Cultura Commestibile 16 - maschiettoeditore.com · il Fascismo” che ha avuto il me - rito di...

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Non si esce dalla crisi in questo paese senza alimentare la cultura e se questa non rigenera il campo sociale ma anche l’economia 16 uesta settimana il menù è DA NON SALTARE La poesia è poesia Intervista a F.Ulivi a pagina 2 Q VUOTI&PIENI Romaniello a pagina 6 GALLERIE&PLATEE Cosma a pagina9 Una partita infinita Siliani a pagina 15 Arte e architettura in Olanda La semantica delle pere RIUNIONE DI FAMIGLIA Prego, ripassi dopo il 25 febbraio a pagina 4 Inglese, anglicano e anche bischero SCENA&RETROSCENA Gianni Alemanno 25 novembre 2012 Gianni Alemanno 25 novembre 2012 Nicolini, sulla cultura aveva ragione lui

Transcript of Cultura Commestibile 16 - maschiettoeditore.com · il Fascismo” che ha avuto il me - rito di...

Non si esce dalla crisi inquesto paese senzaalimentare la culturae se questa nonrigenera il camposociale ma anchel’economia

16uesta settimanail menù è

DA NON SALTARE

La poesia è poesia

Intervista a F.Ulivi a pagina 2

Q

VUOTI&PIENI

Romaniello a pagina 6

GALLERIE&PLATEE

Cosma a pagina9

Una partitainfinita

Siliani a pagina 15

Arte e architetturain Olanda

La semanticadelle pere

RIUNIONEDI FAMIGLIA

Prego, ripassidopoil 25 febbraioa pagina 4

Inglese,anglicanoe anche bischero

SCENA&RETROSCENA

Gianni Alemanno25 novembre 2012

Gianni Alemanno25 novembre 2012

Nicolini, sulla cultura aveva ragione lui“

CCUO

.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.2

Si è da poco conclusa la mostra“Anni Trenta. Arti in Italia oltreil Fascismo” che ha avuto il me-rito di riprendere una riflessione

intorno alla politica culturale di queglianni cruciali e talvolta sottovalutati oignorati per l’ingombrante presenza delregime. Fra i protagonisti fiorentini diquel tempo ne ricordo uno tutt’altro chemarginale, che ho avuto modo di cono-scere nel 1991, alla fine del mio lavoroper la tesi di laurea sulla rivista fiorentina“il Bargello”: Ferruccio Ulivi, di cui è ri-corso il centenario della nascita pochimesi fa, scrittore, poeta, critico letterarioche negli anni ‘30 collaborò attivamentealla rivista con articoli di critica letterariae diversi brevi e bellissimi racconti e fuamico e frequentatore di Montale, Pra-tolini, Rosai, Carlo Bo a Firenze, primadi trasferirsi definitivamente a Roma. Erada poco uscito il suo ultimo romanzo“L’anello” e ricordo il nostro lungo incon-tro nella sua casa romana di via Zara,dopo qualche scambio epistolare, cor-tese e accogliente per un giovane laure-ando, certamente intimorito dallacasa-biblioteca di un protagonista del su-dato lavoro di tesi. Ne venne fuori unalunga intervista che completò il mio la-voro, ma soprattutto restituì il clima cul-turale di quegli anni fiorentini. Qui diseguito ne riproduco i passaggi più inte-ressanti, in qualche modo a commentodella mostra di Palazzo Strozzi, ma so-prattutto in omaggio ad uno scrittore no-tevole dimenticato dalla sua terra(nacque a Borgo S.Lorenzo il 10 settem-bre 1912), ad un grande uomo di cultura,ad un ospite cortese e gentile, ad un te-stimone di quei terribili eppure fertilianni.Gioacchino Contri, direttore della rivistadal 1934 fino al 1943, in una nota perso-nale del 1954, definisce “il Bargello” una ri-vista di fronda: in quale misura e in chesenso lo fu?Mi pare che Contri abbia un po’ forzatoil suo giudizio nel definirla addiritturauna rivista di fronda, se “fronda” significaqualcosa di intenzionale e di deciso.Cioè, noi facevamo della fronda senzavolerlo e senza neppure sapere di farlo.Anche perché l’aspetto politico dellaquestione, le conseguenze politiche di unatteggiamento più o meno di fronda,erano come tenuti fuori, nel senso chepiù si evitava l’argomento politico, più cisentivamo liberi... Io avevo letto Croce,poco; ma non ero in condizione allora dimettere Croce in una prospettiva precisa,di sapere che cosa in realtà ci fosse dietrola parola, le posizioni ideali e soprattuttoquelle estetiche che erano quelle che miinteressavano di più di Croce. Ma leg-gevo Croce e mi imbevevo, in un certosenso, di spirito di libertà, però non sa-pevo di accedervi. Per me la verità stavanella pagina, stava nella letteratura; manon come un valore assoluto che esclu-desse l’esistenza di altri valori... Questoatteggiamento sta anche alle origini del-l’ermetismo.La “svolta” ermetica fu anche occasione didistacco dalla politica e, quindi, dal regimefascista?

di Simone [email protected]

DA NON SALTARE

La poesia

poesiaè

da qualunque paese provenga

CCUO

.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.3

Intervista (del 1991) a Ferruccio Ulivi, protagonista dimenticatodegli

Lorenzo Viani, Georgica 1929 (Fondazione Musei Civici di Venezia, ArchivioFotografico), al centro Mario Tozzi, Figure e architetture, 1929 (KunstmuseumBern, Staat Bern) in basso Mario Radice, Composizione G.R.U 35/B (Compo-sizione n. 85), 1937 (Fototeca Musei Civici Como. Fotografia di Aleph s.n.c.)A pagina 2 Ram (Ruggero Alfredo Michahelles), Industria, 1931 (Fotografia diSandro Michahelles)

le riviste francesi non certo tenere con ilfascismo... presi una passione focosa perHuxley: “Punto contro punto” mi colpìmolto, come anche “Foglie secche”. Nonavevo modo di farmi una cultura orga-nica, ma alcuni di questi libri mi colpi-vano per la loro apertura rispetto allechiusure della letteratura “ufficiale” ita-liana...La ricerca di una nuova letteratura portavaad un superamento di alcuni numi tutelari

anni ‘30

DA NON SALTARE

L’ermetismo ci rivelò quella parte liberadi noi stessi a cui non avevamo saputodare un nome, che non comportava ag-gettivazioni sociali, politiche...Un merito di Contri fu quello, assecon-dando la politica di Pavolini di allora e leintenzioni di Bottai, di non censurarcimai anche di fronte alle nostre attenzioniper Croce o Huxley o per i nostri attacchiad organi del regime che parlavano di“popolarismo” della cultura o di “reazio-narismo” ermetico. In questo senso Con-tri apparteneva alla parte positivadell’avanguardia letteraria del tempo...Credo che fosse un’appendice sinceradella fronda del regime guidata allora daPavolini, che aveva le sue radici in “Stra-paese” e i suoi campioni a Firenze in ar-tisti come Rosai o Bilenchi (il quale erapassato da “il Capofabbrica” che finiscecon “Viva Mussolini!” ad un atteggia-mento del tutto opposto). Accanto allalinea ermetica, che si affermò negli anni1938-’39, coabitava un’altra linea, quellache si rifaceva all’esperienza della “Ronda”e di “Solaria”: in che modo contribuironoall’affermazione dell’ermetismo?Della “Ronda” noi non volevamo risco-prire il purismo, quella certa altezzositàneoclassicistica che spesso le si imputa.Ne apprezzavamo il sentimento della di-gnità di quel valore dominante, il valoredella letteratura. La “Ronda” ci insegnavaad aver rispetto della letteratura, che eral’elemento costitutivo della nostra iden-tità. In questo senso anche la “Ronda”collaborava alla nostra formazione. Piùancora, naturalmente, vi collaborava “So-laria”, per quella meravigliosa apertura,per quel mirabile consenso e per quellaconseguente possibilità di conoscenzache ci dava di tutte le letterature. Ci pa-reva pazzesco credere che perché La-wrence, o Proust, o la Wolf, o Huxleysono stranieri o non sono nati a Peretoladebbano essere tenuti alla larga come ele-menti contaminanti di una presunta let-teratura italica che non esiste: laletteratura è letteratura, la poesia è poesiada qualunque paese provenga... Avevoavuto la possibilità di leggere tutto La-wrence fino dagli anni del liceo frequen-tando la biblioteca “Marucelliana”. Labiblioteca, allora diretta da un fratello diJahier, era una miniera d’oro: vi si trovavala prima edizione in francese stampata aFirenze de “L’amante di Lady Chatterly”,

della letteratura italiana come D’Annunzio?D’Annunzio era per noi un problema“sotto spirito”. Io avevo letto D’Annunzio,ma rimaneva come un grande enigmadentro di me, cioè mi impressionava conla sua statura; non ero capace di buttaredalla finestra l’Alcyone e certe pagine diconfessioni di D’Annunzio, il Notturno.Accanto a questo D’Annunzio non avevola capacità di allineare o di accostare ilD’Annunzio poeta ufficiale, il coman-dante. Anzi quando mi si parlava delD’Annunzio delle avventure e dell’eroedella guerra non capivo più: mi sembra-vano due personaggi o uno sdoppiato.Non capivo quale relazione potesse esi-stere fra l’Alcyone e il volo su Vienna, adesempio. ..Quella di rifiutare le categorizzazioni, le eti-chettature mi sembra la posizione di moltigiovani intellettuali d’allora.Certo. E allo stesso modo ci rifiutavamodi essere catalogati come ermetici. Gli ul-timi a rendersi conto della valenza pole-mica del termine “ermetismo” eravamoproprio noi. Eravamo solo poeti e scrit-tori sinceri, che volevano dire ciò cheavevano dentro e dirlo nel modo più di-retto. Quindi perché chiamarli polemica-mente “ermetici”? Leggevamo giàMallarmé e Baudelaire, avevamo fra i no-stri Ungaretti e Montale quindi il termine“ermetismo” non ci spaventava, ma nonsignificava... Montale era diverse genera-zioni più anziano di noi, i conti li avevafatti con ben altri che con i fascisti. Noieravamo nati dentro il fascismo, Montaleera nato prima ed aveva già fatto i conticon Croce, con Proust, con Svevo; avevaun retroterra infinitamente più ampio delnostro. Arrivava al tempo fascista conuna coscienza adulta e con una forzaconscia che gli consentiva di assumereun certo carattere indolenzito, amaro, re-attivo, cosa che non poteva essere pro-pria della nostra generazione...La vicenda dei Littoriali della Cultura edell’Arte è in qualche modo emblematica:qual è il suo giudizio? Furono davveroquella palestra di “fronda” o di dissenso dicui si è scritto?Io ho partecipato ad alcuni Littoriali nonper la parte letteraria. Non so perché miimposero di partecipare per il giornali-smo. Mi mandarono a Bologna per unasettimana e lì ebbi il piacere di conoscereGiaime Pintor, Spagnoletti e altri. I Lit-toriali non li capii: vi era insito un sensodi gara che mi sembrava incongrua. Perdirla in termini odierni, mi sembraronouna sorta di esibizione telegenica. Fu ungioco abbastanza intelligente a vantaggiodi una cultura decorosa o, meglio, dellaparte meno indecorosa del regime. E co-

munque raggruppò quelli che erano igiovani più vogliosi di pensare di queltempo, ma come formula non credo chesi andasse al di là dei vantaggi che perso-nalmente ci davano, offrendoci la possi-bilità di scambiare idee e di passare unasettimana fuori di casa...Romano Bilenchi in “Amici” ci informadella prima crisi politica sua e di Vittorini ePratolini con la guerra di Spagna. Dunque,per alcuni questo fu il primo momento di di-stacco dal regime. Quali furono gli altripunti di rottura?Per me furono le leggi razziali: quandocominciai a rendermi contro che avreidovuto censurare Proust o Kafka, allorale cose cominciarono a non tornarmipiù. Mi rifiutavo di capire. Le leggi raz-ziali furono per me il punto di rottura.Forse perché ero poco informato dei fattidella politica: io vivevo in provincia, aBorgo S.Lorenzo, e dai giornali non sipoteva sapere niente delle voci che cor-revano sulla realtà della guerra di Spagna.Mentre quando furono promulgate leleggi razziali tutto fu più chiaro e confusoinsieme.Come si ricercava il “nuovo” in letteratura,altrettanto si faceva – in quegli anni – nel-l’arte e nell’architettura?Certo, Carrà e Morandi erano i nostripunti di riferimento. Come lo era Miche-lucci: quando nacque la polemica sul suoprogetto per la stazione di Firenze, cischierammo tutti a suo favore. Il suo pro-getto rappresentava la rottura dei canoniconformisti in architettura. E noi nonriuscivamo a capire in nome di che cosasi reagisse in modo così duro contro dilui perché nessuno dei progetti di allorariusciva ad inserirsi nell’ambiente – conquella spettacolosa abside che c’è lì da-vanti – con la naturalezza, il decoro e lanecessità sostanziale con cui ci s’inserivaMichelucci. La sua era la traduzione informa architettonica della nostra ricercaletteraria e ci pareva che lo stesso di-scorso percorresse Morandi, Picasso,Matisse, Braque nella pittura, Baudelaire,Mallarmé, Elliot in poesia e Michelucciin architettura. ...Tutto si legava e si connetteva: per noi, aFirenze, il punto di riferimento artisticoera Rosai, la sua essenzialità e la sua pu-rezza. L’altro punto di riferimento era ilSoffici degli inizi, il Soffici “francese” (poici è sfuggito di mano quando ha comin-ciato a dipingere in modo neo-macchia-iolo). Ricordo che Rosai mi regalò duedisegni, che furono pubblicati sul “Bar-gello”, che erano firmati non con il suonome ma con una testa di Soffici con cuilui era in polemica: era una tipica sfotti-tura alla Rosai.

CCUO

.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.4

Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

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“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

RIUNIONE DI FAMIGLIA

Fra una colpo di ramazza e l’altro, in unmomento di pausa nelle 166 ore di la-vori socialmente utili cui è stato condan-nato per guida in stato di ebbrezza sullasua Land Rover Defen-der, il noto giornalistaNicholas Farrell ha tro-vato il tempo di lanciarsiin una funambolica pole-mica con la “rossa” Forlìe tutta la sinistra mon-diale per aver osato met-tere in mostra l’arte nelVentennio fascista senzaammettere che il Duceebbe consenso. Un fogliotradizionalmente equili-brato, notoriamente equi-distante e neutro rispetto alle polemichepolitiche, “il Giornale” gli ha pubblicatoun pezzo anodino dal titolo “Se i com-pagni celebrano Mussolini”, accusandola giunta rossa di Forlì di essere revisio-nista, né più né meno del signor B. che,in fondo, che ha detto di grave? Che“Mussolini ha fatto anche delle cosebuone”, fin quando non si è alleato conHitler e gli è toccato diventare antise-mita, “in modo moralmente repellente sì,certo, ma tiepido rispetto ai nazisti”.Embè, che c’è di strano? Anche Farrell facose buone, fra uno schiaffo e l’altro aisuoi quattro figli, cosa di cui si sente col-pevole, ma “mi sono abituato a essere uncolpevole come un nano si abitua, sup-pongo, nel lungo andare, ad essere fisica-mente repellente”. Farrell, sia chiaro, nonè un fascista (e chi l’avrebbe mai detto?),

LE SORELLE MARX

Inglese, anglicanoe anche un po’ bischero

I CUGINI ENGELS

Prego, ripassidopo il 25 febbraio

Cara la nostra GiovannonaMelandri, noi suqueste pagine l’ab-biamo difesaquando è statapopulistica-mente messa

alla gogna per essere stata nomi-nata presidente del museo Maxxidi Roma; ma questa volta l’hafatta troppo grossa, anche pernoi. Aver negato l’anteprimaitaliana del film di Bill Em-mott e Annalisa Piras “Gir-lfriend in a Coma” suldeclino dell’Italia con lamotivazione chesia suo “do-vere tenerefuori lacampa-gna elet-toraledal

Maxxi, che è un museo pubblico,finanziato dai contribuenti”, cipare davvero un po’ troppo pilate-sca come decisione. Supponiamoallora che tanta arte contempora-nea (o anche classica) dovrebbe es-

sere censurata vista la suafrequentazione con la politica. Infondo, fu dovere civico anche diBerlusconi di coprire l’impudiciziadi certa arte classica o appiccicareprotesi posticce a sculture antiche:mica si vorrà mostrare simili scon-cezze in palazzi pubblici?!.Quanto alla sua amletica do-manda, “mi chiedo se il Louvre o ilBeaubourg o la Tate ospiterebberomai una iniziativa del genere apoche settimane dalle elezioni poli-tiche”, c’è un solo modo per risol-verla: provi a chiamare i colleghifrancesi o inglesi e glielo chieda: se-condo noi, si sorprenderebbe.

bensì “un inglese, anglicano ormaiagnostico” (certamente notazione fon-damentale per i posteri), però non è ungranché come storico. Perché altrimenti

ricorderebbe che forse è stataproprio l’intellettualità dellasinistra italiana, che lui tantoschifa e odia, a studiare il Fa-scismo come regime reazio-nario di massa, capace dicostruire – anche utilizzandoper primo i sofisticati mezzidi comunicazione, come laradio o il cinema – un vastoconsenso nella società ita-liana: dal lungo viaggio at-traverso il fascismo diZangrandi al consenso degli

intellettuali indagato da Isnenghi, daCannistraro a Garin, da Gabriele Turia Marco Palla. Mah, forse invece che ailavori socialmente utili il giudiceavrebbe fatto meglio ad obbligarlo a se-guire un corso accelerato di storia ita-liana.

“Cuori infranti al Beaubourg” è un giallo capace di sconvolgere la vostra vita, meglionon leggerlo! Oppure se volete avventurarvi vi diciamo, più avanti, come evitare di ca-dere in un abisso senza salvezza. Il libro della giovanissima scrittrice francese AlizéeLeclerc Vidal inizia con la storia di un vero delitto: lo strangolamento di Nina von An-dreevskaja, vedova di Vassily Kandinski, avvenuto il primo settembre 1980 a Gstaad:il responsabile non è mai stato trovato. La scrittrice sembra suggerirci che l'autore degliefferati omicidi, che ci racconterà, sia proprio l'assassino di Nina.“Cuori infranti al Be-aubourg” narra della mostra di tredici artisti che una mecenate (russa?) invita adesporre al celebre Museo francese. Nel giro di tredici giorni ognuno degli artisti verràtrovato ucciso nei luoghi più disparati della Terra. Nessuno di loro si conosce, ma tutticonoscevano la donna alla quale tutti e tredici, per amore, avevano spezzato il cuore.Lei sembrerebbe l'indiziata numero uno ma non è così. Ai cadaveri è stato strappato ilcuore e deposto accanto tagliato a fette. La terribile particolarità del libro sta nel fattoche il responsabile di questi delitti è scritto in una busta sigillata posta nell'ultima paginadel libro: non aprite quella busta, vi scongiuriamo,! Noi che l'abbiamo fatto siamo inpreda ad una angoscia spaventosa.

CCUO

.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.5POLVERE DI MUSEI

Una mostra, quella che si è appenaconclusa a Palazzo Strozzi, che aldi là del valore artistico delle opereesposte, costituisce una sfida poli-

tico-culturale: anni difficili, contraddittorisoprattutto a Firenze. Il Fascismo che si faregime totalitario di massa e mostra il suovolto più violento (l’avventura coloniale, leleggi razziali, la censura, l’abolizione deipartiti politici), ma nello stesso tempo nellearti nascono movimenti letterari (l’ermeti-smo), riviste culturali, il Festival del Mag-gio, l’architettura razionalista, i Littorialidella Cultura e dell’Arte, le Biennali, Trien-nali e Quadriennali. Che risposta aveteavuto alla mostra e alle molte iniziative col-laterali sul terreno del dibattito culturale?Come valuta i risultati di pubblico dellamostra?La risposta del pubblico è stata eccezio-nale; e questo proprio perché gli AnniTrenta sono ancora un periodo moltovivo nei ricordi della gente – per chi li havissuti personalmente; oppure per chiha ascoltato i racconti dei genitori o deinonni. Questa particolare immediatezzaha reso possibile la realizzazione di unamostra intesa come espressione perfettadella filosofia di Palazzo Strozzi del-l’ascolto visibile: attraverso le didascalieper famiglie e bambini basate su intervi-ste fatte a coloro che sono cresciuti negliAnni Trenta; la speciale Sala Radio, incui i bambini potevano intervistare inonni sulla loro gioventù (e ogni giovedìmattina, grazie alla collaborazione conl’emittente fiorentina ControRadio lemigliori interviste venivano mandate inonda); la Sala Lettura dove i visitatoripotevano lasciare i propri ricordi o ap-profondire alcuni contenuti dell’esposi-zione. L’inserimento in mostra di vocidell’epoca è stato davvero apprezzato(eventi storici, trasmissioni radiofonichee canzoni) e ha permesso di offrire unavisione più approfondita degli AnniTrenta, che “va oltre” quello che vieneraccontato nei libri di testo.Le opere esposte riescono a restituire concompletezza e rappresentatività tanto l’arte“di regime” quanto le sue deviazioni, la“cultura degenerata”. Ma certamente lamostra è decisamente sulle arti nel fasci-smo, piuttosto che oltre il fascismo: la sceltadel titolo segna una preoccupazione di es-sere fraintesa o cosa altro?L’utilizzo del termine “oltre” era voluto;e punto centrale del tema della mostra:per ri-contestualizzare l’esperienza di undecennio che è sempre stato, col sennodi poi, visto come un perfetto stereotipo. Le opere selezionate hanno mostratoche, nonostante la forte influenza dellostato fascista, il fascismo non può essereusato per definire tutta l’arte degli AnniTrenta, molti artisti,- tra cui i cosiddetti“metafisici”, i surrealisti, gli astrattisti–andarono ben “oltre” la definizione diarte di regime. Il torso nudo con la testadi giraffa di Savinio, per esempio può es-sere descritto con molti termini, ma nonsemplicemente con “fascista” comeanche il granchio di ceramica di LucioFontana. La mostra ha chiaramente di-stinto tra arte di destinazione privata

di Simone [email protected]

(molto più libera) e arte pubblica, intesacome veicolo di comunicazione dimassa, capace di trasmettere i messaggipolitici del regime. L’esposizione ha di-mostrato come dibattiti e conflittualità,in campo artistico, abbiano visto intrec-ciarsi ragioni estetiche e ideologiche fa-cendo comprendere la complessità diun decennio, spesso nascosta dietro lasemplice definizione di fascismo.

Come valuta la risposta della città al la-voro che avete fatto di disseminazione nellacittà di incontri, conferenze e altre attivitàdi animazione culturale sul tema della mo-stra?La mostra ha rappresentato un esempioquasi perfetto della missione di PalazzoStrozzi di essere una piattaforma per l’in-tera città, uno strumento per far vedereFirenze attraverso altri occhi oltre a

quelli del Rinascimento. Oltre aidue cicli di conferenze, la ras-segna cinematografica al-l’Odeon e le variepubblicazioni realizzateda Palazzo Strozzi (comeil giornalino “Jumbo”),la mostra Anni Trenta ha

promosso quattro esposizioni paralleleorganizzate in città: Il ritorno all’ordine.L’immagine di Firenze per la visita del Fü-hrer presso l’Archivio Storico del Co-mune di Firenze; Fumetti e dintorni allaBiblioteca Marucelliana; Gli Anni Trentaal Lyceum di Firenze; La porti un bacionea Firenze. Gli Anni Trenta tra moda, rivi-ste e caffè letterari alla Biblioteca Nazio-nale Centrale. L’autunno 2012 èdiventato così una sorta di vera riletturadegli Anni Trenta – un’occasione offertaall’intera città per ricordare il suo riccopassato, che va ben oltre l’eredità deiMedici.Nella mostra è apparsa abbastanza sacri-ficata, marginale, la testimonianza e la ri-flessione sull’architettura. In particolare aFirenze sembra una scelta assai discutibileperché proprio in questa città l’architetturaebbe uno sviluppo originale, lasciando testi-monianze importanti, alcune addiritturarivoluzionarie: dalla stazione ferroviaria diS.M.Novella alla Scuola di Guerra Aereadelle Cascine, fino allo stadio.È vero che l’aspetto architettonico nonera così forte nell’ambito della mostra,non per ignoranza o dimenticanza, maper la natura stessa del tema.Come architetto, io so che le fotografieo i modelli non rappresentano al megliogli edifici. L’architettura si apprezza ecomprende solo vivendo gli spazi. Perquesta ragione la straordinaria impor-tanza dell’architettura è stata ricono-sciuta attraverso la creazione di unospeciale itinerario che incoraggiava i vi-sitatori ad andare alla scoperta dei capo-lavori degli Anni Trenta in città. Hannoarricchito l’itinerario, un ciclo di confe-renze tenute negli stessi ambienti del-l’epoca (tra cui la Palazzina Reale dellaStazione, il Famedio di Santa Croce, lostudio di Ojetti, l’ex casa editrice Ner-bini, la Biblioteca Nazionale), un tou-chscreen nel Cortile di Palazzo Strozziche spiegava la storia e dove si trovavanogli edifici e la speciale applicazione periPad che attraverso un sistema di geolo-calizzazione guidava i visitatori attra-verso i luoghi del periodo. In questomodo il pubblico ha avuto l’opportunitàdi rivivere spazi e luoghi poco visitati espesso inaccessibili – eccezionalmenteaperti per l’occasione, piuttosto cheguardarli solo nelle vecchie fotografie.La mostra di Francis Bacon e altri nella“Strozzina” sembra dialogare con quellasugli Anni Trenta al piano nobile del Pa-lazzo Strozzi almeno su un punto: il temadell’esistenza nel rapporto fra individuo ecollettività, il rapporto fra sfera personaleinteriore e quella esterna pubblica. Come èstata accolta dal pubblico?La mostra del CCC Strozzina FrancisBacon è stata la più visitata e apprezzatadegli ultimi cinque anni. L’esposizioneracchiudeva tutte le qualità dell’approc-cio del Centro di Cultura Contempora-nea Strozzina elaborato da FranziskaNori e dai suoi collaboratori. Tematica,piuttosto che monografica; include il la-voro di giovani artisti contemporaneiche in questo caso si mettono in dialogocon le opere di Francis Bacon, compren-dendo opere di una qualità eccezionalee alcune altre realizzate appositamenteper gli spazi espositivi del Centro.Foto Crimella, Villa di campagna: arrivo al primo piano , 1933 (Archivio Foto-

grafico – La Triennale di Milano)

74.236 visitatoriAnni Trenta. Arti in Italiaoltre il fascismo

40.199 visitatoriFrancis Bacon e la condizioneesistenziale nell’artcontemporanea

Bilanciodi una mostraoltre

James

M. Bradb

urne

CCUO

.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.6

La mostra “Triggering Reality” -curata da Giampiero Sanguignicon la collaborazione di MarcoBrizzi e in programma al Centro

per l’arte Contemporanea Luigi Peccidi Prato fino al 10 marzo - si pone finnelle sue premesse iniziali come unasorta di ‘detonatore’ capace di inne-scare un discorso critico sulla realtàcontemporanea. Il percorso collettivoracconta il delicato passaggio dalla‘seconda età dell’oro’ della realtà crea-tiva e culturale olandese della finedegli anni Novanta all’attuale situa-zione di crisi globale. I sei artisti e cin-que architetti olandesi (Atelier VanLieshout, Boundary Unlimited, DUSarchitects, Haas & Hahn, NicolineVan Harskamp, Anne Holtrop / BasPrincen, Wouter Klein Velderman,Krijn de Koning, NIO Architects,ONIX), personalità affermate e crea-tivi di nuova generazione, sono invi-tati a confrontarsi sui temi dellaricerca architettonica e artistica in unmomento storico particolarmenteproblematico per l’arte e la cultura ingenerale, in Olanda come nel restod’Europa.Gli artisti e architetti impegnati in“Triggering Reality” hanno in comuneun atteggiamento critico che li portaa ridefinire il loro ruolo sociale dicreativi non più in termini autorefe-renziali o distaccati. La loro reazioneall’attuale clima politico ed econo-mico sfocia in un rapporto più direttoe impegnato rispetto ai problemidella realtà che li circonda e spessonei loro lavori l’arte e l’architetturasconfinano nel “design sociale”. Lospazio contemporaneo viene rappre-sentato e investigato nelle sue dimen-sioni sociali e percettive anchecoinvolgendo l’opinione pubblica inmaniera diretta, a volte perfino pro-vocatoria. Gli architetti e artisti sele-zionati si mettono alla prova,abbandonando il proprio specificoambito professionale, ma nello stessotempo mettono alla prova la prospet-tiva del pubblico sul piano della con-sapevolezza del reale. Lo stessoSanguigni parla di un “atteggiamentopost-mediatico”, che va oltre il purovalore rappresentativo e simbolicodegli oggetti utilizzati e ne recuperainvece una dimensione più umana equotidiana, tesa a trattenere e richia-mare un più vasto immaginario col-lettivo e a instaurare un rapporto diempatia con i visitatori della mostra.

di Caterina [email protected]

VUOTI&PIENI

olandese di oggi

Il post-mediatico Triggering Realityal Centro Pecci

di Pratonell’arte e nell’architettura Ivory and Pride, 2010. Giorni Felici, Casa Testori, Milano, 2012”. Wouter Klein Velderman

Elisabetta Nencini

e i groviglidell’anima

terno all’esterno. Le fibre che ci pre-senta l'artista creano pareti cellularidella nostra realtà, scarti che conten-gono la nostra vita, i nostri ritmi quoti-diani, fibre di collegamento tra il nostroessere e l’esterno. Attraverso questefibre parte del nostro intimo si manife-sta nel mondo, un altro universo si ri-vela e le foto ci parlano del riciclo cheNencini sapientemente fa donandoci latrasformazione celata ai nostri occhidall’apparenza. Fasci di fili ricordano lereliquie, capelli veri o finti di parrucche

colorate, o ancora stoppa che i nostrinonni usavano per togliere l’olio dalvino nei fiaschi ma poi la realtà: an-ch’essi sono fili, tubi, cavi elettrici.Guardando alcune foto si ha l’impres-sione che ci sia una terza dimensione,gli scarti vengono avanti, si staccano dalsupporto fotografico. La materia stessasi trasforma, alcuni scarti sembranovermi nati dalla decomposizione dicorpi morti o ancora lombrichi cherendono la terra fertile, odorosa e di unmarrone denso, bello, caldo e acco-gliente per una nuova vita. ElisabettaNencini fotografa l’altra dimensionedegli scarti urbani, un universo diavanzi impregnati della nostra vitaumana con le nostre speranze di rinno-vamento e con i fili trasmettitori dienergie ed emozioni. Sono fibreesterne che conducono da noi agli altri,da un luogo a un altro; sono vene,nervi, meridiani interni al nostro corpo,conduttori di energie per vivere benesenza blocchi energetici.

CCUO

.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.7ICON

“Fibre di un altro universo”è la mostra fotografica diElisabetta Nencini allaSala Antiquarium Co-

stantini - Museo Archeologico di Fie-sole, fino al 17 febbraio 2013.La fibra costituisce la parete cellularedelle piante ma in questa sala ci tro-viamo davanti a foto che ritraggonoscarti di fili elettrici, di tubi di plastica,

ferro, gomma o rame. Questo è ciò cherimane del risanamento e della ristrut-turazione di locali, di case, sono restibuttati a ricordare quello che è stato eil cambiamento avvenuto. In alcunefoto gli scarti sono composti di ele-menti grandi, riconoscibili, poi si fannosempre più piccoli e filiformi da lon-tano potrebbero essere fili di lana, dicotone, grovigli di filo da dipanare perfarci gomitoli oppure fili di un orditoche insieme alla trama intesserà il tes-suto. Ci avviciniamo alle foto e l’illu-sione scompare: sono sottili fili dirame, il rame, puro e ridotto in fili perl’utilizzo dell'energia elettrica, sottilitubi di rame che trasportano acqua ogas. Il rame è un conduttore, è resi-stente alla corrosione, scambia calore,è batteriostatico, è facilmente lavorabileperché malleabile e duttile e si puòcombinare con altri metalli per le leghe.Inoltre tramite esso le nostre paroleviaggiano nell’etere per comunicare,conducendo le nostre emozioni dall’in-

di Angela [email protected]

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Cade in queste settimane ilprimo anno senza Antonio Ta-bucchi e la serata dell’ 11 feb-braio al Puccini di Firenze sarà

un’occasione preziosa per reincon-trarlo. Ascolteremo una intervistaesclusiva rilasciata poco prima di mo-rire a edizioni Piagge, una piccola e in-dipendentissima casa editricefiorentina, nata da poco ma con all’at-tivo diversi volumi di forte interessesociale e culturale.Nella prefazione del libro don Ales-sandro Santoro, animatore della Co-munità delle Piagge, ricorda imomenti trascorsi con il grande scrit-tore per realizzare il progetto:“Non posso non concludere questemie riflessioni con un saluto all’altraparte della sponda, dove tutti i giorniimmagino di vedere e sentire cammi-nare Antonio Tabucchi. A lui devo ungrande tributo di riconoscenza perl’amicizia senza se e senza ma, vera efraterna che ci siamo fatti e regalati inquesti anni. Quando andammo da lui,nella sua casa di Vecchiano, ho riem-pito i polmoni di quello spirito di vita,di viaggiatore di parole, di vino e panecondiviso di cui respirava quella casa;e Antonio ci ha consegnato pezzi eframmenti veri di vita e di pensiero”.Accanto a Tabucchi incontreremoLella Costa, artista televisiva e teatrale,Clara Sereni, scrittrice e giornalista,Sergio Givone, docente di Estetica eattuale Assessore alla Cultura di Fi-renze, Maurizio Maggiani, scrittore eaffabulatore, Gian Carlo Caselli, ma-gistrato da anni punto di riferimentonella lotta al terrorismo prima e allamalavita organizzata poi.Il progetto che verrà presentato alPuccini “Uno strano amore. Nuovicompagni di viaggio” si compone diun libro e di un film curati da Um-berto Benedetti, Stefano De Martin,Francesco Ritondale. Il titolo si ispiraa una riflessione di Albert Camus sulla“rivolta che non può fare a meno diuno strano amore. Coloro che nontrovano quiete né in Dio né entro lastoria, si dannano a vivere per quelliche, come loro, non possono vivere,gli umiliati. E’ questa la pazza genero-sità della rivolta che dà senza indugiola sua forza d’amore e rifiuta senza di-lazioni l’ingiustizia” . Il riferimento in-vece a “nuovi compagni di viaggio”rimanda al precedente progetto di edi-zioni Piagge, curato dalle stesse per-sone: un film-intervista a tre preti difrontiera titolato “Compagni di viag-gio” sulla testimonianza di cambia-mento oggi possibile all’interno di unapproccio religioso e spirituale.Le musiche del film sono state gentil-mente concesse da Enzo Favata, daKao Dialy Mady Sissoko, Mirco Co-sottini, Riccardo Tesi e Maurizio Geri.Nel corso della serata, condotta daMassimo Orlandi alla presenza di granparte dei protagonisti del progetto,verrà proiettato il film (durata 42’).Ha dato la sua collaborazione ToscanaFilm Commission.L’ingresso è libero fino a esaurimentoposti.

Le piazze maremmanedi Bianciardi e Cassoladi Franco Manescalchi

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Tanto vasta è la Maremma, nellasua distesa di vallate e colline oradolci e ora aspre, che i paesi postiin alto, arroccati, sembrano tuttilontanissimi l’uno dall’altro, se-condo l’ottica che una curva puòoffrire, In passato a raggiungerli era solo lacorriera – altrimenti detta il po-stale perché con quella arrivavanola posta e i pacchi dei giornali allaprima corsa mattutina. Le fermate nelle piazze dei paesiper le consegne erano piccolieventi dal sapore locale.Mentre avveniva il passamanodelle consegne, si poteva assisterea scene e scenette improvvisate da

L’APPUNTAMENTO

SPIRITI DI MATERIA

chi si approntava a iniziare la gior-nata, con lo spirito ironico e pun-gente di battute che, in Toscana,sono il sale della vita.E quel “sale” era un assaggio ancheper i viaggiatori sonnacchiosi ,scossi da quel rapido battibeccare.L’arrivo di un “forestiero” veniva poiregistrato negli sguardi dei paesanigià in movimento sulla piazza.Qualcosa di vagamente simile a unvillaggio della frontiera del West.Luciano Bianciardi e Carlo Cassola,in “I minatori della Maremma”,(Bari, Laterza, 1956) ci offrono unadefinizione esatta di come in Ma-remma il paese fosse sinonimo dipiazza, perché lì si svolgeva e sisvolge la vita comunitaria per cui,come si legge in questo stralcio, gli

abitanti di ogni paese portano unnome secondo le caratteristiche e leabitudini della loro cittadina.“La piazza è un altro elemento uni-tario nella vita dei paesi dei marem-mani: la piazza è il luogo dove siferma il “postale”, cioè la corriera,spesso l'unico legame con gli altricentri, ed il postale ferma lì perchéin piazza, appunto, c'è la posta, illuogo quindi dove arrivano e si con-centrano novità e forestieri. Inpiazza c'è la fonte: la maggior partedei paesi maremmani non hannouna conduttura d'acqua potabile, ele donne devono quindi fare i loroquotidiani “viaggi” alla fonte, di so-lito un edificio grosso e con qualchepretesa “monumentale”, costruito,come avverte invariabilmente la la-pide, nel tale anno e consacrato ainomi di Mazzini e di Garibaldi. La fonte è il luogo d'incontro delledonne, che vi si recano cinque, seivolte al giorno, con la coppia dellemagnifiche “brocche” di rame: altropunto, quindi, e vivacissimo, in cuisi scambiano ( e si creano) le notiziedella cronaca minuta. Il luogo, come"avvertono stornelli e canzoni, in cuii giovanotti incontrano le ragazze.La piazza è il luogo intorno al qualesi aprono le porte delle “botteghe”cioè delle mescite di vino, tre oquattro per piazza. Dopo il lavorotutti vanno alla bottega, a bere, agiocare a briscola o a scopa.I paesi, anche quelli di miniera,hanno le loro tradizioni, i loro so-prannomi: quelli di Prata, ad esem-pio, si chiamano “giubboni”, quellidi Boccheggiano “pulendai”, quellidi Chiusdino “bucunti”.

per Tabucchi

Uno stranoamore

come: seducente, proporzione, musica-lità, anima, essenza o più semplici e vi-cine alla fisicità del tipo di ruvido,sfumatura, tonalità, che si esperisconocol tatto, con la vista, con l'udito. Il percorso intellettuale da seguire èquello che ci conduce, partendo dal-l'esperienza attraverso l'interiorizza-zione delle singole realtà culturali, alladefinitiva consapevolezza concettuale,che non sarà mai un valore assoluto ecomunicabile.

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.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.9GALLERIA&PLATEE

Nella scelta delle parole per defi-nire qualsiasi cosa vogliamo in-timamente comprendere, ciimbattiamo sempre in una in-

decifrabile lotta per la ricerca del sensoche restituisca alla mente quello chesembra essere il significato ultimo. De-sideriamo fortemente una formula, re-golata da una qualche legge che cipermetta di unire sostanze differenti,come nell'antico sogno cercato dall'al-chimia.Le parole tre o quattro o cinque, paionorassicuranti, tre è tre e cosi via all'infi-nito. Già ma cosa vuole dire all'infinitoe anche cosa definisce la parola tre? Tredi cosa, di pere ad esempio. Ma qualipere, ci basta sapere che queste peresiano tre? Pere di quale varietà e speciee a quale grado di maturazione, o an-cora sull'albero e, se sono sull'albero,hanno la stessa esposizione ai raggi delsole, sono protette da altri alberi o sonoesposte ai venti e quali venti? Dove sitrova l'albero che ospita le nostre pere?E anche ammesso che queste pere sianovicine l'una all'altra chi ci può far capiresolo nominandole se il ramo che leospita non abbia una diramazione che,colpita dal becco di un uccello o inter-rotta da un nodo legnoso, forniscameno linfa ad una delle pere, ritardan-done la maturazione?Esiste dunque una parola che contengaal suo interno, al di là delle etimologie,la capacità di unire qualità, sentimenti,il trascorrere del tempo, concetti, con-sistenza, gusto, odore, suono e tuttoquello che ci viene in mente? Anchel'etimo, caro ai filosofi e ai semiologi,che ritengono le colte loro disquisizioniessere risolutive per capire i significatiultimi delle parole viste come specchiodella mente, mi risulta, invece, prete-stuoso anche se affascinante.Non vedo perché nella radice greca olatina di una parola debba risiedere lasua essenza. Chi ci può dire se il nomedato ad una qualsiasi cosa gli sia statodato da una persona consapevole e sa-piente dell'essenza della cosa stessa. Avolte i nomi sono tratti da tradizioni po-polari, che con tutta la saggezza che puòessere riconosciuta al popolo, difficil-mente potrebbe fornire soluzioni se-mantiche risolutive. Con le dovutedifferenze tra nomi dati agli oggetti equelli, più complessi, dati ai concetti. Tornando alla nostra pera, l'etimo latino”pira”, non ci dice molto, anzi può de-viarci dalla nostra diritta strada col suoriferimento alla combustione. Alloracosa evoca tale parola, in se stessa, allon-tanata da un contesto di riferimento. In-tanto, sempre con la saggezza popolare,che non si possa sommare con mele, equesto è grave, indicando una limita-zione insita nella matematica o meglionell'aritmetica in contrasto col deside-rio umano di catalogare, discernere,analizzare, interiorizzare, sentire usandotutti i sensi a sua disposizione e anchealtre facoltà come quella di rapportarsial tempo o di partecipare dei significaticompenetrati nelle parole astratte

di Claudio [email protected]

Prima di quattro dissertazioni estetiche

La semanticadelle pere

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.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.10LUCE CATTURATA

Sandro Bini - I Confini della Città - Badia a Ripoli, il Bandino, San Marcellino - Firenze 2004 

di Sandro Biniwww.deaphoto.it

I confini della cittàUn racconto per immagini

dalla periferia fiorentina (2001-2013)

di Barbara, cuoca di Pane e [email protected] L’elogio della carota

MENÙ

Ci sono persone e cose che la “cattivareputazione” se la portano dietro dallanascita, per sempre. Altra la acqui-stano strada facendo. Altre volte rie-scono a scrollarsela di dosso lungo ilcammino... come la carota. Si passadal: il bastone e la carota (usare buoneo cattive maniere per piegare qual-cuno alla propria volontà, come congli asini e i ciuchi), pel di carota (di-spregiativo di capelli rossi) piantar ca-rote (raccontare frottole), adimmagini sorridenti di conigli e altriroditori senza occhiali, che ne man-giano in quantità, fino al: è venuto su acarote, per indicare un bel bimbo. Dapianta infestante che nasce sottoterra,scansata dalle tavole dei ricchi, si è ri-presa il maltolto nel momento in cui sisono capite le qualità. Oggi sappiamoche il consumo di questa apiacea riccain acqua, zuccheri, provitamina A,sotto forma di carotene, di vitamineB1, B2 e C fa bene alla salute. Le suevirtù: cotta in acqua cura l’intestino,regala un bell’aspetto alla pelle, grazie

Anche mangiando grandi quantità dibetacarotene e diventando più “aran-cioni”, siamo ugualmente esposti aidanni solari (ci vuole la melanina). Laprovitamina A è trasformata in vita-mina A dal nostro organismo. Assuntain quantità combatte lo stress e sic-come la sua carenza, provoca malattieagli occhi, “mangiare carote” e “ vista

acuta”, ha il suo perché. Simpatica-mente “rossa”, regge benissimo dasola, la voglia di dolce. Per una tegliatonda di 24 cm.:150gr. burro mor-bido-120 gr. zucchero a velo-4 tuorli +1 uovo-150 gr. farina 00-5 gr lievitoper dolci-100 gr mandorle tritate-250gr di carote grattugiate finemente easciugate-3 albumi montati con unpizzico di sale- Montare burro e zuc-chero a spuma e unire tuorli e uovo.Aggiungere la farina ed il lievito setac-ciati, le mandorle, le carote e gli al-bumi montati, amalgamando dall'altoverso il basso per non smontare l'im-pasto. Versare nella teglia imburrata einfarinata e cuocere a 180° per 40/50minuti. Per la merenda dei piccoli, laconsiglio con una spremuta di arancee mandarini. Siamo oltre il succo vita-minico (ACE). Ai grandi e non solo,creme agli agrumi, zabaioni “alcolici”,cioccolato bianco e panna montata.Voi come la mangerete? Aspetto le vo-stre proposte.

al carotene, ma attenzione: il beta ca-rotene è spesso considerato un ab-bronzante, in realtà non è così. Dalladermatologia dell’Istituto clinico Hu-manitas di Milano ci dicono che nonprotegge dai raggi solari perché si de-posita nel derma e non nell’epider-mide, che è la parte più esterna dellapelle, la più colpita dai raggi UV.

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Finali e dipartite

di Susan

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PUÒ ACCADERE

KINO&VIDEO

Come ogni anno il giorno dellamemoria rende omaggio allevittime del nazi-smo e coloro

che, a rischio della pro-pria vita, hanno pro-tetto i perseguitati. Ecome ogni anno, dallasua uscita, la televisionepropina agli italiani ilsolito film italiano vin-citore dell’Oscar. Ècomprensibile che unevento del genere cono-sca anche un approcciopopolare e divulgativo.Ma è inutile nascon-dersi che ormai datempo la ricorrenzapone dei problemi disclerotizzazione, come tutte le neces-sità formali di celebrazione.Più che mai, di fronte a commozioni difacile consumo, si dovrebbero ancherinnovare i linguaggi in nome di unaproblematizzazione che combatta ildiffuso atteggiamento oleografico neiconfronti della shoah. E’ troppo alto ri-schio di una ripetizione proforma chenulla cambia nella coscienza dei citta-dini, ecco perché alla reiterazioni an-drebbe preferita la provocazione,all’abitudine il rinnovamento, alla ce-lebrazione la sfida come quella chepone un lavoro cinematografico sco-modo come Adam Resurrected. Il film del 2008 è un adattamento delromanzo di Yoram Kaniuk’s (1968), incui il regista Paul Schrader racconta leconseguenze della persecuzione sullamente degli internati dei lager. Unastoria spigolosa che, per una volta, nonè costruita sulla canonizzazione deimorti bensì sul racconto vivo dei so-pravvissuti segnati dal male subito. Quello di Schrader è uno stile simbo-lico che non risparmia immagini di-sturbanti e di potente forza evocativa.Come la scena in cui il clown ebreoAdam Stein è costretto a imitare i gestidel cane dell’ufficiale nazista espri-mendo così la violenza della negazioneumana come e più di tante figure con-solatorie del cinema concentraziona-rio. Il film, pur non essendo apertamenteviolento, parla di un tipo di brutalitàche si incide direttamente nella mentedi un uomo fino a piegarlo a una con-dizione animale. Schrader coglie inquest’immagine l’essenza stessa del na-zismo, l’operazione di disumanizza-zione che fu effettuata per rendere gliuomini come bestie, sottraendo loroogni dignità umana. Non si possono non ricordare le se-quenze di “Der ewige Jude” (1940,Fritz Hippler) il maggiore film propa-gandistico del nazionalsocialismo, incui l’espansione giudaica veniva rap-presentata sotto forma di un’invasionedi ratti e la religione ebraica come unapiovra tentacolare. Per non parlare nel-l’interminabile sequenza della macel-lazione kasher presentata come forma

di Ilaria [email protected]

Di cani, di topi,di ebrei

di crudeltà animalesca. Il tipo di raffigurazione è di una mo-dernità sconcertante poiché costitui-sce un modello interpretativo validoper tutte le culture con cui si è ritenutodi ingaggiare un conflitto di civiltà. Ladinamica rappresentativa è infatti unacostante antropologica che si ripete neltempo, nel riconoscere certe “razzeumane” più simili alle fiere che agli uo-mini. Dimostrando che certuni nonsono uomini diventa legittimo ucci-derli o giustificarne l’eliminazione peril miglioramento della razza. Se nonsono uomini è lecito e doveroso libe-rarsi dei malati mentali, dei deformi,dei disabili, degli omosessuali e degliebrei. Al di là di ogni tentazione con-solatoria, questo è quanto ci ricordaAdam l’ebreo quando, per sopravvi-vere, diventa letteralmente il cane delcomandante del lager.

e di celebrazioni

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di Cristina [email protected]

SCENA&RETROSCENA

Attratta dall’idea di vedere se in tea-tro il teledivo, immortale "Montal-bano sono", varrà sua nobilitadevado alla Pergola a vedere La Torred’avorio di cui Luca Zingaretti è in-terprete e regista. Ovvio che misembra interessante anche la piéceproposta, trattasi di un testo di Ro-nald Harwood, scrittore e dramma-turgo ed anche sceneggiatore difilm bellissimi, cito La diva Giulia,Lo Scafandro e la farfalla, Quartetora nelle sale, premio Oscar per ilPianista di Polanski. In questo spet-tacolo siamo trasportati nel 1946, aBerlino, alla resa dei conti, la cosid-detta denazificazione. Gli alleati in-dagano e "processano", fra gli altri,alcune figure di fama, veri emblemidirei, che per massima risonanzasiano di massimo monito. Storiavera. Wilhelm Furtwängler, eccelsodirettore d’orchestra, paragonabileper grandezza a Toscanini, pur nonavendo preso la tessera del partitonazista e non nascondendo la sua

distanza da cotal diabolico regime,rimase in Germania, al suo ambito,ben remunerato e glorioso posto;per questo restare fu processato conl’accusa di avere anche solo così ser-vito il nazismo. Storica la narrazionedel suo aver tenuto in mano la bac-chetta mentre saliva sul palco unasera in cui Hitler presenziava perevitare di dargli la mano. Il maggiorealleato Arnold-Zingaretti è quasi‘’uomo della strada“ rispetto alla le-vatura culturale del processato, nonama la musica, non ne comprende ilvalore nè la bellezza. Beethoven lo fadormire con grande disperazionedella segretaria del momento, figliadi un attentatore ad Hitler, sapremoeroe dell’ultim’ora comunque. Il te-nentino che lo aiuta è ebreo, figliodi due deportati morti, ma ama lamusica e la pensa valore che tra-scende il reale, è a disagio nei mo-menti in cui il Grande Artista vienemesso alle strette senza alcun ri-spetto nè considerazione del suo va-lore. Una donna, agitata e confusa,irrompe nella stanza per difenderel’accusato, lei e suo marito, ebreo,

sono stati da lui aiutati a espatriare,come molti altri ebrei... Appare Fur-twãngler-De Francovich, elegante,altero, il maggiore lo riconduce allasua realtà di accusato, di filonazista,un nulla cioè, ‘’nessuno le ha dettodi sedersi, si alzi“. Parla, dice le sueragioni, affascinano e lui ed esse,convincono... forse. Amo la mia pa-tria, pensavo si dovesse affrontare larealtà dall’interno, senza fuggire,l’arte è estranea alla politica, la mu-sica è arte per eccellenza, la bellezzamostrata agli uomini ne preserval’anima, li aiuta a vivere... Nel primotempo devo dire che ho propriopreso le parti dell’Artista, del re-stare, del perseguire la propria crea-tiva unicità, distanti troppol’intellettuale distinto e il maggiorequasi volgarotto nel suo democrati-cismo disattento. Ma poi nella se-conda parte...si può restare chiusinella eburnea torre dell’arte quandoe se da contigue torri-camino dimattoni escono in fumo milioni diuomini donne e bambini? Bravitutti, avvincente il tema, appassio-nato il testo

FAVOLA DELLE PAROLE

Benché molti credano di sa-pere bene cosa sia, tanto daessere pronti anche alla vio-lenza per affermarla e difen-

derla, l’identità sembra non avernemai abbastanza di sé. Non le bastaspecchiarsi per riconoscersi. Il ri-flesso non le sembra poi tanto si-curo. E così si spinge a trovare deglielementi identificatori come l’essernati in un certo paese, il parlare unacerta lingua, l’avere tratti somaticinord-europei, asiatici, cafri o ame-rindi. Anche quando assume laforma di un’equazione, il dubbio lainsinua fra l’uno e l’altro termineappaiati dall’uguale che sta nelmezzo e la porta ad andare ansiosa-mente verso qualsiasi cosa che laassicuri, la certifichi. La paura dinon riconoscersi e di non essere ri-conosciuta la fa correre verso lebraccia dell’identificazione cioè lafa diventare pin, codice, username,password: non più il riflesso, mal’accesso e ora siamo sicuri chesiamo proprio noi! Onde poi, dopol’accesso elettronico, ci guardiamoattorno e il dubbio riviene a causadelle facce che non sembrano pro-prio simili alle nostre, dell’accentoche non è proprio quello della no-stra regione, del cibo che non asso-miglia per niente ai nostrimaccheroni, dei poveri che vaga-bondano e che non hanno neancheun ricovero ove nascondere la po-vertà che altri più simili a noi rie-scono a dissimulare dentro le lorocase o sotto vestiti ancora puliti edecenti. La paura torna a toglierciil fiato, il risentimento monta ed èlì in agguato per riesplodere in osti-

di Marco [email protected]

lità, a caccia di identificatori al con-tempo i più materiali, i più astrattie i più naturali possibili. Sangue, re-ligione, terra, sesso possono fare alcaso. Il gioco ricomincia. L’identitàinizia nuovamente a rincorrere ilpossesso di sé. Fino a che esausta,arrabbiata, sospettosa e tremante siferma per un po’, si riposa sull’iden-tificazione e, riprese le forze, rico-mincia a guardarsi intorno e acorrere nel sospetto.

L’arte über alles

Giacomo Pietrapiana, Annegreit Camilla Spoerndle, Giuseppe Zanoni - Narciso(stampa fine art su carta Hahnemuhle montata su dibond 97x113 – 2010) cour-tesy dell'autore e di Hayart)

La violenzadell’identità

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.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.13NUVOLETTE

www.martinistudio.euLe storie di Pam

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.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.14

glia degli aristocratici francesi che abita-vano Villa Gamberaia e che si trova nelChiostro grande di Santa Croce. Al Ci-mitero degli Inglesi è conservato il fram-mento di una lapide e a Villa Larderel aPozzolatico c’è il monumento funebre aHenri De Larderel, mentre una pila perl’acqua santa conservata alla Galleriad’arte moderna di Palazzo Pitti è già inviaggio per la mostra in Francia.”

ODORE DI LIBRI

Un’intrepida donna francese, scul-trice e intellettuale che ha tra-scorso tutta la sua vita adulta aFirenze. Questa la storia di Féli-

cie de Fauveau ricostruita attraverso unascrupolosa ricerca artistica e biograficadi Silvia Mascalchi nel volume edito dallaCasa Editrice Leo S. Olschki Félicie deFauveau, Una scultrice romantica a Firenzeche precede di qualche mese una grandemostra che si terrà al Musée d’Orsay diParigi. Silvia Mascalchi, che ha presentato illibro alla Libreria delle Donne di Via Fie-solana in occasione dell’iniziativa “Dì difesta”, tesa alla valorizzazione di figurefemminili che abbiano avuto in passatoun legame con Firenze, sulla sua prota-gonista:“ Un personaggio che ha creatointorno a sè grande interesse. Haavuto la sfortuna di sopravviverealla sua arte finendo in un conod’ombra. È morta a Firenzenel 1886 dimenticata daifiorentini ma anche daisuoi connazionali”Nata nel 1801 a Livorno,dove il padre si era recatocon la famiglia dalla Fran-cia in cerca di fortuna Fé-licie rientra molto prestoin patria, dove riceve laprima educazione. “Siforma come pittrice” rac-conta Silvia Mascalchi “macol fermo desiderio di diventarescultrice per, come amava ripe-tere, risarcire la Francia dei monu-menti distrutti durante laRivoluzione. A causa delle diffi-coltà che incontravanole donne che volevanointraprendere questacarriera, non potendostudiare anatomia, Féli-cie de Fauveau studia in maniera quasiautonoma tramite l’osservazione dei fi-gurinisti di presepi. Parallelamente allasua formazione artistica diventa, insiemealla madre, animatrice di un salotto cul-turale nella loro casa nel quartiere pari-gino di Nouvelle Athènes frequentatoanche da Ingres e Paul Delaroche. Parte-cipando al Salon nel 1829 si aggiudicaprestigiosi riconoscimenti.”Politicamente vicina ai Borboni con lasalita al trono di Luigi Filippo sente risve-gliarsi in lei l’impegno politico che laporta ad unirsi ad un gruppo di vandeani. È dopo la vicenda della Vandea, la prigio-nia ed una fuga in Belgio che Féliciegiunge a Firenze nella primavera del1833 con una condanna all’ergastolo e lasua fama di vandeana, terribile conserva-trice e reazionaria. Trova inizialmenteospitalità presso Lorenzo Bartolini, scul-tore formatosi a Parigi nell’atelier diDavid, per poi trasferirsi in uno studio inPiazza del Carmine a cui seguì la sua re-sidenza definitiva di via dei Serragli.Silvia Mascalchi ha tracciato un percorsodi quanto rimasto della permanenza fio-rentina della scultrice: “Molte opere pur-troppo sono andate perdute. Nel 1854realizzò un monumento funebre per la fi-

di Caterina [email protected]

Féliciee romanticaStoria di unascultrice

L’APPUNTAMENTO

Sabato 9 febbraio a Toscanella Oste-ria e allo Studio Rosai, in via Tosca-nella, 36/a verrà presentata lasettima edizione di “Cuori infranti”.Una manifestazione nata da un’ideadel fotografo Stefano Giraldi in occa-sione della fesa di San Valentino. Tre-dici artisti:Massimo Cavezzali, Lido Conte-mori, Paolo della Bella, Luca di Ca-stri, Aldo Frangioni, Gian PaoloGiovannetti, Giuliano, Fabrizio Gori,Paolo Pesciullesi, Massimo Pre-sciutti, Alessandro Reggioli, AngelaVolpi, Elisa Zadi, presenteranno leloro opere in un spazio carico di sto-ria rinascimentale, come la Tosca-nella Osteria dove si mangia sottoarcate e colonne brunelleschiane, edi storia contemporanea come loStudio di Ottone Rosai. In questaoccasione il titolare del locale, l’arti-sta Fabrizio Gori, presenta una dellesue ricette impossibili: piatti antichiche per la scomparsa di alcuni ingre-

dienti non sono più producibili,come è il caso dell’Insalata dell’Im-peratore di Costantinopoli GiovanniVIII Paleologo composta da erbaporcellana (un’erba grassa che infestai nostri campi d’estate e che pochisanno essere commestibile e ot-

tima), cipolle, prezzemolo e dal-l’Agresto, un succo composto da uveestinte nel XVI secolo. La serataverrà presentata dal critico e storicodell’arte Ugo Barlozzetti con inter-venti musicali di Cristiano Angelini,Marco Spiccio, Ellade Bandini.

Cuori infranti per San Valentino

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.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.15SCENA&RETROSCENA

di Simone [email protected]

“Ecco, tocca a me”: fedele allapartitura beckettiana (nellainsuperata traduzione diFruttero), Giancarlo Cau-

teruccio inizia così la sua sinfonia dode-cafonica del “Finale di partita”, in scenaal Teatro Studio di Scandicci dal 5 fino al10 febbraio. Una esecuzione intensa,profonda, finanche commovente. Direi,filologica, nonostante e forse anche invirtù dei (moderati) inserti calabresi cherendono più umano, vicino, “nostro” l’al-trimenti alieno e meccanico testo di Bec-kett. Naturalmente anche comico, macon Nell “Non c’è niente di più comicodell’infelicità”, ça va sans dire.Il vero e proprio universo concentrazio-nario nel quale sono costretti come ditadei piedi Hamm, Clov, Nell e Nagg si au-toriproduce e si consuma impercettibil-mente allo stesso tempo, in un cinicoequilibrio degli opposti, finendo – senzamai finire davvero – in un pianissimo incui si elidono i diversi strumenti. Resta,infine (ma davvero?), solo lo straccio.Tutto miracolosamente si tiene nelcosmo, nell’hortus conclusus del Finalebeckettiano: il mercuriale Fulvio Caute-ruccio (Clov) è perennemente in movi-mento con straordinaria capacità mimicapari solo alla sua presenza scenica, ma inrealtà non va da nessuna parte, resta vin-colato dal sedentario Giancarlo Caute-ruccio (Hamm) che tuttavia muovepedine, dirige l’orchestra di questo im-mobile universo con una vocalità straor-dinaria. Tutto ciò che resta del mondo èchiuso in queste quattro mura, eppure c’ètutto (e il suo contrario): la solitudine ela prevaricazione, i legami inscindibili el’ansia di andare, la frustrazione della ve-glia e l’insinuazione del sogno, il ricordostruggente e l’illusione di un altrove perquanto (forse) scorto da una finestra.Tutta la vita, concentrata e intensamenterappresentata magistralmente dalla regiadi Cauteruccio che non è mera trasposi-zione scenica del testo beckettiano, mainterpretazione di un’opera interioriz-zata, diventata parte di sé e anche “mani-polata” da Cauteruccio (penso a qualcheinserto linguistico e anche testuale, comela possibile deposizione di uova dellapulce nei pantaloni di Clov che instillanoil dubbio, appunto, beckettiano che “nonfinirà mai”). Forse, oggi, in Italia Caute-ruccio è il più beckettiano dei registi e at-tori teatrali italiani; ma non perché portipiù spesso e meglio in scena l’autore ir-landese, ma perché riesce a interpretaregli opposti polari della vita e dell’operateatrale come nessun altro: lingua e anti-lingua, calmanti ed eccitanti, classico econtemporaneo (che in realtà, due op-posti non sono affatto). Cauteruccio,come il “suo” Beckett, sa guardare ilmuro, vedere la morte, concepire il lentofinire, eppure farci percepire teatralmenteil chiasmo poetico dei “Quattro Quar-tetti” di Thomas Stearns Eliot: “Nel mioprincipio è la mia fine... Spunta l’alba, eun altro giorno/Si prepara a calore e si-lenzio. Al largo/Increspa e scivola. Iosono/Qui, o là, oAltrove. Nel mio principio.”

La partitainfinita

tra Beckett

e Cauteruccio

CCUO

.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.16KINO&VIDEO

Per anni il regista, Kubrick, e il co-sceneggiatore e autore del ro-manzo da cui il film 2001 odisseanello spazio è ispirato, Arthur C.

Clarke, hanno sempre affermato chefosse del tutto casuale che il nome del su-percomputer dell’astronave HAL, spo-stando tutte le lettere che locompongono a quella successiva, dessevita all’acronimo IBM ovvero, all’epoca,la maggiore azienda produttrice di com-puter.Fan devoti e fanatici del complottohanno sempre teorizzato che dietro aquesto cambio vi fossero state pressionida parte dell’azienda al fine di non asso-ciare il proprio nome ad un computerche, sviluppando sentimenti umani, ar-riva ad uccidere l’equipaggio della naveche invece dovrebbe accudire.Dopo quarant’anni dall’uscita del film al-meno a quest’ultima domanda il sito let-ters of note permette di dare una rispostadefinitiva. IBM sapeva di HAL, ne cono-sceva il nome e non aveva alcun pro-blema ad associare il proprio nome allaproduzione del film alla sola condizioneche non fosse in alcun modo collegabileall’azienda il malfunzionamento dellamacchina che porta al suo impazzi-mento.Il sito infatti pubblica due lettere nellaprima delle quali, datata 1966 due anniprima dell’uscita del film, il registra scrivead un delegato della casa di produzioneche si occupa di tenere i contatti conIBM chiedendogli, con lo scrupolo chelo contraddistingueva, se l’azienda infor-matica avesse ben compreso che uno deitemi principali della storia era proprio uncomputer psicotico.La risposta di Roger Caras, è rassicu-rante. Dice che ha parlato col responsa-bile delle relazioni esterne di IBM, C.C.Hollister, gli ha spiegato la natura delcomputer, ne cita addirittura il nomeHAL e assicura che per IBM non vi eraalcun problema in merito ma che anzi sa-rebbero stati ben felici di comparire tra icredit del film. Unica condizione che ilmalfunzionamento del computer nonpossa mai essere associato con l’azienda.Cosa che né lo script né il film hanno maiavuto intenzione di dimostrare.Insomma rimarranno delusi quelli chevedono sempre le potenti multinazionalipronte a estendere i propri tentacoli e astendere una cappa sulle libere co-scienze; molto più semplicemente IBM,che all’epoca va detto non aveva certoproblemi di concorrenza e si rivolgeva adun mercato ristretto e molto specializ-zato difficilmente influenzabile da unfilm seppur di un maestro, agiva conbuon senso e non si lasciava certo la pos-sibilità di associare il proprio nome conquello che sarebbe diventato uno dei ca-polavori della storia del cinema. Il fattoche se ne sia qui a parlare ancora, dopopiù di quarant’anni, dimostra che quel re-sponsabile relazioni esterne avesse avutodecisamente ragione. Le due lettere pos-sono essere consultate a questo indirizzowww. l e t t e r so f n o t e . c o m/2013/01/does-ibm-know-t h a t - h a l - i s - p s y c h o t i c.html?m=1

di Michele Morrocchitwitter @michemorr

LETTERE&LETTERATI

Com’è possibile parlare di Letteraturain una classe multietnica di studentiche frequentano l’ultimo anno di unIstituto Professionale ad indirizzo elet-trico e, aggiungo, letteratura russa, perdi più con la Prof di Lettere malata e adue settimane dall’incontro con unodei maggiori esperti mondiali di Do-stoevskij, cioè la Professoressa TatianaKasaktina, direttrice del dipartimentodi Teoria della letteratura presso l’Isti-tuto di letteratura mondiale dell’Acca-demia delle scienze di Mosca?Semplice: si sconvolge il concetto tra-dizionale di scuola e ci si trasforma.La sottoscritta, che insegna elettrotec-nica si mette a recitare in classe “De-litto e Castigo”, facendosi prendere daun turbinio di emozioni che la portanoperfino a commuoversi, di fronte agliocchi increduli degli studenti che rea-lizzano che anche gli ingegneri sannoleggere ed hanno un cuore. La collegadi Matematica fotocopia le parti sa-lienti del romanzo, suddividendo le pa-gine da leggere ogni giorno per arrivareal fatidico incontro con più del 50% di

Delitto e Castigo e l’elettrotecnico

HAL era psicopaticoed a IBMla cosaandava bene

pagine lette. E le legge anche lei inclasse. Non si tirano indietro neanchealtri colleghi che dedicano una partedelle loro ore alla lettura. Insomma unMonolitico Dostoevskij invade pesan-temente la scena per ben 14 giorni. All’inizio i ragazzi puntano i piedi:“Prof a me proprio questo romanzonon piace, e poi che domande devofare? Me le suggerisca lei…”, “Io??? Mache sei matto? E che ne so io cosa tifrulla in testa? Senti Jeremia (ghanese)fai una cosa. Tu ascolta quello che leg-giamo in classe, prendi una pagina,una sola, sottolinea quello che più ticolpisce, ti emoziona, ti spaventa, tiprovoca rabbia o gioia o ti fa piangere,poi chiediti il perché quelle righehanno scatenato in te tutto questo.Basta una frase, una parola…” “sì Prof,ci provo” Arriva il giorno dell’incontro.La prof di lettere, per fortuna resusci-tata, comincia a leggere qualche pen-siero sulla figura del sognatore trattodai temi dei ragazzi. Dal sogno si apre ildibattito. “E’ possibile che l’unica pos-sibilità sia il materialismo o il sogno?” Ildialogo inizia quando qualcuno o qual-cosa ci tocca e finché non c’è qualcosache ci tocca non entriamo in contatto

con noi stessi e conoscere se stessi se-condo D. è lo scopo della vita del-l’uomo. Nascono domande sulloscontro tra fede ed ateismo in D. laProfessoressa risponde con una sem-plicità ed una profondità tali da la-sciarci stupefatti. “D. prende semprequesti principi contrapposti che por-tano all’uomo ed alle domande senzale quali non si può vivere” dice lei .“Prof. ma non sarebbe stato meglio chel'autore fosse morto piuttosto che es-sere sopravvissuto a 4 anni di lavori for-zati?” Risponde”D. era passato daun'infanzia molto religiosa ad una per-dita totale del contatto con Dio, ad unasituazione di dubbio, questa perdita dirapporto in ‘verticale’ aveva compor-tato per lui una perdita di contatto congli uomini, in ‘orizzontale’. Cinque mi-nuti prima della esecuzione della con-danna, avevano dato il permesso aiprigionieri di salutarsi e lui si avvicinòal capo dei ribelli, il più radicale di tuttichiedendogli: “Dopo saremo lì conCristo?” il capo rispose:” Saremo soloun mucchietto di polvere”... a cinqueminuti dalla morte D, cercava un soste-gno alla sua traballante fede e la rispo-sta che ricevette fu che tutto finiva lì. Inquel momento iniziarono a suonare itamburi, annunciavano che un nuovoordine dello Zar convertiva la pena dimorte in 4 anni di lavori forzati. Pro-prio nel momento in cui ebbe una ri-sposta su Dio, Dio gli regalò altri 30anni di vita perché potesse rispondereda solo alla sua domanda”.Al termine di due ore intense di dia-logo tra letteratura e filosofia, un ra-gazzo, a nome di tutti, ha regalato allaProfessoressa Tatiana Kasaktina unapiccola lampada dicendo: - E’ un regalosemplice che parla del nostro studio edel nostro lavoro futuro, perchè noifacciamo impianti elettrici. La rega-liamo a lei che ci ha dato la luce dellasua lezione.- Ma che aria tirava quellamattina a scuola?

Classe V sez. E istituto professionale Fermo Corni Modena. Quarta da sinistrala prof. Flavia Capodicasa

di Flavia [email protected]

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.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.17SCENA&RETROSCENA

di Duccio [email protected]

Continuano al Teatro Comu-nale dell’Antella ogni giovedìalle 21 le proiezioni dei film diAlessandro Benvenuti. Dopo

“Zitti e Mosca” con l’introduzionedel critico Giovanni Bogani e “Ben-venuti in Casa Gori”, presentato daRoberto Incerti, il 14 febbraio sarà lavolta di “Ritorno a Casa Gori” e si fi-nirà il 21 Febbraio con “Ivo il Tar-divo”.Questa è l’occasione perrivedere le opere di un regista chenegli ultimi anni si è dedicato mag-giormente al palcoscenico e alla mu-sica ma che nel cinema ha sempredato le sue prove migliori. La tosca-nità di Benvenuti, sempre presente emolto forte nei suoi film, non è maivolgare, eccessiva e vernacolare ma èsempre intessuta di una leggera ma-linconia lunare, di una sorta di spiritosurreale, finemente malinconico. Ipersonaggi di Benvenuti sono sì to-scanacci che sbraitano e si azzuffanointorno a tavole imbandite comenelle migliori commedie vernacolaridi Nannini e Novelli (Benvenuti inCasa Gori ), ma nel loro animo si na-sconde sempre un filo di distacco chesi rifà al Teatro dell’Assurdo, al sur-realismo, alle avanguardie teatrali del‘900.Uno dei personaggi di Benvenuti chepreferisco è Ivo il Tardivo, dal suofilm omonimo del 1995. La figuraalta da clochard, la barbaincolta, quel suo ma-gnifico disegnarerebus sulle paretidelle case, il lin-guaggio folle eincomprensi-bile, le atmo-sfere rarefatte erallentate. Cimancano filmcome questi oggi, lacomicità ormai è vol-gare, scontata, pesante,un pizzico di surrealismoe di assurdo nei nostri co-mici porterebbe una bellaboccata d’ossigeno. Anche ilcinema comico ormai è con-dizionato dalla serialità tele-visiva, dagli spettacoli usa egetta e dallo strapotered e i

volti del“ p i c c o l o

plasma”. An-diamo una volta

l’anno al cinema a vedere il volto cheseguiamo tutto l’anno in tv, com-priamo i suoi libri al supermercato,andiamo ai suoi spettacoli in teatro epoi al multisala e pensiamo chequella sia comicità vera.Più che in spettatori educati ci siamotrasformati pian piano in animali dasoma con il pop corn al posto dellabiada Be

nven

uti

nell’assurdo

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.com sabato 9 febbraio 2013no16 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

…nasce così “GiantSuper & Vicinity”, dal-l’insegna pubblicitariache troneggia su unastrada di San Jose. Berlin-cioni ha fatto sue le le-zioni della fotografiaamericana: conosce l’iro-nia graffiante di LeslieKrims, quella dolorosa diDiane Arbus, quella par-tecipe di Bill Owens, maconosce anche il rigoreanalitico di Walker Evanse tuttavia la sua osserva-zione rimane puntiglio-samente europea: inCalifornia Berlincioni èuno spettatore che os-serva con stupore, certo,anche con umorismo eironia, ma mai con in-tenti dissacratori…… a qualche anno di di-stanza dalla realizzazionedi queste immagini ilprocesso di americaniz-zazione in atto in Italia siè compiuto e i simbolidel raggiunto benessere -mazza da golf, piscina,macchina lunga, superTV color - che richiama-vano l’attenzione di Ber-lincioni, sono gli stessidell’italiano medio deglianni ottanta.…le diversità culturali edestetiche che le fotografiesottolineano, nel temposono diventate più appa-renti che sostanziali e illettore, chequalche anno fapoteva limitarsia sorridere, oggitrova inquie-tanti stimoli diripensamento.Dal testo intro-duttivo di Gio-vanna Calvenziall’omonimo vo-lume di MaurizioBerlincioni (1984)

Dall’archivio di M

aurizio Be

rlincion

i

[email protected]