza ed anche del più recenteravvedimento dell’Agenzia delle Entrate (anchese, a livello periferico, non pochi sono gli ufficiche fanno ancora orecchie da mercante), è deltutto chiaro che gli studi di settore non potrannopiù avere in futuro quella centralità che hannoavuto nell’ultimo decennio sia a livello dioperatività nell’azione di contrasto all’infedeltàfiscale di massa, sia a livello di dibattito politico-economico generale.Non ho dubbi che tra i più addolorati di questoepilogo vi siano proprio quelle rappresentanze

del mondo della piccola e micro impresa che, se-condo il classico rapporto di amore e odio, neglistudi di settore vedevano anzitutto un fattore divisibilità mediatica e centralità nella contrattazio-ne con lo Stato.Un danno collaterale degli studi di settore è sta-to infatti l’esasperazione della sindacalizzazionedel diritto tributario.Da questo punto di vista, è da guardare con gran-dissimo interesse l’ipotesi di un “redditometro dimassa”, recentemente rilanciata dalle commissioniparlamentari sull’anagrafe tributaria e apertamentesostenuta dall’Agenzia delle Entrate e dal Consi-glio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degliEsperti Contabili.Se infatti è inevitabile che l’azione di contrastoall’infedeltà fiscale di massa imponga comunquel’individuazione di uno strumento generalizzatosu cui fare leva, un redditometro riveduto e cor-retto potrebbe davvero rappresentare l’opzionemigliore tra quelle disponibili.Sottolineo l’inciso “riveduto e corretto”, perché ilredditometro attuale è ampiamente deficitario ri-spetto ad un suo utilizzo quale nuova pietra ango-lare del contrasto all’infedeltà fiscale di massa.

Innanzitutto appare incompleto e inadeguato ilnovero dei sintomi di capacità contributiva chel’attuale modello prende in considerazione e de-vono dunque esserne aggiunti di nuovi, coordi-nando la loro possibilità di rilevazione con le rin-novate potenzialità dell’anagrafe tributaria chederivano dalla telematica e dal progresso tecno-logico.Di contro, appaiono anche palesemente mal taratialcuni coefficienti (ad esempio, il peso attribuitoalle autovetture pare molte volte sproporzionatorispetto a quello attribuito alle imbarcazioni), cosìcome alcune forfetizzazioni necessitano, ad es-sere gentili, di una significativa azione di affina-mento e dettaglio: solo per fare un esempio, l’at-tuale meccanismo per la stima dei presumibilicosti vivi di gestione delle abitazioni principali ètarato su base regionale in un modo talmentegrezzo che una casa in una zona depressa dellaCarnia friulana vale più di una posseduta a Caprio in Costa Smeralda.Ciò non di meno, con le opportune revisioni ecorrezioni (rispetto alle quali la nostra professio-ne può e deve provare a giocare un ruolo istitu-zionale di primo piano nel dialogo con l’Ammini-strazione Finanziaria e il Ministero dell’Econo-mia), il redditometro appare di gran lungapreferibile rispetto agli studi di settore.In primo luogo, per ragioni tecniche.Basarsi sull’incongruità tra reddito dichiarato dalcontribuente e oggettivo tenore di vita di quelmedesimo contribuente convince assai di più chenon basarsi sull’incongruità tra reddito dichiara-to dal contribuente e presunte medie di settorepiù o meno sofisticate e arcane.In secondo luogo, per ragioni sociali.Il redditometro se ne frega di qual è l’attivitàsottostante al reddito dichiarato in misura nonconforme al tenore di vita emerso e colpisce inmodo identico tutti coloro che vivono al di sopradelle loro “possibilità fiscali”: dall’apparente di-soccupato, al dipendente con il secondo lavoroin nero, fino al commerciante, l’artigiano ed il li-bero professionista.In questo modo, il redditometro fornisce un pic-colo, ma non disprezzabile contributo al ripristi-no di un rapporto tributario “one to one”, senzaconflittualità sindacali e sproloqui categoriali conaccuse incrociate. Perché uno dei passaggi ob-bligati per il cambiamento di questo Paese è an-che il ripristino del senso di essere tutti noi unacomunità di cittadini alla pari, piuttosto che unagglomerato mal riuscito di categorie dagli inte-ressi inconciliabili, in perenne conflitto tra loro etroppo occupate nel gioco dello scarica barileper provare a guardarsi al loro interno e a daredavvero il proprio contributo.Governare questi processi e spiegarli alle istitu-zioni come al cittadino medio sono precisi obbli-ghi morali di chi, come tutti noi Colleghi, possie-de tecnica giuridico-economica, sensibilità so-ciale e profondo rispetto del pubblico interesse.

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24NUMERO 189 - MAGGIO / GIUGNO 2009

Questo periodico è associatoall'Unione Stampa Periodica Italiana

PERIODICO BIMESTRALE DELL'ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE

Direttore Responsabile: MASSIMO DA RE (Venezia)

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Hanno collaborato a questo numero: FRANCO BARIN (VI) - KETI CANDOTTI(VE) - PAOLO LENARDA (VE) - ANGELA LORO (VI) - CLAUDIO MILOCCO(UD) - CLAUDIO POLVERINO (GO) - GIUSEPPE REBECCA (VI) - MAURIZIO

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Inserto a cura di: Michele D'Agnolo e Anna Lisa Copetto.Segreteria di Redazione: MARIA LUDOVICA PAGLIARI, via Paruta 33A, 3 5126 PadovaAutorizzazione del Tribunale di Venezia n. 380 del 23 marzo 1965Editore: ASSOCIAZIONE DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTICONTABILI DELLE TRE VENEZIE Fondatore: Dino Sesani (Venezia)Ideazione, laying out: Dedalus (Creazzo-VI)Stampa: GRAFICHE ANTIGA spa , via delle Industrie, 1 - 31035 Crocetta del Montello

Articoli (carta e dischetto), lettere, libri per recensioni, vanno inviati a Maria Ludovica Pagliari, via Paruta33A, 35126 Padova, tel. 049 757931. La redazione si riserva di modificare e/o abbreviare. I colleghipossono prendere contatto con il redattore del proprio Ordine per proposte e suggerimenti. Gli interventipubblicati riflettono esclusivamente il pensiero degli autori e non impegnano Direzione e Redazione.

Numero chiuso il 23 settembre 2009 - Tiratura 10.500 copie.

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IL COMMERCIALISTA VENETOCVCVCVCVCV

IL COMMERCIALISTA VENETO

Questo al volo:

L'intervistaa Daniele MariniLuca Corrò (pagine 3 e 4) intervistaun personaggio di spicco dell'econo-mia e della cultura economica delTriveneto, Daniele Marini, esponentedi un mondo intellettuale veneto cheutilizza doti innate di poliedricità emultidisciplinarietà.

Sulle rinnovateproceduredel concordatofallimentarePaolo Talice, notaio in Treviso, cipropone un vero e proprio saggio sullerinnovate procedure che coinvolgo-no, nel concordato fallimentare, ledecisioni della società. L'articolo (dapagina 5 a pagina 8) completa lefattispecie esaminate dal ComitatoInterregionale dei Consigli Notarilidelle Tre Venezie, la cui edizione ècome da tradizione allegata in libro aquesto numero del nostro giornale.

Istat e canonidi locazioneUn tema sempre vivo e ricco di do-mande potenziali quello dell'aggior-namento Istat del canone di locazio-ne, modificato dall'entrata in vigoredella legge 14/2009. GiuseppeRebecca e Giulia Tescaro (pagine9 e 10) ne analizzano, in un articolomolto puntuale, differenze franormative e fra locazioni ad usoabitativo e per uso diverso.

Economiae religione:un'analisi comparataSempre scivoloso il rapporto fra re-ligione istituzionale che si sostanziin un documento ufficiale e a suomodo assoluto come un'enciclica pa-pale e l'economia, detta da taluno lascienza del diavolo. Maurizio Setti(pagine 13-16) riesce nell'impresaimpossibile, estrapolando, dall'Enci-clica papale del 29 giugno 2009Caritas in veritate, concetti econo-mici che si accordano con la moralecattolica e nello stesso tempo nonstridono con i postulati della discus-sa scienza economica. Una testimo-nianza singolare e preziosa.

Amministratorie indennitàIn un'epoca in cui non spirano pro-prio venti favorevoli ai manager di ogniordine e grado Keti Candotti (pagine19-21) mette il dito su una piaga anti-ca, quella del diritto all'indennità di finemandato (in pratica, alla liquidazione)per l'opera prestata dagli amministra-tori. Tema civile e fiscale fifty fifty, lacui soluzione è tuttavia connessa allasfera di decisionalità all'interno dellasocietà e che la legge (civile e fiscale)non elabora ancora in modo organicoe oggettivo.

STORIA, STORIE / Il fisco dell'antico Egitto

Le piene del NiloIL FISCO DEL-L’ANTICO Egitto(3300 a.c.- 31a.c.)era organizzato inmaniera molto com-plessa e si avvalevadi un sistema conta-bile molto raffinato:cittadini, contadini,bestiame, campi, al-beri, artigiani, mani-fatture, imbarcazio-ni, tutto era registra-to accuratamente;anche i beni deitempli, benché esen-ti dalle imposte permezzo di immunitàfin dalla V dinastia,erano censiti.Le tasse erano pa-gate con il lavoro oin natura e solo gli artigiani ei contadini, la parte produtti-va egiziana, erano soggetti alprelievo fiscale.Durante l’epoca tinita (3.000a.c. -2.650 a.c.) furono fattivari censimenti per consentiredi conoscere le future entratecon ampio anticipo. Il censi-mento aveva un netto caratte-re fiscale; ogni capo famigliadoveva fare personalmente ladichiarazione dei propri cam-pi, del bestiame e degli alberiche vi si trovavano.Un’apposita commissione, for-mata da uno scriba-capo, dadue scribi del catasto, da undelegato e da due agrimenso-ri, misurava i campi coltivabili,faceva una lista dei proprie-tari, valutava i probabili rac-colti a seconda delle varie col-ture e stabiliva la possibile im-posta.I rilevamenti prima del raccoltoservivano infatti come base al-l’imposizione fiscale che veni-va calcolata di anno in annoin funzione delle risorse deicontribuenti. Le risorse eranostabilite prevedendo l’esito deiraccolti che dipendeva dal li-vello del Nilo in piena.Quando giungeva il momentodel raccolto gli esperti fissa-vano definitivamente l’ammon-tare dell’imposta (potremmodire “a saldo”).L’importo delle tasse non eralasciato al potere decisionaledegli scribi, ma il tutto era se-

guito da funzionari che dove-vano osservare una prassi de-terminata.Erano rari i casi in cui un con-tadino dovesse versare un tri-buto che non era in grado di

pagare, ma talvolta sipossono trovare, trale pitture tombali,raffigurazioni di sce-ne di prelievo delleimposte nei campi edi bastonature inflit-te ai recalcitranticontadini!!Evidentemente gliabusi esistevano, machi si riteneva vitti-ma poteva fare lesue rimostranze edera ascoltato.Non serve un gran-de sforzo di fantasiaper individuare inquesto antico siste-ma i precursori del-le nostre dichiara-zioni dei redditi, de-

gli studi di settore, dellesanzioni tributarie e del re-lativo contenzioso!

Keti Candotti Ordine di Venezia