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LE GUIDE DI RASSEGNA PER LA FORMAZIONE di Valerio Strinati Introduzione di Guglielmo Epifani Presentazione delle Guide per la formazione di Enrico Panini Costituzione e lavoro IN COLLABORAZIONE CON ISF 1 I GENERALI

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Presentazione delle Guide per la formazione di Enrico Panini

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LE GUIDE DI RASSEGNA PER LA FORMAZIONEI GENERALI

Costituzionee lavoro

di Valerio Strinati

Introduzione di Guglielmo Epifani

Presentazione delle Guide per la formazionedi Enrico Panini

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IN COLLABORAZIONE CON ISF

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INDICEIntroduzione

di Guglielmo Epifani 4

La Repubblica fondata sul lavoro 6Il lavoro, la democrazia, le classi sociali 8Lavoro, eguaglianza e dignità sociale 9Una parola con molti significati 10Il diritto al lavoro 11Il lavoro come rapporto economico e giuridico 13Tutela del lavoro e flessibilità 15Tutela del lavoro e federalismo 16Una retribuzione equa e proporzionata 18Un orario sostenibile 19Dalla parità alle pari opportunità 21Le norme costituzionali della sicurezza sociale 22Il sindacato nel sistema istituzionale 24Rappresentanza e rappresentatività 26Lo sciopero 27La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa 29La Costituzione italiana e il processo europeo 31

Valerio Strinati, consigliere parlamentare del Senato della Repubblica, è autore di saggi sulla storiapolitica e istituzionale dell’Italia contemporanea.

SUPPLEMENTO A RASSEGNA SINDACALE N. 41

Chiuso in tipografia lunedì 29 ottobre ore 17

Direttore responsabile Paolo Serventi Longhi

Coordinamento editorialeTarcisio Tarquini

Direzione scientificaSaul Meghnagi

Grafica e impaginazioneMassimiliano Acerra, Cristina Izzo

Responsabile ufficio venditeMaria Rosaria Trecca, [email protected]

EditoreEdit. Coop. società cooperativa di giornalisti,Via dei Frentani 4/a - 00185 Roma

StampaGrafica Romana

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“I grandi mutamenti avvenuti richiedono conoscenza e nuove competenze, percui è necessario adeguare la formazione alle esigenze del nuovo contesto”

C on queste parole il documento conclusivo della V° Conferenza di Organizzazione(Roma, 29-30 maggio 2008) sintetizza uno degli aspetti cruciali per la strategia dellaCGIL: lo sviluppo diffuso di un’elevata capacità di analisi, di elaborazione, di proposta da

parte dei quadri e dei dirigenti del sindacato confederale.La conoscenza è ritenuta indispensabile per riuscire a capire i cambiamenti in corso e per contri-buire a costruire un pensiero originale ed autonomo del sindacato, le competenze sono indicatecome necessità al fine di garantire lo sviluppo di un sapere che sappia orientare e guidare l’azionesindacale. L’esigenza è posta a tutti i livelli dell’organizzazione, non per eludere le diversità di respon-sabilità e di compiti, ma per una coerenza tra elaborazione di strategia e pratica attuativa.Una prima concretizzazione di questa impostazione di fondo – che segna una soluzione di conti-nuità rispetto all’approccio precedente sui temi della formazione sindacale – è stata quella diassumere, nella definizione delle modalità di aggiornamento e qualificazione, un legame tra atti-vità di formazione e attività di informazione; tra iniziative di qualificazione in aula e materiali perun possibile uso autonomo di lettura e studio individuale; tra supporti di carattere culturale escritti legati all’azione.Da ciò tre tipologie di prodotti che stanno vedendo la luce nella stessa fase temporale: 4un libro di cui verrà data ampia diffusione, che ripercorre la storia della nostra organizza-

zione dalle origini ai giorni nostri, accompagnato da un’accurata illustrazione del contestoentro il quale si è collocata di volta in volta la nostra azione e da una significativa riprodu-zione di documenti originali, il cui scopo è quello di rendere partecipi di un percorso fattodi idee, di lotte, di uomini e donne;

4la sistematizzazione attraverso una nuova collana dell’Ediesse (Isf Master) dei più significati-vi contributi forniti dai corsi di alta specializzazione di giovani quadri e dirigenti che da alcu-ni anni cura l’Isf e che hanno reso partecipi di un impegnativo processo formativo diversecentinaia di delegati e dirigenti sindacali;

4la presentazione, attraverso i fascicoli distribuiti con Rassegna Sindacale, di temi trasversali alnostro agire, perché toccano le competenze fondamentali del delegato e del sindacalista, eche devono fare parte del bagaglio indispensabile di un militante della CGIL: la capacità diconiugare lo specifico della categoria o del proprio settore di attività con una dimensionepiù generale che consente di collocare ogni tema in un contesto più ampio che favorisceapproccio critico e riflessione autonoma.

L’insieme di tali materiali alimenterà la Biblioteca virtuale della CGIL, accessibile mediante Intra-net direttamente dal portale della confederazione. Questa rappresenta una vera e propria novi-tà nella nostra vita sindacale, e costituirà la base per lo sviluppo di un sistema di formazione adistanza con il quale inizieremo a misurarci nel 2010. La collana dedicata a delegati e sindaca-listi prende l’avvio con il testo su “Costituzione e lavoro”, il tema che è stato alla base del pro-getto di formazione più importante del 2009 (il “Progetto 20000”), e costituisce un utile sup-porto per l’ulteriore azione tesa a mantenere viva la riflessione sull’identità della CGIL. A par-tire da questa, è possibile ricercare le ragioni profonde delle nostre scelte, affrontare con respon-sabilità e rispetto le questioni che abbiamo di fronte, ritrovare le ragioni comuni della nostrainiziativa a favore di tutti i lavoratori e le lavoratrici.

Le ragioni di un progetto di Enrico Panini

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INTRODUZIONE

e classi lavoratrici sono la democrazia e sono lo Stato”. Agliinizi degli anni 50 del secolo scorso, Giuseppe Di Vittoriosintetizzò con questa affermazione il senso della novità storica

della Repubblica, nata dall’antifascismo e dalla lotta di resistenza. Poteva dichiararlo con sicurezza, perché pochi anni prima era entrata invigore la Costituzione della Repubblica che – come viene ricordato da ValerioStrinati in questo fascicolo di Rassegna Sindacale, primo della serie rivoltaalla formazione dei nuovi delegati della Cgil e perciò opportunamentededicato alla nostra Carta fondamentale – colloca il lavoro e i suoi diritti tragli elementi fondanti della nuova comunità nazionale.

Non si è trattato di un fatto scontato. Colpisce, infatti, guardandola lunga trama della storia europea, che mentre già alla fine del Settecentoerano comparse le prime idee relative alla difesa delle libertà e del diritto dellavoro, ancora nel 1848 la maggior parte delle Costituzioni, nate sotto laspinta delle grandi rivoluzioni di quell’anno fatidico, con la significativaeccezione della Costituzione della Seconda Repubblica francese, non rechialcuna traccia di queste idee, tanto che, da noi, gli estensori dello Satutoalbertino non solo non avevano ritenuto di dover garantire riconoscimenti aidiritti del lavoro ma, nel redigere il testo, avevano espunto esplicitamente ecoscientemente qualsiasi richiamo ad essi. E sarà, solo diversi decenni dopo,la Repubblica di Weimar passata alla storia per aver dimostrato, appenanata, la sua fragilità, a sentire il bisogno di inserire nella propriaCostituzione un riferimento esplicito al rapporto tra i compiti dello Stato e idiritti sociali dei lavoratori e delle persone.

Se la nostra Costituzione pone, invece, al suo centro il lavoro, fino aindicarlo come il fondamento dell’ordinamento della Repubblica, si deveperciò ai cento anni di storia che hanno preceduto la scelta dei padricostituenti. Si deve alle lotte ideali, politiche, sociali del movimento deilavoratori che, nel nostro paese, con coloriture prima mazziniane egaribaldine poi anarchiche, socialiste, cattoliche e comuniste hannoaccompagnato il riscatto delle persone più umili e delle classi più deboli; sideve alla straordinaria presenza del movimento sindacale, che fin daiprimi passi – a cavallo tra Ottocento e Novecento – ha fatto sual’ispirazione della confederalità, dell’unione dei mestieri, dellaricomposizione del lavoro, scegliendo così di giocare un ruolo centralenello sviluppo e nel progresso della società italiana.

Il sigillo costituzionale della centralità del valore del lavoro è,

“L

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inoltre, la conseguenza del grande contributo che i lavoratori hannoofferto alla lotta contro la dittatura fascista, alla Resistenza, alla nascitadella nuova Italia, che nell’azione per salvare l’apparato produttivo delpaese, che guerra e rapine minacciavano di distruggere, ha trovato il suomomento simbolico più intenso.

Nel riconoscimento della centralità del lavoro nella Costituzioneio credo abbia avuto un peso anche il sacrificio che gli uomini e le donnedel sindacato hanno sopportato con coraggio nelle drammatiche vicendedel secolo e degli anni più recenti della dittatura: gli stenti dellaclandestinità di Di Vittorio, l’assassinio di Bruno Buozzi, l’intransigenterifiuto di ogni compromesso di Achille Grandi, i tre uomini che avrebberosottoscritto (Buozzi solo idealmente, perché massacrato poche ore prima)nel giugno del 1944 il Patto di Roma, la cui eco non è difficile ritrovarenella lettera e nello spirito della nostra Carta.

Per queste ragioni storiche, per questi echi della storia migliore delpaese custoditi nel suo testo, per la vitalità di cui ha dato provanell’assicurare una fonte inesausta di civiltà e diritto alla vita del nostropopolo, sollecitare una riflessione sulla Costituzione, tornare a studiarla èun compito che noi della Cgil sentiamo di dover assumere in prima persona.

Oggi noi sappiamo che difendere e ampliare i diritti sociali e dellavoro, renderli esigibili per tutti, è sempre più difficile dovendo contrastaretante e forti spinte opposte. Una globalizzazione senza regole spingepermanentemente al ribasso costi, tutele e protezioni nelle parti più avanzatedel pianeta; una logica assoluta di profitto tende a considerare il lavoro e ilavoratori sempre più come un oggetto e non invece anche come un soggetto,come una persona. A volte sembra davvero che il mondo torni indietro, e ilprocesso incompiuto che riguarda la nostra Europa – che sembra averesmarrito il senso del suo andare e quello profondo della sua identità – fa partedi queste difficoltà.

La nostra Costituzione può soccorrerci però anche nell’attualepassaggio della storia. È stata scritta – come sottolinea giustamente piùvolte Strinati – con l’avvedutezza e la perizia giuridica e filosofica di chiha voluto farne uno strumento capace di rispondere non solo al tempopresente ma anche alle sfide del futuro.

Chiniamoci, perciò, con rispetto davanti ad Essa e ascoltiamonel’insegnamento che parte da quel primo, straordinario articolo che lasegna, additando il valore più alto della nostra Repubblica. 5

di Guglielmo Epifani

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La Repubblicafondata sul lavoro

L a Costituzione della Repubblica affronta il tema del lavoro essen-zialmente nella prima parte (princìpi generali: artt. 1, 2, 3 e 4) e nel

titolo III (rapporti economici, artt. 35-40 e 46), oltre a contenere alcuni rife-rimenti distribuiti in altri articoli. Il fatto che questo argomento sia stato af-frontato con notevole ampiezza nell’atto di nascita del nuovo Stato costitui-sce di certo un evento di grande rilievo, ma l’elemento di vera e profonda no-vità è costituito dalla solenne dichiarazione di apertura della Carta costitu-zionale (art. 1, 1° comma), che pone il lavoro alla base dell’ordinamento de-mocratico, quale fondamento di esso. Da questo punto di partenza, e in stret-ta connessione con esso, si dipanano poi diversi corollari, in forza dei quali illavoro, segnatamente nel titolo III, viene considerato più specificamente nel-la sua funzione economica e sociale come destinatario di una tutela partico-lare proprio in ragione del ruolo centrale che gli è riconosciuto nella vita as-sociata e, di conseguenza, nel quadro istituzionale, “quale forza propulsiva edirigente in una società che tende ad essere di liberi e di eguali” (così M. Rui-

ni, nella relazione al Progetto di Co-stituzione, 1947).

Conferendo centralità al lavo-ro e ai suoi istituti, la Costituzione re-pubblicana si inquadra inoltre coe-rentemente nella linea evolutiva del co-

stituzionalismo democratico novecentesco, che, differenziandosi profondamen-te dalle carte liberali del XIX secolo, non si è limitato a delineare la fisionomia de-gli organi di vertice dello Stato, e a regolare i loro reciproci rapporti e i rapporti coni cittadini, ma ha definito i punti fermi di una cittadinanza che estende i confini deidiritti e dei doveri dalla sfera civile e politica a quella sociale, mediante il ricono-scimento e la regolazione dei diritti che i cittadini possono vantare nei confrontidelle istituzioni pubbliche riguardo a materie quali l’occupazione, l’istruzione, lasalute e la sicurezza sociale.

La costituzionalizzazione dei diritti sociali, che ha rappresentato una gran-de conquista per lo sviluppo democratico della vita pubblica in Italia e in Euro-

Nella Costituzione troviamo i punti fermi di una cittadinanza che estendei confini dei diritti e dei doveri dalla sfera civile e politica a quella sociale

ARTICOLO 1L’Italia è una Repubblica democratica, fondatasul lavoro.La sovranità appartiene al popolo, che la eser-cita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

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pa, non è nata dal nulla. Affonda le sue radici in un processo storico più che se-colare, che ha visto come protagonista il movimento del proletariato industrialee agricolo, impegnato in una battaglia di emancipazione che solo dopo la finedella Seconda guerra mondiale ha portato, non senza forti opposizioni, a uno sta-bile riconoscimento dei diritti del lavoro e della sua centralità sociale e politica.

Per tutte queste ragioni, non si può sottovalutare la straordinaria portatainnovativa dell’art. 1: fondare sul lavoro la Repubblica democratica fu, infatti, unascelta dirompente, di chiara discontinuità non soltanto con il regime fascista, maanche rispetto al precedente ordinamento liberale che, sia pure tra forti conflittisociali, era rimasto saldamente ancorato al primato dell’iniziativa economica pri-vata, del diritto di proprietà e della posizione di supremazia sociale da esso deri-vante, quando non della differenzia-zione di casta e dei privilegi della na-scita. Per comprendere il salto di qua-lità realizzato in Italia con la Costitu-zione sarà sufficiente ricordare che iltermine “lavoro” con il quale essa esor-disce non compare invece mai nelloStatuto del 1848.

Con l’art. 1 sono dunque enunciati due princìpi fondamentali dell’ordi-namento: quello democratico (l’Italia è una Repubblica democratica...) e quel-lo lavorista (...fondata sul lavoro) che, congiuntamente al principio egualitario eal principio personalista, di cui si dirà più avanti, costituiscono la trama con-nettiva delle diverse norme della Costituzione (non solo di quelle sul lavoro). So-no proprio questi princìpi a conferire alle norme costitu-zionali reciproca coerenza (Bonifacio, 1968), a segnarei limiti posti all’attività di revisione della Costituzio-ne stessa, a consentirne una interpretazione evo-lutiva, tale, cioè, da assicurare l’adeguamento diprincìpi e regole enunciati più di sessanta anni orsono all’evoluzione della realtà culturale, sociale,politica ed economica del paese.

Nei princìpi fondamentali, inoltre, si com-pendiano gli indirizzi di fondo sui quali si realizzò laconvergenza delle culture politiche liberaldemocrati-ca, cattolica e marxista, rispetto all’obiettivo di dare vita aun sistema democratico con un avanzato contenuto sociale. Ognuna di questeculture ha apportato un contributo fondamentale alla messa a punto della Co-stituzione, ma nessuna può vantarne la paternità esclusiva: basta scorrere gliatti dell’Assemblea Costituente per constatare come ogni singola disposizionerechi l’impronta di un confronto e di una contaminazione particolarmente fe-condi, che hanno sedimentato una riserva di princìpi e valori alla quale si puòancora, e largamente, attingere.

ARTICOLO 2La Repubblica riconosce e garantisce i diritti in-violabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle for-mazioni sociali ove si svolge la sua personalità, erichiede l’adempimento dei doveri inderogabilidi solidarietà politica, economica e sociale.

PRINCIPIO PERSONALISTA

Finalità dell’organizzazione sociale edell’ordinamento giuridico è la tutelae lo sviluppo della persona umana, incontrapposizione ai regimi fascisti,

che avevano teorizzato la completasubordinazione degli individui

allo Stato.

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Il lavoro, la democrazia, le classi sociali

Anche alla luce delle disposizioni sull’ordinamento dello Stato, appareevidente che la democrazia concepita dal legislatore costituente risponde a unmodello tipico, connotato dal pluralismo, dal suffragio universale, dalla sepa-razione dei poteri, dalla responsabilità dell’esecutivo verso il legislativo, dall’in-dipendenza della magistratura, dalla garanzia delle autonomie sociali, territo-riali e dei privati. Al tempo stesso è chiaro che essa non è indifferente all’asset-to reale della società, poiché il riferimento al lavoro qualifica il progetto istitu-zionale nel senso di un più marcato contenuto sociale ed egualitario, e ne defi-nisce i valori direttivi nella sfera dei rapporti tra le classi (Mortati, 1954). In ta-le prospettiva, risulta corrispettivamente ridimensionata la posizione assuntadal diritto di proprietà e dall’iniziativa privata: nel riconoscerli (art. 41), la Co-stituzione pone infatti condizioni e limiti al loro esercizio che sarebbero statiimpensabili in un sistema liberale “classico”, nel quale l’assioma della non in-terferenza dello Stato sull’autonomia dei privati portava a considerare intangi-bili la proprietà e la libertà dei mercati.

L’operazione del legislatore costituente è andata quindi nel senso di rie-quilibrare il rapporto tra i diversi fattori della produzione e pertanto tra i sog-getti sociali che ne costituiscono l’incarnazione. Ne è derivata la definizione diun rapporto gerarchico tra interessi contrastanti che, tradotto in regole di ran-go costituzionale, non poteva non basarsi sul compromesso e sulla mediazio-ne, dato l’intento comune a tutte le componenti dell’Assemblea Costituente didare vita a un sistema effettivamente pluralista. Sarebbe tuttavia fuorviantepensare a tale compromesso come a un astratto dosaggio di formule e princì-pi: esso fu in realtà la risultante di un equilibrio storicamente determinato traconcreti soggetti politici e sociali, a ciascuno dei quali, anche in una logica direciproca garanzia, venne attribuito uno “spazio costituzionale” caratterizzatoda diritti e doveri, da opportunità e limitazioni (Smuraglia, 1958).

In tale contesto, la “costituzionalizzazione del lavoro” si realizzò lungo per-corsi implicanti il superamento di asimmetrie e squilibri che avevano costituito labase materiale dell’esclusione delle classi lavoratrici dalla direzione della vita pub-blica, e la definizione di regole idonee a rispecchiare gli equilibri scaturiti dalla guer-ra e dalla Resistenza. Nell’Assemblea Costituente non solo i partiti di ispirazionemarxista, ma anche quelli liberaldemocratici o cattolici riconobbero il ruolo deci-sivo delle classi lavoratrici nella sconfitta del nazifascismo e, insieme, l’esigenza diinformare la vita pubblica del paese a princìpi di profondo rinnovamento demo-cratico, anche nella consapevolezza delle responsabilità e delle connivenze dei po-tentati economici nella soppressione delle libertà e nel sostegno alla dittatura.

Per comprendere l’esatto significato della connotazione di classe della Co-stituzione occorre considerare che se da un lato le enunciazioni dei princìpi fon-damentali esprimono anche (ma non solo) il nuovo ruolo storico assunto dalle for-ze del lavoro, nonché una più marcata influenza del pensiero marxista (Giannini,8

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1948), d’altro canto il fondamento della Repubblica sul lavoro va letto alla luce delprincipio di eguaglianza e pari dignità di tutti i cittadini, senza distinzioni ancherelativamente alla posizione sociale (art.3, 1° comma), che esclude l’afferma-zione di una posizione privilegiata diuna determinata classe nell’eserciziodei diritti politici e civili. Come risultachiaramente dai dibattiti all’AssembleaCostituente, con le disposizioni di aper-tura della Costituzione si intese, piut-tosto, porre le basi giuridiche affinchéla assoluta preminenza dei ceti pro-prietari dei mezzi di produzione e discambio venisse controbilanciata (Smu-raglia, 1958) e alle classi lavoratrici fos-se aperta la strada alla partecipazione effettiva alla direzione del paese, dando intal modo concretezza alla prospettiva di una democrazia socialmente avanzata.

Lavoro, eguaglianza e dignità sociale

Proprio a partire dalla caratterizzazione del patto costituzionale “squilibra-to” in favore del lavoro, si può comprendere lo stretto legame che unisce il principiolavoristico e quello democratico al principio di eguaglianza (art. 3): quest’ultimo èenunciato non solo nei termini del fondamentale assiomadella pari dignità sociale dei cittadini e della paritàdella loro posizione di fronte alla legge, ma an-che come una finalità precipua dell’ordina-mento, il cui conseguimento è subordina-to all’adempimento del dovere gravantesulla Repubblica (quindi non solo sulloStato, ma su tutti i soggetti titolari di po-teri pubblici) di adoperarsi affinché sianorimossi gli “ostacoli di ordine economicoe sociale che, limitando di fatto la libertà el’eguaglianza dei cittadini, impediscono ilpieno sviluppo della persona umana e l’effetti-va partecipazione di tutti i lavoratori all’organizza-zione politica, economica e sociale del Paese”. In questocontesto, il principio lavoristico assume concretezza ed effettività come parametrodi valutazione della posizione dei cittadini nella vita pubblica e come criterio di azio-ne per le istituzioni: il lavoro, in effetti, costituisce il nucleo essenziale di qualsiasi in-tervento mirante a rimuovere i fattori di esclusione e di marginalità prodotti daglisquilibri sociali e a promuovere ed estendere i diritti di cittadinanza. 9

ARTICOLO 3Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e so-no eguali davanti alla legge, senza distinzione disesso, di razza, di lingua, di religione, di opinio-ni politiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli osta-coli di ordine economico e sociale, che, limitan-do di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,impediscono il pieno sviluppo della personaumana e l’effettiva partecipazione di tutti i la-voratori all’organizzazione politica, economicae sociale del Paese.

DIRITTI DI CITTADINANZA La cittadinanza definisce il rapporto tra lo Stato e

le persone fisiche che ne fanno parte a pieno titolo.La posizione dei cittadini di fronte ai poteri pubblici con-

templa una serie di diritti che di norma sono sanciti nel-le costituzioni. Essi sono classificati in diritti civili, riguar-danti l’autonomia dei privati di fronte al potere pubbli-co; politici, ovvero di partecipazione alla determina-

zione dell’indirizzo politico, e sociali, cui corrispon-dono obblighi del potere pubblico attinenti alle

condizioni di vita dei cittadini stessi.

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La dimensione sociale entro la quale il legislatore costituente ha inteso ca-lare il principio di eguaglianza esalta il valore del lavoro come strumento privilegiatodi affermazione della dignità individuale, indissolubilmente collegato al fine del-l’integrazione sociale: in questa prospettiva, il dettato costituzionale va oltre una vi-sione meramente economicista del lavoro stesso, per assumerlo come la più inci-siva espressione della persona umana nella sua dimensione sociale, in funzione del-la crescita materiale e culturale della collettività (Mortati, 1954), coerentementecon la prospettiva personalista, enunciata dall’art. 2, nel quale si esprime uno deipiù rilevanti contributi del cattolicesimo democratico all’elaborazione della Cartacostituzionale. Questa visione del lavoro come funzione sociale preminente rispettoal fine di tutelare la dignità sociale dell’individuo (Onida, 1984) si espande oltre illimite della cittadinanza, per coinvolgere tutti coloro che vivono e lavorano sul ter-ritorio della Repubblica. Questo tema, probabilmente, non era particolarmenteavvertito dai costituenti, preoccupati piuttosto di sancire la libertà di emigrazionee di assicurare la tutela dei lavoratori italiani all’estero (art. 35, 4° comma), ma è og-gi di notevole attualità. La massiccia dimensione del fenomeno migratorio ha de-terminato, infatti, una crescente divaricazione tra cittadinanza e lavoro che è ne-cessario ricomporre. L’elaborazione di percorsi giuridici e culturali che facilitino eguidino questo processo può trovare un solido punto di partenza in una interpre-tazione evolutiva delle norme costituzionali ancorata al principio personalista e al-l’attualità di una visione del lavoro come strumento primario di emancipazione,nella prospettiva di un modello di cittadinanza aderente ai fenomeni di globaliz-zazione che investono non solo la sfera della produzione e dello scambio, ma an-che quella della convivenza democratica in una società ormai multietnica.

Una parola con molti significati

Da quanto si è detto finora, si può desumere che nella Carta costituziona-le il termine “lavoro” viene ad assumere significati diversi in relazione al contestonormativo nel quale è collocato: si tratta di un elemento di complessità che ha crea-to non poche incertezze in sede interpretativa, ma la cui messa a fuoco riveste unanotevole importanza, poiché si tratta non solo di sciogliere un rilevante nodo teo-10

Diritti socialiIl rapporto di consequenzialità tra l’art. 1, 1° comma e l’art. 3, 2° comma,è testimoniato an-

che dai lavori preparatori della Costituzione. Nel Progetto sottoposto all’Assemblea Costituente,

l’art. 1 affermava: “L’Italia è una Repubblica democratica. Essa ha a fondamento il lavoro e la par-

tecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

La sovranità emana dal popolo ed è esercitata nei limiti della Costituzione e delle leggi”. L’Assem-

blea decise di spostare il secondo periodo all’articolo 3, adottando una formulazione più rigorosa

nel vincolare la condotta dei poteri pubblici alla garanzia della effettività del principio di egua-

glianza; per tale via, inoltre, era chiarito il fondamento costituzionale dei diritti sociali.

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rico, ma anche di individuare con sufficiente chiarezza i destinatari delle normecostituzionali e quindi gli ambiti e le modalità con cui il principio lavorista operanell’ordinamento. Proprio in sede interpretativa, peraltro, questa pluralità di si-gnificati è stata ricondotta sostanzialmente a due indicazioni di carattere genera-le, che segnano anche i contorni del compromesso costituzionale (Treu, 1978): daun lato, con riferimento in particolare agli artt. 1, 1° comma, 2 e 4, 2° comma, si ri-tiene infatti che il legislatore costituente, nel porre il lavoro a fondamento della Re-pubblica, abbia inteso dettare un criterio ordinatore non solo del sistema politico,ma anche di quello economico e sociale: in tale contesto il riferimento al lavoro nonpuò non avere una certa ampiezza, includendo qualsiasi attività o funzione svoltapersonalmente e suscettibile di concorrere al progresso materiale o spirituale del-la collettività, come afferma il 2° comma dell’art. 4 (Mortati, 1975).

L’accoglimento di questa accezione è coerente, come si è detto, con unmodello istituzionale in cui il valore primario attribuito al lavoro non implica l’at-tribuzione del potere politico a una sola classe; essa però non esclude l’adozio-ne di un secondo significato più circoscritto o, se si vuole, più chiaramente defi-nito, del termine “lavoro”, direttamente riconducibile all’istanza sociale ed egua-litaria espressa soprattutto nel 2° comma dell’art. 3 e nel 1° comma dell’art. 4. Intal caso l’attenzione cade più direttamente sui soggetti posti in condizioni di di-pendenza economica, e richiama l’indirizzo, più volte sottolineato nella giuri-sprudenza costituzionale, di accentuare l’incisività delle tutele e delle garanziedei diritti quanto più le situazioni lavorative si presentano con i caratteri dellaminore protezione e della più marcata debolezza contrattuale (Bonifacio, 1968).

Il diritto al lavoro

La dichiarazione solenne del diritto al lavoro completa il quadro deiprincìpi costituzionali riguardanti tale materia: con l’art. 4, 1° comma, viene in-

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Nuovi lavoriNegli anni dell’Assemblea Costituente la condizione di minor protezionecoincideva in lar-

ga misura con l’area del lavoro subordinato e, all’interno di esso, del lavoro manuale. Da ciò di-

scendeva una certa reticenza ad ammettere un’estensione delle tutele fino a coinvolgere, sia pure

parzialmente, il lavoro autonomo, che all’epoca si identificava prevalentemente con l’attività li-

bero-professionale (connotata da una relativa forza economica). La situazione odierna si presenta

con caratteristiche molto diverse, e la condizione di estrema frammentazione in cui versa il mer-

cato del lavoro per il moltiplicarsi delle tipologie contrattuali (soprattutto dopo il varo della “legge

Biagi”, nel 2003) ha messo in luce la realtà di numerose situazioni lavorative caratterizzate da una

forte dipendenza economica e da una marcata condizione di sottoprotezione, che coprono un’area

più ampia di quella tipica del lavoro subordinato. A queste realtà, pertanto, si attaglia perfetta-

mente un discorso politico e giuridico di attuazione del principio costituzionale di eguaglianza ri-

volto a estendere l’area della protezione, e a far sì che talune tutele, soprattutto di carattere previ-

denziale, assumano effettivamente un carattere di universalità.

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fatti riconosciuto a tutti i cittadini il diritto al lavoro ed è assegnato alla Repub-blica il compito di promuovere le condizioni che lo rendano effettivo.

Poiché l’impegno delle istituzioni a realizzare le condizioni più favorevoliper l’esercizio del diritto a svolgere un’occupazione retribuita e per il consegui-mento del pieno impiego costituisce l’essenza del carattere sociale che ispira le

costituzioni democratiche moderne,la collocazione di tale norma tra iprincìpi generali appare del tutto giu-stificata. Essa, oltre a integrare i pre-cedenti articoli, introduce le normesul lavoro contenute nel titolo III, po-nendosi come cerniera tra le diverseparti della Costituzione. È probabil-mente per questo ordine di conside-

razioni che l’Assemblea Costituente, nell’esaminare il Progetto di Costituzione,non modificò il testo dell’allora art. 31 – se non per la soppressione di un terzocomma che, in palese violazione del principio di eguaglianza, subordinava l’eser-cizio dei diritti politici all’adempimento del dovere di lavorare – ma intervennesulla sua collocazione, trasferendolo dall’inizio del titolo III, dove era stato posto,ai princìpi fondamentali.

Quanto alla natura e alla portata del diritto definito all’art. 4, già nella re-lazione al Progetto di Costituzione, Meuccio Ruini chiarì che il diritto al lavoronon doveva intendersi come “un diritto già assicurato e provvisto di azione giu-diziaria”, ma come un “diritto potenziale”, legato, cioè, agli adempimenti degli

12

LicenziamentiEscludere che il diritto al lavoro, come delineato dall’art. 4, configuri una pretesa che i sin-

goli interessati possono far valere innanzi al giudice non comporta che la disposizione costituzio-

nale sia priva di valore precettivo. La Corte costituzionale, nella sentenza 45/1965 in materia di

licenziamenti, pur respingendo l’eccezione di incostituzionalità riguardante l’art. 2118 del codice

civile, sulla libertà delle parti di recedere dal rapporto di lavoro, affermava – sulla base del vinco-

lo posto dal legislatore costituente ai poteri pubblici di assicurare l’effettività del diritto al lavoro

– l’esigenza che il legislatore ordinario circondasse di garanzie e di opportuni temperamenti i ca-

si in cui si rendesse necessario procedere a licenziamenti. Nella medesima sentenza la Corte os-

servava anche che, nel contesto evolutivo della legislazione, il potere illimitato del datore di lavo-

ro di recedere dal rapporto risultava progressivamente ridimensionato, in modo da non costitui-

re più un principio generale dell’ordinamento. La disciplina dei licenziamenti, perciò, concludeva

la Corte, non avrebbe più potuto continuare a muoversi su un piano del tutto diverso da quello in-

dicato dall’art. 4 della Costituzione. Come è noto, l’invito della Corte costituzionale a regolare i li-

cenziamenti individuali in coerenza con le disposizioni costituzionali fu accolto tempestivamente

dal legislatore, con l’approvazione della legge 604/1966 e, successivamente, con l’art. 18 dello Sta-

tuto dei lavoratori, costitutivo del diritto dei lavoratori, colpiti da licenziamento illegittimo, alla rein-

tegrazione nel posto di lavoro, nonché con la legge 108/1990.

ARTICOLO 4La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il di-ritto al lavoro e promuove le condizioni che ren-dano effettivo questo diritto.Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondole proprie possibilità e la propria scelta, un’atti-vità o una funzione che concorra al progressomateriale o spirituale della società.

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obblighi prescritti alle istituzioni, e in primo luogoal legislatore ordinario: essi, però, non consistononel dovere di dare soddisfazione diretta alla pre-tesa di ciascuno a ottenere o conservare un’occu-pazione retribuita alle dipendenze di un datore dilavoro pubblico o privato, bensì, come chiaramenterisulta dalla lettera della norma, nel promuovere lecondizioni necessarie per conferire effettività al di-ritto al lavoro, il che investe una pluralità di materie checoinvolgono non solo la disciplina del rapporto e del merca-to del lavoro, ma anche gli indirizzi generali della politica economica.

Oltre al riconoscimento del diritto al lavoro, il 2° comma sanziona il dove-re, per ogni cittadino, di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e morale della so-cietà: tale dovere riconduce direttamente all’ambito dei doveri inderogabili di so-lidarietà sociale fissati all’art. 2, per l’adempimento dei quali lo svolgimento di un’at-tività rivolta al bene della collettività rappresenta un presupposto materiale essen-ziale; d’altra parte, come si evince dalla soppressione del 3° comma dell’art. 31 delProgetto di Costituzione, il legislatore costituente ha inteso stabilire il dovere dilavorare come obbligazione di carattere etico, in quanto tale non munita di parti-colari sanzioni, e al tempo stesso ha voluto iscrivere in esso anche un diritto di li-bertà, nel prevedere che possa essere adempiuto secondo le possibilità e le incli-nazioni dei singoli, escludendo quindi che in questa sfera i poteri pubblici possa-no interferire coercitivamente.

Il lavoro come rapporto economico e giuridico

La collocazione all’esordio del titolo III della Costituzione (rapporti eco-nomici), degli articoli da 35 a 40, dimostra l’intento del legislatore costituente diregolare, sia pure per grandi linee, i principali aspetti del rapporto di lavoro aven-do riguardo all’esigenza di superare la storica posizione di svantaggio contrattualedel prestatore d’opera rispetto al datore e, conseguentemente, di meglio specifi-care i concreti soggetti sociali rispettoai quali opera la speciale posizione at-tribuita al lavoro nell’ordinamento. Perquesto aspetto, il 1° comma dell’art.35 (“La Repubblica tutela il lavoro intutte le sue forme e applicazioni”) co-stituisce una sorta di raccordo tra il cri-terio ispiratore comune alle enuncia-zioni dei princìpi fondamentali e le ar-ticolazioni di essi, contenute nei suc-cessivi articoli (C. cost., sent. 22/1967).

VALORE PRECETTIVOSi definiscono precettive le norme giu-

ridiche che impongono immediatamen-te un determinato comportamento ai sog-getti destinatari. Al carattere precettivo diuna disposizione si contrappone quello

programmatico di altre, specialmentein materia costituzionale.

ARTICOLO 35La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue for-me ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionaledei lavoratori.Promuove e favorisce gli accordi e le organizza-zioni internazionali intesi ad affermare e rego-lare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli ob-blighi stabiliti dalla legge nell’interesse genera-le, e tutela il lavoro italiano all’estero. 13

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Guardando alla formulazione di tale comma è facile comprendere chel’attribuzione ai poteri pubblici del compito di assicurare la tutela del lavoro im-plica che la protezione del prestatore d’opera come parte debole del rapportonon risponde, nel disegno costituzionale, a una generica istanza assistenziale-protettiva, ma si inscrive a pieno titolo nella finalità di rimuovere gli ostacoli chesi frappongono alla piena ed effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla for-mazione dell’indirizzo politico, secondo il dettato del 2° comma dell’art. 3 chesi mostra, anche in questa prospettiva, un caposaldo dell’ordinamento demo-cratico.

Se si adotta questa chiave di lettura, appare del tutto incongruo il tenta-tivo di taluni interpreti di avvalersi della latitudine del riferimento al lavoro “intutte le sue forme e applicazioni” per sostenere che la tutela accordata dalla di-sposizione costituzionale si estenderebbe fino all’attività d’impresa: quest’ulti-ma, come afferma la Corte costituzionale (sent. 141/1967), è tutelata dall’art.41 della Costituzione, non come diritto sociale, ma come diritto di libertà; e,d’altra parte, proprio i limiti che tale disposizione pone all’esercizio dell’impre-sa, riferiti alla sicurezza, libertà e dignità della persona, concorrono a definire icontenuti della tutela di cui all’art. 35, 1° comma (Smuraglia, 1976).

A partire dagli anni 80 del XX secolo la globalizzazione dei mercati e laconseguente crisi del modello fordista hanno sollecitato una generalizzata do-manda di flessibilità del lavoro da parte del mondo dell’impresa che, in Italia ein Europa, si è tradotta nel ricorso a forme contrattuali atipiche, con caratteri-stiche di temporaneità e minor onerosità, tali da dar luogo a condizioni di di-pendenza economica e di debolezza contrattuale più marcate di quelle propriedel rapporto di lavoro subordinato. In questa situazione, evidentemente, l’as-sunto della tutela del lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni” assume unapregnanza particolare, che in qualche misura è possibile cogliere anche in al-cuni orientamenti della giurisprudenza costituzionale. 14

Un principio espansivoNel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente non mancarono proposte di soppressio-ne dell’allora art. 30 del Progetto, con la motivazione di una presunta pletoricità rispetto alle di-

chiarazioni dei primi articoli, ma esso fu difeso con successo dal socialista Ghedini (presidente del-

la II Sottocommissione) a giudizio del quale la disposizione conferiva “al lavoro quel posto di sicu-

ra preminenza che gli compete nell’assetto sociale”, configurando una fattispecie aperta, suscet-

tibile cioè di consentire “al legislatore di domani altre forme di tutela”.

È esattamente ciò che si è poi effettivamente verificato, in virtù di una forza espansiva del prin-

cipio di tutela che ha via via portato a conferire piena cittadinanza giuridica a temi in prece-

denza ignorati. Si pensi, ad esempio, agli interventi legislativi e giurisprudenziali volti a con-

trastare le patologie del rapporto di lavoro suscettibili di pregiudicare le condizioni psicofisiche

della lavoratrice e del lavoratore, come le molestie sessuali o la difesa dalla persecuzione psi-

cologica (mobbing).

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Tutela del lavoro e flessibilità

All’inizio del nuovo secolo si è fatta strada, a livello politico, l’opinioneper cui un eccesso di rigidità nella disciplina del rapporto di lavoro, e segnata-mente in quella dei licenziamenti, avrebbe approfondito nel corso degli anni lafrattura tra lavoratori garantiti e lavoratori marginali, in modo tale da scorag-giare la domanda di lavoro e spingere le fasce meno protette verso l’area sem-pre più estesa del lavoro irregolare: per invertire questa tendenza si riteneva ne-cessaria una riduzione delle tutele riferite al rapporto di lavoro, da compensa-re con un corrispettivo incremento della protezione del lavoratore sul mercato.

Già negli anni 90, peraltro, erano stati mossi alcuni passi verso una mag-giore flessibilità del rapporto di lavoro, con l’accordo del 22 luglio 1993 e con ilPatto per il lavoro del 24 settembre 1996, tra il Governo e le parti sociali, poi par-zialmente recepiti dalla legge 196/1997 (c. d. pacchetto Treu), che, tra l’altro, in-troduceva il lavoro interinale e interveniva sul rapporto di lavoro a termine, con-figurando un sistema di flessibilità concordata tra le parti sociali che si faceva ca-rico delle problematiche relative all’occupabilità e salvaguardava la dimensionedel consenso e della sostenibilità sociale delle innovazioni introdotte.

L’espressione più netta della posizione sopra descritta si trova però nel“Libro bianco sul mercato del lavoro”, pubblicato nel 2001 dal governo di cen-tro-destra, sulla cui base è stata poi adottata le legge n. 30 del 2003 e il successi-vo decreto legislativo n. 276 dello stesso anno (“legge Biagi”): quest’ultimo, pe-raltro, attua solo parzialmente il “Libro bianco”, poiché agisce sulle condizionidell’offerta di lavoro, attraverso il riordino del collocamento (con il rafforzamentodella presenza degli operatori privati a fianco degli organismi pubblici), ma so-prattutto con la creazione di una molteplicità di rapporti a termine (staff leasing,

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Attività imprenditorialiIn alcune sentenze, invero non recentissime, la Corte costituzionale ha sostenuto l’esten-

sione della copertura previdenziale prevista per il lavoro subordinato ai congiunti partecipanti al-

l’impresa familiare (476/1987); nonché della tutela antinfortunistica all’impresa artigiana (880/1988)

nel presupposto che in tali attività prevale il carattere personale della prestazione; ovvero ha ri-

conosciuto il valore economico e sociale dell’attività prestata in ambito familiare (28/1995): in que-

ste pronunce non sembra potersi ravvisare, come pure qualche commentatore ha affermato (D.

Bifulco, 2006), una tendenziale inclusione di talune attività imprenditoriali nell’area della tutela

contemplata dall’art. 35, 1° comma, bensì la (pur iniziale) consapevolezza del sorgere di nuove for-

me di dipendenza economica in rapporto ai processi di decentramento, esternalizzazione e delo-

calizzazione della produzione di beni e servizi. Alla luce delle continue trasformazioni del merca-

to del lavoro, appare quindi del tutto giustificata l’opinione per cui anche il lavoro autonomo va ri-

compreso nel principio di tutela di cui all’art. 35, 1° comma, specie laddove esso assuma i carat-

teri di un impegno personale e continuativo verso un committente unico o prevalente, tale da de-

terminare una condizione di sostanziale assoggettamento, analoga a quello in cui versano i lavo-

ratori subordinati (Scognamiglio, 1990).

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contratti di collaborazione a progetto ecc.) alcuni dei quali caratterizzati da par-ticolari condizioni di convenienza per la parte datoriale (contratti di reinseri-mento, lavoro a chiamata ecc.), senza però provvedere a rafforzare contestual-mente le tutele sul mercato del lavoro (per cui è rimasto sulla carta un progettodi riforma degli ammortizzatori sociali, non molto dissimile da quello tentatosenza successo dal centro-sinistra nella XIII legislatura). Al tempo stesso, l’ipo-tesi di congelare l’efficacia dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come primopasso di un incremento della c.d. flessibilità in uscita, dovette essere abbando-nata (malgrado l’acquiescenza di alcune sigle sindacali, firmatarie del Patto perl’Italia, del 5 luglio 2002), a causa di una forte e diffusa opposizione sociale.

In generale, le prescrizioni costituzionali in materia di lavoro delineano fat-tispecie aperte, suscettibili, come tali, di lasciare ampio spazio alla discrezionalitàdel legislatore. Tuttavia, proprio l’ampiezza della dichiarazione contenuta all’art.35, 1° comma, sembra escludere la contrapposizione tra garanzie nel rapporto eopportunità di occupazione, come prospettata nel “Libro bianco”; questa impo-stazione comporta, in ultima analisi, l’adozione di politiche che riducono la tutelaalla realizzazione di condizioni di occupabilità, fondate a loro volta sulla riduzio-ne di vincoli e oneri per l’impresa e sulla corrispettiva riduzione della forza con-trattuale dei lavoratori (che tenderebbe oltretutto ad annullarsi per le fasce più de-boli, come ad esempio gli immigrati), tale da indurli ad accettare forme di lavoroinstabile o discontinuo, ben distanti dalla prescrizione costituzionale sulla libertà,sulla dignità e sulla sicurezza del lavoro. Ciò non significa che l’azione del legisla-tore e delle parti sociali non debba indirizzarsi anche alla creazione di condizionidi maggiore occupabilità, agendo sull’offerta di lavoro: tuttavia, proprio in quan-to in una economia di mercato, com’è quella delineata dalla Costituzione, l’atti-vità imprenditoriale è ordinata essenzialmente al fine del conseguimento di un pro-fitto, è del tutto ragionevole considerare che le dinamiche spontanee del mercatopossano rivelarsi insufficienti a garantire non solo il diritto al lavoro ma anche lasua qualità, ovvero la sua idoneità a perseguire gli obiettivi di emancipazione e dilibertà posti dal legislatore costituente (Pezzini, 2001). Proprio per questa ragio-ne il superamento degli squilibri sul mercato del lavoro e, più in generale, la crea-zione di condizioni idonee a incrementare l’offerta di lavoro postula interventi daparte dei poteri pubblici che vanno oltre la sola dimensione del diritto del lavoro,investendo i temi più generali della politica economica, della finanza pubblica, de-gli investimenti, delle misure di sostegno al sistema produttivo, della valorizzazio-ne del capitale umano, del fisco e delle infrastrutture.

Tutela del lavoro e federalismo

La recente riforma del titolo V della Costituzione (L. cost. 3/2001) haintrodotto alcune innovazioni che pongono un problema di coordinamento del-le precedenti disposizioni costituzionali con quelle modificate: la questione sor-ge con riferimento sia al tema della tutela – poiché l’art. 117, 3° comma, inclu-16

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de la tutela e la sicurezza del lavoro tra le materie affidate allalegislazione con-corrente dello Stato e delle Regioni – sia al tema della formazione professio-nale, ora di pertinenza esclusiva della legislazione regionale e del quale si oc-cupa anche l’art. 35, 2° comma.

Diversamente da altre costituzioni euro-pee, come quella francese e tedesca, che si li-mitano a garantire la libertà di accesso alla for-mazione professionale, nella Costituzioneitaliana quest’ultima è elevata al rango di unvero e proprio diritto sociale, garantito daipoteri pubblici: una tale impostazione è pe-raltro coerente con il principio di egua-glianza, poiché la formazione rappresentauno strumento importante per rimuovere ledisparità e per incrementare le opportunità dioccupazione, tanto è vero che anche recente-mente, a partire dal Patto per il lavoro del 1996, edalla successiva legge 196/1997, sono state adottate mi-sure intese a valorizzare in particolare il profilo della formazione permanente econtinua, come elemento qualificante di una efficace politica attiva del lavoro.

Il testo originario dell’art. 117 assegnava l’istruzione professionale e arti-giana alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, affi-dando a queste ultime il compito di legiferare nella materia sulla base dei princì-pi fissati da una legge-quadro statale (legge 845/1978). Con la riforma costitu-zionale del 2001, la formazione professionale è stata inclusa tra le materie attri-buite alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni; tuttavia, non si può deltutto escludere un’interferenza con la legislazione statale, sia per quel che riguardala regolazione dei cosiddetti contratti a causa mista, in cui la finalità formativa ècongiunta alla prestazione lavorativa (ad es. l’apprendistato), e conseguentementela competenza regionale sulla formazione si intreccia con quella esclusiva delloStato relativa alla disciplina del rapporto di lavoro, sia in considerazione della di-sposizione del nuovo testo dell’articolo 117, 2° comma, lettera m) che affida allacompetenza esclusiva dello Stato il compito di fissare i livelli essenziali delle pre-stazioni concernenti i diritti civili e sociali – e la formazione rientra tra questi ul-timi – che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Più complesso è il rapporto tra il 1° comma dell’art. 35 e la disposizionedel 3° comma dell’art. 117 che demanda alla competenza legislativa concorren-te la tutela e la sicurezza del lavoro. Al momento dell’entrata in vigore della rifor-ma costituzionale, infatti, si pose la questione del significato di questa nuova di-sposizione, che, considerata a sé stante, avrebbe potuto essere interpretata nelsenso di consentire a ciascuna Regione di legiferare in modo differenziato inmateria di tutela del lavoro, con il rischio di determinare situazioni di vero e pro-prio dumping sociale. Tuttavia, attraverso una lettura sistematica della riforma

LEGISLAZIONE CONCORRENTE

L’art. 117 della Costituzione stabilisce che la di-sciplina di alcune materie, tassativamente elen-

cate al 3° comma, sia regolata congiuntamenteda leggi dello Stato e della Regione. In questo ca-so, detto appunto di legislazione concorrente, al-la legislazione statale spetta l’indicazione dei princì-pi di carattere generale, desumibili dalla nor-

mativa vigente o da leggi quadro appositamenteadottate, mentre l’ulteriore normazione di

sviluppo o di dettaglio spetta alla legisla-zione regionale.

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costituzionale si pervenne a una diversa conclusione, poiché la materia del rap-porto di lavoro appare riconducibile alla più generale disciplina dell’ordinamen-to civile, che l’art. 117, 2° comma, lettera g) rimette alla competenza esclusivadella legge statale: tale lettura, ormai pacifica, appare preferibile, sia in conside-razione della rilevanza della materia per la coesione sociale del Paese (Roccella,2001) sia perché più coerente con l’istanza egualitaria espressa alla citata lette-ra m), 2° comma, dello stesso art. 117.

Secondo tale interpretazione, alla competenza legislativa regionale re-sta uno spazio più ridotto, che attiene essenzialmente alla determinazione diparticolari modalità organizzative e amministrative della tutela e della sicurez-za del lavoro, la cui importanza però non deve essere sottovalutata, poiché puòinvestire temi di notevole rilievo, come ad esempio il sostegno al reddito dei la-voratori, con particolare riferimento a categorie più deboli e in condizione diparticolare svantaggio legate alla temporaneità del rapporto.

Una retribuzione equa e proporzionata

Nel regolare i contenuti del rapporto di lavoro (retribuzione, orario, ripo-si settimanali e ferie annuali), l’art. 36 rappresenta una essenziale specificazionedel principio di tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, riguardanteessenzialmente le garanzie inerenti al rapporto di lavoro subordinato.

Durante la discussione all’Assemblea Costituente la formulazione del 1°comma dell’art. 36 non mancò di suscitare il timore che l’individuazione di criteri,sia pure generali, per la determinazione della retribuzione ponesse i presuppostiper una ingerenza dello Stato nella sfera riservata alla competenza della contrat-tazione collettiva (così si espresse Giuseppe Di Vittorio nella seduta della III Sot-tocommissione del 12 settembre 1946); prevalse tuttavia alla fine la preoccupa-

zione, concordemente avvertita dai di-versi schieramenti politici, di preveni-re con una disposizione di rango co-stituzionale il perpetrarsi delle condi-zioni di sottosalario tipiche dell’asset-to produttivo italiano. Si trattava co-munque di una novità nel sistema nor-mativo che, in passato, si era limitatoa considerare la retribuzione soltantocome corrispettivo della prestazione

determinato di norma in via pattizia (artt. 2094 e 2099 c.c.), nell’ambito del rap-porto di lavoro subordinato.

La norma costituzionale inglobava questo profilo, ma andava oltre la di-mensione del diritto definito per via contrattuale (Smuraglia, 1958) poiché la re-tribuzione non era intesa più solo come il compenso convenuto in relazione a undeterminato dispendio di energie psicofisiche nell’ambito dell’organizzazione18

ARTICOLO 36Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione pro-porzionata alla quantità e qualità del suo lavo-ro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ealla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.La durata massima della giornata lavorativa èstabilita dalla legge.Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e aferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

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dell’impresa, ma veniva commisurata anche a un criterio esistenziale, riguar-dante le esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia (esigenze, evidente-mente, non date una volta per tutte, ma storicamente determinate), congiuntocon il principio di proporzionalità (la giurisprudenza costituzionale è costantenel sottolineare la complementarietà dei due criteri). La tutela si estendeva co-sì dalle condizioni materiali di vita ad altri beni costituzionalmente protetti (lapossibilità di condurre una vita libera e dignitosa) a loro volta direttamente af-ferenti al fine di realizzazione della persona che la Costituzione persegue comeobiettivo primario. Ed è proprio in relazione a queste considerazioni di ordinegenerale, tra l’altro, che può essere considerata del tut-to legittima, dal punto di vista costituzionale, la de-terminazione con legge dei minimi retributivi.

Com’è noto, una tale disciplina è as-sente nel nostro ordinamento; inattuato è ri-masto anche l’altro istituto che nel disegnodel legislatore costituente avrebbe dovu-to integrare la disciplina dettata al 1° com-ma dell’art. 36, ovvero il contratto collet-tivo con efficacia erga omnes le cui de-terminazioni in materia retributiva avreb-bero dovuto costituire il parametro di rife-rimento per la valutazione della proporzio-nalità e sufficienza dei trattamenti. In questasituazione, le disposizioni costituzionali sulla re-tribuzione hanno mostrato una notevole “vitalità”(Treu, 1978) dando vita a una copiosa giurisprudenzache, nel presupposto dell’immediata applicabilità dell’art. 36, 1° comma, ha so-stenuto la possibilità di annullare le clausole dei contratti individuali in contrastocon esso e di determinare la retribuzione secondo equità (art. 2099 c.c.) basandosisui parametri retributivi determinati nei contratti collettivi di diritto comune, gliunici oggi esistenti, validi solo per gli iscritti ai sindacati stipulanti.

Attraverso questo percorso si è attuata una sorta di generalizzazione del-l’efficacia soggettiva degli attuali contratti collettivi che, se da un lato esprime il fa-vore che l’ordinamento accorda in generale alla determinazione della retribuzio-ne in via negoziale, dall’altro lascia aperti margini di incertezza derivanti dalla re-versibilità degli orientamenti giurisprudenziali, poiché la decisione su base equi-tativa delle controversie individuali in materia retributiva può sempre essere adot-tata secondo parametri diversi e più restrittivi di quelli desunti da fonti contrattuali.

Un orario sostenibile

Alla finalità di assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libe-ra e dignitosa sono ispirate anche le disposizioni del 2° e 3° comma dell’art. 36, 19

ERGA OMNESAlla lettera “verso tutti”, indica, con riferi-

mento alla contrattazione collettiva, quei con-tratti che sono applicabili a tutti gli appartenenti al-

la categoria interessata. Nell’ordinamento sindaca-le previsto dall’art. 39 i contratti collettivi con efficacia

erga omnes sono quelli stipulati da una delegazionecomposta dai sindacati registrati, in misura propor-zionale agli iscritti. Poiché la disposizione costituzio-nale è rimasta inattuata, i contratti con efficacia ergaomnes non sono mai stati stipulati, mentre gli attua-

li contratti collettivi di lavoro sono definiti di dirittocomune, in quanto, come ogni contratto tra sog-

getti privati, si applicano soltanto agli appar-tenenti all’organizzazione stipulante.

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sulla durata massima della giornata lavorativa, sui riposi settimanali e sulle ferieannuali: anche in questo caso si è di fronte alla costituzionalizzazione di richie-ste storiche del movimento sindacale, riguardanti la limitazione della pretesa pa-dronale di decidere unilateralmente tempi e modi della prestazione lavorativa, ela corrispettiva rivendicazione delle otto ore giornaliere, obiettivo comune di unabattaglia che alla fine del XIX secolo coinvolse tutti i paesi industrializzati.

La disposizione costituzionale stabilisce una riserva di legge a caratte-re relativo sulla determinazione della durata massima della giornata lavorativa,nel senso che la contrattazione collettiva può integrare la prescrizione norma-tiva, disponendo limiti inferiori rispetto a quelli legali: una tale possibilità è sta-ta esplicitamente prevista dalla legge 196/1997, con la quale la durata legalenormale dell’orario di lavoro è stata fissata in quaranta ore settimanali (con con-seguente abrogazione del rdl 692/1923, che la fissava in quarantotto ore setti-manali). Lo spazio accordato alla contrattazione collettiva, anche per la flessi-bilizzazione delle modalità di calcolo dell’orario, è stato sostanzialmente con-servato anche nel dlgs 66/2003 (di attuazione delle direttive comunitarie 93/104e 2000/34), che ha dettato la disciplina generale dell’orario di lavoro nel setto-

re pubblico e privato, nonché del lavoro notturno e straor-dinario: l’orario normale di quaranta ore è stato con-

fermato, con la precisazione però del limite set-timanale di quarantotto ore, comprensivo del-le prestazioni straordinarie.

Anche le disposizioni costituzionalisul diritto irrinunciabile alle pause settima-nali e alle ferie annuali rappresentano un ul-teriore aspetto della tutela dell’integrità psi-

cofisica dei lavoratori. Da notare che l’As-semblea Costituente respinse la proposta di so-

stituire le parole “riposo settimanale” con ”ripo-so festivo”, proprio in relazione alla volontà di non

vincolare alla domenica il riposo stesso: l’esigenza di as-sicurare una certa elasticità in sede applicativa, anche in relazione alle varie ti-pologie di attività interessate, è stata confermata nella giurisprudenza costitu-zionale (sent. 150/1967 e 101/1975), secondo la quale l’eventuale deroga nonpuò spingersi fino a vanificare la sostanza del diritto e deve essere subordinataalla sussistenza della necessità di tutelare interessi pubblici di particolare rilie-vo, mantenendosi comunque nei limiti della ragionevolezza e della salvaguar-dia della salute del lavoratore. A condizioni analoghe (attività riconducibile al-la gestione di servizi di pubblica utilità; esigenze di servizio eccezionali, moti-vate e tempestivamente comunicate al lavoratore) si ispira la giurisprudenzacostituzionale riguardante l’ammissibilità di deroghe al diritto di fruire di ferieannuali (sent. 543/1990), che comunque non può essere sottoposto a irragio-nevoli restrizioni da parte del datore di lavoro (sent. 158/2001).20

RISERVA DI LEGGEÈ un principio di garanzia in virtù delquale la Costituzione stabilisce che talunematerie debbano essere regolate esclusiva-mente con legge. La riserva di legge si distinguea sua volta in assoluta e relativa: nel primo casola materia deve essere regolata soltanto da unalegge o da un atto avente forza di legge (decre-to legislativo, decreto legge); nel secondo ca-so si ammette che la disciplina legale possaessere integrata da altre fonti (regola-menti o anche contratti collettivi).

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Dalla parità alle pari opportunità

L’art. 37, 1° comma, nello stabilire il principio della parità di retribuzione trai sessi a parità di lavoro, segna una netta cesura con la legislazione sociale prece-dente: sia con quella del periodo liberale, ancorata a una concezione “protettiva”del lavoro delle donne e dei minori, estranea al concetto di eguaglianza di genere,sia con quella fascista, per la quale le protezioni accordate alle donne in relazionesoprattutto alla politica demografica del regime costituirono la contropartita per ilmantenimento di una condizione di sottoccupazione e di sottoretribuzione.

La disposizione costituzionale pone invece un limite all’autonomia pri-vata e, al tempo stesso, costituisce una specificazione del principio di egua-glianza tra i sessi, affermato al 1° comma dell’art. 3 – e rafforzato dalle riformecostituzionali più recenti (l. cost. n. 1/2003 e n. 3/2003), con la sanzione del cri-terio delle pari opportunità –, nonché del principio di uguaglianza sostanziale,poiché mira a eliminare una condizione di subalternità della donna sul lavoro,che ne aggrava la posizione di marginalità sociale e politica. Al tempo stesso,all’affermazione della parità retributiva si affianca e in una certa misura si con-trappone il richiamo alla specificità della condizione femminile, in relazione al-l’adempimento “della essenziale funzione familiare” della donna e all’esigenzadi assicurare “una speciale ed adeguata protezione alla madre e al bambino”.Tra le due disposizioni vi è una obiettiva tensione: a fronte del contenuto eman-cipatorio della prima, infatti, la seconda, oltre a riflettere l’intenzione dei cat-tolici di inserire nella Costituzione norme a tutela dell’unità familiare, lasciaambiguamente trasparire la sanzio-ne di un primato dell’impegno do-mestico rispetto al lavoro, e di una so-stanziale intangibilità della divisionedei ruoli tra i sessi, che fu messa cri-ticamente in luce delle sinistre nel cor-so della discussione all’Assemblea Co-stituente (si veda l’intervento di LinaMerlin, nella seduta dell’Assembleadel 10 maggio 1947).

In realtà, l’insieme dei princì-pi affermati nel primo comma del-l’art. 37 ha dato prova di una note-vole capacità di espandersi e di adat-tarsi ai mutati contesti socio-economici. L’evoluzione della legislazione at-tuativa è passata, infatti, dall’accentuazione del profilo protettivo, finalizzatoa rimuovere le più evidenti storture del sistema (si pensi alla l. 7/1963 sul di-vieto di licenziamento delle lavoratrici per matrimonio e alla l. 1204/1971 ditutela delle lavoratrici madri) al riconoscimento della parità sul lavoro (l.903/1977), fino all’adozione del principio di pari opportunità (l. 125/1991), 21

ARTICOLO 37La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, aparità di lavoro, le stesse retribuzioni chespettano al lavoratore. Le condizioni di lavo-ro devono consentire l’adempimento dellasua essenziale funzione familiare e assicura-re alla madre e al bambino una speciale ade-guata protezione.La legge stabilisce il limite minimo di età peril lavoro salariato.La Repubblica tutela il lavoro dei minori conspeciali norme e garantisce ad essi, a parità dilavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

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che presuppone la repressione dei comportamenti discriminatori diretti e in-diretti e anche, laddove necessario, il perseguimento della parità di genere at-traverso un diritto “diseguale” fondato su azioni positive. Attività e disposi-zioni normative, queste, con le quali si mira ad assicurare posizioni di vantag-gio a soggetti tradizionalmente destinatari di trattamenti deteriori, secondo ilcriterio, costante nella giurisprudenza costituzionale, per cui, in applicazionedel principio di eguaglianza, i trattamenti normativi differenziati sono giusti-ficati laddove risultino funzionali a colmare squilibri penalizzanti per deter-minati gruppi o categorie.

Per il lavoro minorile, l’art. 37, 2° e 3° comma, stabilisce una riserva dilegge per la determinazione dell’età minima per l’accesso al lavoro e la garan-zia di parità retributiva. Già i dlgs 345/1999 e 262/2000, nell’adeguare alla di-sciplina comunitaria la legge 977/1967, hanno fissato l’età minima per l’am-missione al lavoro al compimento dell’obbligo scolastico e comunque non pri-ma dei quindici anni, elevati a sedici con la legge finanziaria 2007. Fermo re-stando il generale divieto di lavoro per i bambini, con alcune eccezioni, tra cuile attività di tipo culturale e artistico, salvo l’adempimento dell’obbligo scola-stico, il citato dlgs 354, oltre a inibire i lavori nocivi e a obbligare il datore di la-voro ad una specifica valutazione dei rischi nel caso di impiego di un minore,recepisce il principio costituzionale della parità di trattamento retributivo dellavoro minorile rispetto a quello dei maggiorenni.

Le norme costituzionali della sicurezza sociale

Con l’art. 38 sono tracciate le linee generali di un sistema di sicurezzasociale che integra e completa il disegno costituzionale del welfare, marcando,anche per questo aspetto, una vistosa discontinuità sia con l’ordinamento libe-rale, nel quale un lacunoso sistema di assicurazioni sociali si formò tra il XIX eil XX secolo, sia con quello fascista, che nella Carta del lavoro (1927) aveva teo-rizzato la collaborazione tra le classi come presupposto della previdenza cor-porativa, coordinata dallo Stato, ma fondata sulla ripartizione proporzionaledegli oneri tra i datori e i prestatori di lavoro.

22

Contro le discriminazioniIl recepimento della normativa comunitaria ha svolto un ruolo di rilievo, sia nell’inqua-

dramento della politica di parità di genere nell’ambito di una più generale disciplina contro le di-

scriminazioni di varia natura, sia nel promuovere il passaggio dalla tutela della maternità a quel-

la della genitorialità, al fine di riequilibrare la ripartizione del lavoro di cura familiare tra i sessi e

di evitare che esso gravi solo sulla donna, accentuandone la marginalità sociale: in particolare, le

norme comunitarie sui congedi parentali sono state attuate con la legge 53/2000 e con il testo uni-

co di cui al dlgs 151/2001 che, inoltre, ha esteso la peculiare tutela previdenziale oltre la cerchia

del lavoro subordinato, attribuendo specifici trattamenti di maternità alle lavoratrici autonome, a

quelle atipiche e discontinue e alle donne prive di altri redditi, anche immigrate.

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L’Assemblea Costituente delineò un sistema di sicurezza sociale volto adassicurare la libertà del bisogno per tutti i cittadini e articolato in un due sotto-sistemi: previdenziale, per tutelare i lavoratori da eventi suscettibili di menoma-re la capacità di produzione di reddito, e assistenziale, per tutti i cittadini non ingrado di provvedere al proprio mantenimento. L’intera costruzione si fonda sulprincipio di eguaglianza sostanziale, quale espressione di una solidarietà socia-le non più circoscritta agli appartenenti alle categorie professionali, ma a carat-tere tendenzialmente universale, in quanto il diritto alle prestazioni si produceper il solo fatto che sorga una situazione di bisogno, e non è subordinato alla sus-sistenza di un requisito contributivo. Al tempo stesso l’ispirazione solidaristicasi integra con il criterio mutualistico, specialmente sul versante previdenziale,stante il fatto che la norma costitu-zionale non vincola il legislatore ordi-nario nella determinazione dei modidi finanziamento e di organizzazionedel sistema previdenziale.

Il 2° comma dell’art. 38 enu-mera gli eventi pregiudizievoli per iquali si prevede una copertura previ-denziale, fornendo anche una indica-zione sulla misura delle prestazioni,con una formulazione (l’adeguatezzaalle esigenze di vita) che evoca quelladell’art. 36 e che vincola gli istituti ero-gatori ad assicurare trattamenti nonirrisori. La platea degli aventi diritto è identificata con i lavoratori, senza ulterio-ri qualificazioni: ciò significa che il legislatore costituente non ha voluto limitarel’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni previdenziali ai soli lavora-tori subordinati, offrendo così al legislatore ordinario il presupposto per operarenel senso di una universalizzazione delle prestazioni.

Dalla lettura del 4° comma risulta inoltre che nel disegno costituzionalelo Stato è chiamato non più a svolgere una funzione meramente organizzativa,come nell’assetto corporativo, bensì ad assicurare l’effettività della protezionesociale, attraverso la predisposizione di organi e istituti e la loro eventuale inte-grazione, coerentemente con l’impostazione che affida al potere pubblico il com-pito di assicurare l’effettività dei diritti sociali.

Le disposizioni sull’assistenza travalicano ovviamente l’ambito lavoristi-co, riconoscendo un diritto alle prestazioni sociali a tutti coloro che, a vario tito-lo, si trovino nelle condizioni di inabilità al lavoro e di impossibilità di provvede-re al proprio mantenimento: va tuttavia segnalata la disposizione del 3° comma,che include nel nucleo essenziale del diritto all’assistenza anche il diritto all’istru-zione e all’inserimento lavorativo delle persone portatrici di handicap. A que-st’ultima prescrizione è stata data attuazione con la legge 68/1999, sul colloca- 23

ARTICOLO 38Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto deimezzi necessari per vivere ha diritto al mante-nimento e all’assistenza sociale.I lavoratori hanno diritto che siano preveduti edassicurati mezzi adeguati alle loro esigenze divita in caso di infortunio, malattia, invalidità evecchiaia, disoccupazione involontaria.Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educa-zione e all’avviamento professionale.Ai compiti previsti in questo articolo provve-dono organi ed istituti predisposti o integrati dal-lo Stato. L’assistenza privata è libera.

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mento obbligatorio, cui sono soggette le pubbliche amministrazioni e le impre-se con più di quattordici dipendenti.

Il sindacato nel sistema costituzionale

Nella prospettiva costituzionale, la speciale posizione accordata al lavoroopera come criterio generale di indirizzo dell’attività istituzionale e di valutazio-ne della posizione sociale dei cittadini, in funzione dell’effettività del principio dieguaglianza; secondo questa impostazione la tutela non è quindi riducibile a unaprotezione paternalisticamente elargita dal potere pubblico, in quanto nel con-cetto di “effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, eco-nomica e sociale del paese" è implicito che la cura di interessi costituzionalmen-te rilevanti venga affidata prioritariamente ai soggetti che ne sono portatori.

Data la posizione di debolezza contrattuale del singolo prestatore di la-voro, questa attività di autotutela, per essere efficace, non può non realizzarsiin forma collettiva, attraverso l’organizzazione sindacale che, nel contesto isti-tuzionale della Repubblica, si trova a svolgere una funzione di interesse gene-rale, in relazione al perseguimento delle finalità sociali della Costituzione, e per-tanto rappresenta un elemento qualificante della costituzione materiale (ov-vero dell’insieme dei valori e dei fini ai quali un ordinamento è ispirato e delleforze politiche e sociali che li rappresentano).

Con tali premesse, può destare sorpresa il fatto che l’art. 39 della Costitu-zione sia rimasto quasi del tutto inattuato; si tratta, tuttavia, di una incongruen-za solo apparente, poiché ciò non ha pregiudicato, e anzi per taluni aspetti ha age-volato, il radicamento del sindacato nella realtà italiana. D’altra parte, mentre laritardata adozione di leggi attuative di taluni istituti costituzionali (referendum,Regioni) ha dato luogo, in passato, a notevoli contrasti, la mancata attuazione le-gislativa dell’art. 39 non ha suscitato particolari proteste nel mondo sindacale esembra avere ormai assunto i tratti di una situazione definitiva. I motivi di questasituazione sono vari e complessi: basti qui richiamare le remore, da parte sinda-24

L’effetto del debitoL’esplosione del debito pubblico a partire dalla fine degli anni 80 e i vincoli di bilancio in-

trodotti dal Trattato di Maastricht hanno provocato un’inversione di tendenza rispetto a un pre-

cedente indirizzo legislativo orientato a estendere la platea dei beneficiari e l’entità delle presta-

zioni, soprattutto per quel che riguarda la pensioni, che costituiscono gran parte della spesa pre-

videnziale. Al fine di assicurare la sostenibilità del sistema nel lungo periodo, le riforme adottate

dalla legge 335/1995 in poi hanno privilegiato la ridefinizione del rapporto tra contribuzione e pre-

stazioni (non sempre in modo tale da garantire la piena equità del sistema), perseguendo priorita-

riamente l’obiettivo di contenere l’incremento della spesa dovuto ai processi di decremento de-

mografico e di invecchiamento della popolazione, rispetto ai quali, peraltro, i flussi migratori stan-

no producendo effetti compensativi non trascurabili.

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cale, sulle possibili limitazioni di carattere amministrativoall’autonomia organizzativa e contrattuale, che avreb-bero potuto derivare dall’applicazione delle norme sul-la registrazione e sulla rappresentanza negoziale, nellequali si può ravvisare una certa contiguità con l’ordina-mento corporativo.

Una forte discontinuità con il corporativismo èinvece marcata dal 1° comma dell’art. 39, l’unico imme-diatamente precettivo che, nello stabilire la libertà dell’orga-nizzazione sindacale, specificando e approfondendo la norma costituzionalesulla libertà di associazione (art. 18), provvede alla liquidazione del precedentesistema, fondato sul monopolio sindacale attribuito a organizzazioni di cate-goria dotate di personalità giuridica di diritto pubblico e legittimate a stipula-re contratti validi erga omnes, ovvero per tutti gli appartenenti alla categoriamedesima.

La libertà sindacale riconosciuta dalla Costituzione e suffragata da nu-merose fonti internazionali (tra cui le Convenzioni Oil nn. 87 e 97, ratificatecon la legge 367/1958 e la Carta sociale europea del 1961, ratificata con la leg-ge 929/1965) ha molte implicazioni: essa sancisce in primo luogo un diritto dilibertà della persona, di aderire o di promuovere la formazione di un’organiz-zazione sindacale (libertà positiva)ovvero di non aderire ad alcun sinda-cato (libertà negativa); in secondo luo-go, garantisce il pluralismo sindaca-le, e infine impedisce sia al datore dilavoro sia alla pubblica amministra-zione di interferire con l’autonomaorganizzazione dei lavoratori me-diante vincoli o condizioni suscetti-bili di creare posizioni di privilegio odi svantaggio per l’una o per l’altra for-mazione (sono esplicitamente vieta-ti, dall’art. 15 dello Statuto dei lavo-ratori, e, ancor prima, dalla Conven-zione Oil n. 98, soltanto i c. d. “sin-dacati di comodo”, emanazione dei datori di lavoro).

La fonte legislativa interna più rilevante, quanto all’attuazione dell’art.39, 1° comma, è lo Statuto dei lavoratori (legge 300/1970): con esso, dopo unlungo periodo in cui la presenza del sindacato sui luoghi di lavoro era stata con-trastata in vario modo, sono state dettate norme finalizzate a tutelare la libertàe la dignità del lavoratore, a rafforzare l’esercizio delle libertà sindacali sui luo-ghi di lavoro, anche mediante la repressione della condotta antisindacale deldatore, e a sostenere le organizzazioni sindacali dei lavoratori. 25

ARTICOLO 39L’organizzazione sindacale è libera.Ai sindacati non può essere imposto altro ob-bligo se non la loro registrazione presso ufficilocali o centrali, secondo le norme di legge.È condizione per la registrazione che gli statutidei sindacati sanciscano un ordinamento inter-no a base democratica.I sindacati registrati hanno personalità giuridi-ca. Possono, rappresentati unitariamente in pro-porzione dei loro iscritti, stipulare contratti col-lettivi di lavoro con efficacia obbligatoria pertutti gli appartenenti alle categorie alle quali ilcontratto si riferisce.

COSTITUZIONE MATERIALE

Con questa espressione si intendeil complesso dei valori, delle finalitàe dei programmi di cui si fanno por-tatrici le forze politiche e sociali che

danno vita a un determinato as-setto istituzionale.

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Rappresentanza e rappresentatività

Nelle parti inattuate, l’art. 39 disegnava un ordinamento sindacale nel qua-le era attribuito ai sindacati, registrati dopo l’accertamento del carattere demo-cratico dell’organizzazione interna, la personalità giuridica e la possibilità di par-tecipare alla stipula di contratti efficaci erga omnes nell’ambito di una rappre-sentanza costruita su base proporzionale: il concreto svolgimento delle relazioniindustriali ha prodotto tuttavia un assetto del tutto diverso dal progetto costitu-zionale, poiché i sindacati hanno continuato a operare come associazioni di fat-to, e l’estensione degli effetti del contratto collettivo di diritto privato ai non iscrit-ti alle organizzazioni stipulanti è stata affidata ad altri canali (si veda in proposi-to quanto detto con riferimento all’art. 36).

La mancata attuazione dell’art. 39 ha lasciato tuttavia irrisolto il proble-ma dell’individuazione di criteri idonei a misurare l’effettività della rappresen-tanza sindacale, ovvero la capacità delle singole organizzazioni di esprimere gliinteressi economici e professionali dei lavoratori nell’esercizio delle funzioni di

organizzazione, autotutela e contrattazione. La que-stione è stata affrontata nello Statuto dei lavorato-

ri, attraverso l’individuazione, nella categoria dei“sindacati maggiormente rappresentativi”, deisoggetti destinatari di alcune delle misure spe-cificamente destinate al sostegno dell’attivitàsindacale, secondo un criterio selettivo suffra-gato anche dalla giurisprudenza costituzionale.

In particolare, all’art. 19, lo Statuto dei lavoratoriha riconosciuto il diritto di costituire proprie rap-

presentanti sindacali aziendali (Rsa) alle organizzazio-ni aderenti alle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul pia-no nazionale, oltre che alle organizzazioni firmatarie di contratti collettivi ap-plicati all’interno dell’unità produttiva.

Nel corso degli anni 80 la crisi del modello fordista, i processi di decentra-mento produttivo e l’insorgere di fenomeni di frammentazione della rappresen-tanza sindacale hanno mostrato i limiti del criterio della maggiore rappresentati-vità; con il referendum dell’11 giugno 1995, l’art. 19 dello Statuto fu riscritto, perl’intervenuta abrogazione delle disposizioni riguardanti proprio i sindacati mag-giormente rappresentativi, per cui il diritto di costituire le Rsa restò in capo alle or-ganizzazioni sindacali firmatarie dei contratti applicati nell’unità produttiva.

Successivamente, è stata adottata la formula dei sindacati “comparati-vamente più rappresentativi” per indicare le organizzazioni firmatarie di con-tratti ai quali la legge riconosceva l’idoneità a produrre determinati effetti (adesempio la determinazione della base retributiva per il calcolo dei contributi,ai sensi della legge 549/1995), ma più recentemente la legge delega n. 30 del2003 ha introdotto il riferimento ai contratti stipulati da (e non “dalle”) orga-

PERSONALITÀ GIURIDICACon l’acquisizione della personalità giuri-dica (di solito mediante un atto di una auto-rità pubblica) un determinato soggetto, an-che costituito in forma associativa, diventa ti-tolare di capacità giuridica, il che significa chepuò esercitare diritti di varia natura ed es-sere soggetto ai corrispettivi obblighi.

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nizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, al fine, esplicitatonella relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge, di legit-timare le intese separate, spesso finalizzate a emarginare proprio le organizza-zioni sindacali che godono di un consenso maggioritario.

Lo sciopero

Lo sciopero costituisce storicamente la forma più incisiva di esercizio del-l’autotutela di interessi collettivi attuato mediante l’organizzazione sindacale: il ri-conoscimento di esso come diritto di libertà nell’art. 40 della Costituzione, oltre aconferire concretezza al principio di libertà sindacale, rappresenta un evento em-blematico della volontà del nuovo ordinamento democratico di attribuire un ruolodi protagonista a soggetti e classi rimasti in passato ai margini della vita pubblica.

Considerato un delitto dal Codice penale sardo, lo sciopero cessò di es-sere qualificato come tale, purché posto in essere senza atti di violenza o di mi- 27

Il criterio per misurareSolo nel pubblico impiego il legislatore si è preoccupato di dettare criteri volti a stabilire la

rappresentatività delle organizzazioni sindacali: l’art. 43 del dlgs 165/2001 ha definito un criterio di

mediazione tra il dato associativo (numero degli iscritti) e quello elettorale (percentuale dei voti ot-

tenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale) per individuare una soglia mini-

ma di rappresentanza (il 5 per cento degli appartenenti alla categoria) necessaria per essere am-

messi alla contrattazione collettiva. A sua volta, per la sottoscrizione del contratto da parte dell’A-

ran (che rappresenta la parte pubblica) e per la validità del contratto, è necessario che abbiano ade-

rito all’ipotesi di accordo un numero di organizzazioni sindacali che

rappresenti il 51 per cento come media del dato associativo e

del dato elettorale, ovvero il 60 per cento con riferimento

al solo dato elettorale, degli appartenenti alla categoria.

Con i dovuti adattamenti, il sistema adottato per il pub-

blico impiego potrebbe costituire un utile punto di ri-

ferimento anche per il settore del lavoro privato. In un

contesto in cui l’area della negoziazione tende a esten-

dersi dalla dimensione della tutela degli interessi pro-

fessionali di categoria fino a investire, attraverso i mecca-

nismi della concertazione, l’intesa con le controparti da-

toriali e con il governo sui temi generali della politica economi-

ca, appare infatti sempre più evidente la necessità di una definizione

normativa della rappresentatività sindacale, anche al fine di evitare che, nel vuoto di regole, le or-

ganizzazioni minoritarie siano spinte a ricercare nel riconoscimento della controparte (datoriale o

governativa) una legittimazione negoziale non rispondente al loro effettivo insediamento sociale,

alimentando anche per questa via la prassi delle intese separate, di dubbia compatibilità con i princì-

pi democratici a cui si ispira l’ordinamento sindacale delineato dalla Costituzione.

CONCERTAZIONEAttraverso la concertazione, alcune deci-

sioni politiche vengono assunte all’esito di unconfronto triangolare tra le autorità pubbliche,

le organizzazioni sindacali e le organizzazioni deidatori di lavoro. In Italia, la concertazione ha tro-vato un ampio campo di applicazione, soprattut-to in materia di mercato del lavoro, salari e pre-

videnza sociale, ma anche con riferimento al-le grandi scelte di politica economica, in ma-

teria fiscale e di finanza pubblica.

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naccia, con il Codice Zanardelli (1890), e tornò ad essere penalmente sanzio-nato con la legge sindacale fascista del 1926, che lo vietò (insieme alla serrata)con norme che, tra l’altro, sopravvissero all’ordinamento corporativo, restandoin vita dopo l’entrata in vigore della Costituzione, dando così luogo a una si-tuazione paradossale, parzialmente sanata solo dall’intervento della Corte co-stituzionale.

L’art. 40 fu approvato dall’Assemblea Costituente, dopo una lunga e con-trastata discussione, in una formulazione che riprendeva l’analoga disposizionecostituzionale francese: con essa ci si limitava a stabilire che lo sciopero si esercitanell’ambito delle leggi che lo regolano, ma la mancata adozione di esse fino al 1990ha fatto sì che il suo inquadramento giuridico restasse affidato sostanzialmente al-

l’elaborazione giurisprudenziale.Per molto tempo i giudici si so-

no misurati sul tentativo di fornire unadefinizione di sciopero per individuar-

ne gli elementi distintivi, suscettibili di delimitare l’ambito entro il quale esso puòlegittimamente esercitarsi: un tale approccio si è risolto tuttavia nello sforzo di cir-coscrivere astrattamente la nozione di sciopero alla sfera del rapporto contrattua-le, come mezzo di pressione sul datore di lavoro, fornendo una nozione estrema-mente restrittiva della natura degli interessi tutelati e quindi dell’ambito di appli-cazione della copertura costituzionale: secondo tali interpretazioni restavano in-fatti esclusi da essa lo sciopero di solidarietà, lo sciopero politico, nonché le formedi astensione dal lavoro “anomale” (scioperi a singhiozzo o a scacchiera) che inve-ce avrebbero avuto un ruolo determinante nello sviluppo della conflittualità ope-raia, specialmente nel corso degli anni 60 e 70.

28

ARTICOLO 40Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito del-le leggi che lo regolano.

I limitiLa legge 146/1990, di disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, si caratteriz-

za per il fine di pervenire a un bilanciamento tra beni di pari valore costituzionale, nel presuppo-

sto che un diritto stabilito nella carta fondamentale possa essere condizionato dall’esercizio di al-

tri diritti, ma non annullato: a tal fine la legge elenca i servizi essenziali e detta i limiti entro i qua-

li il diritto di sciopero può esercitarsi, riguardanti, essenzialmente, l’obbligo di preavviso, l’indica-

zione preventiva della durata delle singole astensioni e la garanzia della continuità nell’erogazio-

ne delle prestazioni indispensabili.

Sul rispetto delle norme e sulla loro attuazione vigila un’autorità indipendente, la Commissione di

garanzia, chiamata a svolgere compiti di indirizzo rispetto alla definizione dei comportamenti del-

le parti, compiti integrati anche dall’adozione, da parte dei sindacati, di codici di autoregolamen-

tazione, finalizzati a minimizzare il danno agli utenti durante gli scioperi.

Anche in considerazione dell’esigenza di rafforzare l’autodisciplina delle parti sociali è stata va-

rata la legge 83/2000, a completamento di quella del 1990: essa mira, tra l’altro, a sviluppare for-

me negoziali di prevenzione, raffreddamento e risoluzione dei conflitti, nonché a rafforzare il ruo-

lo degli utenti e ad estendere i princìpi della legge 146 agli scioperi dei lavoratori autonomi su-

scettibili di interferire con la funzionalità dei servizi essenziali.

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L’evoluzione della giurisprudenza ha messo in luce i limiti di impostazioniastrattamente definitorie, e ha sottolineato l’impossibilità di indicare un concet-to di sciopero a prescindere dai modi in cui concretamente si esplica il conflittosociale. Proprio partendo da tale presupposto la Corte costituzionale ha operatoin profondità sul sistema, procedendo all’eliminazione di parte delle disposizionipenali ereditate dal fascismo e al chiarimento della diversa posizione costituzio-nale dello sciopero rispetto alla serrata (considerata dalla Corte come un com-portamento di fatto, privo della rilevanza penale che gli era stata attribuita dal-l’ordinamento corporativo), nonché sostenendo la legittimità dello sciopero di so-lidarietà, come tutela che trascende l’interesse di categoria (C. cost. 123/1962) edello sciopero politico, come rivendicazione di determinati provvedimenti rivol-ta alla pubblica autorità, in ragione della latitudine degli interessi perseguiti at-traverso l’autotutela collettiva. Con la sentenza dichiarativa della illegittimità co-stituzionale delle norme penali repressive dello sciopero politico (290/1974), laCorte sottolineava inoltre come lo sciopero, oltre alla promozione di interessi eco-nomico-professionali, agisse anche come strumento idoneo a favorire il perse-guimento dei fini di cui al 2° comma dell’art. 3 della Costituzione. Si può pertan-to affermare che lo sciopero si configura come un diritto di libertà della persona,esercitato di regola in forma collettiva, condizionato dall’esistenza di un contrattodi lavoro (prevalentemente, ma non soltanto, subordinato), ma non necessaria-mente riguardante il rapporto con il datore di lavoro: i limiti all’esercizio di tale di-ritto non sono desumibili da definizioni destinate ad essere superate dalla realtàdelle relazioni sindacali, bensì da fattori “esterni”, derivanti cioè, secondo quantoaffermato anche dal giudice costituzionale, dall’esigenza di coordinare il diritto disciopero con la tutela di altri beni costituzionalmente protetti (la salute e la sicu-rezza, la libera circolazione, la sicurezza sociale, la libertà di comunicazione ecc.).

La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresaLa formulazione dell’art. 46, sulla collaborazione dei lavoratori alla ge-

stione delle aziende, si lega in gran parte alla storia dei Consigli di gestione ed,essendo giunta in una fase di avanzato logoramento di tali organismi, ne anti-cipò la definitiva liquidazione. Sorti nella contingenza delle vicende belliche ealimentati dall’ideologia della solidarietà nazionale e del produttivismo orienta-to alla ricostruzione, i Consigli di gestione, formalmente istituti con un decretodel Clnai del 17 aprile 1945, conobbero un’ampia diffusione nelle aziende delNord Italia in una fase di grande incertezza circa l’evoluzione dei rapporti di clas-se e sul futuro assetto istituzionale. Le loro successive vicende seguirono l’an-damento del quadro politico e il loro declino accompagnò la crisi dell’unità na-zionale, quando risultò palese l’incompatibilità di organismi sorti con funzionigestionali con l’obiettivo di ripristinare le prerogative imprenditoriali in nomedell’“unicità del comando” in azienda. La stessa discussione all’Assemblea Co-

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stituente rispecchiò questa situazione e la formula definitivamente adottata conl’approvazione di un emendamento democristiano segnò un netto arretramen-to rispetto al testo elaborato in Commissione, soprattutto per la sostituzione deltermine “partecipazione” dei lavoratori con “collaborazione”, che richiamavaequivocamente un’impostazione di stampo corporativo.

Il clima del secondo dopoguerra non favorì certo l’attuazione di questanorma che, guardata prima con diffidenza dal padronato, sospettoso verso qual-siasi pur timida ipotesi di limitazione del suo potere aziendale, fu poi conside-rata, nelle successive fasi di ripresa del conflitto sociale, con ancor maggioreperplessità dal movimento sindacale, riluttante, in linea di principio, a com-promettere i propri rappresentanti in funzioni di carattere gestionale. Il risul-tato fu che la disposizione costituzionale rimase inattuata.

A questo risultato, d’altra par-te, concorreva anche il molteplice ediverso significato che il termine “col-laborazione” poteva assumere. In so-stanza, essendo difficilmente di-sgiungibile da un profilo di parteci-pazione, esso poteva assumere due

diversi significati: o quello della partecipazione di rappresentanze dei lavora-tori a organismi direttivi dell’azienda o il cointeressamento alla gestione eco-nomica dell’impresa, attraverso forme di azionariato individuale o collettivo,ovvero attraverso la ripartizione degli utili, finalizzata anche a stabilire un piùstretto collegamento tra retribuzione e produttività.

Entrambi questi profili sono stati tuttavia sostanzialmente ignorati da-gli attori sociali; non solo dalla parte sindacale, dove pure non sono mancati in-teressanti approfondimenti sul tema della democrazia industriale, ma anchedalla parte datoriale, mostratasi anche di recente piuttosto fredda sulle ricor-renti ipotesi di azionariato diffuso e di distribuzione degli utili ai dipendenti.

Nel sistema italiano di relazioni industriali sembra tuttora prevalente, ri-spetto a una visione “comunitaria” fondata sul presupposto di un interesse origi-nario all’efficienza produttiva comune a lavoratori e datori di lavoro, un modellonegoziale in cui il buon andamento dell’impresa costituisce la risultante di un pro-cesso contrattuale di composizione del conflitto tra interessi opposti: di qui la pre-ferenza accordata a strumenti esterni di controllo, elaborati per via pattizia, anchein forma di diritti di informazione e di consultazione delle rappresentanze dei la-voratori su materie determinate (occupazione, investimenti, innovazione tecno-logica); su tale ultimo aspetto occorre richiamare il ruolo rilevante svolto dalla nor-mativa comunitaria, in particolare per quel che riguarda l’istituzione dei Comita-ti aziendali europei o di procedure di informazione e consultazione dei lavoratori(dir. 94/45/Ce) e la valorizzazione del principio dell’autonomia negoziale, in virtùdella quale gli accordi contrattuali che istituiscono tali procedure sono considera-ti sostitutivi del recepimento della direttiva stessa con legge. 30

ARTICOLO 46Ai fini della elevazione economica e sociale dellavoro e in armonia con le esigenze della pro-duzione, la Repubblica riconosce il diritto dei la-voratori a collaborare, nei modi e nei limiti sta-biliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

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La Costituzione italiana e il processo costituente europeo

Parlando di Costituzione e lavoro non si può infine prescindere dal te-ma dell’integrazione europea e, più specificamente, dal tema del coordinamentodelle norme costituzionali con il sistema istituzionale che ha preso forma a par-tire dal Trattato di Roma del 1957. Non si può negare che tale problema si pon-ga con forza alla luce delle diverse finalità indicate dai due ordinamenti; l’o-biettivo prioritario delle istituzioni comunitarie consiste infatti nel dar vita a ungrande mercato fondato sulla concorrenza e sul libero movimento di beni, ser-vizi e persone, il che giustifica il rilievo su una certa “frigidità sociale” dei padrifondatori dell’Europa (Treu, Roccella, 2002), e sui successivi effetti di essa. Atale riguardo è significativa la constatazione che anche le più importanti nor-me comunitarie in materia (Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali,1989 e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, 2000) si ispirano alfine di impedire una disparità delle condizioni di lavoro suscettibile di dar vitaa fenomeni di dumping sociale e di alterare in tal modo le condizioni fonda-mentali dello svolgimento della competizione di mercato.

Nel presupposto dell’auspicabilità del processo di costruzione europeala rivendicazione di un ampio spazio sociale su scala continentale può invece co-stituire un fattore di forte accelerazione del processo di integrazione politica, og-gi ostacolata anche da un’idea di centralità dell’impresa e del mercato che ha for-nito argomenti non infondati alle forme più consapevoli di euroscetticismo.

Considerato alla luce di una possibile evoluzione del quadro costituziona-le europeo, il principio lavorista sancito nella Costituzione italiana può dunquetrovare conferme e sviluppi laddove esso realizzi proficui punti di incontro con re-gole e princìpi della normativa comunitaria: tale, ad esempio, è il caso della nor-mativa di sicurezza del lavoro, a cui l’Europa ha dato un contributo essenziale, svi-luppando regole fortemente innovative nel superamento della dimensione pura-mente repressiva e nella valorizzazione della responsabilità degli attori sociali edei soggetti istituzionali, o delle normative contro la discriminazione sul mercatodel lavoro, per le pari opportunità tra i sessi, e per la tutela della genitorialità.

D’altra parte, la prospettiva di uno spazio sociale europeo che consolidie accresca le esperienze realizzate in questo campo dalle grandi democrazie delcontinente appare ancora più concreta alla luce di una crisi le cui radici vannoricercate in comportamenti mossi dalla fallace opinione della inesauribile ca-pacità di autoregolazione dei mercati. E nel pieno, come si è, di una acciden-tata contingenza storica è invece necessaria una nuova assunzione di respon-sabilità da parte dei poteri pubblici, non solo per il contenimento degli aspettipiù macroscopicamente degenerativi del sistema, ma per il recupero di una ca-pacità di governo del sistema economico, che, evidentemente, non può più rea-lizzarsi a livello nazionale, e sollecita una nuova e più forte attenzione ai dirittisociali in un’Europa sempre più globalizzata e multietnica.

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Riferimenti bibliografici

Data la vastità della bibliografia sul lavoro nella Costituzione italiana, ci limitiamoqui a fornire alcuni suggerimenti di lettura, senza alcune pretesa di esaustività.

4Atti dell’Assemblea Costituente (Discussioni e Documenti). 4Raccolta ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte Costituzionale.4F. Bonifacio, “Il lavoro fondamento della Repubblica democratica: orientamenti

della giurisprudenza costituzionale”, in Studi per il ventesimo anniversariodell’Assemblea Costituente, Firenze, 1969.

4Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna, Zanichelli, 1975-1984(in particolare, art. 1, C. Mortati; art. 3, 2° comma, U. Romagnoli; art. 4, G. F. Mancini; artt.35-37, T. Treu; art. 38, M. Persiani; artt. 39-40; G. Giugni; art. 46, G. Ghezzi).

4Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino,2006 (in particolare: art. 1, M. Olivetti; art. 4, A. Cariola; art. 35, D. Bifulco; art. 36, C.Colapietro; art. 37, C. Salazar; art. 38, L. Violini; art. 39, A. D’Aloia; art. 40, O. Rosselli; art. 46, E. Paparella).

4M. S. Giannini, “Rilevanza costituzionale del lavoro”, in Rivista giuridica del lavoro, 1948, 1.

4G. Ghezzi, “Il lavoro”, in G. Amato, A. Barbera, Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1984.

4G. F. Mancini, Costituzione e movimento operaio, Bologna, 1976.4V. Onida, “Le Costituzioni. I principi fondamentali della Costituzione italiana”, in

G. Amato, A. Barbera, cit.4M. Mazziotti, “Lavoro (Diritto Costituzionale)”, in Enciclopedia del diritto, Milano.4C. Mortati, “Il lavoro nella Costituzione”, in Diritto del lavoro, 1954, 1.4B. Pezzini, La decisione sui diritti sociali: indagine sulla struttura costituzionale dei

diritti sociali, Milano, 2001.4M. Roccella, “Il lavoro e le sue regole nella prospettiva federalista”, in Lavoro e

diritto, 2001, 3.4M. Roccella, T. Treu, Diritto del lavoro della Comunità euroepa, Padova, 2002.4R. Scognamiglio, “Lavoro (Disciplina costituzionale)”, in Enciclopedia giuridica,

Roma 1990.

4C. Smuraglia, La Costituzione e il sistema del diritto del lavoro: lineamenti di unateoria generale, Milano, 1958.

4C. Smuraglia, “Crisi economica e tutela del lavoro”, in Rivista giuridica del lavoro edella previdenza sociale, 1976.

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LE GUIDE DI RASSEGNA PER LA FORMAZIONE

(...) perché ho scoperto, anche quand’ero molto giovane, nella classe lavoratrice una straordinaria voglia di conoscenza e di libertà

Bruno Trentin

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I GENERALI

= 1. Costituzione e lavoro

4 2. Europa e diritti sociali

4 3. La popolazione italiana

4 4. L’immigrazione

4 5. Fisco, welfare, pensioni

4 6. Cgil, Cisl, Uil

I FONDAMENTALI

4 1. Modello contrattuale. Le forme del contratto

4 2. Gli ammortizzatori sociali

4 3. Organizzazione del lavoro

4 4. Salute e sicurezza

4 5. La formazione

4 6. La contrattazione sociale

Edit Coop, società cooperativa di giornalistieuro 2,50

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