Correlati psicopatologici nell’handicap

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CORRELATI PSICOPATOLOGICI NELLE DISABILITA’ Dr. Francesco Polito Dirigente Medico DSM – RC 25.8.2015

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CORRELATI PSICOPATOLOGICI NELLE DISABILITA’

Dr. Francesco Polito

Dirigente Medico DSM – RC

25.8.2015

Definizione di HandicapIl termine handicap deriva dall’inglese e significa "la mano sul cappello": esso veniva utilizzato, nei giochi dei bambini, per indicare una penalizzazione o uno svantaggio da infliggere a un giocatore che aveva

commesso un infrazione o che era troppo superiore agli altri giocatori. Il giocatore che aveva subito la penalità doveva continuare la partita partendo, rispetto agli altri giocatori, da una posizione di

svantaggio per esempio gareggiando con le mani legate dietro la schiena o concedendo un vantaggio

agli altri giocatori.

Reggio Cal., 25.8.2015

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HANDICAP

Si manifesta a seguito dell’interazione con l’ambienteE’ uno svantaggio che limita o impedisce il

raggiungimento di una condizione sociale normale (in relazione all’età, al sesso ed ai fattori sociali e culturali)

DISABILITA’

Si manifesta a livello di personaOgni limitazione della persona nello svolgimento di

un’attività secondo i parametri considerati normali per ogni essere umano

MENOMAZIONE

Riguarda un organo o un apparato funzionaleOgni perdita o anomalia strutturale o funzionale, fisica o

psichica

I Fenomeni di compromissione descritti nell’ICIDH secondo l’OMS (1980)

L’handicap secondo la Classificazione dell’OMS del 1980, è un effetto, non una causa come

viene per lo più considerata nel linguaggio comune. È l’effetto

indiretto e mediato di una menomazione che produce una

disabilità.

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Tale classificazione negli anni ha mostrato una serie di limitazioni:

- Non considera che la disabilità è un concetto dinamico, in quanto può anche essere solo temporanea.

- È difficile stabilire un livello oltre il quale una persona può considerarsi disabile.

- La sequenza può essere interrotta, nel senso che una persona può essere menomata senza essere disabile.

- Nell'ICIDH si considerano solo i fattori patologici, mentre un ruolo determinante nella limitazione o facilitazione dell'autonomia del soggetto è giocato da quelli ambientali.

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Negli anni 90, l'OMS ha commissionato a un gruppo di esperti di riformulare la classificazione

tenendo conto di questi concetti. La nuova classificazione, detta ICF (International

Classification of Functioning) o Classificazione dello stato di salute, definisce lo stato di salute

delle persone piuttosto che le limitazioni, dichiarando che l'individuo "sano" si identifica

come "individuo in stato di benessere psicofisico" ribaltando, di fatto la concezione di

stato di salute. Introduce inoltre una classificazione dei fattori ambientali e sociali.

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Funzioni corporee1.Funzioni mentali

2.Funzioni sensoriali e dolore3.Funzioni della voce e dell'eloquio

4.Funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico, respiratorio

5.Funzioni dell'apparato digerente e dei sistemi metabolico ed endocrino

6.Funzioni riproduttive e genitourinarie7.Funzioni neuro - muscolo - scheletriche correlate al

movimento8.Funzioni cutanee e delle strutture correlate

Strutture corporee1.Sistema nervoso2.Visione e udito

3.Comunicazione verbale4.Sistemi cardiovascolare e immunologico, apparato

respiratorio5.Apparato digerente e sistemi metabolico ed

endocrino6.Sistemi genitourinario e riproduttivo

7.Movimento8.Cute e strutture correlate

Fattori ambientali1.Prodotti e tecnologia

2.Ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall'uomo

3.Relazione e sostegno sociale4.Atteggiamenti

5.Sistemi, servizi e politici

Attività e partecipazione1.Apprendimento ed applicazione delle conoscenze

2.Compiti e richieste generali3.Comunicazione

4.Mobilità5.Cura della propria persona

6.Vita domestica7.Interazione e relazioni personali

8.Aree di vita principali9.Vita sociale, civile e di comunità

IL SISTEMA ICF

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La sofferenza

del disabile

Il fatto che esista l’handicap sta nel fatto che le città, i paesi, le strade, gli edifici e le attività che vi si possono

svolgere sono pensati e realizzati da gente che cammina normalmente e per gente che cammina normalmente. Se fossero progettati da motulesi e realizzati per motulesi sarebbero molto diversi: e i

motulesi non sarebbero handicappati perché le condizioni non sarebbero tali da svantaggiare nessuno.

O se il mondo fosse al buio, un non vedente non avrebbe alcuna difficoltà sociale. Nella realtà è ciò che

avviene quando si incontrano in una partita di pallacanestro due squadre di giocatori in carrozzella.

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La sofferenza dei disabili deriva fondamentalmente dal confronto

con la realtà e con le persone normalmente “abili”.

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Questa sofferenza, che si manifesta essenzialmente attraverso il senso di inferiorità e inadeguatezza, è resa ancora più profonda dal mito trainante della nostra cultura ovvero quello dell’uomo forte ed efficiente, dinamico, integro e "perfetto".

Così come le persone tendono a considerare più intelligente e appetibile una persona integra ed efficiente, l’invalido tenderà a considerarsi e a percepirsi come più impacciato, goffo e meno appetibile, interessante e richiesto da un punto di vista sociale e delle relazioni interpersonali e sentimentali.

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Effetto alone

Molte ricerche hanno dimostrato come la bellezza fisica nelle donne stimolasse negli uomini l’idea che esse fossero anche intelligenti, simpatiche e intraprendenti. In pratica una caratteristica della persona porta con sé, a

volte in modo inconsapevole, altri giudizi sulle sue qualità e capacità.

L’effetto alone, tuttavia, non è portatore solo di giudizi positivi ma a volte è foriero di pregiudizi negativi verso coloro che non rappresentano a pieno i

valori e le caratteristiche della nostra cultura e che, per qualche ragione, sono considerati o appaiono diversi.

Non solo gli invalidi sono vittime dell’effetto alone negativo: per esempio gli obesi sono spesso considerati, a torto, più stupidi delle persone magre e questo perché essi non aderiscono, a causa del loro aspetto, al mito della

magrezza .

Molto spesso questi pregiudizi negativi sono condivisi anche dal gruppo di persone che né è vittima e provoca, in esse, sentimenti di inferiorità e

inadeguatezza.Reggio Cal., 25.8.2015

In sintesi, la società può ostacolare il processo di emancipazione dell’individuo

disabile in due modi: in primo luogo trasformando la sua disabilità in uno

svantaggio permanente vale a dire in un handicap. In secondo luogo costruendo

miti di perfezione ed efficienza che gravano molti individui, non solo disabili, di

un pesante senso di inferiorità e di esclusione.

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"Siamo abituati al fatto che l’uomo legge con gli occhi e parla con la bocca.

Solo un grandioso esperimento culturale che dimostra che si può

leggere con le dita e parlare con la mano ci rivela tutta la convenzionalità e la mobilità delle forme culturali del comportamento". Vygotskij (1986)

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Coincidenza

ConseguenzaCopresenza

LE POSSIBILI RELAZIONI FRA DISABILITA’ E MALATTIE MENTALI

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Disabilità intellettiva

Disabilità sensoriale

Disabilità da malattia a lungo

decorso

Disabilità motoria

DISABILITA’ – LE VARIABILI DI ORGANO

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DISABILITA’ – LE VARIABILI DI INSORGENZA

Insorgenza precoce dell’infermità

• In epoca prenatale

• In epoca perinatale

• In età infantile

Insorgenza tardiva dell’infermità

• In età giovanile

• In età adulta

CAUSE DI DISABILITA’

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fattori del periodo prenatalefattori genetici (ereditari, genetici cromosomici, sindromi particolari)fattori esogeni (infezioni materne, malnutrizione materna, radiazioni, prematurità, ingestione di farmaci non appropriati, ecc.)

fattori del periodo perinatale (asfissia, traumi da parto, ecc.)

fattori del periodo postnatale (infezioni del sistema nervoso, encefalopatia, traumi da incidenti sia fisici che psichici, disturbi del metabolismo, ecc.)

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Disabilità intellettiva

Deriva da danni anatomici e funzionali di strutture del SNC preposte

all’organizzazione e controllo delle funzioni intellettive necessarie per affrontare

prestazioni complesse

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Il Ritardo Mentale (RM) viene definito dal manuale ICD-10 come “… una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive linguistiche, motorie e sociali.” A tale condizione si associa sempre una compromissione delle capacità di adattamento sociale.

Il DSM-IV definisce il RM come la via finale comune di diversi processi patologici, che agiscono sul sistema nervoso centrale, ed è caratterizzato da un funzionamento intellettivo significativamente sotto la media, da concomitanti deficit o compromissioni del funzionamento adattivo, entrambi insorti prima dei 18 anni.

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I criteri diagnostici del ritardo mentale

Le principali classificazioni utilizzate nell’attività educativa, clinica e di ricerca, riportano criteri riferibili, a tre aspetti:

a) funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media, QI inferiore a 70, rilevato attraverso strumenti validi e standardizzati

b) concomitanti limitazioni nell'adattamento riscontrato in due o più delle seguenti aree:1. comunicazione2. cura di sé3. abilità domestiche4. abilità sociali5. uso delle risorse della comunità6. autodeterminazione7. salute e sicurezza8. capacità di funzionamento scolastico9. tempo libero10. lavoro

c) esordio prima dei 18 anni.

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La prevalenza del ritardo mentaleI tassi di prevalenza del RM citati in letteratura variano in base ai diversi criteri di inclusione utilizzati: Rantakallio e Von Wendt, in uno studio del 1986, riportano una percentuale dell'1,2% mentre Zigler e Hodapp nello stesso anno rilevano una percentuale del 2,5%. Nel 1992 l'Organizzazione Mondiale della Sanità citava dati oscillanti tra lo 0,5 e il 2,5% per i paesi industrializzati e del 4,6% per i paesi in via di sviluppo (OMS, 1992). Nel 1997 Roeleveld e al. in una reviewsulla prevalenza del RM nei bambini in età scolare riportano una stima del 3% (Roeleveld, 1997).I dati Istat riferiti agli alunni italiani in condizione di handicap, quindi non solo al RM, nelle scuole statali nell'anno scolastico 1999-2000 indicano una percentuale di circa 2%.I dati del DSM-IV, cosi come quelli di Baroff del 1996 concordano su una stima del RM dell’1% nella popolazione generale, che risulta la più accreditata.

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Eziologia del ritardo mentale30% alterazioni precoci dello sviluppo dell’embrione.10 problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale.5% cause ereditarie.5% condizioni mediche generali acquisite durante l’infanzia o la fanciullezza.15-20% influenze ambientali e altri disturbi mentali.30-40% fattori sconosciuti.

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Eziologia del ritardo mentale

Insorgenza prenatale (turbe del metabolismo proteico e lipidico, malformazioni cerebrali, anomalie cromosomiche, tireopatie, infezioni congenite da toxo, cito, lue, rosolia…).

Insorgenza perinatale e post-natale (lesioni da parto, traumi, incidenti cerebrovascolari, encefalopatie da malattie infettive).

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Classificazione DSM-IV

lieve (85% dei casi), QI da 50-55 a 70moderato (10%), QI da 35-40 a 50-55grave (3-4%), QI da 20-25 a 35-40gravissimo (1-2%), QI inferiore 20-25NAS (Non altrimenti specificato)

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Così come accade per altri disturbi i nuovi criteri diagnostici del DSM-5 sono in parte modificati: vengono meglio specificate le aree del funzionamento mentale che possono essere deficitarie (problem solving, pensiero astratto, apprendimento scolastico e dall'esperienza, ragionamento e pianificazione); è stato eliminato il riferimento a specifici punteggi di Qi come criterio di differenziazione, chiedendo invece di valutare la posizione del soggetto rispetto ai punteggi collocati due o più deviazioni standard sotto la norma in relazione alla popolazione dell'età e gruppo culturale del soggetto, sottolineando la necessità di fare queste valutazioni con strumenti standardizzati, psicometricamente validi, ma anche culturalmente appropriati (M.G. Strepparava, E. Iacchia 2012).Una delle critiche maggiori mossa ai classici metodi di misurazione dell'intelligenza è il loro stretto legame con il livello di acculturazione del soggetto che ne è solo un aspetto. Ancora oggi gli strumenti che misurano il Qi fanno riferimento prevalentemente agli apprendimenti scolastici e non valutano sufficientemente le abilità e gli apprendimenti pratici, sociali e personali del soggetto; viene maggiormente sottolineato il ruolo del funzionamento adattivo (o disadattivo) della persona come fattore essenziale della diagnosi, sottolineandone sempre il rapporto con il gruppo e la cultura di appartenenza e la presenza di restrizioni significative alla partecipazione del soggetto alla vita quotidiana. Le aree usate per stabilire il grado di adattamento sono le dimensioni che maggiormente contribuiscono al migliore o peggiore funzionamento dell'individuo: partecipazione sociale, comunicazione con gli altri, funzionamento a scuola o al lavoro, indipendenza personale a casa o in comunità. Viene valutata anche la necessità di un sostegno per vivere una vita indipendente (M.G.Strepparava, E. Iacchia 2012).

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Disabilità intellettiva (Ritardo mentale)

Schizofrenia

Disturbi di personalità

Disturbi del comportamento

Autismo

Disturbo di Rett

ADHD

Demenza

Altro

SCHIZOFRENIA

I criteri diagnostici per la Schizofrenia secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:Sintomi caratteristici: due (o più) dei sintomi seguenti, ciascuno presente per un periodo di tempo significativo durante un periodo di un mese (o meno se trattati con successo):deliriallucinazionieloquio disorganizzato (per es., frequenti deragliamenti o incoerenza)comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonicosintomi negativi, cioè appiattimento dell’affettività, alogia, abulia.Nota: è richiesto un solo sintomo del Criterio A se i deliri sono bizzarri, o se le allucinazioni consistono di una voce che continua a commentare il comportamento o i pensieri del soggetto, o di due o più voci che conversano tra loro.Disfunzione sociale/lavorativa: per un periodo significativo di tempo dall’esordio del disturbo, una o più delle principali aree di funzionamento come il lavoro, le relazioni interpersonali, o la cura di sé si trovano notevolmente al di sotto del livello raggiunto prima della malattia (oppure, quando l’esordio è nell’infanzia o nell’adolescenza, si manifesta un’incapacità di raggiungere il livello di funzionamento interpersonale, scolastico o lavorativo prevedibile).Durata: segni continuativi del disturbo persistono per almeno 6 mesi. Questo periodo di 6 mesi deve includere almeno 1 mese di sintomi (o meno se trattati con successo) che soddisfino il Criterio A (cioè, sintomi della fase attiva), e può includere periodi di sintomi prodromici o residui. Durante questi periodi prodromici o residui, i segni del disturbo possono essere manifestati soltanto da sintomi negativi o da due o più sintomi elencati nel Criterio A presenti in forma attenuata (per es., convinzioni strane, esperienze percettive inusuali).

*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision.Edizione Italiana: Masson, Milano.

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DISTURBO DI RETT

I criteri diagnostici per il Disturbo di Rett secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:Tutti i seguenti:sviluppo prenatale e perinatale apparentemente normalesviluppo psicomotorio apparentemente normale nei primi 5 mesi dopo la nascitacirconferenza del cranio normale al momento della nascita

Esordio di tutti i seguenti dopo il periodo di sviluppo normale:rallentamento della crescita del cranio tra i 5 e i 48 mesiperdita di capacità manuali finalistiche acquisite in precedenza tra i 5 e i 30 mesi con successivo sviluppo di movimenti stereotipati delle mani (per es., torcersi o lavarsi le mani)perdita precoce dell'interesse sociale lungo il decorso (sebbene l'interazione sociale si sviluppi spesso in seguito)insorgenza di andatura o movimenti del tronco scarsamente coordinatisviluppo della ricezione e dell'espressione del linguaggio gravemente compromesso con grave ritardo psicomotorio.

*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision.Edizione Italiana: Masson, Milano.

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DISTURBO AUTISTICO

’I criteri diagnostici per Disturbo di Autistico secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:Un totale di 6 (o più) voci da 1., 2. e 3., con almeno 2 voci da 1., e una da 2. e da 3.:compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posturecorporee, e i gesti che regolano l’interazione socialeincapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppomancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per es., non mostrare, portare o richiamare l’attenzione di altre persone su oggetti di proprio interesse)mancanza di reciprocità sociale o emotiva.compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei seguenti:ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica)in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altriuso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentricomancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazionesottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specificimanierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo)persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: (1) interazione sociale,(2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o (3) gioco simbolico o di immaginazione.L’anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o alDisturbo Disintegrativo dell’Infanzia .

*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision.

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La prevalenza delle malattie mentali in corso di disabilità

intellettiva a seconda degli studi varia fra il 10% ed il 39%.

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La frequenza della schizofrenia negli adulti con disabilità intellettiva di grado compreso fra lieve e moderato sembra essere maggiore rispetto a quella della popolazione media (Tuner, 1989 - Copper1997- Deb, 2001)

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In generale, se fra i disturbi psichiatrici si includono quelli del comportamento, l’incidenza delle malattie psichiatriche diventa significativamente più alta negli adulti con disabilità intellettiva rispetto alla popolazione nomale (Meltzer ed aa., 1985 – Deb ed aa., 2001)

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Vi sono controversie sul fatto che le malattie mentali siano prevalenti in presenza di una disabilità intellettiva grave rispetto alle forme di grado lieve. Alcuni studi (Gostason e Lund,1985) indicano una maggiore frequenza nelle forme gravi, mentre altri (Inverson e Fox, 1989 ed Eyman, 1990) hanno riscontrato una maggiore frequenza nelle disabilità di minore gravità. Corbett (1979) non ha rilevato differenze.

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Disabilità motoria

E’ correlata ad una incapacità nell’esecuzione di corretti movimenti autonomi e dalla mancata coordinazione motoria; è la

conseguenza di patologie riguardanti il SNC, il SNP ed il sistema muscolare (miopatie).

Etiologia dei deficit motori centrali

Età pediatricaMalformazioni congeniteLesioni cerebrale perinatali (infezioni uterine, traumi da parto, encefalopatie anossiche o metaboliche)

Età adultaPatologie infettive (encefaliti, encefalomieliti)Traumi Incidenti cerebrovascolari

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Etiologia dei deficit motori periferici

Patologie delle corna anteriori del midollo spinale (poliomielite, atrofia muscolare spinale)Mono e polineuropatieMalattie infiammatorie dei muscoliMiopatie endocrineParalisi periodicheDistrofia muscolare progressivaMiastenia grave

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I soggetti portatori di handicap motori presentano un’alta incidenza di

disordini di tipo psichico che possono essere tanto uno degli esiti della

malattia che ha provocato l’anomalia della funzione motoria, quanto una

conseguenza sulla psiche del soggetto della presenza della disabilità.

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Disabilità motoria

Ritardo mentale

Disturbi dell’adattamento

Disturbi di personalità

Altro

DISTURBO DELL’ADATTAMENTO

I criteri diagnostici per il Disturbo dell’Adattamento secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti identificabili che si manifesta entro 3 mesi dell’insorgenza del fattore, o dei fattori stressanti.Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi come evidenziato da uno dei seguenti:marcato disagio che va al di là di quanto prevedibile in base all’esposizione al fattore stressantecompromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo (scolastico).L’anomalia correlata allo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo specifico e non rappresenta solo un aggravamento di un preesistente disturbo.I sintomi non corrispondono a un Lutto.Una volta che il fattore stressante (o le sue conseguenze) sono superati, i sintomi non persistono per più di altri 6 mesi.I Disturbi dell’Adattamento si distinguono in:Con Umore DepressoCon AnsiaCon Ansia e Umore Depresso MistiCon Alterazione della CondottaCon Alterazione Mista dell’Emotività e della Condotta

*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision.Edizione Italiana: Masson, Milano.

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In alcune forme di paralisi cerebrali infantili possono essere presenti gravi ritardi mentali ed anomalie del comportamento a carattere reattivo.

Nelle patologie neuromuscolari, in cui l’intelligenza è conservata, i disturbi psichici sono spesso correlati alla quasi completa dipendenza dagli altri sono invece solamente a carattere reattivo.

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Le problematiche reattive sono maggiormente presenti

nell’adolescenza e si accompagnano ad un alto numero

di gesti autolesivi.

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Disabilità sensoriale

Consegue ad una compromissione totale o parziale della funzione uditiva e/o visiva.

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Visiva

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Eziologia del deficit visivo

Anomalie della struttura dell’occhioFibroplasia retrolentaleInfezioni congenite da toxo o rosoliaNeoplasiaPatologie degenerative

Anomalie dei tessuti nervosi di conduzioneNeoplasieTraumi Patologie degenerative

Anomalie della corteccia cerebraleNeoplasieIncidenti cerebrovascolariTraumi Patologie degenerative

Anomalie delle funzioni integrative fra corteccia occipitale e centri psichici

Nel non vedente le aree visive sono più attive che nel vedente. Nei non vedenti la corteccia

visiva viene "reclutata" dagli altri sensi. I neuroni di questa parte del cervello imparano a

rispondere ad altri segnali, uditivi, tattili, olfattivi. Lo si è scoperto con la risonanza

magnetica funzionale (Mri) o la tomografia a emissione di positroni (Pet) che rilevano

l’attivazione della corteccia occipitale mentre la persona cieca assolve un compito tattile (come

la lettura Braille o il riconoscimento tattile di oggetti, etc) o uditivo (discriminare l' altezza dei

suoni, etc). Reggio Cal., 25.8.2015

Altri studi che dimostrano come la corteccia occipitale nei non vedenti si attivi anche durante compiti

puramente linguistici o di memoria verbale, quindi per funzioni cognitive di alto livello, non solo quindi

durante compiti percettivi più o meno impegnativi. Questa plasticità, detta cross-modale, si realizza

maggiormente in individui nati senza la vista o che l’hanno persa prestissimo. In individui divenuti ciechi

più avanti nella vita si riscontra in misura minore.

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Si osserva anche una plasticità intra-modale. Riguarda regioni della corteccia che già elaboravano quel segnale

sensoriale, e che dopo la perdita lo fanno in maniera "amplificata" . La zona di corteccia dedicata alla

sensibilità delle dita può espandersi nei non vedenti, che usano di più l' esplorazione tattile e in cui sono più abili. Questi fenomeni di plasticità corticale hanno un riscontro funzionale: i ciechi generalmente mostrano maggiori capacità di discriminazione tattile, uditiva e

olfattiva.

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Disabilità sensoriale visiva

Autismo

Ritardo dello sviluppo psicomotorio

Disturbi di personalità

Disturbi dell’adattamento

Schizofrenia

Altro

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Il modello Pasz (Protezione contro la schizofrenia) continuo raffigura il rischio relativo di schizofrenia come funzione della variabile relativa alle capacità visive.Considerando che sia la visione "assente" (cecità congenita) e la visione "perfetta" (visione "supernormale") può essere associato ad un ridotto rischio per la schizofrenia, il modello suggerisce che il rischio di sviluppare la schizofrenia aumenta da entrambe le estremità del continuum delle capacità visive verso un "rischio picco" (Landgraf et al, 2012;.. Silversteinet al, 2013).La posizione di questo rischio di picco deve ancora essere determinata sperimentalmente. Tuttavia, il picco ha importanti implicazioni per la comprensione dell'eziologia, lo sviluppo, e la terapia del disturbo: le persone affette da disabilità visiva (che si trova alla sinistra del picco), che non ha mai sviluppato una visione "normale", può ridurre il rischio per sviluppare la schizofrenia attraverso una diminuzione della capacità visiva.Gli individui affetti da deterioramento visivo (che si trova alla destra del picco), che in precedenza aveva "normali" abilità visive, possono ridurre il loro rischio di sviluppare la schizofrenia attraverso un miglioramento della capacità visiva.

Reggio Cal., 25.8.2015

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Uno studio condotto su 291.169 pazienti in Scozia e nel Regno Unito, ha dimostrato che i pazienti di età uguale o superiore a 65 anni con disabilità visiva hanno una vasta gamma di comorbiditàsia riguardo la salute fisica che quella mentale rispetto a soggetti senza deficit visivo, e hanno maggiori probabilità di avere più comorbidità. Questo ha importanti implicazioni per la pratica clinica e per la futura progettazione di servizi integrati per soddisfare le complesse esigenze dei pazienti con deficit visivo, per esempio, l'integrazione di attività psichiatriche e di screening dell'udito in servizi oculistici.

Reggio Cal., 25.8.2015

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Alcuni aspetti psicologici nei bambini e negli adulti subvedenti

(tratto da E. Negri, Aspetti psicologici della minorazione visiva)

Nel bambino con minorazione visiva lo sviluppo psicologico segue un percorso differente da quello del bambino vedente: la mancanza di uno dei

canali sensoriali, attraverso i quali si realizzano le esperienze più significative nei primi anni di vita, determinano un ritardo nelle principali fasi evolutive.

Generalmente il bambino non vedente arriva più tardi alla consapevolezza di una propria individualità anche perché necessariamente, a causa

dell’handicap, la madre deve svolgere con il bambino più a lungo un ruolo di aiuto, sostegno e mediazione con l’ambiente circostante, sostituendosi al

figlio nello svolgere quelle azioni che il bambino vedente riesce precocemente a raggiungere. Per esempio come ha evidenziato S. Freiberg (1977), la crisi dell’estraneo determinata dalla capacità di discriminare le figure familiari dalle altre, che normalmente viene raggiunta verso i 7-9 mesi, nel caso del

bambino non vedente si verifica intorno ai 16-18 mesi. In questa fase, al momento della separazione dai genitori si manifestano paura e angoscia, reazioni che nel bambino non vedente hanno intensità maggiore che nel vedente. Pertanto anche brevi allontanamenti possono essere vissuti dal

bambino in modo gravemente traumatico.

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Separazioni precoci tra il bambino ed i suoi familiari, anche se apparentemente il bambino non reagisce in

quanto non è ancora in grado di discriminare tra i genitori e gli altri adulti, costituiscono un ulteriore

ostacolo nell’evoluzione del rapporto oggettuale nel processo di individuazione di sé, con gravi

conseguenze per la salute mentale del bambino stesso. Il bambino in questi casi rimane in uno stato di confusione senza una chiara idea di sé stesso e degli

altri. Le frequenti forme di psicosi rilevate nei bambini non vedenti sono dovute il più delle volte a questa

distorsione nello sviluppo della relazione con i genitori.

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Anche lo sviluppo delle funzioni motorie è spesso molto ritardato non per una mancanza

di potenzialità funzionali ma in quanto il bambino non vedente è inibito nelle sue

tendenze esplorative per la minore inclinazione verso la padronanza dell’ambiente,

generalmente stimolato dal canale visivo e verso l’autonomia. Ad esempio, la deambulazione

autonoma, come ha rilevato S. Fraiberg (1977) tra i primi, avviene con un ritardo di circa 6-8

mesi rispetto al bambino vedente.

Reggio Cal., 25.8.2015

Anche nell’acquisizione del linguaggio si rileva un ritardo significativo in presenza di una

minorazione visiva. Nello sviluppo di questa funzione, infatti, ricopre un ruolo fondamentale

la mediazione dell’adulto che attraverso la gestualità indica al bambino le associazioni tra

fonemi e oggetti. In presenza di una minorazione o, peggio, di una cecità completa,

questa associazione può essere mediata solo ed esclusivamente attraverso l’esplorazione tattile

degli stimoli perdendo l’immediatezza e la globalità della percezione visiva.

Reggio Cal., 25.8.2015

IL TRAUMA DEI GENITORI

Per tutti i genitori di bambini con gravi handicap, al momento della scoperta della minorazione del figlio, si

verifica una situazione fortemente traumatica. Il trauma deriva dalla discrepanza tra il bambino "ideale",

che hanno costruito come oggetto d’amore durante l’attesa, e il bambino minorato, che la realtà presenta loro. Quest’ultimo costituisce una ferita narcisistica

che mette in discussione il loro valore di procreatori e a volte, a un livello più profondo, la validità globale del

loro rapporto di coppia. Inoltre, quasi sempre, sviluppano un accentuato sentimento di colpa nei

confronti del figlio.

Reggio Cal., 25.8.2015

Atteggiamento iniziale dei genitori:Negazione e Ricerca spasmodica di una soluzione

Questi atteggiamenti dei genitori spesso finiscono per provocare nei figli sentimenti e vissuti di esclusione e rifiuto da parte della famiglia. Il bambino

si sente una specie di oggetto di studio, interessante quasi esclusivamente da un punto di vista medico e scientifico; i genitori arrivano a lodarlo e

incoraggiarlo solo quando è cooperativo e fa dei progressi, che spesso sono solo la proiezione dei loro desideri. Il bambino, continuamente in movimento tra cliniche, specialisti, medici e guaritori si sente trattato come un portatore di problemi da risolvere e, nel contempo, vede negata la sua vita affettiva ed

emotiva. Puntando l’attenzione esclusivamente sulla sua minorazione egli non può che sentirsi inadeguato e poco interessante avvertendo, nel

profondo, la sensazione di aver deluso le aspettative dei genitori e della famiglia. Anche in età adulta le persone con minorazione spesso si trascinano

dietro vissuti di inadeguatezza, di sfiducia e disistima.Reggio Cal., 25.8.2015

In altri casi i genitori possono sviluppare una particolare relazione

con il bambino caratterizzata da iperprotezione e tendenza a limitarlo nel conseguimento dell’autonomia;

questi genitori tendono a mantenere il bambino in uno stato di immaturità trattandolo in modo inadeguato alle sue esigenze di crescita e facendogli

richieste inferiori alle sue potenzialità. Reggio Cal., 25.8.2015

Infine, dopo la fase di negazione del problema, molte coppie genitoriali, ma soprattutto la madre, incapaci di accettare e rielaborare l’handicap del figlio sviluppano atteggiamenti e vissuti depressivi. Questa situazione emotiva dei genitori può essere molto rischiosa per il bambino: la madre poco attiva e stimolante a causa

della depressione, di fronte ad un bambino che per la sua minorazione si presenta generalmente poco

espressivo ed in particolare incapace di suscitare le prime comunicazioni ed i primi scambi spontanei che

avvengono nei primi mesi prevalentemente con lo sguardo, diviene ancora più inefficiente.

Reggio Cal., 25.8.2015

I soggetti adulti che hanno fruito della vista solo per pochi anni durante l’infanzia ed hanno ormai

raggiunto l’età adulta, generalmente rimpiangono il periodo di vita in cui vedevano e tutti i vantaggi che ciò loro comportava, tuttavia

si tratta di un sentimento non più intenso, stemperato dagli anni e che diminuisce con il progressivo affievolirsi della memoria visiva

(Berger, Olley, Oswald, 1962) e, nella maggior parte dei casi, non incide negativamente sulla

personalità del soggetto e sul suo adattamento sociale.

Reggio Cal., 25.8.2015

Molto diversa la reazione alla cecità di chi ha fruito per molto tempo della vista. In queste persone

soprattutto se adulte, la reazione emozionale è intensa e intensamente dolorosa. Essa è anche legata

al tipo di atteggiamento che la persona aveva nei confronti della cecità quando era vedente. Così se i

sentimenti erano di pietà o di disprezzo, questi medesimi sentimenti verranno ora rivolti verso il

soggetto stesso, favorendo un atteggiamento depressivo di autosvalutazione. Se i sentimenti erano

invece positivi, di stima e comprensione, sarà favorito il superamento della fase depressiva e l’accettazione

della propria condizione.

Reggio Cal., 25.8.2015

La reazione immediata è molto simile sia a livello del vissuto

soggettivo che del comportamento a quella del lutto.

Reggio Cal., 25.8.2015

Un altro fattore di rischio per la salute mentale, frequentemente associato a molte patologie

visive a lenta ma progressiva degenerazione, è la cosiddetta sindrome della spada di Damocle. La

persona vive in un continuo stato d’ansia e di preoccupazione per la propria salute ma

l’angoscia maggiore è dovuta all’idea che, prima o poi, il residuo visivo si affievolirà fino a

rendere la persona completamente cieca.

Reggio Cal., 25.8.2015

Un’altra condizione molto invalidante per il soggetto minorato della visione è un

atteggiamento eccessivamente ansioso, iper-protettivo e soffocante dell’ambiente

sociale. Questo atteggiamento può, in alcuni casi, provocare un ritardo nello

sviluppo delle capacità cognitive, nell’acquisizione dell’autonomia personale

e forte senso di dipendenza dalle figure genitoriali e di accudimento.

Reggio Cal., 25.8.2015

A volte il rifiuto della propria condizione di minorazione può portare a sviluppare

sentimenti di disistima e di scarsa autoefficacia dovuti al complesso di

inferiorità (Adler) ovvero a quel vissuto pervasivo e radicato di essere inferiore in

vari ambiti della vita sociale (professionale, delle relazioni sentimentali, delle relazioni

amicali…).

Reggio Cal., 25.8.2015

In una ricerca dove sono stati messi a confronto bambini vedenti e bambini ciechi rispetto ai giudizi che essi esprimevano in relazione a varie situazioni di vita quotidiana (Galati, 1992) è emerso come, di fronte a situazioni frustranti,

i bambini ciechi tendessero a provare sentimenti di tristezza mentre i bambini normodotati tendevano, più frequentemente, a provare sentimenti

di rabbia. In pratica i bambini ciechi si percepivano come profondamente dipendenti da ciò che accade e da ciò che la realtà delle cose loro riserva e

quindi accettavano le frustrazioni nell’unico modo per loro possibile, ovvero con la delusione e la tristezza. I bambini normodotati si vivevano invece come

interpreti attivi della realtà e, di fronte a situazioni frustranti, provavano rabbia perché le cose non erano andate come loro volevano e si attendevano.

Riassumendo, i bambini normodotati avevano un atteggiamento nei confronti della vita più attivo e volitivo mentre i bambini ciechi avevano un

atteggiamento più passivo e rinunciatario.

Reggio Cal., 25.8.2015

Se confrontiamo, infine, all’interno di uno stesso campione di soggetti con minorazione visiva la variabile relativa al sesso, scopriamo come la minorazione visiva appare essere un fattore di rischio per la salute mentale

soprattutto per le donne. In una ricerca su pazienti affetti da retinite pigmentosa (Lavanco, Pino 1996) è

stato verificato che il campione delle donne mostrava, rispetto a quello maschile, una maggior presenza di

ansia sociale (paura di essere rifiutati, di essere crititicati,) e di instabilità emotiva (incapacità di tollerare l’ansia, la frustrazione e incapacità di

sopportare lo stress).

Reggio Cal., 25.8.2015

Reggio Cal., 25.8.2015

Uditiva

Reggio Cal., 25.8.2015

Eziologia del deficit uditivo

Cause precociInfezione rubeolicaKernicterusIpossia neonataleTraumi da partoMalattie infettive dell’orecchio interno Otiti ricorrentiFarmaci ototossici

Cause tardiveTraumiDeficit circolatoriLue terziariaSclerosi multiplaPresbiacusiaOtosclerosiTumori

Circa il 10% della popolazione mondiale ha difetti dell’udito

abbastanza evidenti da interferire nelle normali capacità

dell’individuo.

Reggio Cal., 25.8.2015

La maturazione psichica, l’apprendimento e l’adattamento sociale vengono influenzati dalla

funzione uditiva e le conseguenze delle sue anomalie sullo sviluppo del

soggetto saranno differenti in relazione alla gravità del deficit ed al momento in cui esso si è instaurato

rispetto allo stabilirsi di una completa capacità verbale.

Reggio Cal., 25.8.2015

La capacità verbale non è possibile nei bambini con deficit congenito

dell’udito e nei soggetti in cui gradi elevati di ipoacusia si sviluppano

prima dei due anni di vita.

Reggio Cal., 25.8.2015

Per un bambino ipoacusico crescere in un “contesto udente”, non rispondente alle sue peculiari

esigenze, può avere un impatto sullo sviluppo cognitivo, sociale,

emotivo, comunicativo e linguistico.

Reggio Cal., 25.8.2015

Tra ipoacusia e demenza esiste una relazione bidirezionale: un grave

deficit uditivo è in grado di aumentare di ben 5 volte, in maniera

indipendente rispetto ad altri fattori, il rischio di sviluppare demenza.

Per ogni peggioramento dell’udito di 10 decibel si registra una crescita del

rischio di demenza di circa 3 volte.Reggio Cal., 25.8.2015

Rallentare anche di un solo anno l’evoluzione dell’ipoacusia nell’anziano, porterebbe a

una riduzione del 10% del tasso di prevalenza della demenza nella

popolazione generale.

Reggio Cal., 25.8.2015

Reggio Cal., 25.8.2015

Disabilità sensoriale uditiva

Disturbi reattivi del comportamento

Nevrosi

Crisi di ira

Demenza

Altro

Reggio Cal., 25.8.2015

Disabilità da malattie a lungo decorso

E’ correlata a patologie croniche, di organi ed apparati diversi dal sistema neuromuscolare, che si protraggono per un periodo molto lungo (di solito

per tutta la vita), con ripercussioni notevoli sul normale sviluppo e inserimento sociale

dell’individuo.

Alcune malattie a lungo decorso che possono creare disabilità

Reggio Cal., 25.8.2015

Fibrosi cistica

Diabete giovanile ID

Malformazioni congenite

Malattie cromosomiche

Neoplasie

Malattie dell’apparato emolinfopoietico (linfomi, talassemie, etc…)

Emofilia

Epilessia

Asma grave

Gravi forme di Fibromialgia e di CFS

Altro

Reggio Cal., 25.8.2015

Disabilità da malattie a lungo decorso

Nevrosi

Disturbi dell’adattamento

Disturbi di personalità

Altro

Effetti della disabilità sul caregiver

Reggio Cal., 25.8.2015

Sentimenti di rifiuto ed ostilità nei confronti dei bambini “normali”

Difficoltà nei fratelli di ordine psicologico conseguente all’alterazione delle dinamiche relazionali intrafamiliari

Sentimenti di ostilità nei confronti delle istituzioni

Atteggiamenti iperprotettivi

• Incremento dei disturbi comportamentali

• Accentuazione dell’isolamento

Necessità di continua assistenza

• Riduzione dei contatti sociali della famiglia

Uno studio scientifico ha dimostrato che il 74% delle

famiglie di portatori di disabilità si definiscono esse stesse

“handicappate”.

Reggio Cal., 25.8.2015

Reggio Cal., 25.8.2015

Formazione operatori dei DSM alla lingua dei segni

Mancanza di reattivi mentali adeguati alle persone sorde

Scarsa informazione sull’accesso ai presidi dei DSM

Assenza di strumenti psicodiagnostici utilizzabili da non vedenti

Difficoltà di accesso ai presidi dei DSM

Scarsa informazione sull’accesso ai presidi dei DSM

Barriere architettoniche - Accessibilità

CRITICITA’ DSM

Reggio Cal., 25.8.2015

Il problema dell’accessibilità dei servizi di salute mentale si pone in tutte le fasce di età. Ad esempio, una persona divenuta sorda in età adulta, e per la quale la diagnosi di sordità è stata di per sé motivo di perdita, potrebbe scivolare nella depressione, in assenza di servizi di supporto accessibili. (“Mind the Gap!”, S. Harvest, Ireland).

Riguardo ai pazienti sordi segnanti, nelle fasi di assessment e trattamento, si pongono sfide

nella traduzione e interpretazione non solo dei segni prodotti dai pazienti, ma anche delle

componenti non manuali della Lingua dei Segni, come l’espressione degli occhi, il movimento delle sopracciglia e della bocca (“To recognize

potentially bizarre content and unusual linguisticfeatures in the signing of hallucinated persons”,

AA.VV., Norvegia).

Reggio Cal., 25.8.2015

La carenza di professionisti della salute mentale specializzati in sordità e in grado di comunicare in modo adeguato con le persone sorde, nelle fasi di assessment, diagnosi e trattamento, può ostacolare il

riconoscimento di una sofferenza psicopatologica del paziente sordo o, al

contrario, indurre alla diagnosi di un disturbo mentale anche se non presente.

Reggio Cal., 25.8.2015

Un esempio è il caso di un paziente sordo segnante, di 35 anni, il quale, dopo essere stato ricoverato in un reparto psichiatrico norvegese, è stato riconosciuto perfettamente sano da uno

staff di professionisti non esperti in sordità e lingua dei segni. In realtà, il paziente era affetto

da schizofrenia paranoide (“Challenges facedwhen deaf patients are admitted to psychiatric

general acute wards”, H. Saltnes & B. Øre, Norvegia).

Reggio Cal., 25.8.2015

Il Regno Unito offre un esempio di test tradotto in British Sign Language (BSL): si tratta del test SDQ, il cui adattamento in BSL lo ha reso uno strumento utile ad

una reale comprensione dei bisogni dei bambini sordi e ad una più efficace prevenzione dei disturbi di salute mentale (“Translation of the SDQ into BSL”, J. Smith,

Regno Unito). Un altro esempio degno di nota è rappresentato dal British Sign Language Cognitive

Screening Test, utilizzato per identificare la demenza nelle persone sorde (“The challenge of identifing

dementia in deaf people. A new cognitive screening test using British Sign Language”, AA.VV., Regno Unito).

Reggio Cal., 25.8.2015

https://www.facebook.com/DipartimentoSaluteMentaleRC?ref=hl

Reggio Cal., 25.8.2015

Grazie per l’attenzione