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    La ricerca della norma nei dialletti italiani

    e nelle lingue minoritarieLa recerca de la norma en els dialectes italians

    i en les llengües minoritàries

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    Quaderns d’Italià 8/9, 2003/2004 269-270

    NORME TIPOGRAFICHE E CRITERI EDITORIALI

    Tutti i contributi che verranno proposti alla redazione dovranno pervenire per

    mail oppure in copia cartacea e su supporto elettronico in dischetto 3 1/2 perPC con documento in formato Word 6.0 o 7.0 per Windows (o comunquefacilmente convertibile).

    Se non previamente concordato, il testo non dovrà superare le 40.000 battu-te (note a pié di pagina comprese). Si prega di usare il carattere Times New Roman o il Courier New in corpo 12 con interlinea 1,5. I margini del docu-mento saranno tutti di 2 cm. (in alto, in basso, a destra e sinistra). Il titolo

    andrà in maiuscolo mentre il nome e il cognome dell’estensore saranno ripor-tati in corsivo e seguiti nella riga successiva dal nome dell’università o dell’en-te di appartenenza e, a discrezione dell’autore, dall’indirizzo di posta elettronica.

    Insieme al testo si dovrà consegnare (in un file diverso) un abstract dell’articoloe alcune parole-chiave (non più di 5).

    CITAZIONI

    Le citazioni interne al testo, se brevi, saranno inserite fra virgolette caporali («…»);se lunghe, andranno in corpo minore (10) con interlinea 1 e rientro di 1 cm.Le virgolette alte (“…”) si useranno per le citazioni interne ad altre citazioni.

    I titoli delle poesie andranno sempre in corsivo, come pure i termini stranie-ri non accettati in italiano.

    L’esponente del rinvio per le note a pié di pagina verrà inserito dopo la pun-

    teggiatura e le parentesi ma precederà sempre la lineetta, come nei seguentiesempi:

    Ne parleremo in seguito.1Non serve aggiungere (e sia detto tra parentesi)2 nient’altro.Non è necessario — tranne in pochissimi casi3 — specificare ulteriormente la que-stione.

    I riferimenti bibliografici andranno esplicitati in nota, segnalando per esteso

    nome e cognome (quest’ultimo in maiuscoletto) dell’autore, luogo di edizio-ne, anno, pagina/-e (p.). Si prega di riportare integralmente il numero dellepagine: p. 345-347 e non 345-47. Se si fa riferimento ad un’edizione successiva alla prima sarà bene indicarlo aggiungendo un esponente all’anno di pubbli-cazione e riportando fra parentesi quadre la prima edizione. Ci si può basare sulseguente modello:

    Francesco ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura , Torino: Einaudi,19873 [1973], p. 130-131.

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    I titoli degli articoli vanno inseriti fra virgolette caporali mentre i titoli delleriviste andranno sempre in corsivo come nell’esempio:

    Cesare SEGRE, «La critica semiologica in Italia», Quaderns d’Italià , n. 1, 1996,p. 21-28.

    Nel caso di volume collettivo si dovrà specificare il nome del curatore segui-to, senza virgola interposta, dalla formula: (a cura di). Per la citazione di unsingolo articolo ci si atterrà a questo criterio:

    Giorgio B ÀRBERI SQUAROTTI, «Il simbolo dell’artifex », in Emilio M ARIANO (a cura di), D’Annunzio e il simbolismo europeo. Atti del convegno di studio Gardone Rivie-

    ra (14-15-16 settembre 1973), Milano: Il Saggiatore, 1976, p. 163-196.

    Si cercherà sempre di evitare la formula AA.VV.

     ALTRI SEGNI DIACRITICI

    Si eviterà sempre l’uso delle sottolineature.

    Si eviterà sempre di usare l’apostrofo al posto dell’accento con le lettere maiu-scole (per cui si scriverà È e non E’, ecc.).

    Si cercherà di differenziare graficamente il trattino dalla lineetta. Es.:

    Facendo attenzione a questi segni — per quanto possibile — si eviteranno ulte-riori problemi.

    dizionario italiano-spagnolo.

     ABREVIAZIONI E SIMBOLI

    Cfr. (evitare v. o vd.)n. = numero/-ifasc. = fascicoloibid. = stesso testo (con ulteriore specificazione di pagina)ID. = stesso autoreop. cit. / cit.vol. = volume/-ip. = pagina/-e

     passim

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    Índex Quaderns d’Italià Núm. 8/9, p. 1-270, 2003/2004, ISSN 1135-9730

    Dossier 

    7-8 Presentació

    9-10 Premessa  

    11-26 Paola Benincà 

    Dialetti d’Italia e dialetti d’Europa 27-37 Fiorenzo Toso

    Prestigio culturale ed esigenze normative nelle tradizioni linguisti-che regionali italiane. Un’esperienza di ricerca 

    39-50 Stefano MagniIl friulano: storia e usi letterari

    51-66 Giuseppe PolimeniI volgari municipali e l’affioramento di una scripta nel medioevolombardo

    67-90 Riccardo Drusi, Piermario VescovoPrima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma della gram-matica 

    91-104 Gabriella GavagninIl dialetto napoletano si deve scrivere come si parla? Polemiche otto-

    centesche sull’ortografia del napoletano105-121 Oscar Diaz Fouces

    La codificació del gallec o el pèndol que no s’atura 

    123-132 Gabriella Gavagnin, Piero Dal Bon con la collaborazione diPietro Benzoni, Giulia Calligaro e Sebastiano GattoGli scrittori e la norma: interviste a Raffaello Baldini, PierluigiCappello, Luciano Cecchinel, Amedeo Giacomini e Ida Vallerugo

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    4 Quaderns d’Italià 8/9, 2003/2004 Índex  

    133-137 Raffaele PintoLa legge per la tutela delle minoranze linguistiche. A propositodegli Atti di un Convegno

    Traduccions

    141-152   ✝ Jordi DomènechPoesia dialectal d’Itàlia 

     Articles

    155-166 Claudio MarazziniL’italiano nell’epoca della globalizzazione

    167-193 Emilio D’AgostinoPer una grammatica lessicalmente esaustiva sull’inganno e la men-zogna in italiano

    195-208 Francesco ArdolinoVita Nuova,  XIX . Intorno a una traduzione di Joan Maragall

    209-222 Rossend Arqués

    Roma, ciutat absent (o quasi) en l’obra de Josep Pla 223-248 Pietro BenzoniChiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia 

    Notes

    251-256 Ennio BispuriL’eterno presente nella poesia di Giorgio Bàrberi Squarotti

    Ressenyes

    257-259 Guido Gozzano. Poemas (Elitza Popova)

    259-261 Giorgio Manganelli. Encomio del Tirano escrito con la única finali-dad de hacer dinero (Albert Fuentes)

    262-263 Francesco Petrarca. Triunfos (Luigi Giuliani)

    264-267 Cristina Barbolani. Virtuosa guerra di verità. Primi studi su Alfieri in Spagna (Franco Vazzoler)

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    Quaderns d’Italià 8/9, 2003/2004 11-26

    Dialetti d’Italia e dialetti d’Europa 

    Paola Benincà Università di Padova 

     Abstract 

    Prendendo spunto da un incontro fra linguisti e dialettologi europei che progettano atlan-ti sintattici dei dialetti dei loro paesi, il lavoro presenta alcune riflessioni sullo statuto deidialetti nei diversi paesi d’Europa. Esaminando le situazioni di alcuni paesi a confrontocon quella italiana, si sostiene che per render conto delle differenze nello sviluppo deglistudi grammaticali riguardo ai dialetti si debbano valutare sia le ragioni sociolinguistiche,

    che hanno origini storiche e politiche, sia la tradizione degli studi grammaticali nei diver-si paesi. Questi fattori interagiscono nel far sì che un dialetto sia percepito o meno comeuna lingua, sia studiato e si conservi nella sua area di variazione.

    Parole chiave: dialetti Italiani, dialetti Europei, sintassi, atlanti dialettali.

     Abstract 

    Starting from the encounter between European linguists and dialectologists projecting a 

    syntactic atlas of the dialects within their countries, the article presents certain reflectionson the status of dialects in a number of European countries. Examining the situation of cer-tain countries with respect to that in Italy, the article puts forward the view that, in order toinform on the difference in the development of the grammatical studies with reference todialects, it is essential to evaluate those sociolinguistic reasons having historical and politi-cal origins, as well as the tradition of grammatical studies within various countries. These fac-tors can be seen interacting in the ways in which a dialect is or is not perceived as a language,affecting whether it is studied and whether it is conserved within its own area of variation.

    Key words: Italian dialects, European dialects, syntax, dialect atlas.

    1. Atlanti sintattici dei dialetti d’Europa 

    Si è svolto recentemente a Padova un workshop esplorativo1 che potrebbe pre-ludere a una rete di attività coordinate, promosse dalla European Science Foun-dation: si è trattato di un incontro in cui venivano presentati, confrontati e

    1. European Dialect Syntax, Exploratory Workshop of the European Science Foundation, Stan-ding Committee for the Humanities, Università di Padova/CNR, 11-13 settembre 2003.

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    12 Quaderns d’Italià 8/9, 2003/2004 Paola Benincà  

    discussi progetti di ricerca per la costruzione di atlanti in cui rappresentarela variazione sintattica dei dialetti parlati all’interno dei vari stati nazionalid’Europa.

    Risulta dai progetti presentati e dai risultati di alcuni di questi che le moda-lità della raccolta e della registrazione, pur collegandosi idealmente ai tradi-zionali atlanti dialettali, fanno ricorso a tutte le risorse informatiche chepermettono di risparmiare tempo e denaro e di mettere a disposizione deglistudiosi i materiali raccolti e analizzati, con un accesso che consente ricercheanche incrociate, molto difficoltose con gli atlanti tradizionali.

    Il metodo della ricerca sintattica ha caratteristiche talmente diverse da quel-lo della fonologia e della morfologia, essendo diversa così la base di dati comeil formato delle ipotesi teoriche e delle conclusioni descrittive, che inevitabil-mente le modalità della raccolta e del trasferimento dei risultati hanno carat-teristiche diverse da quelle tradizionali utilizzate finora. Una raccolta sintattica può sfruttare al meglio e in modo più immediato le possibilità tecnologicheattualmente disponibili, ma non si vuol sostenere con questo che la sintassiavesse bisogno di queste tecnologie per essere documentata e comparata. È undato di fatto che i dati sintattici sono presenti negli atlanti dialettali esistenti soloin modo marginale, con dati in genere raccolti più o meno casualmente, allo

    scopo per esempio di presentare il contesto di fenomeni fonologici, o di otte-nere paradigmi morfologici, o per arricchire la documentazione di tipi lessi-cali specifici.2 Non perché fosse tecnicamente più difficile, ma perché non sisapeva bene che cosa cercare. Mentre la variazione fonologica, morfologica,lessicale, si proiettava su teorie dei diversi livelli chiare, discusse, ricche di cor-relati empirici, la sintassi poteva solo rifarsi alla grammatica tradizionale, comecornice teorica, e non poteva vedere uno scopo chiaro nel documentare la variazione.

    La raccolta di dati sintattici può risultare per molti aspetti più sempliceche la raccolta di dati pertinenti per fonologia, morfologia e lessico; non ènecessario infatti utilizzare trascrizioni fonetiche sofisticate, né cercare infor-matori con particolari caratteristiche di «purezza linguistica», per cui, almenoin presenza di determinate situazioni sociolinguistiche, possono essere utilizzatiquestionari scritti che vengono riempiti dall’informatore autonomamente.Se si tengono presenti alcuni rischi possibili e se la situazione generale per-

    I promotori dell’incontro erano Bernd Kortmann, Freiburg, Elvira Glaser, Zürich, Cecilia Poletto, Padova, Hans Bennis e Sjef Barbiers, Amsterdam. Il sito internet del MeertensInstituut di Amsterdam metterà a disposizione i collegamenti internet con i vari progettie le loro banche-dati.

    2. Una sezione specificatamente dedicata a frasi da tradurre si trova nel questionario della Carta dei Dialetti Italiani , promossa e diretta da Oronzo Parlangèli. I dati raccolti non sonomai stati pubblicati; sono in corso di trasferimento da nastro magnetico (inchieste sonore)a CD-rom, presso la sezione di Dialettologia dell’ex Istituto di Fonetica e Dialettologia delCNR, Università di Padova. Molte delle frasi proposte per la traduzione avevano in realtà 

    lo scopo di ottenere dati lessicali, oppure morfologici, ma alcune strutture sintattiche eranoeffettivamente mirate (accanto ai 3 tipi di periodo ipotetico, si trovano, ad esempio, qual-che frase interrogativa e due frasi relative restrittive).

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    mette di neutralizzarli, il questionario scritto può essere anzi il miglior mododi raccogliere dati dialettali, quello che dà il massimo di informazioni utili sul-l’articolazione lessicale e morfologica della sequenza e sulle intuizioni sintat-tiche del parlante.

    Quindi, non sono difficoltà tecniche quelle che hanno ritardato la docu-mentazione sistematica della sintassi dialettale, ma difficoltà teoriche: per esse-re visti e descritti, i fenomeni devono essere rilevanti rispetto a una qualcheteoria.

    Tuttavia, la sintassi dei dialetti italiani è stata più studiata rispetto ai dia-letti di altre nazioni europee, e un progetto di «atlante sintattico» è stato avvia-to vari anni fa e ha prodotto una raccolta sistematica di dati più ricchi che altrenazioni. Vorrei qui cercare di individuare alcune delle ragioni che spieganoquesto netto e visibile divario: esse saranno da un lato da ricercare nelle carat-teristiche sociolinguistiche dei dialetti italiani, dall’altro anche nella storia della ricerca nei diversi paesi.

    2. Dialetti e ricerca in Europa 

    L’incontro di Padova è stato molto interessante e fruttuoso da vari punti di

    vista; in particolare il confronto fra le diverse esperienze ha messo in luce, piùancora di quanto già non si sapesse, le differenze fra i diversi paesi, per quan-to riguarda sia l’articolazione e la stratificazione delle lingue nelle diverse situa-zioni sia l’organizzazione della ricerca.

    Già con uno sguardo al programma si potevano notare lacune su cui riflet-tere. Nessuno ha portato infatti esperienze o progetti dalla Francia; dalla Spa-gna si è parlato di un progetto per la Catalogna (Gemma Rigau); per la GranBretagna hanno parlato ricercatori tedeschi (Bernd Kortmann e Lieselotte

     Anderwald) e un anglista scandinavo (Juhani Klemola).3

    Ricche presentazioni di progetti accompagnate da analisi teoriche della variazione hanno riguardato le varietà germaniche occidentali (d’Olanda e Bel-gio e della Germania settentrionale), le varietà tedesche di Baviera e Svizzera,le varietà nordiche della Scandinavia, il portoghese, l’italiano.

    Il materiale preparatorio, fatto circolare in precedenza fra i partecipantida parte degli organizzatori, presentava la situazione di vari progetti esisten-ti in Europa: dei cinque progetti, il più antico di gran lunga è il progetto ita-

    liano, sulla sintassi dei dialetti dell’Italia settentrionale (ASIS), che da qualcheanno sta affrontando anche la sintassi dei dialetti centro meridionali (ASIM).Mentre gli altri quattro progetti risultano iniziati fra il 2000 (dialetti neder-landesi, inglesi, tedeschi della Svizzera) e il 2001 (dialetti dei Rom d’Euro-pa), il progetto italiano risulta in questa documentazione attivo dal 1992. Inrealtà, la prima notizia del progetto è del 1989, e la prima relazione a un con-

    Dialetti d’Italia e dialetti d’Europa Quaderns d’Italià 8, 2004 13

    3. Era in realtà prevista la partecipazione di due studiose della Gran Bretagna, Karen Corrigane Jenny Cheshire, che non poterono partecipare all’incontro; esse non si occupano tutta-via di sintassi dialettale.

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    vegno è del 1991.4 Si potrebbe anche sostenere che l’ASIS ha ispirato le ini-ziative successive, ma sicuramente ha ispirato il progetto di un atlante sintat-tico dei dialetti inglesi in una regione americana, quella dei monti Appalachi.Che l’ispirazione per questa impresa sia venuta dall’ASIS lo ha dichiarato inun recente convegno Christina Tortora 5 (CSI, New York), che con Raffaella Zanuttini (Georgetown, Washington) e Marcel den Dikken (CUNY, New 

     York) e Judy Bernstein (W. Paterson Univ.) l’ha ideata e la dirige. I nomi diquesti studiosi — di più o meno recente origine europea — fanno pensare cheanche la loro cultura nativa abbia avuto un peso nell’ispirare il loro progetto.

    Le aree che risultano più nettamente scoperte rispetto a questo tipo di inda-gine sono la Francia, la Gran Bretagna e la Spagna castigliana, e non sembra azzardato supporre che queste aree siano radicalmente diverse per quanto riguar-da lo statuto che le parlate diverse dalla lingua standard hanno in questi paesi,sia dal punto di vista sociolinguistico, sia più in generale sull’auto-percezioneche i parlanti hanno delle varietà linguistiche. Penso che su tutto questo abbia influito non solo la storia politica e sociale ma anche il modo in cui si è svi-luppata la ricerca linguistica nei diversi paesi, e che i due aspetti siano in rela-zione dialettica reciprocamente.

    Un paese come la Catalogna è, ad esempio, un’area in cui c’è stata una sto-

    ria linguistica ricca di esperienze importanti e un processo politico che ha por-tato a riflessioni e prese di posizione aperte ed esplicite, con un riconoscimentoformale e processi di standardizzazione. Accanto a questo, si è avuta una con-tinua riflessione linguistica, che ha mantenuto viva la percezione dell’unita-rietà dell’area e dell’importanza delle varietà per una migliore comprensionedei fenomeni grammaticali di tutti i livelli. C’è il rischio a volte che i proces-si di standardizzazione si configurino — come sta accadendo in Friuli e nellearee dolomitiche — come forme di normativismo, da cui deriva insicurezza 

    nei parlanti dialetto e un livellamento, se non sparizione, delle peculiarità dia-lettali. Ho l’impressione che questo in Catalogna non sia avvenuto e che la costruzione di uno standard unitario sia andato di pari passo con l’attenzionee la cura per mantenere vive le differenze.

    La Scandinavia è unita, oltre che da vicende storiche, dall’obiettiva vici-nanza grammaticale fra le diverse lingue; inoltre, la ricerca linguistica su que-st’area fin dall’inizio si è dedicata alla ricostruzione razionale delle relazioni fra 

    4. Cfr. P. BENINCÀ , «Per un atlante dialettale sintattico», in G. BORGATO e A. Z AMBONI (a cura di), Dialettologia e varia linguistica per Manlio Cortelazzo, Padova: Unipress, 1989,p. 11-17; P. BENINCÀ e C. POLETTO, «Il modello generativo e la dialettologia: un’indaginesintattica», Rivista Italiana di Dialettologia , n. 15, 1991, p. 77-97; P. BENINCÀ , «Geolin-guistica e sintassi», in Giovanni R UFFINO (a cura di), Atlanti linguistici italiani e romanzi: espe-rienze a confronto. Atti del Congresso internazionale (Palermo, 3-7 ottobre 1990), Palermo:Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1992, p. 29-41. Rimando a questi lavori perinformazioni sul progetto e sulla sua metodologia.

    5. Ch. TORTORA 

    , «La variazione sintattica e i dialetti appalachiani», relazione presentata alconvegno su I dialetti e la montagna , Sappada, luglio 2003, in stampa negli Atti, a cura diG. Marcato, Padova: Unipress, 1993.

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    Dialetti d’Italia e dialetti d’Europa Quaderns d’Italià 8/9, 2003/2004 15

    le diverse lingue, a cominciare dall’evoluzione fonologica; è impossibile distin-guere chiaramente in questo caso le cause dagli effetti, ma sta di fatto che nel-l’educazione linguistica anche scolastica dei singoli paesi scandinavi si proponeun modello comparativo che tratta la lingua dei singoli paesi come una varia-zione all’interno di un sistema linguistico unitario.6

    Nel caso della Germania, l’area bavarese ha una sua tradizionale indivi-dualità, ma credo che non sia privo di importanza il fatto che su quest’area sono stati fatti alcuni primissimi lavori di sintassi teorica che prendeva comeoggetto varietà dialettali.7 I dialetti basso tedeschi dell’area nord-occidentalesi appoggiano alle varietà nederlandesi d’Olanda e del Belgio, lingue naziona-li, e anche qui si è avuta ricerca linguistica mirata a utilizzare la variazione peruna migliore comprensione dei fenomeni.8

    Rispetto ad aree come quelle citate, la peculiarità dell’Italia consiste nelfatto che le situazioni favorevoli alla vitalità e visibilità dei dialetti sono quimolto più estese nel territorio e molto più profondamente radicate. Tutta l’I-talia è non tanto un’area dialettale quanto piuttosto un insieme di aree dialet-tali, perché non ha avuto mai un centro sufficientemente stabile e forte dalpunto di vista economico e culturale, ma sempre una pluralità di centri influen-ti, più o meno equilibrati per prestigio e forza; questo ha permesso la soprav-

    vivenza nei secoli di tante piccole lingue, a loro volta centri di aree di variazionedialettale. La fisionomia di queste aree è varia, in relazione alle caratteristichedella loro storia e della loro organizzazione economica e sociale; esse hannoassunto al nord una fisionomia piuttosto di ambito regionale, al centro e alsud di ambiti più circoscritti. Fra le regioni settentrionali, per esempio, Lom-bardia, Veneto, Piemonte, costituiscono ampie aree dialettali unitarie, per ilfatto che i loro centri — Milano, Venezia, Torino — erano abbastanza forti eprestigiosi da esercitare un’influenza unificatrice su un’area regionale e con-

    trobilanciare contemporaneamente l’influsso dei centri regionali vicini. Nel-l’Italia meridionale e centrale la situazione è molto più frammentata: ad esempio,in Campania, Abruzzo, Puglia e Calabria si possono invece osservare microa-

    6. Ho ricavato queste informazioni da una conversazione con il linguista norvegese OysteinVangsnes. Per alcuni fra i primi lavori di sintassi scandinava si veda, fra altri, L. HELLAN eK. K. CHIRSTENSEN (a cura di), Topics in Scandinavian Syntax , Dordrecht: Reidel, 1986.

    7. Penso in particolare ai lavori di Joseph Bayer, fra cui ricordo «COMP in Bavarian syntax»,

    The Linguistic Review , n. 3, 1984, p. 209-274; J. B AYER , «What Bavarian negative concordreveals about the syntactic structure of German», in J. M ASCARÓ e M. NESPOR (a cura di),Grammar in Progress , Dordrecht: Foris, 1990, p. 13-23.

    8. Gli studi di dialettologia nederlandese hanno una lunga tradizione, anche per la sintassi (èdel 1938 il lavoro di J. van Ginneken sui prefissi nei dialetti olandesi). Fra gli esempirecenti si veda L. H AEGEMAN, Theory and description in generative grammar. A case study in West Flemish, Cambridge: CUP, 1992; E. HOEKSTRA e C. SMITS, «Vervoegde voegwoor-den in de Nederlandse dialecten», in E. HOEKSTRA e C. SMITS (a cura di), Vervoegde Voegwoorden, Amsterdam: Cahiers van het P.J. Meertensinstituut, 1997; J. VAN DER  A UWE-RA 

    , «Dutch verbal prefixes. Meaning and form, grammaticalization and lexicalization», inL. MEREU (a cura di), Boundaries of morphology and syntax , Amsterdam: Benjamins, 1999,p. 121-135.

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    ree dialettali, più piccole delle regioni storiche, a cui si sovrappone l’influssodi un centro come Napoli, che si estende al di là dei confini regionali.

    Questo ha prodotto la costituzione di gruppi dialettali come sistemi alquan-to solidi e resistenti all’influsso della lingua standard, nonostante si continuia temerne — ormai da secoli — l’imminente scomparsa.9 Si potrebbero cita-re molti lavori, teorici e empirici, che hanno analizzato da vari punti di vista tuttoquesto: mi limiterò a citarne due, non recenti ma tuttora illuminanti. JohnTrumper presentò nel 1975 a un convegno della Società di Linguistica Italia-na 10 un’analisi della situazione sociolinguistica italiana con la quale identificòdue tipi basilari di diglossia, la micro- e la macrodiglossia , che distinguono leregioni italiane: la microdiglossia è tipica delle regioni in cui si hanno aree dia-lettali molto circoscritte, a volte limitate al paese o al villaggio, dove i parlan-ti possono usare o il dialetto locale o la varietà di italiano regionale, talvolta l’italiano standard. Una regione è caratterizzata da macrodiglossia dove un dia-letto locale non è isolato di fronte all’italiano standard, ma è sorretto da una varietà — anche non stabile e fissata — di varietà regionale o comunque diambito più ampio, che gli permette di comunicare al di fuori dell’ambientelocale senza dover passare all’italiano. In regioni come il Veneto o la Campa-nia, questa strutturazione è molto ricca di stratificazioni, per cui si hanno anche

    tre livelli di dialetto: un valligiano dell’area bellunese avrà competenza del dia-letto strettamente locale del villaggio, di un dialetto di ambito meno ristrettoper comunicare nella provincia, più o meno, e di un livello ancora più ampioche tiene in considerazione la regione. All’estremo opposto Trumper aveva individuato l’Emilia-Romagna; qui i dialetti locali non hanno a disposizione una varietà dialettale di ambito più ampio, ma si alternano soltanto con l’italiano(più o meno connotato da tratti regionali). In regioni come questa il dialettoè veramente in pericolo, tende a sopravvivere in parole isolate e ad essere usato

    in occasioni molto limitate. Ma le regioni come l’Emilia-Romagna sono pochis-sime; molte, pur non raggiungendo la stabile e articolata struttura del Vene-to, hanno situazioni macrodiglossiche che coprono aree più ristrette della regione, ma più ampie del villaggio.

     A questo lavoro di Trumper si può accostare utilmente la riflessione com-plementare di Alberto Mioni sulla specificità della diglossia italiana (1989);11

    9. Sono interessanti i dati ISTAT sull’uso del dialetto e della lingua in Italia, da cui si ricava che

    fra il 1996 e il 2000, mentre è leggermente aumentata la percentuale di coloro che parlanoin casa solo italiano, è aumentata anche — e di più — la percentuale di chi parla in casa sia italiano che dialetto; in alcune regioni, come il Piemonte, il Veneto, il Friuli, il Lazio,la Campania, l’aumento della percentuale di chi parla in casa ambedue le lingue compen-sa ampiamente il calo nelle percentuali di chi parla solo dialetto (vedi anche M. M. capsParry, «The Challenges to Multilingualism Today», in A. L. LEPSCHY e A. TOSI (a cura di), Multilingual Italy , Oxford: Legenda, 2003, p. 47-59).

    10. J. TRUMPER , «Ricostruzione nell’Italia settentrionale: sistemi consonantici», relazione pre-sentata al convegno della SLI, Pavia 1975. In R. SIMONE e U. V IGNUZZI (a cura di), Problemi 

    della ricostruzione in linguistica , Roma: Bulzoni, 1977, p. 250-310.11. Si veda in particolare A. MIONI, «Osservazioni sui repertori linguistici in Italia», in G. BOR -GATO e A. Z AMBONI (a cura di) Dialettologia e varia linguistica per Manlio Cortelazzo, Pado-

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    mentre in altre situazioni la diglossia comporta una specializzazione funzio-nale dei diversi codici, con una scala di relativa «altezza di stile», nella diglos-sia italiana, per le ragioni che abbiamo brevemente indicato, le funzioni deidue (o più) codici si sovrappongono in buona parte. Le stesse funzioni stili-stiche (escluso in certi casi lo stile più alto e quello più basso) sono ricoper-te sia dal dialetto sia dalla lingua: la scelta fra i due codici dipende dal luogogeografico da cui proviene l’interlocutore. Ne deriva che i dialetti sono par-lati (in linea di principio) da una gamma estesa di strati sociali e non sonoristretti, come ad esempio in Francia o in Inghilterra, agli strati sociali piùbassi. Anche questo è uno dei fattori che, combinati insieme, hanno permessoprima di tutto ai dialetti delle aree con macrodiglossia di evolversi in modonaturale, resistendo all’influsso dell’italiano più o meno comune, ma direiche hanno dato anche un sostegno «ideologico» agli altri dialetti, che pur piùscoperti nel confronto con la lingua nazionale, hanno potuto tuttavia soprav-vivere bene fino ad oggi e conservare molte delle loro distintive caratteristichegrammaticali.

    La varietà regionale o sub-regionale prodotta dalla macrodiglossia si avvi-cina al concetto di koiné, quella varietà che si forma spontaneamente per sot-trazione di peculiarità locali e si colloca «al di sopra» di un insieme di lingue poco

    differenziate. E’ da sottolineare infatti che in queste varietà sopra-locali ven-gono eliminati tutti i tratti peculiari, propri di una sola località, compreso ilcentro di prestigio intorno a cui si organizza l’area linguistica. Si può sostene-re con buoni argomenti, ad esempio, che l’italiano è la continuazione del fio-rentino;12 tuttavia, in italiano non sono entrati i tratti linguistici propri della varietà di Firenze, che non sono mai stati tratti prestigiosi. Nel Veneto, la cuisituazione linguistica è a me più familiare, è evidente che non sono i trattidistintivi del veneziano quelli che caratterizzano la koiné regionale. Su pro-

    cessi di ripulitura e livellamento di questo tipo, che eliminano anche i trattitipici della varietà di prestigio, si fonda la formazione di una lingua, che perdecaratteri locali man mano che si estende ad aree più ampie.13

    va: Unipress, 1989, p. 421-429. Il lavoro riprendeva e utilizzava per l’italiano una ricerca piùgenerale, «Standardization processes and linguistic repertoires in Africa and Europe: some

    comparative remarks», in P. A UER a A. DI LUZIO, Variation and Convergences , Berlino: DeGruyter, 1988, p. 294-320.12. Si veda L. R ENZI, «“ItalAnt”: come e perché una grammatica dell’italiano antico», Lingua 

    e Stile , n. 35, 4 , 2000, p. 717-729.13. Per processi simili, ma più recenti, di creazione spontanea di koiné in epoca moderna si

    veda il dettagliato e complesso studio condotto sull’area del Limburgo belga da Frans Hin-skens nella sua tesi di dottorato, Dialect Levelling in Limburg, Università Cattolica di Nime-ga, 1992.

    Un aspetto su cui si potrebbe ulteriormente indagare è quello che riguarda la presenza 

    in una koiné di strutture facoltative: sembra di poter dire che strutture che si presentanodiverse nelle varietà su cui insiste una koiné entrano a far parte della lingua comune comescelte facoltative.

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    3. Dialetti e ricerca in Italia 

    L’esistenza in Italia di una varietà di sistemi linguistici differenziati, condivisiin linea di principio da tutte le classi sociali, ha prodotto una consapevolezza 

    molto particolare per quanto riguarda la loro osservazione e descrizione, una profondità nella comprensione dei fenomeni che non ha molti paragoni inaltre aree linguistiche. Si può supporre che questa situazione abbia avuto con-seguenze anche sull’evoluzione della ricerca linguistica.

    Per fare un esempio, andiamo a uno dei primi lavori italiani di riflessionesociolinguistica, che ha avuto un notevole ruolo paradigmatico14 per la sua limpidezza e concretezza, costituendo in un certo senso la premessa empirica dei lavori citati sopra; è dovuto a Giovan Battista Pellegrini e comparve per la 

    prima volta nel 1960.15 Pellegrini notava come in uno stesso parlante fre-quentemente coesistono quattro varietà linguistiche di cui ha competenza atti-va o passiva: il dialetto locale, il dialetto regionale, l’italiano regionale, l’italianocomune. Si tratta di idealizzazioni, come dice Pellegrini stesso, notando comesolo i due estremi, l’italiano comune e più ancora il dialetto locale siano siste-mi in qualche modo stabili e uniformemente presenti nei parlanti, mentre le altredue entità sono alquanto variabili. Tuttavia esistono, e spesso uno stesso par-lante passa dall’uno all’altro a seconda delle circostanze. Per documentare l’as-

    sunto, Pellegrini presenta e commenta dal punto di vista morfologico,fonologico, lessicale quattro traduzioni della Parabola del Figliol Prodigo neiquattro registri disponibili per un parlante del Veneto settentrionale (area dimacrodiglossia, diremmo con John Trumper). Non credo che sia mai statosottolineato il fatto che Pellegrini, per esemplificare questa stratificazione dicompetenze all’interno del parlante, non ha ricavato i dati da testi scritti o da inchieste registrate, non ha consultato banche dati né percorso vallate e stradecittadine cercando di cogliere dal vivo frasi da confrontare. Come via d’acces-so più naturale ai dati che gli interessavano ha scelto istintivamente l’intro-spezione, immaginando se stesso nelle diverse situazioni e trascrivendo le frasinelle forme lessicali, morfologiche e sintattiche dei diversi registri. Pur essen-do un dialettologo tradizionale con grande rispetto per l’autenticità del datolinguistico, ha usato quel procedimento, l’introspezione del linguista, varia-mente discusso e a volte violentemente criticato, che è da sempre il caratteri-stico procedimento dei sintatticisti generativi.

     Accanto a Pellegrini possiamo collocare Giulio Lepschy, che fra gli anni’70 e gli anni ’80 presentò interessanti e singolari lavori di descrizione gram-maticale dell’italiano e del veneziano, in qualche caso con una comparazione

    14. Si veda ad esempio l’applicazione che ne hanno elaborato Giulio C. LEPSCHY e A. L. LEPSCHY ,in The Italian Language Today , Londra: Hutchinson, 1977 (in italiano: La lingua: storia,varieta dell’uso, grammatica , Milano: Bompiani, 1981).

    15. G. B. PELLEGRINI, «Tra lingua e dialetto in Italia», comunicazione presentata alla 47ª riu-

    nione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (Trieste, 1959), Studi Mediolatini e Volgari , n. 8, 1960, p. 137-53 (poi in ID., Saggi di linguistica italiana , Torino: Boringhieri,1975, p. 11-35).

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    fra le due grammatiche, anche in questo caso ricorrendo fondamentalmenteall’introspezione. Pur essendo, com’è noto, un profondo conoscitore delle teo-rie linguistiche più attuali, Lepschy non le utilizza nei suoi lavori se non indi-rettamente, e mostra quindi come la grammatica tradizionale, se usata come una teoria empirica, sia un quadro teorico più che sufficiente per produrre lavoridescrittivi molto sofisticati e in grado di porre problemi teorici che talvolta attendono ancora di essere risolti.16

    Gli esempi diversi di Giovan Battista Pellegrini e di Giulio Lepschy ci por-tano a valutare un altro aspetto peculiare dei dialetti italiani, forse non unicoin Europa ma certo in nessun paese diffuso come in Italia, cioè il fatto che,essendo i dialetti presenti e vivi in ogni strato sociale, è molto facile incontra-re linguisti dialettofoni.

    Questi esempi mostrano anche come la riflessione sintattica dovrebbe esse-re proprio il campo di elezione per la dialettologia italiana: e con questo siamotornati al punto di partenza, al fatto che in Italia un progetto di rilevamento siste-matico di dati sintattici dialettali si è sviluppato prima che in altre aree d’Eu-ropa, benché i primi lavori di sintassi condotti con un quadro teorico venisserodedicati a dialetti press’a poco intorno agli stessi anni — cioè nei primi anni ’80— sia in Italia sia in altri paesi Europei.17

    È importante sottolineare che, come si è detto indirettamente, il nostroprogetto è iniziato e si è sviluppato in questi 10 anni prendendo in conside-razione, di proposito, solo dialetti dell’Italia settentrionale.

    La ragione che sembra più evidente è il fatto che essi formano una sorta dimacro-sistema dialettale, con caratteristiche che li uniscono e li separano daglialtri dialetti italiani. Ma avrà un peso anche il fatto che le indagini scientifi-che sui dialetti italiani, nate intorno alla fonologia, prima diacronica e poianche sincronica, hanno avuto uno sviluppo disuguale nelle due parti d’Ita-

    lia, in particolare nella fase iniziale (Ottocentesca) di fondazione della disci-plina; fenomeni sintattici dei dialetti settentrionali (inclusa l’area svizzera)sono stati notati e descritti già dai dialettologi dell’Ottocento, cosa che non èavvenuta nella stessa misura per l’Italia meridionale; inoltre, va sottolineatoche il lavoro enorme che la linguistica ha fatto per la determinazione dellerelazioni etimologiche illumina la morfologia e la struttura delle forme, chia-rendo anche la sintassi, in particolare tutto quello che coinvolge gli elemen-

    16. Sono lavori comparsi fra gli anni ’70 e ’80, poi riuniti nei volumi dello stesso Lepschy, Saggi di Linguistica Italiana (1978), Mutamenti di prospettiva nella linguistica (1981) e Nuovi Saggi di Linguistica Italiana (1989), tutti usciti a Bologna, presso Il Mulino. Lepschy pren-de sul serio, di nuovo in tutta la sua potenzialità empirica, anche la storia della linguistica come storia della ricerca, un continuo di osservazioni, intuizioni, generalizzazioni, che èutile conoscere e su cui è ancora possibile e produttivo tornare per costruire con strumen-ti teorici attuali: si veda, per un esempio, «L’articolo indeterminativo. Note per la storia della grammatica italiana» (1987), ripubblicato in Nuovi Saggi…, cit., p. 143-151.

    17. Si noti che non compaiono fra questi primi lavori di sintassi — che abbiamo esemplifica-to sopra in nota — né dialetti inglesi, né francesi (di Francia), né spagnoli: e questa assen-za persiste tuttora, come dicevamo.

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    ti funzionali. Questo lavoro di fonologia diacronica è stato condotto in manie-ra più sistematica nell’Italia settentrionale che per le varietà dell’Italia centromeridionale.

     Accanto a questi motivi, forse è stato importante anche il fatto che alcunidei fenomeni che caratterizzano i dialetti settentrionali e sono assenti nel restod’Italia, sono presenti in francese con differenze interessanti, e quindi hanno tro-vato nelle teorie elaborate per il francese dalla linguistica teorica un punto dipartenza e di confronto stimolante. Mi riferisco in particolare al fenomeno deiclitici soggetto, che caratterizza quest’area in tutte le sue varietà e alcuni dialettitoscani (fra cui il dialetto di Firenze).18 I dialetti settentrionali richiedono,come il francese, che il soggetto sia espresso, se necessario con un pronomeclitico, ma il paradigma dei clitici e i contesti che li richiedono presentanorispetto al francese interessanti differenze fra le persone del verbo. Lo sviluppodella teoria sintattica che alla fine degli anni ’70 con i lavori di Kayne affron-tava le caratteristiche sintattiche del francese ha creato una sorta di ponte fra leconclusioni dell’analisi teorica e le peculiarità dialettali dell’Italia settentrio-nale. In questo momento si inserisce il lavoro di Lorenzo Renzi e Laura Vanel-li,19 che può essere visto come un embrione di Atlante linguistico relativo a un fenomeno sintattico e un esempio di elaborazione dei dati per giungere a 

    generalizzazioni descrittive. Mentre il francese ha un paradigma completo di cli-tici soggetto che compaiono obbligatoriamente con un soggetto lessicale, i dia-letti settentrionali hanno paradigmi in genere incompleti di clitici, i qualiinoltre in molte varietà accompagnano un soggetto lessicale, facoltativamenteo obbligatoriamente. L’indagine di Renzi e Vanelli (1983) mirava a dare una forma a questo apparente caos di paradigmi irregolari e irregolarità sintattica,e l’ha fatto cercando delle generalizzazioni e delle implicazioni fra sistemi. Lostudio giunge a conclusioni come le seguenti:

    — se una varietà settentrionale ha un clitico soggetto, questo è il clitico di 2.singolare;

    — se una varietà ha un paradigma con due clitici soggetto, questi sono la 2.singolare e la 3. singolare;

    18. Il fenomeno era notato già negli schizzi grammaticali dell’Ottocento, essendo un fenome-no che interessa anche la morfologia verbale. Per le prime descrizioni teoricamente inqua-

    drate vedi P. BENINCÀ , «Il clitico a nel dialetto padovano», in Scritti linguistici in onore di Giovan Battista Pellegrini , Pisa: Pacini, 1983, p. 25-35; BRACCO, BRANDI e CORDIN, «Sulla posizione di soggetto in italiano e in alcuni dialetti», in A. FRANCHI DE BELLIS e LeonardoS AVOIA , Sintassi e morfologia della lingua italiana d’uso, Roma: Bulzoni, 1985, p. 185-209:L. R IZZI, «On the status of subject clitics in Romance», in O. J AEGGLI e C. SILVA -COR -VALÀN (a cura di) Studies in Romance Linguistics , Dordrecht: Foris, 1986. Il lavoro più siste-matico, che tratta la fenomenologia nel suo complesso e nei particolari, è il libro che Cecilia Poletto ha ricavato dalla sua tesi di dottorato: The Higher Functional Field: Evidence fromNorthern Italian Dialects , Nova York-Oxford: OUP, 2000.

    19. L. R ENZI

    e L. V  ANELLI

    , «I pronomi soggetto in alcune varietà romanze», in Scritti lingui-stici in onore di Giovan Battista Pellegrini, cit., p. 121-145 (ora anche in L. V  ANELLI, I dia-letti italiani settentrionali nel panorama romanzo, Roma: Bulzoni, 1998).

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    — se il clitico soggetto non è obbligatorio in ogni caso, il primo contesto sin-tattico che esclude la presenza di un clitico soggetto è quello in cui il sog-getto è un pronome interrogativo o il quantificatore negativo nessuno;

    — la frase interrogativa diretta può comportare l’enclisi del pronome sogget-to: i pronomi soggetto enclitici formano un insieme che non necessaria-mente coincide con quello dei proclitici, ma comunque lo include.

    Le generalizzazioni permettono di escludere come possibili spiegazioni delfenomeno tutte quelle che fanno ricorso a pretese debolezze della flessione: sipuò infatti confrontare ogni singola persona e concludere che la persona più sta-bile nel richiedere il clitico è la seconda singolare (che ha un clitico pratica-mente in tutte le varietà settentrionali); la 2. singolare è, insieme alla 1. e 2.plurale, la persona che ha le distinzioni meglio conservate nella flessione delverbo. Le conclusioni indicano anche in un certo senso la direzione delle spie-gazioni, che sembra puntare verso la linguistica generale: sembra chiaro infat-ti che le persone che non coinvolgono il parlante sono quelle che richiedonouna marca esplicita.

    I dati di Renzi e Vanelli (1983) sono stati in qualche caso ricavati da descri-zioni grammaticali esistenti, ma in gran parte ottenuti con un questionario

    appositamente costruito, inviato per posta spesso a colleghi linguisti o dialet-tologi e da questi riempito autonomamente da soli.Da questo questionario sono state elaborate da Laura Vanelli e me due altre

    versioni destinate ad esplorare ulteriormente alcune aree del Veneto e del Friu-li rispetto a fenomeni più circoscritti relativi sempre all’uso dei pronomi sog-getto, sia per una più precisa caratterizzazione di queste due aree linguistiche,sia per una migliore comprensione di altre strutture sintattiche. Ad esempio, ilfatto che il pronome di 3. singolare mostrasse di essere sensibile alla natura del

    soggetto lessicale, diventando incompatibile con un quantificatore, suggeriva di utilizzare il suo comportamento — iniseme a quello dei clitici complementondash come indizio per poter classificare come operatori altri tipi di soggetti,come i soggetti focalizzati o relativizzati; si può vedere che alcuni dialetti vene-ti distinguono più chiaramente dell’italiano la relativa restrittiva dall’apposi-tiva, attribuendo all’argomento relativizzato lo statuto di operatore solo nella restrittiva (con il soggetto clitico impossibile) ma non nella appositiva (in cuiil soggetto clitico è facoltativo).

    Il quadro descrittivo raggiunto ha permesso di indagare poi l’evoluzionediacronica di questi sistemi, stabilendo il punto in cui — intorno al XV seco-lo — si passa dal sistema medievale, con pronomi soggetto non clitici, al siste-ma moderno,20 e fissando anche un punto successivo (fra il  XIX e  XX  secolo)

    20. Cfr. L. V  ANELLI, «I pronomi soggetto nei dialetti settentrionali dal Medio Evo a oggi», Medioevo Romanzo, n. 12, 1987, p. 173-211 (ora anche in V  ANELLI, I dialetti italiani set-

    tentrionali…, cit.); C. POLETTO

    , «The diachronic development of subject clitics in northeastern Italian dialects», in A. B ATTYE e I. R OBERTS, Clause Structure and Language Chan- ge , Nova York-Oxford: OUP, 1995, p. 295-324.

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    in cui alcuni sistemi passano ad avere i pronomi clitici sempre obbligatori nella frase assertiva, quindi elementi puramente funzionali di complemento del-l’accordo verbale.21 Queste questioni hanno prodotto le domande che abbia-mo inserito nel primo questionario che abbiamo steso per l’Atlante Sintatticodell’Italia Settentrionale, Laura Vanelli, Cecilia Paletto, Richard Kayne ed io,ciascuno portando il contributo di questioni sorte dalla nostra ricerca e da quella di altri.

    L’evoluzione della teoria sintattica che si è svolta parallelamente a questeprime indagini ha portato ad individuare altre aree della grammatica su cui la variazione dei dialetti italiani poteva contribuire a far luce o aprire questioniimportanti. Si può pensare ad esempio alla sintassi degli ausiliari, all’accordodel participio passato, alla negazione, alla sintassi della complementazione inrelazione all’uso dei modi, la presenza di complementatori, tipologia delle rela-tive, ecc. La sintassi della negazione, per esempio, di nuovo presenta nei siste-mi dell’Italia settentrionale un fenomeno assente in italiano e presente infrancese, cioè la negazione discontinua. Sulla sintassi della negazione già Otto

     Jespersen22 aveva individuato, da una comparazione universale, uno schema di evoluzione, riconoscendo un ordine diacronico fra i diversi sistemi, notocome «ciclo di Jespersen»: nelle lingue si parte da una negazione preverbale,

    passando attraverso uno stadio in cui la negazione viene duplicata da un ele-mento postverbale, che all’inizio è condizionato da particolari valori pragma-tici che si estendono sempre più fino a che l’elemento postverbale accompagna obbligatoriamente la negazione; lo stadio finale vede la sparizione dell’ele-mento postverbale e tutta la funzione spostata sull’elemento a sinistra. Unesempio facilmente accessibile di questo ciclo è osservabile nella storia del fran-cese, passato dal francese antico con ne preverbale, al francese più recente conne…pas al francese parlato che appare sul punto di perdere completamente ne 

    e lasciare a pas postverbale l’intera funzione negativa. Questo stesso processo èosservabile in molte varietà settentrionali, in particolare del Piemonte, della Lombardia, dell’Emilia Romagna, e appare in queste varietà a diversi stadidella sua evoluzione. Non solo in questi dialetti la sincronia riassume la dia-cronia, ma di molte varietà abbiamo attestazioni antiche, che in alcuni casicomprendono testi importanti del XIII o  XIV secolo.23

    21. È molto probabile che rilevamenti sintattici sulle parlate dialettali (o anche solo regionali)

    della Francia porterebbero a rilevare sistemi molto simili a quelli dell’Italia settentrionale: a questo fa pensare l’indagine di Lorenzo Renzi («I pronomi soggetto in due varietà sub-standard; fiorentino e français avancé », Zetschrift für romanische Philologie , n. 108, 1-2,1992, p. 72-98), dalla quale emerge che già il francese colloquiale ha somiglianze moltointeressanti con alcuni sistemi settentrionali.

    22. O. JESPERSEN, Negation in English and Other Languages , Copenhagen: Host, 1917.23. Cfr. M. M. P ARRY , «Preverbal negation and clitic ordering, with particular reference to a 

    group of North-West Italian dialects», Zeitschrift für Romanische Philologie , n. 113, 2, 1997,p. 243-270; R. Z ANUTTINI, Negation and Clausal Structure : A Comparative Study of Roman-

    ce Languages, Nova York-Oxford: OUP, 1997; sulla diacronia di questi sistemi osservata nella storia del milanese si veda M. V  AI, «Per una storia della negazione in milanese in com-parazione con altre varietà altoitaliane», ACME , n. 49, 1, 1996, p. 57-98. Sui rapporti fra 

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    La riflessione e l’elaborazione di analisi teoriche su questi e altri argomen-ti24 hanno suggerito le domande per i nostri questionari successivi, il secon-do e il terzo. Ma se la negazione discontinua, come i clitici soggetto, sonofenomeni limitati all’Italia settentrionale, per l’uso dell’ausiliare, l’accordo delparticipio, la subordinazione, ecc., tutti i dialetti italiani diventano ugualmenterilevanti. Tuttavia, il progetto di Atlante non si è immediatamente esteso all’I-talia meridionale. Solo recentemente abbiamo preparato — con l’importantecollaborazione dei dottorandi, alcuni dei quali sono inoltre originari del Sud Ita-lia — un primo questionario per i dialetti meridionali che abbiamo sommi-nistrato ad alcuni soggetti sperimentali, fra cui alcuni colleghi linguisti chehanno potuto fungere o direttamente da informatori, o da intermediari coninformatori di loro scelta. Anche questo è un punto su cui riflettere: Nicola Munaro, collaboratore dell’ASIS a cui è stata affidata l’istruzione dell’ASIM,come pure Cecilia Poletto ed io, in quanto parlanti di varietà settentrionali, cimuoviamo con più sicurezza con i dati delle parlate settentrionali, anche se levarietà di altre regioni sono molto diverse dalle nostre parlate native e l’anali-si dei dati richiede a volte riflessioni complesse e indagini laboriose. Per affron-tare le parlate centro-meridionali abbiamo fatto un lento percorso diavvicinamento, studiando le grammatiche e le analisi grammaticali esistenti.

    Sottolineo questo aspetto per ribadire come lo studio della sintassi sia favori-to quando si tratta della propria lingua nativa o di lingue ad essa vicine. I datirilevanti per comprendere un dato fenomeno possono trovarsi in aree della grammatica che solo il parlante di una lingua può andare ad esplorare guida-to dalla sua intuizione. Il fatto che la competenza di un dialetto sia così diffu-sa in Italia fa sì che sia singolarmente comune il caso di linguisti che sonoparlanti di un dialetto.

     Accanto al ciclo della negazione individuato da Jespersen, abbiamo indi-

    viduato altri cicli evolutivi che mostrano con questo interessanti somiglianze,ad un certo livello di astrazione, sulla base di una teoria della sintassi che con-templa una struttura gerarchica, regole di movimento degli elementi sintatti-ci e una classificazione delle categorie lessicali e funzionali sulla base della lorostruttura interna. Questo schema teorico, per esempio, permette di vedereanche alcune forme di interrogative che caratterizzano i dialetti settentrionalicome progressiva riduzione del movimento del verbo: le fasi più antiche mostra-no salita del verbo fino a superare la posizione del soggetto, dando luogo alla 

    cosiddetta inversione interrogativa; in un momento successivo, intorno al XVI- XVII secolo l’inversione è possibile solo con un soggetto clitico; infine, fra il XX 

    negazione e clitici in molti dialetti italiani si veda M. R. M ANZINI e L. S AVOIA , «Negationparameters and their interaction in Italian dialects», Quaderni di lavoro dell’ASIS , n. 2,1998, p. 39-60.

    24. Un’area che abbiamo iniziato a indagare di recente è la sintassi del sintagma nominale, inseguito anche a lavori di Nicoletta Penello (si può vedere ora la tesi di dottorato, Capitoli di 

    morfologia e sintassi del dialetto di Carmignano di Brenta , Padova, 2003), nei quali ha affron-tato interessanti fenomeni di varietà venete relativi alla sintassi dei possessivi in rapportoalle classi nominali.

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    e il XXI sec., molte varietà permettono l’inversione con un clitico solo se il V èun ausiliare; infine, alcune varietà perdono completamente l’inversione inter-rogativa, il che significa nei nostri termini che riducono ulteriormente il movi-mento del verbo.

    L’inversione del verbo con un soggetto clitico si verifica nei dialetti nonsolo nella frase interrogativa ma anche in altre costruzioni marcate, come l’ot-tativa ( fossi tu in grado di farlo!), la negativa disgiuntiva (sia egli o non sia egli in grado di farlo), l’esclamativa con negazione espletiva (non è-egli partito lostesso! ). Indagando su un’area dialettale la microvariazione riguardo a questestrutture con inversione, Nicola Munaro,25 ha potuto costruire delle implica-zioni molto chiare, che mostrano da un lato che la struttura ha posizioni dedi-cate alla codificazione di queste frasi marcate, dall’altra che i dialetti tendonoa ridurre il movimento del verbo, perdendo l’inversione a partire dalla posi-zione codificata più in alto e man mano quelle più basse.

    4. Alcune riflessioni finali

    L’idea che ho cercato di chiarire in queste pagine, prima di tutto a me stessa,è che il gioco fra status sociale e ricerca linguistica di una parlata è un insieme

    complesso di relazioni e di reciproco nutrimento. Vorrei sostenere che anche ilinguisti italiani meno inclini a divulgare i risultati delle proprie ricerche nelcampo della dialettologia hanno indirettamente fornito argomenti perchépotesse formarsi di un dialetto un’immagine mentale ed emotiva, ein Bild in der Seele , perché un dialetto qualsiasi potesse essere considerato degno di rispettoquanto una qualsiasi lingua.

    Ho l’età per poter ricordare le tappe attraverso cui è passata, in Italia, l’im-magine del dialetto nella società, in particolare nella scuola, negli ultimi cin-

    quant’anni. Nel dopoguerra, la scuola aveva pensato che si potesse concluderein breve e vittoriosamente la guerra contro i dialetti e contro le tracce dialettalinella lingua.26 La repressione contro i bambini che si esprimevano in dialetto

    25. N. MUNARO, «I correlati interpretativi dell’inversione tra verbo e soggetto», in G. M ARCA -TO (a cura di), I confini del dialetto, Padova: Unipress, 2001, p. 167-176; N. MUNARO,«Computational puzzles of conditional clause preposing», in stampa in A. M. DI SCIULLO(a cura di), UG and the External Systems , Amsterdam: Benjamins.

    26. L’opposizione ai dialetti tuttavia non deve essere pensata come un atteggiamento com-patto e ottuso; c’era qualche bella eccezione, come una sorprendente grammatica italia-na, La parola e le sue leggi, pubblicata da Principato in terza edizione nel 1943, di cuisono autori F. Palazzi e A.R. Ferrarin. A p. 15, fra le Curiosità si trova un capitoletto Dia-letto in cui si legge: «Sarebbe errore credere che il dialetto sia nato dalla corruzione della lingua letteraria […]. E’ vero anzi proprio il contrario […]. Il dialetto è la forma spontanea e naturale del linguaggio. […] è esso che ha formato la lingua, e dai dialetti la lingua attinge continuamente gli elementi della sua vita.» Segue un capitoletto su I vari dialetti d’Italia in cui sono riportati passi paralleli della Novella del re di Cipro di Boccaccio in alcu-

    ne delle traduzioni dialettali raccolte da Giovanni Papanti nel 1875. Ringrazio Cecilia Polet-to che mi ha fatto vedere questa grammatica, che era usata dalla sua mamma, maestra elementare.

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    Dialetti d’Italia e dialetti d’Europa Quaderns d’Italià 8/9, 2003/2004 25

    era dura e improntata al disprezzo. Accanto ai linguisti che indirettamente conle loro analisi di dialetti e varietà non standard27 mostravano di trattare questevarietà esattamente alla stessa stregua delle altre lingue, è stato molto importantel’attività di Tullio De Mauro, che, con le armi della linguistica e del suo idea-le progressista, ha guidato un’azione intensa e generosa in difesa di ogni lin-gua nativa e del diritto di vederla rispettata, promovendo una didattica piùefficace e informata su questi aspetti.28 Oggi credo che siano molto pochi in Ita-lia gli insegnanti a cui possa venire in mente di parlare del dialetto come diuna lingua «sbagliata», primitiva, come di una rozza deformazione dell’italia-no. È grazie anche a questi cambiamenti se i dialetti hanno potuto sopravvivereaccanto all’italiano, e si sono mantenuti senza ostacolare la sua diffusione.Certo i dialetti sono cambiati e cambiano, ma questo succede a ogni lingua,e succedeva anche al tempo di Dante: ce lo dice lui stesso, quando immagina che gli antichi pavesi possano rinascere, e così scoprire, parlando con i pavesidel suo tempo, di parlare lingue diverse.29

    Penso quindi che sia la combinazione di una particolare situazione socio-linguistica e di una ricerca linguistica ricca di esperienze in tutta la sua storia che ha prodotto in Italia la situazione favorevole per lo studio della variazio-ne grammaticale nei dialetti, per cui si è potuto pensare qui prima che in altri

    paesi a un atlante sintattico.La competenza dialettale è, in Italia, molto diffusa e consapevole, anche secon certe differenze fra le varie regioni; per le nostre ricerche, che hanno loscopo di disegnare porzioni di grammatiche relativamente alla sintassi, non èinoltre necessario che la varietà sia particolarmente conservativa, basta che sia coerente. Un potenziale problema è trovare parlanti che distinguano chiara-mente nell’autoriflessione quello che compete all’italiano e quello che com-pete al dialetto e ai suoi diversi stili.30 Questa capacità è una dote del buon

    informatore, che deve essere esercitata però in situazioni che possono esserepiù o meno favorevoli. In certi casi, come dicevamo sopra, quando viene impo-sta una standardizzazione del dialetto, il confine può diventare difficile da trac-

    27. Va ricordato almeno il dibattito teorico sull’italiano popolare, e la descrizione di questolivello linguistico (dato che non si può vederlo propriamente di una varietà) che ne feceManlio Cortelazzo nel volume Lineamenti di italiano popolare, Pisa: Pacini, 1972.

    28. Si deve a De Mauro l’impulso a creare il Gruppo di Intervento e di Studio nel campo

    dell’Educazione Linguistica (GISCEL), un gruppo tuttora molto attivo nella didattica.29. Cfr. Dante A LIGHIERI, De vulgari eloquentia, I, IX . È evidente che le varietà locali hannoavuto fin dall’inizio a che fare con l’influenza di un variegato volgare di prestigio più alto.Per il periodo rinascimentale sono interessantissime le ricerche di archivio condotte da San-dro Bianconi, che sfatano il mito di secoli di monolinguismo dialettale e mostrano comel’italiano comune sia molto precedente all’unità politica e abbia percorso strade proprie e incerta misura spontanee. Si veda ad esempio, S. BIANCONI, «Fonti per lo studio della diffu-sione della norma nell’italiano non letterario tra fine ’500 e inizio ’600», Studi linguistici italiani , n. 17, 1991, p. 39-54.

    30. Su questo problema specifico si può vedere C. POLETTO

    , «Confini all’interno del parlan-te: l’interferenza fra la grammatica dialettale e quella italiana», in G. M ARCATO (a cura di),I confini del dialetto, cit., p.159-166.

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    ciare, ma il caso più diffuso è quello in cui l’informatore dialettofono sa sceglierecon grande sicurezza il livello linguistico pertinente.31

    Paesi come la Germania hanno una situazione sociolinguistica non moltodiversa da quella italiana, anche per vicende storiche abbastanza simili; le varietà regionali sono ben individuate e i dialetti sono abbastanza presenti nella lingua viva. Forse l’Italia ha avuto una storia letteraria in dialetto particolarmentericca: poeti come Andrea Zanzotto o Virgilio Giotti, o narratori come LuigiMeneghello, per citare solo esempi un po’ casuali, fanno uso del dialetto comestrumento di espressione, e i massimi autori del teatro italiano sono autori dia-lettali. Forse, d’altro lato, in Germania i linguisti storici non si sono occupatidi dialetti tedeschi quanto di dialetti italiani e romanzi, inserendosi in una tra-dizione italiana ricca e solida, che si può dire affonda le sue radici in una rifles-sione grammaticale e descrittiva secolare, che dal Medio Evo fino all’Ottocentoha prodotto grammatiche e trattati ricchi di spunti empirici.32 I linguisti sto-rici di lingua tedesca si dedicarono moltissimo anche ai dialetti francesi, ma in Francia la linguistica ha privilegiato tradizionalmente la riflessione genera-le e filosofica. Qui i dialetti non hanno conquistato una rappresentazione con-divisa nel sentire comune, a parte il provenzale, che ha una collocazione similea quella che ha in Spagna il catalano. In Inghilterra, per concludere l’esempli-

    ficazione, tutti i fattori che potrebbero favorire la vita dei dialetti sono assen-ti e quelli sfavorevoli presenti: da una parte, con una fortissima lingua nazionalestratificata in modo molto preciso quanto al prestigio, le varietà regionali elocali sono collocate a livelli più o meno bassi della scala sociale; la scarsità diriflessione grammaticale morfologica o fonologica nella tradizione linguistica ha limitato la loro classificazione in aree linguistiche sistematiche; questo effet-to congiunto è stato così forte da limitare fortemente la riflessione anche suaree relativamente individuate e autonome, come la Scozia o i dialetti del Nord,

    per non parlare dei dialetti del Galles.Gli argomenti che ho così velocemente toccato in queste poche pagineavrebbero naturalmente bisogno di essere appoggiati da studi approfonditispecifici, mentre sono stati presentati anche sotto forma di semplici intuizio-ni: spero di aver almeno suggerito alcuni spunti di riflessione, che qualcunopotrebbe voler approfondire.

    31. La nostra procedura prevede che, dopo aver esaminato il questionario scritto, passiamo sia a questionari, sempre scritti, su un argomento grammaticale specifico di cui indagare carat-teristiche più sottili, sia a una inchiesta diretta, in cui chiediamo la possibilità di connota-zioni stilistiche o di varianti più o meno facoltative di determinate strutture.

    Il problema della sicurezza del parlante nei giudizi sulla sua lingua esiste del resto ancheper lingue nazionali, come il portoghese brasiliano, che soffre di un complesso nei riguar-di del portoghese d’Europa, per cui i parlanti brasiliani non sono sempre sicuri della loro com-petenza linguistica, ritenendo di parlare un portoghese imperfetto.

    32. Per il ruolo di modello che la grammatica italiana del Rinascimento ha avuto per tutta l’Eu-

    ropa si veda il ricco saggio storico e filologico di J. TRUMPER 

    , «Riflessioni comparative sulla Questione della lingua», in Laurea honoris causa a Carlo Dionisotti , Dipartimento di Lin-guistica, Università della Calabria, 1997.

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    Prestigio culturale ed esigenze normativenelle tradizioni linguistiche regionali italianeUn’esperienza di ricerca 

    Fiorenzo TosoCentro Internazionale sul PlurilinguismoUniversità di Udine

     Abstract 

    Il saggio ricostruisce le tappe del percorso storico-linguistico attraverso il quale il genove-se si propone costantemente, a partire dalla seconda metà del sec. XII, come elemento costi-tutivo nel disegno complessivo di una specificità culturale ligure assunta a simbolo emotivazione di un quadro socio-politico marcato, nella percezione interna ed esterna, da una consapevolezza forte di alterità. Il caso specifico ha valore soprattutto se inquadrato in una 

    visione olicentrica della cultura italiana, nella quale le differenti storie linguistiche regionalinon vengano viste esclusivamente come conseguenza di una tensione centripeta uniforme,ma anche come frutto di dinamiche di volta in volta originali nel rapporto fra tradizionelinguistica locale — dotata o meno di un proprio autonomo prestigio — e orizzonte idio-matico soprarregionale.

    Parole chiave: genovese, storia linguistica della Liguria, letterature regionali, letteratura genovese, plurilinguismo.

     Abstract 

    This essay reconstructs the halting historico-linguistic journey through which Genovesehas constantly been deemed, from the second half of the C.  XII onwards, a constitutiveelement in the general design of a Ligurian cultural specificity considered both symbol of and motivation for a marked socio-political framework, within an internal and externalperception, of a strong consciousness of alterity. This specific case has the additional valueof being framed within a polycentric vision of Italian culture, in which the differing region-al linguistic histories are not perceived exclusively as the consequence of a uniform, centripetal

    tension, but also as the outcome of original dynamics in the relation between local lin-guistic tradition —provided at least with its own, autonomous prestige— and the supra-regional idiomatic horizon.

    Key words: Genovese, the linguistic history of Liguria, regional literature, Genovese lite-rature, plurilingualism.

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    Una rilettura della storia linguistica italiana organizzata per regioni è stata ten-tata di recente nel lavoro collettivo diretto da Francesco Bruni,1 che ha rap-presentato indubbiamente, insieme ad altre pubblicazioni di questi ultimi anni,un progresso notevole verso una percezione policentrica della cultura linguistica del paese, sul solco di una tradizione illustre che dopo gli antesignani otto-centeschi, dal Ferrari in poi, aveva già offerto risultati significativi in alcuniaurei contributi d’insieme di Carlo Dionisotti, Mario Sansone e altri. È inne-gabile tuttavia che la prospettiva adottata in questo genere di studi rimane dipreferenza quella di un’analisi delle modalità di «italianizzazione» delle singo-le regioni, come denuncia il titolo stesso dell’opera (L’italiano nelle regioni ) e la ricostruzione di volta in volta proposta delle diverse modalità attraverso le qualile differenti realtà culturali regionali approdano, nel corso di processi secolaridi adeguamento, a una loro collocazione all’interno del panorama linguistico-letterario nazionale.

     All’attivo di questa e di altre esperienze di ricerca va senz’altro ascritta la presa d’atto che i processi di adeguamento alla prospettiva linguistica nazio-nale si verificarono secondo tempi e modalità profondamente diversi a secon-da delle singole aree: il che potrebbe sembrare un’osservazione di per sé banale,ma che non lo è affatto se si tiene conto dei pesanti retaggi della visione stori-

    co-linguistica italiana più divulgata fino all’altro ieri. Ciò che manca in gene-re è piuttosto la percezione di un’autonomia delle singole «storie linguistiche»regionali, e soprattutto delle singole «storie della lingua» che si potrebbero ela-borare per le diverse varietà destinate a confrontarsi con l’italiano nel corso diun processo plurisecolare di convergenza: mentre si ammette la pluralità delleesperienze dell’italiano nelle varie regioni non si pone a sufficienza l’accento, a mio parere, sulle diverse modalità dell’interrelazione che, nel corso di questo pro-cesso, si attua tra l’italiano e gli attori locali, percepiti, questi ultimi, come

    modalità linguistiche invariabilmente collocate sullo stesso piano nel loro rap-porto con la lingua nazionale e i suoi progressi. La banalizzazione del rappor-to lingua-dialetto — ed è stata più volte osservata l’insufficienza dell’opposizioneterminologica, poiché se l’italiano è «uno», sotto il concetto di dialetto si pon-gono invece realtà estremamente diversificate, non soltanto sul piano diatopi-co — implica infatti un appiattimento delle condizioni di partenza e deglisviluppi dei processi storico-linguistici, mentre invece proprio i tempi e lemodalità diverse di italianizzazione delle singole regioni dovrebbero suggerire

    l’esigenza di verificare, tra le altre concause, la capacità reattiva di dialettalità variamente collocate dal punto di vista diastratico, da quello percettivo, da quello della funzionalità come strumento di comunicazione non meno che di(auto)riconoscimento: è evidente che la storia linguistica regionale del Pie-monte è diversa da quella dell’Abruzzo, ad esempio, non solo per le modalità diverse dell’interrelazione tra fattori idiomatici e realtà socio-economica: que-

    1. Francesco BRUNI

    (a cura di), L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali ,Torino: UTET, 1992, col successivo volume dello stesso Francesco BRUNI (a cura di), L’i-taliano nelle regioni. Testi e documenti , Torino: UTET, 1994.

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    st’ultima ha variamente condizionato, prima e contemporaneamente alle moda-lità di assunzione dell’italiano, il prestigio del piemontese e dell’abruzzese.

    Non tutte le varietà regionali italiane — a prescindere dalla maggiore ominore distanza tipologica dallo standard — si collocano quindi sullo stessopiano e si mostrano dotate di analogo prestigio; inoltre, fatto non meno signi-ficativo, non tutte le varietà dialettali italiane entrano storicamente in gioconella «costruzione» di una identità culturale di lunga durata, tale da disegnarel’ipotesi di una appartenenza che si configuri almeno in parte come «altra»rispetto all’orizzonte nazionale: quando ciò avviene, la lettura della storia lin-guistica regionale propone variabili importanti, e suggerisce la possibilità di una prospettiva di lettura diversa rispetto a quella che si propone semplicemente diricostruire i processi di affermazione dell’italiano nella regione in questione.

     Alla storia linguistica della Liguria e alla storia del genovese ho dedicato da alcuni anni a questa parte una serie di contributi, sia visioni d’insieme cheapprofondimenti di singoli aspetti: l’esemplarità e al tempo stesso la tipicità del caso meritavano di essere messi nella giusta evidenza anche in prospettiva metodologica, per fare emergere non tanto la presunzione di un’originalità,quanto la possibilità, a partire da uno specifico esempio, di fornire chiavi dilettura valide anche per altre realtà regionali, in modo da suggerire un’inter-

    pretazione storico-linguistica spostata sulle differenti storie delle lingue locali. Ilquadro d’insieme che emerge da questo tentativo è abbastanza indicativo, infat-ti, delle prospettive di lettura e di interpretazione che si aprono grazie al rove-sciamento del punto di vista, che si ottiene riformulando i termini del confrontolinguistico tra italiano e genovese (veneto, piemontese , siciliano…) invece che tra italiano e dialetto in Liguria . All’interno poi di questa prospettiva, la storia della «costruzione» di una immagine del genovese, a sua volta intimamente legata alla «costruzione» di una determinata immagine della genovesità, è l’aspetto

    che meglio determina le modalità del rapporto con l’italiano, attribuendo con-tinuità e coerenza a un disegno storico che, lungi dall’essere radicalmente oppo-sto a quello tradizionale sulle modalità dell’italianizzazione linguistica della regione, ne offre nondimeno una lettura profondamente originale.

    Il sunto che offro in questa sede — col costante riferimento, per eventua-li approfondimenti e ulteriori rimandi bibliografici, ai saggi e ai contributi neiquali ha trovato via via sistemazione la ricostruzione storica promossa — è unprimo tentativo di sintesi organica, ed ha principalmente lo scopo di fare emer-

    gere per induzione alcune implicazioni generali sul problema «storico», nonmeno che attuale, del policentrismo culturale italiano, e sull’esigenza di una rinnovata attenzione nei confronti di esso.

    Già la tradizione linguistica medievale genovese e ligure prefigura le con-dizioni di una specificità non meno affermata e coscientemente ribadita cheeffettivamente instaurata: essa si svolge all’insegna di un sostanziale disimpegnorispetto alle esperienze di koiné padana,2 verso le quali le convergenze si veri-

    2. Sintesi della storia linguistica regionale in Fiorenzo TOSO, «Liguria», in Manlio CORTE-LAZZO, Carla M ARCATO, Nicola DE BLASI, Gianrenzo P. CLIVIO (a cura di), I dialetti ita-

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    ficheranno solo in maniera episodica e tardiva. Dante, accreditando attraver-so la sua visione geolinguistica un netto distacco del volgare ligure rispetto alcontesto settentrionale, sembra cogliere il rapporto che Genova instaura auto-nomamente verso l’area galloromanza da un lato e verso quella toscana dal-l’altro, all’intersezione di correnti culturali e linguistiche che, dopo l’instaurazionedi un’autonoma tradizione letteraria con l’Anonimo Genovese, alla fine delDuecento, attraverso i volgarizzamenti trecenteschi inseriscono la città in unmeccanismo di assunzione e ridistribuzione di testi variamente marcati, perquanto attiene alla loro fruizione, sull’asse diastratico.

    La percezione di questa specificità linguistica è chiara nel poeta duecentescoper il quale «lo nostro latin volgar» (156, 15) è fondamentale strumento difissazione e promozione dell’ideologia comunale elaborata da Iacopo da Vara-gine nel suo manuale di politica cittadina, la Chronica civitatis Ianuensis . La traduzione «in lingua nostra»3 di testi provenzali di devozione non denuncia del resto un’adesione neppure formale alla tradizione occitanica, con la qualerestano palesi, quando denuncia «[…] le vanitae / e le canzon chi son trovae/ chi parlan de van amor / e de bexicii con error» (144, 189-192) le incol-mabili distanze culturali già evidenziate del resto, e trasferite a livello parodi-stico, da Rambaut de Vaqueiras nel suo contrasto bilingue. Rafforzato

    nell’affermazione come lingua commerciale e diplomatica, nel corso del Tre-cento il volgare genovese aspira decisamente a mantenere e potenziare le pre-rogative di autonoma grammaticalità conseguite con l’opera del poeta duecentesco, sebbene sia sempre più chiara l’apertura culturale verso l’area centro-italiana: l’esigenza stessa di «tradurre» testi di devozione provenientidall’area toscana è il sintomo più evidente di un mancato raccordo sul pianolinguistico. Alla metà del secolo, i frammenti di una grammatica volgare e diun glossario testimoniano l’esigenza di una fissazione che faccia fronte, alme-

    no in prospettiva didattica, al degrado di una «relativa compattezza» e all’af-fermarsi «di tradizioni grafiche diverse e spesso contrastanti, in una seriepressoché infinita di episodi individuali, dove i diversi ingredienti culturalipossono entrare in combinazione in maniera estremamente varia».4 È l’epo-ca del resto in cui le prime riflessioni metalinguistiche sul volgare fanno capo-lino nelle rielaborazioni di palinsesti latini, francesi, catalani e toscani ad opera di autori locali: per Girolamo da Bavari, ad esempio, che scrive «per comu-

    liani. Storia struttura uso, Torino: UTET, 2002, p. 196-225. Sulle origini del volgare e ilperiodo medievale: Fiorenzo TOSO, Storia linguistica della Liguria, I. Dalle origini al 1528 ,Recco: Le Mani, 1995. Per la storia della letteratura in genovese: Fiorenzo TOSO, La lette-ratura in genovese. Ottocento anni di storia, arte, cultura e lingua in Liguria , Recco: Le Mani,1999-2001.

    3. Per la traduzione di testi giullareschi provenzali a carattere devoto da parte dell’Anonimo siveda Aurelio R ONCAGLIA , «De quibusdam provincialibus translatis in lingua nostra», in AA.VV., Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, Roma: Bulzoni, 1985, vol.II, p. 1-36; Paola A LLEGRETTI, «Modelli provenzali dell’Anonimo Genovese», Medioevo

    romanzo, n. 22, 3, 1998, p. 3-15.4. Gianfranco FOLENA , «Nota linguistica», in C ASSIANO DA L ANGASCO e Paolo R OTONDI, La consortìa deli foresteri a Genova , Genova: Sigla Effe, 1957, p. 101.

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    na hutilitae de li homi e de le femene cossí como de quilli chi sam letera comode quilli chi no la sam», è evidente la difficoltà di trasferire in genovese il mes-saggio originario, in quanto «queste vertue no pò miga bem l’omo in romamsí propriamenti anomar, como l’entendimento de questa parola lo dixe inlatim».5 A sua volta, l’anonimo volgarizzatore della Cronaca di Martin Polo-no esplicita le proprie istanze puristiche in un brano che contiene tra l’altro la prima attestazione del glottonimo genovese : le storie sono infatti tradotte «deprofunda gramayga in jairo vorgà çenoeyse (chiaro volgare genovese ), et nosença grandissima breyga. Et se per aventura in tuta questa opera […] se ge tro-vasse arcuny vocaboli gasmureschi (stranieri ), prego che alo scritor e alo tran-slataor sea perdonao».6

    Resta dimostrato come durante il Quattrocento i processi di adeguamen-to a una norma sopralocale, promossi da alcuni esponenti della modesta tem-perie umanistica locale, vengano deliberatamente ritardati e risultino addirittura osteggiati a livello istituzionale, nel tentativo di mantenere al genovese can-celleresco margini significativi di prestigio rispetto al volgare d’impronta set-tentrionale e allo stesso toscano.7 Il perseguimento di una via locale alla dialettalità riflessa, precocemente promosso dal più prestigioso cenacolo uma-nistico ligure attorno al 1430, si scontra così con le palesi esigenze di affer-

    mazione di una specificità linguistica che è da considerare un riflesso dellefrustrazioni politiche di una classe dirigente divisa tra una precaria gestionediretta del potere e l’appoggio tattico a signorie straniere.8

    L’esigenza di instaurare un rapporto fra identità culturale (in senso lato)e identità linguistica è tale, che nel progressivo degrado della grammaticalità locale «dai tersi nitori dell’Anonimo, da quella scripta salda e perspicua e, sidirebbe, superbamente equilibrata fra tradizione e innovazione»9 fino a unlivello di convergenza ampia verso il toscano, scandito dall’opera di autori

    come Andreolo Giustiniani Banca e Bartolomeo Falamonica Gentile, si finirà per attribuire a una lingua «italam nostram», ossia alla facies locale di un vol-gare italiano con tracce più o meno vistose di inflessione locale il ruolo di«materna lingua», come farà in particolare ai primi del Cinquecento un intel-lettuale di prestigio continentale quale Agostino Giustiniani, che scrive le

    5. Girolamo da Bavari, vissuto nella prima metà del Trecento è da considerare l’autore, e nonil semplice volgarizzatore, di un Tratao de li VII  peccai mortali e di un Libro de la misera 

    humanna cundiciom editi da Claudio M ARCHIORI, Antichi volgarizzamenti genovesi da SanGerolamo, Genova: Tilgher, 1989, che qui si riprende da vol. I, p.175.6. Cfr. Anna CORNAGLIOTTI, «Una storia biblica in antico genovese: preliminari per una edi-

    zione», in AA.VV., Miscellanea di studi offerti a Giuliano Gasca Queirazza , Alessandria: Edi-zioni dell’Orso, 1988, p. 181-216.

    7. Su questo tema, cfr. in particolare Fiorenzo TOSO, «Per una storia del volgare a Genova tra Quattro e Cinquecento», Verbum. Analecta neolatina , n. 5, 1, 2003, p. 167-201.

    8. Sulle posizioni linguistiche dei primi umanisti genovesi cfr. Fiorenzo TOSO, «Il volgare a Genova tra Umanesimo e Rinascimento: inflessione locale e modelli soprarregionali da 

    Iacopo Bracelli a Paolo Foglietta», La parola del testo, n. 4, 1, 2000, p. 95-129.9. Marzio PORRO, in Dialogo de Sam Gregorio composito in vorgà , Firenze: Accademia della Crusca, 1979.

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    32 Quaderns d’Italià 8/9, 2003/2004 Fiorenzo Toso

    sue opere «non curandomi punto essere reputato toscano, sendo nato Geno-vese».10

    La posizione del Giustiniani, sostenitore dell’ibridismo linguistico di impron-ta quattrocentesca, si scontra ben presto con più motivate istanze di norma-lizzazione, che sono il riflesso locale dell’affermazione della teoria linguistica rinascimentale e di una Questione della lingua che si sviluppa a livello conti-nentale. Le riforme istituzionali imposte da Andrea Doria nel 1528 suggeri-scono esigenze nuove di rappresentazione simbolica dell’originale esperienza politico-istituzionale genovese, attraverso la ricerca di elementi in grado dimotivarle e di dar loro legittimazione nel quadro politico-istituzionale euro-peo.11 Nasce allora una retorica destinata a condizionare nel tempo l’immagi-ne stessa di Genova e dei Genovesi, che recupera da un lato, aggiornandolo,il concetto varaginiano della «perfezione» dell’esperienza politica locale, insi-stendo dall’altro sul concetto di elaborazione, a partire da condizioni ambien-tali, geografiche, socioeconomiche proibitive, di un «sistema» genovese, di una «morada de vida» fortemente marcata dalla propria peculiarità. È naturale allo-ra che tali esigenze di autocelebrazione si incontrino con quelle legate alla ricer-ca di una norma linguistica che, ripudiando le esperienze tardo-quattrocenteschedi volgare regionale, punti a una doppia depurazione del materiale idiomatico

    disponibile: in prospettiva soprarregionale, con la difesa del latino e l’adesionea un italiano sprovincializzato e ricondotto al modello bembiano; in prospet-tiva interna, attraverso la promozione di un genovese a sua volta ricondotto a una purezza che eluda la convergenza verso una lingua che è ormai sentita come nettamente «altra».

    Le motivazioni ideologiche sottese alla promozione del genovese sono quin-di decisamente più complesse del meccanico affermarsi di una percezione «rifles-sa» della dialettalità:12 esse hanno origine in un progetto complessivo di

    ridiscussione del ruolo politico della classe dirigente, nella ricollocazione della Repubblica all’interno del sistema spagnolo, nell’affermazione della «union» e

    10. La definizione di lingua «italam nostram» «nostro peculiare volgare italico» ricorre nella traduzione di un documento ufficiale francese del 1499 ad opera di Stefano Bracelli figliodi Iacopo. Per la posizione del Giustiniani e la sua definizione di «materna lingua» cfr. Fio-renzo TOSO, Il volgare a Genova …, cit ., da cui è tratta anche la citazione dai Castigatissimi  Annali della Repubblica di Genova (da p. 120).

    11. Per un commento sulle problematiche istituzionali legate alla riforma costituzionale del1528 cfr. in particolare Claudio COSTANTINI, La Repubblica di Genova , Torino: UTET,1986; per la storia linguistica di Genova e della Liguria nel Cinquecento, Fiorenzo TOSO,«Un modello di plurilinguismo urbano rinascimentale. Presupposti ideologici e risvolti cul-turali delle polemiche linguistiche nella Genova cinquecentesca», in corso di stampa in Atti del Convegno di Studi «Le città plurilingui» (Udine 2002).

    12. Per la critica al