Crowdfunding per gli Enti Locali. Un nuovo strumento di fundraising
-
Upload
francesco-pirri -
Category
Documents
-
view
6.315 -
download
0
description
Transcript of Crowdfunding per gli Enti Locali. Un nuovo strumento di fundraising
5
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA
FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in
Scienze della comunicazione pubblica e sociale
TITOLO DELLA TESI
Crowdfunding per gli enti locali:
un nuovo metodo di fundraising
Tesi di laurea in
Comunicazione delle istituzioni pubbliche
Relatore Prof.: Roberto Grandi
Correlatore: Michele D'alena
Presentata da: Francesco Pirri
Seconda Sessione
Anno accademico
2010/2011
6
Indice 6
Introduzione 9
Capitolo 1. La Rivoluzione copernicana della Pubblica
Amministrazione: i principi di trasparenza, partecipazione,
sussidiarietà e comunicazione.
1.1 Come è cambiata la Pubblica Amministrazione dalle riforme
degli anni novanta. 12
1.2. Trasparenza come principio. 15
1.3. Il diritto di informazione passiva e riflessiva. 17
1.4. La partecipazione 21
1.5. La sussidiarietà orizzontale 26
1.6. La comunicazione pubblica 32
1.7. Le tecnologie della comunicazione a servizio della PA 48
Capitolo 2. Come il web 2.0 sta trasformando l'interazione tra
amministrazione e amministrato e quali sono i
vantaggi/svantaggi connessi.
2.1 Pubblica amministrazione e web 2.0 53
2.2 Il prosumer 56
2.3 I social media 59
2.4 I benefici portati dai social media alle organizzazioni
complesse 63
2.5 Il futuro del web: il mobile 70
2.6 Chi dovrebbe occuparsi della gestione dei social media? 76
7
2.7 Il punto di vista dei cittadini 78
2.8 Come una maggiore partecipazione dei cittadini potrebbe
aiutare il fundraising degli enti locali 80
Capitolo 3 Gli strumenti di fundraising degli enti Locali: perché
è necessario utilizzarli e con quali modalità si usano
3.1 Costi delle politiche sociali 89
3.2 La decurtazione della spesa pubblica e i “tagli”
sugli Enti Locali: Le leggi Finanziarie 2010 e 201 92
3.3 Imprese e fundraising 98
3.4 La sponsorizzazione 100
3.5 Il cause related marketing 105
3.6 Le donazioni 114
Capitolo 4. E-philantropy: il presente della donazione
4.1 Il fundraisng on line 127
4.2 Gli strumenti di fundraising usati nel web “statico” 130
4.3 La posta elettronica 132
4.4 L’importanza del motore di ricerca 134
4.5 Gli sms solidali 140
4.6 I QR code 142
4.7 Il Paypal mobile 144
4.8 Il fundraising fatto con i social media 145
4.9 I multi-user virtual environment: i mondi virtuali 151
4.10 I social game 153
4.11 Analisi e verifica delle campagne di fundraising on line 155
4.12 Scenari futuri 159
8
Capitolo 5 Il crowdfunding per la Pubblica Amministrazione
5.1 Cos'è il crowdfunding: casi studio 161
5.2 Crowdfunding e cultura : un binomio più che possibile 175
5.3 Previsioni future delle donazioni on line 184
5.4 Come potrebbe essere utilizzato il crowdfunding
dagli Enti Locali 186
5.5 Quale ufficio comunale dovrebbe occuparsi delle
campagne di crowdfunding? 189
5.6 Crowdfunding, PA e sussidiarietà 192
5.7 Conclusioni 196
Bibliografia 200
Webgrafia 202
9
Introduzione
Il motivo che mi ha portato ha scrivere una tesi su un nuovo
strumento di fundraising per la pubblica amministrazione
italiana (PA) è stato il disinteresse mostrato dal governo
italiano nei confronti di ambiti come quello artistico/culturale,
dell’istruzione e dei servizi sociali. Per disinteresse intendo il
taglio dei finanziamenti che gli Enti Locali (ma anche altri enti
pubblici) percepivano per tutelare il proprio patrimonio
culturale e sociale.
Dal momento in cui la mancanza di fondi è il problema
principale, l’unica soluzione per continuare a garantire la
“sopravvivenza” degli ambiti in questione è reperire fondi
extra da canali non pubblici, quindi dai privati. Al momento gli
strumenti di fundraising usati dagli Enti Locali sono la
sponsorizzazione, il cause related marketing e la donazione
pura; ma per vari motivi, solitamente, l’unico strumento usato
dai Comuni per avere un risparmio di spesa è la
sponsorizzazione. A queste metodologie di raccolta fondi io,
nel corso del mio lavoro, ne proporrò una nuova: il
crowdfunding. Si tratta di un nuovo fenomeno nato in seno
alle dinamiche del web 2.0 (in particolare dell’interattività e
dalla partecipazione virtuale), che prevede la raccolta di
micro-donazioni attraverso i social media per finanziare i
progetti proposti dagli utenti delle web community. Questa
nuova metodologia è stata definita da alcuni come una nuova
forma di donazione, e da altri come una nuova forma di
10
finanza collettiva, poiché lo scopo non è il solo donare soldi
per una buona causa, ma finanziare un buon progetto in
cambio di qualche “gratificazione”.
La mia tesi sostiene il fatto che il crowdfunding possa essere
usato anche dalle amministrazioni pubbliche per reperire
fondi extra da destinare a quegl’ambiti di interesse che più di
altri soffrono i “tagli” dovuti alla crisi economica. Per motivare
questa tesi ho dovuto iniziare dall’analisi dei cambiamenti
intercorsi all’interno della pubblica amministrazione italiana.
Per intenderci la famosa rivoluzione copernicana basata sui
principi di trasparenza, partecipazione, sussidiarietà e
comunicazione.
Una volta spiegato come la PA italiana sta cambiando, nel
secondo capitolo proverò a fare una panoramica generale sui
nuovi strumenti di comunicazione e informazione in nostro
possesso: i social media. Affronterò il tema dell’uso dei social
media da parte della PA italiana, evidenziandone le migliorie
e i rischi che questi strumenti possono portare all’interno degli
enti pubblici.
Nel terzo capitolo invece mi occuperò della situazione
economica in cui versano gli Enti Locali dopo le varie
finanziarie “post crisi”. Oltre a fare questa analisi, descriverò i
vari metodi di fundraising usati attualmente dai Comuni,
cercando di capire quali possono essere i relativi limiti.
Dopo di che la mia analisi virerà sul futuro del fundrasing,
cioè la e-filantropy. In sostanza analizzerò le nuove modalità
di raccolta fondi usate soprattutto dalle organizzazioni no
profit statunitensi. In particolare dimostrerò come sia possibile
11
usare il web 2.0, le apps degli smartphone e le altre nuove
tecnologie a fine filantropico.
In fine, alla luce di tutta la disamina, concluderò il mio lavoro
proponendo il crowdfunding come metodo ulteriore di
fundraising per gli Enti Locali. Nel mio piccolo, proverò a
immaginare una modalità di uso di questo strumento “cucita”
intorno alle necessità della “nuova” amministrazione italiana.
Quindi pensata come una struttura leggera che possa essere
affidata ad una associazione no profit in modo sussidiario.
Come si capirà leggendo l’elaborato, il crowdfunding non può
essere una soluzione definitiva alla crisi economica degli Enti
Locali, ma di certo potrebbe aiutarli a reperire qualche fondo
in più, e inoltre potrebbe aiutare il Comune a intensificare il
rapporto “da pari” con i propri amministrati.
Detto questo non resta che iniziare ad argomentare la mia
tesi.
12
1. La Rivoluzione copernicana della Pubblica Amministrazione: i principi di trasparenza, partecipazione, sussidiarietà e comunicazione.
1.1 Come è cambiata la Pubblica Amministrazione dalle
riforme degli anni novanta
In Italia gli anni ’90 sono stati caratterizzati da un momento
di grande crisi politica e istituzionale che ha finito per
coinvolgere anche la pubblica amministrazione (da ora in poi
PA). La grande produzione normativa avvenuta nell’ultimo
decennio del secolo appena trascorso è stata segnata da una
grande coerenza che la lega ad un filo comune, quello di
avvicinare la PA alla società civile attraverso il decentramento
di molte funzioni dallo Stato agli Enti Locali; e riformare tutta
la PA su criteri di: efficienza, cioè competenza e prontezza
nell’assolvere le proprie mansioni; efficacia, cioè la capacità
di produrre l’effetto voluto; economicità e trasparenza.
In sostanza la PA inizia ad aprirsi alla partecipazione e alla
valutazione dei cittadini, i veri depositari del potere. Il diritto di
accesso diventa un principio generale dell’attività
amministrativa finalizzato a favorire la partecipazione dei
cittadini, l’imparzialità, la semplificazione e la trasparenza
dell’azione amministrativa. La leale cooperazione fra soggetti
pubblici e privati diventa prioritaria e quindi il rapporto fra
dipendenti della PA e cittadini cambia radicalmente. Con il
13
Decreto legislativo 29/93 formulato da Massimo D'antona1
Volendo fissare un punto d'inizio, la grande riforma della
Pubblica Amministrazione - da alcuni definita copernicana -
parte con la L. 8 giugno 1990 n°142 sulle Autonomie Locali
il
ruolo della politica nel procedimento amministrativo viene
ridimensionato; i politici mantengono i poteri decisionali
iniziali ma non possono più interferire nell’esecuzione dei
provvedimenti. Il Dirigente amministrativo diventa il
responsabile ultimo dell’attività amministrativa ed il gestore
del budget assegnatogli. La trasparenza diventa, quindi, la
base dei rapporti fra i dipendenti pubblici e gli utenti.
2
1 Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 "Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421" (Pubblicato in G. U. 6 febbraio 1993, n. 30, S.O.) 2 successivamente modificata dalla L. 265 del 3 agosto 1999
e con la L. 241 dello stesso anno sui procedimenti
amministrativi e sul diritto di accesso, che pongono l’accento
sui cittadini e sui loro diritti ad avere servizi trasparenti,
efficienti e rapidi. In queste disposizioni viene affermato per la
prima volta il principio fondamentale che la PA si regge sui
criteri di economicità, efficacia e pubblicità (Art. 1 L. 241/90).
Un altro traguardo importante si è raggiunto con
l’approvazione del D.L. del 3 febbraio 1993 n. 29, che
prevede l’introduzione dei sistemi informativi nelle PA come
strumento essenziale per accrescerne l’efficienza,
razionalizzare i costi e fornire servizi efficaci. Nel corso dello
stesso anno, il 12 febbraio 1993, viene approvato anche il
D.L. 39 che istituisce “l’Autorità per l’Informatica nella
Pubblica Amministrazione” o A.I.P.A. (art. 4), quale strumento
tecnico ed operativo per realizzare - nei tempi più rapidi -
l’introduzione delle nuove tecnologie e la conseguente
riorganizzazione della Pubblica Amministrazione. Un altro
14
passo importante per l’integrazione dei cittadini nella vita
amministrativa è rappresentato dal "Codice
dell’Amministrazione Digitale"3
Nelle prossime pagine analizzeremo nel particolare sia i
principi cardine sui quali si è sviluppato il cambiamento nella
. Nella Sezione II, titolata
“Diritti dei cittadini e delle imprese”, il Codice istituisce una
serie di diritti per i cittadini e il dovere per la PA di erogare
una serie di servizi amministrativi attraverso la tecnologia
informatica: in particolare, i cittadini potranno effettuare
pagamenti online, utilizzare la posta elettronica certificata,
valutare la qualità dei servizi erogati. Inoltre la PA
s’impegnerà per l’alfabetizzazione informatica dei cittadini e
la partecipazione democratica elettronica. In questo scenario
il web rappresenta dunque uno dei principali strumenti di
democrazia.
Comunicare in modo continuativo con i cittadini è quindi il trait
d'union dei cambiamenti normativi all'interno della PA. Infatti,
senza comunicazione obiettivi come la trasparenza, l’accesso
e la partecipazione popolare non possono essere raggiunti.
Fino alla fine degli anni ottanta la comunicazione non era
dunque ritenuta un valore strategico per l’azione
amministrativa. Volendo trovare una causa al ritardo nel
riconoscere l’importanza della comunicazione pubblica si
potrebbe indicare la mancanza di un riferimento esplicito al
diritto dei cittadini di essere informati e di informarsi. Di fatti
l'articolo 21 della Costituzione tutela esplicitamente solo la
libertà di manifestazione del pensiero, e secondo alcuni in
modo troppo approssimato e generale.
3 Adottato con d.lgs. 7/3/2005 n. 82 e integrato con modifiche con d.lgs. 4/4/2006 n. 159
15
PA, sia l'evoluzione della comunicazione pubblica da non
necessaria a indispensabile.
1.2 Trasparenza come principio
Mentre il termine trasparenza è, come noto, del tutto
assente dal testo costituzionale, manifestazioni di tale
principio sono in esso frequenti, e vive4
Per quanto riguarda il primo concetto va detto che i principi
costituzionali impliciti sono principi rinvenibili in Costituzione
attraverso un’opera di astrazione interpretativa di quelle
disposizioni, mirate a ricostruire il complesso di valori che ne
ha guidato la redazione e le ragioni che le stesse disposizioni
non enunciano, pur implicandone l’esistenza e la vigenza. Si
noti che questa categoria, in un ordinamento come il nostro a
Costituzione aperta sì, ma rigida, ha caratteri e limiti che non
possono essere trascurati.
.
Secondo alcune dottrine giuridiche il diritto all'informazione
passiva e riflessiva è da considerarsi all'interno del principio
costituzionale implicito della trasparenza amministrativa e
politica. Per argomentare questa ipotesi bisogna partire dalla
definizione di principio costituzionale implicito e del termine
trasparenza.
5
Per molto tempo sia la politica che la pubblica
amministrazione hanno usato la mancata esplicitazione di
4 Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione 5 Ivi.
16
questo principio come alibi per non essere trasparenti. Infatti,
secondo Donati, i principi si pongono quali norme
contraddistinte da un grado molto alto di generalità e di
astrattezza [...] (questo) In primo luogo comporta il fatto che
questi si traducano in precetti elastici, plasmabili, il cui
contenuto varia in ragione della prospettiva da cui li si
osserva o delle finalità per le quali li si evoca. In secondo
luogo implica il fatto che i principi si pongano come norme
mai esplicite. Se quanto si è appena detto è vero, allora è
altrettanto vero che tra i principi espliciti e i principi impliciti
presenti in un certo ordinamento giuridico non vi può essere
alcuna differenza logica o di valore. In questo senso, anzi,
tutti i principi sono «impliciti». Quindi la mancata
esplicitazione del principio non può essere un freno all'azione
amministrativa.
Per quanto riguarda il principio di trasparenza, possiamo
affermare – sempre con Donati - che tale principio indica “la
possibilità di vedere attraverso gli ostacoli”. Si tratta di un
concetto relazionale, che si concretizza solo nelle interazioni
che legano due o più soggetti6
In giurisprudenza ancora non si è arrivati ad una conclusione
univoca nello stabilire se la trasparenza va considerata un
fine o un mezzo dell'azione amministrativa. Per alcuni è un
valore strumentale, un mezzo e non un fine, utile al
perseguimento di valori diversi e ulteriori: in altre parole si
chiede al soggetto osservato di essere trasparente affinché
, un osservatore e un
osservato, che assumono come valore positivo condiviso
l’evidenza e la chiarezza delle azioni.
6 Questo argomento è stato ampiamente analizzato da G. Arena, da ultimo nella voce Trasparenza amministrativa, in S. Cassese (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Giuffrè, Milano, 2006, p. 5945 ss.
17
sia possibile assicurare all’osservatore il soddisfacimento di
esigenze che possono andare dal controllo democratico, alla
formazione di una opinione pubblica o personale, alla tutela
di diritti e pretese individuali e ancora (la trasparenza è)
essenzialmente un mezzo per la conoscenza, si candida ad
essere efficacissimo strumento di garanzia per le legittime
pretese delle donne e degli uomini nelle loro diverse vesti di
cittadini, di elettori, di lavoratori, di consumatori.7
Per far si che la PA sia trasparente è necessario che
quest'ultima si faccia osservare e che comunichi
all'osservatore di turno le sue intenzioni presenti e future;
La
concezione del principio di trasparenza come strumento per
la tutela di altri valori può sembrare in contrasto con quella,
oggi apprezzata e diffusa in dottrina, che considera la stessa
un obiettivo da raggiungere con vari mezzi dalla PA; in
questa seconda concezione la trasparenza è vista dunque
come un fine. Ma tale contrapposizione è in realtà soltanto
apparente. Infatti, effettuando una lettura comparata di
ambedue le posizioni, ci rendiamo conto che non solo un
integrazione è possibile, ma anzi riesce a dare un’immagine
più approfondita, articolata e compiuta del principio stesso.
La trasparenza ha infatti in sé la caratteristica di mutevolezza:
evolve continuamente in ragione del mutare delle condizioni
del contesto in cui si muove.
1.3 Il diritto di informazione passiva e riflessiva
7 Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione
18
insomma è necessario che la PA rispetti il diritto implicito dei
cittadini di essere informati. Ma, come già dimostrato, la
mancata esplicitazione del diritto d’informazione passiva e
riflessiva ha rappresentato un alibi per negare l'esistenza di
un vero e proprio dovere di attivare strutture e processi di
istituzione delle comunicazioni pubbliche.
Sembrerebbe che l'assemblea che ha redatto la carta
costituzionale italiana non abbia ritenuto necessaria
l’esplicitazione di questo diritto/dovere, come è invece
avvenuto in altri paesi usciti da regimi dittatoriali. Un esempio
esplicativo è la carta costituzionale tedesca: l’art. 5 Libertà di
espressione della Legge fondamentale per la Repubblica
Federale di Germania, entrata in vigore il 23 maggio 1949,
recita: 1. Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere
liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di
informarsi senza impedimento da fonti accessibili a tutti. Sono
garantite le libertà di stampa e d'informazione mediante la
radio e il cinema. Non si può stabilire alcuna censura. 2.
Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi
generali, nelle norme legislative concernenti la protezione
della gioventù e nel diritto al rispetto dell’onore della persona.
3. L'arte e la scienza, la ricerca e l'insegnamento sono liberi.
La libertà d'insegnamento non dispensa dalla fedeltà alla
Costituzione. Nella carta costituzionale tedesca si afferma
quindi la necessità di essere informati su quello che succede
a livello politico amministrativo propedeutica alla formazione
di una corretta opinione pubblica8
8 Questo argomento è stato trattato ampiamente da Jürgen Habermas in "Storia e critica dell'opinione pubblica" pubblicato in Italia nel 1962
.
19
Invece, l’articolo 21 della Costituzione italiana è
contraddistinto da una debolezza redazionale, e omette sia le
diverse coniugazioni della libertà di informazione in forma
attiva, passiva e riflessiva, sia qualsiasi riferimento a mezzi di
informazione diversi dalla stampa già ben presenti negli anni
in cui operarono i costituenti, come la radio9
9 Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione
. Questa
debolezza redazionale forse è stata - ed è ancora - la causa
di diverse anomalie che perpetrano nel nostro paese, prima
fra tutte il conflitto di interesse del nostro Presidente del
Consiglio. Dopo più di trent’anni di discussioni, riforme e
pronunce della Corte Costituzionale, il problema del
pluralismo informativo ancora non è stato risolto. L’immobilità
e la soffocante chiusura che caratterizzano il sistema
radiotelevisivo rischiano ora di estendersi anche alle altre
forme della comunicazione, rendendo ancor più fragile e
complesso il perseguimento del pluralismo informativo, e
quindi di fatto inconsistente il nostro diritto ad essere
informati. Queste considerazioni trovano riscontro anche
nelle disposizioni effettuate dalla Comunità Europea.
Considerando che l’attuale disciplina italiana è in netto
contrasto con le norme comunitarie relative alla
radiotelediffusione e alla concorrenza nei mercati delle reti
dei servizi di telecomunicazione elettronica, la Commissione
europea ha inviato all’Italia il 19 luglio 2006 una lettera di
messa in mora. Si è cosi avviata la procedura d'infrazione
prevista dall’art. 226 del Trattato CE a carico del nostro
paese. Un anno dopo, il 18 luglio 2007, non essendo stato
adottato dalle nostre istituzioni alcun provvedimento di
modifica, questa procedura è entrata nella seconda fase, che
20
porterà al deferimento dell’Italia davanti alla Corte di giustizia
delle Comunità europee10
10 Secondo quanto affermato dal Commissario alla Concorrenza Neelie Kroes, negli stessi giorni, tra l’altro, l'avvocatura della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha rinviato al Consiglio di Stato la decisione sul ricorso promosso da Centro Europa 7, la cui emittente Europa 7 da anni contende a Rete 4, il diritto di trasmettere su scala nazionale. La Corte Europea, secondo l'avvocato generale Poiares Meduro, ha però stabilito che «L'art. 49 CE richiede che l'assegnazione di un numero limitato di concessioni per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a favore di operatori privati si svolga in conformità a procedure di selezione trasparenti e non discriminatorie e che, inoltre, sia data piena attuazione al loro esito. I giudici nazionali devono esaminare attentamente le ragioni addotte da uno Stato membro per ritardare l'assegnazione di frequenze ad un operatore che così ha ottenuto diritti di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e, se necessario, ordinare rimedi appropriati per garantire che tali diritti non rimangano illusori
.
Il diritto all'informazione in senso attivo, passivo e riflessivo, in
una società democratica è da considerarsi fondamentale per
l’accesso alla vita pubblica; anzi dovrebbero essere
ricompresi in un nuovo diritto alla democrazia il complesso
dei diritti di informazione. Cioè il diritto di sapere come
versione dinamica del diritto ad essere informati; il diritto di
accedere alle informazioni che individualmente ci riguardano
[…]; il diritto di essere informati in maniera obiettiva, corretta
e completa; il diritto di cercare, ricevere e trasmettere
informazioni come distinto da quello di manifestare il
pensiero. Mentre nei casi in cui si chiede la trasparenza dei
soggetti privati il diritto all’informazione viene inteso come un
semplice interesse, nei casi in cui la richiesta di informazione
ha come destinatario un ente pubblico è possibile individuare
in questa richiesta dei principi costituzionali come
trasparenza e partecipazione, che sono necessari e
strumentali alla realizzazione di altri principi costituzionali,
come: l'inviolabilità dei diritti; la democrazia; l'uguaglianza
formale e sostanziale dei cittadini; la partecipazione alla vita
democratica, sia attraverso l'esercizio del voto sia attraverso
un concorso effettivo all'organizzazione politica, economica e
sociale del paese.
21
1.4 La partecipazione
Come detto la rivoluzione copernicana della PA poggia
non solo sul valore strategico della comunicazione e
sull'importanza della trasparenza, ma anche sull'inclusione
dei cittadini nei processi decisionali pubblici. Di fatti anche la
“partecipazione” sta diventando sempre più una scelta
strategica della PA.
Quando si parla di partecipazione spesso si parla di pratiche
partecipative11, cioè di manifestazioni autonome e azioni
concrete messe in atto in contesti locali da singoli cittadini o
cittadini associati o dalla PA stessa. La conferma che si tratti
di pratiche e non di istituti normativi, è data anche dal fatto
che gli apporti partecipativi dei cittadini nei confronti della PA
sono stati rilevati prima dalle scienze socio-politiche e solo
successivamente dalla dottrina giuridica. Lo sforzo della
dottrina giuridica altro non è stato che lo sforzo di astrarre dei
principi generali comuni a tutte le pratiche partecipative, in
modo da poter regolamentare il fenomeno.12
Iniziamo col dire che queste pratiche non sono di certo un
fenomeno recente, ma costituiscono anzi una pietra miliare
del modello democratico. La redazione dell'articolo 3 della
Costituzione
13
11 L’espressione, volutamente generica è ricorrente in L. Bobbio, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia 12 Daniele Donati, La partecipazione come categoria identità e rappresentanza. Ruolo e contraddizioni delle nuove forme associative
, attraverso la rimozione degli "ostacoli di
13 Art. 3 Cost: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della
22
ordine economico e sociale" affida alla Repubblica il dovere
di perseguire una piena libertà ed eguaglianza dei cittadini
affinché ci siano i presupposti per una "effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica
economica e sociale del paese". Nel campo del diritto
pubblico la partecipazione si delinea quindi come un
contributo individuale o plurale, associato a un processo
decisionale rispetto a scelte di pubblico interesse. In senso
generale, la partecipazione si presenta come una vera e
propria fase del processo democratico, e si colloca in
successione al momento della trasparenza e
dell'informazione. Dal punto di vista dei singoli essa consiste
nel dare, in base alle proprie capacità, un contributo
responsabile alla formazione e alla guida delle attività
esercitate dal gruppo d'appartenenza14
Si può parlare di fenomeni informali, quando la pratica
partecipativa si manifesta come un aiuto a rafforzare il
. Questo naturalmente
non significa che la partecipazione deve necessariamente
manifestarsi in senso adesivo e quindi convogliare le proprie
aspirazioni nel calderone dell'omologazione; significa
piuttosto aggregare e non integrare le individualità, e quindi
costruire dei luoghi in cui ogni idea trova ascolto. Perché
sono proprio il dissenso e la diversità la ragion d'essere della
partecipazione e della democrazia.
Facendo un’ipotetica classificazione di queste pratiche
partecipative, possiamo individuare due classi: i fenomeni
informali e i fenomeni formali.
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese 14 Daniele Donati, La partecipazione come categoria identità e rappresentanza. Ruolo e contraddizioni delle nuove forme associative
23
legame fra istituzioni e cittadini, per ricercare nuove forme di
connessione e di collaborazione. In altre parole si tratta di un
esercizio costante di avvicinamento e conoscenza, di ascolto
e di risposte, che spesso si attiva a livello locale.
Si può parlare di fenomeni formali invece, quando
l'ordinamento legislativo si è accorto della presenza di
connessioni fra i cittadini e gli organi del potere, e regola le
fasi, le modalità, i tempi del relativo procedimento e ne
definisce gli effetti.
E’ allora possibile distinguere le pratiche partecipative dagli
istituti della partecipazione, notando che le prime spesso si
evolvono nelle seconde. Più ci si avvicina al livello locale, più
la partecipazione dei cittadini aumenta, dando l’impressione
che è proprio a livello locale che la partecipazione viene in
essere. Per dirla con Rodotà, sono i piccoli gruppi e le
comunità locali "il luogo ideale per ricostruire o per realizzare
effettivamente una democrazia fondata su un faccia a faccia
tra cittadini"15
15 Stefano Rodotà, Tecnopolitica
.
Quindi i principi di decentramento e sussidiarietà possono
essere letti – e meglio compresi - nella prospettiva di un
maggior coinvolgimento dei cittadini alle decisioni della PA. In
questa ottica possiamo anche leggere l'abbandono
progressivo della concezione di omogeneità del tessuto
amministrativo nazionale. La partecipazione dei cittadini
serve dunque anche a far adattare la PA al contesto sociale e
territoriale in cui opera.
24
Chiarita la ragion d’essere della partecipazione, di seguito
capiamo come i cittadini partecipano realmente all'attività
amministrativa. Come già detto in precedenza, la PA oggi ha
perso il suo fare autoritativo e si presenta alle contrattazioni
come primo tra pari. La PA è un portatore di interessi,
concepiti come pubblici, che vengono sottoposti a discussioni
con privati che hanno interessi coinvolti. I soggetti privati
possono partecipare singolarmente o in forma associata, e
possono inserirsi nel discorso in momenti diversi e con forme
e capacità diverse. Nell'ordinamento giuridico c'è un’assoluta
assenza di indicazioni unitarie in materia di partecipazione,
causata oltre che dall'inafferrabilità dell'oggetto in questione
anche dal fatto che siamo di fronte ad un ambito rimesso in
gran parte all'autonomia dei privati.
Ma un autorevole giurista16 ha provato a dividere le pratiche
partecipative in base alle finalità che si vogliono raggiungere.
Si distinguono in tal modo: casi in cui la partecipazione dei
privati mira esclusivamente a migliorare il patrimonio
informativo della PA; casi in cui la partecipazione dei privati è
finalizzata alla difesa dei propri interessi nei confronti di altri
interessi pubblici o di altri privati; casi in cui la partecipazione
dei privati ambisce a decidere insieme all'amministrazione.
Donati evidenzia anche una quarta finalità, distinguendo casi
in cui la partecipazione dei privati funga da controllo e verifica
dell'operato pubblico. 17
Quindi il concetto di partecipazione inteso dalla L. 241/1990
come l'allargamento dell'istruttoria e la trasformazione del
procedimento in un’arena pubblica di discussione fra portatori
16 Cassese, Il privato e il procedimento amministrativo, in Archivio giuridico, n. 1-2, 1970 e ancora, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, Riv. Trim. Dir. Pubb., 2007, p.3-42 17 D. Donati, Il controllo dei cittadini sull’amministrazione pubblica, tra effettività giuridica e valore etico
25
di interessi per giungere ad una decisione più giusta e
condivisa, sembra essere – di fatto - superato. Oggi si
assiste, nella pratica, ad un'estensione del principio di
partecipazione verso ambiti prima impensabili e quindi non
regolamentati. Un esempio sono le attività di controllo e di
customer satisfaction svolte dai cittadini sui servizi erogati da
un ente pubblico. Ma, anche se non del tutto regolamentati,
tali processi partecipativi vengono in essere, e spesso si
traducono in una discussione fra formazioni sociali e PA
attorno al tavolo delle trattative.
Per dare soluzione ai problemi di una società complessa
quale è la nostra, è necessario che i cittadini non siano più
destinatari passivi dell’intervento pubblico
dell’amministrazione ma, piuttosto, che sia ritenuta una
risorsa strategica la loro partecipazione alle scelte pubbliche.
Sul terreno dei processi decisionali inclusivi, tuttavia, le
amministrazioni vanno spesso incontro a grandi difficoltà
poiché si imbattono in ostacoli non previsti, in conflitti inattesi,
in incomprensioni ed equivoci18
18 L. Bobbio, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia
. Come dice Bobbio, in
assenza di un quadro normativo di riferimento, le pratiche
partecipative hanno delle controindicazioni. Se è vero che gli
attori territoriali non sono posti di fronte ad una scelta, bensì
di fronte ad un problema, è vero anche che c'è una difficoltà
di controllo del processo di risoluzione da parte della PA, che
comporta rischi economici e tempi lunghi per deliberare, oltre
alla possibilità che si aprano conflitti e poteri di veto. Per
questi motivi spesso l’amministrazione tende a comportarsi
come un partner fra gli altri partner, che funge da stimolo, da
sollecitazione, da regia, da coordinamento, da mediatore
26
degli interessi in campo. Sempre per prevenire tali conflitti, è
solito da parte della PA attivare il processo partecipativo
inclusivo nelle fasi finali del processo decisionale, cioè
quando ai cittadini, in realtà, rimane ben poca discrezionalità
da usare. Inserendo la pratica partecipativa alla fine del
processo si riesce sia a ridurre i costi di transazione, sia a
tenere sotto controllo i tempi della progettazione, sia a
favorire l’uso di razionalità tecnico-scientifiche. Quanto detto
non significa che le pratiche partecipative siano da evitare,
anzi, vuole rimarcare la necessità di intervento del legislatore
a precisare e regolamentare ulteriormente queste pratiche,
dando loro una stabilità normativa e organizzativa su cui
poggiare. Solo cosi sarà possibile inserire i cittadini fin dalle
fasi iniziali del procedimento, a monte e non a valle del
processo decisionale.
1.5 La sussidiarietà orizzontale
Uno degli istituti della partecipazione è sicuramente la
sussidiarietà orizzontale, cioè la presa in carico da parte dei
cittadini di attività che prima erano svolte unicamente dalla
PA.
Fino agli inizi degli anni novanta, l'agire della PA riguardo alla
presa in carico di attività e di servizi ruotava intorno a tre
assunti di carattere panpubblicistico, smentiti col passare del
tempo:
• Ciò che è di interesse generale è di interesse pubblico.
27
• Ciò che è di interesse pubblico è dello Stato;
• Lo Stato provvede a ciò che è di interesse pubblico con
apparati pubblici.
Il terzo assunto prevedeva che ciò che è di pertinenza
pubblica dovesse essere regolamentato tramite il diritto
amministrativo. Ma nel corso degli anni c'è stato un
ripensamento a riguardo; si pensi alla già citata stagione delle
riforme del 1991, quando attraverso le privatizzazioni formali
si inizia a favorire il diritto privato rispetto a quello
amministrativo. Già con la legge 241/199019
Il secondo assunto prevedeva che il potere amministrativo
fosse diretta emanazione dello Stato. Quindi era lo Stato
centrale che provvedeva ai bisogni locali, tant'è vero che
l'idea di omogeneità del tessuto locale si rifletteva anche negli
articoli della Costituzione 114, 118 e 128. Ma anche questa
idea di omogeneità è poi caduta. Negli anni '70 con le prime
elezioni dei consigli regionali a statuto ordinario, l'impianto
amministrativo viene rivisto nell'intento di includere nel
processo decisionale anche le realtà regionali. Ma il punto di
rottura con la concezione di stato centrale e di omogeneità
amministrativa si ha definitivamente con la L. 142/1990. In
particolare all’art. 3 si dotano le regioni della possibilità di
intervenire nell'organizzazione delle funzioni locali e di farlo in
modo selettivo calibrando “gli interessi comunali e provinciali
in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del
sul procedimento
amministrativo si ammetteva una reciproca interferenza del
diritto amministrativo e del diritto privato. Insomma si
ripensava al fare autoritativo della PA.
19 Integrata successivamente dalla Legge 24 febbraio 2005, n. 25
28
territorio”. All'art. 9 invece si riconoscono al Comune “tutte le
funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il
territorio comunale, precipuamente nei servizi sociali e
nell'asseto del territorio per lo sviluppo economico”. Con
questa legge si da quindi inizio al decentramento
amministrativo che culminerà con l'approvazione della
Riforma costituzionale del 2001.
Ma quello che riguarda di più la partecipazione civica intesa
come istituto della democrazia, è il primo assunto: “ciò che è
di interesse generale è di interesse pubblico”. Implicitamente
si afferma che non ci può essere un interesse rilevante per la
società senza che questo sia occupato dal potere politico-
amministrativo. Questo assunto trova le sue radici nella teoria
fascista, incline alla statalizzazione di tutte le attività di
interesse generale. Tale concezione di Stato è rimasta in
auge fino all’affermazione del concetto di sussidiarietà
orizzontale.
La prima formulazione di sussidiarietà si rintraccia nella L.
59/1997, nella quale non solo si rivolge una particolare
attenzione al livello locale, ma vi è anche un’inedita
considerazione dei cittadini come soggetti che vogliono e
possono essere parte in attività di interesse generale, finora
monopolio della PA. In questa legge il principio di
sussidiarietà è il primo tra i principi fondamentali attraverso i
quali si dovranno conferire le funzioni e i compiti alle
amministrazioni20
20 "Legge 15 marzo 1997, n. 59" art 4 comma 3: Il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di
.
29
L'idea di restituire ai cittadini la libertà di assumersi la
responsabilità di tutto ciò che riguarda l'interesse della
comunità, è un idea antica del pensiero giuridico. Benvenuti
ipotizza una “demarchia” in cui si passa da libertà garantita a
libertà attiva. In questo modello, il cittadino non demanda più
ad altri la soddisfazione dei propri bisogni, ma si impegna
direttamente, decide e sceglie collaborando con il potere
pubblico21
Una seconda formulazione di tale principio è data nella L.
265/1999
.
22
funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati 21 Di fatti nelle leggi prima citate si invoca non solo la maggiore prossimità o vicinanza della PA ai cittadini, ma anche ove è possibile, l'immedesimarsi della PA nelle formazioni sociali. Quindi la sussidiarietà va intesa come prossimità, e non c'è ambito più vicino ai cittadini che i cittadini stessi 22 Questa legge sostituisce integralmente l'art.2 della legge 142/1990, (oggi recepito dalla legge 267/2000
. Al comma 5 dell'articolo 2 si legge che “I comuni
e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle
conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il
principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le
loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere
adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei
cittadini e delle loro formazioni sociali".
La L. 328/2000 costituisce la terza formulazione del principio
in oggetto. All'articolo 5 (ruolo del terzo settore) si afferma
che Per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli
enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle risorse
disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19,
promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei
soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche
formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito ed ai
fondi dell'Unione europea.
30
Infine, nel 2001 con la Riforma costituzionale dell'articolo 118,
la sussidiarietà trova la sua formulazione definitiva. I primi
due commi descrivono una relazione (verticale) istituzionale
in cui si definisce la logica fondamentale per la suddivisione
della potestà amministrativa, e uno dei principi di riferimento
per questa suddivisione è quello della sussidiarietà. Ma è il
comma quattro ad essere il più importante ai fini della nostra
analisi: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e
Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli
e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. All'interno
del quarto comma come possiamo notare vi sono tre precise
coordinate strutturali relative al concetto di sussidiarietà.
• I soggetti della relazione: da una parte le istituzioni
territoriali, dall'altra i cittadini singoli e associati.
• L'oggetto della relazione: cioè lo svolgimento di attività di
carattere generale.
• Il principio che regola la relazione: cioè la sussidiarietà.
La norma del quarto comma prescrive quindi sia che
l'amministrazione deve attivarsi affinché il principio si affermi,
sia che l'iniziativa dei cittadini sia autonoma e riferita ad
attività di interesse generale.
Parte della dottrina giuridica interpreta tale norma secondo la
sua accezione negativa, cioè la PA deve astenersi da ogni
intervento sostitutivo nei confronti dei soggetti privati che
dimostrino di avere capacità di svolgere le attività che hanno
preso o possono prendere in carico.
31
Nella norma si legge inoltre che gli enti amministrativi
favoriscono l’autonoma iniziativa; se s’intende il termine
“favoriscono” nel senso di dover favorire, quello di favorire è
dunque un vincolo costituzionale e non un obiettivo possibile.
Ciò implica il dovere per lo Stato e per tutti gli enti pubblici di
adottare tutte le misure sia organizzative che di azione
necessarie a rendere possibile per i cittadini lo svolgimento di
attività di interesse generale.
Per quanto riguarda l'espressione cittadini singoli e associati
pare che la norma voglia mettere in risalto il tratto
dell'appartenenza delle persone a un sistema istituzionale,
sociale ed economico, e quindi il loro dovere di partecipare
alla costruzione della comunità in cui vivono. La sussidiarietà
quindi dà al cittadino la possibilità di costruire e non più
delegare la cura di tutti gli interessi condivisi dalla sua
comunità. Quindi si suppone l’esistenza di una nuova
cittadinanza che collabori e comunichi costantemente con la
PA nell'intento di proseguire l'azione amministrativa in spazi
che altrimenti rimarrebbero deserti. Per cittadini associati
s’intende quindi il terzo settore, che è quel soggetto capace di
aggregare istanze rimaste inespresse non altrimenti
rappresentate. Ma il terzo settore non deve sostituire la
capacità di partecipazione del singolo, altrimenti si tratterebbe
comunque di delega.
La locuzione autonoma iniziativa usata nel testo della norma
in primo luogo sollecita l'idea che l'attività di interesse
generale da parte dei cittadini deve avvenire spontaneamente
nello spirito della solidarietà sociale, quindi nega la possibilità
di qualsiasi forma di retribuzione diretta e piena.
32
Infine, la frase attività di interesse generale è quella che rileva
maggiore complessità e che ha prodotto maggiori
fraintendimenti. Si ritengono di interesse generale tutte quelle
prestazioni di beni e di servizi che sono mosse da uno spirito
solidale da parte del soggetto erogatore, capaci di rispondere
ai bisogni socialmente ed economicamente rilevanti,
individualmente non raggiungibili. È questo il caso del
volontariato e di tutta l'attività guidata da spirito di solidarietà.
1.6 La comunicazione pubblica
A detta di molti, sia la qualità della partecipazione civica - e
quindi della sussidiarietà - sia la qualità della trasparenza
amministrativa, sono proporzionali alla qualità della
comunicazione pubblica che un’istituzione riesce ad
assicurare. Per partecipare ad un tavolo di contrattazione è
necessario che l'amministrazione comunichi le proprie
intenzioni ai cittadini; per essere trasparenti è necessario,
oltre alla tutela propedeutica del diritto di accesso, che
l'amministrazione comunichi sia i propri obiettivi, sia le proprie
decisioni, sia il fallimento o il successo di un'attività.
Insomma, la comunicazione pubblica assume un ruolo
strategico nella nuova concezione di PA23
La comunicazione pubblica in Italia si è sviluppata
inizialmente a livello locale, tra gli anni ’50 e ‘60, in un’ottica
propagandistica dell'amministrazione. La comunicazione
allora si risolveva nell'elogio da parte dell'addetto stampa dei
.
23 Si veda, a riguardo, l’opinione di: Grandi, La comunicazione pubblica, 2001; Rovinetti, comunicazione pubblica sapere e fare, 2006
33
successi conseguiti dall'ente. Solo all’inizio degli anni '60,
quando l'ambito di azione comunale viene ampliato
(istruzione, urbanistica, economia, sicurezza sociale), gli uffici
stampa hanno iniziato a svolgere una funzione di formazione
e informazione; l'ufficio stampa è così diventato strumento di
conoscenza e mezzo capace di migliorare i rapporti fra
amministratori e amministrati. Negli anni '7024
Ma solo negli anni '80 la comunicazione locale si configura
all'interno di un processo più grande di comunicazione
pubblica, intesa come il diritto dei cittadini ad essere informati
sull'operato dell'amministrazione. Infatti in questi anni i
professionisti dell'informazione
, con l'avvio del
processo di decentramento amministrativo e con l'adozione
del concetto di partecipazione come modus operandi per
l’azione governativa, la comunicazione - almeno su carta – ha
acquistato un ruolo centrale nel realizzare concretamente il
processo partecipativo.
25
24 n questo anno vennero istituiti i consigli regionali 25 Mi riferisco alla ricerca "enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna" commissionata dalla Lega regionale delle autonomie dell'Emilia-Romagna a un gruppo di lavoro composto da Cesareo, Grandi, Silato, Wolf
, soprattutto a livello locale,
iniziano a chiedersi quanto siano efficaci i periodici editi dalle
istituzioni pubbliche, lo strumento principale usato per
informare e comunicare con l'esterno. Questi periodici si
ponevano come scopo di riempire uno spazio vuoto lasciato
colposamente vuoto dagli organi di informazione che operano
nel cosiddetto mercato e di costruire strumenti di democrazia
e partecipazione, avvicinando i cittadini alla vita
amministrativa. Ma tali strumenti si rivelano di fatto incapaci
di informare e comunicare col cittadino e quindi renderlo
realmente partecipe della vita amministrativa. Il fallimento dei
periodici è causato da una totale assenza della cultura
34
dell'informazione all'interno delle PA locali. Infatti spesso
questi periodici tendevano a diventare strumenti per fornire
una tribuna da cui parlare ad amministratori e politici locali.
Preso atto di questa deriva, i responsabili degli enti locali
chiamati a esprimersi a riguardo propongono due nuovi modi
di fare comunicazione: produrre bollettini locali, più agili e
puntuali rispetto ai periodici; e abolire le pubblicazioni dirette
degli enti locali per incanalare le informazioni sui mezzi
stampa già esistenti.
Nel frattempo in Emilia-Romagna26 iniziano anche i dibattiti
riguardo la professionalità degli addetti alla comunicazione e
l’autonomia redazionale che questi devono avere nei
confronti del potere politico-amministrativo. Dalle
considerazioni fatte e raccolte all'interno della ricerca Enti
locali e informazione nella regione Emilia-Romagna, si
definiscono gli obiettivi di quella che venne indicata come la
politica e la strategia dell'ente locale nel campo
dell'informazione: informare, informarsi, favorire la produzione
e circolazione di informazione sul territorio27
26 Rappresentava l’eccellenza italiana nel campo dell’informazione comunicazione pubblica 27 R. Grandi, Comunicazione pubblica. Teorie, casi, profili normativi
. L'informazione
dei cittadini deve essere considerata un vero e proprio
obbligo istituzionale; in nome della trasparenza i cittadini
devono essere informati puntualmente sulle motivazioni delle
decisione prese, il parere delle opposizioni. La PA deve
quindi indicare, descrivere e mettere pubblicamente in
discussione i diversi elementi che concorrono alla
formulazione delle decisioni, i problemi e le loro motivazioni.
Quindi un netto passo in avanti rispetto all'opacità
amministrativa, rispetto alla cattiva circolazione delle
informazioni e alla bassa considerazione che la trasparenza
35
aveva fino a questo momento all'interno della PA. Secondo le
considerazioni raccolte, inoltre, la PA deve prevedere gli
strumenti deputati all'ascolto dei cittadini per far si che la
possibilità che uno strumento destinato a diffondere
l'informazione dell'ente locale ai cittadini, possa anche servire
a portare informazione all'ente locale e a portare dati e
conoscenza sulla vita della comunità28. Dunque, nell’ottica di
favorire e diffondere la circolazione di informazioni sul
territorio, si inizia anche a pensare alla tecnologia, alle
possibilità e alle problematiche che l'adozione di sistemi
telematici avrebbero portato all'interno dell'ente locale29
Quindi negli anni '80, anche grazie all'interesse generale
creatosi intorno alla comunicazione e i mass media, iniziano i
primi dibattiti a livello nazionale su quale fosse il vero
obiettivo dell'ufficio stampa di un'istituzione pubblica. Si
distinguono due correnti di pensiero: la prima crede che il
.
Fino a questo momento la comunicazione sembrava non
essere un problema dello stato centrale, infatti lo scarto che
vi era fra le modalità con le quali queste problematiche erano
affrontate a livello locale e a livello nazionale deponeva
sicuramente a favore del primo livello. Ma grazie alle
discussioni e alle ricerche sull'informazione istituzionale
partite a livello amministrativo locale, alcune questioni inerenti
la comunicazione dopo poco entrano a far parte dell'agenda
politica nazionale. In particolare, si discute su quali devono
essere gli “strumenti di esternazione”, quali gli obiettivi da
conseguire, quali devono essere le professionalità dei
mediatori informativi.
28 Ibidem. 29 Mi riferisco al rapporto di Giuseppe Richeri sull’adozione da parte degli enti locali francesi di tecnologie informatiche; redatto nell'ambito della ricerca "Enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna
36
compito dell'addetto stampa si esaurisca nel fare comunicati
e soprattutto farli pubblicare; la seconda invece ritiene che i
veri destinatari dell'ufficio stampa siano i cittadini. Rovinetti,
appartenente alla seconda scuola di pensiero, traccia uno
scenario sociale mutato, caratterizzato dall'emergere di
nuove necessità e quindi di nuovi compiti all'interno di quella
che era una funzione di supporto dell'attività degli enti locali,
da realizzarsi con un'azione interna (agendo come struttura di
collegamento fra le diverse articolazioni aziendali) ed una
esterna (dando un'immagine complessiva dell'ente,
mantenendo spazi autonomi di conoscenza, aprendo nuovi
canali informativi con la società civile)30
30 Rovinetti, Comunicazione pubblica, sapere e fare
. In particolare
Rovinetti sottolinea la necessità di progettare l'informazione,
per creare un rapporto equilibrato fra cittadini,
amministrazione e mass media; di creare una nuova cultura
dell'informazione, per considerare le notizie in maniera più
critica; di veicolare un immagine coordinata dell'azienda.
Sostanzialmente ci si rende conto che la sola struttura
dell'ufficio stampa risulta insufficiente a svolgere una
comunicazione “totale” nella quale i destinatari non erano più
solo i giornalisti ma anche e soprattutto i cittadini. Proprio per
soddisfare questo nuovo bisogno nella quasi totalità degli
statuti regionali viene riconosciuto il diritto ad essere informati
e ad informarsi, e quindi gli stessi enti locali iniziano a
preoccuparsi del come attuare tale disposizione. Come prima
cosa vengono regolamentati gli uffici stampa, e in molti statuti
regionali viene previsto un finanziamento del sistema
radiotelevisivo ed editoriale locale; mentre in casi eccezionali
come quello di Bologna, si arriva ad aprire un centro di
37
informazione comunale, in cui la comunicazione era
considerata un vero e proprio servizio.
A livello nazionale uno dei primi impulsi legislativi che
riguardano - anche se marginalmente - la comunicazione
pubblica è l'emanazione della Legge 5 agosto del 1981 n.
416 (recante la disciplina per le imprese editrici e provvidenza
per l'editoria). Questa legge, approvata per ostacolare la
formazione di concentrazioni editoriali dominanti e
regolamentare l'aiuto finanziario pubblico all'industria
editoriale, prevede all'articolo 13 alcuni obblighi per le
amministrazione pubbliche in materia di comunicazione
pubblicitaria. Questo articolo decreta un doppio obbligo e un
divieto: obbliga le PA a destinare una quota dei fondi inscritti
a bilancio per la pubblicità “alla pubblicità sui giornali,
quotidiani e periodici” in una percentuale non inferiore al
70%, e a comunicare al garante per l'editoria tutte le
erogazioni pubblicitarie dei singoli esercizi finanziari anche se
negative31
I limiti della 416/81 e soprattutto la disattesa applicazione
dell'obbligo di comunicare al garante le erogazioni
, insieme al divieto di fornire qualsiasi altro
contributo ai giornali in forme diverse da quelle previste da
questo articolo. Pur avendo nobili obiettivi, la L. 416/81 mette
la PA in una condizione di subordinazione rispetto alla carta
stampata. Di fatti alla PA rimane poco potere decisionale
sulla scelta dei canali di comunicazione per veicolare la
propria campagna pubblicitaria, correndo perennemente il
rischio che queste campagne non sortissero l'effetto
desiderato. E’ un chiaro segno della mancanza di un vero
interesse del legislatore rispetto alla comunicazione pubblica.
31 Che è divenuto poi garante per la radiodiffusione ed editoria
38
pubblicitarie, inducono perciò il legislatore a promulgare
un’altra legge, la L. 67/1987 con funzioni di rinnovo e
precisazione della precedente. I punti su cui questa legge
dimostra continuità con l'altra si riferiscono sia all'obbligo di
pianificare la pubblicità sui quotidiani (però passando dal 70%
al 50%), sia all'obbligo di istituire nei bilanci un capitolo
dedicato alle spese pubblicitarie, sia al divieto di qualsiasi
altra forma di finanziamento. Le novità portate da questa
legge, invece, riguardano alcune iniziative specifiche come: la
costituzione del primo organo misto istituito dal governo per
coordinare gli interventi di comunicazione pubblicitaria
pubblica; l'obbligo per le amministrazioni interessate di
presentare entro sessanta giorni dall'approvazione del
bilancio dello Stato progetti di massima sulle campagne
pubblicitarie da fare; l'istituzione di un fondo costituito dal
20% delle somme stanziate da tutte le amministrazioni statali
nel capitolo di bilancio, da assegnare a progetti
“motivatamente prescelti”; l'obbligo per una serie ampia di PA
di pubblicare i propri bilanci su almeno due quotidiani locali di
larga diffusione, su un quotidiano nazionale e su un periodico
(in questo modo il finanziamento all'editoria era motivato da
una certa trasparenza contabile). Pur condividendo il
pensiero di Contaldo riguardo al legislatore, che ha iniziato a
guardare in un ottica più adeguata il quadro dei bisogni di
comunicazione delle istituzioni in generale”, rimane qualche
dubbio sul fatto di “evitare che la comunicazione pubblica
diventi un mezzo per garantire provvidenza alle aziende
editoriali. Infatti, anche se è vero che la percentuale di spesa
da destinare alla pubblicità sui quotidiani viene diminuita, tre
anni dopo, con la legge 223/1990 si obbligano le
amministrazioni statali e gli enti non territoriali a riservare il
39
25% della spesa pubblicitaria stanziata a bilancio alla
pubblicità sulle reti radiofoniche e televisive private che
operano sul territorio32
L'inversione di tendenza si ha negli anni '90, quando la
comunicazione pubblica cessa di essere un veicolo di
finanziamenti pubblici all'editoria e inizia a diventare
strategica per la fase di ammodernamento e apertura della
PA nei confronti dei cittadini. Come già accennato nel primo
paragrafo, questo decennio è contraddistinto da una
produzione normativa tesa a modificare il rapporto di
sudditanza dei cittadini nei confronti dell'amministrazione
pubblica. La legge 142/1991 (recante l’ordinamento delle
autonomie locali) stabilisce l'obbligo per province e comuni di
dotarsi di un proprio statuto che contempli anche il diritto
all'informazione dei cittadini e disponga le forme di accesso e
partecipazione ai procedimenti amministrativi. Questa legge
.
Inoltre anche l'obbligo della pubblicazione del bilancio sui
periodici, quotidiani locali e nazionali, in realtà non ha portato
alla trasparenza desiderata. Infatti, la PA si limita a riportare
integralmente il bilancio, senza preoccuparsi della sua
accessibilità, cioè della leggibilità e della comprensibilità del
testo. I responsabili della pubblicazione non usufruiscono
della possibilità di accompagnare il bilancio con delle note
esplicative o con una breve sintesi riassuntiva per renderlo
più comprensibile, ma si limitano ad una notarile ricezione del
provvedimento. Il fallimento della pubblicazione del bilancio
come strumento per perseguire la trasparenza si può
ascrivere alla totale assenza di una cultura della
comunicazione all'interno della maggioranza delle PA.
32 Con la L. 7 agosto 1990 n. 250, invece, le emittenti televisive vengono equiparate ai quotidiani e ai periodici
40
legittima i cittadini singoli e associati come interlocutori
paritari dell'amministrazione, degni di partecipare ad ogni
processo decisionale che li riguarda. È nel primo comma
dell'art. 6 che si può leggere il definitivo cambiamento del
rapporto fra cittadini e PA: i comuni valorizzano le libere
forme associative e promuovono organismi di partecipazione
popolare all'amministrazione locale, anche su base di
quartiere o di frazione. I rapporti di tali forme associative con
il comune sono disciplinati dallo statuto. Ancora nell'art. 6 e
nel successivo art. 7 si precisano le forme di partecipazione
dei cittadini, i quali hanno il diritto di: accedere liberamente
alle strutture, ai servizi agli atti amministrativi e
all'informazione di cui è in possesso l'amministrazione;
essere consultati dalla PA; promuovere petizioni, istanze,
proposte dirette a promuovere interventi per la migliore tutela
di interessi collettivi; promuovere referendum consultivi;
pubblicità per tutti gli atti dell'amministrazione comunale e
provinciale ad eccezione di alcuni; individuazione dei
responsabili del procedimento; chiedere informazioni sullo
stato dell'arte dei procedimenti e degli atti.
Inoltre, la L. 142/91 è la prima a parlare di separazione fra le
funzioni di indirizzo e controllo e quelle gestionali; si inizia a
parlare così della professionalità degli operatori nella PA a
livello nazionale. Infatti, con la concessione data ai comuni di
dotarsi di un proprio statuto e quindi di auto-organizzarsi, la
legge ha di fatto permesso alle amministrazioni locali di
dotarsi di modalità organizzative proprie delle aziende
private. Ma - come ben sappiamo - non è la sola legge che
realizza il cambiamento; infatti gli statuti verranno promulgati
dagli enti locali con una notevole lentezza, probabilmente
41
causata dall'effettiva mancanza di volontà da parte degli
apparati politici. Anche laddove gli amministratori si dotano di
strumenti che permettano l'accesso agli atti amministrativi e
che rendano più concreta l'istanza di partecipazione,
attraverso l’istituzione di uffici dedicati al cittadino, non si
realizza una reale innovazione; piuttosto questi proto-uffici
per la relazione con il pubblico in realtà sono solo
l'adempimento della legge.
A distanza di quasi due mesi dall'approvazione della L.
142/1991, viene promulgata e adottata un’altra legge, tesa
anch’essa a ristrutturare la PA sulla base dei principi di
efficienza, economicità, pubblicità, partecipazione: si tratta
della L. 241/1990, recante nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi. Questa legge, oltre a regolare
ulteriormente i rapporti fra cittadini e PA, ha dato maggiore
concretezza agli istituti di partecipazione e accesso previsti
dalla precedente L. 142/1990. Si propone infatti di dare
attuazione ai criteri di partecipazione attraverso disposizioni
che garantiscono: la partecipazione al procedimento
amministrativo; la trasparenza amministrativa; l'accesso ai
documenti in possesso dell'amministrazione; un limite
temporale massimo per la conclusione di un procedimento
amministrativo; l'obbligo di motivazione di un procedimento
amministrativo; il principio di consensualità.
Questa legge - definita da Gregorio Arena di rango
costituzionale, segna il passaggio da una concezione di PA
chiusa, autoreferenziale, discrezionale e opaca, ad una
concezione di PA che fa della trasparenza e della
partecipazione i suoi punti cardine.
42
Per far si che chiunque vi abbia interesse per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti possa prendere visione dei
documenti amministrativi è necessario che ci sia un ufficio
non solo preposto a questa funzione ma anche a tutte le altre
che prevedono la relazione con il cittadino. Vale a dire che
per far accedere ai documenti e far partecipare il cittadino alla
fase istruttoria del procedimento amministrativo è necessaria
la presenza di un organo che informi e guidi “l'interessato”
all'interno della selva burocratica.
Dopo i già citati primi tentativi andati a male, tra la metà del
1992 e la fine del 1994 il legislatore disegna un quadro
normativo atto a rendere effettivo lo sviluppo in materia di
informazione e partecipazione promesso dalle legge
142/1990 e 241/1990. Con il D.P.R 352/1992 all'articolo 6,
per la prima volta si sente parlare di “ufficio per le relazioni
con il pubblico”: Le singole amministrazioni valutano altresì
l'opportunità di istituire un ufficio per le relazioni con il
pubblico e comunque individuano un ufficio che fornisca tutte
le informazioni sulle modalità di esercizio del diritto di
accesso e sui relativi costi.
Quindi, si parla di opportunità e non di obbligatorietà di
istituire un Urp; solo dopo sette mesi, con il dlsg 29/1993 si
definisce in maniera ancora più precisa il riassetto
organizzativo della PA, e si rende obbligatorio l'istituzione di
un Urp. Questo decreto si pone come obiettivo il portare tutte
le amministrazioni ad un livello minimo di attuazione dei nuovi
principi amministrativi; infatti questa disposizione di legge è
destinata a tutte le amministrazioni dello stato: dagli istituti
scolastici, agli istituti autonomi, case popolari, passando per
le comunità montane. Nell’ottica di realizzare gli obiettivi di
43
economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse,
è dunque necessario che gli Urp fossero dotati di strumenti
per organizzare e svolgere sia una comunicazione interna
(per collegare e armonizzare l'attività di tutti gli uffici della
PA), sia di una comunicazione esterna per attuare il principio
di trasparenza amministrativa in funzione dell'esigenza
dell'utente. Finalmente si è compreso il valore della
comunicazione pubblica, che non può essere considerata un
mero optional amministrativo, ma deve anzi essere intesa
come l'unico viatico possibile per far affermare come norma
la trasparenza e la partecipazione.
Parallelamente alla scoperta della comunicazione come
elemento strategico, inizia a farsi largo l'idea che le modalità
in cui si effettuano le prestazioni amministrative devono
ispirarsi al principio della soddisfazione dei bisogni del
cittadino. Per soddisfare i bisogni bisogna prima individuarli
concretamente, quindi l’ascolto acquista un valore
fondamentale: si palesa per la prima volta la necessità di
ricevere dai cittadini informazioni e valutazioni sui servizi
offerti dalla PA.
All'articolo 12 del D.L 29/1993 si elencano in maniera
dettagliata sia gli obiettivi da raggiungere, sia le modalità con
le quali raggiungere gli obiettivi. Nel secondo comma di
questo articolo infatti si legge che gli URP anche mediante
l'utilizzo di tecnologie informatiche devono provvedere: al
servizio per l'utenza per i diritti di partecipazione,
all'informazione all'utenza relativa agli atti e allo stato dei
procedimenti, alla ricerca ed analisi finalizzate alla
formulazione di proposte alla propria amministrazione sugli
aspetti organizzativi e logistici del rapporto con l'utenza.
44
Inoltre al terzo comma si fa riferimento al tipo di personale da
assegnare a questo ufficio, che sarà qualificato, capace di
relazionarsi con il pubblico; mentre al quarto comma si fa
riferimento alla comunicazione di pubblica utilità" come
attività necessaria da svolgere.
Ma è con la direttiva del 11/10/1994 che tutta l'attività dell'Urp
viene definita e precisata in relazione alle finalità, alle attività
e all'organizzazione. Ciò che appare evidente da subito è il
tentativo di qualificare gli obiettivi dell'urp come una doppia
apertura nei confronti dell'esterno: si veicolano informazioni ai
cittadini/utenti, ma si veicolano anche informazioni dai
cittadini/utenti all'interno della struttura, che si trova quindi
nella necessità di modificare la propria identità fino ad allora
non-comunicante e autoreferenziale". Le finalità individuate
sono: dare attuazione al principio della trasparenza
dell'attività amministrativa; dare attuazione al diritto di
accesso alla documentazione amministrativa e ad una
corretta attuazione"; "rilevare sistematicamente i bisogni ed il
livello di soddisfazione dell'utenza per i servizi erogati;
proporre adeguamenti e correttivi per favorire
l'ammodernamento delle strutture, la semplificazione dei
linguaggi, e l'aggiornamento delle modalità con cui le
amministrazioni si propongono all'utenza. Inoltre la stessa
direttiva indica anche come organizzare l'Urp in modo che la
collocazione fosse ubicata in locali individuabili, accessibili,
facili da raggiungere, anche con i trasporti pubblici; le
modalità di accesso (fisico e non) fossero non solo note ma
adottassero un orario di ricevimento che si estendesse alle
ore pomeridiane; il personale fosse altamente competente in
relazione alla conoscenza dell'organizzazione a cui
45
apparteneva, all'accoglienza del pubblico e all'utilizzo di tutti i
sistemi tecnologici attraverso i quali vengono veicolate le
informazioni. Poiché si richiede lo svolgimento di nuovi
compiti, sono pure necessarie nuove professionalità, per
questo motivo la circolare del ministro della funzione pubblica
21/04/1995 n.14 include la formazione del personale dell'Urp
tra gli interventi prioritari in materia. In particolare si fa
riferimento alla capacità dei dipendenti di operare in realtà
amministrative informatizzate; alle competenze proprie della
cultura del dato statistico; allo “sviluppo di profili di
managerialità capaci di progettare le attività.
Il capitolo URP si chiude per il momento con l'approvazione
della legge 7 giugno 2000, n. 150 Disciplina delle attività di
informazione e di comunicazione delle pubbliche
amministrazioni. L'intento di questa legge è quello di definire
le professionalità della comunicazione e di suddividere e
assegnare compiti e obiettivi ben precisi alle tre strutture della
comunicazione amministrativa. Con questa legge “si indicano
in modo preciso le funzioni fondamentali che vanno
ricondotte all'interno di questa disciplina; inoltre si elencano
una “serie di strumenti attraverso i quali le azioni informative
vanno organizzate e gestite (pubblicità, fiere, reti civiche ecc).
L'articolo 4 invece è riservato al tema della formazione
professionale di chi già opera nelle istituzioni per formare una
leva di comunicatori pubblici.
Ma forse una delle innovazioni più importanti portate da
questa legge è la divisione dei compiti di informazione e
comunicazione: le due attività vengono assegnate a due uffici
con competenze e professionalità diverse, rispettivamente
all’ufficio stampa e all’Urp. All'articolo 7, 8 e 9 della presente
46
legge si definiscono quindi – rispettivamente - il ruolo del
portavoce, dell'ufficio stampa e del URP. I primi due come
target hanno il sistema informativo dei media; con la
differenza che il portavoce ha un approccio politico che tende
alla parzialità a favore del partito di appartenenza, mentre
l'ufficio stampa dovrebbe avere un approccio più istituzionale,
che tende all'imparzialità. L'attività di comunicazione verso i
cittadini, invece è destinata all'urp, i quali pur mantenendo i
tradizionali compiti loro assegnati dalle precedenti
disposizioni, vengono posti al centro di un sistema di
comunicazione più complesso e articolato. Innanzitutto va
detto che con l'approvazione di questa legge, il responsabile
dell'urp sarà una nuova figura professionale, il comunicatore
pubblico, il quale deve avere dei titoli di studio ben precisi. Al
comunicatore pubblico vengono assegnati perlomeno tre
obiettivi: promuovere l'adozione di sistemi di interconnessione
telematica; attivare, anche attraverso la comunicazione
interna processi di verifica della qualità e del gradimento dei
servizi da parte dei cittadini; coordinare le reti civiche.
Insomma la legge 150/2000 si propone di: dare piena e
definitiva legittimazione della comunicazione in un sistema,
quello pubblico nato e cresciuto nel silenzio e nel segreto
d'ufficio33
33 Rovinetti, comunicazione pubblica sapere e fare
; e di riconoscere la comunicazione come uno degli
elementi qualificanti di un nuovo sistema di relazioni paritarie
tra amministrazioni e cittadini”. Ma allo stesso tempo in molti
parlano di occasione sprecata in quanto la presente
disposizione non ha sortito gli effetti sperati. Rovinetti per
esempio parla di una legge approvata dal parlamento e non
applicata dalla Pubblica Amministrazione, basandosi su
47
alcune ricerche quantitative - come quella effettuata
all'interno del progetto nazionale “urp degli urp”, o come
quella promossa dall'università Iulm di Milano insieme al
dipartimento della funzione pubblica (2000-2004) – in cui si
dimostra che gli uffici relazione con il pubblico sarebbero stati
adottati approssimativamente solo dalla metà delle PA
interessate. Insomma la legge è stata presa alla stregua di un
mero consiglio amministrativo.
Oltre alla bassa adesione alla legge, c'è da dire anche che
spesso le funzioni dell'Urp sono state attribuite solo
nominalmente, ma di fatto non vengono svolte e garantite ai
cittadini. Nicoletta Levi nota come ogni PA ha provveduto a
plasmare il proprio Urp in base alle caratteristiche del tessuto
socio-economico del territorio di riferimento, quindi non c'è un
URP uguale all'altro. In sostanza, ci sono diversi modelli di
Urp: il più diffuso è il modello sportello informativo che fa
riferimento alle due funzioni classiche di questo ufficio, cioè la
tutela dei diritti (di accesso e partecipazione) e l'informazione
del cittadino.
Altro modello dell'Urp è lo sportello polifunzionale, che nasce
dall'esigenza di sviluppare ulteriormente la politica
dell'accesso all'amministrazione. L'Urp si trasforma così in
una vera e propria reception dell'ente all'interno della quale
non solo è possibile ricevere informazioni, ma è possibile
anche accedere e iniziare un procedimento amministrativo,
eliminando quindi uno o più passaggi burocratici. Il core
business di questo modello è la semplificazione
amministrativa. Naturalmente l'evoluzione dell'Urp verso lo
sportello polifunzionale è un processo progressivo che può
avvenire solo poco alla volta, perché implica il riassetto
48
dell'intera organizzazione amministrativa. L'ultimo modello di
Urp rilevato è infine quello che soddisfa quanto disposto
all'art. 8 della legge 150/2000 secondo il quale le
amministrazioni affidano all'urp sia le funzioni di supporto alle
relazioni dell'organizzazione con i propri pubblici sia quelle di
supporto ai settori per la gestione delle attività e dei prodotti
di comunicazione. In sostanza l'urp di queste amministrazioni
svolge compiutamente sia il ruolo di line della comunicazione
(relazione interpersonale diretta tra gli operatori di sportello e
i cittadini) sia il ruolo di staff (gestione della comunicazione
interna ed esterna e ascolto degli utenti).
1.7 Le tecnologie della comunicazione a servizio della PA
Con il passare del tempo ci si è accorti che l'informatica è
uno strumento efficace ed efficiente per il raggiungimento di
tutti gli obiettivi amministrativi in materia di accesso,
trasparenza e partecipazione. Infatti, solo attraverso un
processo di informatizzazione della PA si può creare una rete
unitaria che metta in contatto le amministrazioni periferiche
con quelle centrali; che permetta lo scambio di dati e
documenti in nome dello snellimento burocratico. Il via al
processo di informatizzazione della PA, viene dato dal D.lgs
n.39 del 1993, nel quale si istituisce “l'autorità per
l'informatica nella pubblica amministrazione” (AIPA).
Il primo progetto coordinato dall’AIPA, inserito nella direttiva
del presidente del consiglio 5/09/1995, è la costituzione della
“rete unitaria per la pubblica amministrazione” (RUPA).
49
L'obiettivo di questa direttiva è garantire ad ogni utente che
operava sulla rete la possibilità di accedere [..] ai dati e alla
procedure residenti su tutti gli altri sistemi connessi,
indipendentemente dalle soluzioni tecniche adottate. Per fare
ciò, si rende necessaria un’infrastruttura telematica capace di
veicolare i dati in modo sicuro e creare dei programmi che
permettessero alle amministrazioni di usufruire dei dati e dei
servizi applicativi delle altre amministrazioni. Sempre nel
1995 viene inaugurata a Bologna la prima rete civica italiana,
“Iperbole”. Lo scopo della rete civica era quello di
incrementare la partecipazione dei cittadini alle attività
dell'ente locale attraverso innovazioni nel campo della
comunicazione. In particolare la PA attraverso Iperbole vuole:
aumentare la circolazione di informazioni locali fornite da una
pluralità di soggetti; incrementare la tipologia e la qualità dei
servizi proposti alla cittadinanza; rendere possibile e facilitare
il dialogo fra gli utenti e i fornitori del servizio; cercare di
abbattere le barriere socio-economiche che non permettono
un accesso generalizzato alla rete; promuovere dibattiti e
forum su temi di interesse locale, in modo da rendere effettiva
la partecipazione ai processi decisionali amministrativi.
Il discorso delle reti civiche va inquadrato nel più ampio
dibattito sul ruolo delle città nel processo di globalizzazione.
Si è arrivati alla conclusione che dal quel momento in poi ogni
azione che riguardasse la partecipazione e la comunicazione
fosse imprescindibile dall'uso di internet. La tendenza
pronosticata è quella dell'addensamento delle persone nelle
città più tecnologicamente avanzate, e ci si rende conto che
l'uso delle tecnologie della comunicazione è l'unica possibilità
che le persone hanno per non rimanere estromessi dal nuovo
50
ordine mondiale. Si va palesando l’idea che internet è l'unico
strumento che permette sia di “restringere il mondo”, sia di
rendere più facile e immediato il dialogo fra i diversi attori
territoriali. All’interno di questo dibattito Paola Bonora e
Alessandro Rovinetti credono nelle potenzialità della rete, ma
allo stesso tempo insistono sul fatto che senza
l'alfabetizzazione informatica dei cittadini, internet sarebbe
rimasto uno strumento dalle grandi potenzialità ma elitario;
insomma, nell’opinione di Bonora e Rovinetti il cablaggio
delle città dovrà essere accompagnato da una politica di
formazione dei cittadini all'uso delle nuove tecnologie.
Purtroppo la formazione dei cittadini in Italia è stata
discontinua e troppo spesso lasciata all'improvvisazione. Nel
2010 è stato presentato dalla “Nokia Siemens Network” il
rapporto “connectivity scorecard”34, realizzato dalla
“Haskayne School of Business della University of Calgary”.
Lo studio misura il livello di connettività di un paese in base
alle infrastrutture e all’utilizzo delle tecnologie da parte dei
cittadini, delle imprese e dell’apparato statale. L'Italia si è
posizionata ultima tra i paesi membri del G8 e ventiduesima
tra i 25 paesi economicamente più avanzati. Dal rapporto
emerge che il 58% della popolazione italiana non ha mai
utilizzato Internet, e dunque non ha mai navigato sul web per
informarsi, fare acquisti tramiti siti di e-commerce, gestire
conti correnti on line, utilizzare social network e via dicendo. Il
parere di Giuseppe Donagemma35
34 Link del documento
è che il ritardo in classifica
dell’Italia rispetto alle altre nazioni è dovuto al peggioramento
di alcuni parametri analitici, quali l’utilizzo delle tecnologie da
http://bit.ly/cpILuG 35 capo della regione WSE (West and South Europe) di "Nokia Siemens Network”
51
parte del consumatore finale e la carente alfabetizzazione
digitale.
Ma nonostante la mancanza di cultura digitale, anche in Italia
si parla da anni di città digitali e di comunità virtuali, ossia un
insieme di persone interessate ad un determinato argomento,
o con un approccio comune alla vita di relazione, che
corrispondono tra loro attraverso una rete telematica come
internet, costituendo una rete sociale con caratteristiche
peculiari. Infatti tale aggregazione non è necessariamente
vincolata al luogo o paese di provenienza; essendo infatti
questa una comunità online, chiunque può partecipare
ovunque si trovi con un semplice accesso alle reti. In una
comunità reale, nella quale i cittadini presiedono con
competenza lo spazio virtuale del web, è lecito auspicare una
città digitale, cioè la fase successiva alla rete civica “uno
strumento per cambiare la città [..] che non fornisce servizi
quali duplicato elettronico per prodotti esistenti ma servizi
progettati sulle caratteristiche strutturali del mezzo
(cangianelli 97 p.120). Vale a dire uno strumento capace di
semplificare ulteriormente la burocrazia amministrativa, di
semplificare il recupero e la circolazione di informazioni, di
ampliare la rete di contatti e di relazioni di ogni persona, ma
soprattutto capace di far conoscere e promuovere le iniziative
dell'amministrazione sia in termini di servizi che in termini di
marketing territoriale.
Ricapitolando, all'interno della PA moderna ci si è resi conto
del ruolo strategico che ha la comunicazione in tutta l'attività
amministrativa; il mondo della comunicazione pubblica a sua
volta si è reso conto della necessità di usare internet e tutte le
tecnologie dell'informazione. È opinione comune che dagli
52
inizi degli anni '00 il web “classico”, composto
prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità
di interazione con l'utente, si è evoluto; grazie a nuovi
linguaggi di programmazione, il web 2.0 permette uno
spiccato livello di interazione tra il sito e l'utente e non solo.
Infatti, attraverso social network, blog e forum, si passa
fondamentalmente dalla semplice consultazione (seppure
supportata da efficienti strumenti di ricerca, selezione e
aggregazione) alla possibilità di contribuire popolando e
alimentando il Web con propri contenuti.
Nel prossimo capitolo faremo una panoramica sulle modalità
di azione della PA all'interno del mondo virtuale creato dalle
applicazioni del web 2.0.
53
2. Come il web 2.0 sta trasformando l'interazione tra amministrazione e amministrato e quali sono i vantaggi/svantaggi connessi
2.1. Pubblica amministrazione e web 2.0
Nell'era del web 2.0, anche le PA sono allettate dall'utilizzo
dei social network per costruire insieme ai cittadini nuove
forme di dialogo36
36 Stefano Rodotà, Tecnopolitica
. Infatti, tramite gli strumenti web based, i
principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell'azione
amministrativa si rinvigoriscono e diventano ancora più
attuabili - grazie alla possibilità di stabilire una comunicazione
diretta e interattiva con la cittadinanza. Gli strumenti 2.0 sono
gratuiti, ma per sfruttarli appieno occorre personale
preparato, e dedicato in modo continuativo e specialistico alle
attività di social networking. La scelta di "esserci", infatti, deve
essere ponderata e preceduta da un'analisi che prenda in
considerazione diversi fattori: come gli obiettivi che si
vogliono raggiungere (cosa comunicare e a chi), le strategie
da mettere in atto (come comunicare e con quale grado di
interazione), gli strumenti da utilizzare (Facebook, Twitter,
Flickr, Youtube, o altri), quali risorse impiegare. Dunque,
senza un buon piano di comunicazione - pensato ad hoc per
questi strumenti - c'è il rischio per la PA che si cimenta nel
social networking di generare effetti inversi a quelli desiderati.
Creare un profilo pubblico su un qualsiasi social network e
poi gestirlo male o abbandonarlo, fa si che l'immagine che si
54
comunica è quella di una PA incompetente e non
professionale, che ha deciso di presenziare gli ambienti web
2.0 solo per essere al passo coi tempi o per non essere da
meno rispetto ad altre PA.
Allora, se si decide di utilizzare gli strumenti 2.0, si decide
implicitamente anche di riorganizzare la struttura interna della
PA in questione, in modo da assecondare la nuova domanda
di comunicazione. Infatti, gli utenti del web 2.0 si aspettano
risposte immediate, perciò la risposta da parte della PA non
potrà attendere i tempi burocratici dell'azione amministrativa
(come delibere e autorizzazioni). Oltre ai cambiamenti che
intervengono sulla domanda di comunicazione da parte del
cyber-cittadino, la PA dovrà tenere in considerazione anche
alcune caratteristiche peculiari dell'ambiente 2.0. Innanzitutto,
il fatto che “il web non dimentica”: ciò che viene pubblicato è
fruibile da tutti e per tanto tempo, e soprattutto non è
controllabile da parte dell'autore. Inoltre ogni social network
ha una sua peculiarità e quindi uno scopo ben preciso:
quindi, i social non vanno gestiti tutti nello stesso modo. A
titolo d'esempio passiamo in rassegna le diverse
caratteristiche e il diverso utilizzo dei due social network più
popolari a livello mondiale: Facebook e Twitter.
Il primo si presta particolarmente bene alla costruzione di un
rapporto approfondito con i propri interlocutori, basato sul
dialogo, sulla partecipazione e sul confronto. Anzi, Facebook
rende possibile l'iper-interazione, consentendo la
condivisione di “status”37
37 Lo "status" è l'aggiornamento, (di solito con frasi che descrivono il proprio umore o con informazioni su un determinato argomento) del proprio profilo facebook.
, foto, video e commenti. Twitter,
meno popolare di Facebook in Italia, è un servizio di
55
microblogging, un valido canale per le informazioni che
devono essere comunicate in modo istantaneo, frequente e
veloce. Infatti, la value proposition di Twitter è proprio la
brevità dei contenuti; il testo da comporre e da inviare - detto
tweet - deve essere lungo al massimo 140 caratteri e può
contenere collegamenti ipertestuali. Il tweet38 è di solito
un'informazione su un evento specifico, o un commento a
una notizia cui si rimanda attraverso il link abbreviato39
Al di là delle differenze, la caratteristica comune a tutti i canali
del web 2.0 (detti social media) - e il loro punto di forza - è
l'interazione e lo scambio fra gli utenti. Infatti, mentre sui
media tradizionali gli utenti sono considerati destinatari
passivi della comunicazione, sui social media sono gli stessi
utenti protagonisti finanche del processo di creazione dei
contenuti (si parla di User Generated Content, di seguito
UGC
. Una
volta inviato, il tweet sarà fruibile da tutti gli utenti che
"seguono" l'autore della news - cioè dalla sua community.
Mentre su Facebook è possibile operare delle censure
preventive (ad esempio, bloccando i commenti degli utenti
sulla propria bacheca oppure oscurando commenti
indesiderati), su Twitter non è possibile farlo, quindi c'è
sempre il rischio che un utente possa "menzionarti" per
criticarti, screditarti o informarti di aver subito un disservizio
da parte dell'ente o della società che tu rappresenti. Per
questo, la presenza di chi vuole operare attraverso Twitter
dovrà essere continua e sempre attiva.
40
38 l tweet è il messaggio inviato che sarà visto da tutti gli utenti che seguono il profilo dell’autore del tweet 39 È norma su Twitter inserire dei link ad altri siti in forma abbreviata, in modo da rientrare nei 140 caratteri
). In definitiva, nell'era del web 2.0 si è determinata
40 La dizione contenuto generato dagli utenti (User-Generated Content o UGC in inglese) è nata nel 2005 negli ambienti del web publishing e dei new media per indicare il materiale disponibile sul web prodotto da utenti
56
una estensione della creatività, e oggi gruppi sempre più
ampi di utenti sono abilitati alla creazione, condivisione e
celebrazione della propria creatività o del proprio attivismo,
più di quanto sia mai stato possibile in precedenza41
In ambito commerciale si tende a vedere il prosumer come un
nuovo segmento di mercato, mentre gli economisti
identificano il prosumer come un individuo fortemente
indipendente dall'economia e dalla comunicazione
mainstream. In generale, il termine prosumer è un
neologismo che indica la possibile contemporaneità
dell'essere producer e consumer di contenuti. Dunque, ci si
riferisce ad un utente che abbandona le vesti di giocatore
passivo e assume un ruolo più attivo nelle fasi di creazione,
produzione, distribuzione, e consumo di qualsiasi prodotto,
tangibile o intangibile.
2.2 Il prosumer
Nel web 2.0 i nuovi gruppi di utenti - destinatari e insieme
produttori di comunicazione e informazione - sono i
prosumers. L'evoluzione da consumer a prosumer ha imposto
un totale ripensamento delle strategie di comunicazione e
marketing. Infatti, queste discipline sono state rimodellate
intorno alle nuove possibilità di mercato portate dal web
interattivo, e adattate ai nuovi bisogni dei portatori di
domanda.
invece che da società specializzate. Essa è un sintomo della democratizzazione della produzione di contenuti multimediali reso possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici ed a basso costo. 41Lawrence Lessig, fondatore di Creative Commons
57
In questo mutato scenario, il rapporto
produttore/consumatore cambia radicalmente: il consumatore
può ora rispondere attivamente agli stimoli. Oltre a poter
fornire feedback diretti, l'utente può produrre informazioni,
diventando parte attiva del processo informativo. Uno degli
esempi che illustrano l'evoluzione del consumatore è il sito di
e-commerce Amazon.com; questa azienda si è affermata
come leader nell'e-commerce soprattutto grazie alla sua
abilità di costruire relazioni con i clienti basate sul dialogo
piuttosto che sulla mera vendita del prodotto42
L'estensione della partecipazione ai processi creativi è quindi
il focus delle nuove tecnologie. Già Nel 1972, Marshall
McLuhan e Barrington Nevitt
.
43 suggerivano che ogni
consumatore sarebbe diventato produttore grazie alla
tecnologia telematica. Successivamente, nel 1980 Alvin
Toffler - nel libro "The Third Wave" - coniava il termine
prosumer, per indicare l'imminente perdita dei confini tra il
ruolo di produttori e consumatori44. Toffler immaginava un
mercato fortemente saturo dal momento in cui la produzione
di massa di merci standardizzate cominciava a soddisfare le
domande basiche dei consumatori. Per continuare a
incrementare i profitti, gli uomini d'affari avrebbero dovuto
avviare un processo di massificazione produttiva, cioè la
produzione di massa di prodotti altamente personalizzati.
Così si passava dalla produzione di massa alla massa delle
nicchie45
42 Amazon supporta lo scambio di informazioni fra i clienti, offre spazio per contribuire sito nella forma di recensioni di tipo librario 43 McLuhan. M, Nevitt. B, Take Today, Harcourt Brace Jovanovich, 1972 44 Sebbene ne parli già nel libro Future Shock del 1970 45 Questa è la sintesi della teoria della "coda lunga" teorizzata da Chris Anderson in un articolo dell'ottobre 2004 su Wired Magazine. Dal momento che i costi di distribuzione e produzione diminuiscono,
. Tuttavia, per raggiungere un elevato livello di
specialmente online, vi è una minore necessità di raggruppare prodotti e consumatori in un contenitore unico.
58
personalizzazione era necessario che i consumatori
prendessero parte al processo di produzione, soprattutto nel
definire le caratteristiche progettuali dei prodotti. Don
Tapscott ha ulteriormente elaborato il concetto nel suo libro
del 1995 The Digital Economy, parlando di Prosumption. Più
recentemente, nel Cluetrain Manifesto46
Ai fini della nostra analisi, conviene soffermarsi sulla
declinazione più interessante del concetto di prosumer: il
prosumer di informazioni. Nel momento in cui "consumo"
news da un sito internet, da un blog, o da un qualsiasi
supporto digitale, posso produrre nuove informazioni con il
solo commentare; condividendo poi l'informazione - con il
proprio commento annesso, oltre che produttori si diventa
anche distributori di nuove informazioni. Il processo di
condivisione della notizia è stato reso possibile e facilmente
attuabile dall'entrata in gioco dei social media. I professori
Andreas Kaplan e Michael Haenlein
si afferma che nella
new economy i mercati sono conversazioni per intendere che
con la Rivoluzione Digitale si assiste all'evoluzione da
consumatori passivi a prosumer attivi.
47
In un’era priva delle costrizioni derivanti dallo spazio fisico dell'esposizione e della distribuzione, beni e servizi di nicchia possono essere economicamente attraenti allo stesso modo di quelli di massa. 46 Il Cluetrain Manifesto è un insieme di 95 tesi organizzato e presentato come un manifesto, o invito all'azione, per tutte le imprese che operano all'interno di ciò che si propone di essere un nuovo mercato interconnesso. Le idee presentate, con l'obiettivo esplicito di esaminare l'impatto di Internet sia sui mercati (i consumatori) sia sulle organizzazioni. Inoltre, mentre i consumatori e le organizzazioni sono in grado di utilizzare Internet e Intranet per stabilire un livello di comunicazione precedentemente non disponibile tra questi due gruppi ed all'interno di essi, il manifesto suggerisce i cambiamenti che saranno richiesti da parte delle organizzazioni per rispondere all'ambiente del nuovo mercato.Il manifesto è stato scritto nel 1999 da Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls e David Weinberger. Un libro stampato basato sul manifesto è stata pubblicato nel 2000 da Perseus Books sotto lo stesso nome. 47 Head and Professor of marketing at the ESCP Europe Business School
definiscono i social
media come un gruppo di applicazioni Internet basate sui
presupposti ideologici e tecnologici del Web 2.0 che
consentono la creazione e lo scambio di contenuti generati
59
dagli utenti48
I social media, quindi, determinano una reale
democratizzazione dell'informazione, trasformando i fruitori di
contenuti in editori. Per questo motivo i social media vengono
definiti anche Consumer Generated Media (di seguito
CGM
. I social media rappresentano
fondamentalmente un cambiamento nel modo in cui la gente
apprende, legge e condivide informazioni e contenuti. In essi
si verifica una fusione tra sociologia e tecnologia che
trasforma il monologo - il modello comunicativo "uno a molti"
che caratterizza i mass media classici - in dialogo, con un
modello comunicativo orizzontale "molti a molti".
49
I social media sono ontologicamente diversi dai media
industriali classici come giornali, televisione e cinema. L'unica
caratteristica che li accomuna è la possibilità di raggiungere
un'audience vasta su scala mondiale. Infatti, sia il post di un
blog che una trasmissione televisiva possono raggiungere
potenzialmente milioni di persone in tutto il globo. Per il resto,
social media e media tradizionali sono due canali
comunicativi completamente differenti. Innanzitutto, i mezzi di
produzione dei media di massa sono generalmente di
proprietà privata o statale mentre i social media sono
).
2.3 I Social Media
48 http://iranmanagers.net/wp-content/uploads/2011/04/Users-of-the-world-unite.pdf 49 La dizione contenuto generato dagli utenti (User-Generated Content o UGC in inglese) è nata nel 2005 negli ambienti del web publishing e dei new media per indicare il materiale disponibile sul web prodotto da utenti invece che da società specializzate. Essa è un sintomo della democratizzazione della produzione di contenuti multimediali reso possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici ed a basso costo.
60
disponibili gratuitamente, il che li rende degli strumenti di
largo uso. Infatti, i social media permettono a chiunque di
pubblicare ed avere accesso alle informazioni, mentre i
media tradizionali richiedono importanti investimenti finanziari
per pubblicare informazioni: tasse statali, manodopera,
macchinari - solo per dirne alcuni. Inoltre, mentre i social
media adottano un modello di comunicazione orizzontale e
partecipativo, i media tradizionali sono comunemente definiti
broadcasting, in quanto sono unidirezionali, prediligono cioè
la comunicazione verticale. Altra differenza è data dalla
diversa fruibilità dei mezzi: la gestione della comunicazione
sui mass media richiede in genere formazione e competenze
specialistiche, mentre la comunicazione sui social media, se
fatta a fini non professionali, può essere gestita anche senza
particolari competenze50
Per quanto riguarda la permanenza dell'informazione, va
detto che se questa è prodotta dai mass media, una volta
creata non può essere più modificata, può essere solo
rettificata; mentre sui social media l'informazione data può
essere cambiata o integrata all'istante
.
Ma le differenze maggiori tra i due strumenti e modelli
comunicativi sono la velocità dell'informazione e la
permanenza della stessa.
51
50 Naturalmente se si usano i social in ambiente professionale e quindi non amatoriale sono richieste diverse competenza sull'uso degli strumenti social. 51 La non istantaneità delle notizie, è dovuta oltre che ad alcune peculiarità del mezzi di trasmissione, (ad esempio come la difficoltà di trasmettere un video attraverso le onde elettromagnetiche) anche ad alcune peculiarità di tipo processuale, come la verifica della notizia e il giusto inserimento nel palinsesto radiotelevisivo)
- con la precisazione
che una volta immessa nella rete, anche se cancellata o
modificata, continuerà a viaggiare indisturbata
potenzialmente all'infinito.
61
Per quanto riguarda la velocità dell'informazione, va detto che
i mass media, anche se celeri nel dare informazioni, a causa
delle caratteristiche tecniche del mezzo e ad alcune
regolamentazioni proprie dei media broadcasting, non
potranno mai dare notizie aggiornate all'istante; al contrario, i
social media, più de-regolarizzati, hanno la possibilità tecnica
di aggiornare istantaneamente la notizia, e sempre
istantaneamente di interagire con il produttore
dell'informazione, integrandola o rettificandola. E' chiaro
quindi che nei social media solo la mancanza di reattività dei
partecipanti può comportare ritardi. Il valore della tempestività
resa possibile sui social media è stato subito compreso dagli
operatori dei mass media, i quali adesso si avvalgono di
questi nuovi strumenti per rimediare al “ritardo” della notizia.
In tal modo, Facebook e Twitter si stanno configurando
sempre di più come fonti delle notizie52
Tuttavia questi mezzi non hanno il vincolo dell'istituzionalità,
altro punto di differenza tra social e mass media. Infatti, i
media di massa sono ormai diventati delle istituzioni
dell'informazione, e in quanto tali sono tenuti a rendere conto
alla società della qualità dei contenuti e dei risultati delle
proprie attività in termini di interesse pubblico, responsabilità
sociale ed indipendenza editoriale. I social media invece non
hanno ancora questa aurea formale e istituzionale;
banalizzando possiamo dire che le informazioni trovate sui
social non hanno lo stesso "peso" di quelle reperite dalla
televisione, dalla stampa, o dalla radio. Proprio per la
mancanza del vincolo di istituzionalità, i produttori di
.
52 Sempre più frequentemente le testate giornalistiche e telegiornalistiche usano gli aggiornamenti di status sui social media alla stregua di notizie di agenzia (ansa, reuters, ecc)
62
informazione sui social non hanno grosse responsabilità e
regolamentazioni in merito alle loro attività editoriali.
Quindi i social media sono abbastanza liberi dai vincoli
dell'informazione e dalle relative limitazioni, ma d'altro canto
questa libertà di espressione può essere minacciata da
fenomeni in ascesa come le Public Relations 2.0, i network
pubblicitari e i professionisti della comunicazione che usano
questi mezzi in modo pervasivo a fini di marketing, rendendo
di fatto questi strumenti meno liberi di un tempo e più simili ai
mass media. La tendenza a sostituire l'amatorialità e
l'improvvisazione con la professionalità e la competenza, se
da una parte migliora il livello dei contenuti, dall'altro
comporta il fatto che la Rete inizia a popolarsi di
stakeholders, i quali filtrando le informazioni da diffondere
rendono il web meno libero di quanto si pensi.
Ad ogni modo, pur con le proprie criticità, la “produzione
sociale” - per dirla con Yochai Benkler53 - trasforma il mercato
e aumenta le libertà di ognuno di noi; infatti Benkler usa il
neologismo “network economy” o "network information
economy" per descrivere le più rilevanti caratteristiche
economiche, tecnologiche e sociali di quelli che chiamiamo
social media. E c'è già chi parla di una nuova "Weconomy",
con la nascita di un nuovo soggetto collettivo: il We, il Noi54
53 Yochai Benkler, The Wealth of Networks: How Social Production Transforms Markets and Freedom , 2006 54 Per weconomy si intende “un’identità espansa dove il me va oltre e confluisce nel Noi” cioè si intende democratizzare il processo produttivo attraverso il concetti di condivisione, reputazione e collaborazione
.
63
2.4 I benefici portati dai social media alle organizzazioni
complesse
Come già anticipato al paragrafo precedente, i social
media iniziano a diventare strumenti per professionisti del
marketing e della comunicazione. Infatti, l'alta competitività
fra le aziende spinge i consulenti di marketing a cercare
canali di comunicazione sempre più innovativi. Saper
individuare le nuove tendenze per anticipare le strategie dei
concorrenti è da sempre la chiave del successo di ogni piano
di marketing aziendale. La ricerca di nuovi spazi e di strategie
originali che rendano la comunicazione più efficace, è da
sempre il fulcro e il motore di ogni attività di marketing -
soprattutto negli ultimi anni, che hanno visto la saturazione
degli spazi pubblicitari e dei cervelli dei consumatori55
Uno studio del Centro di Ricerche di Marketing dell’University
of Massacchussets
. Con
questi presupposti è facile provare ad immaginare
l'accoglienza entusiasta ricevuta dai social media da parte dei
consulenti commerciali e di marketing.
56
55 Alvin Toffler, alludendo all’impatto psicologico provocato dalla quantità smisurata di immagini diffuse dai media nella società postmoderna, parla di “sovraccarico sensoriale” 56 Ricerca presente in: Lovari, A.,Basta un post? Il ruolo dei media sociali nel rapporto tra amministrazioni pubbliche e cittadini
conferma che i social media stanno
diventando ambienti molto favorevoli all’attivazione di
strategie di marketing. Lo studio ha riguardato le Inc.500, cioè
quelle aziende americane che hanno registrato il più alto
tasso di crescita e sviluppo annuale. Il 42% delle aziende
dice di avere dimestichezza con questi mezzi e il 66% li
ritiene molto e abbastanza importanti per le strategie di
64
marketing e di business. Ma, contrariamente a quanto si
possa pensare, gli uomini di marketing non hanno fatto dei
social media delle vetrine pubblicitarie per marchi e prodotti,
e questo non per l'incuria dei consulenti, ma per una ragione
molto semplice: la pubblicità inserita in contesti virtuali e fisici
che gli individui fruiscono in modo solitario non è una novità.
Il messaggio pubblicitario è sempre stato offerto come
un'esperienza personale intima, che stuzzica le fantasie e i
bisogni anche latenti dell'individuo-spettatore spalmato sui
media tradizionali, in tutti i non-luoghi57 urbani come le strade
e i mezzi di trasporto pubblico, e nei luoghi che la modernità
sta trasformando in non-luoghi, come le piazze delle città:
L’indebolimento della centralità dello spazio urbano come
territorio primario di socializzazione, la definitiva
polverizzazione della piazza, le modificazioni tecnologiche
che iniziano a segnare il passaggio dalla modernità alla
submodernità, il progressivo affermarsi dei flussi di
informazione che direttamente raggiungono nello spazio
domestico il cittadino, trasformano il manifesto, lo assorbono
nel panorama metropolitano, lo inglobano nell’arredo urbano
assieme alle vetrine, ai neon, alle insegne, alla segnaletica58.
Nella definizione di Marc Augé, i non-luoghi sono spazi fisici
che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e
storici e tali spazi stimolano l’azione, non l’inter-azione59
57 Augè. M., Nonluoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità, 58 Pitteri. D, La pubblicità in Italia, dal dopoguerra a oggi. 59 Bauman, Z., Modernità liquida
. Al
contrario i social media, che potremmo definire iper-luoghi,
sono spazi privi di una realtà fisica, ma nei quali vengono
esaltate le dimensioni identitaria e relazionale. È qui che,
come abbiamo visto, la sfera pubblica dell’individuo estende i
suoi confini e si rinvigorisce, creando un'unica conversazione
65
che inizia off-line e continua on-line; in tali spazi non c’è posto
per una dimensione legata al consumo, inteso come merce
da acquistare e consumare. Pertanto l’azienda, il brand e il
prodotto, perdono la loro forma originaria e diventano
fenomeno sociale, diventano discorso. I social media, quindi,
non sono fatti per vendere, ma per costruire valore a partire
dalle relazioni sociali, e un’interpretazione diversa da questa
può avere effetti negativi per l’immagine dell’azienda e dei
suoi prodotti e marchi, in quanto può essere letta come
un’ingerenza dello spazio personale60
Ma allora quali sono i benefici che possono trarre le aziende
dai social media? La risposta siamo noi, i nostri dati e le
nostre preferenze. Per un’impresa aprire una pagina
Facebook o un profilo Twitter significa dare vita a dei processi
comunicativi attraverso i quali gli utenti, clienti o potenziali
clienti, possono interagire direttamente con l’azienda. Un
monitoraggio di queste interazioni, meglio se stimolate e
gestite da un community manager
. I membri dei social
network si sentono protagonisti attivi della vita sociale digitale
in quanto produttori di capitale simbolico. Per questo non
accettano la presenza di banner pubblicitari e messaggi legati
alla vendita e al consumo di prodotti, che come si legge nel
sopracitato rapporto presentato dall'ateneo americano,
vengono considerati "fuori luogo", proprio come gli imbucati a
una festa.
61
60 Francesco Pavan, articolo disponibile su: http://bit.ly/n0NDNT 61 Il community manager progetta la struttura della comunità e gli eventi, in base ad eventuali richieste di utenti o agli obiettivi di un committente; definisce in seguito le modalità di aggregazione, sceglie gli strumenti, i servizi, le categorie di discussione e se necessario, può anche avvalersi di moderatori, promotori o di altre figure, che lo affiancano nella gestione della comunità stessa al fine di creare un ambiente in cui i membri si sentano liberi e sicuri di esprimersi, di dialogare, di comunicare, di collaborare, senza paura di essere giudicati o male interpretati, cosa che alla fine contribuisce alla crescita e allo sviluppo di una buona comunità virtuale.
, può veicolare delle
66
informazioni preziose all’azienda; ad esempio l'azienda potrà
conoscere le opinioni che il pubblico ha riguardo un certo
prodotto o sapere perché non si acquista. Far partecipare e
far interagire gli utenti fra loro aumenterà la ricchezza delle
informazioni di cui l’azienda può entrare in possesso. Quindi,
lavorare nei social media significa soprattutto coinvolgere
attivamente gli utenti nella realizzazione di contenuti (UGC),
cioè avvalersi della loro collaborazione per impostare
campagne promozionali o addirittura la stessa realizzazione
dei prodotti. Questa visione strategica dei social media ricalca
il passaggio evolutivo da una strategia di marketing miope e
product oriented ad un approccio consumer oriented. Infatti,
oggi le aziende studiano prima i bisogni e gli scenari di
consumo per rispondere con prodotti e servizi adeguati alla
domanda di mercato. Prendendo atto della
multidimensionalità dei target e della impossibilità di
segmentare il mercato secondo parametri tradizionali, quali
età, sesso, e provenienza geografica, le aziende oggi
realizzano brand in grado di presidiare un'area psicologica e
sociale condivisa. Immaginate ora il valore di saper creare e
coinvolgere le community, comunità di interesse che
catalizzano persone con caratteristiche socio-demografiche
disparate ma unite da un interesse condiviso, disposte a
condividere contenuti e informazioni (e i propri dati).
S'intuisce allora l'aspetto strategico dei social media, con i
quali è possibile sollecitare il dialogo e la collaborazione con
gli utenti, attivare relazioni esperienziali e fare comunità, in
definitiva ricreare un senso di appartenenza sociale.
Quindi, nel mondo virtuale dei social media il vero prodotto
commerciale sono i nostri dati, come ha detto Milena
67
Gabanelli nella puntata di Report il prodotto sei tu62. La
quantità e la qualità dei dati che noi utenti diamo
volontariamente ai gestori dei social media sono infatti
monetizzabili. Pensiamo alla recente valutazione di Goldman
Sachs circa il collocamento in borsa di Facebook, pari a circa
50 miliardi di dollari63; si presume che ogni identità su
Facebook, vera o fasulla che sia, valga più o meno 100
dollari. Questo valore economico consiste nella potenzialità di
vendita di ogni profilo a chi effettua ricerche commerciali
(marketing, sociali, tendenza, politica ecc.64
Sostituendo il consumatore con il cittadino, il brand con
l’immagine dell’amministrazione, il prodotto con il servizio
pubblico, la formula rimane la stessa, e con essa anche il
risultato. La PA, quindi, attraverso i canali di comunicazione
sociali ha la possibilità di conoscere a fondo i propri utenti; i
cittadini senza accorgersene darebbero vita a preziose
interazioni, attivando un dialogo continuo con
l'amministrazione. Così si attuerebbero i principi di
trasparenza, ascolto e partecipazione. Ma il processo di
inserimento da parte della PA nelle conversazioni altrui non è
cosa facile tantomeno immediata, bisogna essere
professionali e costanti nell'interazione. Ne Facebook, ne
Twitter sono infatti nati per le aziende, e sono certamente
privi di moltissimi degli strumenti necessari per uno strumento
di comunicazione aziendale o per la pubblica
amministrazione. Quindi, nel momento in cui si sceglie di
).
62 Puntata di report del 10 aprile 2011, trasmessa su rai 3 e rivedibile sul sito internet di report: http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-47f24a67-0008-4a89-a6b3-ddab3eff9d5e.html 63 A inizio gennaio 2011 la Goldman Sachs ha investito 450 milioni di dollari su Facebook, portando cosi il valore del social network a 50 miliardi di dollari 64 Articolo leggibile su: http://blog.yooplus.com/2011/02/07/enterprise-social-network-nella-pubblica amministrazione/
68
usare Facebook o altri social media, bisogna andare al di là
dell’uso prettamente hobbystico. Puntare sui social media e
sulla professionalità del personale (social media strategist) è
una scelta importante per la PA: infatti, poter contare sulle
opinioni del proprio network, poter chiedere a gruppi di
professionisti un parere tecnico, ad un gruppo di cittadini
un’opinione preventiva su scelte di bilancio, di arredo urbano,
di pianificazione territoriale, certamente vale molto di più dei
100 dollari che ha individuato Goldman Sachs. Basti pensare
che oggi la PA informa o intervista i propri cittadini a costi di
solito elevatissimi65
65 La PA per conoscere i propri cittadini deve attivare "camminate di quartiere", sondaggi, interviste telefoniche e non, focus group; tutti attivatà che richiedono la presenza di personale altamente qualificato e quindi economicamente dispendiose
; un social network consente di abbattere i
costi in modo drastico, grazie alla gratuità dello strumento.
Ma la componente del risparmio non è data solo dalla gratuità
d'uso dei social media. Facebook e affini, infatti, dal momento
in cui sono stati progettati per accogliere le informazioni
inserite da centinaia di milioni di utenti, sono stati resi
strumenti affidabili e sicuri da un punto di vista tecnico.
Queste piattaforme sono testate e aggiornate in
continuazione, sono praticamente invulnerabili a blocchi
interni e attacchi esterni di pirateria informatica. Con la
sicurezza del loro corretto funzionamento, le PA (e le aziende
in generale), non devono spendere fondi per prove, test,
versioni beta. Fondi che invece dovrebbero essere previsti se
si decidesse di creare piattaforme ex novo, per le quali non vi
è mai la sicurezza che funzionino o che siano di gradimento
dell'utente.
69
Chris Anderson66
66 Direttore responsabile di wired US
scrive nella sua ultima opera bibliografica:
Lo sviluppo della free economics, l’economia del Gratis, è
stimolato dalle tecnologie dell’era digitale. La legge di Moore
afferma che a parità di prestazioni il prezzo dei processori si
dimezza ogni due anni; ma il prezzo della banda di
trasmissione dei dati e quello dei supporti di archiviazione
crollano ancor più in fretta. Internet riesce a combinare tutti e
tre questi fattori, associando il calo dei prezzi a una tripletta di
tecnologie. Di conseguenza, il tasso di deflazione netta del
mondo online è prossimo al 50 per cento: questo significa
che il prezzo che oggi Youtube paga per trasmettere un video
sarà dimezzato tra un anno.” In un periodo di forte crisi per i
bilanci pubblici, evidenziati dai tagli al welfare effettuati dal
nostro governo, si capisce l'enorme vantaggio derivante dalla
possibilità di sfruttare piattaforme gratuite già esistenti e
ampiamente diffuse fra la popolazione, anziché spendere
risorse utili sulla costruzione di strutture ad hoc. Eliminando le
spese di programmazione e di hosting, rimangono solo i costi
di gestione delle piattaforme, cioè il capitale umano. In questo
modo anche gli enti di dimensioni minori e con risorse più
limitate, potranno attivare dei canali di dialogo con i cittadini.
70
2.5 I social media utilizzati dalla PA
Ma quali sono i social media su cui puntare? Facebook,
Twitter, YouTube, Flickr, Friendfeed e Foursquare sono oggi i
social media più popolari del web. A livello mondiale, il social
network più popolare è certamente Facebook, che ha
superato i 600 milioni di utenti attivi (se fosse uno stato
sarebbe il terzo più grande al mondo!). Con i suoi 18 milioni
utenti l'Italia è il secondo paese al mondo con più iscritti al
social67, appena dopo l'Australia. Twitter invece ancora non è
entrato nella quotidianità degli italiani, infatti "solo" 1,3 milioni
di utenti utilizzano questo strumento68. Youtube, il social
network dedicato alla condivisione di video è il terzo sito più
visitato al mondo. I dati di Marzo 2010 dicono che oltre 180
milioni di persone dichiarano di aver video online solo negli
USA; di questi, oltre 135 milioni ha visto un video su Youtube.
Praticamente significa che il social per la condivisione di
video ha raggiunto 3 persone su 4 che guardano i video
online. Foursquare, il geo-social media incentrato sulla geo-
localizzazione è il più giovane. Nato nel 2009, ha appena
raggiunto i 10 milioni di utenti attivi e i 358 milioni di chek-in
effettuati69
Questi appena citati sono solo alcuni dei social media più
usati
.
70
67 Fonte: Marketing Projects School of Mananagement Politecnico di Milano - in Italia in totale ci sono 25 milioni di persone che si connettono quotidianamente su internet, 18 milioni di questi hanno un account su Facebook 68 Fonte: Marketing Projects School of Mananagement Politecnico di Milano – è da considerare però il fatto che i tweet (cioè gli aggiornamenti di stato di twitter) al contrario degli aggiornamenti di facebook (che sono privati) sono pubblici, quindi potenzialmente ogni utente può comunicare all'intera rete. 69 Fonte http://blog.foursquare.com/2011/06/20/holysmokes10millionpeople/
, ma il trend è in crescita: il numero di persone che
70 Al momento vi sono social media per ogni necessità particolare: flickr e picasa per la condivisione di foto, Linkedin viadeo e xing per il networking professionale, slideshare per la condivisione di slide, friendfeed per le
71
frequentano gli ambienti digitali, così come il tempo che vi
trascorrono, sono in progressivo aumento. Questo significa
che per una parte crescente della popolazione mondiale, i
social media sono diventati ambienti cognitivi familiari, perché
rientrano nella loro routine quotidiana dell’azione sociale.
Tuttavia, secondo lo studio intitolato Participation Inequality:
Encouraging More Users to Contribute71
Dunque, nella prospettiva di una PA che vuole colloquiare
con i cittadini, attivare politiche comunicative su piattaforme
già conosciute dai cittadini-utenti, come i social media,
significa eliminare completamente o in parte lo sforzo
cognitivo richiesto dall’esplorazione di nuovi ambienti virtuali
per tutti coloro che già utilizzano questo strumento
, l'ostacolo maggiore
alla partecipazione attiva degli utenti nelle community on-line
e in tutti gli ambienti digitali in generale, è la difficoltà
d’interazione dovuta all’ostilità degli ambienti virtuali, talvolta
eccessivamente complessi, non strutturati secondo logiche
user-friendly.
72
discussioni, vimeo per i video, foursquare per la geolocalizzazione; inoltre tutte le piattaforme per blog (wordpress, blogspot, trumble, myspace, splinder, blogspot) possono essere considerati social media
.
Facebook insieme agli altri social media più usati in Italia,
dovrebbero pertanto diventare il luogo prediletto su cui
sviluppare la comunicazione fra cittadini e pubbliche
amministrazioni. Il principio è quello dell'Urp: così come la PA
è scesa in piazza per incontrare i cittadini, allo stesso modo e
per gli stessi motivi adesso deve essere sul web 2.0 e sulle
piazze virtuali. Questo significa che le PA devono sforzarsi di
promuovere i propri contenuti (atti amministrativi, promozione
di servizi o di eventi, o semplicemente comunicazioni di
71 Nielsen, J. (2006). Participation Inequality: Encouraging More Users to Contribute. (, Eds.) Jakob Nielsens Alertbox. Retrieved from http://www.useit.com/alertbox/participation_inequality.html 72 Francesco Pavan su http://bit.ly/mRXLS5
72
servizio) laddove le persone vivono e discutono veramente,
perché - come ci ricorda Katie Dowd73
Per contro, l’impossibilità di personalizzare l’offerta
comunicativa ha due aspetti negativi: da un lato non permette
di modellare l’interazione in base ad esigenze comunicative
specifiche, dall’altro può esporre gli enti a rischi legati alla
diffusione di contenuti sconvenienti o ad atti di protesta ad
opera degli utenti. In questi casi la professionalità del
funzionario pubblico che gestisce i social media è l'unica via
di salvezza. Infatti, la soluzione non può essere la chiusura a
priori della propria bacheca Facebook, in modo da eliminare
l'inconveniente “commento sgradevole”
, questa è la strada per
ampliare ed arricchire la nostra presenza ed avere una
relazione diretta con la gente.
I social media sono ambienti digitali paritari: significa che
nell’ambito delle interazioni tutti gli utenti sono posti sullo
stesso piano, tutti devono rispettare le stesse regole. Quindi
non vi può essere nè una relazione gerarchica nè di tipo
verticale tra l'emittente e il ricevente. Nel contesto
amministrativo questo significa che i cittadini e i funzionari
statali devono ugualmente adeguarsi alle regole imposte
dalla community. Questo aspetto è particolarmente
importante perché sancisce quell'equilibrio nel rapporto tra
cittadino e PA che è stato sancito dalla legge 241/1990.
74
73 portavoce dell’amministrazione presidenziale americana 74 Ad esempio nel profilo YouTube della Presidenza della Repubblica è stata operata una forma di censura, che non permette agli utenti di commentare i video. Anche un filtro eccessivamente serrato sui commenti può generare frustrazione fra gli utenti. Un utente, iscritto al canale YouTube della regione Lombardia sfogandosi per la censura attuata scrive: “Togliete la censura dei commenti. Un sito con la censura vi fa più danni che potete immaginare. Meglio non avere un sito su youtube”. L’italiano è un po’ incerto, ma l’utente è molto sicuro di quello che sta contestando all’amministrazione regionale, e ha assolutamente ragione.
, altrimenti a che
cosa servirebbe aprire un canale di dialogo con i cittadini per
poi censurarli?
73
Comunque, fra incertezze e tentennamenti, la PA sta
diventando sempre più digitale. Facendo una panoramica
generale su un campione nazionale di enti amministrativi75
75 Dati presi dalla tesi di laurea di Francesco Pavan “La Pubblica Amministrazione ai tempi di Facebook: ripensare il dialogo con i cittadini nei social media” : campione di 247 enti pubblici fra cui tutte le regioni, le province e i comuni capoluogo di provincia italiani.
, si
rileva che 11 regioni su 20 (55%) hanno attivato un canale su
Youtube; seguono le province, 25 su 110 (il 23%), e i comuni,
con 22 presenze su 117 (19%). Su Youtube prevalgono i
contenuti di carattere politico, cioè video di consigli (regionali,
provinciali, comunali), comizi, interviste a sindaci, assessori,
consiglieri, ed altri esponenti politici. Per quanto riguarda
Facebook, 4 regioni su 20 (20%) hanno attivato un account,
seguono i comuni capoluogo di provincia, 21 su 117 (il 18%),
e infine le province, con 16 presenze su 110 (14%). Nella
quasi totalità dei casi le amministrazioni condividono nelle
loro bacheche collegamenti ipertestuali a notizie provenienti
dalle reti civiche. Se da un lato questa attività genera dei
feedback da parte dei cittadini-utenti iscritti alla pagina, i quali
rispondono inserendo la loro opinione a commento delle
notizie pubblicate, dall’altro verifichiamo un sottoutilizzo
generale delle potenzialità interattive dello strumento. Ad
avere un profilo su Twitter, invece, sono 5 regioni su 20
(25%), seguono i comuni capoluogo, 12 su 117 (10%) e le
province, 9 su 110 (8%). Questa flessione rispetto a Youtube
e Facebook deriva, come già detto in precedenza, dalla
minore diffusione nel nostro paese di Twitter. Il rapporto tra
follower (coloro che ‘seguono’, cioè i cittadini) e following
(coloro che vengono ‘seguiti’, cioè gli enti) mette il luce il lato
‘newsmediale’ di Twitter (nell’ambito della comunicazione
degli enti pubblici in media il rapporto è di 16 follower a 1
74
following), mentre quello prettamente ‘sociale’ sembra
passare in secondo piano. Naturalmente andrebbero fatte
ulteriori riflessioni, come analizzare la modalità d'uso dei vari
social media, o la frequenza d'uso, o il livello di interazione
stabilito fra amministrazione e cittadini. Possiamo comunque
affermare che il trend di utilizzo di questi strumenti da parte
delle amministrazioni pubbliche è in costante aumento.
Segnale del fatto che la PA capisce la pervasività di questi
strumenti e soprattutto l'ottimo rapporto fra costi e benefici.
Concludo presentando un brillante esempio di uso
competente dei social media da parte di un'amministrazione
pubblica: la community di “Turismo Emilia Romagna”. TER è
presente su tutti i social media più frequentati dagli italiani: ha
una pagina Facebook ufficiale, ha un account su Twitter e
uno su Friendfeed. Il community manager di TER, Giovanni
Arata, usa questi canali non solo per dialogare con gli utenti,
ma anche per proporre progetti di partecipazione on-line
attiva, lanciando attività in crowdsourcing. Il crowdsourcing76
76 L'enciclopedia Wikipedia viene considerata da molti un esempio di crowdsourcing volontario
è un modello di business nel quale un’azienda o un’istituzione
richiede lo sviluppo di un progetto, di un servizio o di un
prodotto ad un insieme distribuito di persone non già
organizzate in una comunità virtuale. Questo processo
avviene attraverso degli strumenti web o comunque dei
portali su internet. Inizialmente il crowdsourcing si basava sul
lavoro di volontari ed appassionati che dedicavano il loro
tempo libero a creare contenuti e risolvere problemi. Di
seguito riporto le parole di Giovanni Arata riguardo il suo
lavoro e il crowdsourcing, tratte da un intervista rilasciata a e-
75
gov77
77 L'intervista integrale a Giovanni Arata è possibile leggerla a questo indirizzo: http://dl.dropbox.com/u/618441/crowdsourcing_pubblico.pdf
: "TER nasce precisamente dal desiderio di coinvolgere
gli utenti nel racconto turistico della regione. Nel lanciare il
nostro progetto di narrazione 2.0, avevamo ben chiaro che:
(a) “là fuori” in rete ci sono tantissime persone e
organizzazioni occupate a raccontare le bellezze del
territorio; (b) spesso i loro contributi – ed in alcuni casi la loro
stessa presenza – risultano scarsamente visibili; (c)
potevamo impiegare i nostri spazi per garantire a tali
emergenze uno spazio di espressione unitario e riconoscibile,
anziché costruire l’ennesimo canale autoreferenziale. A
partire da queste premesse, TER prova ogni giorno a
coinvolgere i cittadini-turisti nelle varie dimensioni del proprio
lavoro redazionale. In alcuni casi si tratta del rilancio “secco”
sulle nostre bacheche istituzionali di contenuti realizzati o
suggeriti dagli utenti, secondo la formula ormai consolidata
de “gli amici di TER segnalano” (nel caso di notizie), “gli
amici di TER fotografano” (immagini), “gli amici di TER
riprendono” (video). Una seconda forma di coinvolgimento si
realizza con le cosiddette “pillole di URP distribuito”, quando
i quesiti turistici posti da singoli utenti (ex: “dove posso
trovare audioguide relative a Bologna?”) vengono “postati”
nelle nostre bacheche e trovano risposta grazie ai
suggerimenti dagli altri cittadini- turisti. Ma di recente si sono
alternate anche forme di partecipazione più “evolute”, in virtù
delle quali la redazione chiede ai membri della community di
contribuire alla realizzazione di contenuti editoriali articolati.
Un esempio sono le mappe Google TER, per le quali gli
utenti offrono indicazioni, suggerimenti, correzioni”.
76
2.6 Il futuro del web: il mobile
Nell’estate del 2010, Chris Anderson e Michael Wolf
annunciavano l’ormai prossima scomparsa del web in un
articolo pubblicato su "Wired Us". I due esperti di tecnologie
digitali sostengono che il recente sviluppo di strumenti che
permettono di connettersi da piattaforme mobili, come
smartphone e tablet, e la convergenza di Internet in console,
come la Playstation 3 o la Xbox 360, e dispositivi multimediali
di vario genere, stanno espandendo il mercato di applicazioni
che sfruttano la rete Internet come mezzo di trasporto delle
informazioni, ma non il browser come display.
Guardando i dati forniti da ComScore78, nel 2010 l’Italia si
piazza al primo posto in Europa per numero di utilizzatori di
smartphone (15 milioni di utenti), seconda solo al Regno
Unito (11,1 milioni); seguono la Spagna (9,9), la Germania
(8,4) e la Francia (7,1). Nell’ultimo anno79
78 Fonte comscore: http://bit.ly/asDhp3 79 Fonte: audiweb, database marzo 2011 - audiweb powered by nielsen group
il mercato degli
smartphone in Italia è cresciuto dell’11% e l’incremento
percentuale delle famiglie con accesso ad almeno un
dispositivo mobile è pari a +10,8%; mentre quello relativo al
possesso di un PC risulta essere pari a +11,7%. Il 12,6% di
coloro che possiedono un telefono cellulare dichiara di usarlo
per navigare su Internet. In particolare, il 9,4% lo usa per
navigare su internet, il 5% inviare ricevere e-mail, 4,9%
consultare motori di ricerca e 4,6% accedere ai social
network. Più ridotte le quote legate ad altre attività, come
77
scaricare e utilizzare applicazioni, consultare itinerari/mappe,
consultare il meteo, scaricare musica da uno store/portale.
Sembra quindi che nei prossimi anni il trend mobile sia
destinato a crescere, e ciò determinerà importanti
cambiamenti per produttori e consumatori di contenuti online.
Infatti, questo cambiamento di abitudini comporterà la perdita
di importanza del sito web come lo conosciamo oggi, in
favore di applicazioni che consentono la fruizione dei
contenuti in mobilità. Inoltre, grazie al touch screen, lo
smartphone presenta un’usabilità migliore e maggiormente
user-friendly rispetto al "vecchio web".
Quindi, per non farsi cogliere impreparati, i dirigenti della PA
devono iniziare a ragionare anche su come la comunicazione
possa raggiungere i cittadini non solo sul web, sfruttando le
tecnologie innovative in termini di portabilità. L'avanguardia,
anche in questo caso, la troviamo nei social media. Tutti i
principali social media infatti consentono la connessione e
quindi la fruizione di contenuti mediante applicazioni mobile,
le cosiddette “app” (Facebook Mobile, TweetDeck, ecc.), cioè
applicazioni che riconvertono i siti in un formato diverso dal
quello dei web-browser. Per una PA questo significa,
teoricamente, poter arrivare al cittadino in qualsiasi momento
e in qualsiasi luogo. Grazie al mobile la PA può veramente
dialogare costantemente con i propri utenti. Per quanto
riguarda le questioni organizzative e professionali all'interno
dell'amministrazione, il fatto che internet stia diventando
mobile non significa assumere nuove competenze; infatti il
modo di produrre e comunicare contenuti attraverso la rete
rimane lo stesso, è solo il modo di fruizione da parte
78
dell'utente che cambia; come dire che cambia la forma ma
non la sostanza.
2.7 Chi dovrebbe occuparsi della gestione dei social
media?
Gli Urp, come ampiamente argomentato nel primo capitolo,
vengono istituiti nella Pubblica Amministrazione con il decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, all’art.12 (ora art.11 d.lgs.
30 marzo 2001, n. 165) in risposta alla duplice esigenza -
espressa dalle precedenti leggi n. 241 e n. 142 del 1990 - di
favorire la trasparenza amministrativa e la qualità dei servizi e
dotare le Amministrazioni di uno strumento di comunicazione
e contatto diretto con i cittadini. Con l’emanazione della
150/2000 in materia di comunicazione e informazione
pubblica, viene portato a compimento il processo evolutivo
avviato con le grandi riforme dell’organizzazione pubblica
avvenute negli anni ’90, individuando nell’Urp la struttura
dedicata alle attività di comunicazione ed affiancando a essa
l’Ufficio Stampa e l’Ufficio del Portavoce. Inoltre come
abbiamo visto la L. 150/2000 affida all'Urp anche il compito di
“promuovere l'adozione di sistemi di interconnessione
telematica e coordinare le reti civiche”. Quindi, è evidente che
l'eventuale gestione dei social media spetta al comunicatore
pubblico, o meglio a un addetto dell'Urp specializzato in
quest'attività.
Dal momento della sua istituzione, l’Urp non ha mai avuto vita
facile, ma è sempre stato visto come uno strumento
79
strategico, che se correttamente utilizzato poteva veramente
cambiare la PA, consentendo una maggiore apertura ed un
nuovo dialogo con i cittadini. Se rileggiamo con attenzione le
aree di intervento (comunicazione interna ed esterna,
customer satisfaction, gestione delle reti civiche e dei sistemi
di interconnessione) in cui si esaurisce l’attività di un URP
capiamo subito come l’utilizzo dei social media possa non
solo aiutare, ma addirittura potenziare la capacità di
realizzazione di questi compiti.
In quest'ottica realizzare una pagina Facebook o un account
Twitter, o essere presente su altri social media rientra a pieno
titolo nel potenziamento dei sistemi di interconnessione. I
social media rendono l’attività dell’Urp veramente proattiva,
perché da semplice sportello che si limita a risponde alle
domande o al dare informazioni ai cittadini, diventa un ufficio
che va dai cittadini, dove questi comunicano abitualmente
con amici e familiari, che attraverso la propria attività fa da
aggregatore delle notizie dell’Ente e le propone e sottopone
all’attenzione ed alla partecipazione dei cittadini, una struttura
che si occupa di evidenziare le informazioni più interessanti
che si perdono tra le mille pagine del sito istituzionale, che
può portare all’attenzione di tutti non solo i temi di maggior
interesse ma anche i servizi più utili e l’impegno
dell’amministrazione per migliorare.80
80 Tratto da un articolo di Michele Solia leggibile su http://bit.ly/eHXAO6
80
2.8 Il punto di vista dei cittadini
Dopo aver fatto una panoramica sul perché la Pubblica
Amministrazione dovrebbe utilizzare gli strumenti del web
2.0, cerchiamo ora di capire qual è il punto di vista dei
cittadini. Un dossier di Forum PA81, osservatorio
sull’evoluzione della pubblica amministrazione, riporta i
risultati delle ricerche condotte su un campione di iscritti alla
propria community82
81 Amministrare 2.0! PA e cittadini si incontrano on-line? – gennaio 2008, realizzata da FORUM PA. 82 Il campione è di 1.775 unità, ma non si tratta di un campione rappresentativo, ma di un panel di esperti e di interessati altamente qualificato
. I dati mostrano che sono pochi gli utenti
che percepiscono i benefici legati all’adozione degli strumenti
2.0. Salta all'occhio infatti un forte divario fra l’utilizzo della
rete per uso privato, ad esempio per lo shopping online,
l’accesso alle banche dati o ai social network e il limitato
ricorso al web per esplorare i siti istituzionali e utilizzare i
servizi pubblici offerti online. Se da un lato l’indagine rivela
che la maggior parte degli intervistati naviga nei siti delle
pubbliche amministrazioni, dall’altro emerge che più del 76%
del campione si limita a ricercare informazioni e poco più del
13% scarica o consegna moduli on line. La maggioranza del
campione afferma di non utilizzare i servizi online perché non
ne ha bisogno (71,4%). Mentre per quanto riguarda le
aspettative di engagement rispetto all'uso delle tecnologie 2.0
da parte delle PA, il 71,5% del campione afferma di
intravedere in questi siti l’opportunità di rendere più immediati
i rapporti fra cittadino e istituzioni; solo il 12,4% ritiene che
queste tecnologie consentano all’utenza e quindi ai cittadini,
di avere una maggiore voce nella gestione della cosa
pubblica. Per quanto riguarda gli effetti che i social media e
81
tutti gli strumenti interattivi del web 2.0 potranno avere
sull’organizzazione interna della pubblica amministrazione, la
risposta più selezionata è “migliorerà l’efficienza interna dei
diversi enti” (65%), seguita dalla riduzione dei rapporti
gerarchici a favore di una maggiore collaborazione interna
(20%), mentre per l’11% del campione non cambierà nulla.
Inoltre la stragrande maggioranza del campione ritiene che le
resistenze alla diffusione di strumenti e logiche 2.0 nella PA
siano culturali (52,2%) più che tecnologiche (4,7%), mentre il
restante 28,6% degli intervistati su questo argomento,
ipotizza la presenza di difficoltà organizzative, gestionali e di
coordinamento all’interno degli enti pubblici.
A questa visione poco fiduciosa dei cittadini nei confronti
della PA digitale si aggiunge un ulteriore componente che
nella ricerca viene definita di stallo. Se è vero che la quasi
totalità delle PA italiane ha raggiunto un livello completo di
telematizzazione, è vero anche che nella maggior parte dei
casi tale telematizzazione è utilizzata solo per la
comunicazione istituzionale, ignorando completamente la
possibilità di avviare un’interazione complessa e continua
finalizzata alla partecipazione dei cittadini nella decisione
delle politiche pubbliche. Secondo il rapporto, questo
rallentamento è imputabile a tre fattori: In primo luogo
l’abbandono della logica di governance originaria. La città
digitale non può prescindere da una logica collaborativa che
vede i diversi attori locali impegnati a raggiungere una visione
condivisa del ruolo della telematica locale. Gran parte delle
iniziative, invece, si sono sviluppate come esperienze isolate
dei diversi soggetti locali con pochissima propensione alla
collaborazione. Il secondo aspetto riguarda l’incompletezza
82
dell’offerta: i cambiamenti e le iniziative si sono limitati ad
introdurre nuove modalità (telematiche) per fornire
informazioni ai cittadini o per erogare servizi. Pochissimo è
stato fatto invece nel cosiddetto back-office, dove le nuove
tecnologie avrebbero potuto portare grandi innovazioni dal
punto di vista dell’efficienza e delle prassi burocratiche. Infine
il fallimento delle politiche di inclusione. I servizi telematici
cittadini piuttosto che favorire l’inclusione e la partecipazione
tra le diverse categorie sociali e culturali hanno aumentato il
divario fra queste. Alle povertà e alle esclusioni materiali si
sono aggiunte quelle tra coloro che hanno le possibilità e le
capacità di accedere alle informazioni e ai servizi on line e
quelli che sono di fatto esclusi da tale servizi per motivi
culturali, sociali o strutturali. A queste difficoltà, tutte interne al
processo di telematizzazione della pubblica amministrazione,
si aggiunge il problema che scaturisce dalla frattura sempre
più profonda che si è creata tra i cittadini e le istituzioni di
riferimento che trova origine nella mancanza di una cultura
della collaborazione e della partecipazione.
L'inchiesta quindi ci segnala una vena pessimistica da parte
dei cittadini italiani in merito all’operato attuale
dell'amministrazione digitale; questa dà infatti l'impressione di
faticare per abbandonare i vecchi clichè, che la rendono poco
attraente agli occhi degli amministrati; in particolare mi
riferisco agli schemi gerarchico-burocratici che da sempre la
caratterizzano.
Come abbiamo capito dalle risposte al sondaggio, gli
intervistati vedono nella mancanza di una cultura digitale il
vero problema che impedisce un dialogo partecipato e
continuo con i cittadini. Dunque, perché si realizzi una PA
83
digitale è necessario prima compiere un salto culturale.
Probabilmente l'attuale mancanza di cultura digitale è dovuta
in parte alla bassa incisività dei corsi di formazione per
l'alfabetizzazione informatica dei dipendenti pubblici, e in
parte da un mancato turn over nella PA, che avrebbe portato
nuove competenze e nuove professionalità ad operare nel
settore amministrativo, in modo da poter sfruttare a pieno le
possibilità date dai social media, facendone un’arma vincente
per abbattere il muro della diffidenza e avvicinare pubblica
amministrazione e cittadini83
Se come ulteriore riferimento per la nostra analisi analizziamo
il quadro internazionale, ci rendiamo subito conto della
diversa considerazione di cui gode il web 2.0 all'interno delle
amministrazioni pubbliche degli altri stati europei. In un
rapporto OCSE del 2008
.
84
Inoltre, nello stesso rapporto si evidenzia che il 32% degli enti
pubblici mette a disposizione dei cittadini spazi virtuali per
consentire attività deliberative; il 23% sperimenta altri modelli
viene sottolineato come Internet e
il web interattivo siano considerati strumenti strategici per la
gestione delle relazioni oltre che con i cittadini anche con tutti
gli stakeholder. In particolare, la quasi totalità degli intervistati
ritiene che l'uso delle tecnologie per le relazioni fra enti
pubblici e cittadini sia propedeutico alle stesse attività
informative. Mentre il 71% degli intervistati afferma di usare i
siti degli enti pubblici per le consultazioni online, solo il 21%
per iniziative di partecipazione.
83 Francesco Pavan su http://bit.ly/pFGY6c 84 Rapporto OCSE, novembre 2008,su “Open and Inclusive Policy Making”. Il rapporto prende spunto da un questionario, condotto nel 2007, a cui hanno risposto referenti istituzionali di 25 Paesi Ocse e 54 organizzazioni della società civile di 14 stati diversi . Per l’Italia, il referente è stato il Dipartimento della Funzione pubblica – Ufficio per il programma di modernizzazione delle pubbliche amministrazioni.
84
di partecipazione e il 14% dichiara di essere presente con un
profilo istituzionale in comunità virtuali già esistenti come
Facebook, Youtube e Twitter. Questi dati dimostrano ancora
una volta che da un lato va ripensata la base culturale del
rapporto fra amministratori e amministrati - cercando di
trasmettere il bisogno e la volontà di inclusione nella fase
decisionale delle politiche pubbliche; dall’altro che nelle
amministrazioni deve essere incoraggiata la sperimentazione
di tecnologie volte a favorire queste dinamiche partecipative.
Ma il bisogno di partecipazione, se lasciato a livello teorico e
ideologico, provoca un effetto contrario a quello desiderato.
Infatti se alla teoria non segue l'attivazione di pratiche
concrete di partecipazione, il cittadino si sente tradito e preso
in giro. Così si accresce il senso di sfiducia - che di base c'è
già - intorno alla PA e alle sue attività. Se per esempio,
fidandoci della PA e dei suoi canali di comunicazione,
segnaliamo un disservizio o un'anomalia sul profilo Facebook
dell'amministrazione competente e questa non risponde e/o
ignora lo sforzo partecipativo, questo farà solo aumentare la
rabbia del cittadino, che probabilmente diffamerà
l'amministrazione in questione. La stessa cosa potrebbe
capitare se ad un eventuale risposta non corrispondesse una
reale provvedimento colto a rimediare al disservizio o
all'anomalia subita dal cittadino. Se non si tengono in
considerazione questi aspetti, non possiamo meravigliarci
che anche con strumenti innovativi come i social media il
rapporto amministratore/amministrato si basi ancora sulla
subordinazione del secondo rispetto al primo.
85
2.8 Come una maggiore partecipazione dei cittadini
potrebbe aiutare il fundraising degli enti locali.
L'innovazione nel rapporto tra PA e cittadini potrebbe
avviare un processo di cambiamento tout court
nell'amministrazione, agendo anche sulle attività non
prettamente comunicative. Creando l'humus sociale per il
cambiamento, alcune PA come gli enti comunali potrebbero
avviare e intensificare attività come il fundraising. Anzi, è
proprio l'engagement del cittadino - attraverso un nuovo
rapporto basato sul dialogo paritario - propedeutico al
fundraising.
Il fundraising anche se è spesso considerata un'attività
esclusiva delle organizzazioni no-profit, in realtà è un'attività
che può essere intrapresa anche da alcune PA come gli Enti
Comunali. Sono proprio i Comuni infatti le PA che più di altre
sfruttano, anche se in maniera marginale, alcuni strumenti
propri del fundraising: come sponsorizzazioni, cause related
marketing (da qui in seguito CRM) , partnership e raccolta di
donazioni. I comuni in alcuni casi per garantire la gestione e
la manutenzione di beni pubblici o servizi sociali, stringono
alleanza con soggetti aziendali mediante contratti di
sponsorizzazione o di CRM. Si scelgono questi due strumenti
di fundraising perché permettono all'ente di turno di non
relazionarsi con il cittadino, visto come un soggetto dal basso
potenziale economico e non incline al finanziamento di una
PA, bensì di relazionarsi con organizzazioni aziendali e
industriali, disposte a finanziare la PA in cambio di un ritorno
di immagine sull'investimento. Di questi tempi contraddistinti
86
da una forte crisi economica che colpisce soprattutto la
gestione dei beni pubblici (soprattutto culturali, sociali e
ambientali), l'aiuto economico da parte dei privati diventa
quasi necessario. Ma non ci si può più limitare alla sola
richiesta di sponsorizzazione da parte di qualche azienda,
perché la stessa crisi che ha colpito la PA ha colpito anche il
mondo industriale. Bisogna estendere e intensificare la
“raccolta fondi” anche ai cittadini, con la legge di stabilità del
2011(L. 220/2010)85 infatti è stato reso nuovamente possibile
destinare il proprio “5 per mille”86
85 Fino al 2009 era chiamata “Legge Finanziaria” o semplicemente “Finanziaria” 86 Con il termine “5 per mille” viene definito il meccanismo con il quale il cittadino-contribuente può teoricamente (non è vincolato a donare;, ma se non dona il proprio 5 per mille. l’importo in questione comunque non rimarrà al contribuente ma sarà versato nelle casse dello stato) vincolare il 5 per mille del proprio IRPEF al sostegno di enti che svolgono attività socialmente rilevanti.
al proprio comune di
residenza. Infatti va detto che l'istituto del “5 per mille” è stato
introdotto a titolo iniziale e sperimentale nei commi 337-340
della legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n.
266). Nell'anno di imposta 2006 prevedeva la possibilità per il
contribuente di vincolare il 5% della propria imposta sul
reddito delle persone fisiche (IRPEF) a sostegno di una delle
seguenti quattro categorie: volontariato, Onlus
(Organizzazioni non lucrative di utilità sociale) e associazioni
di promozione sociale (iscritte nei registri nazionale, regionale
o provinciale, attività sociali svolte dal Comune di residenza,
ricerca sanitaria e ricerca scientifica o delle Università. Invece
Nella legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006,
n. 296), al comma 1234 vengono ridefinite le categorie
beneficiarie del cinque per mille, nelle quali non sono più
presenti i Comuni. Questo dare e togliere la possibilità di
ricevere donazioni, non ha permesso agli enti comunali di
programmare e organizzare nei giusti tempi e in modo
strategico, delle campagne di comunicazione atte al
87
coinvolgimento economico dei cittadini. Una comunicazione
intermittente e discontinua non potrà mai sortire gli effetti
desiderati, cioè non convincerà mai il cittadino a preferire il
comune d'appartenenza alle varie onlus, che per necessità
proprie sono più organizzate dal punto di vista del
fundraising87
Puntare sulle donazioni volontarie del cittadino significa
chiaramente che il Comune di turno deve intensificare
ulteriormente i rapporti con gli amministrati, coinvolgendoli
non solo teoricamente - chiedendogli un'opinione su una
decisione da prendere, ma andando oltre, fino a chiedergli un
. Un dato che conferma questa ipotesi è dato
dai soli 37 milioni di euro raccolti dalla totalità degli enti
comunali Italiani nell'anno 2006 attraverso il “5 per mille”.
L'ente comunale in tempo di federalismo comunale e di tagli
alla spesa pubblica, deve cominciare a considerare l'attività di
“donazione” come un'attività da perseguire in maniera
costante e continua, e da affiancare a quella di
comunicazione pubblica. Solo rinnovando la propria
immagine e ricostruendo un rapporto di fiducia con la
cittadinanza basato sui principi di trasparenza e
partecipazione è possibile il coinvolgimento economico del
cittadino. Se il rapporto amministratore/amministrato viene
ricucito, allora all'amministrato oltre alla donazione
“obbligatoria” si potrà chiedere anche in maniera
straordinaria, una donazione volontaria atta al mantenimento
di un bene pubblico, che nella maggior parte dei casi è un
bene utilizzato dalla stessa cittadinanza. Quindi si tratterebbe
di una micro-donazione di denaro che viene restituita al
cittadino sottoforma di benessere sociale.
87 Il fundraising per le onlus è considerato uno dei più importanti strumenti di finanziamento.
88
contributo per la realizzazione di un opera o di una attività.
Quindi la comunicazione continua diventa ancor più
strategica, e ancora più strategico diventa l'uso corretto dei
social media, che al momento sono gli unici strumenti a
permettere questo tipo di comunicazione e di partecipazione.
Nei prossimi capitoli faremo una panoramica sugli strumenti
classici del fundraising adottati dagli Enti Comunali,
analizzandone pregi e pecche. Cercherò inoltre di indagare
sulle ragioni per cui le donazioni, volontarie e obbligatorie,
non hanno preso piede negli enti pubblici italiani, al contrario
di altri stati come la Francia o come gli U.S.A.
L'ultima parte di questa analisi, sarà infine dedicata a un
nuovo scenario della raccolta fondi: il crowdfunding, un mix di
comunicazione, social media, e partecipazione incentrato
sull'engagement del cittadino al fine di fargli donare
volontariamente dei fondi per un bene pubblico. Attraverso
questa nuova pratica, come vedremo in seguito, alcuni enti
(PA, partiti politici, comitati) italiani e non, sono riusciti a
portare a termine dei progetti finanziati interamente dai
cittadini stessi.
89
3. Gli strumenti di fundraising degli enti Locali: perché è necessario utilizzarli e con quali modalità si usano.
3.1 I costi delle politiche sociali
Da qui in poi la mia analisi passerà dal generale al
particolare, cioè dall'universo delle PA, passiamo al mondo
circoscritto degli Enti Comunali. Questo cambio di rotta è
dovuto al fatto che sono i comuni le PA che più di ogni altra
utilizza gli strumenti del fundraising, e sempre i Comuni sono
le PA che più hanno sofferto i tagli economici imposti dal
ministero dell'economia per risanare il debito pubblico
italiano. Attualmente gli Enti Comunali fanno un uso ridotto
delle attività di fundraising, principalmente per due motivi: una
normativa fiscale che, come vedremo in seguito, scoraggia le
aziende a investire nel pubblico: un disinteresse quasi
generale dei funzionari amministrativi locali per la raccolta
fondi, reputata spesso come non necessaria. Per dimostrare
la necessità di intraprendere con maggior frequenza attività di
fundraising all’interno delle amministrazioni comunali è bene
mostrare alcuni dati.
Una ricerca, condotta dall'ISTAT e presentata ad aprile 2011,
dal nome Gli interventi e i servizi sociali dei comuni singoli ed
associati, ci mostra nel dettaglio la ripartizione della spesa
economica per la gestione dei servizi sociali in Italia88. Come
prima cosa bisogna dire che nel 2008 i Comuni italiani, in
forma singola o associata89
88 Ricerca leggibile su http://bit.ly/m7enw0
, hanno destinato agli interventi e
89 La necessità di organizzare funzioni associate tra popolazione inferiore ai 5000 abitanti deriva dal Dl 78/2010 per il quale (art. 14 comma 28) le funzioni associate definite all’art. 21 comma 3 della l.42/2009 sono
90
ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro, un valore pari
allo 0,42% del P.I.L nazionale, il 4,1% in più rispetto al 2007.
Famiglia, minori, anziani e persone con disabilità sono i
principali destinatari delle prestazioni di welfare locale; su
queste tre aree di utenza si concentra infatti l’82,6% delle
risorse impiegate, mentre le politiche di lotta alla povertà e
all’esclusione sociale incidono per il 7,7% della spesa sociale,
e il 6,3% è destinato ad attività generali o rivolte alla
multiutenza. Le quote residue riguardano le aree di utenza
immigrati e nomadi (2,7%) e dipendenze (0,7%). La
ripartizione della spesa per area di utenza risulta abbastanza
stabile nel tempo, anche se qualche cambiamento è stato
registrato, ad esempio tra il 2003 e il 2008, è diminuito di
quattro punti percentuali la quota destinata agli anziani,
passando dal 25,2% della spesa complessiva nel 2003 al
21,2% del 2008. In leggero aumento rispetto al passato sono
le spese per le politiche di sostegno ai poveri, ai senza fissa
dimora e agli adulti in condizioni di disagio, le quali
rappresentano una modesta quota del totale della spesa
(7,7%). Rispetto alle risorse complessive, un lieve incremento
si registra anche per l’area famiglia e minori, la cui quota nel
2008 supera il 40% del totale delle risorse, risultato in parte
attribuibile agli effetti del piano straordinario per lo sviluppo
dei servizi per la prima infanzia, avviato con la Legge
Finanziaria del 2007. Lo scenario fino qui proposto, è quello
di una popolazione impoverita rispetto al passato, infatti come
visto la spesa per i servizi sociali, che supportano la parte di
popolazione meno abbiente, è salita del 4%. Sempre nella
obbligatoriamente esercitate in forma associata dai comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, mentre tale limite scende a 3000 abitanti (o meno con soglia stabilita da legge regionale) per i comuni appartenenti o già appartenuti a Comunità Montane. La norma non impone una modalità di gestione associata, ma lascia libertà di scelta tra le forme dell’unione di comuni e quella della Convenzione.
91
ricerca dell'ISTAT si legge che i Comuni (in forma singola)
gestiscono singolarmente il 75% della spesa sociale.
Entrando più nel dettaglio, è possibile considerare
separatamente i comuni “singoli” da un lato e, dall’altro, le
varie tipologie di enti che concorrono alla realizzazione della
rete di servizi sul territorio. I servizi gestiti in proprio dai
Comuni, che rappresentano il 75% della spesa complessiva,
risultano finanziati per il 74% dalle risorse proprie delle
amministrazioni comunali, per il 12,2% dai fondi regionali
vincolati per le politiche sociali (o fondi provinciali nel caso
delle province autonome), per l’8,3% dal fondo indistinto per
le politiche sociali e per il resto si compongono di fondi
vincolati per le politiche sociali dallo Stato o dall’Unione
Europea (1,7), trasferimenti da altri Comuni (0,9), altri
trasferimenti da enti pubblici (1,5), trasferimenti da privati
(1,4). Per quanto riguarda il rimanente 25% della spesa,
erogata da enti associativi per conto dei comuni, la quota più
alta dei finanziamenti proviene dai trasferimenti da parte dei
comuni (33,7%), il 30,9% delle risorse proviene dal fondo
indistinto per le politiche sociali, il 20,7% dai fondi regionali
vincolati, il 9,3% dalle risorse proprie degli enti, il 2,1% da
fondi vincolati per le politiche sociali erogati dallo Stato o
dall’Unione Europea, il 2,3% da altri trasferimenti da enti
pubblici, l’1% da trasferimenti da privati. I Comuni, quindi,
gestiscono il 75% della spesa “sociale” complessiva, e il
rimanente 25% di spesa, gestita dagli enti associativi,
comunque viene finanziata, circa un terzo del totale, dai
comuni, con trasferimenti che provengono quasi interamente
(per l’86%) dalle risorse proprie comunali.
92
Ricapitolando quindi, possiamo affermare con sicurezza che i
Comuni coprono economicamente, con un notevole
investimento, buona parte degli interventi e dei servizi sociali
realizzati sul territorio, e come abbiamo visto la spesa per i
servizi sociali mostra un pauroso trend di crescita annua.
Questo significa che la popolazione italiana sta diventando
mediamente più povera del passato, e che quindi ha
maggiore necessità d’aiuto dal welfare state, il quale però
non ha più i mezzi per aiutare i meno abbienti.
3.2 La decurtazione della spesa pubblica e i “tagli” sugli
Enti Locali: Le leggi Finanziarie 2010 e 201190
Come ben sappiamo la crisi economica che ha investito
l'intero globo, ha comportato un forzato ridimensionamento
della spesa pubblica italiana, che ha influito non poco sulla
situazione di milioni di persone. Dal momento in cui sono i
Comuni a dover provvedere sia ai servizi sociali che ai beni
pubblici, una riduzione dei finanziamenti dati ai Comuni da
parte dello stato centrale, risulta un problema molto serio per
le “categorie a rischio” che vivono il territorio. Dopo il taglio di
oltre mezzo miliardo di euro operato dalla Legge Finanziaria
per il 2009, il taglio ai fondi per il sociale erogati a Regioni e
Comuni è proseguito anche con la Legge Finanziaria per il
2010 (Legge 191/09). Il provvedimento per il 2010,
innanzitutto, non prevede più alcun finanziamento (nel 2009
erano 100 milioni di euro) per il Piano Straordinario Servizi
90 Nel momento in cui scrivo sono in corso ulteriori provvedimenti per risanare il debito pubblico italiano, quindi potrebbero esserci cambiamenti rispetto a quanto ho scritto in queste pagine
93
Socio-Educativi per la Prima Infanzia, che è stato decisivo
per sviluppare l'offerta di asili nido in Italia, necessari per
incrementare la possibilità di accesso della donna al lavoro.
Dopo un gran parlare di “quote rosa”, di politiche per aiutare
le famiglie, di agevolazione del lavoro femminile e di ripresa
economica, si è intervenuto negativamente su uno dei pochi
fondi in grado di agire efficacemente nel supporto a quelle
famiglie dove entrambi i genitori lavorano91. Il taglio più
rilevante della Finanziaria per il 2010 colpisce il Fondo
Nazionale per le Politiche Sociali, al quale in questi ultimi anni
sono stati tagliati 299 milioni di euro, arrivando cosi agli
attuali 171 milioni. A dire il vero però, si tratta di una
pesantissima decurtazione che potrebbe essere compensata
da un fondo di pari importo istituito dall’articolo 9 bis del
Decreto Legge 78/09 (convertito nella Legge 102/09). Questa
norma, pensata come un bilanciamento delle misure
connesse alla realizzazione di un sistema di federalismo
fiscale, stanzia 300 milioni di euro per le attività di carattere
sociale di pertinenza regionale, allo scopo di assicurare la
tutela dei diritti e delle prestazioni sociali fondamentali su
tutto il territorio nazionale92
91 Franco Pesaresi Presidente dell'ANOSS (Associazione Nazionale Operatori Sociali e Sociosanitari): http://www.superando.it/content/view/5452/112/ 92 ibidem
. Diversi commentatori di questa
norma hanno rilevato come la sua formulazione desti ancora
diverse perplessità, come le modalità di ripartizione di questo
fondo, che potrebbe fare riferimento all’ammontare dei
proventi spettanti a regioni e province autonome, [...] ivi
compresi quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi
erariali statali, in misura tale da garantire disponibilità
finanziarie complessivamente non inferiori a 300 milioni di
euro annui e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la
94
finanza pubblica93. Alcuni commentatori hanno inteso nelle
ultime battute della disposizione, la possibilità che a fronte di
questo finanziamento dedicato al sociale ci saranno riduzioni
nelle quote di compartecipazione erariale di competenza
regionale94. Altro taglio operato dalla finanziaria per il 2010 è
stato quello relativo al Fondo Nazionale per il Sostegno
all’Accesso alle Abitazioni in Locazione (Legge 431/98). Con
questa Finanziaria, il Fondo ha toccato il minimo storico,
registrando un'ulteriore riduzione di 18 milioni di euro,
arrivando quindi a solo 144 milioni (nel 2000 erano ben 362).
Con tali risorse, i Comuni aiutano i nuclei familiari più poveri a
pagare il canone di locazione. La costante riduzione del
finanziamento, quindi, non fa che rendere ancor più pesante
una situazione che vede, soprattutto nelle aree metropolitane,
il numero delle domande di contributo in aumento nel tempo
e, parallelamente, la costante diminuzione del grado di
copertura del contributo erogato95
93 Legge 3 agosto 2009, N. 102 94 Franco Pesaresi Presidente dell'ANOSS (Associazione Nazionale Operatori Sociali e Sociosanitari): http://www.superando.it/content/view/5452/112/ 95 Franco Pesaresi Presidente dell'ANOSS (Associazione Nazionale Operatori Sociali e Sociosanitari): http://www.superando.it/content/view/5452/112/
. Nel complesso, dunque, le
risorse statali per il sociale che sono state erogate nel 2010
alle Regioni - e poi attraverso queste ai Comuni - sono state
diminuite di 117 milioni di euro. Le “vittime” di questi tagli,
come si è capito, sono le classi meno agiate del paese,
infatti, buona parte di queste risorse “tagliate” sono destinate
ai comuni che le utilizzano, come abbiamo visto nella ricerca
ISTAT, per finanziare le attività e i servizi sociali. Il risultato
complessivo di questa decurtazione dei finanziamenti statali
per il sociale - sommati a quelli del 2009 e del 2008 - sarà
quindi un forte ridimensionamento delle politiche sociali
operate dai comuni, con una riduzione dei servizi sociali e un
95
aumento delle quote di partecipazione alla spesa a carico
dell’utente. Ricapitolando quindi, in un periodo di estrema
crisi per buona parte della popolazione italiana, in cui
servirebbero più risorse da dedicare al settore sociale, tali
risorse vengono ridotte, contribuendo ad amplificare gli effetti
della crisi stessa sulle famiglie italiane più fragili.
La situazione per l'anno corrente, 2011, non sembra
migliorare affatto, anzi volendo osare possiamo dire che è
peggiore dell'anno passato. La Legge 13 dicembre 2010, n.
220 recante Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011) e la
Decisione di finanza pubblica (da qui in seguito DFP) per gli
anni 2011-2013, hanno destato parecchio nervosismo e
delusione fra gli amministratori locali, in quanto anche questa
volta buona parte dei "tagli" graveranno sulle casse comunali
e provinciali. Con la Finanziaria 2011, è stato operato un
taglio medio del 13,7% della spesa corrente dei Comuni. I
tagli maggiori sono indirizzati a Province e Comuni con
popolazione superiore a 5.000 abitanti, per le
amministrazioni provinciali, è stata operata una riduzione dei
contributi statali pari al 22,93%, mentre per i Comuni superiori
alle 5.000 unità, la decurtazione media è pari all’11,72%.
Questo significa un ancor più ridotta capacità da parte dei
Comuni di investire in opere pubbliche e in servizi sociali. L'ex
presidente dell'ANCI96, Sergio Chiamparino, nel corso di
un'audizione dinnanzi le commissioni riunite Bilancio di
Camera e Senato sulla "DFP" avvenuta ad ottobre 201097
96 Associazione nazionale comuni italiani 97 Tucci. C, 2010, “Chiamparino: il 60% dei tagli alla spesa a carico dei comuni. Corte dei Conti: allarme crescita”, Il sole 24ore 07/10/2010, leggibile su: http://bit.ly/9JUxAe
,
disse che il DFP ha avuto sui Comuni un peso molto
96
rilevante, in quanto, sui circa 15 miliardi di tagli alla spesa un
abbondante 60% è a carico della finanza locale, e che c'è
uno squilibrio iniziale a cui si aggiungono tagli ai trasferimenti
pari a 1,5 miliardi per il 2011 e 2,5 miliardi per il 2012.
Anche l’Assessore al Welfare della Regione Puglia, Elena
Gentile, boccia in pieno la manovra finanziaria98
98 Documento leggibile su http://www.centrostudierasmo.eu/?p=2016
: siamo oltre
la macelleria sociale: questa manovra massacra le famiglie,
vuole epurare i disabili e ridicolizza le donne. Così si nega il
futuro alle donne e a tutti i soggetti deboli. Sempre
l'assessore Gentile nel suo commentare la Finanziaria
continua dicendo che, Il taglio netto perpetrato ai comuni,
genererà effetti devastanti sulla capacità degli Enti locali di
continuare ad assicurare il trasporto pubblico locale, i servizi
scolastici (mense, trasporto scolastico, integrazione
scolastica dei disabili), le rette per i centri diurno, ecc); la
riduzione del 50% della spesa per assunzioni a tempo
determinato produrrà effetti devastanti per gli asili nido
comunali e molti altri servizi sociali assicurati dai comuni, che
molto spesso si avvalgono di personale assunto al di fuori
delle piante organiche e non con assunzioni a tempo
indeterminato. Il taglio della spesa per il diritto allo studio dei
disabili, scarica sui Comuni ogni forma di assistenza per i
disabili che non sia direttamente collegata all’educazione e
all’istruzione: significa che sia l’assistenza di base che
l’assistenza specialistica saranno scaricate sui Comuni,
mettendo a rischio la stessa possibilità di frequenza
scolastica per quei minori disabili i cui Comuni, cioè quasi
tutti, non saranno in grado di assicurare risorse sufficienti. Il
taglio dei finanziamenti sociali complessivi mette del tutto a
97
rischio la possibilità di assicurare i LEA99
, perché i
trasferimenti di fondi ai Comuni, ormai del tutto esigui, non
consentono di assicurare la compartecipazione finanziaria
per la quota sociale delle rette per strutture residenziali e
centri diurni, che ricadranno sulle famiglie oppure
genereranno infiniti contenziosi e decreti ingiuntivi nei
confronti dei Comuni soccombenti in caso di ricorsi
amministrativi formulati da quelle famiglie a cui sarà negato il
contributo finanziario; tutti i disabili psichici e in particolare le
persone down e autistiche, non potranno più accedere
all’indennità di accompagnamento, che potrà essere
riconosciuto solo con invalidità superiore all’85%, e non più al
74%.
Concludendo questo breve exursus sulle politiche finanziarie
attuate dal nostro Governo, possiamo dire che per le politiche
sociali in particolare e per i Comuni in generale si prospettano
tempi difficili. I Comuni adesso dovranno ingegnarsi
ulteriormente per trovare fondi extra necessari per garantire
ancora quei servizi sociali (fra i quali anche la manutenzione
di beni pubblici come parchi cittadini, edifici pubblici ecc) che
ora sono a rischio. Questi fondi necessari per il benessere
generale della popolazione. per forza di cose andranno
cercati tra le aziende, le fondazioni, e i privati cittadini,
attraverso gli strumenti di fundraising che andremo ad
analizzare nei prossimi paragrafi.
99 Livelli Essenziali di Assistenza sociosanitari di cui all’Allegato 1C del D.P.C.M. 29.11.2001
98
3.3 Imprese e fundraising
Il sostegno economico a favore del benessere pubblico al
fine di migliorare la qualità dell'ambiente in cui le imprese
profit operano è una delle motivazioni profonde e
determinanti per cui finanziano le organizzazioni del terzo
settore e gli enti pubblici come i Comuni. La logica per cui più
ricca è la comunità, maggiori saranno gli affari è spesso citata
per spiegare le dinamiche alla base dei fondi erogati dalle
imprese100. Ma in realtà, molte delle forme a cui le aziende
ricorrono attualmente per sostenere le organizzazioni del
terzo settore e gli enti pubblici, sono ovviamente
contraddistinte più da un interesse aziendale che non dal
desiderio di aiutare il prossimo,101
Secondo Burlingame e Young, le aziende profit aiutano quelle
non commerciali per 4 "motivi" differenti: modello della
produttività aziendale; modello etico altruistico; modello
politico; modello stakeholders. Il primo modello, quello della
produttività aziendale, consiste nella possibilità che la
donazione si traduca in un ritorno economico o di immagine
per l'azienda donatrice. Il secondo modello invece fa leva sul
senso di responsabilità sociale che le aziende hanno nei
infatti va detto che la
maggioranza delle imprese che decidono di finanziare un
ente non commerciale, lo fanno in virtù del fatto che la buona
causa sostenuta è legata in qualche modo alla propria
clientela, e quindi questi finanziamenti sono visti come
"donazioni sicure".
100 Melandri, V. Il libro del fundraising: etica strategia e strumenti della raccolta fondi 101Ibidem.
99
confronti della popolazione e del territorio in cui operano. Il
modello politico presenta due versione, una esternalista e
una internalista; la visione esternalista prevede che l'azienda
profit faccia una donazione per costruire relazioni atte a
limitare le interferenze del potere pubblico nei confronti
dell'azienda donatrice; la visione internalista invece prevede
che si attivino degli accordi fra azienda profit e no-profit, che
non si riducono alla sola donazione di soldi, ma prevedono
anche periodi di volontariato del personale dell'azienda profit
presso quella non commerciale, questo serve a portare
nuove competenze e nuove alleanze agli operatori pubblici e
del terzo settore. L'ultimo modello, stakeholders, si fonda
sulla premessa che le moderne aziende devono rispondere
non solo ai propri azionisti, ma a molteplici gruppi di persone,
giornalisti, ambientalisti, politici ecc, e dare denaro per una
buona causa costruirà intorno all'azienda una buona aurea, e
quindi un opinione positiva.
Le aziende in buona parte dei casi, finanziano gli enti pubblici
"bisognosi" in modo straordinario; cioè non pianifico
donazioni annuali, ma preferiscono concentrare le proprie
erogazioni di denaro su eventi di particolare interesse
generale e quindi di grande visibilità. Si preferiscono i grandi
eventi e le grandi opere per un discorso di marketing e di
comunicazione d'impresa. L'azienda, come detto in
precedenza, concede dei fondi economici non tanto per
spirito caritatevole, ma per cercare di massimizzare i profitti
ricavati dalla vendita dei propri prodotti. Solitamente, quindi,
si danno fondi ad un ente pubblico o no-profit, in cambio di un
ritorno di immagine positivo, per questo come forma di
100
finanziamento si preferisce la sponsorizzazione o il cause
related marketing alla semplice donazione.
3.4 La sponsorizzazione102
La sponsorizzazione è lo strumento di funding più usato e
più popolare fra gli Enti Locali. Questa pratica è altamente
diffusa soprattutto per raccogliere fondi da destinare alla
manutenzione di palazzetti dello sport (es: il PalaDozza di
Bologna sponsorizzato dall'azienda di automodili "Land
Rover"), parchi comunali (es: Idroscalo di Milano
sponsorizzato dall'azienda di abbigliamento sportivo "Fila").
Oltre che uno strumento di funding, la sponsorizzazione in
materia di marketing, insieme alla pubblicità, al direct
marketing, alle pubbliche relazioni e alla vendita personale, è
un elemento della promotion. Tramite questa attività un
soggetto, quasi sempre aziendale o fondazione, supporta
economicamente o tecnicamente un’organizzazione, in
questo caso la PA e nello specifico l'Ente Comunale, al fine di
permettere a quest’ultimo di realizzare il proprio progetto
riducendo la spesa prevista. Il vantaggio acquisito dal
soggetto sponsor è il ritorno di immagine, che consiste
nell'associazione del suo nome a quello di un bene o di un
servizio pubblico. Il soggetto sponsorizzato (sponsee),
invece, avrà più risorse da destinare ad altre attività di
interesse pubblico, come i servizi sociali di cui parlavamo
prima o i beni culturali (musei, biblioteche, edifici..), i centri
102 Paragrafo tratto dal una mia presentazione per il corso di "Marketing Sociale" leggibile su: http://www.slideshare.net/FrancescoPirri/sponsorizzazione-nellamministrazione-pubblica
101
sportivi (stadi, palazzetti dello sport, eventi sportivi..), la
manutenzione di infrastrutture (rotonde stradali, giardini
pubblici..). In base all'oggetto che deve essere sponsorizzato
il comune di turno, o l’agenzia concessionaria, cerca una o
più aziende alle quali potrebbe interessare la proposta. Un
parametro di scelta dell'azienda è l'attinenza fra sponsor e
sponsorizzato, criterio necessario per far fruttare il più
possibile la collaborazione fra i due enti. Una volta individuati
i possibili partner commerciali si passa alla fase contrattuale.
Poiché non esiste un negozio giuridico specifico tale da
prevedere l'acquisizione di risorse finanziarie da parte dello
stato, si ricorre spesso a un "contratto passivo", cioè si affida
la ricerca dello sponsor e la contrattazione con esso ad una
società esterna, la quale si sostituirà all'ente comunale nella
sottoscrizione del contratto con lo sponsor. Il contratto di
sponsorizzazione non è univoco, ma è redatto in base alla
tipologia di sponsorizzazione scelta. Esistono, infatti, diversi
tipi di sponsorizzazione: Title sponsor, quando si da
all'azienda la possibilità di titolarsi dell'evento o dell'opera,
naturalmente non tutti i beni/servizi degli enti comunali si
prestano a quest'attività. C'è un solo title sponsor, quindi si
tratta di primaria presenza pubblicitaria in cambio di un equo
corrispettivo economico. Questo tipo di sponsorizzazione non
sempre conviene perché può allontanare gli altri possibili
sponsor. Il Main sponsor, è una posizione riservata alle
aziende che vogliono godere di tutti i privilegi (ad esclusione
della titolazione) in cambio di un notevole investimento
economico. Se l'evento/opera/servizio ha un title sponsor
allora sarà opportuno avere un solo main sponsor, in assenza
del title sponsor allora sarà possibile avere più main sponsor.
Lo Sponsor ufficiale, invece è un ruolo riservato a quelle
102
aziende che si vogliono avvalere delle opportunità "standard"
garantite da un preciso bene/servizio. Lo sponsor ufficiale
non ha l'esclusività, infatti spesso ci sono più sponsor ufficiali,
rendendo cosi più debole l'efficacia comunicativa. Lo Sponsor
tecnico, è ricoperto da quelle aziende che per proprie
caratteristiche o esigenze preferiscono sponsorizzare l'evento
tramite la fornitura gratuita di materiale/servizi. È il caso delle
coperture assicurative per le mostre o della fornitura di
abbigliamento per le attività ludiche e sportive. Nella scelta
dell'azienda e del tipo di sponsorizzazione da attivare
bisogna sempre tenere presente i rischi a cui si potrebbe
andare in contro. Un pericolo da evitare assolutamente sono
le "cattive” sponsorizzazioni, cioè l'associazione con un
marchio dannoso per l'immagine dell'amministrazione. Altre
sponsorizzazioni da evitare sono quelle che potrebbero
minare il principio di buon andamento della PA sancito
dall'art. 97 della costituzione. Ma i pericoli da evitare non li ha
solo l'amministrazione di turno, ma anche l'azienda che
sponsorizza. Il rischio maggiore per l'azienda è insito nella
legge che regola le sponsorizzazioni l'Art. 43 della legge
449/97, la legge dice che lo sponsee deve fare quanto
necessario per divulgare il marchio dello sponsor. Spesso il
"quanto necessario" corrisponde all'impegno minimo da parte
della PA, il che non incentiva assolutamente gli sforzi
economici delle aziende. Altro aspetto che diminuisce di
molto l'attrattività della sponsorizzazione ad un ente pubblico
locale da parte di una azienda è la mancanza di uno sgravo
fiscale.
Dal punto di vista dell’ente pubblico, infatti, i corrispettivi
percepiti per contratti di sponsorizzazione rientrano nel
103
novero delle attività commerciali, in quanto la pubblicità è un
servizio di intermediazione di beni e servizi. Secondo la
disposizione legislativa, le pubbliche amministrazioni non
sono soggette alle imposte sui redditi103. Dal punto di vista
dello sponsor, invece, l’attività di sponsorizzazione rientra nel
campo della pubblicità e in base alla normativa fiscale
vigente, il costo relativo a spese di sponsorizzazione va
imputato a conto economico per quote di competenza,
eventualmente da ripartire in 5 esercizi104. Solo le somme
erogate per il finanziamento di un progetto umanitario
costituiscono un costo interamente deducibile dal reddito di
impresa, a condizione che le stesse siano state sostenute in
dipendenza di un particolare contratto di sponsorizzazione e
siano direttamente connesse alla particolare attività
pubblicitaria in concreto esercitata105. In quanto la
sponsorizzazione prevede un corrispettivo economico a
fronte di un’obbligazione "di fare" e trattandosi di attività
commerciale, è senza dubbio assoggettabile ad IVA, e ciò
comporta il sorgere di tutti gli adempimenti connessi, come
l’obbligo, per l’ente pubblico, di fatturare le prestazioni106. In
caso di sponsorizzazione ordinaria, sia l’ente pubblico che lo
sponsor sono tenuti ad emettere fattura, mentre nel caso in
cui, la sponsorizzazione si concretizza in servizi di
manutenzione del verde pubblico in cambio della
collocazione sul posto di cartelli pubblicitari, l’operazione non
è imponibile ai fini IVA perché costituisce un’entrata tributaria
e non un corrispettivo107
103Art. 74, comma 1, TUIR (nella nuova formulazione del D.Lgs. 344 del 12/12/2003) 104 Matteo Esposito su: http://bit.ly/nxE55u 105 Ris. Ag. Entrate, 14.11.2002, n. 356 106 In merito alle quali sono stati fornite delle utili indicazioni dall’Agenzia delle Entrate(Parere n. 15 0657 del 23 settembre 2002.) e dal Ministero dell’economia e delle finanze (Parere n. 606 del 27 gennaio 2003. 107 Ibidem
. Per cui, solo lo sponsor sarà tenuto
104
ad emettere fattura all’ente. Per quanto riguarda l'imposta di
pubblicità, la sponsorizzazione di attività degli enti locali non
rientra tra le possibili esenzioni previste dalla normativa108,
ma consente allo sponsor di usufruire di una riduzione del 50
per cento109
Il processo di sponsorizzazione attivato da quasi tutte le PA si
può dividere in tre tappe. La prima cosa che si fa è un'analisi
preliminare del patrimonio dell'amministrazione. Questa
analisi permette di capire: quali sono i beni/servizi a rischio
che quindi necessitano di fondi, quale pubblico è attirato da
questo bene/servizio, quale tipo di sponsorizzazione potrebbe
essere quella più adatta al progetto. Finita questa analisi
inizia il processo di ricerca delle aziende e offerta
dell'opportunità di sponsorizzazione. A causa dell'anomalia
contrattuale, questi processi, come detto in precedenza, sono
affidati ad agenzie esterne, che possono cercare i possibili
interessati mediante trattativa pubblica (bandi di gara) o
mediante trattativa privata (nel qual caso i tempi sono
ristretti). Come ultimo atto del processo, c'è la stipulazione
del contratto "atipico". Come detto prima si opta per un
"contratto passivo" affidando la gestione del processo a una
società esterna. Questa società di intermediazione si prende,
solo formalmente, tutto l'onere economico e organizzativo del
progetto (che sia l'organizzazione di un evento o la
ristrutturazione di un edificio) ma praticamente il costo
dell’opera sarà coperto interamente dagli sponsor trovati in
precedenza. Il denaro risparmiato dalla PA per il progetto
promosso, verrà diviso fra il manager della PA che ha attivato
il processo che percepirà il 5%, il 65% verrà versato
.
108 Art. 17 del D.lgs. 507/1993 109 Art. 16 del D.Lgs. 507/1993
105
nell'entrata del bilancio dello stato, il restante 30% costituirà
economia di bilancio per l'amministrazione. Questi vincoli di
destinazione obbligatoria dei fondi si applicano solo per i
servizi o attività inseriti nei programmi di spesa ordinari.
Fino ad oggi le sponsorizzazioni sono state attivate per quei
beni o servizi di non di primario interesse per la PA. Gli ambiti
dello sport, della cultura e del sociale sono quelli più soggetti
alle sponsorizzazioni perché sono i più soggetti a tagli di
spesa da parte delle amministrazioni. Ma a causa della crisi
economica, anche i servizi primari che ogni stato dovrebbe
garantire, come la sanità o l'istruzione, necessitano di fondi
extra, e quindi nell'immediato futuro si prospetta la possibilità
di avere la scuola o l'ospedale del paese sponsorizzato da
un'azienda o da una fondazione. Se questo pronostico si
avvererà, bisognerà stare attenti a non minare la funzione di
pubblica utilità e l'imparzialità di queste istituzioni.
3.5 Il Cause Realated Marketing
Cause Related Marketing significa letteralmente attività di
marketing collegata ad una causa sociale. Si tratta di una
partnership tra un’azienda profit ed un’organizzazione non
commerciale per realizzare un progetto di interesse sociale,
finalizzato al tempo stesso al perseguimento degli obiettivi
commerciali dell’azienda.
La data di nascita di questo strumento di marketing sociale è
convenzionalmente fissata al 1983, anno in cui American
106
Express coniò tale definizione per descrivere l’iniziativa che la
vedeva impegnata nel progetto di restauro della Statua della
Libertà, simbolo dei valori nazionali degli Stati Uniti
d’America. Il progetto prevedeva la donazione alla
Fondazione Ellis Island di 1 cent per ogni transazione
effettuata con la carta di credito e di 1 dollaro per ogni nuova
carta emessa. In totale American Express contribuì al
progetto con 1,7 milioni di dollari, incrementando del 28% il
tasso di utilizzo della carta da parte dei consumatori. Nel
1988 gli autori Varadarajan e Menon descrissero il CRM
come un processo di formulazione e implementazione di
un’attività di marketing caratterizzata dall’offerta dell’azienda
di contribuire con una specifica somma per una causa
stabilita, nel momento in cui un consumatore si impegna in
uno scambio economico che genera profitto all’impresa e che
soddisfa gli obiettivi dell’organizzazione e dell’individuo. Lo
sviluppo di questo strumento di promozione è dovuto alla
globalizzazione e quindi all'iper-comunicazione che la
contraddistingue; come ben sappiamo una qualsiasi notizia
riesce ad abbattere le barriere spazio-temporali attraverso il
web. Questo processo di diffusione delle informazioni ha
contribuito in modo sostanziale alla crescita culturale ed etica
del consumatore, sviluppandone la capacità critica sui
prodotti da acquistare. Tutto ciò ha generato un innalzamento
delle pretese dei consumatori nei confronti dei prodotti di
consumo, che ha contribuito al diffondersi di una nuova
sensibilità verso le tematiche ambientali, sociali, culturali,
artistiche e dei diritti umani, ed in generale ha portato a
modificare il comportamento nelle dinamiche di acquisto.
Dalle ricerche condotte nel mese di Giugno del 2003110
110 CENSIS, La produzione di capitale sociale, 2003
dal
107
Censis, salta all'occhio come il consumo “critico” o intelligente
si va configurando come un fenomeno sempre più di
“massa”; il 50,5% degli italiani nel 2003, ha acquistato
prodotti solo dopo aver verificato che non inquinino, che per
la loro produzione non siano stati impiegati minori e siano
stati rispettati i diritti dei lavoratori. Inoltre, il 40,5% ha evitato
di comprare prodotti dopo averne verificato la provenienza da
parte di aziende che reputava avere comportamenti non etici,
e il 14,2%, è passata dalle parole ai fatti, partecipando, in
diversi modi, a campagne di boicottaggio verso aziende che
ritenevano non etiche. Insomma, la progressiva
responsabilizzazione individuale anche nell’atto di acquisto di
un prodotto ha definitivamente trasformato nella pratica i
consumatori da soggetti passivi a soggetti attivi, che adesso
si esprimono in comportamenti sempre più definiti e concreti.
La decisione di acquisto, oggi, non è più determinata
esclusivamente da fattori di convenienza economica, di
piacere personale o di esperienza pregressa ma si tiene
sempre più conto di ciò che c’è dietro, ovvero di ciò che
l’azienda rappresenta, comunica, promette ma, soprattutto,
fa111
111 Intervento di Laura Michelini al Concresso internazionale "Le tendenze del marketing": Strategie di corporate giving e cause related marketing in Italia: tra benessere e fini di business http://www.escp-eap.net/conferences/marketing/pdf_2003/it/michelini.pdf
. Secondo i dati di CSR Monitor, elaborati sempre dal
Censis, emerge un'incessante richiesta affinché le imprese
operino nell’interesse della collettività; se nel 1999 gli italiani
che dichiaravano “importante” la responsabilità sociale come
elemento di valutazione di un’azienda erano il 36% del
campione, nel 2001, quindi in soli due anni, si è passati al
62%. Per questo motivo, le imprese, per essere
commercialmente competitive nel mercato odierno, devono
mostrare il loro impegno ad attuare una politica di
108
Responsabilità Sociale d’Impresa (da qui in poi RSI), che non
vuol dire applicarla solo a livello strategico e di
organizzazione, ma significa che queste aziende devono
adoperarsi al fine di rendere la RSI parte integrante della
mission aziendale. La RSI è definita, nel Libro Verde della
Commissione dell’Unione Europea, come l’integrazione
volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle
imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti
con le parti interessate (…) Essere socialmente responsabili
significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici
applicabili ma, anche, andare al di là, investendo nel capitale
umano, nell’ambiente e nei rapporti con le parti interessate.
Gli attori coinvolti in un progetto di CRM sono tre: l'impresa,
l'ente pubblico o l'organizzazione non profit (la causa) e
l'ambiente (stakeholder e consumatori). Il CRM consente di
affrontare i problemi sociali più attuali fornendo le risorse e i
finanziamenti e, al tempo stesso, perseguendo gli obiettivi di
marketing e comunicazione delle imprese. A parità di prezzo,
il sostenere una buona causa, può contribuire a spostare la
scelta del consumatore verso i prodotti “sensibili” alla causa
in questione, infatti, l'impegno sociale di un'impresa, ricopre
un'attività importante nella costruzione del suo "valore"
presso i consumatori. Possiamo suddividere il CRM in quattro
tipologie: di transazione, di promozione, di licesing di joint
fundraising. Nel CRM di transazione l'impresa fornisce
all'organizzazione non commerciale le risorse finanziarie o
materiali relativamente al fatturato derivante dalla
collaborazione instaurata. Nel CRM di promozione il prodotto
dell'impresa viene utilizzato come mezzo per la trasmissione
del messaggio e della causa sostenuta dall'organizzazione
109
non commerciale. Nel CRM di licesing L'organizzazione non
commerciale concede il proprio marchio in cambio di una
corrispettiva quantificazione economica. L'ultima tipologia, il
CRM di joint fundraising, consiste nella concessione da parte
dell'azienda di mezzi, strumenti e risorse all'organizzazione
non commerciale per il sostegno della causa; in questo modo
l'azienda diventa intermediaria tra i propri clienti e l'ente non
commerciale.
I sei principi che governano il Cause Related Marketing sono
stati definiti da un gruppo di lavoro costituito ad hoc112
• Integrità, comportamenti onesti e etici aderenti ai principi
morali nei confronti di tutti coloro che vengono coinvolti
nell'iniziativa.
e
riportati nel Codice di Comportamento promosso da Sodalitas
e il Centro per lo sviluppo della Corporate Social
Responsibility:
• Trasparenza: è fondamentale il pianificare, realizzare e
comunicare le partnership.
• Sincerità, la comunicazione non deve essere mai
ingannevole, il consumatore accetta positivamente l'esistenza
di un rapporto di mutuo beneficio tra impresa e
112 Nell'ottobre del 2004 un Gruppo di Lavoro formato da ABB, Assif, assocomunicazione, Assolombarda, Assorel, Azione Aiuto, BCC Treviglio, Bipielle, Cesvi, Cittadinanzattiva, Fedrmanager, Ferpi, Filo Diretto, Fondazione Ospedale Meyer, Henkel, Istituto Percorsi Onlus, Isagro, Koinetica, Ministero del Welfare, Mondadori Informatica, Philips, Politecnico di Milano, RCS Mediagroup, Reale Mutua, Studio Lentati, Summit Comunicazione, Tiscali, TP, Unicom, Unicredit, Università Bocconi, UPA e Vita Comunicazione ha messo a punto i principi base per lo sviluppo di progetti di Cause Related Marketing trasparenti ed efficienti.
110
organizzazione non profit ma rigetta l'impresa sospettata di
approfittare della causa o dell'organizzazione non profit a
proprio vantaggio.
• Mutuo rispetto, il valore di cui il partner è portatore deve
essere rispettato, l'apprezzamento e il rispetto del "valore"
rappresentato da ciascun partner sono indispensabili per
raggiungere gli obiettivi concordati
• Partnership, per il successo dell'iniziativa entrambe le parti
devono avere lo stesso peso. Il raggiungimento degli obiettivi
preposti, dipende dalla capacità di "fare squadra", più si è
capaci di lavorare insieme, più probabilità ci sono di
raggiungere un il risultato condiviso.
• Muto beneficio, si considera fondamentale il principio che
deve esistere un vantaggio per entrambi i partner, tra gli
obiettivi di marketing dell'impresa e la mission
dell'organizzazione non commerciale secondo criteri di
valutazione definiti con chiarezza e in anticipo.
Sempre all'interno del Codice di Comportamento, il gruppo di
lavoro ha notato come di solito un buon progetto di CRM è
costituito da tre fasi di lavoro: preparatoria, esecutiva e di
controllo. Di seguito analizziamo le azioni e gli strumenti da
adottare all'interno delle tre diverse fasi di lavoro di un
progetto di CRM.
111
• Fase preparatoria. Questa fase preliminare consiste
nell'individuare, come avviene per le sponsorizzazioni, il
partner più adatto, soprattutto per quanto riguarda l'immagine
che ne ricaverà l'azienda nei confronti dei consumatori e degli
stakeholder. Nella scelta di un “alleato” è importante che sia
l'azienda, sia l'organizzazione non commerciale abbiano
compreso reciprocamente i ruoli, gli obiettivi e i valori. La
sinergia tra le parti consente di ottenere un'alleanza efficace
ed efficiente. In questa fase rientra anche la definizione degli
obiettivi, le modalità d'azione, i preventivi di spesa e i tempi di
attuazione. Nella definizione dei dettagli della partnership e
del programma operativo di CRM è importante che tutte le
parti in causa apprezzino gli sforzi e i benefici che un
soggetto del “patto” si prefigge di raggiungere con il progetto
in comune, e che nessuno si senta sfruttato. Una vota essersi
“conosciuti”, bisogna stendere un contratto vero e proprio. La
messa a punto definitiva del documento deve comprendere
obiettivi, ruoli, responsabilità reciproche e momenti di verifica.
Nello specifico, dovranno essere definiti i diritti di proprietà
intellettuale, gli aspetti fiscali e finanziari del progetto, le
clausole di conclusione dell'accordo, il piano delle attività e i
tempi di attuazione113
.
• Fase esecutiva. Ciascuna delle due parti di solito nomina
un proprio referente operativo che si occupa dell'accordo
preso. Il piano operativo deve definire nel particolare e con
molta chiarezza le tappe fondamentali del progetto e le
113 Lara Motta su http://www.eccellere.com/Rubriche/Marketing/causerelated.htm
112
relative scadenze. Il piano di comunicazione dovrà cercare di
valutare e nel caso prevenire tutti i possibili ritorni, sia
negativi sia positivi. La comunicazione deve essere
trasparente e deve veicolare il bisogno di partecipazione al
consumatore finale del prodotto.
• Fase conclusiva (monitoraggio). Prevedere un piano di
monitoraggio per poter intervenire tempestivamente con
eventuali correzioni al progetto; verificare in corsa la bontà
dell'operato svolto, permette ad entrambi gli enti di non
compromettere la propria la mission e quindi la propria
reputazione. Al termine del progetto, inoltre, è importante
procedere con l'analisi e la valutazione dei risultati ottenuti,
non solo in termini di vendite, raccolta fondi e rassegna
stampa, ma anche attraverso un'indagine che rilevi gli
eventuali cambiamenti di opinione negli stakeholder, nei
dipendenti e nei clienti (soddisfazione, immagine, reputazione
ecc).
Dal punto di vista legale, il contratto di cause related
marketing è assimilato al contratto di sponsorizzazione,
quindi i costi sostenuti dall’impresa nell’ambito della
campagna CRM sono da considerare interamente deducibili
dal reddito come costi inerenti ad una particolare tecnica di
vendita114
114 Risoluzione n. 356 del 14 novembre 2002 – DPR 917/86, articolo 75 comma 5
. In Italia Il CRM è utilizzato soprattutto nell'ambito
del terzo settore e dei “patrimoni dell'umanità”, infatti sono
pochi i comuni che intraprendono questa attività,
preferendogli la sponsorizzazione. Un buon esempio di CRM
applicato alle PA è il caso “La Fornarina”. Nel 2006 Estèe
113
Lauder, azienda leader nella cosmesi femminile, ha
sostenuto economicamente, attraverso la vendita dei propri
prodotti, il restauro dell'opera di Raffaello che era ed è sotto
la tutela del "Ministero dei beni e delle attività culturali"115. Ma
non è l'unico esempio di CRM in aiuto ad una PA; celebre è
infatti anche il caso "Save the glaciaers: conserviamo le
acque più preziose"116
Gli aspetti negativi del cause related marketing sono
pressoché identici a quelli relativi alle sponsorizzazioni, sia
dal punto di vista fiscale che dal punto di vista della
“pericolosità” delle alleanze. Infatti è bene chiedersi sempre
se è cosa buona associare l'immagine di un ente pubblico o
no-profit a quello di un'azienda profit, talvolta l'alleanza può
essere positiva, nel complesso, solo per quest'ultima. Altra
cosa da sottolineare è come le attività di CRM sono
intraprese dalle aziende solo in funzione di casi eclatanti,
come i ghiacciai perenni o “la Fornarina”, trascurando
completamente i “bisogni” pubblici e sociali meno eclatanti
. Nel 1999 l'azienda Lever Fabergé
Italia stava promuovendo il principio di eco-efficienza che si
traduceva operativamente nella realizzazione di detersivi per
uso domestico di alta qualità, che utilizzano meno materiali
ed energia possibili, riducendo al minimo l'impatto ambientale
delle fabbriche. Il progetto "Save the Glaciers" si proponeva
di tutelare la più preziosa e importante risorsa delle
montagne, l'acqua, materia prima fondamentale, che si
inquadra nella più ampia iniziativa "Top Water Stewardship",
lanciata da Unilever (proprietaria del marchio Lever Fabergé
Italia) su scala mondiale, allo scopo di sensibilizzare le
persone sul tema della tutela e conservazione dell’acqua.
115 Fonte ministero beni culturali http://bit.ly/mRMmy1 116 Fonte: http://www.k3lavoriverticali.com/pdf/savetheglaciers_1999.pdf
114
ma comunque importanti per la comunità, infatti è proprio
questa peculiarità che non consente agli Enti Comunali di
intensificare le attività di CRM. Inoltre va sempre ricordato
che sia per intraprendere un'attività di CRM che di
sponsorizzazione è necessario trovare un partner, l'inizio
delle operazioni non dipendono dalla sola volontà dell'ente
non commerciale di turno, e di questi tempi trovare un partner
aziendale diventa sempre più difficile.
3.6 Le donazioni
Le donazioni fatte da persone fisiche, sono un'attività ad
appannaggio quasi esclusivo delle organizzazioni del terzo
settore. Gli enti pubblici raramente hanno puntato su questa
forma di funding, e nei casi in cui comunque si è donato
qualcosa ad un ente pubblico non è stato sicuramente merito
della retorica o della filantropia messa in atto dal soggetto
pubblico, ma è stata la sola volontà del donatore.
Possiamo dire che la modalità più utilizzata con cui le
persone donano soldi ai Comuni è quella del 5 per mille.
Ricorda Maurizio Mumolo, direttore del Forum del Terzo
Settore, che il 5 per mille è stato istituito dalla Finanziaria del
2005, e poi confermato ogni anno dalle successive
Finanziarie: Ogni anno s'introduce la copertura finanziaria, il
che significa che ogni anno bisogna fare una battaglia117
117 Rosaria Amato, 5 per mille, Tremonti promette “voterò per reintegrare quei fondi”, La Repubblica, 23 novembre 2010, articolo leggibile su
. Il 5
per mille, infatti, è stato introdotto dalla Finanziaria 2006, a
http://bit.ly/pFXAVt
115
titolo iniziale e sperimentale (così testualmente recita la
norma). la motivazione che ha ispirato questa scelta è stata
sostenere il volontariato, le Onlus, la ricerca scientifica e
sanitaria, nonché i Comuni per le attività sociali svolte. Dati
alla mano, dalla sua prima applicazione emerge che il 5 per
mille del 2006 ha fruttato in totale 328 milioni di euro. Il
cambio di Governo avvenuto nella primavera del 2006 non ha
consentito al 5 per mille di uscire dalla fase di
sperimentazione. Il Legislatore della Finanziaria per il 2007 e
per il 2008 ha escluso l'istituto, almeno inizialmente, dai due
progetti di legge, per poi reintrodurlo rivisto e corretto. Nella
Finanziaria 2007, infatti, il 5 per mille è stato reinserito con
alcune modifiche sul fronte dei soggetti ammessi, con
l'esclusione di fondazioni e Comuni. Nel 2007 le risorse (fu
messo un tetto per 400 milioni di euro) sono state 371 milioni;
l'anno successivo 397 milioni (ancora una volta con un tetto
di 400 milioni). Le risorse del 2008 sono state così divise: 278
milioni per il volontariato; 64 milioni per la ricerca scientifica
(in testa l'associazione contro il cancro AIRC, che ha avuto
circa 70 milioni) e la ricerca sanitaria, con altri 65 milioni. Per
il 2011, il tetto è stato fissato a 100 milioni, con una riduzione
del 75%, una cifra chiaramente inferiore alle preferenze di
solito espresse dai contribuenti118
118 Marco Mobili, il Sole 24ore, ottobre 2007
. Come riportato dall’ANCI,
nel 2009 (tetto fissato a 400 milioni di euro) l’importo
complessivo destinato ai Comuni per le attività sociali è stato
di 13.201.971,77 euro; vale a dire che ogni cittadino che ha
deciso di donare il proprio 5 per mille al comune di residenza
ha donato in media 24,47 euro. In totale per l’anno 2009 sono
116
stati 539.568 cittadini a preferire il proprio comune agli altri
enti idonei a ricevere la donazione119
La donazione è il contratto
.
Prima di approfondire il discorso sulle donazioni volontarie,
cioè quelle mosse dal solo spirito caritatevole e non da leggi,
è bene fare una panoramica generale sul cosa significa
donare in termini giuridico/fiscali.
120
119 Fonte www.anci.it “cinque per mille ai comuni: gli importi del 2009” 120 l'articolo 769 del codice civile
con il quale, per spirito di
liberalità, una parte (donante) arricchisce l'altra (donatario),
disponendo a favore di questa di un diritto proprio, presente
nel patrimonio, o assumendo verso la stessa una
obbligazione. In pratica, è l'atto con cui si regala un bene
oppure ci si obbliga, per esempio, alla prestazione di un
vitalizio. Poiché la donazione è un atto giuridico, è necessario
che vi siano tutti i requisiti per la conclusione di un valido
contratto: occorre che ciascuno (donante e donatario)
acconsenta alla transazione, cioè il donante deve essere
capace di donare e il donatario deve essere capace di
ricevere la donazione, e inoltre la causa della donazione deve
essere lecita. Per rendere una donazione valida è necessario
nel particolare: la volontà del donante di “spogliarsi” di un
proprio bene, senza esigere un corrispettivo e senza esservi
obbligato, e l'interesse del donatario deve sempre essere non
patrimoniale (religioso, affettivo, culturale). Inquadrati i
soggetti dell'accordo, va detto che qualsiasi bene, mobile o
immobile, può essere oggetto di una donazione, purché lo
stesso sia di proprietà del donante. Altra caratteristica che
rende valido il contratto è la mancanza di vincolo
nell'accettare la donazione; nessuno può obbligare qualcuno
117
ad accettare un regalo e nel caso tale accettazione deve
essere espressa. Quando il beneficiario della donazione è lo
stato, e per esso il ministero dei beni culturali o ambientali, il
procedimento per ottenere l'autorizzazione governativa è
promossa dal ministero stesso. L'ufficio centrale competente
in materia svolge un'istruttoria tendente a verificare
preliminarmente la convenienza dell'amministrazione
nell'accettare il “dono”; infatti non necessariamente
all'interesse del privato a cedere in dono una sua proprietà
corrisponde un interesse della PA nell'acquisire lo stesso121.
La donazione è un atto rischioso soprattutto per un motivo: la
donazione è un atto tendenzialmente definitivo, come quasi
tutti i contratti è irrevocabile. Il donante non può più
riprendere ciò che ha donato, neppure se successivamente si
penta del suo gesto o se i rapporti tra le parti siano cambiati
dopo l'atto di donazione. Comunque, la donazione, come tutti
i contratti, può essere sciolta per mutuo dissenso o per cause
ammesse dalla legge, che prevede cause di revocazione
della donazione. Inoltre, è possibile correlare l’atto di
donazione di clausole o condizioni che prevadano l’effetto di
spogliare il donatario del bene donato e di farlo ritornare in
capo al donante. Solo chi ha la proprietà di un bene può
donare, non si può ovviamente donare un bene che
appartiene ad un'altra persona. Donanti e i donatari devono
essere capaci di intendere e volere122
121Articolo di Laura colombo sul notiziario dell’ufficio dei beni culturali, articolo consultabile su
. Anche le persone
giuridiche possono donare ne ricevere donazioni, ma solo se
tale capacità sia ammessa dal loro statuto o dall'atto
costitutivo e sia compatibile con gli scopi per i quali sono
http://bit.ly/pWYnqB 122 Anche se sono ammesse le donazioni di minori e di inabilitati in sede di convenzioni matrimoniali e sono ammesse, con le necessarie forme abilitative, le liberalità in occasione di nozze a favore dei discendenti dell'interdetto o dell'inabilitato, nonché si può donare a soggetti non ancora nati, anche se non concepiti
118
state costituite. La scelta del donatario deve essere fatta dal
donante o direttamente, o indicando un terzo, suo
mandatario, che sceglierà al suo posto. La scelta dell'oggetto
della donazione segue la stessa logica della scelta del
donatario. Tutti i beni possono costituire oggetto di una
donazione: mobili o immobili, denaro, titoli di credito, azioni e
quote di società, aziende, purché si tratti di beni presenti nel
patrimonio del donante e non di beni futuri.
Chi intende donare un bene può voler apporre all'atto di
donazione svariate clausole, per raggiungere i più diversi
obiettivi. Le clausole più usate in ambito di donazioni ad
associazione non commerciali sono: la donazione con
apposizione di termine, in cui Il termine può essere iniziale o
finale: se iniziale il donante indica il momento, futuro e certo
nel suo verificarsi, a partire dal quale la donazione avrà
efficacia; se finale, il donante indica il momento, futuro e certo
nel suo verificarsi, fino al quale la donazione avrà efficacia123;
la donazione modale, nella quale il donante impone un
obbligo a carico del donatario, se quest'ultimo vuole ricevere
il dono dovrà accettare di fare ciò che vuole il donante. Per
esempio si può imporre a colui che riceve in dono un edificio,
di utilizzare questo per farci una polisportiva, se il donatario
non rispetta l’obbligo, il donante può pretendere la
risoluzione della donazione124
Sotto il profilo tributario, le donazioni sono state quasi
completamente detassate dalla legge n. 383/2001 (c.d. legge
dei "100 giorni"). Qualsiasi bene venga donato e qualunque
sia il suo valore, se il contratto interviene tra coniugi, tra
.
123 Fonte studio notaio Vacirca, http://www.notaiovacirca.com/txt/allegati/guide_privati/3_donazioni.pdf 124 ibidem
119
parenti in linea retta o parenti in linea collaterale entro il
quarto grado, non vi è nessuna imposta da pagare, a meno
che si tratti di donazione immobiliare. Se, invece, tra donante
e donatario non ricorra nessun tipo di rapporti di parentela la
donazione è tributariamente rilevante. Donazioni a favore di
Stato, regioni, province e comuni, enti pubblici e fondazioni o
associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo
esclusivo l'assistenza, lo studio, la ricerca scientifica,
l'educazione, l'istruzione o altre finalità di pubblica utilità,
nonché a favore di organizzazioni non lucrative di utilità
sociale (ONLUS), sono esenti da imposte fiscali relative alle
transazioni di denaro o di beni (D.Lgs. 31 ottobre 1990, n.
346 art. 3). Non sono soggetti ad imposta inoltre i
trasferimenti a favore di movimenti e partiti politici.
Come abbiamo visto la donazione di beni ad enti pubblici o al
terzo settore, al contrario della sponsorizzazione o del CRM,
è completamente detassata. Nel caso degli enti pubblici, le
forme di donazione preferite sono quelle di beni immobili o di
beni artistici culturali, e spesso in questi casi, il donatore
regala i suoi beni solo a condizione che il donatario ne faccio
un uso specifico (le clausole di cui parlavamo prima). Per
questo motivo, non sempre l'ente pubblico di turno accetta il
dono, che talvolta significa investire più fondi di quanto
ricevuti. Finita la panoramica sugli aspetti giuridico/fiscali
della donazione non ci resta capire il perché e il come le
persone donano.
Le organizzazioni del terzo settore come gli enti pubblici
esistono per produrre, attraverso delle azioni, un effetto
positivo sulle vite di tutti; e le singole persone possono
decidere di sostenere economicamente una di queste buone
120
azioni. In quanto il fundraising riguarda le persone più di ogni
altra cosa, l'assioma per cui le persone donano ad altre
persone con una buona causa è più evidente quando
riguarda delle persone fisiche e non aziende o fondazioni. Le
persone fisiche rappresentano il maggior segmento del
mercato delle donazioni, potenzialmente i fondi dati dalle
persone sono superiori a quelli donati dalle aziende; questo
significa che gli enti bisognosi di denaro, che siano pubblici o
onlus, devono intraprendere un ciclo di conversazioni private
con i singoli donatori, che non essendo né esperti di
marketing né filantropi, solitamente guardano con timore e
scetticismo il fundraiser di turno. Infatti al contrario delle
sponsorizzazioni e del CRM, la donazione di soldi da parte
dei privati è fine a se stessa, non si richiede in cambio ne un
ritorno di immagine ne una promozione commerciale, quindi
si deve convincere la persona a donare su basi puramente
filantropiche.
Al contrario delle altre modalità di fundraising, in Italia le
donazioni erogate da persone fisiche rimangono pressoché
invariate nel tempo, insomma non accennano a diminuire.
Una modalità di donazione in forte crescita è quella del
“lascito testamentario”, cioè alcune persone che hanno
accumulato ricchezze nel tempo, inseriscono come
beneficiari nel proprio testamento le organizzazioni non
commerciali che per qualche motivo hanno destato l'interesse
del donatore. Naturalmente, come detto in precedenza, i beni
del testamento possono essere di vario genere. Per far si che
la persona decida di scegliere una determina associazione
piuttosto che un'altra, è necessario che il fundraiser crei dei
121
rapporti interpersonali duraturi nel tempo125. Per costruire
questi rapporti, talmente saldi che si concretizzano nella
donazione di denaro, il fundraiser deve procedere nella sua
opera attraverso alcuni principi fondamentali del fundraising.
Henry Rosso, considerato il padre del fundraising moderno,
ha individuato 5 concetti importanti che ogni fundraiser deve
assimilare per poter condurre una campagna di successo.
Come prima cosa i fundraiser devono identificare i
“costituenti” dell'associazione126
125 Melandri, V. Il libro del fundraising: etica strategia e strumenti della raccolta fondi 126 Melandri, V. I costituenti del fundraising: come stimolare il coinvolgimento nell’organizzazione non profit, in terzo settore, n.11 novembre 2003, pag. 19-23
. Sono “costituenti” i soci
dell'associazione, i dirigenti, i grandi donatori, i “clienti”
dell'associazione, i volontari, gli ex appartenenti a uno di
questi gruppi, e tutte le persone interessato alla causa
sostenuta dall'associazione. Questi “costituenti” sono i
donatori più probabili e quindi sono le persone su cui
intensificare il più possibile l'opera persuasiva del fundraiser.
Per sapere chi tra i costituenti donerà del denaro, è utile
analizzare ogni singolo caso attraverso il principio
denominato CAI. CAI è l'acronimo di “collegamenti”, “abilità”,
“interessi” e se un costituente risponde bene a questi tre
parametri allora è un probabile donatore. I “collegamenti” si
riferiscono ai rapporti umani che ha la persona fisica con
l'associazione, più forte è il legame più alta sarà la probabilità
del dono. “L'abilità” è intesa come il capire se il potenziale
donatore ha effettivamente una capacità economica che gli
permette di donare; anche se innumerevoli studi hanno
dimostrato che questo parametro non è dei più attendibili.
L'ultimo parametro, gli “interessi”, invece si riferisce alle
preferenze personali del potenziale donatore, maggiore è
l'interesse di quest'ultimo nel sostenere la “buona causa”
122
maggiori saranno i fondi che donerà. L'utilizzo di queste
informazioni permette al fundraiser di ricercare i potenziali
donatori, una volta trovati, allora si inizierà una vera e propria
ricerca sociale sulle singole persone. Si inizia con un primo
contatto che di solito avviene per mezzo posta, e-mail, o
telefono, questo serve per capire se la persona in questione è
intenzionato a donare dei soldi; poi la ricerca continua in
ufficio, consultando documenti, libri, internet, per trovare
informazioni approfondite sul possibile donatore; infine si
incontra il potenziale donatore, il faccia a faccia serve per
instaurare quel legame che porterà il fundraiser a chiedere
dei soldi per sostenere una buona causa. Praticamente è una
vera e propria indagine sulla persona, che permette al
fundraiser di capire fin da subito che persona gli sta di fronte
e cosa vuole sentirsi dire per essere convinto ad
“abbracciare” la causa. Una volta ingaggiato il contatto
personale allora si procede con il modello “giusto per 6”.
L'ipotesi di base di questo modello è che il successo del
fundraising raggiunga l'apice quando: la persona “giusta”
chiede al potenziale donatore “giusto” l'ammontare “giusto”
per la causa “giusta”nel tempo “giusto” e nel modo “giusto”. Si
capisce, quindi, come quella del fundraising è un attività di
precisione, si deve sapere bene dove e come colpire
l'attenzione del potenziale donatore. Infatti non è importante
la prima donazione, ma la fidelizzazione che il donatore
instaura con l'associazione. Per creare la fidelizzazione è
necessaria una sensibilizzazione al tema della causa; non
sono rari infatti i casi in cui i fundraiser invitano i potenziali
donatori presso la sede dell'organizzazione, per far
conoscere i volontari e i dipendenti, e presso i luoghi della
“buona causa” per far conoscere i bisognosi. Insomma è un
123
misto di storytelling127 e trasparenza, un mix che alla fine
convince la persona a donare e a rimanere legato
all'associazione. È scontato che la fidelizzazione del donatore
non si acquista da un giorno all'altro, ma di solito ci vogliono
diversi anni, quindi è di vitale importanza che il potenziale
donatore non sia mai abbandonato durante il tempo, ma sia
sempre tenuto al corrente delle vicende dell'associazione.
Poiché le discussioni incentrate sul denaro rappresentano
ancora un tabù culturale nella nostra società, il chiedere soldi
viene visto come una cosa di grande imbarazzo, non solo per
il richiedente ma nche per chi destinatario della richiesta. Per
questo motivo il lavoro del fundraiser consiste non tanto nella
richiesta di fondi, ma principalmente nel convincere le
persone a far parte dell'organizzazione, a diventare parte
integrante di un qualcosa a cui tengono entrambi, e solo dopo
l'immedesimazione della persona nella causa si può parlare
di donazione; anche se non sarà mai chiesto direttamente di
fare una donazione, di solito il donare (soprattutto grandi
cifre) è un operazione volontaria e spontanea. Perciò come si
è capito il processo di sollecitazione non verte, di fatto, sul
denaro ma è incentrato sullo sviluppo di relazioni condivise
tra un organizzazione no profit e le persone interessate alla
nuova causa128
127Storytelling è una metodologia e disciplina che usando i principi della retorica e della narratologia crea racconti influenzanti in cui vari pubblici possono riconoscersi. Lo storytelling è oggi massicciamente usato dal mondo dell'impresa, dal mondo politico, e da quello economico storytelling management per promuovere e posizionare meglio valori, idee, iniziative, prodotti, consumi. 128 Melandri, V. Il libro del fundraising: etica strategia e strumenti della raccolta fondi
. Se la donazione non avviene in modo
spontaneo, allora si dovrà chiedere. Il “faccia a faccia” rimane
ancora il metodo più efficace per chiedere donazioni a
persone fisiche; ma spesso (in modo particolare per le
piccole donazioni), per evitare l'imbarazzo della richiesta e
per guadagnare tempo, ci si affida a mezzi più impersonali
124
ma che riescono ad arrivare a migliaia di persone in pochi
giorni: mailing, telemarketing sociale e posta elettronica.
Questi strumenti sono utilizzati soprattutto per la richiesta
della prima donazione, infatti anche se strumenti “freddi” sono
capaci di operare una prima scrematura, e solo nel caso in
cui una persona si dimostra veramente interessata si fissa un
appuntamento e ci si parla di persona.
Negli ultimi anni il mondo del fundraising è cambiato
notevolmente per via di alcuni cambiamenti sociali insite nella
società odierna. La notevole crescita economica che ha
caratterizzato gli anni '90 ha fatto emergere un nuovo modello
di donazione, definito venture philanthropy; un nuovo tipo di
filantropia che nasce dal successo di molte persone che
hanno investito nelle nuove tecnologie e che considerano la
donazione una vera e propria forma di investimento; magari
si dona per la ricerca scientifica su una malattia, e se la
ricerca va a buon fine il donatore sarà considerato padre
della scoperta. Tuttavia proprio come i venture capitalist delle
imprese profit, questi donatori hanno delle aspettative elevate
sul rendimento economico degli enti finanziati. Inoltre affianco
alle donazioni classiche si stanno sempre più affermando
delle nuove modalità di donazione. Alcuni invece di donare,
costituiscono delle nuove fondazioni, o vincolano dei fondi a
favore di associazione del terzo settore. Le “Fondazioni di
comunità” da qualche anno presenti anche in Italia offrono
una vasta gamma di possibilità di donare, ad esempio
costituendo fondi parzialmente vincolati. Con la crescita del
patrimonio delle fondazioni di comunità, negli anni '90, anche
questa tipologia di fondo hanno visto accrescere i propri
donatori. Nel 1999 la “Banca Etica” ha inaugurato un nuovo
125
modo di donare. Ha dato vita a una nuova modalità di
investire i propri risparmi, per dare la possibilità alle persone
fisiche di collegare donazioni e investimenti. Banca Etica ha
offerto per prima in Italia la possibilità ai propri clienti di poter
scegliere un canale di finanziamento e sempre ai suoi clienti
ha prestato consulenza al fine di fargli capire quali erano le
buone cause maggiormente interessanti, al fine di stabilire
una strategia di investimento personale.
Come abbiamo visto raccogliere fondi è una professione con
una metodologia ben precisa, che fa della comunicazione e
della ricerca sociale due capisaldi. Sono infatti le relazioni
interpersonali il core business dell'operato del fundraiser.
Come abbiamo detto ad inizio paragrafo, la donazione è un
attività quasi totalmente inutilizzata dagli Enti Locali, anche se
sono proprio quest’ultimi le istituzioni che più di ogni altra
riescono, nel bene e nel male, a instaurare un rapporto
interpersonale continuo con le persone, che sono poi gli
amministrati. Quindi perché rinunciare alle “campagne di
donazione” se il rapporto comunque è già esistente?
Soprattutto in questi tempi, che come ampiamente
dimostrato, sono nefasti dal punto di vista economico per gli
Enti Locali. Inoltre va ricordato che i dati da ricercare, per
capire chi sono i possibili donatori, sono già in possesso
dell'Ente Locale e quindi il lavoro, sia intermini di spesa che di
tempo, si ridurrebbe di molto. Per concludere questo capitolo,
è doveroso ribadire che ad aiutare i processi comunicativi con
i cittadini, ci sono le nuove tecnologie interattive del web 2.0.
Queste tecnologie si stanno rilevando utili anche in materia di
fundraising, e intorno alla combinazione internet/donazioni,
stanno nascendo a dismisura pratiche di fundraising
126
interattive, che mirano alla partecipazione economica della
persona alla causa da sostenere.
Sembrerebbe che partecipazione, trasparenza e
comunicazione, oltre che ad essere i tre principi della nuova
PA, siano anche i tre principi intorno ai quali ruotano le nove
pratiche di fundraising. Nel prossimo capitolo approfondirò il
rapporto fra fundraising e internet, per poi parlare nel capitolo
finale dell’argomento centrale questo elaborato: il
crowdfunding, l'avanguardia del fundraising.
127
4. E-Filantropy: il presente della donazione
4.1 il fundaraising on line
Come è successo per la comunicazione, anche il
fundraising si è dovuto adattare alle novità sociali che
contraddistinguono questi tempi. Sto parlando nello specifico
dell'integrazione degli “strumenti classici” di fundraising con
quelli “nuovi”, gli “strumenti elettronici”. Per “strumenti
elettronici” intendo tutte quelle attività che si svolgono
mediante l'utilizzo di internet o di altri “protocolli” digitali (sms,
QR code129
129 Un Codice QR (in inglese QR Code) è un codice a barre bidimensionale (o codice 2D) a matrice, composto da moduli neri disposti all'interno di uno schema di forma quadrata. Viene impiegato per memorizzare informazioni generalmente destinate ad essere lette tramite un telefono cellulare o uno smartphone. In un solo crittogramma sono contenuti 7.089 caratteri numerici e 4.296 alfanumerici.
). Quasi tutti gli strumenti che andremo ad
analizzare sono utilizzati attualmente dalla grande
maggioranza delle organizzazioni no profit statunitensi,
mentre in Italia ancora queste pratiche digitali non hanno
preso piede; i fattori che ne impediscono la diffusione sono lo
scarso utilizzo di internet e la poca fiducia che hanno gli
italiani nei confronti delle transazioni on line. Durante l'analisi
di queste modalità innovative di fundraising ci renderemo
conto che la maggior parte di esse possono essere utilizzate,
con molta più “naturalezza” rispetto alle ONP, dalle PA in
generale e dai Comuni in particolare. I Comuni, a differenza
delle ONP medio-piccole, hanno una buona base strutturale e
teorica da cui partire, infatti per quanto riguarda le azioni
intraprese sul web questi enti hanno, o dovrebbero avere, un
ufficio dedicato alla gestione di tali attività: l'Urp. Si
128
tratterebbe, insomma, di “copiare”, o meglio emulare, queste
pratiche intraprese di recente dal terzo settore e inserirle
nelle attività “amministrative” delle PA. Naturalmente, non
tutte le tecniche riportate sono adattabili agli scopi della PA,
alcune sono totalmente impensabili da usare, ma altre
potrebbero essere adottate non solo per il fundraising della
PA ma anche per le campagne di sensibilizzazione su temi
“sociali” o “culturali”.
Il fundraising on line è uno strumento nuovo, il primo caso
che ha segnato il riconoscimento ufficiale di questa pratica è
stata la campagna promossa dalla croce rossa americana in
occasione degli attentati alle twin towers dell'11 settembre
2001. In questa occasione, mediante il solo utilizzo di
internet, l'organizzazione è riuscita a reperire ben 64 milioni di
dollari. In Italia questa pratica è largamente inutilizzata,
soprattutto a causa della bassa diffusione dell'utilizzo di
internet, che come abbiamo visto nel secondo capitolo è
dovuta sia “all'analfabetismo informatico”, sia alla
composizione anagrafica del paese (siamo un paese
“vecchio”). Dal 44° “Rapporto Censis sulla situazione sociale
del Paese”130
130 Rapporto visibile solo dopo averlo acquistato su
, nella sezione che riguarda le transazioni
economiche on line, c'è scritto che il futuro del web in Italia
dipenderà dal modo in cui saranno sciolti alcuni nodi non
ancora risolti e, tra questi, quello connesso ai problemi di
sicurezza delle transazioni web; a oggi, infatti solo il 43%
degli italiani che utilizzano Internet si ritiene tranquillo in
materia di sicurezza ti transazioni, e solo per il 5% delle
transazioni sono considerate molto sicure, abbastanza per il
38%. Si tratta di un dato decisamente inferiore al 58%
http://bit.ly/pKxT3R
129
registrato a livello europeo. Quindi per rendere efficiente ed
efficace l'uso di internet per le donazioni, è necessario prima
di tutto alfabetizzare la popolazione italiana e rassicurarla
sulle modalità di transazione on line di denaro.
Theodore Hart131
131 Esperto Statunitense del fungraisng on line
spiega attraverso tre concetti in cosa
consiste il fundraising on line: costruzione e rafforzamento
delle relazioni con i sostenitori delle organizzazioni non profit
attraverso l'uso di piattaforme internet; donazione on line di
risorse monetarie o materiali oppure l'acquisto di prodotti a
favore di organizzazioni no profit; conversazione e utilizzo di
dati o metodi elettronici per supportare l'attività di fundraising.
La peculiarità di internet, cioè quella di abbattere le barriere
spazio-temporali, rende questo mezzo particolarmente adatto
a scopi di fundraising; potenzialmente la “buona causa”
potrebbe arrivare a interessare milioni di utenti in tutto il
mondo. Per esempio un opera come la ristrutturazione del
Colosseo a Roma, potenzialmente potrebbe interessare tutti i
turisti che l'hanno visitato nel tempo, o gli studiosi di tutto il
mondo, o semplicemente tutte le persone sensibili ad
argomenti culturali/artistici. Le “buone cause”, quindi, hanno
la possibilità di valicare i propri confini territoriali e rendersi
globali. Bisogna però considerare anche l'altra faccia della
medaglia, cioè il fatto che attraverso internet sono migliaia le
“buone cause” che cercano l'affermazione globale, creando
cosi una tale confusione che non permette all'utente di capire
quali sono le cause per cui vale la pena contribuire
economicamente. Questo motivo rende difficile alle ONP, e
agli enti bisognosi di denaro in genere, farsi sentire e attirare
l'attenzione del proprio pubblico. Infatti, la facilità d'accesso al
130
web, dovuta ai bassi costi di utilizzo, permette a tutte le
organizzazioni, anche le più piccole, di crearsi un proprio
spazio per comunicare nella rete. La risposta per
controbilanciare il pericolo di essere ignorato è: affidarsi a
personale specializzato nella comunicazione web e munirsi
di un piano di comunicazione sagomato intorno ai bisogno
dell'organizzazione e dell'ambiente web.
4.2 Gli strumenti di fundraising utilizzati nel web “statico”
Il primo passo fatto dalla quasi totalità delle ONP che si
vogliono cimentare nel fundraising on line è la creazione di un
sito internet, che spesso si traduce in una vetrina in cui si
esibiscono le virtù e le attività dell'associazione. Anche qui,
l'efficacia del sito è proporzionale alle risorse che gli sono
state dedicate. Per quanto riguarda gli Enti Comunali, a
differenza della stragrande maggioranza delle ONP, questo
problema non persiste; tutti i Comuni e le PA in genere, ad
oggi hanno un sito web già strutturato, da poter utilizzare
eventualmente anche per la raccolta fondi o per la semplice
sensibilizzazione su un determinato argomento. Infatti, con i
nuovi linguaggi di programmazione, al sito web di un Comune
si possono aggiungere facilmente altre funzioni, come
strumenti di interazione (ad esempio la chat) che permettono
di relazionarsi con i cittadini al fine di sensibilizzarli su una
“buona causa”, o degli strumenti che permettono la
transazione economica vera e propria. Infatti se la fase
relazionale da risultati positivi, è possibile correlare (come
131
fanno molte ONP) il proprio sito istituzionale di un apposita
donation page, all'interno della quale l'utente/cittadino trova
tutte le informazioni sulla causa da sostenere, e il modo per
sostenerla, cioè un plugin132 in grado di ricevere transazioni
economiche mediante uso di carta di credito. In quanto si
tratta di denaro e di dare i propri dati della carta di credito, la
donation page deve essere il più trasparente possibile:
indicando chi sarà il beneficiario della donazione; se la
donazione è deducibile dalle tasse; perché servono i dati
sensibili; suggerire qual è il livello di donazione adatto. Inoltre
la donation page deve essere costruita con i migliori sistemi
di sicurezza possibili, come il protocollo https133
Spesso le ONP, soprattutto se di grandi dimensioni, creano
dei siti web ad hoc per la causa da sostenere, in modo che
l'utente riconosca e individui da subito la mission
dell'organizzazione. Da un punto di vista di marketing, questa
modalità di comunicazione, permette inoltre una più facile
identificazione dell'utente con la “buona causa”. Se per
esempio prendiamo il caso di un Comune che per diversi
motivi ha disatteso le aspettative dei propri cittadini,
probabilmente questa PA non avrà un buon appeal sugli
amministrati, neanche se chiede aiuto per una bene pubblico
usato dagli stessi cittadini. Per aggirare questo
.
Naturalmente per fare questo è necessario costruire una
community virtuale che comunichi assiduamente con il
Comune, o con la PA di turno, ma di questo ne parleremo più
approfonditamente nel capitolo successivo.
132 Il plugin in campo informatico, è un programma non autonomo che interagisce con un altro programma per ampliarne le funzioni. Ad esempio, un plugin per un sito internet permette l'utilizzo di nuove funzioni non presenti nel sito principale. 133 E’ il risultato dell'applicazione di un protocollo di crittografia asimmetrica al protocollo di trasferimento di ipertesti HTTP. Viene utilizzato per garantire trasferimenti riservati di dati nel web, in modo da impedire intercettazioni dei contenuti
132
inconveniente, lo stesso Comune potrebbe creare un sito
web ad hoc incentrato sulla causa da sostenere, nel quale
l'immagine del comune “si nasconde” dietro quella della
“buona causa”, dando cosi la parvenza ai cittadini/utenti, che
quello che si sta sostenendo non è il comune ma è la “buona
causa”. Inoltre in questo modo è possibile non sovraccaricare
e non rendere troppo dispersivo per l'utente il sito istituzionale
della PA in questione. Le scelte di questo tipo, comunque,
vanno decise solo dopo aver fatto delle attente considerazioni
sul caso, come capire se facendo due siti si migliora la
navigabilità o semplicemente si confondono gli utenti.
4.3 la posta elettronica
La posta elettronica è uno degli strumenti web più utilizzati
per la raccolta fondi. Tutte le attività di comunicazione,
marketing e raccolta fondi svolte attraverso questo mezzo
vengono indicate con il termine di e-mail marketing134
134 Ferrara P., Moro D., Fundraising online, forli,2011, Philanthropy
(da qui
in poi DEM: direct e-mail marketing). Le campagne di DEM
consentono all'ente che le attiva di raggiungere diversi
obiettivi attraverso un'unica azione; infatti attraverso l'invio di
una mail è possibile sensibilizzare l'utente, aumentare la
brand awareness e migliorare le relazioni con l'utente fino ad
arrivare ad una possibile donazione. Attraverso un servizio di
news letter, cosa che molti Enti Locali fanno già, è possibile
aggiornare costantemente i propri utenti e gli stakeholders,
aumentando cosi la sensazione di “trasparenza” trasmessa
133
dall'ente. L'e-mail non è però uno strumento miracoloso, è
molto utile per le ragioni espresse in precedenza, ma non
miracoloso, soprattutto di questi tempi contraddistinti, fra
l'altro, da un uso spasmodico delle e-mail, la famosa spam135.
Oltre ai servizi informativi della news letter, l'e-mail serve
anche a raggiungere altri scopi, come l'e-mail di servizio e
ringraziamento136. In questa categoria rientrano tutte le
comunicazioni di servizio e i feedback dati agli utenti per
prevenire l'effetto SINAP (soggetti influenza negativa altre
persone); questo genere di feedback è utile soprattutto se
l'utente in questione ha effettuato una donazione all'ente.
Come ultima finalità presa in considerazione, ma forse la più
importante ai fini della mia tesi, è da citare l'e-mail di
fundraising. Come si capisce dal nome la finalità di questa di
questa e-mail è la raccolta fondi, diretta o indiretta. Si parla di
donazioni dirette nel caso in cui la e-mail venga utilizzata per
stimolare donazioni in periodi precisi dell'anno, come il
periodo della dichiarazione dei redditi e quindi del "5 per
mille", oppure per determinate campagne. Se invece la mail è
mirata alla costruzione di un nuovo database di possibili
donatori, si parla di donazione "indiretta"o di database
building. È importante che questa e-mail contenga un link che
rimandi a una landing page137
135 Lo spamming, detto anche fare spam o spammare, è l'invio di messaggi indesiderati (generalmente commerciali). Può essere attuato attraverso qualunque sistema di comunicazione, ma il più usato è Internet, attraverso messaggi di posta elettronica. 136 Ferrara P., Moro D., Fundraising online, forli,2011, Philanthropy 137 Nel web marketing, la landing page è la specifica pagina che il visitatore raggiunge dopo aver cliccato un link apposito o una pubblicità. Spesso, questa pagina mostra contenuti che sono un'estensione del link o della pubblicità, oppure la pagina è ottimizzata per una specifica parola chiave (keyword) o frase per "attrarre" i motori di ricerca.
in cui si trovino ulteriori
informazioni relative alla donazione. Il problema delle e-mail
in generale, è che spesso vengono ignorate o eliminate
134
automaticamente dai client di posta elettronica138
4.4 L'importanza del motore di ricerca.
, quindi il
successo della spedizione non dipende solo dalla modalità di
invio o dall'appeal della mail, ma soprattutto dalle
impostazione del client utilizzato dall'utente.
Per molte ONP lo strumento mailing list e news letter e cosa
recente, per le attività di fundraising di solito usano i vecchi
metodi di spedizione off line e solo recentemente, anche per
il risparmio economico, hanno iniziato ad usare gli strumenti
digitali. Per quanto riguarda i Comuni invece, come ben
sappiamo, è dagli anni '90 che si parla di "telematizzazione",
e precisamente dal 2000 con la legge n.150, si parla di
“promuovere l’adozione di sistemi di interconnessione
telematica e coordinare le reti civiche”. Quindi anche con
queste modalità l'Ente Locale potrebbe sfruttare le
conoscenza già acquisite per intraprendere azioni di
fundraising, e usando una tecnologia già "propria" non si
andrebbe a gravare ulteriormente sul bilancio.
Come abbiamo detto la più grande risorsa del web è anche
il suo più grande problema: l'enorme concorrenza. Milioni di
siti internet e blog concorrono per lo stesso obiettivo, arrivare
all'attenzione dell'utente. Per dare ordine ai milioni di siti
esistenti esistono i motori di ricerca (MR da qui in poi). Lo
scopo dei MR è filtrare e catalogare la quasi totalità dei siti
138 Un client di posta è un programma che consente di gestire la composizione, la trasmissione, la ricezione e l'organizzazione di e-mail (i messaggi di posta elettronica) da e verso un server di posta.
135
internet. Un motore di ricerca (in inglese search engine) è un
sistema automatico che analizza un insieme di dati spesso da
esso stesso raccolti e restituisce un indice dei contenuti
disponibili classificandoli in base a formule statistico-
matematiche che ne indichino il grado di rilevanza data una
determinata chiave di ricerca139. Il numero di MR che
operano sul web è molto elevato, Il più utilizzato, su scala
mondiale è Google (con un indice che supera gli 8 miliardi di
pagine), seguono a distanza i due motori di ricerca di
microsoft, Live e Bing, poi Yahoo! e Ask. Il lavoro dei motori
di ricerca si divide principalmente in tre fasi: analisi del campo
d'azione (tramite l'uso di crawler140
139 Fonte wikipedia.it 140 Un crawler (detto anche spider o robot), è un software che analizza i contenuti di una rete (o di un database) in un modo metodico e automatizzato, in genere per conto di un motore di ricerca.
appositi); catalogazione
del materiale ottenuto; risposta alle richieste dell'utente. Dopo
l'analisi delle pagine, a seconda di criteri che variano da MR a
MR, alcune di esse vengono inserite nel database e quindi
nell'indice del motore di ricerca. Per stabilire la rilevanza di un
sito vengono cercati nel database quei documenti che
contengono la parola chiave inserita dall'utente, dopodiché
ogni motore di ricerca sfrutta dei propri algoritmi per
classificare le pagine, controllando, per esempio, quante volte
le parole chiave vengono ripetute; quanti link riceve quel
documento; in quali punti della pagina sono poste le parole
chiave; quanti siti del database contengono link verso quella
pagina, o quante volte un utente ha visitato quel sito dopo
una ricerca. I motori di ricerca forniscono, primi fra tutti, i
risultati “sponsorizzati”, cioè mostrano nelle prime posizioni
della SERP (Search Engine Result Pages) i siti web di
organizzazioni che pagano per risultare tra i primi risultati
quando si cercano “parole chiave” che sono in relazione
136
all'ambito di competenza dell'organizzazione stessa141. Le più
recenti innovazioni nella produzione di algoritmi e di sistemi di
Information Retrieval142
Questa panoramica sui motori di ricerca è servita per far
capire che non basta aver creato il sito più interessante della
relativa categoria, se questo non è ben indicizzato nei motori
di ricerca rimarrà anonimo e difficile da trovare. Rapportando
questo aspetto alla nostra analisi, significa che anche se la
“buona causa” da noi promossa è veramente importante, per
si basano sull'analisi semantica dei
termini e sulla conseguente creazione di reti semantiche. Uno
dei primi ad utilizzare questi criteri di ricerca è stato Bing, ma
lo stesso Google ha adottato sistemi simili per la prevenzione
dell'errore e la contestualizzazione dei risultati. Questo
cambio di rotta nella modalità di ricerca, significa che nel
futuro prossimo i MR non si baseranno tanto sull'analisi
quantitativa dei contenuti (le parole in sé), ma si baseranno
soprattutto su quella qualitativa (il senso delle parole); I MR
saranno, quindi in grado di distinguere il senso della parola
"pesca" a seconda di quale sia il contesto in cui la parola è
contenuta (capire se sia il frutto, la disciplina sportiva, o altro).
Ma la ricerca semantica è già il presente, la nuova frontiera
dei motori di ricerca è la partecipazione degli utenti stessi alla
creazione del database. Molti MR puntano a una maggiore
partecipazione degli utenti nella creazione dei propri indici; in
modo da eliminare qualsiasi ricorso a link sponsorizzati e
dare agli utenti stessi la possibilità di segnalare i link, e quindi
decidere se dare o meno popolarità ai siti segnalati.
141 Ferrara P., Moro D., Fundraising online, forli,2011, Philanthropy 142 L'information retrieval (IR) (lett: recupero d'informazioni) è l'insieme delle tecniche utilizzate per il recupero mirato dell’informazione in formato elettronico. Per "informazione" si intendono tutti i documenti, i metadati, i file presenti all'interno di banche dati o nel world wide web. Il termine è stato coniato da Calvin Mooers alla fine degli anni '40 del Novecento, ma oggi è usato quasi esclusivamente in ambito informatico
137
essere visibile ai molti deve essere rintracciabile dai motori di
ricerca; insomma deve comparire il più possibile fra i primi
risultati delle ricerche con parole chiave affini all'argomento
trattato. Per questo motivo l'indicizzazione e il
posizionamento del sito web nei motori di ricerca è da tempo
considerato un'attività di marketing. Si parla infatti di SEO
(Search Engine Optimization ), cioè un'insieme di tecniche
che permettono al proprio sito web di posizionarsi nei primi
risultati della SERP di un motore di ricerca. In realtà non ci
sono delle tecniche precise di SEO, basti pensare che google
per attribuire un punteggio alle pagine esamina circa 200
fattori143
143 Ferrara P., Moro D., Fundraising online, forli,2011, Philanthropy
. Approssimando possiamo però dire che il lavoro di
SEO si concentra soprattutto in due macro-arie, la prima
riguarda la struttura HTML del sito, la seconda area di
intervento invece interessa i link del sito; cioè in base alla
struttura e al numero di link esistenti nel web relativi al proprio
sito, il motore di ricerca “posiziona” il sito in questione. Una
ottimizzazione del sito web, permette di arrivare prima degli
altri all'attenzione dell'utente, e quindi aumenta le possibilità
di sostegno alla causa. Come detto in precedenza, nel futuro
i motori di ricerca diventeranno “semantici”, il che significa
che la struttura del sito web verrà relegata in secondo piano
rispetto alla scelta dei contenuti del sito stesso, come dire
che la sostanza ha la priorità rispetto alla forma. Questo
significa che migliori saranno i contenuti maggiore sarà la
visibilità, e tale cambiamento agevolerà l'eventuale lavoro di
fundraising degli Enti Locali. Azzardo questa affermazione,
perché rispetto alla maggior parte delle ONP, gli Enti Locali
hanno nell'Urp un validissimo generatore di contenuti, in
quanto gli addetti di tale ufficio sono professionisti qualificati e
138
specializzati nell'attività comunicativa. Verosimilmente
significa che nel momento in cui un utente ricerca il termine
“donazione” i primi risultati dovrebbero essere i siti di
“maggiore qualità”, e come riportato nel libro fundraising
online in Italia le ONP che si possono permettere personale
specializzato nell'attività comunicativa sono davvero poche.
Quindi eventualmente si tratterebbe di una “competizione” fra
un ente organizzato e con risorse (il Comune) e un ente non
organizzato e con poche risorse da dedicare (la maggioranza
delle ONP).
in ambito della responsabilità sociale d'impresa, sono stati
numerosi i casi in cui i motori di ricerca hanno sostenuto le
ONP, e le “buone cause” in generale, aiutandole a rendersi
più visibili nel “mare” dispersivo del web. Per esempio, google
ha avviato per tutte le ONLUS in programma google grant
che mette a disposizione gratuitamente un budget mensile
all'interno del suo sistema di pubblicazione annunci adwords.
La logica di questo sistema è basato sul concetto di asta:
ogni inserzionista fissa un prezzo per una serie di parole
chiave legate al suo annuncio; nel momento in cui un utente
effettua una ricerca su google, quest'ultimo pubblica in
evidenza gli annunci che hanno il prezzo d'asta maggiore.
Per le ONLUS google mette a disposizione un budget
mensile intorno ai 10.000 euro (questi fondi però hanno delle
limitazioni di utilizzo) da utilizzare per le aste di adwords. Ma
la responsabilità sociale di google non si limita al solo terzo
settore, infatti proprio nei giorni in cui scrivo144
144 Giugno/lugio 2011
il motore di
ricerca ha inaugurato una nuova attività “sociale”. Il progetto
in questione si chiama “noi l'Aquila” e come scopo si prefigge
139
la ricostruzione virtuale della città distrutta dal terremoto. Chi
esplora su internet le strade e le piazze della città abruzzese
può osservare i luoghi devastati dal sisma per vedere i
progressi della ricostruzione e le ferite ancora aperte,
attraverso un confronto tra "prima" e "dopo". Ma non è una
riproduzione vuota. Come se fosse una bacheca di sughero,
gli allievi degli istituti scolastici e altri testimoni hanno
aggiunto decine di appunti dove ricordano i giorni precedenti
al terremoto. È un progetto aperto anche alla partecipazione
di chi ha visitato L'Aquila negli ultimi mesi. Diventa
un'occasione per ricostruire insieme la memoria e spazzare
via le immagini delle macerie. Anzi, i talenti del software
possono mettere mano a un planisfero tridimensionale per
aggiungere le riproduzioni di palazzi, chiese e monumenti, e
mostrare su larga scala le conseguenze del terremoto145
145 Luca dello Iacovo, ilsole 24ore, 14 giugno 2011, articolo consultabili su http://bit.ly/n9ecMu
.
Quindi nell'ambito delle “alleanze”, la PA potrebbe contare
anche sulla volontà di questi nuovi colossi economici di
rendersi più apprezzabili agli occhi della società civile.
Google non è il solo motore di ricerca che ha iniziato attività
del genere, oltre a Google, infatti, ci sono altri casi di alleanze
fra motori di ricerca e ONP, come l'accordo siglato da ripple e
da everyClick (due motori di ricerca inglesi) con delle ONP
inglesi. In Italia azione di fundraising in partnership con
aziende come Google ancora non sono state mai intraprese,
ma molto probabilmente accordi del genere verranno fatti nel
futuro, in quanto al momento l'economia premia soprattutto le
aziende della new economy, le quali sono le uniche che ai
giorni nostri riescono a garantire investimenti economici per il
sociale e una visibilità globale alla singola causa.
140
4.5 Gli sms solidali
Come scritto nei precedenti capitoli, il futuro del web, o
meglio, il futuro di internet è sempre più legato alle tecnologie
mobile dei telefoni cellulari di ultima generazione, gli
smartphone. Come tutti gli operatori del web, anche gli
operatori del fundraising on line, hanno iniziato a
sperimentare metodi di raccolta fondi attraverso l'uso
congiunto degli smartphone, delle apps e dei social media.
Ma prima di parlare del “futuro” è opportuno parlare del
passato, infatti il principio del fundraising attraverso telefono
cellulare furono gli “sms solidali”; una pratica utilizzata
soprattutto in Italia.
Se consideriamo che l'Italia è il paese europeo dove si
acquistano e si usano più telefoni cellulari146, non ci sembrerà
strano che i primi sms solidali sono stati inviati in Italia. In
occasione dei terremoti che colpirono nel 1997 Umbria e
Marche, attraverso l'invio di sms solidali furono raccolti ben
16 miliardi di vecchie lire. L'esperienza, in quanto ben
riuscita, fu replicata per la campagna contro AIDS “Fermiamo
l'AIDS sul nascere”147
146L’Italia è prima in Europa in termini di penetrazione della telefonia mobile nella popolazione (152,9%). http://bit.ly/WVpoW 147 Campagna promossa da Cesvi e Vodafone
. Ma la consacrazione di questo metodo
di fundraising arriva nel 2004 in occasione delle calamità
naturali che hanno colpito il sud-est asiatico, per questo
evento la “protezione civile italiana” raccolse tramite “sms”
141
oltre 30 milioni di euro148
. Una campagna di “sms solidali” per
funzionare bene deve essere legata ad un evento
“straordinario”, cioè un evento straordinariamente disastroso,
come uno tsunami o un terremoto, che abbia un ottima
copertura mediatica. I media, infatti, possono decidere il
risultato della campagna; poiché si parla di micro-donazioni
(le donazioni tramite sms possono essere o di 1 euro o di 2
euro) la comunicazione della necessità di aiuto, deve arrivare
a più persone possibili, e per il momento la maggioranza
delle persone che usa gli “sms” (persone adulte) si raggiunge
soprattutto attraverso i media di massa.
Lo “sms solidale” è uno strumento usato solo in Italia,
probabilmente non ha avuto particolare successo nel resto
del mondo a causa del suo carattere “straordinario”, che non
permette di programmare interventi per cause importanti ma
meno eclatanti di uno tsunami. Inoltre fino al 2006, almeno in
Italia, il denaro donato alla ONP era imponibile di IVA; su un
euro l'ONP riceveva solo 83 centesimi. Dal 2006 in poi, grazie
ad un interpello del “Comitato Telethon Onlus” all'Agenzia
dell'entrate, la normativa fiscale è cambiata: la risoluzione
124.e del 12 agosto 2006, dice che in forza di particolari
condizioni contrattuali questo tipo di sms può essere
considerato erogazione liberale e quindi escluso dal campo
IVA.
148 Ferrara P., Moro D., Fundraising online, forli,2011, Philanthropy
142
4.6 I QR code
Fin'ora abbiamo parlato di sms, un mezzo di
comunicazione legato ai telefoni cellulari e quindi ormai al
passato. tornando al presente, invece, si deve parlare delle
modalità di donazione attraverso gli smartphone. Uno
strumento di donazione legato agli smartphone, e alle
tecnologie mobile, è la donazione tramite QR code.
Il codice QR fu sviluppato nel 1994 dalla compagnia
giapponese “Denso Wave” allo scopo di tracciare i pezzi di
automobili nelle fabbriche “Toyota”. Già all'inizio del 21°
secolo questi particolari codici vennero inseriti nel contesto
dei telefoni cellulari. Nel particolare i codici QR si rivelarono
utili per inserire velocemente dei dati di grandi dimensione nel
proprio telefono cellulare in pochi secondi. Attraverso i codici
QR, infatti, è possibile veicolare facilmente sul proprio
cellulare ogni genere di informazioni, come indirizzi e URL.
Nel settembre 2005, negli Stati Uniti, è nato il progetto
Semapedia che permette di collegare, tramite codice QR, i
luoghi fisici alle relative descrizioni su Wikipedia. In Europa e
negli Stati Uniti dalla fine degli anni 2000, favorita anche dallo
sviluppo del mercato degli smartphone, la tecnologia ha
acquistato maggiore notorietà. In Italia da poco tempo i codici
QR sono diventati mezzi di comunicazione, infatti collocati
vicino ad un monumento, a un parco, ad un edificio sono in
grado di comunicare all'utente (che però deve possedere uno
smartphone) tutte le informazioni utili, come anno di
edificazione, artista che lo ha eseguito, mappatura ecc.
143
Nel fundraising, per le ONP, l'utilizzo di questo codice per il
momento è solo a fini comunicativi, diciamo che sostituisce il
vecchio biglietto da visita, ma già si ipotizza un uso diverso.
Poniamo per esempio che servano dei fondi per ristrutturare
un monumento; affianco al monumento in questione è
possibile installare il QR code che oltre a veicolare
informazioni sul monumento funge da collegamento
istantaneo alla donation page dell'ente che cura il
monumento. In questo modo, si producono due effetti: il
primo è la sensibilizzazione dell'utente, che leggendo le virtù
storico/artistiche del monumento potrebbe interessarsi alla
causa; il secondo effetto è il collegamento istantaneo alla
donation page dell'ente, attraverso la quale l'utente una volta
sensibilizzato potrà effettuare anche una micro-donazione.
Quanto appena detto è solo un esempio, un ipotesi, ma già
l’istituto “San Raffaele” di Milano ha utilizzato questa tecnica
a fini di “dono”; infatti l’istituto ha inserito il codice QR nel
proprio manifesto della campagna “5 per mille”, e lo stesso
codice collegava l'utente alla donation page dell'istituto.
Come si può capire dall'esempio appena fatto, ci sono ampi
margini di utilizzo per questa tecnologia, della quale
potrebbero usufruirne anche le PA. Per creare questi codici
QR non servono ne investimenti economici ne conoscenze
tecniche particolari, al momento sul web ci sono numerose
applicazioni che permettono gratuitamente di creare un
proprio codice QR contenente le informazioni desiderate.
Proprio per questo motivo molti Enti Comunali stanno già
applicando i codici QR vicino agli edifici o ai monumenti
cittadini; quindi si tratterebbe semplicemente di aggiungere
alle informazioni contenute l'URL della donation page
dell'ente.
144
4.7 Il PayPal mobile
Oltre alla possibilità di utilizzare i QR code gli smartphone
ci permettono, come già sappiamo, di collegarci a internet da
qualunque posto in cui ci troviamo. Intorno a questa
peculiarità si sono creati degli strumenti che ampliano le
possibilità dell'utente sia in ambito social media che in quello
delle donazioni. Riguardo a quest'ultimo ambito la novità più
importante introdotta nel mondo degli smartphone è
sicuramente il Paypal mobile. PayPal è un sistema di
pagamento on line che permette a qualsiasi azienda o
consumatore che disponga di un indirizzo email, di inviare e
ricevere pagamenti. Registrandosi gratuitamente, è possibile
aprire il proprio account che consente di effettuare pagamenti
utilizzando la mail e la relativa password. Al proprio account è
possibile associare una carta di credito (fino ad un massimo
di otto), oppure una carta prepagata, oppure si può ricaricare
senza spese dal conto corrente bancario. L'idea di base
consiste nell'effettuare transazioni senza condividere i dati
della carta con il destinatario finale del pagamento: il sistema
infatti non trasmette i dati sensibili delle carte collegate al
conto149
149 Fonte wikipedia
. Da poco tempo questa modalità di trasferimento di
denaro è possibile anche dagli smartphone; gli utenti ora
possono inviare del denaro in qualsiasi momento e in
qualsiasi posto sia attraverso il web che attraverso sms.
Praticamente la donazione è diventata impulsiva, non si corre
più il rischio di “dimenticarsi” di donare, se c'è un istintiva
145
voglia di donare adesso si può agire senza perdere tempo.
Anche in questo caso la tecnologia in questione è quasi
gratuita150
4.8 Il fundraising fatto con i social media
, e ormai è la più utilizzata a livello mondiale per le
transazioni di denaro on line, quindi qual ora una PA
decidesse di intraprendere una campagna di “donazione”,
potrebbe avvalersi di questa applicazione, che è già
conosciuta dai molti e soprattutto garantisce un ottimo livello
di sicurezza.
In ambito social media si sta affermando con prepotenza la
moda della geo-localizzazione. Si tratta in pratica di “apps”
che permettono di condividere con gli amici i propri
spostamenti e i luoghi visitati. Il social media più utilizzato per
la geo-localizzazione è foursquare, il quale oltre ad essere un
ottimo strumento di marketing sta diventando anche un ottimo
strumento di fundraising. In U.S.A, infatti, recentemente è
stato effettuato il primo tentativo di usare il social media in
questione a scopi filantropici, e come andremo a leggere
nell'intervista che segue, fatta a Ray Wan151
Nella fattispecie, un grande donatore (rimasto anonimo) ha
siglato un contratto con “Earthjustice” con il quale si impegna
, l'esperimento
ha dato degli ottimi risultati, facendo ipotizzare l'uso di
ulteriori social media a fini di fundraising.
150 L’invio di denaro è gratuito mentre la ricezione è soggetta a tariffe: 0,35 € più una percentuale variabile sull'importo. 151 Marketing manager dell'organizzazione non-profit “ Earthjustice” di San Francisco.
146
a devolvere 10 dollari per ogni chek-in Foursquare152
Ray Wan nella sua intervista rilasciata a Davide Moro,
effettuato nei pressi del cartellone pubblicitario di Earthjustice
collocato nella metropolitana di San Francisco.
153
Ray, continua l'intervista spiegando quali erano gli obiettivi
preposti dell'organizzazione: Quando abbiamo lanciato la
nostra campagna, Foursquare era lo strumento di geo-
localizzazione più popolare a San Francisco - e
probabilmente lo è ancora. Lanciare una campagna
incentrata su Foursquare, al momento è stata la decisione
giusta per noi. Con una campagna di questo tipo si possono
raggiungere diversi scopi come aumentare la visibilità e
aumentare la quantità di fondi raccolti. Avevamo tre obiettivi
principali: il primo è stato raccogliere fondi per sostenere
Earthjustice; il secondo obiettivo era di impegnarsi a
spiega come prima cosa cos'è Earthjustice e come è nata
l'idea di Foursquare per il fundraising: (Earthjustice) è la più
grande organizzazione no-profit americana dedicata alla
protezione dell'ambiente. Ad Earthjustice è stato offerto uno
spazio pubblicitario libero nella BART di San Francisco
(BART è il sistema di trasporto sotterraneo), e abbiamo
voluto sfruttare questo spazio per fare una cosa diversa
rispetto a una tradizionale campagna di brand awareness. A
quel tempo, Foursquare aveva ottenuto un sacco di pubblicità
al “South by Southwest Festival” e allora abbiamo pensato
che questo nuovo social media sarebbe potuto essere adatto
per sperimentare un modo nuovo ed entusiasmante di fare
fundraising.
152 In gergo l'attività di far sapere ai tuoi amici dove ti trovi si chiama chek-in 153 L'intervista integrale e originale realizzata da Davide Moro è consultabile all'indirizzo web: http://www.foursquareitalia.org/author/davide-moro/
147
raggiungere i giovani, un pubblico più tecnologico rispetto
agl’altri. Fin'ora la forma di comunicazione on line usata con i
nostri sostenitori è stata la sola e-mail, che anche se ancora
molto importante non è adatta ai giovani, che sono alla
ricerca di metodi più creativi e significativi di impegno. Più si
interagisce con loro, più loro si ricorderanno di te e di
sostenere la causa in futuro. Il nostro obiettivo finale è stato
di aumentare la brand awareness di Earthjustice. Sapevamo
che una campagna di successo Foursquare ci avrebbe dato
una buona visibilità, perché servizi location-based non sono
mai stati usati prima dalle organizzazioni no profit per fare
fudraising, e avevamo ragione. La nostra campagna
pubblicitaria è arrivata perfino sulle pagine del “New York
Times”, passando per blog popolari come “Mashable”, e
riviste come “Vita Mac”. E 'stato un grande successo di
pubblic relation.
Nella stessa intervista Ryan parla di come foursquare e gli
smartphone sono due tecnologie trasversali che “colpiscono”
sia i giovani che le persone adulte: San Francisco è una delle
città più tecnologicamente avanzata del mondo, con una
popolazione giovane e istruita che ha accesso alla tecnologia
degli smartphone. E anche una città molto all'avanguardia nel
rispetto dell'ambiente con una storia nell'attivismo sociale.
Sapevamo anche che i frequentanti delle stazioni BART di
San Francisco che si sarebbero connessi al web sarebbero
stati molti, perché le stazioni hanno la connessione wireless,
e molte persone usano lo smartphone quando sono in viaggio
o mentre sono in attesa del treno. Quindi, in sostanza hai il
pubblico perfetto nella posizione perfetta per essere colpita
[...] L'agenzia pubblicitaria che abbiamo contattato per
148
progettare la campagna ci ha confermato che San Francisco
è uno dei migliori mercati di Foursquare, infatti andando in
giro si possono vedere frequentemente i giovani fare il check-
in. Tuttavia, poiché Foursquare mantiene segreti gran parte
dei dati relativi ai propri utenti, è stato difficile ottenere dati
precisi circa il numero totale di utenti di San Francisco. Penso
comunque che come Foursquare “matura” e diventa più
popolare, tali dati saranno disponibili e dovranno essere
utilizzati quando la situazione lo richiede.
Nella parte centrale dell'intervista Ray parla anche della
mancata trasparenza relativa al grande donatore della
campagna di fundraising, e del perché le persone non
potevano donare ma si dovevano limitare al solo chek-in: La
trasparenza è molto importante per il non profit, e Earthjustice
cerca sempre di mantenere i più alti standard di trasparenza.
Infatti siamo sempre risultati i migliori da Charity Navigator e il
Better Business Bureau. Ma ci sono alcuni donatori privati
che non desiderano essere rivelati per diverse ragioni, e
dobbiamo rispettare questa volontà […] In teoria sarebbe
stato bello se la gente avrebbe potuto donare, ma eravamo
anche realistici circa le nostre aspettative. Molte persone non
avevano sentito parlare di Earthjustice prima di allora, e
probabilmente non ci avrebbero donato soldi col solo vedere
il nostro annuncio in una stazione ferroviaria. Inoltre
volevamo qualcosa che si può fare facilmente in un breve
lasso di tempo. Utilizzando Foursquare, basta aprire
l'applicazione, toccare la "check-in" e che ha appena aiutato
Earthjustice ottenere una piccola donazione! Se avessimo
messo l'URL per collegarsi alla nostra donation page,
sarebbe stato necessario aprire un browser web, digitare
149
l'indirizzo web, dare i dati della propria carta di credito e
compilare un modulo online, e andrebbe fatto tutto sullo
smartphone, nessuno farebbe tutto ciò in una stazione
ferroviaria! Alla fine, abbiamo fatto ciò che era meglio per
l'utente finale, ed i risultati sono stati fantastici.
Ray poi parla della mancata possibilità di costruire un
database dei donatori, delle peculiarità dei social media in
questo ambito, e dei costi di tale operazione: Il nostro grande
donatore era disposto a donare $10 per ogni check-in, fino a
$ 50.000 dollari. Quindi il nostro obiettivo era quello di
ottenere 5.000 check-in in pochi mesi. Ma il set-up attuale di
Foursquare, non ti permette di ottenere ne l'e-mail delle
persone, ne gli indirizzi di casa. Nessuno strumento di social
media è perfetto per queste azioni, e la mancanza di
informazioni di contatto è una limitazione di Foursquare della
quale eravamo consapevoli sin dall'inizio […] Per fare una
buona campagna, è necessario investire alcune risorse - e
questa campagna non ha fatto eccezione. Il maggior costo
per noi è stata la consulenza dell'agenzia pubblicitaria,
l'affissione degli annunci e il costo della stampa degli
annunci, soprattutto perché erano di dimensioni abbastanza
grandi. Siamo stati molto fortunati perché sia l'agenzia
pubblicitaria prima, che la società di stampa dopo, ci hanno
fatto pagare costi da “non-profit”, e poiché gli spazi
pubblicitari (che normalmente sono molto costosi) ci sono
stati donati gratuitamente, i nostri costi erano abbastanza
ragionevoli. Ma vorrei consigliare alle organizzazioni no-profit,
soprattutto quelle di piccole dimensioni, di considerare tutti i
costi del caso prima di decidere di fare una campagna come
questa. Inoltre, non c'è d'avere paura a chiedere spazi
150
pubblicitari in modo gratuito o a costi fortemente ridotti - ci
sono un sacco di spazi pubblicitari vuoti in questo momento a
causa della crisi economica, e molte società di media
preferiscono averli riempiti con gli annunci, piuttosto che
rimanere vuoto!
Infine Ray valuta i pro e i contro di una campagna di
fundraising basata sui socilal media e in particolare su
Foursquare: non si ottengono gli indirizzi e l'e-mail delle
persone, quindi non le si può veramente contattare anche se
comunque si può diventare “amici” con loro su Foursquare e
quindi inviare loro messaggi tramite l'applicazione stessa.
Inoltre, rispetto a Facebook che ha 700 milioni di utenti,
Foursquare ha un numero di utenti molto più ridotto. Ma
Foursquare ha anche molti vantaggi: è estremamente facile
da usare, perché l'applicazione traccia la posizione per voi -
non c'è bisogno di dire alla gente dove sei. Che trova subito
località vicine per voi, sia che si tratti di una banca, un
negozio di caffè, o ad Earthjustice. Inoltre, l'aspetto ludico di
Foursquare lo rende molto avvincente! Le persone (su
foursquare) sono in competizione per vincere scudetti e
diventare "sindaci" di una località, quindi è uno strumento
divertente di social media.
Alla domanda finale di Davide Moro: Secondo lei in futuro
Foursquare sarà un efficace strumento di fundraising? Quali
sono le difficoltà che dobbiamo ancora affrontare?
Ray risponde: Penso che Foursquare e altre applicazioni
location-based diventeranno per il futuro importanti strumenti
di raccolta fondi. Infatti, dopo la campagna in questione,
Earthjustice è stato citato dai media, e siamo stati contattati
151
da un certo numero di organizzazioni no profit che volevano i
nostri consigli, per intraprendere le loro campagne di raccolta
fondi con la stessa modalità. Quindi, chiaramente, la gente
riconosce che ha un grande potenziale. Ma ci sono un sacco
di sfide. Per esempio, come si farà a mantenere le campagne
Foursquare innovative? […] una volta che tutti gli altri
inizieranno a farle (usare foursquare per il fundraising), in che
modo si potrà rendere Foursquare diverso dagli altri? Inoltre,
il check-in di Foursquare è un modo piuttosto passivo di
relazionarsi con il pubblico - come si farà ad approfondire le
relazioni iniziate con il chek-in al fine di far diventare queste
persone donatori regolari? Non credo che Foursquare nella
sua forma attuale può farlo – a meno che non si integri con
altri social media e strumenti di comunicazione. Alla fine,
Foursquare è solo uno dei tanti strumenti utilizzabili per la
raccolta di fondi - e uno strumento è valido solo se la persona
lo utilizza. Non è un sostitutivo della pianificazione e delle
buone idee!
4.9 I multi-user virtual environment; i mondi virtuali
Fra le varie opportunità “virtuali” date da internet, è da
citare quella del “mondo virtuale“, che non è una semplice
estensione della vita reale, come avviene per i social media,
ma si tratta della creazione di una “nuova vita”, una sorta di
seconda opportunità data dall'informatica. Il capostipite dei
mondi virtuali è stato Second Life; si tratta di un “mondo
virtuale” lanciato nel giugno del 2003 dalla società americana
152
Linden Lab. Un programma client gratuito chiamato Second
Life Viewer permette agli utenti, rappresentati da avatar di
interagire gli uni con gli altri. I “residenti”, cioè gli utenti del
“mondo virtuale” possono esplorare, socializzare, incontrare
altri residenti e gestire attività di gruppo o individuali, creare
partnership e perfino sposarsi, realizzare progetti, viaggiare e
spostarsi sulle isole e le terre che costituiscono il mondo
virtuale. Il sistema fornisce ai suoi utenti gli strumenti per
creare e aggiungere nel "mondo virtuale" di Second Life
nuovi contenuti grafici (oggetti, paesaggi, forme dei
personaggi, contenuti audiovisivi, servizi, ecc), la cui
proprietà dei diritti d'autore rimane ai creatori del singolo
contenuto grafico. Questi oggetti possono essere venduti o
scambiati tra i "residenti" utilizzando una moneta virtuale (il
Linden Dollar), la quale può essere convertita in veri dollari
statunitensi o in euro, dando vita cosi ad un'economia “reale”.
Infatti è proprio questo il punto di forza di Second Llife, il
sistema dei linden dollar ha permesso di generare un volume
d'affari pari a 567 milioni di dollari “reali”. Second life oltre ad
essere un aggregatore sociale è considerato da poco tempo
anche una piattaforma di fundraising; questo ampliamento
d'uso è dovuto al fatto che la vita virtuale usa un sistema
monetario reale. Come spesso accade, il primo esempio di
fundraising nel mondo virtuale costruito dalla Linden è
avvenuto negli U.S.A. Nel 2005 la “American Cancery
Society” ha dato inizio alla campagna “Relay for Life” su
“Second Life”. La ONP statunitense ha costruito nella
piattaforma web una propria isola nella quale ha “edificato” la
propria sede istituzionale. Oltre che raggiungere un buon
livello di notorietà all'interno del mondo virtuale, questa ONP
è riuscita a raccogliere 800 mila dollari “reali” da destinare
153
alla ricerca sul cancro. La stessa logica di “affari” è stata
usata anche da Save the children, la quale vendeva al popolo
di Second Life per 3,5 dollari “reali” degli yak “virtuali”; alla
fine della campagna la ONP ha sorteggiato fra i “possessori
di yak” un vincitore che come premio avrebbe avuto
l'opportunità di farsi intervistare dalla rivista ufficiale di
Second Life.
Questa modalità di fundraising è totalmente assente nelle
strategie “economiche” delle ONP italiane, principalmente per
il fatto che Second Life in Italia non è una piattaforma
particolarmente usata dai cybernauti (nel 2008 erano poco
più di 22.000 gli avatar attivi). Probabilmente non è questa la
modalità migliore per raccogliere fondi on line, anche perché
per ricavare denaro è necessario vendere qualcosa, e per
fare questo bisogna prima creare l'oggetto da vendere. Nel
caso una PA si volesse cimentare in un impresa del genere,
è bene sapere che un'attività di questo tipo richiede non solo
del tempo da dedicarci, ma anche personale particolarmente
specializzato; praticamente ci sarebbe il bisogno di personale
capace di utilizzare il linguaggio di programmazione della
Linden, che al momento non è presente nella PA italiana.
4.10 I social game
Per social game si intendono le applicazioni ludiche alle
quali si può accedere solo attraverso i social media, e in
particolare attraverso Facebook. Queste applicazioni hanno
sia delle analogie che delle differenze rispetto al mondo
154
virtuale di Second Life. L'analogia maggiore è rappresentata
dal fatto che tutte e due le tipologie di “gioco” si basano sul
“commercio” di virtual googs, cioè di beni digitali da
scambiare e comprare con gli altri utenti. La maggiore
differenza, invece, è rappresentata dalla modalità di accesso
al “gioco”. Mentre per accedere a Second Life è necessario
iscriversi e scaricare l'applicazione relativa, per l'accesso ai
social game è necessaria la sola registrazione a un social
media, rendendo di fatto più agevole e popolare l'uso della
tipologia di gioco in questione. La maggioranza di queste
applicazioni ludiche sono legate a Facebook, vale a dire che
dalla pagina profilo Facebook dell'utente è possibile accedere
direttamente a questi “giochi”. In questo settore la voce
grossa la fa Zynga, nel 2010 questa azienda annoverava fra
le sue file ben 19 applicazioni ludiche. Premettendo che lo
slogan di questa azienda è “Trasmorming the word through
the games”, è facile capire che l'attenzione dedicata da
Zynga alle cause sociali è molto alta. Nel 2009 l'azienda in
questione ha attivato su uno dei propri giochi, “Farmille”, la
campagna solidale “Sweets seeds for Haiti”. Questa
campagna consisteva nella vendita di sementi digitali, da
utilizzare all'interno del gioco, agli utenti di Farmille. Al costo
di 25 monete virtuali (pari a 5 dollari) l'utente poteva
comprare i semi di “sweet potato”, il 50% del ricavato poi
sarebbe stato donato alle ONP operanti sull'isola, generando
cosi in poche settimane un introito pari a quasi 500.000
dollari. Ma l'evento che ha consacrato il social game come
strumento di fundraising a tutti gli effetti, è stato il terremoto di
Haiti del gennaio 2010. In questa occasione, Zynga ha
attivato su due “giochi” di sua proprietà una campagna di
fundraising in aiuto della popolazione Haitiana. La campagna
155
in questione si chiamava “Relief found for Haiti”, e ha
permesso di raccogliere in poche settimane ben 1,5 milioni di
dollari, devoluti totalmente al “Fondo mondiale per
l'alimentazione”.
Anche in questo caso stiamo parlando di un modello di
fundraising poco applicabile al contesto nazionale. I social
game, almeno per ora, sono un monopolio statunitense; al
momento infatti non esistono aziende nazionali che operano
in questi settore, e quindi a meno che non si tratti di catastrofi
eclatanti (come quella di Haiti) è difficile far interessare Zynga
alle cause italiane. Di fatti non esistono esempi del genere
per nessuna delle ONP operanti sul territorio italiano, che
siano ONLUS, PA o partiti politici.
4.11 Analisi e verifica delle campagne di fundraising on
line.
Come per ogni campagna di comunicazione, e in questo
caso di fundraising, è consigliabile eseguire delle verifiche
periodiche durante tutta la durata dell'attività. Non è detto
infatti che, se una campagna da buoni frutti all'inizio li dia
anche alla fine. È bene accertarsi innanzitutto che i mezzi
utilizzati siano adatti a “colpire” il target desiderato; poi è
consigliabile “misurare” l'effetto prodotto nelle persone, capire
insomma se il messaggio è arrivato ed è stato efficace per il
fine preposto; Infine si attiva la verifica finale, cioè vedere se
ci sono stati dei miglioramenti effettivi per la causa sostenuta.
Queste verifiche, almeno le prime due, si possono sostenere
156
attraverso il monitoraggio di un campione rappresentativo
della popolazione interessata, o attraverso delle consultazioni
fatte ad un panel di esperti. Di solito, sia per i costi sostenuti
che per la mancanza di tempo, le prime due verifiche
vengono ignorate, annullando cosi la possibilità di intervenire
per tempo e quindi di correggere gli errori fatti. L'unica verifica
effettivamente fatta da quasi tutte le ONP, è la verifica finale;
cioè confrontare gli investimenti fatti con gli utili ricavati, a
riguardo è solito pensare che se il rapporto è a favore degli
utili, allora significa che la campagna è andata bene. Ma
nell'ambito del web, dove i costi per la comunicazione sono
relativamente bassi, è possibile regolarsi con la sola verifica
finale? La risposta è no, perché probabilmente in quasi tutti i
casi gli introiti risulterebbero maggiori della spese. Nell'ambito
web il valore che indica la riuscita o meno della campagna di
comunicazione e di fundraising, è il livello di interattività
raggiunto con i propri utenti. Mentre per le campagne di
comunicazione sui mass media, quest'ultima verifica può
essere effettuata solo da esperti del settore, sul web spesso i
dati necessari per queste analisi sono forniti
automaticamente da applicazioni gratuite e facilmente usabili
da chiunque.
Nel 2010 il Filantropy centro studio, ha elaborato una serie di
indicatori atti a fornire una panoramica sui risultati di una
qualsiasi campagna di fundraising on line, ma purtroppo,
come andremo a vedere, molti di questi indicatori sono
applicabili al solo DEM (direct mail marketing).
• Percentuale dei click-trought: vale a dire il controllo e il
monitoraggio dei links generati dall'organizzazione fautrice
della campagna. Attraverso strumenti come bit.ly è possibile
157
seguire costantemente la “vita” di un link; è possibile sapere
non solo quante volte è stato cliccato, ma anche quante volte
è stato condiviso dagli altri utenti del web. Naturalmente
questo strumento può dare dei dati fuorvianti, perché spesso
i link sono cliccati per sbaglio o sono semplicemente aperti
per curiosità e quindi non si presta particolare attenzione al
contenuto.
• Percentuale di donazione: vale a dire la percentuale delle
persone che dopo aver cliccato sul link dell'organizzazione
hanno proceduto con fare una donazione vera e propria. Se
questo valore viene moltiplicato per la percentuale dei click-
trought si ottiene il tasso di redempion
.
• Tasso di consegna: cioè il rapporto fra le e-mail inviate e
quelle effettivamente recapitate al destinatario. Questo
rapporto, se positivo, ci permette di capire che le e-mail
inviate sono state mandate a indirizzi corretti e che sono
“sopravvissute” ai filtri anti-spam dei Service provider. Però
anche se arrivate a destinazione, non sapremo mai se l'e-
mail è stata letta o se la casella di posta è usata
quotidianamente dall'utente.
• Percentuale di apertura delle e-mail: si calcola facendo il
rapporto fra il numero di e-mail aperte e il numero di e-mail
ricevute. Il risultato dovrebbe indicarci l'efficacia dello
“oggetto” della e-mail e la riconoscibilità del mittente. Questo
158
indice per risultare positivo deve essere superiore al 30%, ma
purtroppo anche se positivo non ci dirà mai se la mail venga
effettivamente letta; magari l'utente ha solo attivato
l'anteprima automatica.
• Percentuale di output delle e-mail o tasso di cancellazione:
questo valore si ottiene facendo il rapporto fra il numero di
richieste di cancellazione dalla mailing list dell'organizzazione
e il numero di mail aperte. La percentuale deve essere
superiore allo 0,1% e inferiore al 1%. Il più grande limite di
questa operazione è il fatto che non riesce a “dire” le cause
della decisione operata dall'utente. Per questo motivo
sarebbe utile comporre un questionario da far compilare
all'utente, per capire le cause del comportamento.
Gli indici appena citati, sono utili per capire se le proprie
comunicazioni arrivano “integre” al destinatario, ma come
abbiamo detto non ci permettono di capire l'effetto prodotto
su di esso. Per le analisi qualitative infatti sarebbe opportuno
munirsi di strumenti diversi, come l'intervista e il sondaggio.
Inoltre per verificare l'efficacia della propria campagna è utile
anche capire e analizzare i costi e le spese impiegate per
avviarla. Il Cost per action (CPA) è il rapporto fra
l'investimento fatto e le azioni che si volevano ottenere, per
esempio potrebbe essere il rapporto fra le spese sostenute
durante la campagna e il numero di donazioni ricevute a fine
campagna. Altro strumento utile per rendicontare i costi è il
cosiddetto “Tasso di conversione”, cioè il rapporto tra
l'investimento fatto e il costo realmente sostenuto per
trasformare un prospect in un donatore effettivo. Inoltre
159
sarebbe utile calcolare anche indici come il ROI (return of
investiment).
La fase di verifica, generalmente anche nel panorama della
PA italiana, non è considerata di vitale importanza; possiamo
dire questa fase è fortemente trascurata, probabilmente però
in questo caso più che di un problema economico si tratta di
semplice pigrizia o di timore per i risultati negativi.
4.12 Scenari futuri
Nell'ultimo capitolo di questa analisi, parlerò della
metodologia più innovativa di fundraising; la quale è, secondo
il mio parere, la più adatta agli Enti Locali che vogliono
riscoprire l'utilità della raccolta fondi dai privati. Come detto
nei capitoli precedenti, se i Comuni e gli enti pubblici in
generale, vogliono ancora dedicarsi alla cura e al
mantenimento dei “servizi sociali” e dei “beni pubblici”,
devono necessariamente “inventarsi” un modo nuovo per
auto-finanziarsi. Nel caso si scelga di fare del fundraising, lo
strumento scelto deve avere alcuni requisiti: non deve
gravare ulteriormente sulle finanze dell'ente; deve utilizzare
tecnologie e conoscenza già in possesso dell'ente; deve
privilegiare l'interazione con i cittadini; deve raggiungere il più
alto numero possibile di persone. Il crowdfunding, come
andremo a vedere raggruppa in se tutte queste
caratteristiche, e come dimostrano dei casi in cui si è scelto di
utilizzare questo metodo, permette all'ente di turno di reperire
160
grandi quantità di denaro in un lasso di tempo relativamente
breve.
161
5. Il crowdfunding per la Pubblica Amministrazione.
5.1 Cos'è il crowdfunding: casi studio
Il termine crowdfunding descrive un processo collaborativo
di un gruppo di persone che utilizzano il proprio denaro in
comune per supportare gli sforzi di persone ed
organizzazioni154
Il crowdfunding è possibile solo sul web, la rete infatti è
solitamente la piattaforma che permette l'incontro e la
collaborazione dei soggetti coinvolti in un progetto di
crowdfunding. I principi fondamentali del modello del
crowdfunding sono riuniti nel Kapipal Manifesto
. È un processo di finanziamento dal basso
che mobilita persone e risorse. Il termine trae la propria
origine dal crowdsourcing, processo di sviluppo collettivo di
un prodotto. Il crowdfunding si può riferire a processi di
qualsiasi genere, dall'aiuto in occasione di tragedie
umanitarie, al supporto all'arte, al giornalismo partecipativo,
fino all'imprenditoria innovativa e alla ricerca scientifica. In
base all’ambito di utilizzo si può definire il crowdfunding o
come un nuova forma di finanza (finanza collettiva) o come
una nuova forma di donazione (alcuni la definiscono the new
elemosina).
155
154 Fonte Wikipedia
, scritto
dall'italiano Alberto Falossi. Questo tipo di finanziamento
collettivo è stato portato alla notorietà da Barack Obama, che
ha pagato parte della sua campagna elettorale per la
155 http://www.kapipal.com/manifesto
162
presidenza con i soldi donati dai suoi elettori, i quali erano i
primi portatori di interesse.
Poiché questa nuova modalità di fundraising è quasi priva di
riferimenti bibliografici o accademici è bene spiegare questo
fenomeno attraverso dei casi studio. Come prima cosa è
bene dire che le iniziative di crowdfunding si possono
distinguere in tre categorie: iniziative autonome (sviluppate
ad hoc per sostenere cause o progetti singoli) piattaforme di
crowdfunding generaliste e piattaforme tematiche.
Esempio di iniziativa autonoma di crowdfunding è la
campagna “Tous Mecenes” del Louvre. Il museo parigino
aveva progettato l'acquisto de “Le tre grazie” di Cranach da
un collezionista privato. Il collezionista però aveva fissato il
costo del quadro a 4 milioni di euro, mentre il Louvre
disponeva di soli 3 milioni di euro. Per questo motivo gli
amministratori del museo hanno deciso di intraprendere una
campagna di crowdfunding per “raccogliere” il milione
mancante. Prima di chiedere donazioni alle community del
web, queste sono state sensibilizzate sull'argomento; il leit
motive della campagna infatti è stato il non privare l'umanità
di un capolavoro artistico. Il Louvre ha creato per l'iniziativa
un sito internet ad hoc, www.troisgraces.fr (Figura 1), nel
quale oltre che ricevere informazioni sul progetto era
possibile fare una promessa di donazione, on line o tramite
assegno (solo una volta constatato che le promesse di
donazione coprono il totale della somma necessaria si passa
alla fase di donazione vera e propria). La campagna in
questione è stata lanciata il 13 novembre del 2010 e in un
solo mese ha raccolto 1 milione e 40 mila euro, provenienti
dalle tasche di 7.000 donatori. Tutti i donatori, come
163
ricompensa, sono stati inseriti nella lista dei mecenati del
Louvre: chi ha versato tra i 200 e i 500 euro avrà diritto ad
una visita privata, e chi ha versato più di 500 sarà invitato a
una serata speciale. Il successo di questa campagna è
dovuto sicuramente al potere mediatico di cui dispone il
brand Louvre e alla capacità degli operatori marketing e dei
fundraiser del museo di “colpire” e sensibilizzare 7.000
cybernauti sparsi per tutti il globo, i famosi “costituenti
dell'associazione” di cui parlavamo nel terzo capitolo156.
Possiamo affermare che questo del Louvre è il primo caso di
una PA che usa il crowdfunding come metodo di
finanziamento.
Figura 1: home page del sito www.troisgraces.fr, nella quale i l museo ringrazia i 7.000
mecenati
Attualmente in Italia l'unica iniziativa autonoma di
crowdfundig intrapresa è stata quella portata avanti dal
comitato referendario “Acqua bene comune” per i quesiti sulla
156 Persone che per qualche motivo avevano un legame affettivo con il Louvre
164
sulla gestione dei servici idrici157
Per promuovere un referendum oltre che alla raccolta di
500.000 firme, c’è bisogno anche di una base economica per
le spese vive della campagna
del referendum del 12 e 13
giugno 2011. Infatti, mentre i referendum sull'energia
nucleare e sul legittimo impedimento sono stati promossi su
iniziativa del partito politico “Italia dei Valori”, I quesiti sui
servizi idrici derivano da un'iniziativa civica promossa dal
Forum Italiano dei movimenti per l'acqua.
158
157 Argomento trattato da me su social media Italia.
. Il comitato referendario ha
reperito il denaro necessario per la campagna promozionale
sulla rete; il fundraiser del comitato ha usato strategicamente
i social media prima per sensibilizzare le persone
sull’argomento, e poi per attivare una campagna di
crowdfunding. Grazie ad una larga partecipazione dei cittadini
italiani, il comitato è riuscito a raccogliere oltre 1.000.000 di
firme e quindi a far approvare i due referendum per la totale
ripubblicizzazione dei servizi idrici. Anche se in questo caso
la forza trainante che ha convinto associazioni e privati a
donare soldi è stato l'argomento trattato, l'acqua pubblica
infatti è stata una tematica che ha colpito sul lato emotivo la
maggior parte degli italiani, I sostenitori della causa sono stati
incentivati a finanziare il comitato anche per due peculiarità
della campagna. La prima di queste peculiarità è la massima
trasparenza; sul sito del comitato era possibile vedere le
somme di denaro donate sia dagli enti, che dai soggetti
privati (Figura 2). La seconda peculiarità è una promessa del
comitato, la quale assicura i finanziatori che una volta
approvato e avviato il referendum, i soggetti che lo hanno
http://www.socialmediaitalia.com/?p=1156 158 Le quali possono essere ad esempio gli spostamenti dei rappresentanti del movimento per la campagna promozionale
165
finanziato avranno la possibilità di essere risarciti della
somma investita. Dal punto di vista mediatico c’è dire che
tutta la comunicazione atta a sensibilizzare gli elettori italiani
è stata effettuata sul web e in particolare sui social media,
l'ambiente virtuale in cui si sviluppano tutte le iniziative di
crowdfunding. Come si può facilmente intuire il passo
dall'essere informati e sensibilizzati a quello di fare una
micro-donazione è stato molto breve.
Figura 2: pagina del sito acquabenecomune.org dedicata alla trasparenza, è possibile
visionare chi sono i donatori e quanto hanno donato
Al contrario delle iniziative autonome, si sta registrando una
forte prolificazione di piattaforme di crowdfunding nel web
italiano. Negli ultimi tempi sono state inaugurate numerose
piattaforme sia generaliste che tematiche. Queste piattaforme
sono siti web che facilitano l’incontro tra la domanda di
finanziamenti da parte di chi promuove dei progetti e l’offerta
166
di denaro da parte degli utenti. Le piattaforme generaliste
incubano progetti di ogni area di interesse, dall'ingegneria
all'arte passando per l'editoria. Tra gli esempi più illustri di
piattaforme generaliste annoveriamo “Indiegogo”,
“Kickstarter” e “Eppela”. Le prime due sono di matrice
statunitense, mentre “Eppela” è una piattaforma italiana. Per
fare un esempio attraverso “Kickstarter” (Figura 3), gli ideatori
del social network “Diaspora” hanno raccolto oltre 200 mila
dollari, partendo da una richiesta di finanziamento iniziale di
10 mila dollari.
Figura 3: La pagina del sito kickstarter.com nella quale si possono consultare ed
eventualmente finanziare i progetti proposti dalla community. Da notare il “contatore” delle
transazioni
“Eppela” invece nasce dall’esigenza di aggregare e riunire in
un unico contenitore web, interessi di creativi ed innovatori di
ogni area, il progetto “Eppela” (Figura 4) nasce come risposta
167
alla difficoltà di accesso al credito e scarso sostegno alla
creatività e innovazione. La filosofia infatti è proprio quello di
aiutare gli innovatori di ogni settore a realizzare il proprio
progetto. Su questo sito internet si possono trovare i progetti
più disparati, dalla pubblicazione di un libro alla progettazione
di un nuovo software. Il funzionamento è semplice e
completamente gratuito; si crea un progetto, si fissa il budget
minimo per realizzarlo e una data di scadenza entro cui
raccoglierlo, poi si sottopone al giudizio della community
diffondendo la notizia e proponendo uno scambio, un
sostegno economico in cambio di una ricompensa (come è
successo per il Louvre). Finiti questi passaggi, sta al pubblico
valutare l'idea, scegliere se finanziarla e aiutare a diffonderla.
Se il progetto non raggiunge il suo traguardo nel tempo
stabilito, viene semplicemente chiuso: nessuno perde o
guadagna nulla. Chi ha fatto un'offerta rientra in possesso
dell'intera cifra e può cercare una nuova idea da finanziare.
Se invece il progetto trova i soldi prima della scadenza, può
continuare a crescere e raccogliere fondi fino alla fine del
tempo stabilito, senza limiti. Per il successo di un progetto è
fondamentale che ogni proponente diffonda la notizia della
pubblicazione della sua “idea” su Eppela a tutti i suoi contatti,
attraverso e-mail, social network, sms, ecc.
168
Figura 4: pagina del sito eppela.com, nella quale è possibile consultare e finanziare i progetti
proposti dalla community. Anche qui c’è il “contatore” delle transazioni
Per quanto riguarda le piattaforme tematiche possiamo
menzionare “Pledge Music” dedicata ai progetti musicali;
“Quirky” rivolta ai designer; “Cat Walk Genius” per gli stilisti in
erba; “COfundOS” per la realizzazione di software open
source; “spot.us” e “You Capital” dedicate alle inchieste
giornalistiche e al citizen journalism; “School Raisng” rivolta al
mondo della scuola e dell'istruzione in genere; “Fund for
culture” invece è nato per reperire fondi per le iniziative
culturali.
“You Capital”, “School Raising” e “Fund for culture” sono tre
piattaforme italiane che rispondono a tre esigenze ben
precise: l'informazione libera; la salvaguardia della scuola
pubblica; la realizzazione di iniziative culturali.
169
“You Capital”159 (Figura 5) si basa sui concetti di
crowdsourcing160
159 Argomento trattato da me su social media Italia.
e crowdfunding, che si traducono in
partecipazione economica e intelligenza collettiva. “You
Capital” da la possibilità a chiunque di proporre alla rete il
proprio progetto d’inchiesta giornalistica attraverso tre
passaggi: Come prima cosa, il neo-giornalista dovrà
presentare il proprio progetto alla redazione di “You Capital”;
dopo un attenta analisi della proposta, la redazione diffonde
attraverso l’uso dei social network il progetto di inchiesta in
questione sul web; se l’inchiesta piace, allora “You Capital”
provvederà, tramite crowdfunding, a reperire il denaro
necessario per finanziare il lavoro. Naturalmente l’inchiesta
proposta e accettata sarà pubblicata sul sito e se qualcuno
ne avesse voglia la potrebbe continuare e integrare, proprio
nello stile crowdsourcing. Attraverso questa formula, ci sono
concrete possibilità di vedere realizzate inchieste “scomode”
o “particolari” che gli organi di informazione mainstream non
finanzierebbero mai; un citizen journalism collaborato e
partecipato che veicola l’informazione in senso circolare e
non più verticale.
Oltre a questi benefici collettivi, “You Capital” da anche dei
benefici personali, infatti ai proto-giornalisti che cooperano
con la redazione danno una concreta opportunità di self
marketing e di visibilità. Attraverso il web, queste persone da
emeriti sconosciuti possono trasformarsi (se l’inchiesta è
valida) in reporter di fama nazionale.
http://www.socialmediaitalia.com/?p=1178 160 E’ un neologismo che definisce un modello di business nel quale un’azienda o un’istituzione richiede lo sviluppo di un progetto, di un servizio o di un prodotto ad un insieme distribuito di persone non già organizzate in una comunità virtuale. Questo processo avviene attraverso degli strumenti web o comunque dei portali su internet.
170
Figura 5: pagina del sito di youcapital nella quale è possibile consultare le inchieste proposte
e quindi finanziarle
“School Raising” (Figura 6), invece, si propone come prima
realtà on line in Italia di fundraising dedicato al mondo
dell’istruzione. In un periodo in cui sono sempre più ridotti i
fondi pubblici a favore di questo settore, “School Raising”
intende fornire uno strumento aggiuntivo agli enti scolastici
affinché possano organizzare in modo strutturato e
sistematico la raccolta fondi per progetti didattici ed extra
didattici, favorendo il coinvolgimento sia di cittadini che di
imprese e promuovendo la trasparenza nell’utilizzo delle
risorse raccolte. Questa piattaforma intende supportare le
scuole nella promozione e nel finanziamento, da parte di
singoli cittadini e di imprese, di progetti didattici e extra-
didattici atti a garantire una migliore formazione agli studenti,
171
e un ambiente scolastico più all’avanguardia e sicuro. Da una
parte l’iniziativa mira a responsabilizzare le scuole nella
realizzazione delle iniziative finanziate e, dall’altra, a
sensibilizzare le imprese su azioni di responsabilità sociale
nei confronti del proprio territorio e della comunità di cui sono
parte integrante. In questo caso il binomio che traina le
adesioni al progetto è la mancanza di fondi per un bene di
interesse generale, come è successo per il referendum sui
servizi idrici, insieme alla solidarietà per un istituzione
maltrattata dallo stesso governo; se il Louvre ha trovato 7.000
“costituenti” a cui stava a cuore un quadro, immaginiamo
quanti potenziali “costituenti” potrebbero essere interessati a
finanziare la scuola pubblica. C'è da dire che “School
Raising” anche se vincitrice di numerosi concorsi per start up
ad oggi161
161 18 agosto 2011
non ha intrapreso nessuna campagna di
crowdfunding in quanto la piattaforma è ancora in fase
embrionale.
172
Figura 6: SchoolRaising al momento è solo un blog dedicato al mondo della scuola e del
sociale
“Fund for culture” (Figura 7) è un sistema di raccolta fondi per
le iniziative culturali. Attraverso la sua community intende
favorire l’incontro tra chi vuole fare cultura in Italia e chi vuole
sostenerla a partire da piccole donazioni. Sul sito web162
162 www.fundforculture.org
si
legge che si tratta di una raccolta fondi dal basso, sostenuta
dalle persone che con tanti piccoli contributi, goccia a goccia,
possono contribuire alla realizzazione di un grande progetto.
Il progetto nasce infatti per finanziare iniziative culturali, come
ad esempio mostre, restauri, archivi, pubblicazioni, spettacoli
e film, promosse da artisti, associazioni no profit, fondazioni
culturali, istituzioni pubbliche. Sempre sul sito web si legge
che “Fund For Culture” nasce per rispondere al bisogno degli
operatori culturali di risorse monetarie alternative a quelle
173
consolidate, sempre più scarse e sporadiche, e dalla
necessità crescente dei cittadini di intervenire personalmente
per vivere in un Paese migliore e di farlo non sentendosi soli.
Figura 7: home page del sito dundforculture.org, in questo caso si tratta di una
piattaforma di crowdfunding appena aperta e quindi ancora senza progetti da
finanziare
E' facile intuire che non tutti i progetti proposti sulle
piattaforme di crowdfunding hanno fortuna, solo i più
meritevoli riescono a reperire i fondi necessari per avviare
“l'impresa”. Per meritevole non intendo la sola bontà del
progetto ma tutto le azioni collegate ad esso: il grado di
emotività che suscita nelle menti; la capacità di rendere virale
il messaggio “promozionale” del progetto; il livello di
interattività che si instaura fra donatore e donatario; il grado
di trasparenza del progetto (sapere chi ha donato e quanto
174
ha donato); il grado di sicurezza della transazione (di solito si
usa il sistema PayPal); la forza dell'argomento trattato (se si
tratta di un bene dell'umanità è più facile che la gente si
decida a sposare la causa). Va sempre tenuto presente che
nessuna di queste piattaforme fa la “colletta” solo per spirito
caritatevole e non tutte le persone, o le aziende, donano per
pura filantropia. Infatti quasi tutte queste piattaforme hanno
un business model che prevede una forma di guadagno. Sui
termini di utilizzo di “Eppela”, per esempio, si legge che
l'accesso al servizio offerto da Eppela è gratuito. Sono
gratuite la pubblicazione del progetto da parte di un
inserzionista sul sito; sono ugualmente gratuite la sua
condivisione attraverso gli strumenti messi a disposizione da
Eppela e la sua permanenza sul sito per tutto il tempo
stabilito dall'inserzionista. Al termine di questo periodo, solo e
soltanto in caso di raggiungimento della soglia di
finanziamento richiesta da parte dell'inserzionista, il Servizio
tratterrà una percentuale della cifra pari al 5% del totale
raccolto163. “School Raising” invece, nel momento in cui
diventerebbe operativa a tutti gli effetti probabilmente
opterebbe per due versioni una “free” e una “premium”.
Quella free sarebbe dedicata ai donatori semplici, cioè i
singoli cittadini che vogliono fare una micro-donazione. La
versione premium invece sarebbe destinata alle aziende o
fondazioni che vogliono finanziare un dato progetto per
visibilità o per responsabilità sociale d'impresa. In questo
caso “School Raising” prevede una donazione obbligatoria da
parte dell'azienda verso se stessa164
163 Termini di utilizzo consultabili su
in cambio di una
http://www.eppela.com/ita/content/terms-of-use/ 164 In realtà il business model di School Raising ancora non è stato definito, e quanto detto è solo l'ipotesi più probabile selezionata dal fondatore della piattaforma.
175
promozione positiva dell'azienda sulla community di ”School
Raising”.
Come detto in precedenza neanche i piccoli donatori donano
per pure spirito caritatevole, anzi molti crowdfunder insistono
nel dire che questa forma di raccolta capitali non è né
elemosina ne carità, ma “finanza collettiva”. Chi dona per
diritto deve ricevere un dono; se si tratta di una produzione
discografica può essere un CD o un DVD; se si tratta di una
start up può essere uno stock di quote della società. Si tratta
insomma di una nuova forma di venture capital.
5.2 Crowdfunding e Cultura: un binomio più che
possibile
Nel paragrafo precedente ho parlato delle iniziative
“private” di crowdfunding, cioè di imprenditori sociali che
hanno captato la possibilità di guadagnare (non solo in
termini economici ma anche in benessere collettivo)
attraverso questo tipo di finanziamento. In questo paragrafo
proverò a immaginare quale sarebbe l'ambito migliore per un
PA in cui inserire una campagna di crowdfunding.
Come dicevamo nei capitoli precedenti la crisi economica ha
ridotto drasticamente i fondi che il governo italiano inviava ai
Comuni per occuparsi dei servizi sociali e del patrimonio
culturale, e quindi un aiuto economico extra sarebbe utile
proprio per questi due ambiti. Per quanto riguarda l'ambito
sociale, al momento esempi di crowdfunding non ce ne sono
176
stati, mentre per quanto riguarda l'ambito culturale qualcosa
si è mosso sia all'estero che in Italia. Come abbiamo visto
l'esempio più celebre di crowdfunding culturale è quello del
Louvre; sembrerebbe infatti, a detta di alcuni cultori della
materia, che questo nuovo fenomeno finanziario raggiunga
grandi obiettivi soprattutto nell'ambito culturale/artistico, e
anche in Italia sembrerebbe che sia questo l'ambito migliore
per iniziative del genere. Secondo questi esperti il modello
Louvre può essere ripetuto anche in Italia, in quanto ci sono
già state delle iniziative simili. Fra il 2007 e il 2009, in Italia, è
stato intrapreso un progetto che può essere considerato un
embrione di crowdfundig. Il progetto in questione è quello del
recupero del Teatro Carignano di Torino. Evelina Christillin,
presidente della Fondazione Teatro Stabile di Torino e
promotrice dell'operazione, dice: Abbiamo aperto i cantieri il 7
giugno 2007 per restituire il teatro nel gennaio 2009. A lavori
in corso ci siamo resi conto che i soldi del Comune non
bastavano: mancavano 4 milioni. È partita una sottoscrizione
popolare che ha scatenato - sul web e nei salotti - il tam tam
per salvare il teatro. Non l'hanno chiamato crowdfunding, ma
la sostanza è la stessa, e il risultato è stato dei migliori.
Sempre rimanendo in tema di cultura è da segnalare la
volontà futura dell'assessorato alla cultura della regione
Puglia di attivare per il 2012 dei piani di crowdfunding con le
Fondazioni, per reperire fondi da destinare ai beni
artistici/culturali presenti nella regione. Sempre in ambito
culturale, a Milano il direttore generale della “Triennale
Bovisa”, Andrea Cancellato, interrogato sul futuro del museo,
parla dei 500 mila visitatori del museo come un potenziale di
business alternativo. Anche se a detta dello stesso
Cancellato una campagna di crowdfunding funzionerebbe per
177
un obiettivo specifico, come l'acquisto di un opera, e non per
“salvare” il museo stesso: Il Louvre ha indicato una strada ma
questo sistema non funzionerebbe per situazioni difficili
(salvare l'intero museo), nel nostro caso la Triennale Bovisa.
Bisogna avere un obiettivo capace di motivare la comunità.
Anche Alberto Cottica, esperto di politiche pubbliche on line e
autore di “Wikicrazia”, crede che il crowdfunding possa
funzionare solo per progetti precisi e definiti in quanto è una
forma di finanziamento ad altissimo rischio: Il meccanismo è
opposto a quello della raccolta fondi che mira a ottenere tanto
da pochi finanziatori. Qui, il principio è ottenere una piccola
quota da molti. I donatori vogliono sentirsi parte di un
successo. il sistema italiano della cultura, a forte
partecipazione pubblica, può essere un disincentivo per il
crowdfunding, che resta un investimento ad altissimo rischio.
Infatti come sottolinea l'economista, le analisi condotte
rivelano che il 60% dei progetti lanciati non vanno in porto165
Francesco D'Amato
.
166
165 Intervista tratta dall'articolo di Serena Danna pubblicato su "il sole24ore" in dato 12 aprile 2011:
, docente al master in Industria
musicale della Sapienza di Roma, spiega che per rendere di
successo una campagna di crowdfunding, il proponente deve
garantire degli incentivi per i finanziatori di un progetto
culturale, i quali possono essere: il prestigio del proponente,
la partecipazione diretta al processo creativo e la modalità
rapida di accesso. Sempre D'amato continua dicendo che:
uno dei criteri di distinzione delle campagne di crowdfunding
consiste nella presenza o meno di incentivi non economici
alla donazione, facenti quindi leva su motivazioni diverse
dalla prospettiva di possibili guadagni. Tali incentivi possono
http://bit.ly/n6Ny8y 166 Testo tratto dal blog personale di Francesco D'amato: http://francescodamato.typepad.com/
178
essere ricondotti principalmente a quattro aree:
riconoscimento e prestigio sociale, ossia il prestigio e il
riconoscimento derivanti dall’essere accreditati come
produttori, sponsor, mecenati, ecc; accesso al processo
creativo; partecipazione al processo creativo (due cose ben
diverse, sebbene spesso nella retorica 2.0 “accesso” venga
automaticamente assimilato a “partecipazione”); rapporti
privilegiati con i richiedenti (che chiaramente tendono a
risultare tanto più “incentivanti” quanto maggiore è la
reputazione o la fama dei richiedenti).
Dal punto di vista statistico sembrerebbe che in Italia ci siano
le premesse per l'esplosione del fenomeno in questione,
anche se al momento i dati del e-commerce non sono
entusiasmanti. Naturalmente sono consapevole che il
crowdfunding non è una forma di e-commerce, ma comunque
può darci degli indicatori interessanti: il fatto che si tratta di
transazioni di denaro on line tramite carta di credito ci può
indicare il livello di fiducia e di traffico che hanno gli italiani nei
confronti degli operatori web. Se analizziamo i dati forniti da
Giuliano Faini della School of Management del Politecnico di
Milano167 ci rendiamo subito conto della difficoltà che hanno
gli operatori di e-commerce in Italia. I dati riportati si
riferiscono alle vendite via Internet verso consumatori finali di
prodotti e servizi, ad esclusione di home banking, gambling168
167 Le slide della presentazione tenuta da Giuliano Faini a Roma durante lo SMAU 2011 sono consultabili all'indirizzo
e downloading di contenuti digitali. Dai dati emerge che tra il
2008 e il 2009 la crescita del mercato è rimasta ferma e il
valore complessivo è rimasto pari a 5.763 milioni di Euro.
http://www.slideshare.net/SmauContents/smau-roma-2011-giuliano-faini 168 Si intende tutto l’ambito delle scommesse e dei gioco d’azzardo in genere
179
Solo nel 2010 si è registrato un incremento del 14% pari ad
un valore del transato di 6.582 milioni di Euro.
Il settore trainante del mercato è il turismo, con un 52% della
quota totale, stabile tra il 2009 e il 2010, in discesa di appena
un punto percentuale dal 2007. Rispetto al resto dell'Europa il
mercato appare decisamente squilibrato e l'offerta di prodotti
è decisamente scarsa rispetto all'offerta di servizi. In Europa
la situazione è inversa con la predominanza dell'offerta di
prodotti rispetto all'offerta di servizi. Questo dato si riflette
anche sull'export: sono molti di più gli italiani che acquistano
all'estero rispetto agli stranieri che acquistano in Italia e la
percentuale è aumentata del 18% fino ad arrivare ad un
valore di 7.793 milioni di Euro.
180
Andando a fotografare lo stato delle aziende che operano on
line i dati si fanno ancora più interessanti: emerge
chiaramente che il 73% del mercato è detenuto dai primi 20
operatori e-commerce. Vuol dire che chi compra on line si
fida perlopiù dei brand più popolari e conosciuti, insomma
quelli che comunicano più sicurezza e affidabilità: eBay,
Yoox, TicketOne, eDreams, ecc.
Se si guarda al valore dei mercati dei principali paesi europei
i dati iniziano ad evidenziare preoccupanti informazioni; il
valore del mercato italiano è pari ad appena 7,5 miliardi di
Euro, all'ultimo posto in Europa. Ancora più preoccupante è il
fatto che esso è meno della metà del mercato del penultimo
paese europeo, la Francia, il cui mercato vale 16,5 miliardi di
Euro.
Ma a rassenerare gli animi degli operatori di e-commerce
sono i dati che si riferiscono al presente e al futuro. C'è da
dire infatti che nel periodo che va da fine 2010 a inizio 2011, il
tasso di crescita del mercato italiano è attestato sui livelli
medi europei, prospettandosi cosi un incremento del mercato.
Infatti sempre in base a uno studio dell'osservatorio e-
Commerce B2c del Politecnico di Milano, le vendite on line, e
quindi l'uso di carte di credito on line, in Italia sono aumentate
del 14%, superando la soglia dell'1% sul totale delle vendite
retail. Questo previsione è confermata anche dalla crescita
del volume di affari di società come “PayPal” (permette di
effettuare transazioni senza condividere i dati della carta con
il destinatario finale del pagamento). Secondo le informazioni
ufficiali fornite dalla stessa PayPal169
169 Fonte Paypal:
, sembrerebbe che
nessuno dei dirigenti dell'azienda si aspettava uno sviluppo
https://bit.ly/mUM06b
181
tanto veloce del proprio mercato, soprattutto nella dimensione
mobile, tanto da trovarsi per la terza volta in pochi mesi a
dover rivedere al rialzo le precedenti stime di crescita170. Le
prime stime risalgono allo scorso inverno, quando “PayPal”
pronosticava per il 2011 pagamenti in mobilità per 1.5 miliardi
di dollari. Ad inizio anno la stima era già salita a quota 2
miliardi, ma nel frattempo le dinamiche utili a fungere da
stimolo erano molte: iPhone, Android, la moltiplicazione degli
smartphone, iniziative come Square171
Se invece ci concentriamo sul “mercato” delle donazione
culturali possiamo constatare come un aumento del volume
d'affari sia direttamente collegato alla normativa vigente. Per
il “Centro studi e ricerche di Civita e Unicab Italia
o come quelle delle
varie carte di credito tradizionali. Il mercato ha iniziato a
lievitare e presto il gruppo si è trovato a dover spostare
l’asticella verso l’alto a quota 3 miliardi. È vero che questi dati
sono relativi all’intero mercato mobile di Paypal, ma è vero
anche che in Europa siamo proprio noi italiani a detenere il
record di smartphone venduti.
172
170 Si tratta di dati riferiti al panorama internazionale 171 Square è una applicazione che permette transazioni sicure di denaro attraverso dispositivi mobile 172 Fonte “Civita”: http://bit.ly/nCTTar
”, un
italiano su tre si dice disponibile a donare dai 21 ai 71 euro
per un'istituzione museale che considera rappresentativa
della cultura nazionale o del contesto locale. Sempre
secondo “il centro studi Civita”, gli ambiti che attraggono
maggiori risorse sono quelli dell’assistenza sociale e della
ricerca medica, ma verso arte e cultura risulta donare una
percentuale del campione (5,6%) maggiore di quella che
privilegia il settore ambientale (5,1%). Un italiano su tre,
inoltre, si dichiara disponibile a donare una somma di denaro
182
in favore dei musei volendo contribuire alla conservazione del
patrimonio artistico-culturale del Paese. Sempre da questo
studio risulta che in Italia le imprese (73,5%) donino molto più
delle persone fisiche (solo 0,2%) e degli enti non commerciali
(26,3%), questo avviene in particolar modo poiché la
normativa fiscale asseconda questo fenomeno: La
legislazione fiscale italiana, infatti, a differenza di quella
statunitense o di altri paesi europei, favorisce questo gruppo
di fonti di erogazione perché permette la piena deduzione del
reddito solo delle somme erogate dalle imprese, mentre i
singoli cittadini possono detrarre dall’imposta lorda il 19%
della donazione. L’ipotesi di innalzamento del tetto di
detrazione al 50% risulta agire da incentivo per un diverso
apporto nell’erogazione in particolare per il campione
maschile: il 48% degli intervistati, infatti, sarebbe disposto a
modificare in questo caso l’entità della cifra offerta, che
passerebbe mediamente da un minimo di 33 euro ad un
massimo di 109 euro, con un incremento di 12 euro
sull’importo minimo e di 38 euro su quello massimo,
corrispondenti rispettivamente a un +57% e ad un +53%173.
Walter Santagata174
173 Fonte “Civita”
a proposito delle donazioni alla cultura
dice: Le donazioni in favore del patrimonio culturale
sembrano soffrire di due inconvenienti. Il primo riguarda la
scarsa capacità del patrimonio culturale di attrarre donazioni
rispetto ad altri settori. Il secondo è un’enfasi mal posta della
politica culturale, per cui l'introduzione di incentivi fiscali
sembra essere il solo meccanismo preferito dai decisori
politici in cerca di risorse economiche private. Tra i diversi
settori oggetto di donazione, il sostegno privato alle arti, alla
http://bit.ly/raP4cJ 174 Professore "Università degli studi di Torino, Dipartimento di Economia: articolo completo consultabile su http://bit.ly/oQssUf
183
cultura e alle organizzazioni del patrimonio culturale
occupano posizioni basse nella classifica per quantità di
donazioni. Secondo alcune stime, a livello internazionale
circa il 10% dei flussi di filantropia privata va alla cultura.
Negli Stati Uniti, nel 2007 su un totale di 307 miliardi di
dollari, solo il 4,8% è stato donato alle organizzazioni di arte,
cultura e scienze umane. Parimenti, in Italia su 5,5 miliardi di
euro di beneficenza stimati nel 2007, le organizzazioni per le
arti e la cultura sono state destinatarie di una quota molta
bassa di donazioni. Per esempio, recenti indagini sul
comportamento dei donatori in Italia, rivela che la quota di
donazioni alle arti, alla cultura e alle istituzioni culturali è
compresa fra l’1% e il 3,2%. Donare per la cultura sembra
quindi una scelta residuale, venendo dopo altri settori come
le organizzazioni religiose, la salute, l’istruzione e servizi
sociali.
Questa carrellata di dati e opinioni è stata utile per dimostrare
una peculiarità delle transazioni on line e fare due
considerazioni sulle donazioni verso la cultura: gli Italiani
fanno transazioni on line prevalentemente su piattaforme
note e quindi che comunicano sicurezza. Per quanto riguarda
le donazioni alla cultura c’è da dire che l'aumento delle
donazioni on line è vincolato ad alcuni cambiamenti normativi
in ambito fiscale, e che la comunicazione prodotta dagli enti
culturali produce poco appeal, quindi fa del cattivo marketing
per convincere le persone a donare del denaro.
184
5.3 Previsione future della donazione on line.
Come accade quasi sempre per le stime sulle tendenze
future è bene dare uno sguardo a quello che succede oltre
oceano, negli U.S.A, dove la donazione on line e il
crowdfunding sono metodologie usate da tempo.
Secondo uno studio sulle donazioni on line condotto da
Target Analytics (Blackbaud Company), società dedicata alla
ricerca e alla consulenza per il mondo del no profit
statunitense, entro il 2020 la maggior parte delle donazioni
verrà effettuata utilizzando il web. Questo dato viene
condiviso e riportato anche da uno studio sull’usabilità delle
donazioni on line condotto da J. Nielsen175
175 Per informazioni più dettagliate sullo studio di Nielsen consultare: J. Estes, J. Nielsen, Donation usability, 58 Guidlines for Improving the Donation Process and the Usability of Essential Information on Charity and Non.Profit Websites (p. 5). Il report è disponibile in versione scaricabile (a pagamento) su www.nngroup.com/reports/donations. 4 H. Flannery, R. Harris, C. Rhine, Op. cit., pp. 10-sg. 2
e dal suo team.
Inoltre questi studi confermano che la donazione on line,
anche se sarà la tipologia di fundraising più usata nel futuro
prossimo, non può comunque essere l'unico canale per le
donazioni, ma deve essere una parte ben integrata dell’intero
programma di marketing dell'associazione di turno. Infatti,
secondo lo studio sulle donazioni on line di “Target Analytics”,
per molte organizzazioni una porzione rilevante di donatori
che conosce la causa da sostenere sul web poi migra su
canali tradizionali (ad esempio la posta o i bonifici bancari)
per effettuare le donazioni. Sempre secondo lo studio in
questione, coloro che effettuano donazioni tramite canali off
line raramente decidono di cambiare metodo rivolgendosi a
quello on line. Ma se le previsioni di Target Analytics si
185
riveleranno esatte, e quindi col passare degli anni la
donazione di denaro si effettuerà quasi esclusivamente sul
web, è bene che il mondo del no profit, e anche la PA, si
faccia trovare pronto ad affrontare questo cambiamento,
iniziando fin da ora a riprogettare le proprie strategie di
fundraising.
Se vogliamo parlare di numeri ci conviene prendere come
riferimento un altro studio fatto in U.S.A da Giving USA176
176 Per maggiori informazioni circa le statistiche riguardanti le donazioni alle charity statunitensi dell’anno 2008 consultare il sito web http://tinyurl.com/kso9op. Dati provenienti dall’analisi di circa 2.000 organizzazioni non-profit statunitensi che utilizzano i servizi di Blackboud
,
fondazione per la ricerca e la sensibilizzazione riguardante il
mondo del no profit e della responsabilità sociale, la quale ha
stimato che nel 2008 le donazioni alle associazioni no profit
statunitensi hanno raggiunto la cifra di 307.65 miliardi di
dollari. Di questi soldi circa 15 miliardi di dollari sono stati
donati attraverso piattaforme web. Questa somma di denaro,
rappresenta il 5% del totale delle donazioni e, rispetto agli
anni precedenti, si riscontra una crescita continua e stabile,
nonostante non vi siano state emergenze di grande rilievo,
come per esempio è successo tra il 2005 e il 2006, quando la
vistosa crescita dell’entrate derivanti dalle transazioni on line
può essere ricondotta allo tsunami dell’Oceano Indiano della
fine del 2004 e all’uragano abbattutosi su New Orleans nel
2005. I dati sulla raccolta di fondi on line per il primo
trimestre 2009 evidenziano che la raccolta di denaro è
aumentata di circa il 68% rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente. Questo elemento dimostra che la
raccolta di fondi è in continua ascesa anche a dispetto della
crisi economica che ha colpito il Mondo intero. I dati sulle
caratteristiche dei donatori on line riportano che questi sono
186
più giovani e hanno un reddito superiore rispetto a chi utilizza
canali più tradizionali (ad esempio la posta) per destinare
soldi al mondo del no profit. Va detto a proposito che la
donazione on line è considerato un gesto singolo, fatto
d'impulso e quindi difficilmente ripetibile per la stessa
associazione. Quindi, il fatto che l’importo delle donazioni on
line sia superiore rispetto a quelle effettuate tramite circuiti
tradizionali è da imputare alla scarsa ripetitività che
caratterizza il gesto. Ma per quanto riguarda il crowdfunding,
la mancata ripetitività del gesto non dovrebbe essere un
problema, poiché ogni campagna avrebbe un obiettivo
diverso da quello precedente. Infatti al contrario delle
campagne di fundraising classiche, si finanzia il singolo
progetto non l'associazione in toto. E poi non va dimenticato
che il crowdfunding più che donazione è considerato una
nuova forma di venture capital in quanto in cambio della
donazioni si ricevono dei feed. Questi dati infatti mi sono
serviti soprattutto per mostrare che il volume di affari delle
transazioni on line a fine filantropico è in costante crescita, e
quindi anche per le campagne di crowdfunding si prospetta
un futuro roseo.
5.4 Come potrebbe essere utilizzato il crowdfunding
dagli Enti Locali.
Dopo aver constatato che il migliore ambito di utilizzo per il
crowdfunding è quello culturale/artistico, dobbiamo capire chi
187
si dovrebbe occupare della potenziale campagna di
fundraising.
Gli Enti Locali oltre ad essere gli enti che gestiscono il
patrimonio culturale artistico locale, sono gli enti pubblici più
vicini ai cittadini, quelli che più di ogni altro ente conoscono le
necessità e le attitudini dei propri amministrati. Inoltre come
abbiamo visto in precedenza sono proprio gli enti comunali
quelli più penalizzati dalle recenti manovre finanziarie, le quali
hanno decurtato i fondi destinati alla cultura e ai servizi
sociali, e quindi sono più bisognosi di fondi extra. Quindi, per
questi motivi sembrerebbe logico indicare gli Enti Locali come
i principali indiziati a svolgere azioni di crowdfunding per la
tutela del patrimonio artistico/culturale del territorio di
riferimento. A rafforzare questa mia ipotesi, posso
argomentare la cattiva considerazione che hanno i cittadini
italiani nei confronti del mondo politico e amministrativo; per
questo motivo una richiesta di fondi portata avanti da
un'amministrazione potrebbe avere senso solo se serve a
salvaguardare un bene vicino e fruibile dagli amministrati a
cui si chiedono soldi, insomma i primi portatori di interesse.
Come detto in precedenza è soprattutto l'aspetto emotivo che
influisce positivamente sulla decisione di donare; quindi se il
“bene pubblico” per cui si chiedono soldi è emotivamente
importante per i donatori (perché ci hanno passato
l'adolescenza; perché è vicino casa; perché c'è andato a
scuola ecc.) la possibilità di successo della campagna è
maggiore. Se poi consideriamo il crowdfunding in termini di
trasparenza, un concetto chiave per questo fenomeno, c'è da
dire che una trasparenza reale è possibile soprattutto in
ambito locale; se chiedo di donare soldi per la restaurazione
188
di un edificio cittadino, sarà facile per i donatori constatare lo
stato dei lavori.
Naturalmente, come è emerso dalle ricerche citate in
precedenza, il crowdfunding non può sostituire i classici
strumenti di fundraising come le sponsorizzazioni o le
donazioni “classiche”, ma può sicuramente affiancare queste
attività ampliando le possibilità di “fare cassa”. Per fare un
esempio pratico prendiamo il caso della Basilica di Santo
Stefano a Bologna; nel 2010 i monaci benedettini che vivono
e gestiscono il complesso delle “sette chiese” hanno fatto una
richiesta di fondi per restaurare la Basilica. L'entità della cifra
richiesta oscillava intorno ai 3,5 milioni di euro, ma il governo
ha finanziato solo 1 milione e 300 mila euro per i suddetti
lavori. I soldi mancanti sono stati trovati attraverso le
donazioni, e altre forme di solidarietà, dei cittadini bolognesi
affezionati all'edificio storico. Se parallelamente al fundraising
tradizionale fosse stata attivata una campagna di
crowdfunding, probabilmente oltre ai bolognesi si sarebbero
trovati altre persone affezionate o interessate alla tutela del
patrimonio artistico. Attraverso il web, per esempio, la
possibilità di contattare e informare gli studenti erasmus che
hanno studiato a Bologna, oppure le persone che hanno
studiato a Bologna da “fuori sede”, si moltiplicano e con esse
si moltiplicano le possibilità di ricevere donazioni. Nel mondo
anglosassone gli ex studenti delle università sono i primi ad
essere contattati quando si tratta di eventi di beneficenza
organizzati dall'università stessa o dall'amministrazione locale
della città in cui l'università risiede. Si parte dal presupposto
che gli ex studenti nel tempo siano diventati professionisti e
quindi persone che hanno il potenziale economico per
189
sostenere eventi di beneficenza. Con il web e in particolare
con i social media gli enti pubblici hanno la possibilità
concreta di “frequentare” e di chiedere aiuto ai propri
“costituenti” in momenti di bisogno economico. Un’eventuale
campagna di crowdfunding per qualcosa che ha che fare con
Bologna, potrebbe iniziare proprio in questi ambienti virtuali;
per esempio su Facebook c'è la “pagina” di Bologna, quella
dell'università di Bologna e il “gruppo” degli studenti e degli ex
studenti dell'università.
5.5 Quale ufficio comunale dovrebbe occuparsi delle
campagne di crowdfunding?
Una volta individuato l'ente pubblico più idoneo ad adottare le
strategie di crowdfunding, è bene capire chi all'interno della
struttura deve occuparsi dell'intero processo. Se partiamo dal
presupposto che il fundraising è un'attività improntata
soprattutto sul contatto e sul dialogo con le persone,
sembrerebbe palese il fatto che un'attività del genere vada
presa in carico dall'ufficio relazioni con il pubblico. Di fatti
all'interno di ogni Urp ci sono quasi tutte le competenze
necessarie per iniziare una campagna del genere e portarla a
termine con buone probabilità di successo. Il compito
dell'Urp, come ampiamente descritto nei primi capitoli, è
quello di comunicare in modo costante con i propri
amministrati, e quindi costruire con loro un canale di
comunicazione bidirezionale. Una buona attività comunicativa
è la conticio sine qua non per avviare una campagna di
190
crowdfunding di successo, quindi meglio se fatta da
professionisti. Inoltre va ricordato che una campagna di
crowdfunding può svolgersi unicamente sul web, ed è proprio
l'Urp l'ufficio designato alla gestione delle reti telematiche del
comune, come la rete civica. L'Urp ha però bisogno di almeno
altre due figure professionali, necessarie per aumentare le
possibilità di successo di una campagna di crowdfunding: il
community manager e il fundraiser.
In quanto si tratta di micro-donazioni sul web è opportuno
contattare “virtualmente” quante più persone possibili
attraverso i social media. Ma per convincere le persone a
donare bisogna veicolare contenuti di qualità
quotidianamente, quindi ci vuole una persone all'interno
dell'Urp che si occupi costantemente della propria community
e dei rapporti con le altre community presenti sul territorio.
Non va dimenticato che è la condivisione dei contenuti a
determinare il successo o meno di una campagna informativa
o di comunicazione, e se assumiamo come buona l'ipotesi
che il crowdfunding usato dall’amministrazione pubblica
esprima il suo massimo potenziale in ambito locale, ci
rendiamo subito conto che il rapporto con le community
cittadine sono essenziali. Sempre per fare esempi pratici
prendiamo il caso di Bologna; nel capoluogo emiliano sono
presenti 12 community “ufficiali”, più molte altre “ufficiose”177,
se è vero che i più attivi on line sono i più attivi anche off
line178
177 Fonte "tagbolab"
, potrebbe significare che le community on line sono la
più recente versione della tradizione volontaristica e di
cittadinanza attiva tipica del territorio di riferimento, l’Emilia
http://bit.ly/neV859. Va detto che esistono altre forme di community meno evidenti e rintracciabili, per esempio i gruppi su Linkedin e le pagine/gruppi su facebook. 178 Ricerca condotta dal “Pew research center”, e consultabile su http://bit.ly/g9mHOP, secondo la quale le persone più attive sul web sono quelle più attive nella vita reale
191
Romagna179
L'altra figura di cui necessità un Urp per poter intraprendere
campagne di solidarietà economica è il fundraiser. Egli deve
saper gestire la relazione con il donatore, deve avere
competenze nella gestione del database attraverso strumenti
informatici, deve avere un'ampia conoscenza di tutte le
modalità per raccogliere fondi (direct marketing,
telemarketing, e-mailing, web marketing, face to face). La
figura del fundraiser in Italia oggi non è ancora bene
affermata, secondo i più recenti approcci il fundraising più
che essere legato semplicemente alla cultura della carità o a
quella filantropica e del mecenatismo, fonda il suo significato
nel fenomeno della responsabilità sociale diffusa che spinge i
soggetti sociali e collettivi ad effettuare investimenti di risorse
per il raggiungimento di comuni benefici sociali
, e quindi forse le più propense a donare del
denaro per un bene “locale” di interesse generale. Il compito
del community manager “comunale” si potrebbe risolvere
proprio nella gestione delle relazioni con i “cybercittadini” del
Comune, cioè aprire un canale di dialogo continuo che serva
da base per ogni attività informativa e filantropica. Come
abbiamo detto in precedenza non si può chiedere del denaro
senza prima sensibilizzare i possibili donatori.
180
179 Michele D'alena su Tagbolab: http://bit.ly/IFXXga 180 Fonte Wikipedia
. Mentre la
politica decide l'indirizzo, quindi sceglie il “cosa” necessità di
fondi, il fundraiser insieme al responsabile dell'Urp e agli altri
dirigenti amministrativi dovrebbe decidere il “come” affrontare
una campagna di fundraising; che tipo di azione
intraprendere (direct mail, crowdfunding, sponsorizzazione,
cause related marketing ecc) e che contenuti veicolare, per
convincere le persone a donare del denaro. Al momento la
192
figura del fundraiser è chiamata in causa prevalentemente
dalle Onlus e dal mondo no profit in generale, e quando la PA
decide di avvalersi di questa figura professionale solitamente
opta per una consulenza esterna.
5.6 Crowdfunding, PA e sussidiarietà
Dato il momento storico, fortemente penalizzante per i
Comuni e per la PA in genere181
In quanto l'articolo 118 della costituzione recita che: Stato,
Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono
l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del
principio di sussidiarietà, possiamo immaginare anche la
possibilità che qualche organizzazioni no profit, specializzata
nel crowdfunding, aiuti il Comune di turno a reperire fondi per
la tutela di attività di interesse generale, come la tutela di un
, e dato che uno degli
obiettivi della nuova PA è l'alleggerimento delle proprie
strutture è difficile poter pensare che gli Enti Locali si
avvalgano di altro personale. Infatti dagli anni '80 gli Enti
Locali stanno conducendo un opera di esternalizzazione dei
servizi comunali, e dal 2001 si stanno favorendo i processi
sussidiari, cioè la presa in carico di attività pubbliche da parte
di associazioni no profit, il famoso terzo settore. Per questi
motivi sembrerebbe proprio la via sussidiaria quella più
praticabile per intraprendere con successo attività di
crowdfunding.
181 Mi riferisco al ridimensionamento dei finanziamento del governo verso gli Enti Locali.
193
giardino pubblico o di un bene culturale/artistico. Si
tratterebbe di una collaborazione fra un ente pubblico e
un'associazione di professionisti specializzata nel
crowdfunding, che di solito annovera nelle sue file sia un
community manager che un fundraiser, e quindi potrebbe
migliorare la capacità degli Enti Locali di attrarre donatori.
Come abbiamo visto alcune piattaforme di crowdfunding sono
nate come risposta ai tagli del governo su beni pubblici,
“School Raising” per la scuola pubblica e “Fund for Culture”
per i patrimoni culturali/artistici italiani; nessuno ci vieta di
ipotizzare una forma di collaborazione, da pari, fra queste
associazioni e le amministrazioni pubbliche di riferimento.
Bisogna dire che mentre “Fund for Culture” è un'associazione
no profit, “School Raising” ancora non è entrata ufficialmente
sul mercato e quindi ancora non ha una forma giuridica
definita. Entrambe le piattaforme hanno come mission finale
aiutare le amministrazioni a garantire quei servizi ormai
considerati non necessari, ma che comunque sono ancora
sotto gestione pubblica. Va da se, che per forza di cose,
anche senza alcun accordo, ci sarà comunque un incontro fra
queste associazioni e le PA di riferimento, quindi perché non
anticipare l'incontro creando una collaborazione seria e
affidabile? Al momento l'unica attività di fundraising
veramente usata dagli Enti Locali è la sponsorizzazione, e
non si vede un'inversione di tendenza verso l'adozione di altri
metodi di raccolta fondi, quindi probabilmente la cosa più
semplice da fare è dare la possibilità ad altri enti di affiancare
il Comune in questi affari, seguendo la forma della
sussidiarietà orizzontale. Se è vero che Stato, Regioni, Città
metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma
194
iniziativa dei cittadini, singoli e associati ed è vero anche che
si predilige il favorire attività già in essere, l'Ente Locale non
deve far altro che pianificare un progetto comune con queste
associazioni per la tutela degli interessi generali.
Al momento uno dei problemi principali sia di “School
Raising” che di “Fund For Culture” potrebbe essere la Brand
reputation: stiamo parlando infatti di due “realtà” appena nate
che come core business hanno la questua di denaro, e
svolgono la loro attività in un ambiente, l'Italia, non troppo
favorevole alle transazioni di denaro on line. Per queste
associazioni la possibilità di ratificare un intesa con un
Comune ogni volta che da parte dell'ente pubblico ci sia la
necessità di reperire fondi, e quindi di usare il brand
rassicurante del comune stesso, potrebbe aumentare di
molto il volume delle donazioni on line per la tutela dei beni di
interesse generale.
In uno scenario di sussidiarietà, l'alleanze fra la PA e queste
associazioni, si potrebbe realizzare in una modalità molto
snella per l'ente pubblico. Il Comune dovrebbe decidere,
dopo un'attenta analisi, quale patrimonio si presta meglio ad
un operazione di fundraising in generale e di crowdfunding in
particolare, e dovrebbe concedere l'uso del proprio brand, per
dare autorevolezza all'intero progetto. Per la fase
organizzativa e operativa il pallino del gioco passerebbe alle
associazioni specializzate in questo settore, le quali
dovrebbero scegliere modalità e tempi operativi della
campagna filantropica. In uno scenario del genere l'Ente
Comunale di turno non avrebbe ne costi aggiuntivi ne
maggior lavoro per i propri dipendenti, e inoltre avrebbe la
possibilità di reperire gratuitamente i fondi necessari per la
195
tutela del patrimonio scelto. L'unico onere del Comune,
quindi, sarebbe il “favorire” la diffusione della campagna di
crowdfunding attraverso le proprie reti telematiche. Va
comunque detto che le associazioni in questione, anche se
no profit, andrebbero retribuite per garantire la loro
sopravvivenza. Per il loro compenso si potrebbe pensare ad
un business model come quello usato da Eppela: tenersi il
5% del totale delle donazioni ricevute. In questo modo si
garantirebbe sia la sopravvivenza di tali associazioni che il
risparmio di spesa per gli Enti Comunali. Naturalmente,
l'associazione deve garantire sia al Comune che ai donatori,
la massima sicurezza della transazione (usando quindi
protocolli di sicurezza come Paypal e l'uso di connessioni
https) e la massima trasparenza nella raccolta del denaro,
che poi a campagna finita andrebbe trasferito al Comune che
lo userebbe per la tutela del bene scelto.
D'altronde accordi del genere, anche se forse si tratta di
esternalizzazione e non di sussidiarietà, sono già usati nel
campo delle sponsorizzazioni; come detto in precedenza i
contratti di sponsorizzazione nelle PA prevedono che l'intero
processo organizzativo e operativo sia gestito da società
terze, esterne alla PA di riferimento.
È ovvio che comunque i dirigenti della PA devono
supervisionare l'intero processo, per assicurarsi che non si
mini il principio di buon andamento della PA, e quindi quello
di imparzialità. Dobbiamo sempre tenere presente che il
crowdfunding prevede uno scambio fra donatore donatario, e
quando si tratta di una grossa donazione da parte di una
società commerciale, fatto per la propria responsabilità
sociale di impresa, bisogna considerare bene il feed che la
196
società vuole in cambio. Di fatti temi come l'istruzione sono
molto sensibili e in alcuni casi si potrebbero minare i principi
tutelati dall'articolo 97 della Costituzione italiana. Insomma
nel caso che si attivi una campagna di crowdfunding l'intesa e
la collaborazione fra pubblico e terzo settore deve essere
delle migliori e deve essere basata su principi morali ferrei.
5.7 Conclusioni
È bene concludere facendo delle precisazioni. Il
crowdfunding, come ogni processo partecipativo attivato da
un'amministrazione pubblica, per andare a buon fine
necessita di esperienze positive precedenti fra PA e cittadini.
Per chiedere aiuto ai cittadini, questi oltre che sentirsi parte
del progetto, devono avere fiducia totale nella propria
amministrazione; vale a dire che processi del genere hanno
maggiore possibilità di riuscita in territori che sono stati
amministrati bene negli anni precedenti, con trasparenza ed
efficienza. Significa che il crowdfunding potrebbe funzionare
bene in quelle città dove la “rivoluzione copernicana” da parte
della PA è stata fatta veramente. La campagna del Louvre è
stata un successo anche per un motivo “amministrativo”: la
PA in Francia è un'istituzione rispettata dai cittadini, è un ente
di cui la popolazione francese si fida, Infatti la PA francese è
da sempre l'esempio positivo di lavoro burocratico per tutta
l'Europa, e infatti come è stato dimostrato, per queste
amministrazioni non è difficile chiedere aiuto economico ai
propri amministrati. Per quanto riguarda la PA italiana, come
197
sappiamo bene, è solo dagli anni '90 che si è aperta ai
cittadini e ha stretto un nuovo patto di fiducia con i propri
amministrati. Quindi il chiedere denaro ai cittadini deve
essere preceduto da anni di amministrazione perfetta,
insomma il cittadino deve riniziare a fidarsi dei propri
amministratori.
Possiamo concludere la nostra analisi dicendo che un uso
migliore degli strumenti di fundraising già in possesso della
PA, e l'implementazione di questi strumenti con il
crowdfunding, sono necessari per la tutela di quei beni che
fanno dell'Italia il “bel paese”. È evidente che ci sia un gran
bisogno di aiuti economici extra per tutelare il patrimonio
artistico culturale gestito dalle amministrazione pubbliche. Per
aumentare gli incassi provenienti dalle donazioni (ma anche
dalle sponsorizzazioni e dal clause related marketing) è
opportuno migliorare il regime fiscale che regola queste
particolari transazioni economiche, agevolando i donatori con
migliori sgravi fiscali.
Il crowdfunding non è la salvezza del nostro patrimonio
culturale e artistico, ma di certo può essere un'arma in più per
la sua tutela. Questo strumento di fundraising, se dato in
carico a privati tramite la sussidiarietà, è un opportunità di
fare cassa che ha costi irrisori; di fatto come detto nel capitolo
precedente l'associazione che si occuperebbe della
campagna di crowdfundig si pagherebbe con la campagna
stessa. C'è da dire però che i progetti in cerca di
finanziamento tramite crowdfunding, non sono progetti
faraonici da milioni di euro, ma di solito sono progetti che si
risolvono con cifre al massimo di cinque zeri (per il momento
solo il Louvre è riuscite nell'impresa di racimolare più di un
198
milione di euro). Per questo motivo il crowdfunding è da
intendersi solo come un metodo ulteriore per “fare cassa”,
come ho detto ripetutamente questa attività non può sostituire
le altre ma può solo affiancarle. Inoltre a proposito va detto
che tutti gli escamotage per aumentare le possibilità di
fundraising (per esempio il QR code installato nei pressi dei
monumenti per informare il turista e veicolarlo sulla donation
page dell'ente o dell'associazione che lo gestisce) sono
accortezze imprescindibili che ogni amministrazione
dovrebbe attivare.
Comunque sia, se è vero che il futuro delle relazioni e delle
donazioni si sta dirigendo verso il web, è bene farsi trovare
pronti e con le idee chiare sulle strategie future: anche se il
crowdfunding non fosse usato dagli Enti Locali, è cosa buona
che i Comuni inizino a presidiare con competenza e costanza
l'ambiente web 2.0, e quindi avviare un rapporto fruttuoso con
le community on line presenti sul territorio. Anzi molto
probabilmente è proprio da qui che si dovrebbe iniziare; se si
inizia a dialogare con i “cybercittatidini” dei problemi del
territorio di residenza, e quindi li si fa partecipare alle fasi
decisionali e risolutive di questi problemi, c'è la possibilità che
siano loro stessi a donare volontariamente, senza che
nessuno li sproni al farlo.
In fine vorrei chiarire una cosa: non è detto che una
campagna di crowdfunding possa riuscire solo in ambito
locale, infatti patrimoni dell'umanità come può esserlo il
Colosseo di Roma, sono beni che troverebbero aiuto non
solo sul territorio locale ma anche su territori esteri. Pensiamo
a proposito quanti turisti visitano ogni anno questo
199
monumento, e quanti di loro sarebbero disposti a donare un
euro oltre che a lanciarlo nella fontana di Trevi.
Insomma le possibilità di uso di questo strumento di
fundraising sono molteplici, probabilmente più passerà il
tempo e più si troveranno nuovi ambiti di utilizzo, basterà solo
capire come sfruttarle al meglio.
200
BIBLIOGRAFIA
Arena. G, 2006, Trasparenza amministrativa, in S. Cassese (diretto da),
Dizionario di Diritto Pubblico, Milano: Giuffrè editore
Augè. M, 2005, I non luoghi, introduzione ad un’antropologia della
surmodernità, Milano: Eluthera
Benkler, Y, 2006, The Wealth of Networks: How Social Production
Transforms Markets and Freedom: Yale university press
Bauman. Z, 2003, Modernità liquida, Roma: Laterza
Bobbio. L (a cura di), 2007, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le
pratiche di partecipazione in Italia, Soveria mannelli: Rubettino editore
Donati. D, 2008, Il principio di trasparenza in costituzione, in F. Merloni,
G. Arena, G. Corso, G. Gardini, C. Mazuoli (a cura di), La trasparenza
amministrativa, Milano: Giuffrè editore
Donati. D, 2010, Partecipazione come categoria, identità,
rappresentanza. Ruolo e contraddizione delle nuove forme associative,
in A. Valastro (a cura di) La democrazia partecipativa come metodo di
governo. Principi, regole, limiti, Napoli: Jovine ed
Donati. D, 2010, Il controllo dei cittadini sull’amministrazione pubblica,
tra effettività giuridica e controllo etico, in L. Vandelli (a cura di) Etica
pubblica e buona amministrazione. Quale ruolo per i controlli?, Milano:
Franco Angeli Editore
Donati. D, 2010, La sussidiarietà orizzontale nell’evoluzione normativa
dello Stato e delle regioni, in G. Arena e G. Cotturri (a cura di) Il valore
aggiunto. Come la sussidiarietà può salvare l’Italia, Roma: Carocci
editore
201
Donati. D, 2010, Origini, connessioni e interpretazioni del principio di
sussidiarietà orizzontale nell’ordinamento italiano, in D. Donati e A. Paci
(a cura di) Sussidiarietà e concorrenza. Una nuova prospettiva per la
gestione dei beni comuni, Bologna: Il mulino
Ferrara. P, Moro. D, 2011, Fundrasing on line, Forli: Philantropy
Grandi. R, 2001, La comunicazione pubblica. Teorie, casi, profili
normativi, Roma: Carocci editore
Habermas. J, 2006, Storia e critica dell'opinione pubblica, Bari: Laterza
Lovari. A, 2009, Basta un post? Il ruolo dei media sociali nel rapporto tra
amministrazioni pubbliche e cittadini, in S. Beneati (a cura di)
Comunicazione pubblica digitale. Conoscere, partecipare, interagire,
Roma: Bonanno editore
Melandri. V, Rosso Hank, Tempel E.R, 2004, Il libro del fundrasing .
Etica, strategie e strumenti della raccolta fondi, Milano: Etas editore
Melandri. V, 2003, I costituenti del fundraising: come stimolare il
coinvolgimento nell’organizzazione non profit, in terzo settore, n.11
novembre 2003, pag. 19-23
Pitteri. D, 2002, La pubblicità in Italia, dal dopoguerra a oggi, Roma:
Laterza
Rodotà. S, 2007, Tecnopolitica. La democrazia e nuove forme della
comunicazione, Bari: Laterza
Rovinetti. A, 2006, La comunicazione pubblica. Sapere & fare, Milano: Il
sole 24ore
202
WEBGRAFIA
Altalex, www.altalex.com, ultimo accesso in data 07/09/2011
Anci, www.anci.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Blackbaud, www.forums.blackbaud.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
Censis, www.censins.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Cesvi, www.cesvi.org, ultimo accesso in data 07/09/2011
Civita, www.civita.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Comscore, www.comscore.com, ultimo accesso in data 07/09/2011
Connectivity Scorecard 2010, www.connectivityscorecard.org, ultimo
accesso in data 07/09/2011
Eppela, www.eppela.com, ultimo accesso in data 07/09/2011
Erasmo, www.centrostudierasmo.eu, ultimo accesso in data 07/09/2011
Esc Europe, www.escp-eap.net, ultimo accesso in data 07/09/2011
Forum PA, www.forumpa.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Foursquare, www.blog.foursquare.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
203
Foursquare Italia, www.foursquareitalia.org, ultimo accesso in data
07/09/2011
Francesco D’amato, www.francescodamato.tyepad.com, ultimo accesso
in data 07/09/2011
Fund For Culture, www.fundforculture.org, ultimo accesso in data
07/09/2011
Il sole 24ore, www.ilsole24ore.com, ultimo accesso in data 07/09/2011
Istat, www.istat.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Kapipal, www.kapipal.com, ultimo accesso in data 07/09/2011
Key 4 biz, www.key4biz.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Lab4 S.R.L blog, www.lab4blog.wordpress.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
La repubblica, www.repubblica.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Marketing Reloaded, www.marketingreloaded.com, ultimo accesso in
data 07/09/2011
Nielsen group, www.nngroup.com, ultimo accesso in data 07/09/2011
OCSE, www.rappocse.esteri.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Paypal blog, www.thepaypalblog.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
Pew Internet, www.pewinternet.org, ultimo accesso in data 07/09/2011
204
Quando il crowdsourcing favorisce la promozione turistica,
www.dl.dropbox.com/u/618441/crowdsourcing_pubblico.pdf, ultimo
accesso in data 07/09/2011
Report, www.report.rai.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
School Raising, www.schoolrasing.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Slide share, www.slideshare.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Social media Italia, www.socialmediaitalia.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
Studio notaio Vacirca, www.notaiovacirca.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
Superando, www.superando.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
Tagbolab, www.tagbolab.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
The cluetrain manifesto, www.cluetrain.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
The Long Tail, www.longtail.typepad.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
The Wealth of Networks, www.benkler.org, ultimo accesso in data
07/09/2011
Ufficio studi beni culturali, www.ufficiostudi.beniculturali.it, ultimo
accesso in data 07/09/2011
Uno zero uno, www.unozerouno.wordpress.com, ultimo accesso in data
07/09/2011
205
Useit, www.useit.com, ultimo accesso in data 07/09/2011
Users of the world, unite! The challenges and opportunities of social
media, www.iranmanagers.net, ultimo accesso in data 07/09/2011
Wikipedia, www.wikipedia.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
You Capital, www.youcapital.it, ultimo accesso in data 07/09/2011
You Plus, www.blog.youplus.com, ultimo accesso in data 07/09/2011