CORSICA ANCORA E ANCORA - sardiniamountainbike.com · Uguale la formula: in mtb (il "muletto", la...

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1 CORSICA ANCORA E ANCORA ! Forse Sardinia Mountain Bike farebbe meglio ad attivare un ufficio di corrispondenza al di là delle Bocche di Bonifacio: la nostra frequentazione, da maggio a luglio, è stata abbastanza regolare e signiificativa e tutto lascia credere che continuerà. Intanto, dopo la spedizione in fuoristrada di Antonio e il viaggio di Daniele, adesso tocca a me raccontare la mia esperienza in bicicletta tra le montagne della Corsica. Questo è un secondo tentativo: l'anno scorso ci avevo provato, ad agosto, ma un guasto meccanico mi aveva costretto a rientrare più o meno a metà del viaggio caricando bici e bagagli su un autobus. Uguale la formula: in mtb (il "muletto", la front che uso in città e per viaggiare), in solitaria e in autonomia. 9 luglio, Prologo. Per partire verso la Corsica, questa volta faccio in treno: da Cagliari a Sassari. Si fa presto a dire. Partenza alle 6.20; il treno è carico, ma almeno è un “Minuetto” (questo è esattamente il treno che avrei dovuto prendere al rientro, ma questa è un'altra storia) Qui si viaggia comodi e al fresco. Raggiunta velocemente Oristano, nella successiva salita di Campeda il treno inizia ad arrancare; la steppa arsa del Campidano lascia il posto a macchie verdi di sughere e pascoli cespugliati dove le pecore, tosate da poco, sono stecchite e polverose. A Chilivani, come previsto, si cambia: piattaforma affollata e cambio di binario per sottopasso con rampe di scale. Molto disordine e poco tempo per gestire bicicletta e carrello; un agente della polizia ferroviaria coglie la difficoltà e mi permette di attraversare il binario: “portage” in stazione evitato; la scena si ripete anche a Sassari per uscire dalla stazione. Sul punto di iniziare a pedalare mi fermo con un ultimo agente della polizia ferroviaria in vena di chiacchiere. Ciclista anche lui, nonché viaggiatore in moto, chissà perché non si trattiene dal citare il triste caso del cicloturista schiacciato in galleria. Si poteva iniziare meglio. Il trasferimento a Porto Torres è una passeggiata di una ventina di chilometri, sostanzialmente in discesa, su vecchie strade di penetrazione, asfaltate, più o meno

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CORSICA ANCORA E ANCORA !

Forse Sardinia Mountain Bike farebbe meglio ad attivare un ufficio di corrispondenza al di là delle Bocche di Bonifacio: la nostra frequentazione, da maggio a luglio, è stata abbastanza regolare e signiificativa e tutto lascia credere che continuerà. Intanto, dopo la spedizione in fuoristrada di Antonio e il viaggio di Daniele, adesso tocca a me raccontare la mia esperienza in bicicletta tra le montagne della Corsica.

Questo è un secondo tentativo: l'anno scorso ci avevo provato, ad agosto, ma un guasto meccanico mi aveva costretto a rientrare più o meno a metà del viaggio caricando bici e bagagli su un autobus. Uguale la formula: in mtb (il "muletto", la front che uso in città e per viaggiare), in solitaria e in autonomia. 9 luglio, Prologo. Per partire verso la Corsica, questa volta faccio in treno: da Cagliari a Sassari. Si fa presto a dire. Partenza alle 6.20; il treno è carico, ma almeno è un “Minuetto”

(questo è esattamente il treno

che avrei dovuto prendere al rientro, ma

questa è un'altra storia)

Qui si viaggia comodi e al fresco. Raggiunta velocemente Oristano, nella successiva salita di Campeda il treno inizia ad arrancare; la steppa arsa del Campidano lascia il posto a macchie verdi di sughere e pascoli cespugliati dove le pecore, tosate da poco, sono stecchite e polverose. A Chilivani, come previsto, si cambia: piattaforma affollata e cambio di binario per sottopasso con rampe di scale. Molto disordine e poco tempo per gestire bicicletta e carrello; un agente della polizia ferroviaria coglie la difficoltà e mi permette di attraversare il binario: “portage” in stazione evitato; la scena si ripete anche a Sassari per uscire dalla stazione. Sul punto di iniziare a pedalare mi fermo con un ultimo agente della polizia ferroviaria in vena di chiacchiere. Ciclista anche lui, nonché viaggiatore in moto, chissà perché non si trattiene dal citare il triste caso del cicloturista schiacciato in galleria. Si poteva iniziare meglio. Il trasferimento a Porto Torres è una passeggiata di una ventina di chilometri, sostanzialmente in discesa, su vecchie strade di penetrazione, asfaltate, più o meno

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parallele alla vecchia SS 131. Il traghetto per Marsiglia fa scalo a Propriano. Il costo è poco meno del doppio della rotta di Bonifacio, ma, a parte la comodità della grossa nave passeggeri, mi permette di attaccare il mio percorso in Corsica già abbastanza in alto.

Quasi quasi si parte Poco prima di sbarcare, dopo quattro ore di tranquilla navigazione, scambio due battute con il commissario di bordo: mi chiede della traversata e si dichiara felice che sia stata di mio gradimento; il confronto con lo stile degli scafisti delle altre linee che uniscono la Sardegna al Continente è inevitabile. Propriano è brutta vista dal mare e peggiora anche una volta che si è sulla terraferma. Ne esco velocemente per raggiungere il Camping Milella. Dei bambini mi salutano con uno scherzoso “Voila le Tour!”; all'Accueil, invece, si ricordano della maglia di SMB, vista un mese prima addosso all'amico Daniele. Posto tranquillo e pulito e, dopo la prima “Routine del Campeggiatore” (tenda-doccia-bucato, a cui si aggiungerà nei prossimi giorni anche la cena) vado a mangiare una pizza poco lontano dalla tenda.

Per me, la Routine del Campeggiatore è un esercizio di rilassamento alla fine della giornata

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Partendo avevo in mente un progetto: una specie di ferro di cavallo che da Propriano, sulla costa occidentale della Corsica, con una veloce puntata sulla costa e passando per le montagne dell'interno, mi riporterebbe a Bonifacio.

Ogni colore, una tappa

Dovrei spostarmi da un campeggio all'altro, senza escludere fare campo dove capita in caso di

necessità. Siccome l'offerta all'interno non è così ricca, ho già disegnato delle "tappe" in

corrispondenza dei possibili punti di sosta; in tutto posso prevedere otto giorni, più una giornata di

margine, con medie di circa settanta chilometri per giornata.

10 luglio, Da Propriano a Vignola

Sveglia alle 6.30 e partenza alle 9.09 (per il gps, le 7.09 UTC, o “Tempo Zulu). La tranquillità del campeggio non può essere interrotta prima che il vicinato dia segni di vita e quindi sono costretto a prenderla più comoda di quello che vorrei. Prendo strada sulla N198, ma presto la abbandono per una Dipartimentale che scende verso il mare. Tracciato piacevole e panoramico, non esageratamente edificato e traffico nel ragionevole. In generale non ho intenzione di seguire la costa, in questo viaggio, e quindi cambio direzione abbastanza presto, risalendo il basso corso del fiume Taravo verso

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l'entroterra. Breve deviazione verso il sito archeologico di Filitosa: una lunga passeggiata a piedi tra assolate colline, bizzarre formazioni rocciose e oasi ombrose dove si ammirano Torri e Menhir meravigliosamente scolpiti; interessante, molto “francese”, il discreto sottofondo musicale che accompagna come tappezzeria sonora buona parte della visita, insieme ai totem multilingua, sempre sonori.

Tra i Menhir di Filitosa

Dopo avere fantasticato di cassette di frutta fresca durante la visita, il bar all'Accueil offre un'invitante scelta di frullati, a quel punto irrinunciabili. Dopo un'ora di sosta, tra visita e bar, si sono fatte le undici e il caldo, ormai, è sul torrido. Ripartendo, i dislivelli sono ancora modesti, tranne qualche tratto appena ripido; il problema è che

sembra che non si smetta mai di salire: qualche discesa si accompagna regolarmente al passaggio di un ponte e alla inevitabile risalita del versante opposto.

Ma che ci faccio a pedalare all'una, sotto un sole picco?

Finalmente un valico, il primo del viaggio: Bocca d'Aja di Bastiano (838 m); da qui una lunga discesa porta verso l'entroterra di Ajaccio. Il progetto, nato sulla carta, di aggirare la più grande città della Corsica per strade secondarie deve essere rivisto davanti ad una strada che nella realtà è privata e chiusa con un cancello; fortunatamente

non mancano le alternative, sempre in salita e sotto un sole cocente. Sono a stomaco vuoto: le poche occasioni che avrei avuto per fermarmi erano nelle salite prima del colle; un po' per non dovere ripartire in salita, un po' per la necessità di fare chilometri per una tappa un po' troppo lunga per essere la prima, riesco a fermarmi a mangiare un po' di frutta solo ad una decina di chilometri dall'arrivo. Faccio un po' di provviste comprando pane e albicocche, fresche e in forma di un'ottima confettura, e quindi raggiungo il campeggio Les Eaux Vives, dopo un'imprevista deviazione. Struttura un po' inferiore alle aspettative, troppo vicino alla Nazionale e scarso di servizi; il gestore comunque è persona simpatica e generosa di suggerimenti, consigliandomi un bell'itinerario verso Vico, prossima meta, che passa per Muna, un famoso e caratteristico villaggio abbandonato, isolato fra le montagne. Vedrò domani. Autosufficienza significa portarsi in proprio una certa quantità di bagaglio, cercando il necessario compromesso tra funzionalità e benessere. Il carico, per mia abitudine, è organizzato sotto tre voci principali: abbigliamento, notte,

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alimentazione. Si può aggiungere una voce “varie ed eventuali” per alcuni materiali che non rientrano nelle tre categorie principali.

L'essenziale (ma anche qualche sfizio)

L'abbigliamento prevede due completi di vestiario da bicicletta (naturalmente con scarpe, guanti e casco), un completo “da riposo” (con i relativi sandali), costume da bagno e una giacca a vento. Alla voce notte si trovano: tenda monoposto, materassino, sacco-lenzuolo, sacco a pelo, pigiama, tappi per le orecchie, lampada frontale e un buff in più (a volte, in campeggio, non si ha il buio che servirebbe per dormire da presto e il buff è anche un'ottima benda per la notte).

La cambusa comprende il cibo e i condimenti contati per un numero limitato di pasti: quattro buste di liofilizzati (zuppe e risotti), pasta e riso già singolarmente porzionati, olio, condimenti vari (sale, aglio, peperoncino, pesto, capperi sotto sale), bustine di tè e poi confettura o miele per la colazione.

A parte, il set di pentole, piatto, tazza pieghevole, posata, un mestolo di legno con il manico segato, un po' di fogli di scottex e il fornello a benzina. Ogni giorno compravo pane, frutta, pomodori, uova (tante ne ho mangiate quante ne ho rotte) e pesce in scatola, come tonno, sgombri o sardine sottolio. Immancabile il formaggio. A pranzo ho quasi sempre mangiato per poca spesa in ristorante, mentre a cena preferivo sempre cucinare comodamente davanti alla tenda. Anche questo è un modo di rilassarsi e passare il tempo raccogliendo le idee a fine giornata. Dentro “varie ed eventuali” si trova la pulizia (personale, per le stoviglie e l'abbigliamento) il cui pezzo fondamentale è una bacinella pieghevole che serve a tirarsi l'acqua in testa, in mancanza di meglio, per farsi la doccia, lavare le stoviglie dopo cena e mettere a mollo i vestiti (naturalmente non tutto insieme); filo per stendere e mollette; pacchetto di pronto soccorso; cavo di alimentazione per il cellulare; macchina fotografica; gps e pile per farlo funzionare (una coppia ogni due giorni); carta stradale (rigorosamente Michelin); taccuino e matita; infine, attrezzi, camere d'aria, pompetta e minutaglie varie per la bicicletta. Il tutto pesa. Si superano sicuramente i 20 chili con il carrello, ma non ho avuto il fegato di pesare con precisione perché avrei finito per lasciare a casa qualche cosa, rimpiangendolo per il resto del viaggio. Nessuno zaino.

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"Ma che animale è?". Molta curiosità per strada.

11 luglio, da Vignola a Vico

Malgrado la sveglia presto e le migliori intenzioni, non riesco a partire prima delle 8.40. Attacco da subito in salita, a cui segue un'altra salita e poi, ancora salita. Qualcosa inizia a cambiare nel panorama e inizio a vedere i primi pini larici, tipici del paesaggio di montagna in Corsica. Alcuni dei villaggi che attraverso non saranno abbandonati, ma ne hanno tutta l'apparenza.

Una grande chiesa scoperchiata al

centro del villaggio. Non ricordo di

avere vista quella con il coperchio.

Per pranzo mi fermo comodamente nel villaggio di Azzana, in una piazzetta alberata, completa di fontana, tavolo e panchine. È la piazza del municipio e non escludo che su quelle panchine si possano svolgere riunioni di giunta o sedute consiliari; sessioni plenarie o “En plén air”. Qui preparo del riso in bianco, insalata di pomodori e frutta, a cui segue la dovuta pennica pomeridiana per stare al fresco un altro po'. Dopo due ore riparto, sempre in salita, attraversando luoghi sempre più remoti: la strada si fa sempre più impegnativa, stretta, tortuosa e con bruschi “denti di sega” che spezzano il salire costante; in basso una gola incassata, sopra di me costoni granitici e la vegetazione un po'

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spoglia che lascia capire di incendi non ancora abbastanza lontani da avere permesso la ricrescita delle castagnete.

Questa strada è stata aperta solo negli anni settanta sul

tracciato di un'antica mulattiera.

Dietro una curva, in lontananza, si vedono le case di Muna: nient'altro che uno dei tanti villaggi montani, sviluppato perpendicolarmente alla strada che la sfiora dal basso. Macchine parcheggiate all'uscita del villaggio e le vicine cassette delle lettere, apparentemente pronte a ricevere la corrispondenza, non fanno sembrare questo villaggio più abbandonato di altri.

Muna, abitanti “0”.

Ancora qualche saliscendi, tra i più violenti di quelli affrontati durante il viaggio, e finalmente scendo verso Vico. Qui mi fermo a visitare una “Maison du Miel”: il miele corso ha il marchio DOP e questo piccolo salone divulgativo permette agli estimatori del prodotto di informarsi su tutto ciò che riguarda il miele, compresa la possibilità di assaggiare le quattro varietà legate alle stagioni che rientrano sotto l'ombrello del marchio europeo. Più in là, sulla piazza, faccio la spesa e quindi, dopo un ultima salita, proprio al valico, giungo al campeggio La Sposata. Carino, gestori amichevoli, ma servizi un po' carenti e insetti assillanti. “Sotto questo sole, è bello pedalareee...”. Così un'allegra canzoncina di qualche anno fa. Caldo, fatica, sudore, disidratazione. Sempre avere acqua a portata di mano e bere, anche più di quello che sembra necessario. Fortunatamente la Corsica, almeno nell'entroterra, offre una quantità di fontane sufficiente a prevenire qualunque rischio di disidratazione. Così, rinnovando di frequente la riserva, si ha sempre acqua fresca ed una scusa dignitosa per fermarsi a riposare.

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Qualcuna tra le tante fontane per strada La mia riserva d'acqua era sempre di due litri: due borracce da mezzo litro (una riservata alla miscela con gli integratori) e una da litro, con una fodera termica, che faceva da riserva. E poi, alla sera, il più piacevole degli integratori, quello a base di orzo, malto e luppolo...

Una foto dell'anno scorso, ma sempre

attuale.

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12 luglio, da Vico a Evisa

Domenica il campeggio si sveglia lentamente. Verso le otto arriva la macchina che porta il pane e finisce di svegliare anche i più renitenti con allegri colpi di clacson. Parto alle 8.45 per quella che dovrebbe essere una lunga calata al livello del mare. In verità, dopo 10 km di veloce discesa sulla strada principale, prendo una deviazione su una secondaria che mi fa salire senza tregua di oltre 400 metri per campagne remote e assolate.

Questi cartelli si trovano anche in posti

sperduti e indicano caseifici, salumifici

ed altro. Tutto è molto "francese". La

vasca da bagno da campagna ricorda

che siamo vicini a casa. In lontananza si vede la costa, con la linea della Nazionale su cui si distingue appena il traffico estivo. Quando la salita finisce, mi tuffo letteralmente su Cargese, in mezzo al caldo e al disordine del turismo marino; per quanto lungo e faticoso, il percorso che ho scelto mi ha permesso di risparmiarmi un bel tratto di questo teatrino estivo.

La costa vista da lontano è sempre più

bella. Da Cargese scendo lungo una strada secondaria, a valle della principale e a ridosso del mare, ma naturalmente, invece della spiaggia, vedo solo i muri e i giardini di villette e di qualche albergo. Riprendendo la strada maggiore, incrocio una piccola e allegra comitiva di ungheresi: cicloturisti vecchio stile, non proprio verdi di età, con i loro

sandali, il cappello parasole, i calzoncini e, a torso nudo, cotti dal sole; colgo un certo contrasto tra la mia figura solitaria, tecnicamente attrezzato e organizzatissimo, e il loro andare placido e sereno. Dopo altri 400 metri di dislivello, finalmente scendo a Piana (con quel nome sarebbe stato legittimo attendersi un diverso profilo del percorso). È una cittadina graziosa, forse perché non è vicinissima al mare, forse perché essere la porta di un sito riconosciuto dall'UNESCO come patrimonio dell'umanità ha responsabilizzato gli amministratori sul decoro urbanistico ed architettonico. Approfitto di un market aperto per fare la spesa e poi riprendo alla volta delle Calanches. La visita a questo tratto della costa vale il viaggio, almeno questa grossa deviazione lungo costa in un progetto che è soprattutto di strade di montagne. Anche se relativamente breve

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(non si arriva a dieci chilometri), il percorso è un'esplosione di luce, colori e contrasti; la strada è livellata in un labirinto di formazioni granitiche, con bizzarre conformazioni e giganteschi blocchi in bilico sulle creste rocciose; ogni tanto, in lontananza, si vede il riflesso abbagliante del mare, in basso.

Al termine della discesa, la bellezza del golfo di Porto contrasta in modo assurdo con la bruttezza di quello che un tempo sarà stato poco più di un villaggio di pescatori ed un imbarco di legnami per il Continente. Non vale la pena fermarsi e quindi inizia l'ultima salita della giornata verso Evisa. Sono circa le 15 e devo risalire da quota mare agli oltre novecento metri dove dovrei trovare il campeggio. Alla fine saranno poco meno di trenta chilometri che salgono, senza interruzione, in un paesaggio ancora

una volta straordinariamente affascinante: un grande isolamento in mezzo alle montagne, alte falesie che dominano la gola incassata; queste sono le Gorges de la Spelunca, con una magnifica strada che segue con naturalezza il tortuoso disegno della valle. Il caldo e la salita ininterrotta impongono soste ripetute per bere, mangiare o anche solo per una fotografia.

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Quando raggiungo Evisa sono ormai in riserva di energie. Qui un solo, vecchio cartello che annuncia il camping non è ripetuto durante il lungo e ripido attraversamento del villaggio; comincio a temere di dovere organizzarmi un bivacco al limite del bosco o, peggio, proseguire per altri 12 km e 500 metri di salita fino a Bocca di Vergio. Poco dopo l'uscita dal paese, nella foresta, vedo delle tende: è il campeggio; non riesco a vederne l'entrata, ma pare di essere arrivato. Ancora qualche sofferto colpo di pedale e riesco a mettere piede nel sospirato camping L'Acciola. Il campeggio è carino, panoramico, essenziale ma molto ben tenuto. L'unico difetto è il terreno durissimo, tanto che il vicino di tenda mi viene in aiuto prestandomi il martello per piantare i picchetti. Compiuta la rituale Routine del Campeggiatore, prima di cena, mi fermo a chiacchierare lungamente con la padrona del campeggio. Domani dovrebbe essere di riposo. Sul serio.

13 luglio, da Evisa a Ponte Novu

Odio il lunedì. Mi sveglio con la testa pesante per l'alcol della sera prima, troppo per

l'organismo disidratato che aveva bisogno di più acqua e meno birra. Il terreno duro come il cemento non ha aiutato a riposare e lo sforzo della giornata è stato assai forte. Parto verso le otto, dopo ripetuti passaggi dal bagno (evidentemente anche la cena è risultata un po' pesante). Inizio a risalire fiaccamente l'ultimo tratto di strada verso il valico, per fortuna in ombra e di pendenza relativamente modesta.

Stranamente con lo sforzo lo stordimento passa un po' e raggiungo la Bocca di Vergio,

a 1477 metri di altitudine: per me “Cima Coppi”. Non ho un ricordo di panorami particolarmente suggestivi, se non per la memoria del percorso del GR20 fatto l'anno passato.

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Sul posto, una brutta statua, forse in cemento, di un Buon Pastore, in piedi su un igloo, e l'immancabile targa del valico, immancabilmente illeggibile per le cancellazioni anti-francese e la quantità di adesivi lasciati a ricordo di questo o quel gruppo di visitatori più o meno organizzati.

Una coppia di svizzeri si avvicina incuriosita dal mio convoglio e iniziamo a parlare; con il mio francese smozzicato, ci scambiamo i racconti dei nostri tour; abbiamo più o meno la stessa età, ma loro si dicono “agé” (vecchi) e vanno in giro con la e-bike, spostandosi da una zona all'altra in macchina. Ci salutiamo cordialmente e, chissà perché, questo incontro mi rimette di buon umore. La discesa è interminabile, a tratti veloce, ma la strada stretta e infida non permette di andare più di tanto. Dopo Calacuccia, passato lo sbarramento che forma un grosso lago artificiale, entro in una stretta gola suggestiva denominata Scala della Regina; è una delle tante attrazioni stradali che rendono questa isola una meta irrinunciabile per il turismo motociclistico e, perché no, anche ciclistico (a patto di passarci, come sto facendo io, in discesa).

Il percorso che avevo programmato dovrebbe ad un certo punto svoltare verso nord per evitare un tratto della trafficata N193, facendo un giro per vallate e montagne. Il pensiero della strada in più e soprattutto del dislivello che dovrei affrontare mi inducono a scegliere lo sbocco naturale sulla Nazionale: alla fine devo farne un tratto non particolarmente lungo e per fortuna non troverò nemmeno tanto traffico. Per pranzo decido di affidarmi ad un ristorante che trovo dopo pochi chilometri, deviando lungo una bella strada secondaria. Pensavo ad una "salade", però il menu propone pochi piatti ma interessanti e ad un prezzo ragionevole. La scelta va su una preparazione che, sulla carta, è adatto allo sportivo sotto sforzo: carni bianche e ortaggi (secondario osservare che sono declinati come petto d'anatra al forno con patate fritte). Temporeggio le solite due ore

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e riprendo a pedalare verso Ponte Leccia, dove faccio la spesa (che perderò lungo strada), e quindi proseguo fino a Ponte Novu. Qui arrivo presto e mi installo nello stesso camping dove l'anno scorso si era interrotto il mio primo viaggio in bicicletta per la Corsica. L'anziana padrona del campeggio mi riconosce e perdona l'ingenuità con la quale chiedo se c'è posto per la notte: in effetti avrò il campo tutto per me fin dopo le nove di sera. La Routine del Campeggiatore oggi inizia presto, verso le tre e mezza. Ozio rigenerante e cena da convalescente.

Stasera riso in bianco. Officina Quindi, dopo cena, c'è ancora luce per una sessione di “officina volante”: appendo la bicicletta ad un albero per rimettere in ordine il deragliatore posteriore e il freno, sempre posteriore, che sembra lavorare male. Anche se sono piuttosto riposato, quando mi chiudo nella tenda mi addormento comunque istantaneamente. 14 luglio, da Ponte Novu a Sortipiani

Oggi insieme è il giro di boa e la ripresa del filo interrotto l'anno scorso a causa di un guasto alla bicicletta: salirò verso la Castagniccia; praticamente sono qui per questo. Quando, verso le otto e venti, riprendo la strada sono sereno, carico e soprattutto il malessere del giorno prima è scomparso. Ritorna l'energia nelle gambe e affronto di buona lena la salita che porta su queste montagne. Qui, insieme alla Balagna a nord ovest, pulsa il cuore della cultura e della tradizione indipendentista della Corsica. Ironia del caso, oggi è il 14 di luglio, Festa Nazionale della Francia; qui ostentano indifferenza e si attengono al minimo sindacale delle bandiere ai municipi. Del resto, proprio a Ponte Novu, l'esperienza indipendentista corsa finì in un bagno di sangue che vide vittorioso l'esercito dei francesi. Lungo la stretta strada in salita, osservo che alcune case hanno sul muro che dà sulla strada delle nicchie, a forma vagamente ogivale, con a fianco un anello in ferro: evidente punto per legare cavalli o altri animali da soma che sopravvive ben al di là della fine dell'epoca della trazione animale (che qui, forse, sarà anche durata più che altrove).

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Sosta per muli e muletti in sosta La strada si insinua in salita, regolare, mai violenta, in mezzo a boschi fitti di castagni; la maggior parte di questi sono semplicemente imponenti. Dopo un po' giungo a Morosaglia; il cartello all'ingresso del paese recita “Merusaglia Paese di Pasquale Paoli Babbu di a Patria” e, ovviamente, la trascrizione del nome in francese è stata cancellata. È un villaggio a suo modo elegante, con grandi palazzetti nel tradizionale granito a vista tipico dell'architettura locale.

Potrebbe essere simpatico visitare il museo della casa natale del locale patriota, ma non ci sono altre indicazioni oltre a quella vista all'ingresso del paese. Il traffico è inesistente, solo qualche bicicletta da corsa ogni tanto, che fa capire che queste sono strade piuttosto apprezzate dagli amanti del genere. I villaggi sono pittoreschi, ma deserti; la strada, come spesso altrove, è punteggiata da case isolate, a volte diroccate, a volte ristrutturate come case di villeggiatura; comunque ci si deve chiedere quale fosse la vita su queste montagne isolate quando queste erano ancora abitate.

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Scrostato e semicancellato, ma è quello: il Bar Marius!

La sensazione di solitudine è molto forte. Mi capita di pensare che, in verità, nessuno sa con precisione dove mi trovo e non ho organizzato alcun sistema di allerta con qualcuno a casa che possa avere un riscontro della mia attività per sicurezza. La sera mando ad Antonio un messaggino con il percorso fatto, ma altra cosa è se effettivamente quel mancato messaggio può attivare una procedura di allarme. Ci devo pensare. La cambusa è un po' vuota e sarebbe meglio trovare un ristorante, dato che è ora di mangiare. Nell'ennesimo villaggio deserto, incredibilmente, appare un'insegna “Restaurant” ed è pure aperto.

Chez Martin, in San Lorenzo: non è solo

l'unico ristorante della zona, ma si mangia

anche bene. Nel locale non regna la simpatia e la scelta è decisamente essenziale; l'omelette con brocciu e menta, con un generoso cestino di pane, però, è proprio ciò che serve. L'ambiente comunque non invoglia a trattenersi e decido di prendere il largo abbastanza in fretta. In un altro villaggio incontro la solita epicerie

ambulante, due furgoni che vendono di tutto, a prezzi ragionevoli; in questi piccoli villaggi, il piccolo commercio è morto da tempo e gli approvvigionamenti e alcuni servizi sono realizzati attraverso queste forme ambulanti.

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Brutta cosa quando anche il bar del villaggio chiude Davanti a me c'è una signora che fa la spesa della settimana e affida le proprie ordinazioni per il prossimo giro, il martedì successivo. Ci scambiamo due battute e scopro che anche lei è di Cagliari; che vita: da un'area urbana di un quarto di milione di abitanti ad un villaggetto da niente abitato da qualche decina di persone. È il primo pomeriggio e inizia a farsi sentire il caldo. La salita ad un ulteriore valico compie un ampio giro, con un evidente errore nella progettazione del percorso; a mia discolpa posso dire che in questa zona la lettura della carta stradale è piuttosto complicata e il navigatore non aiuta a valutare i dislivelli. Questi chilometri di saliscendi inutili sono snervanti, anche perché ci sono tratti in cui la salita pare imbizzarrirsi e l'ombra ridursi al minimo.

Dopo quest'ultimo valico il cambio di versante è violento: un catastrofico incendio ha cancellato la foresta, di cui rimangono pochi esemplari di castagni sparsi.

La discesa si butta a capofitto e si sente, invece, la temperatura che risale mano a mano che ci si avvicina alla valle dove scorre il Tavignano. Quando arrivo all'incrocio con la Nazionale si è fatto tardi; le energie sono in esaurimento e non resta che andare a cercare alloggio. Sono quasi le sette di sera quando arrivo al camping Sortipiani, un “camping à la Ferme” un po' pretenzioso e caro, ma con buoni servizi; l'area per le tende si trova sotto una pittoresca sughereta, purtroppo infestata di formiche e zanzare. Impossibile apparecchiare davanti alla tenda, devo cenare al ristorante con un mediocre piatto di lasagne al glutammato e verdure. Al tavolo a fianco siede una coppia di giovani cagliaritani, completamente asserviti ai propri capricciosi marmocchi e mi guardo bene dal cercare conversazione con questi vicini. Per chi trova piacevoli le vacanze in campeggio, la Francia presenta un'offerta con pochi uguali in tutta Europa. Si trovano sistemazioni su tutto il territorio, dalla Normandia alla Corsica, a volte in posizioni spettacolari, con allestimenti che dallo spartano salgono fino al lusso sibaritico. La classificazione in stelle è molto attendibile e ad essa corrisponde abbastanza precisamente la spesa, che parte da circa sette Euro pp. Spesso si può anche mangiare sul posto, in ristorante o, come dicono i francesi, “à la table”, cioè una situazione da osteria familiare. Quasi sempre c'è uno spaccio di generi essenziali. Un mondo a parte sono i “Camping à la ferme”, cioè gli agricampeggi, segnalati con un cartello standard dove campeggia una margherita stilizzata; ho notato che questi ultimi, a

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parità di servizi, sono generalmente più cari degli altri. La pulizia è sempre molto curata. Le sistemazioni a una stella hanno piazzole scarsamente livellate, distribuite poco razionalmente sul terreno, e un rapporto servizi per ospite un po' critico; dalle tre stelle in su iniziano i servizi extra: tavoli e panchine, giochi per grandi e piccini, piscina, animazione, ecc. Considerata la vita scomoda che indubbiamente si fa in campeggio itinerante, per di più avendo addosso la fatica di una giornata in bicicletta (ma anche il mototurismo non è precisamente una vacanza riposante), alla fine della giornata quello che conta è dormire bene: più stelle vuol dire strutture più grandi, più traffico e il rischio di incappare in qualche “soirée” con animazione fino a tarda notte. Le migliori, per me, sono quelle a due stelle: piazzole spianate e pulite, servizi accettabili e atmosfera, come dicono, “sympa et familiale”; non ho ancora capito se quel “familiare” significa che il campeggio è a gestione familiare o se l'offerta è rivolta a famiglie pacifiche o alla famiglia allargata dei campeggiatori amanti delle tranquillità. In ogni caso, il riposo è assicurato.

15 luglio, da Sortipiani a Ghisoni

Più che una sveglia è una fuga. Raccolgo in fretta i bagagli e mi sposto di qualche chilometro

a fare colazione piacevolmente seduto a un tavolo con vista su un monumentale ponte genovese. "Il signore ha prenotato un tavolo

con vista?" Questa doppia partenza fa perdere tempo e attacco la prima salita verso le 8.30. Mi fermo abbastanza presto in un villaggio, Noceta, dove rifornisco di acqua e acquisto un ottimo miele (“maquis de printemps”, praticamente

erica) da un produttore che ha il banchetto ambulante proprio alla fontana. Ovunque in Corsica si trovano fontane di acqua fresca e di buona qualità; alla fine, l'acqua l'ho dovuta acquistare solo una volta, a Figari, l'unico paese dove sulla fontana pubblica c'era l'avviso di “Eau non potable”.

Ombra, riposo e acqua fresca a volontà. Occorre

altro? Sempre in salita, l'andatura è rilassata ma regolare e mi fermo in un altro villaggio più grande, Vezzani, a fare acquisti. In viaggio il cibo è molto imporante, sia per ripristinare le energie, sia per mantenere un livello di benessere accettabile; a portata di mano tengo comunque frutta secca, merendine e le classiche cotognate per tenere sotto controllo la fame in situazioni in cui sarebbe

difficile fermarsi a consumare un pasto. Da Vezzani la strada inizia finalmente a scendere in un piacevole susseguirsi di di curve

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“pennellate” nella fresca atmosfera di questa foresta che sembra non finire mai; l'ombra invece termina proprio quando la strada inizia a salire. Sono circa 400 metri di salita più o meno continua per arrivare a Ghisoni passando per la stretta vallata del Défilé de l'Inzecca:

altra gola stretta, incassata e drammatica; ancora magnifici panorami e straordinari giochi del granito tafonato distraggono l'attenzione dal caldo e dalla fatica di questa ennesima salita.

A questo punto stimo di potere arrivare a Ghisoni abbastanza presto e con un numero di chilometri tale da permettermi di risalire verso un ulteriore valico. Tutto considerato, però, alla fine scelgo per la tappa breve e giungo in campeggio all'ora di pranzo. Il camping “U Valdo” è una piacevole

conoscenza dell'anno scorso. Piccolo e pulito, è gestito da una coppia simpatica; casualmente mi destinano esattamente la

stessa piazzola che avevo già occupato. Dopo un pasto leggero, il resto della giornata passa tra ozio, Routine del Campeggiatore e lunghe chiacchiere con la simpatica maman del gestore del campeggio. Cena con linguine al pesto di capperi di Selargius, omelette al formaggio e frutta. Il dopocena dovrebbe essere dedicato alla redazione del diario di giornata ed allo studio del percorso della giornata successiva, ma vengo coinvolto in una piacevolissima e interminabile sessione di conversazione, bevute e pizza, ospite del padrone del campeggio con amici e famiglia. Fortunatamente qui parlano bene e volentieri in italiano; il mio francese non permetterebbe di tenere una conversazione: è un livello “di sopravvivenza” che mi consente di chiedere educatamente informazioni e procurarmi cibo e alloggio, mostrando, in una nazione notoriamente molto sciovinista, che almeno

faccio lo sforzo di adattarmi al contesto culturale che graziosamente mi fornisce ospitalità. 16 luglio, da Ghisoni a Zonza

Come la giornata di ieri era finita in relax, altrettanto è la partenza, con il cordiale commiato

dal gestore del camping, alle 8.40. Risalita la violenta rampa di uscita dal campeggio, mi immetto nella dipartimentale per affrontare la dolce salita verso il Col de Verde (1289 m); costantemente all'ombra, rinfrescato da ruscelli, cascatelle e in una situazione di pace e tranquillità data dalla quasi totale assenza di traffico. Uno sguardo alle creste sopra Ghisoni

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Ancora una discesa rapida e “pennellata” verso Cozzano e Zicavo, dove mi fermo per fare i soliti acquisti, e quindi rimbalzo in salita verso l'altro colle della giornata, Col de la Vaccia (1248 m).

La distribuzione di sole ed ombra nel corso della giornata ha un che di intrinsecamente guasto: mi trovo all'ombra all'inizio e alla fine della giornata, mentre sono sotto un sole picco tra le 11 e le 16, possibilmente in salita. Così affronto questa salita interminabile in piena canicola, in un panorama spettrale di costoni montani denudati dagli incendi. Vorrei anche fermarmi a mangiare, ma i maiali, onnipresenti in Corsica, qui occupano davvero tutti gli angoli più comodi e ombreggiati.

Noi, nella piazza con il monumento ai caduti,

siamo abituati ai piccioni. Qui si trovano i

maiali Quando, alla fine, scendo ad Aullene sono spento, secco ed affamato. Ad Aullene mi fermo in un grazioso forno-ristorante. Il pranzo è una robusta salade a cui segue un caffè accompagnato da un delizioso biscottino della casa. Conosco la bontà di quel forno e, se non fosse che sono agli sgoccioli del mio viaggio, sarei anche

tentato di comprare qualche cosa. Dopo una buona ora e mezza di sosta, sento di avere ripreso le forze e riprendo la strada. Di nuovo, tutto considerato, decido che posso spingermi a pedalare ancora più avanti della sosta prevista poco più in là, a Serra di Scopamene. Il mio obiettivo diventa quindi Zonza, la base di partenza per le escursioni al Col de Bavella e alla Foret de l'Ospedale. L'avvicinamento in salita è comunque affascinante, ma il traffico consiglia di tenere l'attenzione più alla strada che al panorama.

La lunga catena di alture che sovrastano la Foresta di Ospedale. Domani le vedrò da vicino.

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Primi sguardi verso la cresta di Bavella.

Ancora lontana, anche questa sarà per

domani. Arrivo a Zonza: dopo tanti graziosi villaggi ecco come il turismo trasfroma i luoghi in “non-luoghi” di anonime botteghe e ristoranticome se trovano a Villasimius, Cape Town o Cortina. Mi installo, verso le 17.30, nel più rustico dei ben tre campeggi che si trovano a nord del paese (un quarto si trova verso est). Il guardiano è un tipo un po' rustico ma, a modo suo,

gioviale: mi “costringe” a parlare francese e in cambio io lo costringo a correggere i miei errori. Il camping Bavellavista sembra allestito terrazzando il fianco di un burrone, ma alla fine si rivelerà uno dei migliori del viaggio. Dopo la Routine del Campeggiatore, per cena penso di procurarmi una lattina di birra. Risalito il pendio verso l'Accueil, ricevo la lattina come omaggio inaspettato, dato che il camping non ha alcuno spaccio ed evidentemente io ho la faccia di uno che non ha nessuna intenzione di camminare un chilometro per andare a prendere una lattina di birra in paese e tornare. Così, messa la birra in fresco, mi siedo davanti alla tenda e, cucinando, inizio a riflettere sul viaggio, ormai agli sgoccioli, e sui progetti per l'immediato e per le prossime giornate.

Trazione a pedali, frigorifero a pedalini

17 luglio, da Zonza a Bonifacio

Ormai questo viaggio in Corsica è agli sgoccioli. Non ho ancora deciso sul da farsi, ma un'idea un po' pazza comincia a girarmi per la mente e potrei decidere di affrettare l'imbarco; vedrò comunque più tardi. Intanto parto di buon'ora, poco dopo le 7.30, per salire il breve tratto che porta al Col de Bavella.

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Finalmente in avvicinamento.

Ci arrivo abbastanza in scioltezza, approfittando dell'aria fresca del mattino e del traffico quasi inesistente, data l'ora. Il panorama è straordinario e, arrivato al colle, trascorro qualche minuto a godermi la vista delle montagne e ad osservare l'andirivieni degli escursionisti finché non decido che è arrivato il momento riprendere la strada.

Invece di scendere verso la costa, a Solenzara, a nord di Porto Vecchio, decido di puntare

direttamente verso quest'ultima, passando per la Foret de l'Ospedale. La discesa è rapida e piacevole, ma la temperatura aumenta di colpo in modo sgradevole appena scendo sotto la quota dei 500 metri. Quando arrivo alla rotatoria della N198, davanti a me c'è un vero e proprio muro di macchine. Evidentemente è ora di punta e anche deviando poco dopo su una Dipartimentale il traffico continua ad essere piuttosto sostenuto. Il caldo si è fatto torrido ed è meglio fermarsi. In un villaggio trovo una epicerie ancora aperta con dei tavoli all'aperto e mi fermo per un veloce pranzo con la solita insalata di pomodori, capperi e tonno. A tavola faccio mentalmente i miei conti: il caldo in pianura e il traffico della costa non sono il mio ideale di vacanza; del resto, risalire in montagna comporterebbe rifare tal quale il percorso fatto l'anno scorso; poi, sono in anticipo di un giorno e

mezzo sulla tabella di marcia (un giorno di margine e mezza giornata guadagnata allungando la tappa di ieri); infine, ormai ho preso il ritmo e mi sento in grado di proseguire a pedalare ancora per qualche giorno. Insomma prendo la mia decisione e punto direttamente Bonifacio per prendere il primo traghetto utile e rientrare in Sardegna e proseguire in bicicletta “a piombo” fino a Cagliari.

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Discesa "a piombo, da Santa Teresa di Gallura a

Cagliari in tre tappe. Più che un progetto, il risultato di

un colpo di sole

Per Bonifacio percorro lunghi e ondulati rettilinei assolati in mezzo alla campagna. Mi fermo solo a Figari per comprare l'acqua e percorro gli ultimi 15 chilometri della strada costiera ad andatura decisa per arrivare in porto appena possibile. Dopo tanta montagna e foreste, la vista sul mare mi lascia abbastanza indifferente. Arrivo a Bonifacio, caotica, acquisto il biglietto e mi imbarco alle 17. Ormai sul traghetto, realizzo che il viaggio in Corsica è terminato questa mattina, in cima al Col de Bavella: l'ultimo momento in cui sono stato viaggiatore sereno e non un organismo oppresso dal caldo ed un ostacolo

mobile per il traffico automobilistico. La lunga discesa verso il mare non era altro che la passerella del traghetto che mi veniva incontro. Tutto quello che è avvenuto prima, nelle otto lunghe e faticose giornate che ho passato in questa meravigliosa isola, con questo viaggiare lento e riflessivo, contrasta con questo finale così precipitato. Devo rifarmi, anche iniziando domani.

Stefano