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Nel tardo 1890 è stata scritta un'unica ed eloquente novel- la spirituale da parte di uno dei più prolifici e popolari scrit- tori della Brahma-Madhva-Gau∂îya Sampradåya Sua Divina Grazia Ûrîla Bhaktivinoda Êhåkura presenta Jaiva-dharma La Natura Essenziale dell’Anima Parte prima Traduzione ispirata e curata da Ûrî Ûrîmad Bhaktivedånta Nåråya∫a Mahåråja Copyright © Gau∂îya Vedånta Samiti Jaiva dharma 11-11-2003 11:01 Pagina 1

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Nel tardo 1890 è stata scritta un'unica ed eloquente novel-la spirituale da parte di uno dei più prolifici e popolari scrit-tori della Brahma-Madhva-Gau∂îya Sampradåya

Sua Divina GraziaÛrîla Bhaktivinoda Êhåkura

presenta

Jaiva-dharmaLa Natura Essenziale

dell’Anima

Parte prima

Traduzione ispirata e curata da

Ûrî Ûrîmad Bhaktivedånta Nåråya∫aMahåråja

Copyright © Gau∂îya Vedånta Samiti

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SOMMARIOPrefazione di Ûrî Ûrîmad Bhaktivedånta Nåråya∫a Mahåråja . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . iCapitolo Uno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15Le religioni eterne e le religioni temporanee dell'entità viventeCapitolo Due . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31La funzione della jîva è pura ed eternaCapitolo Tre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47La religione temporanea è incompleta, adulterata e non permanente e per sua stessa natura dev'essere abbandonataCapitolo Quattro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75Il Vaiß∫ava-dharma è un altro nome della religione eternaCapitolo Cinque . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97La Vaidhî-bhakti è una religione eterna non temporaneaCapitolo Sei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121Religione eterna e distinzioni di razza e castaCapitolo Sette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159Religione eterna ed esistenza materialeCapitolo Otto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195Religione eterna e comportamento Vaiß∫avaCapitolo Nove . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229Religione eterna, scienza e civiltà materialeCapitolo Dieci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255Religione eterna e storiaCapitolo Undici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279Religione eterna e idolatriaCapitolo Dodici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297La religione eterna e i mezzi per ottenere uno scopo specifico

Volumi di Ûrîla Bhaktivedånta Nåråyana Mahåråja:In inglese:

Vaiß∫avism (Real & apparent)Going Beyond Vaiku∫†ha

Bhakti-rasåyanaVenu-gîtå

Ûrî Bhakti-rasåm®ta-sindhu-binduÛrî Mana˙-Ωikßa

Ûrî PrabandhåvalîBhakti-tattva-viveka

Ûrî Navadvipa-mandala-parikramaÛrî Vraja-mandala-parikrama

Pinnacle of DevotionÛrî UpadeΩåm®ta

Srimad Bhagavad-GitaJaiva-dharma

Srila Bhaktiprajnana Kesava Gosvami Maharaja, his life and teachingsIn italiano:

Il Nettare della Govinda-lîlåAndare oltre Vaiku∫†ha

La vera concezione di Sri Guru tattvaL’essenza di tutte le istruzioni

Lettere di Srila Prabhupada dall’America a Srila Narayana MaharajaRaggi di Armonia

I lettori interessati possono scrivere a:

International Gau∂îya Vedånta PubblicationsÛrî KeΩavajî Gau∂îya Ma†h

Mathurå (U.P.) 281001 India - Tel. 0091-565-502334Associazione Vaisnava Gau∂îya Vedånta

Cantone Salero 5 - 13865 Curino (BI) Italia Tel. 015-928173

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Ûrîla Bhaktivinoda Êhåkura è un intimo ed eterno com-pagno del salvatore delle moltitudini dell'età di Kali, Ûacî-nandana Ûrî Caitanya Mahåprabhu. Dopo che gli associatidi Ûrî Gaurahari, come i Sei Gosvåmî, Ûrî K®ß∫adåsa Ka-viråja, Ûrî Narottama Êhåkura e Ûrîla Visvanåtha Cakra-vartî Êhåkura ebbero lasciato questo mondo e furono en-trati nei loro passatempi non manifesti, i cento anni che se-guirono vengono considerati un periodo oscuro per la lineadei Gau∂îya Vaiß∫ava. Durante questo periodo non appar-ve nessun potente åcårya nella linea Gau∂îya che potesseportare avanti, come era stato fatto in precedenza, gli inse-gnamenti di Ûrîman Mahåprabhu nella loro forma pura.

In quel momento cruciale, nell'anno 1838, vi fu un even-to fortunato, Ûrîla Saccidånanda Bhaktivinoda Êhåkuranacque in una famiglia ben educata e di cultura nel villag-gio di Vîranagara vicino a Ûrî Navadvîpa dhåma, nel Ben-gala occidentale.

Egli inaugurò una nuova epoca per la linea Gau∂îyaVaiß∫ava: scrisse un centinaio di libri autorevoli e chiari sul-la scienza della bhakti in Sanscrito, Bengali, Hindi, Ingleseed altre lingue ancora.

In questo modo egli ristabilì l'integrità della nostra lineaGau∂îya e per questa mirifica opera i Gau∂îya Vaiß∫ava ri-marranno per sempre in debito con lui.

Nell'era moderna Ûrîla Bhaktivinoda Êhåkura ha riav-viato il bhakti-bhågîrathî o flusso del fiume di pura devo-zione (Ωuddha-bhakti). Per questo motivo egli viene ricor-dato con affetto anche come 'Settimo Gosvåmî'.

Ûrîla Bhaktivedånta Nåråya∫a Mahåråja

Ûrîla Bhaktivinoda Thåkura

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Prefazione

tratta dalla terza edizione HindiÛrî Ûrîmad Bhaktivedånta Nåråya∫a Mahåråja

Sono molto felice che la terza edizione Hindi dellaGau∂îya Vedå∫ta Saµiti stia per essere sottoposta al pub-blico. Profondamente preoccupato per la non disponibilitàdi questo libro in lingua Hindi, il linguaggio nazionale del-l'India, questa pubblicazione ha soddisfatto il mio desiderioa lungo coltivato.

Il Jaiva-dharma, scritto originariamente in lingua Ben-gali, è un gioiello inestimabile per tutti i Vaiß∫ava di linguaBengali. L'autore, un compagno intimo di Ûrî CaitanyaMahåprabhu, è Ûrîla Bhaktivinoda Êhåkura, conosciuto an-che come 'Settimo Gosvåmî'.

Nella comunità Vaiß∫ava moderna egli riavviò il potenteflusso del sacro Gange della bhakti incondizionata così co-me fu rivelata da Svayam Bhagavån, Ûrî Caitanya Mahå-prabhu. Êhåkura Bhaktivinoda scrisse in molte lingue oltrecento libri riguardanti la bhakti. Questo, il Jaiva-dharma,iniziò una nuova era nel mondo della filosofia e della reli-gione.

L'edizione Hindi è stata prodotta sotto la direzione delmio santo e riverito maestro, Ûrî Gurupåda-padma Oµ Vi-snupåda 108 Ûrî Ûrîmad Bhakti Prajñåna KeΩava GosvåmîMahåråja. Egli è il guardiano del siddhånta della Ûrî Brah-ma-Madhva-Gau∂îya sampradåya ed ha soddisfatto il desi-derio interiore di Ûrîla Bhaktivinoda Êhåkura, di Ûrîla Gau-ra-kiΩora dåsa Båbåjî Mahåråja e di Ûrîla BhaktisiddhåntaSarasvatî Êhåkura. Egli è un åcårya nella successione disci-plica proveniente da Ûrî Caitanya Mahåprabhu ed è il fon-datore åcårya della Ûrî Gau∂îya Vedå∫ta Saµiti e delle sue

Il Jaiva-dharma si riferisce a quella natura ofunzione caratteristica per la quale esiste l'anima.

L'essere vivente è un'entità spirituale eterna inquanto particella del Supremo. Poichè la parte è

fatta per servire il tutto, l'anima individuale èfatta per stabilire un'eterna relazione d'amore

con l'Anima Suprema. Questo amore divino è ildharma (occupazione) della jîva (entità vivente).Quando l'anima abbraccia questo dharma mentre

si trova in fase di perfezionamento, ciò vieneconosciuto come sådhana-dharma o sådhana-

bhakti, devozione come strumento perraggiungere la perfezione.

Attraverso questo dharma l'essere vivente sistabilisce nella sua identità eterna, in relazionecon il Signore. Quando si trova così situata, le

attività che la jîva svolge sono espressionenaturale della sua vera identità e vengono definitesådhya-dharma, funzione della perfezione ultima. Questo si riferisce alla prema-bhakti (devozionecon amore divino), poichè è solo nello scambio

d’amore con lo stesso obiettivo dell’anima che lajîva può trovare la completa soddisfazione. Di

conseguenza la bhakti, sia in fase diperfezionamento che di perfezione, è il nitya-

dharma (occupazione eterna) della jîva.

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Il termine jaiva-dharma indica il dharma della jîva ovve-ro la funzione costituzionale dell'essere vivente. Da unpunto di vista esterno, sembra che gli esseri umani pratichi-no religioni diverse secondo i paesi, le caste, le razze e cosìvia. Anche la natura costitutiva degli esseri umani, deglianimali, degli uccelli, dei bruchi, degli insetti e delle altreentità viventi sembra varia e differenziata. Ma in realtà tut-ti gli esseri viventi dell'universo hanno solo un unico im-mutabile ed eterno dharma.

Nel Jaiva-dharma viene data una vivida e inoppugnabiledescrizione di questo dharma, che è eterno e si applicaovunque, in ogni tempo e a tutti gli esseri. In forma eleva-ta e concisa, questo libro contiene l'essenza degli estrema-mente profondi e riservati argomenti dei Veda, del Vedå∫ta,delle Upanißad, dello Ûrîmad-Bhågavatam, dei Purå∫a, delBrahma-sütra, del Mahåbhårata, degli Itihåsa, del Pañcarå-tra, del Sa†-sandarbha, della Ûrî Caitanya-Caritåm®ta, delBhakti-rasåm®ta-sindhu, dell'Ujjvala-nîlamani e di altriΩåstra ideali. In più è stato scritto sotto forma di novella gu-stosa, avvincente e di facile comprensione.

Nel Jaiva-dharma c'è un'analisi pungente e senza prece-denti di molti argomenti vitali come la bhagavata-tattva,(verità riguardante il Supremo Signore), la jîva-tattva, (ve-rità che riguarda le entità viventi), la Ωakti-tattva, (verità cheriguarda le potenze del Signore), la descrizione dello statodelle jîve condizionate e di quelle liberate, uno studio com-parativo della natura del karma, del jñåna e della bhakti,una significativa discussione finale sulle distinte caratteri-stiche della vaidhi (devozione improntata sulle regole degliΩåstra) e della rågånugå-bhakti (devozione improntata sul-l'amore spontaneo) e sulla suprema eccellenza del Ωrî-nå-ma-bhajan (recitazione dei Santi Nomi). Tutti questi argo-menti vengono discussi in termini di sambandha (relazio-ne), abhidheya (mezzi) e prayojana (fine).

succursali sparse in tutta l'India. Per sua misericordia in-condizionata, per sua ispirazione e suo ordine diretto, seb-bene sia incompetente e non adatto sotto tutti gli aspetti, hotradotto questo libro che è portatore di una filosofia diffici-le e di profonde ed esoteriche verità riguardanti l'adorazio-ne del Signore.

In questa traduzione ho tentato per quel che è possibile,di mantenere intatta la superba filosofia e gli elevati, sottilie complessi sentimenti riguardanti l'analisi del råsa (rela-zione). Mi sono sforzato al meglio delle mie capacità peresprimere il tutto con un linguaggio che fosse chiaro e quin-di facilmente comprensibile. Il giudizio sull'esito di questotentativo lo lascio ai lettori. E se questo mio sforzo avràavuto un qualunque valore, ciò deve essere esclusivamenteaccreditato ai piedi di loto di Ûrî Guru.

La traduzione Hindi del Jaiva-dharma fu pubblicata perla prima volta nella rivista mensile Ûrî Bhågavat-patrika, inuna serie di articoli scritti nel corso di sei anni. I lettori fe-deli li hanno molto apprezzati e mi hanno ripetutamentechiesto di pubblicarli in forma di libro. A beneficio del pub-blico Hindi e per la felicità dei puri devoti, è stata pubblica-ta la seconda edizione del Jaiva-dharma in forma di libro.Questa edizione però è andata velocemente esaurita e quin-di, per soddisfare il profondo interesse dimostrato dai let-tori, è stata realizzata la terza edizione.

Sebbene il mio riverito e santo maestro, con un'elabora-ta introduzione, abbia evidenziato nella sua prefazione lecaratteristiche uniche di questo libro, del suo autore ed altriargomenti importanti, non posso trattenere il mio entusia-smo e aggiungo alcune altre parole al riguardo: sollecito ilettori a studiare attentamente l'introduzione prima di leg-gere il libro; ho ferma fede che da ciò trarranno una chiaraindicazione su come entrare nelle verità riguardanti larealtà suprema.

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e saba siddhånta gudha, kahite na yuyayana kahile, keha ihara anta nahi paya

ataeva kahi kichu karina nigudhabujhibe rasika bhakta, na bujhibe mudhahrdaye dharaye ye caitanya-nityananda

e saba siddhante sei paibe anandae saba siddhånta haya amrera pallava

bhakta-gana kokilera sarvada vallabhaabhakta-ustrera ithe na haya pravesatabe citte haya more ananda visesaye lagi kahite bhaya, se yadi na janeiha vai kiba sukha ache tribhuvaneataeva bhakta-gane kari namaskara

nihsanke kahiye, tara hauk camatkara

"Le esoteriche ed intime conclusioni riguardanti i passa-tempi amorosi di Rasaråja Ûrî Krishna assieme alle gopî(amiche pastorelle) che sono l'incarnazione di mahåbhåva,il più alto sentimento di amore divino, non sono adatte peressere esposte all'uomo comune. Ma nessuno può entrarein questi argomenti senza che vengano rivelati. Dovròquindi parlare di questi argomenti in modo velato cosicchèsolamente i rasika-bhakta (devoti che gustano il nettare del-la relazione spirituale con Dio) siano in grado di compren-derli, e non gli sciocchi non qualificati.

Chiunque abbia fermamente collocato Ûrî CaitanyaMahåprabhu e Ûrî Nityånanda Prabhu nel proprio cuore,trarrà gioia trascendentale dall'ascolto di queste conclusio-ni. Tutta questa conoscenza è dolce come germogli freschidi mango, gustabili solo dai devoti paragonati agli uccellicucù. Per i non devoti, che sono come cammelli, non c'ènessuna possibilità di addentrarsi in questi argomenti equindi nel mio cuore c'è un giubilo speciale.

Se le persone di cui ho timore non sono in grado di com-

Prima dell'edizione Bengali del Jaiva-dharma pubblica-ta dalla Gau∂îya Vedå∫ta Saµiti, in tutte le edizioni pub-blicate da Ûrîla Bhaktivinoda Êhåkura, Ûrîla Bhaktisiddån-ta Sarasvatî Prabhupåda e dai successivi åcårya della lineaGau∂îya Vaiß∫ava, era stata inserita la sezione che tratta deirasa-vicåra (passatempi più intimi del Signore). Tuttavia ilnostro riverito e santo maestro, Ûrîla Gurupåda-padma, perragioni specifiche pubblicò un'edizione contenente solo leprime due parti del libro, quelle che trattano rispettiva-mente di nitya-naimittika-dharma (occupazione tempora-nea ed eterna) e di sambandha (conoscenza completa dellaposizione costituzionale della jîva, della relazione tra K®ß∫ae la jîva e tra la jîva e la materia) , abhideya (i mezzi per rag-giungere il fine) e prayojana (il fine). Egli non pubblicò laterza divisione del libro, quella che tratta del rasa-vicara.

Più tardi tuttavia, quando la Ûrî KeΩava Gau∂îya Ma†hafu in procinto di pubblicare l'edizione in Hindi da Mathurå,Ûrîla Gurupåda padma personalmente sottopose a revisio-ne l'intero libro. Nell'introduzione a questa edizione egliistruisce i lettori a verificare innanzi tutto la propria qualifi-ca o le eventuali lacune e successivamente procedere concautela nello studio della terza divisione del libro, quella ri-guardante il rasa-vicåra; perciò, ora che tutte le tre parti dellibro sono state pubblicate insieme, non ho sentito necessa-rio fornire ulteriori chiarimenti.

Nel momento della stesura della Ûrî Caitanya-Caritåm®ta, nacque un dubbio nel cuore dell'autore, ÛrîK®ß∫adåsa Kaviråja Gosvåmî, sul fatto se fosse opportuno omeno presentare anche la discussione sul rasa-vicåra. Eglisi chiedeva se, includendo questo argomento nel libro, lepersone non competenti, leggendolo, avrebbero potuto ri-ceverne danno. Alla fine si decise ad includere il rasa-vicå-ra nel libro esprimendosi con le seguenti parole della Cai-tanya-Caritåm®ta (Adi 4.231-237):

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prendere questi argomenti, allora quale altra maggior fon-te di felicità si potrà mai trovare in tutti e tre i mondi? Quin-di, dopo aver reso omaggio ai devoti, rivelerò questo argo-mento senza più nessuna esitazione."

E' sempre inopportuno rivelare la confidenziale vraja-rasa alla moltitudine delle persone comuni, tuttavia, se nonvenisse spiegata, sicuramente vi sarebbe la possibilità discomparsa per questo sacro mistero. Sebbene gli alberi dineem e di mango siano presenti nello stesso giardino, uncorvo si posa sull'albero di neem e ne gusta i frutti amari,mentre il cucù, che possiede un gusto meglio discriminante,si posa sull'albero di mango per gustarne i dolci germogli ei fiori. Di conseguenza mi pare appropriato presentare an-che il rasa-vicåra (analisi del rasa).

Fino ad oggi nel mondo letterario Hindi è mancato un li-bro così eccezionalmente curato e comprensibile che spie-gasse, attraverso analisi comparative, le più elevate conclu-sioni filosofiche e gli straordinari metodi di adorazione ri-scontrabili nel dharma Vaiß∫ava. Il Jaiva-dharma ha soddi-sfatto questa aspettativa. Esso annuncia una nuova era nelmondo delle filosofie e delle religioni ed in particolare nelmondo del Vaiß∫avismo.

Ûrî KeΩavajî Gau∂îya Ma†haMathurå, U.P. 1989

Un aspirante ad una particella della misericordia di Ûrî ÛrîGuru e dei Vaiß∫ava

Tridandi BhikßuÛrî Bhaktivedånta Nåråya∫a

Ûrî Ûrîmad BhaktivedåntaNåråya∫a Mahåråja

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CAPITOLO UNOLe religioni eterne e le religioni temporanee dell'entità vivente

All'interno di questo universo, il sistema planetario me-diano, la cui forma ricorda il fiore di loto, è conosciuto comeBhü-ma∫∂ala. All'interno di Bhü-ma∫∂ala ci sono setteisole che si estendono in cerchi concentrici, come la corolladel fiore di loto. Al centro della corolla c'è l'isola diJambüdvîpa che, tra tutti i luoghi di Bhü-ma∫∂ala, è quellosupremo. A Jambüdvîpa la terra di Bhårata-varßa è premi-nente. All'interno di Bhårata-varßa la regione più impor-tante è Gau∂a-bhümi. A Gau∂a-bhümi il complesso di no-ve isole chiamato Ûrî Navadvîpa-ma∫∂ala si distingue. E al-l'interno di Ûrî Navadvîpa-ma∫∂ala vi è un meraviglioso vil-laggio chiamato Ûrî Godruma, per l'eternità situata sulla ri-va orientale del fiume Bhågîrathî.

In tempi antichi molti che praticavano costantemente ilbhajana vivevano all'interno dei boschetti di Ûrî Godruma.Fu qui che Ûrî Surabhi, una mucca dalle origini divine,adorò il Signore Supremo, Ûrî Gauracandra all'interno del-la sua dimora, ombreggiata da graziose piante rampicanti.Adiacente a questa dimora c'era Pradyumna-kuñja, doveun personale servitore di Ûrî Gauracandra, di nomePradyumna Brahmacårî, in tempi più recenti praticò ilbhajana. Un discepolo Ωikßå di Pradyumna Brahmacårî, ÛrîPremadåsa Paramahaµsa Båbåjî, viveva ora in quel postodentro una capanna coperta da viti e fitto fogliame, tra-scorrendo il suo tempo costantemente immerso nella divinaestasi del bhajana.

Sebbene Ûrî Premadåsa Båbåjî fosse un raffinato studio-

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Primo Capitolo

misericordiosi con questo spregevole peccatore." Poi, ri-volgendosi al sannyåsî †håkura gli disse: "Maestro, io sonoestremamente misero e vile. Perchè mi deridi così?"

Mettendo sulla propria testa la polvere dei piedi diBåbåjî MahåΩaya il sannyåsî si sedette davanti a lui. BåbåjîMahåΩaya gli offrì prontamente un seggio fatto con la cor-teccia del platano e, sedutosi accanto a lui, gli disse con vo-ce tremante d'amore: "Che servizio può offrirti questa in-degna persona?"

Il sannyåsî mise da parte il suo contenitore delle elemo-sine e, a mani giunte, supplicante, iniziò a parlare: "Mae-stro, io sono l'essere più sfortunato. A KåΩî e in altri luoghisanti ho passato il mio tempo dibattendo analiticamente sul-le conclusioni delle scritture ed ho studiato a fondo le Upa-nißad e gli altri Ωåstra Vedå∫ta così come i sei maggiori siste-mi filosofici: så∫khya, påtañjala, nyåya, vaiΩeßika, pürva-mîmåµså e uttara-mîmåµså. Dodici anni fa ho accettatol'ordine di rinuncia da Ûrî Saccidånanda Sarasvatî. Dopoaver ricevuto il bastone che rappresenta l'ordine di rinun-cia, ho visitato tutti i luoghi sacri, sempre in compagnia diquei sannyåsî provenienti da ogni luogo dell'India, che ade-riscono alla dottrina di Ûrî Ûaõkara. Dopo aver superato i primi tre stadi dell'ordine di rinuncia,conosciuti come ku†icaka, bahüdaka e haµsa, ho ottenutolo stadio più alto, quello di paramahaµsa. A Vårå∫asî hopreso il voto del silenzio ed ho aderito a quelle ingiunzionicontenute nelle Upanißad definite da Ûrî Ûaõkaråcårya co-me le principali tra gli assiomi dei Veda: 'ahaµ brahmåsmi(io sono Brahman), prajñånam brahma (la coscienza è ilBrahman),' e 'tat tvam asi' (tu sei Brahman). Tuttavia nonsono stato in grado di raggiungere quella felicità e quellasoddisfazione spirituale che stavo cercando.

"Un giorno un sådhu (uomo santo) Vaiß∫ava che canta-va ad alta voce i Santi Nomi ed i passatempi di Ûrî Hari ha

Jaiva-dharma

so, con un'esperienza assoluta di tutte le conclusioni dellescritture, prese rifugio nella foresta di Ûrî Godruma, consa-pevole di trovarsi in un luogo essenzialmente non differen-te da Ûrî Nandagråma. Come pratica giornaliera, BåbåjîMahåråja cantava il Santo Nome duecento mila volte e cen-tinaia di volte rendeva omaggio a tutti i Vaiß∫ava. Egli simanteneva in vita elemosinando nelle case dei pastori.Ogni volta che aveva un momento libero, non lo spendevain chiacchiere mondane ma nella lettura del libro Ûrî Pre-ma-vivarta, 'Le diverse manifestazioni dell'Amore Divino,'composto da Ûrî Jagadånanda, un compagno intimo di ÛrîGaurasundara.

A volte i devoti più vicini si riunivano ed ascoltavano conassorta devozione e con occhi pieni di lacrime le letture diBåbåjî. Perchè non avrebbero dovuto? Questo divino trat-tato contiene tutte le conclusioni sul råsa; è l'essenza liqui-da di condensate e integre emozioni trascendentali. In piùi devoti venivano sommersi dalle onde della dolcezza diBåbåjî, dalla sua voce risonante che, come una doccia dinettare, estingueva l'ardente veleno della sensualità dei lo-ro cuori.

Un pomeriggio, dopo aver completato il canto del SantoNome, Båbåjî MahåΩaya sedette sotto il pergolato all'om-bra del gelsomino e del mådhavî e si immerse in un oceanodi emozioni spirituali leggendo il Ûrî Prema-vivarta. Pro-prio in quel momento un mendicante, che apparteneva al-l'ordine di rinuncia, gli si avvicinò cadendo ai suoi piedi erimase ivi prostrato a lungo per rendergli omaggio. All'ini-zio Båbåjî MahåΩaya rimase assorto nella felicità dell'esta-si trascendentale, ma presto tornò alla sua coscienza ester-na e guardò il sannyåsî mahåtmå prostrato davanti a lui.Considerandosi più indegno ed insignificante di un filo d'er-ba, Båbåjî cadde davanti al sannyåsî ed iniziò a piangereesclamando: "O Caitanya! O Nityånanda! Vi prego, siate

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Primo Capitolo

Måyåpura appena da pochi giorni. Nella città di Måyåpuraho sentito parlare delle tue molte glorie e sono giunto quioggi per rifugiarmi ai tuoi piedi di loto. Ti prego, fà di que-sto tuo servitore l'oggetto della tua misericordia e soddisfacosì l'aspirazione della mia vita."

Paramahaµsa Båbåjî MahåΩaya si mise un filo d'erba trai denti e piangendo disse: "O Sannyåsî Êhåkura, io sonocompletamente indegno. La mia vita è stata sprecata nelriempirmi lo stomaco, nel dormire ed in futili discorsi. Loammetto, ho deciso di abitare in questo luogo sacro doveÛrî Krishna Caitanya ha manifestato i Suoi passatempi, manonostante il passare dei giorni, non sono in grado di gusta-re ciò che è conosciuto con il nome di k®ß∫a-prema (amoreper Krishna). Tu sei molto fortunato perchè, almeno per unistante, hai potuto gustare quel divino amore vedendo unVaiß∫ava. Sei un recipiente della misericordia di KrishnaCaitanyadeva. Se, quando proverai ancora quel sentimen-to d'amore, sarai così gentile da ricordare anche solo per unmomento questo peccatore caduto, allora anch'io potròraggiungere il successo."

Così parlando Båbåjî abbracciò il sannyåsî e lo bagnòcon le sue lacrime. Poichè stava toccando il corpo di unVaiß∫ava, Sannyåsî Mahåråja sentì nel suo cuore una feli-cità prima sconosciuta. Si mise a danzare e, danzando, si mi-se anche a cantare:

jaya Ωrî k®ß∫a-caitanya Ωrî prabhu nityånandajaya premadåsa guru jaya bhajana ånanda

'Tutte le glorie a Ûrî Krishna Caitanya e a Prabhu Nityå-nanda. Tutte le glorie al mio divino maestro Premadåsa eall'estasi del bhajana.'

Dopo aver cantato e fatto il kîrtana per qualche tempo,

Jaiva-dharma

incrociato la mia strada. Ho aperto gli occhi e l'ho visto ba-gnato da un torrente di lacrime e con i peli del corpo ritti,tanto era rapito dall'estasi. Con voce rotta dall'emozioneestatica cantava i Santi Nomi: 'Ûrî Krishna Caitanya, PrabhuNityånanda!' Mentre danzava i suoi piedi scivolavano espesso cadeva per terra. Vedendolo e ascoltando il suo can-to, nacque nel mio cuore un sentimento estatico così straor-dinario che non sono in grado di descrivertelo. Sebbenefossi invaso da quella esperienza mistica, non ho potutoconversare con lui, legato com'ero dalle restrizioni legate almio stato di paramahaµsa. Sia maledetto il mio rango e ilmio status! Sia maledetto il mio destino! Non so perchè,ma da quel giorno il mio cuore è rimasto attratto dai piedi diloto di Ûrî Krishna Caitanya.

"Poco tempo dopo fui tormentato dal desiderio di ritro-vare quel sådhu Vaiß∫ava ma, nonostante le mie continuericerche, non lo trovai da nessuna parte. Mi resi conto chenon avevo mai sperimentato prima d'allora l'incontamina-ta felicità che avevo sentito vedendolo e ascoltando il San-to Nome emanare dalla sua bocca. Non avevo mai saputoche si potesse sperimentare una tale felicità nel corso diun'esistenza umana. Dopo elaborate considerazioni, arri-vai alla conclusione che il più alto beneficio sarebbe statoper me quello di rifugiarmi ai piedi di loto dei Vaiß∫ava.

"Lasciai KåΩî e mi recai nella bellissima terra santa diV®ndåvana. Là vidi molti Vaiß∫ava che pronunciavano i no-mi di Ûrî Rüpa, Sanåtana e Jîva Gosvåmî con un sentimen-to che si esprimeva melodiosamente. Assorti in meditazio-ne sui passatempi di Ûrî Rådhå-Krishna ed immersi nel di-vino amore, essi pronunciavano il nome di Ûrî Navadvîpa esi rotolavano per terra. Vedendo e ascoltando tutto ciò,nacque in me il desiderio di recarmi al santo dhåma di Na-vadvîpa. Dopo aver fatto il periplo delle ottantaquattro mi-glia quadrate di Ûrî Vraja-dhåma partii e sono arrivato a Ûrî

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Primo Capitolo

bhajana, Paramahaµsa Båbåjî presentò Sannyåsî Êhåkuraal suo guru.

Brahmacårî Êhåkura disse con grande rispetto: "Mio ca-ro fratello, hai ottenuto il guru più qualificato. Devi stu-diare il libro Prema-vivarta sotto la guida di Premadåsa."

kibå vipra, kibå nyåsî, Ωüdra kene nayajei k®ß∫a-tattva-vettå, sei guru' haya

(Caitanya Caritåm®ta, Madhya 8.128)

'Colui che è completamente esperto in tutte le verità ri-guardanti la conoscenza trascendentale di Ûrî Krishna puòdiventare un guru, sia egli un bråhma∫a, un sannyåsî o unΩüdra.'

Sannyåsî Êhåkura umilmente offrì omaggi ai piedi di lo-to del maestro spirituale del suo maestro e disse: "Prabhu,tu sei un compagno intimo di Ûrî Caitanyadeva. Con il tuosguardo misericordioso puoi purificare centinaia di sannyå-sî arroganti come me. Ti prego, sii misericordioso con me."

Sannyåsî Êhåkura non aveva avuto precedenti esperien-ze su come comportarsi con i devoti. Osservando come sicomportavano il suo guru e il parama-guru, comprese qua-le doveva essere il comportamento devozionale appropria-to e da quel giorno in poi si comportò di conseguenza con ilsuo guru, senza nessuna falsità. Dopo aver partecipato al-l'åratî serale per la Divinità, i due tornarono a Ûrî Godru-ma.

Dopo aver trascorso alcuni giorni nel kuñja (boschetto),a Sannyåsî Êhåkura venne l'ansia di interrogare Para-mahaµsa Båbåjî sulle verità spirituali. Il sannyåsî aveva giàadottato tutti i modi dei Vaiß∫ava ad eccezione degli abiti.Dalla sua precedente esperienza, Sannyåsî Êhåkura avevasviluppato qualità come il pieno controllo della mente e dei

Jaiva-dharma

Premadåsa Båbåjî e Sannyåsî Êhåkura si calmarono e par-larono a lungo fra loro. Båbåjî disse alla fine con grandeumiltà: "Mahåtma, ti prego, rimani qui a Pradyumna-kuñjaper alcuni giorni, solo per purificarmi."

Il sannyåsî rispose: "Ho già offerto il mio corpo ai tuoipiedi di loto. Perchè stai parlando di pochi giorni? La miaardente preghiera è di poterti servire fino al momento in cuiabbandonerò questo corpo."

Sannyåsî Êhåkura era uno studioso erudito in tutte lescritture. Egli sapeva molto bene che accettare la guida diun precettore spirituale (guru), comporta il seguirne atten-tamente le istruzioni. Perciò prese ad abitare in quel bo-schetto con sua grande delizia.

Trascorsi alcuni giorni Paramahaµsa Båbåjî disse all'e-levato sannyåsî: "Mahåtma, Ûrî Pradyumna Brahmacårî miha misericordiosamente concesso di rifugiarmi ai suoi piedidi loto. Attualmente lui abita nel villaggio di Ûrî Devapal-lî, alla periferia di Ûrî Navadvîpa-ma∫∂ala, dove vive assor-to nell'adorazione di Ûrî N®siµhadeva. Oggi, dopo averchiesto l'elemosina, andremo là per avere il darΩana dei suoipiedi di loto."

Sannyåsî Êhåkura rispose: "Farò qualsiasi cosa tu michieda."

Dopo le due del pomeriggio attraversarono il fiumeAlakånandå e proseguirono fino ad arrivare a Ûrî Devapal-lî. Attraversarono poi il fiume Süryå†îlå finchè ebbero ildarΩana dei piedi di loto di Ûrî Pradyumna Brahmacårî chesi trovava nel tempio di Ûrî N®siµhadeva. ParamahaµsaBåbåjî cadde a terra e, pur da lontano, offrì prostrati omag-gi al suo guru. Colmo di affetto per il suo discepolo,Pradyumna Brahmacårî uscì dal tempio, rialzò Para-mahaµsa Båbåjî con entrambe le mani e lo abbracciò congrande amore, dopodichè si informò del suo stato di salute.Dopo aver parlato per un pò di argomenti riguardanti il

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Primo Capitolo

mådhavî di Pradyumna-kuñja, illuminato dai raggi rossastridel sole nascente, era indescrivibile.

Paramahaµsa Båbåjî stava seduto sopra un cuscino dicortecce di banani. Mentre recuperava la coscienza ester-na, iniziò a cantare il Santo Nome col suo japa. In quel mo-mento Sannyåsî Êhåkura si prostrò in omaggio ai piedi delBåbåjî, si sedette vicino a lui e, a mani giunte, con grandeumiltà prese a dire: "Maestro, questa anima caduta vorreb-be farti una domanda. Ti prego di rispondermi e di rappa-cificare la mia inquietudine. Che tu possa compiacerti nel-l'infondere il vraja-rasa nel mio cuore arso dal fuoco dellabrahma-jñåna (conoscenza rivolta all'impersonale Assolu-to, privo di forma, qualità e attività)."

Båbåjî rispose: "Tu sei la persona giusta. Qualsiasi do-manda mi sottoporrai, io ti risponderò al meglio delle miepossibilità"

Sannyåsî Êhåkura allora chiese: "Per molto tempo hosentito parlare della preminenza della religione. Ho do-mandato a molte persone: 'Cos'è la religione?', ma sfortu-natamente le risposte che ho ricevuto contrastano l'una conl'altra. Dimmi, ti prego, qual è la religione o la vera naturacostitutiva (dharma) delle entità viventi? Perchè i vari in-segnanti danno diverse versioni del significato di religione?Se la religione è una, perchè tutti gli eruditi che insegnanonon coltivano quell'unica religione universale?"

Paramahaµsa Båbåjî si concentrò sui piedi di loto delSupremo Signore Ûrî Krishna Caitanya e rispose: "Personafortunata, ti dirò quali sono i principi della religione, perquel che la mia conoscenza mi concede. L'eterna natura diun vastu o di un oggetto veramente duraturo, è il suo dhar-ma eterno. La natura nasce dalla struttura elementare di unoggetto (gha†ana). Per volontà di Krishna, quando un og-getto viene creato, all'interno della sua struttura viene do-tato di una particolare natura che è il suo eterno fattore con-

Jaiva-dharma

sensi, ed era fermamente convinto della concezione nonduale ed onnipervadente dell'Assoluto o brahma-ni߆hå. Inpiù, aveva ora acquisito una fede assoluta nei trascenden-tali passatempi del Supremo Signore, Parabrahma, ed eradiventato anche molto umile.

Una mattina, dopo le abluzioni col sorgere del sole, Pa-ramahaµsa Båbåjî si sedette sotto il pergolato di mådhavî acantare l'Harinåma col suo tulasî-målå. In quel momento iniΩånta-lîlå di Ûrî Rådhå-Krishna Yugala (i passatempi del-l'alba), gradualmente si manifestarono nel suo cuore. Poi-chè questo è il momento in cui Ûrî Ûrî Rådhå-K®ß∫a si sepa-rano, lasciano il kuñja e tornano alle rispettive dimore, Pa-ramahaµsa Båbåjî sentiva grande dolore per la separazio-ne e lacrime d'amore scendevano ininterrottamente daisuoi occhi. Mentre era assorto in meditazione su questo di-vino passatempo, era anche interiormente impegnato, nel-la sua forma spirituale perfetta, nel servizio appropriato perquel momento della giornata, ed aveva perciò perso co-scienza del suo corpo fisico. Accattivato dallo stato diBåbåjî, Sannyåsî Êhåkura si sedette al suo fianco e osservòi suoi såttvika-bhåva, i trascendentali sistomi dell'estasi.

Improvvisamente Paramahaµsa Båbåjî gli disse: "Sakhî,fà subito tacere quella scimmia Kakkatî, altrimenti sveglieràRådhå-Govinda dal Loro piacevole sonno; Lalitå-sakhî nesarà molto turbata e mi rimprovererà. Guarda là! AncheAnaõga Mañjarî ti dice di farlo. Tu sei Ramana Mañjarî equesto è il servizio a te affidato; svolgilo con attenzione!"

Dopo aver parlato così, Paramahaµsa Båbåjî perse co-scienza e cadde. Da quel momento Sannyåsî Mahåråja, ve-nuto a conoscenza della sua identità spirituale e del suo ser-vizio, vi si dedicò interiormente. Così il giorno nacque e laluce dell'aurora, diffondendosi, illuminò l'oriente. Gli uc-celli presero a cinguettare melodiosamente da ogni parte esi levò una brezza gentile. La bellezza del cespuglio di

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Primo Capitolo

la radice verbale 'vas' che significa esistere, dimorare o per-manere in qualsiasi circostanza. A questa viene aggiunto ilsuffisso 'tu' che, deverbalizzando la radice, forma un so-stantivo. Quindi, ciò che esiste ed è chiaramente definito diper sè, viene chiamato vastu. Da vastu derivano: våstava,per indicare una sostanza eternamente esistente e perma-nente; e avåstava, ad indicare ciò che è temporaneo, che nonesiste permanentemente ma è solo il prodotto di una circo-stanza. Våstava vastu, la sostanza che ha un'esistenza reale,è quella che ha origine nella trascendenza. Avåstava vastu,gli oggetti temporanei, sono quei fenomeni materiali chepossono essere classificati come: dravya (oggetti palpabili),gu∫a (qualità intrinseche), e così via. E' reale ciò che esisteeternamente; è irreale ciò che ha solo una parvenza di esi-stenza, perchè temporaneo.

"Nello Ûrîmad-Bhågavatam (1.1.2) sta scritto:

vedyaµ våstavam atra vastu Ωivadam

'Solamente una sostanza permanente, che è in relazionealla Suprema Verità Assoluta e che genera suprema auspi-ciosità, è meritevole di essere conosciuta.'

"Da questa affermazione si capisce con chiarezza che so-lamente la sostanza reale è trascendentale. Il Supremo Si-gnore Bhagavån è la sola våstava vastu, entità reale. La jî-va o entità vivente, è una distinta ed individuale particelladi quella entità. Måyå, l'energia che produce illusione, è lapotenza di quella entità. Perciò la parola vastu si riferisce atre fondamentali principi: Bhagavån, la jîva e måyå. La co-noscenza della reciproca relazione tra questi tre principi èconosciuta come Ωuddha-jñana, conoscenza pura. Ci sonoinnumerevoli manifestazioni di questi tre principi nell'am-bito delle avåstava vastu, sostanze temporanee ed irreali.

Jaiva-dharma

genito. Questa natura è il dharma eterno di quell'oggetto. "Quando, per forza di cose o per il contatto con un altro

oggetto, all'interno di quell'oggetto avviene un cambia-mento, la sua natura si distorce o si altera. Col passare deltempo questa natura distorta si consolida e sembra diven-tare permanente, come se fosse la natura eterna di quel-l'oggetto. Ma questa natura distorta non è la vera natura(svabhåva); essa viene definita nisarga, la natura che si ac-quisisce attraverso un contatto assiduo e protratto a lungonel tempo. Occupando il posto della natura reale, questanisarga finisce per venir identificata come vera natura osvabhåva.

"Per esempio: l'acqua è un oggetto e la liquidità è la suasvabhava. Quando, in determinate circostanze, l'acqua sisolidifica diventando ghiaccio, la natura solida acquisita agi-sce al posto della sua vera natura costitutiva, ma in realtàquesta natura acquisita non è eterna, è occasionale o tem-poranea. Essa nasce a causa del gelo ma, quando vien me-no la causa, la natura occasionale svanisce automaticamen-te. La svabhåva è invece eterna; anche se può distorcersi,essa rimane inseparabilmente connessa con il suo oggetto.Col tempo e le circostanze appropriate, la vera natura vie-ne automaticamente ristabilita.

"La vera natura di un oggetto è il suo nitya-dharma, lafunzione eterna; mentre la natura acquisita è il suo naimit-tika-dharma, la funzione occasionale. Coloro che hanno va-stu-jñåna, vera conoscenza degli oggetti, possono determi-nare qual è la differenza tra dharma eterno e dharma occa-sionale. Coloro che non hanno questa conoscenza conside-rano la natura acquisita come vera natura e di conseguenzaconsiderano il dharma temporaneo come eterno."

Sannyåsî Êhåkura chiese: "Quali sono i significati delleparole vastu e svabhåva?"

Paramahaµsa Båbåjî disse: "La parola vastu deriva dal-

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Primo capitolo

stu. Egli viene spesso paragonato al sole del regno spiritua-le. Le jîve sono particelle atomiche di luce presenti all'in-terno dei raggi del sole Krishna. Quando è detto che le jîvesono innumerevoli ed individuali particelle di Krishna, nonsignifica che esse sono come i pezzi di pietra che formanouna montagna. Sebbene innumerevoli jîve emanino da ÛrîKrishna, Egli non ne viene per nulla diminuito. Per questaragione i Veda, da un certo punto di vista, hanno paragona-to le jîve alle favelle del fuoco. In realtà il paragone non èadeguato. Non ci sono paragoni, ma le scintille di un fuocoardente, le particelle di raggi di sole o l'oro prodotto da po-tenti gioielli mistici, sono esempi che rendono l'idea. La ve-ra natura della jîva viene facilmente rivelata nel cuore soloquando si abbandona la concezione materiale di questi pa-ragoni.

"Krishna è b®hat-cit-vastu, infinita sostanza spirituale,mentre le jîve sono anu-cit-vastu, infinitesimale sostanza spi-rituale. Sebbene siano identiche relativamente al cit-dhar-ma, o coscienza spirituale, le loro singole nature sono in-dubbiamente differenti in virtù della loro rispettiva com-pletezza ed incompletezza. Krishna è l'eterno Signore del-le entità viventi e le jîve sono eterne servitrici di Krishna. Sideve notare che questa interrelazione è naturale. Krishna ècolui che attrae e le jîve vengono attratte. Krishna è il su-premo governante e le jîve sono governate. Krishna è l'os-servatore e le jîve sono osservate. Krishna è il tutto com-pleto e le jîve sono povere ed insignificanti. Krishna è il su-premo essere potente e le jîve sono prive di potere indipen-dente. Per questo motivo k®ß∫a-dåsya, servizio e devozionea Krishna, è l'eterno svabhåva o dharma di una jîva."

"Krishna è munito di illimitate potenze. La Sua poten-za completa (pür∫a-Ωakti) si osserva nel mondo spirituale,cit-jagat. Similmente la Sua ta†asthå-Ωakti o potenza margi-nale, si estrinseca quando le jîve vengono create. Una po-

Jaiva-dharma

La classificazione del fenomeno in varie categorie comedravya (oggetti) e gu∫a (qualità), che viene insegnata nellascuola filosofica VaiΩeßika, è una semplice esposizione del-la natura degli avåstava vastu, oggetti temporanei.

"Le viΩeßa-gu∫a, o caratteristiche specifiche di una qual-siasi sostanza esistente e reale, costituiscono la sua effetti-va natura. La jîva è un'entità reale e la sua peculiare qua-lità di essere eterna è la sua vera natura."

A questo punto Sannyåsî Êhåkura disse: "Maestro, vor-rei capire questo argomento con molta chiarezza."

Båbåjî MahåΩaya disse: "Ûrîla K®ß∫adåsa Kaviråja Go-svåmî, che fu oggetto della misericordia di Ûrî NityånandaPrabhu, mi mostrò un manoscritto stilato di suo pugno. Iltitolo di quell'opera divina è Ûrî Caitanya Caritåm®ta. Inquel libro Ûrîman Mahåprabhu ci ha istruito su questo sog-getto (C.C. Madhya 20.108, 117):

jîvera 'svarüpa' haya-k®ß∫era 'nitya-dåsa'k®ß∫era 'ta†asthå-Ωakti', bhedåbheda-prakåΩa'

'La natura costitutiva dell'entità vivente è quella di ser-vitrice eterna di Ûrî Krishna; l'entità vivente è la potenzamarginale di Krishna ed è simultaneamente uguale e diffe-rente da Lui.'

k®ß∫a bhüli sei jîva anådi-bahirmukhaataeva måyå tåre deya saµsåra-du˙kha

'Essendo priva del ricordo di Krishna, l'entità vivente èstata racchiusa nella potenza esterna da tempo immemora-bile; perciò la potenza illusoria, nel corso dell'esistenza ma-teriale, gli procura ogni tipo di miseria.'

"Krishna è la sostanza trascendentale completa, cit-va-

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Primo Capitolo

gavån, jîva e måyå, sono: essenziali, reali ed eterne. Tra es-se, Bhagavån è il principio supremo ed eterno, fondamen-to degli altri due. Ciò è confermato dalla seguente affer-mazione della Ûrî Ka†hopanißad (2.2.13):

nityo nityånåm cetanaΩ cetanånåm

'Egli è il supremo, eterno tra gli eterni, e l'essere sen-ziente di fondamento a tutte le entità senzienti.'

"La jîva è per natura sia eterna servitrice di Krishna chemanifestazione della Sua potenza marginale. Questa con-siderazione porta a concludere che la jîva è simultanea-mente distinta e non separata da Bhagavån. Essa è cono-sciuta quindi come bhedåbheda-prakåΩa, una manifesta-zione sia differente che uguale. La jîva è soggetta al domi-nio di måyå, ma Bhagavån è il dominatore di måyå. Qui di-mora l'eterna distinzione tra jîva e Bhagavån. Dall'altraparte la jîva è per natura costitutiva un'entità trascenden-tale, cit-vastu, e anche Bhagavån è per natura cit-vastu. Inpiù la jîva è un'energia speciale di Bhagavån. In questoaspetto giace l'eterna non distinzione tra loro. Se vi è si-multaneamente eterna distinzione e non distinzione, alloral'eterna distinzione prevale.

"Il servizio a Krishna è il dharma eterno della jîva. Di-mentica di ciò la jîva finisce sotto il dominio di måyå. Inquell'esatto momento la jîva si separa da Krishna. Poichèquesta indifferenza per il Signore inizia nel momento del-l'entrata nel mondo illusorio, non esiste storia della cadutadella jîva con riferimento al tempo materiale. Perciò ven-gono usate le parole anådi-bahirmudha, a significare che lajîva è separata da tempo immemorabile. Dal momento incui avviene questa separazione e la jîva viene coperta damaya, il suo dharma eterno si distorce. Con måyå la jîva svi-

Jaiva-dharma

tenza speciale agisce in unione al mondo finito (apür∫a-ja-gat), potenza conosciuta come ta†asthå-Ωakti. L'azione del-la potenza marginale crea un'entità (vastu) collocabile tragli oggetti animati (cit-vastu) e gli oggetti inanimati (acit-va-stu) e perciò essa può relazionarsi con entrambi i mondi,spirituale e materiale. Le pure entità trascendentali sonodiametralmente differenti dagli oggetti inanimati, perciòper natura non hanno nessuna connessione con questi og-getti. Sebbene la jîva sia una particella spirituale animata,essa è capace di relazionarsi con la materia inerte per in-flusso di una potenza divina aiΩî-Ωakti, più conosciuta cometa†asthå-Ωakti.

"La regione che sta tra la terra e l'acqua di un fiume èchiamata ta†a o riva. Questa ta†a può essere considerata siaterra che acqua; in altre parole essa si trova in entrambe. Lapotenza divina di cui abbiamo parlato (aiΩî-Ωakti), situatanella regione di confine, ha sia le proprietà della terra chequelle dell'acqua racchiuse in un'unica entità. La naturadella jîva è spirituale ed animata, ma nonostante ciò la suacomposizione è tale che essa può finire sotto il controllo del-la materia inerte.

Perciò la jîva, al contrario delle pure entità trascenden-tali del regno spirituale, non è del tutto disgiunta dalla ma-teria ma, a causa della sua natura spirituale, è anche ben di-stinta dalla materia inerte. Di conseguenza, poichè è diffe-rente sia dalle entità spirituali pure che dalla materia inerte,la jîva viene classificata come un'entità separata. Quindinon va mai dimenticata l'eterna distinzione tra Signore Su-premo e jîva.

"Bhagavån è il supremo governante di måyå, la potenzaesterna del Signore che genera illusione e che si trova sottoil Suo pieno controllo. La jîva è soggetta all'influenza dimåyå; ciò comporta che in determinate circostanze essa puòvenire controllata da måyå. Quindi queste tre entità: Bha-

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CAPITOLO DUELa funzione della jîva è pura ed eterna

La mattina successiva Sannyåsî Êhåkura non ebbe do-mande da porre a Premadåsa Båbåjî che era interiormenteimmerso nel nettare del servizio con il sentimento degli abi-tanti di Vraja. A mezzogiorno, dopo aver preso del cibo of-ferto dagli abitanti del villaggio, si sedettero entrambi in uncespuglio coperto da un naturale riparo costituito da un in-treccio di piante mådhavî e målatî. Colmo di compassione,Paramahaµsa Båbåjî MahåΩaya iniziò a parlare: "Miglioretra i devoti, a quali conclusioni sei giunto dopo il nostro par-lare di ieri sul dharma?"

A questa domanda Sannyåsî Êhåkura rispose con gran-de gioia: "Maestro, se la jîva è infinitesimale come può il suodharma eterno essere completo e non adulterato? E se lanaturale funzione della jîva si forma solo nel momento incui viene generata, come la si può definire eterna?"

Ascoltate queste due domande, Paramahµsa Båbåjî me-ditò sui piedi di loto di Ûrî Ûacînandana e poi, sorridendo,prese a parlare: "Rispettabile signore, sebbene la jîva sia in-finitesimale (anupadårtha) il suo dharma è completo, nonadulterato ed eterno. La sua natura minuta è solamenteuna caratteristica per identificarla. Esiste solo una sostan-za infinita (b®had-vastu) e quella è il Brahman Supremo, ÛrîK®ß∫acandra.

“Le jîve sono le Sue particelle atomiche e, proprio comele scintille incessantemente emanano dal fuoco, così le jîveemanano da Krishna, personificazione della coscienza im-mutabile. Proprio come ogni scintilla ha la potenza del fuo-

Jaiva-dharma

luppa una natura acquisita, nisarga, che facilita il manife-starsi della sua funzione temporanea conosciuta come nai-mittika-dharma. La funzione eterna o nitya-dharma, è una,indivisibile e perfetta in ogni situazione. La funzione tem-poranea o naimittika-dharma, assume differenti aspetti infunzione delle varie circostanze e viene descritta in modi di-versi da persone che hanno differenti opinioni."

Dopo aver così parlato, Paramahaµsa Båbåjî non andòoltre e iniziò a recitare l'Harinama japa. Sannyåsî Êhåkuraoffrì omaggi prostrati dopo aver ascoltato questa spiega-zione riguardante le verità spirituali e disse: "Maestro, oggidesidero meditare su questi argomenti. Domani presenteròai tuoi piedi di loto le domande che potranno nascere."

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Secondo Capitolo

eterno. La jîva, anch'essa vastu, per sua essenziale costitu-zione, è minuta, è una particella, è soggetta alla contamina-zione e alla mutevolezza. Nonostante tutto però, per virtùdel dharma della jîva o della funzione spirituale non adul-terata, anch'essa è completa, pura ed eterna.

“Finchè la jîva è pura, la sua funzione spirituale manife-sta il suo carattere immacolato. Quando però si contaminaper il coinvolgimento con måyå, la sua vera natura si alteraed essa diventa impura, senza un rifugio ed oppressa dallafelicità e dal dolore materiali. Il corso dell'esistenza mate-riale della jîva diventa effettivo nel momento in cui l'attitu-dine a servire Krishna viene dimenticata.

"Finchè la jîva resta pura, essa si identifica con la sua fun-zione non adulterata. Il suo ego è quindi radicato nella con-cezione di essere una servitrice di Krishna. Ma non appenasi contamina nel contatto con måyå, quell'ego puro recedeed assume forme diverse. A causa del legame con måyå, lapura identità spirituale della jîva viene coperta dal corpogrossolano e sottile. Di conseguenza nel corpo sottile(li∫ga-Ωarîra), emerge un ego diverso. Quando questo egosi combina con la convinzione della jîva di essere il corpogrossolano (sthüla-Ωarîra), essa assume allora un terzo tipodi ego.

Nella sua forma spirituale pura la jîva è essenzialmenteed esclusivamente una servitrice di Krishna. Nel corpo sot-tile la jîva si considera invece come la fruitrice dei frutti del-le proprie azioni. In quel momento la concezione di essereuna servitrice di Krishna viene coperta a causa della suaidentificazione con il corpo sottile. La jîva viene dotata al-lora di un corpo grossolano e pensa: 'Sono un bråhma∫a, so-no un re, sono povero, sono miserabile, sono travolto dallamalattia e dal dolore, sono una donna, sono il capo di mol-te persone.' In questo modo essa si identifica con molti ediversi tipi di concezioni corporali grossolane.

Jaiva-dharma

co da cui deriva, ciascuna jîva possiede quelle caratteristi-che che manifestano la funzione completa della coscienza.Una singola scintilla se va in contatto con qualcosa di in-fiammabile, può dar vita ad un fuoco ardente capace di in-cenerire il mondo intero.

“Similmente, persino una singola jîva può portare unagrande inondazione di amore se riesce ad ottenere ÛrîK®ß∫acandra, che è il vero oggetto del suo amore. Ma fin-chè non entra in contatto con il vero oggetto della sua fun-zione spirituale (dharma-vißaya), l'infinitesimale e coscien-te jîva è incapace di manifestare il naturale sviluppo di quel-la funzione: soltanto quando entra in contatto con il suoobiettivo, la funzione spirituale dell'anima viene alla luce.

"Qual è il nitya-dharma o la funzione costitutiva eternadella jîva? Devi considerare con attenzione questa doman-da. L'eterna funzione per la quale esiste la jîva è prema, ildivino amore per Dio. La jîva è di una sostanza trascen-dentale rispetto alla materia inerte; e ciò di cui essa è costi-tuita è la coscienza. L'amore divino è la sua eterna funzio-ne ed il servizio a Krishna è ciò che viene designato comedivino amore. Perciò questo servizio, che è della natura diprema, è la funzione costitutiva della jîva.

"La jîva esiste in due stati: Ωuddhåvasthå, puro stato li-berato e baddhåvasthå, stato condizionato. Nello stato li-berato la jîva è unicamente cinmaya, il che significa che pos-siede un corpo spirituale ed una totale coscienza spirituale.In questo stato la jîva non ha nessuna connessione con lamateria. Tuttavia, anche nello stato liberato, la jîva restapur sempre un'entità infinitesimale.

"La jîva, essendo caratterizzata dalla infinitesimalità,può intraprendere un cambiamento di condizione. Krishnaper Sua stessa natura di entità cosciente infinita, non intra-prende mai un cambiamento di condizione. Egli vastu, perSua essenziale costituzione, è grande, completo, puro ed

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Secondo Capitolo

dharma, che è quello prevalente in India, è l'esempio idea-le di nitya-dharma. Il dharma insegnato al mondo da Bha-gavån Ûacînandana, Signore del nostro cuore, è l'originaledharma Vaiß∫ava. E' per questa ragione che grandi perso-nalità assorte nell'estasi del divino amore lo hanno fattoproprio e lo hanno praticato."

A questo punto Sannyåsî Êhåkura a mani giunte disse:"Maestro, non cesso mai di constatare la suprema eccellen-za dell'immacolato dharma Vaiß∫ava rivelato da Ûrî Ûacî-nandana. Ho realizzato chiaramente la sdegnosa naturadella dottrina monistica formulata da Ûrî Ûaõkaråcårya; manella mia mente è nata una domanda che sento di doverporre ai tuoi piedi di loto. Il mahåbhåva, il più alto stadiodi prema manifestato dal Signore Caitanya, è diverso dallostadio di perfetta unione con l'Assoluto, l'advaita-siddhi?"

Sentendo il nome di Ûrî Ûaõkaråcårya, ParamahaµsaBåbåjî offrì prostrati omaggi all'åcårya e disse: "Rispetta-bile signore, devi sempre ricordare che Ûaõkaråcårya non èaltri che Mahådeva-Ûaõkara o Ûiva. Ciò viene espresso nel-l'affermazione: 'Ωaõkara˙ Ωaõkara˙ såkßåt - Ûaõkara è unguru per i Vaiß∫ava'. Per questa ragione Mahåprabhu hafatto riferimento a lui come åcårya, precettore spirituale.Per parte sua Ûrî Ûaõkara fu un perfetto Vaiß∫ava.

"Nel momento in cui Ûrî Ûaõkara apparve in India, vi eragrande bisogno di un gu∫åvatåra come lui, di un'incarna-zione che presiede le qualità della natura materiale. In In-dia lo studio delle scritture Vediche e la pratica delvar∫åΩrama-dharma erano stati praticamente abbandonatiper l'influenza della filosofia nichilista del Buddhismo.

“Il nichilismo, conosciuto come Ωünyavåda, si oppone te-nacemente alla concezione di Dio come persona. Sebbeneaccetti parzialmente il principio di jîvåtmå, entità coscientedell'essere vivente o anima spirituale, è un esempio estre-mo di anitya-dharma o religione non permanente. In effet-

Jaiva-dharma

"La funzione costitutiva della jîva si altera combinando-si con questi vari tipi di falso ego. Il puro prema è losvadharma della jîva pura. La manifestazione alterata diprema si manifesta nel corpo sottile sotto forma di felicità edolore, attaccamento e avversione e così via. Questa de-viazione si manifesta nel corpo grossolano con aspetti an-cora più evidenti quali il piacere del mangiare, di bere e digodere sessualmente. Voglio ti sia del tutto chiaro che lafunzione eterna della jîva, conosciuta come nitya-dharma,si manifesta solamente quando la jîva è nel suo stato puro.

“Il dharma dello stato condizionato è conosciuto comenaimittika, temporaneo. Il nitya-dharma è per sua naturacompleto, puro ed eterno. Spiegherò compiutamente il nai-mittika-dharma un altro giorno.

"Il puro dharma Vaiß∫ava, come è stato descritto nelloÛrîmad-Bhågavatam, è il nitya-dharma. I vari tipi di dharmache vengono propagati in questo mondo possono essere di-visi in tre categorie: i nitya-dharma, i naimittika-dharma egli anitya-dharma. Tutte le religioni nelle quali non vi è laconcezione del Supremo Signore e non viene accettata l'e-ternità dell'anima, sono definite anitya-dharma, religioninon permanenti.

“Quelle religioni che riconoscono l'esistenza del SignoreSupremo e l'eternità dell'anima, ma che si sforzano di otte-nere la misericordia del Signore solo attraverso metodiprovvisori sono naimittika-dharma, religioni temporanee oprocedure di elevazione, come per esempio il karma, il jñå-na e lo yoga. Le religioni che si sforzano di servire l'infini-tamente affascinante ed incantevole Supremo Signore at-traverso il puro prema, sono conosciute come nitya-dhar-ma.

"Sebbene il nitya-dharma venga identificato con diffe-renti nomi a seconda dei differenti paesi, razze e linguaggi,esso è uno ed è apportatore di supremi benefici. Il Vaiß∫ava

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Secondo Capitolo

il metodo per purificare il cuore ed ottenere la liberazione.Ûaõkara non si è pronunciato però su ciò che concerne ladestinazione straordinaria della jîva dopo che si è liberata.

"Ûaõkara era del tutto consapevole che se le jîve fosserostate guidate ad imboccare seriamente la via della libera-zione mediante l'adorazione di Hari, gradualmente sareb-bero state attratte dal piacere del bhajana e sarebbero quin-di diventate pure devote. Per questa ragione Ûaõkara si li-mitò ad indicare la via ma non rivelò i segreti intimi deldharma Vaiß∫ava. Coloro che hanno studiato con scrupo-losa attenzione i commentari di Ûaõkara possono afferrareil senso profondo delle sue intenzioni. Coloro invece che sifermano all'aspetto esteriore dei suoi insegnamenti, restanolontani dalla soglia del dharma Vaiß∫ava.

"Lo stadio perfetto di unione assoluta con Dio cono-sciuto come advaita-siddhi e quello di prema, possono esse-re ritenuti identici da un certo punto di vista, ma l'interpre-tazione ristretta dell'unità perfetta con l'Assoluto è certa-mente differente dal significato di prema. Devi capire be-ne cosa si intende per prema. La funzione non adulterataattraverso cui un'entità trascendentale viene spontanea-mente attratta da un'altra entità trascendentale è conosciu-ta come prema.

“Prema non può essere effettivo finchè due entità spiri-tuali vivono un'esistenza separata. Il dharma attraverso cuitutte le entità spirituali vengono eternamente attratte versola Suprema Entità spirituale, Ûrî K®ß∫acandra, è conosciutocome k®ß∫a-prema. L'eterna esistenza separata diK®ß∫acandra, l'eterna esistenza separata delle jîve e la ten-denza delle jîve a cercarLo, sono le tre verità eterne che co-stituiscono l'essenza su cui poggia prema. La presenza ditre ingredienti separati: colui che gusta, l'oggetto che vienegustato e l'atto di gustare, costituisce un fatto. Se colui chegusta prema e l'oggetto da gustare fossero la stessa cosa,

Jaiva-dharma

ti i bråhma∫a di quell'epoca erano diventati tutti Buddhistied avevano abbandonato il dharma Vedico. Ûaõkaråcårya,incarnazione straordinariamente potente di Mahådeva, ap-parve allora per ristabilire la rispettabilità delle scritture Ve-diche, convertendo la dottrina Ωünyavåda del nichilismo inquella brahmavåda dell'indistinto Brahman. Questo fu unfatto non comune. L'India rimarrà per sempre in debitocon Ûrî Ûaõkaråcårya per questo importante contributo.

"In questo mondo tutte le attività possono venir giudi-cate secondo due differenti criteri: alcune sono relative adun particolare periodo di tempo (tåtkålika) ed altre sono ap-plicabili a tutti i tempi (sårvakålika). Il lavoro diÛaõkaråcårya fu relativo ad un particolare periodo di tem-po. Attraverso la sua opera si ottenne un enorme benefi-cio. Ûaõkaråcårya gettò le fondamenta sulle quali grandiåcårya come Ûrî Råmanujåcårya e Ûrî Madhvåcårya eresse-ro l'edificio del puro dharma Vaiß∫ava. PerciòÛaõkaråcårya fu un grande amico e un åcårya pioniere deldharma Vaiß∫ava.

"Ora i Vaiß∫ava possono raccogliere facilmente il fruttodei precetti filosofici insegnati da Ûaõkaråcårya. Per le jîveche sono prigioniere della materia c'è un grande bisogno disambandha-jñåna, la conoscenza dell'imprigionamento del-l'anima nella natura materiale e della sua relazione con ilSupremo Signore. Sia Ûaõkaråcårya che i Vaiß∫ava con-cordano sul fatto che in questo mondo materiale le entitàsenzienti sono completamente distinte e separate dai corpimateriali sia sottili che grossolani, che le jîve hanno un'esi-stenza spirituale e che la liberazione o mukti implica l'ab-bandono di tutte le connessioni con questo mondo mate-riale.

Fino al punto della liberazione, c'è grande affinità tra ladottrina di Ûaõkara e quella degli åcårya Vaiß∫ava. Ûaõka-ra ha persino insegnato che l'adorazione del Signore Hari è

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Secondo Capitolo

un'illusione. Sono così giunti alla conclusione che prema ele sue varie manifestazioni sono illusorie e che la conoscen-za della non dualità o advaita-jñåna, è al di là dell'influenzadi måyå. La loro concezione errata di advaita-siddhi o uni-tarietà, non può mai essere paragonata a prema.

"Il prema che il Signore Caitanyadeva insegnò al mondoa gustare e che Egli personalmente dimostrò con il Suocomportamento e le Sue attività, è totalmente al di là dellagiurisdizione di måyå ed è il più alto grado di sviluppo delpuro stato di perfetta unione. La condizione nota comemahåbhåva è una manifestazione speciale di questo prema.In questa condizione, la felicità trascendentale di k®ß∫a-pre-ma è straordinariamente potente. Perciò sia la separazioneche l'intima relazione del conoscitore e dell'oggetto dellaconoscenza, sono elevate ad un livello senza precedenti. Lateoria non consequenziale måyåvåda non può essere di unaqualche utilità per comprendere il contenuto di prema in unqualsiasi suo stadio."

Sannyåsî Êhåkura con grande reverenza disse: "Maestro,il mio cuore è profondamente scosso per aver realizzato chela dottrina måyåvåda è così insignificante. Per tua miseri-cordia oggi sono stati dissolti tutti i dubbi al riguardo e sen-to un intenso desiderio di abbandonare gli abiti da sannyå-sî måyåvådî."

Båbåjî MahåΩaya disse: "Mahåtmå, ti consiglio di nonavere nè attaccamento nè avversione per gli abiti esteriori.Quando il dharma, cioè la funzione spirituale del tuo cuo-re, verrà purificata, i tuoi abiti esteriori saranno facilmentee naturalmente adeguati. Dove vi è troppa preoccupazio-ne per le apparenze esterne ci si distrae dalla funzione inte-riore dell'anima. E' mia opinione che prima di tutto debbapurificarti il cuore poi, quando l'attaccamento al compor-tamento esteriore di sådhu si svilupperà, potrai cambiare ituoi abiti senza avvertire mancanza alcuna.

Jaiva-dharma

prema non potrebbe essere una realtà eterna."Se l'unione perfetta con l'assoluto o advaita-siddhi, vie-

ne definita come lo stato puro di un'entità trascendentalepriva di ogni relazione con la materia inerte, allora di pre-ma e advaita-siddhi si potrebbe parlare come di una mede-sima cosa.

“Ma gli studiosi che oggi hanno adottato la dottrina diÛaõkara, non sono soddisfatti dell'idea che l'unitarietà im-plicita nell'advaita-siddhi si riferisca all'unione con la natu-ra spirituale o cit-dharma. Con i loro tentativi di stabilireche le entità spirituali (cit-vastu) diventano uno, finisconoper trascurare la vera concezione filosofica della non di-stinzione esposta nei Veda e propagano al suo posto unaconcezione distorta. Poichè questa concezione si contrap-pone a quella dell'eternità di prema, i Vaiß∫ava hanno di-chiarato che questa filosofia è contraria ai Veda.

"Ûaõkaråcårya descrisse lo stato di non distinzione sem-plicemente come una condizione non adulterata di sostan-za spirituale, ma i suoi attuali seguaci, incapaci di compren-dere le intenzioni profonde del loro guru, hanno finito perrovinare la sua reputazione. Descrivendo i vari stati di pre-ma come un fenomeno illusorio, essi hanno fondato in que-sto mondo una dottrina veramente degradata che va sotto ilnome di måyåvåda.

"Di base i Måyåvådî negano l'esistenza di qualsiasi cosache non sia l'unica sostanza spirituale. Essi negano ancheche la funzione di prema esista all'interno di quella sostan-za spirituale. Dichiarano inoltre che, finchè Brahman restain uno stato di unità, si trova al di là di måyå. Quando Brah-man si incarna e prende varie forme come jîve, diventa som-merso da måyå. Di conseguenza essi considerano la formadel Signore, che è eternamente pura ed è costituita da co-scienza condensata, come una manifestazione illusoria. Es-si credono anche che l'identità individuale della jîva sia

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Secondo Capitolo

ligione, non due o molte. Le jîve hanno una sola religioneed è quella conosciuta come il dharma Vaiß∫ava. La reli-gione non può cambiare per le differenze di linguaggio, pae-se o razza. Le persone possono riferirsi al jaiva-dharma ofunzione costitutiva della jîva, con nomi diversi, ma nonpossono crearne una differente. Il puro amore spiritualeche l'entità vivente nutre per l'Entità Suprema è conosciu-to come jaiva-dharma. Poichè le entità viventi possiedonodifferenti nature materiali, questo jaiva-dharma appare di-storto essendosi fuso in svariate forme mondane. E' perquesta ragione che è stata utilizzata la definizione 'Vaiß∫avadharma', per identificare la forma pura del jaiva-dharma.La purezza di ogni religione la si può misurare in base algrado di Vaisnava-dharma contenuto in essa.

"Tempo fa, trovandomi a Ûrî Vraja-dhåma ai piedi di lo-to di Ûrî Sanåtana Gosvåmî, il compagno intimo di ÛrîmanMahåprabhu, gli feci una domanda; chiesi se la parola 'ish-qh', che si trova nella tradizione islamica, significa amorepuro o qualcos'altro. Sanåtana Gosvåmî è uno studioso ap-profondito in tutte le scritture. In particolare la sua culturadei linguaggi Arabi e Farsi non ha confini. In quella assem-blea erano presenti Ûrî Rüpa Gosvåmî, Ûrî Jîva Gosvåmî ealtri precettori spirituali di altissimo livello. Ûrî SanåtanaGosvåmî gentilmente rispose così alla mia domanda:

"Sì, la parola 'ishqh' significa amore. I religiosi islamiciusano la parola 'ishqh' riferendola all'adorazione del Si-gnore Supremo. Tuttavia questo termine viene comune-mente utilizzato anche riferito all'amore mondano. Dalpunto di vista poetico degli amanti devoti Laila e Majnun edalle descrizioni letterarie dell'ishqh scritte dal grande poe-ta Hafiz, è evidente che gli insegnanti religiosi Yavana nonavevano compreso il vero concetto di entità spirituale purao Ωuddha cit-vastu. Essi fanno riferimento ad ishqh per in-tendere sia l'amore fisico del corpo grossolano che l'amore

Jaiva-dharma

Concentra il tuo cuore nell'attenta ricerca di Ûrî KrishnaCaitanya e più tardi potrai adottare gli aspetti esteriori deldharma Vaiß∫ava, per il quale hai un'inclinazione naturale.Dovresti sempre ricordare questa istruzione data da ÛrîmanMahåprabhu (Caitanya Caritåm®ta, Madhya 16.238-239):

marka†a-vairågya nå kara loka dekhåñåyathåyogya visaya bhuñja anåsakta hañåantare ni߆hå kara, båhye loka-vyavahåra

aciråt k®ß∫a tomåya karibe uddhåra

'Non adottare, come farebbe una scimmia, i segni este-riori della rinuncia soltanto per impressionare la gente co-mune. Dovresti accettare senza nessun attaccamento qua-lunque oggetto dei sensi sia utile per mantenere le tue pra-tiche devozionali ed abbandonare tutti i desideri contenutinel tuo cuore. Mentre internamente sviluppi una fede in-crollabile in Ûrî Krishna, esternamente devi condurre le tueresponsabilità, in modo che nessuno possa scoprire i tuoisentimenti interni. Se agirai così, Ûrî Krishna ti libereràmolto presto dall'esistenza materiale.'

Sannyåsî Êhåkura afferrò l'importanza di questa spiega-zione e non fece ulteriori domande sul cambiamento dellesue vesti ma, a mani giunte, disse: "Maestro, mi sono rifu-giato presso i tuoi piedi di loto ed ora sono tuo discepolo.Qualunque istruzione mi darai, io la seguirò senza discute-re. Ascoltando le tue istruzioni ho compreso che il nonadulterato k®ß∫a-prema è l'unico dharma Vaiß∫ava. Que-sto amore per Krishna è il nitya-dharma delle jîve. Questodharma è completo, puro e naturale. Ma come devo consi-derare queste diverse religioni e i vari dharma che preval-gono nei differenti paesi?"

Båbåjî MahåΩaya rispose: "Mahåtmå, esiste solo una re-

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Secondo capitolo

ra funzione della jîva essere eterna se viene a formarsi nelmomento in cui la jîva viene generata? Ti prego, ascolta at-tentamente. Le parole 'creazione' e 'formazione', quandovengono applicate alla jîva, vengono utilizzate in un conte-sto materiale. I discorsi di questo mondo si elaborano sullabase dell'esperienza acquisita nella manifestazione mate-riale. Il tempo, che viene suddiviso in tre fasi: passato, pre-sente e futuro, è un tempo materiale (ja∂îya-kåla) ed è le-gato a måyå. Nella sfera spirituale il tempo esiste eterna-mente al presente. Il tempo spirituale (cit-kåla) non è ca-ratterizzato da quegli intervalli che identificano il passato eil futuro. Le jîve e Krishna esistono eternamente in queltempo spirituale. Perciò la jîva è eterna e la sua pura fun-zione di amore per Krishna è anch'essa eterna.

"Le funzioni della creazione, del mantenimento e delladistruzione, che operano sotto la giurisdizione del tempomateriale, vengono applicate alla jîva dopo che essa vienecostretta in questo mondo materiale. Sebbene la jîva siaun'entità infinitesimale, essa è spirituale ed eterna. La suafunzione fondamentale esisteva prima della sua venuta inquesto mondo materiale. Poichè nel mondo spirituale nonvi è passato e futuro, qualunque cosa accade è situata eter-namente nel presente. In realtà sia la jîva che la sua funzio-ne costitutiva si trovano sempre nel presente e sono eterne.

"Anche se io ti ho spiegato tutto questo, tu sarai in gradodi comprenderne l'importanza solamente in base al tuo li-vello di realizzazione e di esperienza del regno spirituale pu-ro. Io ti ho solo dato una traccia; ora dovresti provare a rea-lizzare ciò che ho detto, mediante cit-samådhi, la medita-zione spirituale. Questi argomenti non si possono com-prendere con la razionalità e con la logica mondana. Piùriuscirai a svincolare la tua esperienza dal legame della ma-teria, meglio potrai sperimentare la sfera spirituale, che sitrova oltre la giurisdizione della materia.

Jaiva-dharma

emotivo del corpo sottile."Questi religiosi, non essendo in grado di distinguere

l'entità spirituale pura dalle forme sottili e grossolane, nonavevano e non hanno esperienza del puro amore divino oprema per Bhagavån. Questo prema si riferisce in partico-lare all'originario stato di amore spirituale che viene reci-procato, in varie relazioni trascendentali, tra la pura entitàspirituale e la Suprema Entità Spirituale. Questo tipo diprema non l'ho mai trovato descritto in nessuna scritturadegli insegnanti religiosi Yavana. L'ho riscontrato sola-mente nelle scritture Vaiß∫ava. Similmente il termine Ya-vana 'ruh', che significa anima o spirito, non corrispondeesattamente con ciò che s'intende per Ωuddha-jîva o entitàspirituale pura nel suo stato liberato da ogni designazionemateriale. Essi hanno usato la parola ruh riferendosi allabaddha-jîva, l'anima condizionata schiava della materia.

"Il puro amore per Krishna non l'ho visto insegnare innessun'altra religione. Nel dharma Vaiß∫ava è invece nor-male trovare descrizioni di k®ß∫a-prema. Nel secondo ver-so dello Ûrîmad-Bhågavatam, k®ß∫a-prema è stato compiu-tamente descritto così: 'projjhita-kaitava-dharma’, questoÛrîmad-Bhagavatam propone tutte le verità più elevate,quelle pulite da ogni forma di religiosità pretenziosa. No-nostante ciò, la mia personale convinzione è che prima diÛrî Krishna Caitanya, nessuno ci aveva istruiti sulla religio-ne del puro k®ß∫a-prema. Se credi alle mie parole, accettaquesta conclusione."

"Ho ascoltato queste istruzioni ed ho offerto omaggi aSanåtana Gosvåmî più e più volte."

Dopo aver ascoltato tutto ciò dalla voce di Båbåjî,Sannyåsî Êhåkura immediatamente gli offrì da∫∂avat-pra∫åma (prostati omaggi).

Paramahaµsa Båbåjî aggiunse: "Migliore tra i devoti,ora risponderò alla tua seconda domanda: come può la ve-

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Secondo Capitolo

"Mahåtmå, se stavi per chiedere come riconoscere unVaiß∫ava, ti rispondo che chi ha lasciato tutte le offese e can-ta il Santo Nome di Krishna con profondo sentimento, quel-lo è un Vaiß∫ava.

“Vi sono tre categorie di Vaiß∫ava: kani߆ha (il neofita),madhyama (l'intermedio) e uttama (il superiore). Colui chesolo occasionalmente canta il nome di Krishna è un kani߆haVaiß∫ava. Colui che lo canta costantemente è un madhya-ma Vaiß∫ava. La persona la cui sola presenza stimola gli al-tri a cantare il Santo Nome è un uttama Vaiß∫ava. Come haspiegato Mahåprabhu, non necessita altro criterio per de-terminare chi è un Vaiß∫ava."

Sannyåsî Êhåkura, profondamente invaso dal nettaredelle istruzioni di Båbåjî, iniziò a danzare cantando i SantiNomi del Signore: "Hare Krishna, Hare Krishna, KrishnaKrishna, Hare Hare, Hare Rama, Hare Rama, Rama Ra-ma, Hare Hare." Quel giorno egli sperimentò un piacerespontaneo per l'Harinåma. Offrendo prostrati omaggi aipiedi di loto del suo guru egli disse: "Maestro, amico dei di-seredati, ti prego, sii misericordioso con questa anima mi-serabile."

Jaiva-dharma

"Per prima cosa devi coltivare la realizzazione della tuaidentità spirituale pura e praticare il canto del puro SantoNome di Krishna. Dopodichè la tua funzione spirituale, no-ta come jaiva-dharma, si manifesterà in modo dominante.La realizzazione e l'esperienza spirituale non possono di-ventare completamente pure con la pratica degli otto siste-mi yoga conosciuti come a߆åõga-yoga o coltivando brah-ma-jñåna, la conoscenza dell'indistinto e onnipervadenteBrahman. Solo coltivando le attività direttamente rivolteal piacere di Krishna si può giungere alla manifestazione delnitya-siddha dharma o eterna funzione spirituale della jîva.

"Dovresti praticare costantemente il canto dell'Harinå-ma con grande entusiasmo. Il canto dell'Harinåma costi-tuisce la vera cultura spirituale. Cantando l'Harinåma conregolarità, in breve si svilupperà un attaccamento senza pre-cedenti per il Santo Nome, unitamente alla diretta espe-rienza del regno spirituale. La pratica del canto di Ûrî Ha-rinåma è suprema tra tutte le diverse pratiche della bhakti eporta i risultati più velocemente, com'è confermato dalleistruzioni di Ûrî Mahåprabhu riportate nell'eccellente lavo-ro di Ûrî K®ß∫adåsa, la Ûrî Caitanya Caritåm®ta (Antya4.70.71):

bhajanera madhye Ωre߆ha nava-vidhå bhakti'k®ß∫a-prema', 'k®ß∫a' dite dhare mahå-Ωaktitåra madhye sarva-Ωre߆ha nåma saõkîrtananiraparådhe nåma laile påya prema-dhana

'Tra le diverse pratiche spirituali, i nove aspetti dellabhakti sono i migliori poichè hanno il tremendo potere didonare Krishna e k®ß∫a-prema. Tra queste nove pratiche,il nåma-saõkîrtana è il più potente. Cantando il Santo No-me di Krishna senza offese, si ottiene l'inestimabile ric-chezza di prema.'

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CAPITOLO TRELa religione temporanea è incompleta,

adulterata, non permanente e per sua stessa natura

dev'essere abbandonata

Una notte, subito dopo le dieci, Sannyåsî Êhåkura stavaseduto sopra un piano rialzato in un luogo appartato del suoboschetto a Ûrî Godruma e cantava l'Harinåma. Guardan-do verso nord vide che la luna piena era già alta nel cielo ediffondeva una luce inconsueta su Ûrî Navadvîpa-ma∫∂ala.Improvvisamente una manifestazione divina della vicina ÛrîMåyåpura si rese visibile ai suoi occhi.

Sannyåsî Êhåkura esclamò: "Che straordinaria visione!Vedo il più stupefacente ed estasiante luogo sacro: palazzitorreggianti fatti di gioielli, templi ed archi ornamentali che,con il loro scintillante splendore, illuminano le sponde delfiume Jåhnavî. Il suono tumultuoso dell'Harinåma saõkîr-tana sorge da molti luoghi fino a toccare il cielo. Centinaiadi devoti come Nårada, suonando le vina, cantano il SantoNome e danzano.

"Da un lato Mahådeva dalla carnagione bianca, il capodegli esseri celesti, con il suo tamburo damaru in manoesclama: ‘O ViΩvambhara, Ti prego, concedimi la Tua mise-ricordia!’ E così dicendo danza impetuosamente per poi ca-dere a terra incosciente.

“Da un'altra parte Brahmå a quattro teste è seduto inun'assemblea di ®ßi eruditi sui Veda. Egli recita e poi spie-ga con chiarezza il significato di questo mantra vedico (Ûve-taΩvatara Upanißad 3.12):

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Terzo Capitolo

divina terra di Navadvîpa tutti indossano la collana fatta congrani di tulasî, hanno il tilaka segnato sulla fronte e le lette-re del Santo Nome impresse sul corpo. Così farò anch'io”.

Detto ciò Sannyåsî Êhåkura sprofondò in uno stato di in-coscienza. Poco dopo, rientrando in sè, scoprì che la straor-dinaria visione trascendentale non era più percepibile aisuoi occhi. Sannyåsî Êhåkura si mise allora a piangere di-cendo: "Sono molto fortunato perchè per un attimo, per mi-sericordia del mio guru, ho avuto la visione della sacra ter-ra di Ûrî Navadvîpa."

La mattina seguente Sannyåsî Êhåkura gettò il suo ba-stone di sannyåsî måyåvådi, l'ekada∫∂a, nel fiume. Decoròil collo con una collanina a tre fili di grani di tulasî e la fron-te col segno dell'ürddhva-pu∫∂ra tilaka, cantò 'Hari, Hari' einiziò a danzare. I Vaiß∫ava di Godruma vedendo il suo in-solito comportamente e il suo nuovo aspetto, iniziarono adoffrirgli omaggi dicendo: "Che tu sia benedetto! Che tu siabenedetto!"

Sannyåsî Êhåkura si sentì in qualche modo imbarazzatoe disse: "Signori, ho indossato questi abiti Vaiß∫ava per di-ventare oggetto della misericordia dei Vaiß∫ava, ma ora èsorto un altro impedimento. Ho sentito questa affermazio-ne molte volte dal mio gurudeva (Caitanya Caritåm®taAntya 20.21):

t®∫åd api sunîcena taror api sahiß∫unåamåninå manådena kîrtanîya˙ sadå hari˙

'Considerandoci più insignificanti di un filo di erba, piùtolleranti di un albero, privi di ogni desiderio di prestigiopersonale e offrendo rispetti agli altri, dobbiamo rimanerecostantemente assorti nell'hari-kîrtana.'

"Quegli stessi Vaiß∫ava che io considero miei Ωikßå-guru,

Jaiva-dharma

mahån-prabhur vai purußa˙ sattvasyaißa˙ pravarttaka˙sunirmalåmimåµ pråptim îßåno jyotir avyaya˙

'Quella persona è indubbiamente mahån, suprema, edEgli è prabhu, il maestro, che indica come è competente adelargire sia la misericordia che il castigo.

In alternativa, Egli è mahån-prabhu, il grande Signore ela persona conosciuta come Mahåprabhu (Ûrî Caitanya).Egli è purusa, la Persona Suprema. E' Lui che ispira il cuo-re di coloro che, arricchiti dalla virtù, ottengono il perfettostadio di emancipazione dall'esistenza materiale, o in altreparole, raggiungono la meta suprema. Ciò è possibile soloattraverso la Sua misericordia, in quanto Egli è îßåna, il go-vernatore supremo. Egli è jyoti-svarüpa, si auto manifesta,e per lo splendore dorato del Suo corpo emana una radian-te luminosità. Egli è avyaya, il Signore imperituro.'

"Altrove Indra e gli altri deva saltano in estasi gridando:‘Jaya Prabhu Gauracandra! Jaya Nityånanda!’ Gli uccelliposati sui rami degli alberi cantano: ‘Gaura, Nitåi!’ Grandiapi nere, inebriate per aver bevuto il gaura-nåma-rasa, l'es-senza liquida del Santo Nome di Gaura, ronzano per ognidirezione nei giardini fioriti. Prak®ti Devî (la dea natura),ebbra di gaura-rasa, diffonde la sua magnifica radiositàovunque. E' meraviglioso! Ho osservato Ûrî Måyåpura inpieno giorno molte volte, ma non ho mai visto nulla di si-mile. Ma cos'è ciò che vedo?"

Ricordando il suo gurudeva, Sannyåsî Êhåkura dichiarò:"Maestro, ora posso capire che oggi hai donato la tua mise-ricordia quando mi hai concesso la visione dell'apråk®ta,quel trascendentale aspetto di Måyåpura che normalmen-te è al di là della capacità di visione materiale. Da oggi midichiaro seguace di Ûrî Gauracandra e mi identificherò co-me tale anche nelle sembianze esterne. Vedo che in questa

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Terzo CapitoloJaiva-dharma

miei istruttori, ora mi offrono omaggi. Cosa sarà di me?"Ponderando tutto ciò, egli si avvicinò a ParamahaµsaBåbåjî, gli offrì omaggi e si alzò tenendo la testa china inavanti.

Båbåjî MahåΩaya era seduto nel cespuglio di mådhavî estava cantando l'Harinåma. Vedendo il cambiamento degliabiti di Sannyåsî Êhåkura e il risveglio in lui dell'attacca-mento verso il Santo Nome, bagnò il suo discepolo con la-crime d'amore, lo abbracciò e gli disse: "O Vaiß∫ava dåsa,oggi sono diventato molto fortunato toccando il tuo auspi-cioso corpo."

Con questa affermazione, il precedente nome di Sannya-sî Êhåkura venne cancellato. Egli da quel giorno ricevetteun'impressione di nuova vita e da allora fu conosciuto co-me Vaiß∫ava dåsa. Quindi gli abiti del sannyåsa måyåvåda,il prestigioso nome associato al sannyåsî åΩrama e l'orgogliodi considerarsi elevato, si dissolsero.

Nel pomeriggio molti Vaiß∫ava, provenienti da Ûrî Go-druma e da Ûrî Madhyadvîpa, arrivarono a Ûrî Pradyumnakuñja per incontrare Paramahaµsa Båbåjî. Tutti gli si riu-nirono intorno cantando l'Harinåma con il tulasî målå fra lemani. Alcuni gridavano: ‘Gauraõga! Nityånanda!’ altriesclamavano: ‘Sîtånåtha!’ e altri ancora: ‘Jaya Ûacînanda-na!’ mentre i loro occhi si riempivano di lacrime. IVaiß∫ava discutevano tra di loro su argomenti riguardanti ilservizio confidenziale rivolto al loro adorabile Signore.Dopo aver camminato attorno a Tulasî, i Vaiß∫ava riuniti sioffrirono gli omaggi l'un l'altro. In quel momento Vaiß∫avadåsa entrò nell'assemblea, girò attorno a Ûrî V®ndå-devî eprese a rotolarsi nella polvere dei piedi dei Vaiß∫ava.

Alcuni si sussurravano: "Ma quello non è SannyåsîÊhåkura? Che straordinario aspetto ha ora!"

Rotolatosi per terra davanti ai Vaiß∫ava, Vaiß∫ava dåsadisse: "Ora che ho ottenuto la polvere dei piedi di loto dei

Vaiß∫ava la mia vita ha raggiunto il successo. Per miseri-cordia del mio gurudeva, ho capito con chiarezza che la jî-va non ha nessuna possibilità di liberarsi se non ottiene lapolvere dei piedi dei Vaiß∫ava. La polvere dei piedi deiVaiß∫ava, l'acqua che bagna i loro piedi ed il nettare cheemana dalle loro labbra, sono le tre cose che costituisconotanto medicina che dieta per un paziente afflitto dalla ma-lattia dell'esistenza materiale. Queste cose non solo sonola cura per questa malattia, ma anche la sorgente di tra-scendentale godimento per la jîva liberata da questa affli-zione.

"Vaiß∫ava vi prego, non pensate che io voglia esibire lamia erudizione. Il mio cuore ora è libero da tutti questi ego-centrismi. Io sono nato in una famiglia bråhma∫a di alto li-vello, ho studiato tutte le scritture e sono entrato nel quar-to stadio dell'ordine sociale, il sannyåsa åΩrama. Di conse-guenza il mio orgoglio non aveva limiti. Ma da quando so-no stato attratto dai principi Vaiß∫ava, nel mio cuore è sta-to piantato un seme di umiltà. Gradualmente, per miseri-cordia di tutti voi, la vanità per la mia nascita nobile, l'or-goglio della mia erudizione e l'arroganza del mio status so-ciale, è stato tutto spazzato via.

"Ora so di essere un'entità vivente insignificante e mise-revole. Non ho modo di liberarmi se non rifugiandomi aipiedi di loto dei Vaiß∫ava. La mia identificazione comebråhma∫a, la mia erudizione ed il mio sannyåsa mi stavanoconducendo alla rovina. Abbandono tutto davanti ai vostripiedi con totale sincerità. Di questo vostro servitore pote-te fare ciò che volete."

Dopo aver ascoltato le umili parole di Vaiß∫ava dåsa,molti dissero: "Migliore tra i devoti! Anche noi siamo an-siosi di ricevere la polvere dei piedi di un Vaiß∫ava par tuo.Ti preghiamo, benedici noi con la polvere dei tuoi piedi diloto. Tu sei l'oggetto della misericordia di Paramahaµsa

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Terzo capitolo

rinåma saõkîrtana. Anche se i Vaiß∫ava non si curavano delsuo stile di canto classico ed elegante, egli faceva mostra dialcune delle sue abilità artistiche durante il saõkîrtana e poiguardava le facce degli altri aspettandosi un riconoscimen-to. Egli continuò a partecipare ed a condurre il saõkîrtanaper molti giorni e gradualmente iniziò a sperimentare delgusto nel saõkîrtana.

Trascorso del tempo, per potersi unire ai programmi dikîrtana dei Vaiß∫ava di Navadvîpa, egli andò a Ûrî Godru-ma e si stabilì nell'åΩrama di un Vaiß∫ava. Quel giorno egliarrivò a Pradyumna-kuñja accompagnato da quel Vaiß∫avae si sedette sotto il pergolato di målatî-mådhavî. Vedendo ilreciproco comportamento e l'umiltà dei Vaiß∫ava ed ascol-tando le parole di Vaiß∫ava dåsa, nacque un dubbio nellasua mente. Poichè era un oratore esperto, con audacia po-se questa domanda all'assemblea dei Vaiß∫ava:

"Nella Manu-saµhitå ed in altri dharma-Ωåstra, la castadei bråhma∫a viene definita la più elevata. Secondo questescritture, i riti religiosi come il sandhyå-vandanå, il canto deimantra Vedici come il brahmå-gåyatrî compiuto nei tre mo-menti della giornata, sono considerati il nitya-karma deibråhma∫a. Ciò significa che sono riti giornalieri obbligato-ri e che devono essere eseguiti senza eccezioni. Se questeattività sono obbligatorie, perchè il comportamentoVaiß∫ava si oppone ad essi?"

I Vaiß∫ava sono contrari agli argomenti mondani e ai di-battiti. Se un bråhma∫a polemico ponesse questa doman-da essi non darebbero risposta per paura di essere coinvol-ti in una battaglia di parole ma, vedendo che chi poneva ladomanda cantava regolarmente l'Harinåma, essi dissero:"Saremo molto felici se Paramahaµsa Båbåjî MahåΩayavorrà rispondere alla tua domanda."

Ascoltando la richiesta dei Vaiß∫ava, ParamahaµsaBåbåjî MahåΩaya, offrì loro i suoi omaggi e disse: "Grandi

Jaiva-dharma

Båbåjî. Ti preghiamo, purificaci e rendici tuoi associati. NelB®han-nåradîya Purå∫a (4.33) sta scritto che la bhakti siconsegue con l'associazione di devoti come te:

bhaktis tu bhagavad bhakta saõgena parijåyatesat-saõga˙ pråpyate puµbhi˙ suk®tai˙ pürva sañcitai˙

'La bhakti si risveglia in compagnia dei devoti del Signo-re. La compagnia dei puri devoti si ottiene solo dopo avercumulato l'effetto di attività spirituali di molte vite.'

"Poichè abbiamo accumulato una sufficiente quantità diattività pie che favoriscono la bhakti (bhakti-poßaka-suk®ti),ora abbiamo ottenuto la tua compagnia, ed è attraverso latua compagnia che aspiriamo ad ottenere l'hari-bhakti."

Dopo che i Vaiß∫ava ebbero finito di scambiarsi recipro-co rispetto e parole umili, Vaiß∫ava dåsa si sedette nell'as-semblea dei devoti e la sua dignità fu evidente. Il nuovo Ha-rinåma målå sembrava brillare nelle sue mani.

Quel giorno un fortunato gentiluomo di Ûåntipura eraseduto nell'assemblea. Fin da bambino aveva studiato l'A-rabo e il Farsi, era nato in una famiglia aristocratica di bråh-ma∫a ed era anche uno zamindar (un ministro del re). Poi-chè aveva corteggiato molti personaggi dell'Islamismo dicorte, era diventato un uomo dalla reputazione significativaessendo anche esperto in strategie politiche e dinamiche digruppo. Sebbene avesse goduto di quella posizione e vis-suto nell'opulenza per molti anni, non ne aveva tratto nes-suna felicità, giungendo infine ad intraprendere la praticadell'Harinåma saõkîrtana.

Alcuni dei più prestigiosi maestri di Delhi gli avevano in-segnato, nella sua infanzia, la musica classica Indiana. A se-guito di questo addestramento, ora veniva spesso accettatocome capo cantante anche durante lo svolgimento dell'Ha-

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Terzo Capitolo

zioni. In questa condizione la natura vaidhi sarà certamen-te effettiva. Quando l'intelligenza è libera dal legame dimåyå, la natura umana non ha più bisogno di venir gover-nata da regole e proibizioni anzi, è stimolata dall'amorespontaneo. In questa condizione la tendenza vaidhi non ri-mane effettiva a lungo e si manifesta la tendenza rågånugå.La natura rågånugå è la natura pura della jîva. E' svabhåva-siddha (lo stato perfetto del sè), è cinmaya (trascendenta-le) e ja∂a-mukta (libera dal legame con la materia inerte).

“Per volere di Krishna, la relazione della pura e spiritua-le jîva con il mondo materiale può giungere a termine. Fin-chè Krishna non lo desidera, la relazione della sådhaka jîvacon il mondo materiale non può terminare. Questo pro-gressivo esaurimento della relazione con il mondo materia-le è conosciuto come kßayonmukha, tendenza alla diminu-zione.

"Vi sono due stadi di liberazione dai legami materialidella jîva. Il primo, conosciuto come svarüpa-siddhi, si rag-giunge nello stadio di bhåva-bhakti, quando cioè la jîva si si-tua nella sua svarüpa o identità spirituale interiore. Qui lasua intelligenza si svincola dalla materia tuttavia, poichè ri-siede in un corpo materiale, la sua relazione con il mondomateriale permane intatta. Poichè questo tipo di liberazio-ne dalla materia implica la rivelazione della propria svarü-pa, essa è conosciuta come svarüpata˙ ja∂a-mukti.

“Il secondo stadio è conosciuto come vastu-siddhi, il chesignifica che la jîva è in uno stadio emancipato, libera daogni contatto con la materia. Questo avviene quando si ab-bandonano insieme il corpo grossolano e sottile e si ottieneuna forma spirituale nella dimora del Signore. Questo tipodi liberazione implica la totale libertà della jîva dalla mate-ria e il conseguimento del puro stato di cinmaya-vastu, ed èconosciuta come vastuta˙ ja∂a-mukti.

"Nello stadio kßayonmukha, dove la relazione della jîva

Jaiva-dharma

anime, se lo desiderate, il rispettato devoto Ûrî Vaiß∫ava då-sa risponderà in pieno alla domanda." Tutti i Vaiß∫ava ac-consentirono.

Ascoltando le parole del suo gurudeva, Vaiß∫ava dåsa,considerandosi la persona più fortunata, umilmente iniziòa parlare: "Sono insignificante e miserevole. E' del tuttoinappropriato che io parli in questa assemblea di eruditi.Ma devo sempre portare l'ordine del mio gurudeva sulla te-sta. Ho bevuto il nettare delle istruzioni spirituali che ema-nano dalla bocca di loto del mio guru. Ricordando quel net-tare, parlerò per quel che la mia capacità concede." Spar-gendosi il corpo con la polvere dei piedi di loto di Para-mahaµsa Båbåjî, Vaiß∫ava dåsa si alzò ed iniziò a parlare.

"Ûrî Krishna Caitanya, che è la radice di differenti espan-sioni, è il Supremo Signore colmo di felicità trascendenta-le. L'onnipervadente ed indistinto Brahman è l'effulgenzadel Suo corpo. Il Paramåtmå che risiede nel cuore di tuttele entità viventi è una Sua espansione parziale. Possa Eglicompiacersi ed illuminarci dall'interno.

"La Manu-saµhitå e gli altri dharma-Ωåstra sono sm®ti-Ωåstra, scritture compilate dai grandi saggi a commento deiVeda originali, i quali sono conosciuti invece come Ωruti,suono eterno e divino che proviene direttamente dal Si-gnore Supremo e sono quindi liberi dagli errori dovuti alladebolezza umana. Poichè la Manu-saµhitå e gli altri dhar-ma-Ωåstra accertano le norme e le proibizioni seguendo lalinea di pensiero degli Ωruti-Ωåstra Vedici, sono rispettati intutto il mondo.

"Con riferimento alla ricerca religiosa, la natura umanaè di due tipi: vaidhi, la natura che spinge a seguire le regoleed i regolamenti degli Ωåstra, e rågånugå, la natura che spin-ge a seguire l'attrazione spontanea dell'anima verso il Si-gnore. Finchè l'intelligenza si trova sotto il controllo dimåyå, la natura umana va governata con regole e proibi-

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Terzo Capitolo

piacere al suo corpo materiale e sente avversione per le per-sone e le cose che gli ostacolano il piacere materiale. Ca-dendo nella trappola dell'attaccamento e dell'avversione lajîva, confusa, considera gli altri come amici o nemici e mo-stra amore od odio per loro in tre diversi modi: Ωårîrika, inrelazione al corpo materiale ed alle sue caratteristiche;såmåjika, in relazione alla società ed alle idee sociali e nai-tika, in relazione alla moralità e all'etica. In questo modouno impegna sè stesso nella lotta per l'esistenza materiale.

"L'attaccamento fallace per kanaka, l'oro e le cose chesi possono acquistare con i soldi, e kåminî, per chiunquepossa soddisfare i desideri perversi di lussuria, portano sot-to il controllo della felicità e del dolore temporanei. Questoviene definito saµsåra, il ciclo di nascite e morti ripetutenell'esistenza materiale. Attaccata a questo saµsåra la jî-va, incatenata da måyå, vaga attraverso l'universo materia-le conseguendo solamente nascite, morti, i frutti del karmae varie condizioni di vita, a volte elevate, a volte degradate.

"Le jîve incatenate in questo modo, non possono com-prendere facilmente il cid-anuråga, l'attaccamento spiri-tuale, nè possono avere delle realizzazioni o delle esperien-ze al proposito. Infatti cid-anuråga è lo svadharma della jî-va, la vera funzione, ed è la sua natura eterna. Dimentican-dolo ed essendo vincolata nell'attaccamento alla materia, lajîva, che è una particella di coscienza, soffre questa degra-dazione. Sebbene si tratti di una condizione miserabile, pra-ticamente nessuna tra le jîve implicate nel saµsåra la consi-dera tale.

"Le jîve prigioniere di måyå sono completamente igna-re della natura rågånugå, che dire di quella rågåtmikå. Sol-tanto raramente, per misericordia dei sådhu, la natura rågå-nugå può essere risvegliata nel cuore della jîva. Di conse-guenza la natura rågånugå è difficile e rara da conseguire .Le persone invischiate nel saµsåra vengono defraudate di

Jaiva-dharma

con il mondo materiale sta decrescendo, la sua intelligenzaottiene di liberarsi dalla materia solamente fino al puntodella svarüpata˙ ja∂a-mukti e non raggiunge la vastuta˙ja∂a-mukti. Quando si raggiunge il livello di vastuta˙ ja∂a-mukti abbandonando tutte le connessioni con questo mon-do materiale ed entrando nella dimora del Signore con lapropria forma spirituale, il rågåtmikå-v®tti, o sentimento deirågåtmikå si risveglia all'interno della pura jîva sia in termi-ni di identità spirituale interiore sia nel suo stato costituti-vo o, in altre parole, sia con svarüpa che con vastu.

“Il termine rågåtmikå si riferisce a quell'åtmå o animache è permeata di råga, amore ed attaccamento spontaneai.Quindi rågåtmikå si riferisce a quei devoti nel cui cuore esi-ste naturalmente ed eternamente un profondo e spontaneodesiderio di amare e servire il Supremo Signore Ûrî Krishna.La natura degli eterni residenti di Vraja è di rågåtmikå-prak®ti.

"La jîva che si trova nello stadio kßayonmukha e che se-gue le orme della natura rågåtmikå, è conosciuta come rågå-nugå, una persona che segue la via del råga. Questa condi-zione di rågånugå dovrebbe essere ardentemente ricercatadalla jîva. Finchè questa condizione è assente, l'intelligen-za umana viene spontaneamente attratta dagli oggetti ma-teriali. A causa della propria nisarga, falsa natura acquisita,la jîva, confusa, erroneamente considera l'attaccamento aglioggetti mondani come il suo naturale attaccamento spiri-tuale, denominato svåbhåvika-anuråga. In questo frangen-te il proprio attaccamento puro e naturale per gli oggettispirituali non è presente.

"Le concezioni di 'io' e di 'mio' sono i due tipi di egoismoche agiscono in modo preminente nella sfera mondana. Ilportatore di questi due tipi di egoismo pensa: 'Io sono que-sto corpo' e 'questo corpo è mio'. A causa di ciò si sente at-tratto naturalmente per le persone e le cose che procurano

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Terzo Capitolo

cazione per compiere azioni pie volte ad un guadagno ma-teriale; jñånådhikåra, qualificazione per conseguire quellaconoscenza che conduce alla liberazione; e premådhikåra,qualificazione per poter praticare il servizio d'amore in-condizionato al Signore. Questi tre tipi di qualifiche sonodescritte nello Ωåstra Veda. Nello stabilire gli appropriaticodici di comportamento, i Veda precisano ciò che deve enon deve essere fatto da coloro che posseggono caratteri-stiche riconducibili a questi tre comparti di qualifiche. Ildharma o doveri prescritti nei Veda è conosciuto comevaidha-dharma.

"L'inclinazione ad adottare questo vaidha-dharma è co-nosciuta come vaidhî-prav®tti, propensione a seguire i pre-cetti delle scritture. Coloro che non hanno questa tenden-za sono senza dubbio alcuno degli avaidha, si oppongonocioè ai precetti delle scritture. Coloro che si oppongono aiprecetti religiosi sono impegnati in attività peccaminose. Leloro vite sono dedicate all'avaidha-karma, insieme di azio-ni che rifiutano le regole dettate dalle scritture. Queste per-sone sono escluse dalla giurisdizione dei Veda e sono cono-sciuti come mleccha, persone che appartengono alla cate-goria degli incivili.

"I doveri di coloro che appartengono a questi tre gruppidi qualifiche delineati nei Veda, sono stati descritti in modopiù dettagliato nei saµhitå-Ωåstra dei ®ßi, i quali hanno com-posto numerosi Ωåstra allineati ai principi dei Veda. Neiventi dharma-Ωåstra Manu e altri pa∫∂ita hanno descritto lefunzioni di quelli che sono qualificati per il karma. Coloroche sono esperti nei differenti sistemi filosofici hanno enun-ciato, negli Ωåstra che trattano la logica e la filosofia, le fun-zioni di coloro che sono qualificati per jñåna e gli eruditi neiPurå∫a e nei puri tantra hanno precisato le istruzioni e le at-tività per le persone qualificate per la bhakti. Tutte questeletterature sono definite Vediche perchè sono inerenti ai

Jaiva-dharma

questa natura."Ma Bhagavån è onnisciente e misericordioso. Egli pen-

sa: 'Le jîve prigioniere di måyå sono prive della loro incli-nazione spirituale. Come potranno conseguire la loro buo-na fortuna? Come può il ricordo di Krishna sorgere nelcuore delle jîve che sono intrappolate da måyå? In compa-gnia dei sådhu le jîve potranno prender coscienza di essereservitrici di Krishna. Ma dato che non vi è un'ingiunzionesecondo cui si deve cercare la compagnia dei sådhu, comesi può sperare che sådhu-sa∫ga, la compagnia dei devotisanti, sia possibile e facile da ottenere? Non vi sarà quindiper la gente in genere nessuna auspiciosità senza vidhi-mår-ga, la via delle norme e dei regolamenti.'

"Le scritture vennero manifestate proprio per questa mi-sericordiosa considerazione del Signore. Il sole degli Ωåstra,generato dalla misericordia di Dio, è fiorito nel cuore degliantichi ®ßi Aryani e ha illuminato le ingiunzioni e le regoleche devono essere seguite da tutti.

"All'inizio c'era lo Ωåstra Veda. Una parte dello ΩåstraVeda insegna il karma, le attività pie dirette ad ottenerefrutti materiali; un'altra parte insegna jñåna, la conoscenzadi come conseguire la liberazione; ed un'altra parte ancorainsegna la bhakti, la devozione colma di amore per il Signo-re Supremo. Le jîve infatuate da måyå possono ritrovarsiin svariate condizioni: alcune sono completamente confu-se, alcune possiedono una qualche conoscenza ed altre sonoerudite in svariati campi della conoscenza. Negli Ωåstra sitrovano istruzioni diverse adatte alle differenti mentalitàdelle jîve. Queste differenze vengono dette adhikåra, qua-lifiche.

"Sebbene esista un numero sterminato di qualifiche cor-rispondenti all'illimitato numero di individui, quella innu-merevole varietà è stata suddivisa in tre categorie a secon-da delle caratteristiche dominanti: karmådhikåra, qualifi-

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Terzo Capitolo

ad adottare il nitya ed il naimittika-karma. Facendo delleconsiderazioni su cosa è giusto adottare e cosa è giusto ab-bandonare, le scritture hanno definito il nitya, il naimittikaed il kåmya-karma con la parola karma, mentre l'akarmaed il vikarma sono stati definiti non karma. Ma anche ilkåmya-karma, sebbene sia reputato karma, è indesiderabi-le e va quindi abbandonato. Perciò solamente il nitya ed ilnaimittika-karma devono essere accettati come il vero kar-ma.

"Il karma che apporta positività al corpo, alla mente, al-la società e che permette di raggiungere i pianeti celesti do-po la morte, è definito nitya-karma. Tutti devono svolgereil nitya-karma. Il karma che si è costretti a compiere solo indeterminate circostanze, è conosciuto come naimittika-kar-ma. Il sandhyå-vandanå (il canto del brahmå-gåyatrî-man-tra nei tre particolari momenti del giorno), offrire delle pre-ghiere, mantenere il proprio corpo e vivere nella società conmezzi onesti, tenere un retto comportamento e prendersicura dei componenti della propria famiglia e dei propri di-pendenti, sono tutte azioni nitya-karma. Celebrare dei ritiper l'anima della propria madre o del padre che han lascia-to il corpo, espiare i propri peccati e così via, sono azioninaimittika-karma.

" E' con l'intento di prescrivere un sistema in cui il nityaed il naimittika-karma possano essere scrupolosamente pra-ticati in questo mondo che gli autori delle scritture, dopoaver esaminato le varie nature, le caratteristiche e i tratti de-gli esseri umani, hanno stabilito i doveri dei vari ordini spi-rituali e sociali conosciuti come var∫åΩrama-dharma. La so-stanza di questo sistema è che, a seconda del lavoro che so-no adatti a svolgere, gli esseri umani si possono suddivide-re secondo natura in quattro tipologie: cioè bråhma∫a, in-segnanti e preti; kßatriya, amministratori e militari; vaiΩya,agricoltori e uomini d'affari ed infine Ωüdra, artigiani ed

Jaiva-dharma

Veda."Moderni pseudo filosofi di questi Ωåstra, senza avere la

panoramica di tutti gli Ωåstra, hanno tentato di stabilire lasupremazia di uno soltanto di questi aspetti. Così facendohanno gettato nel pozzo del dubbio e della sterile specula-zione, un numero incalcolato di persone. Consultando laBhagavad-Gîtå, espressione impareggiabile di questi Ωåstra,si viene a conoscere che il karma che non conduce al jñånaè ateismo e deve essere rifiutato. Similmente, anche il kar-ma-yoga ed il jñåna-yoga che non conducono alla bhakti so-no forme di ateismo. In realtà il karma-yoga, il jñåna-yogaed il bhakti-yoga formano un unico sistema yoga. Questo èil siddhånta Vedico Vaiß∫ava, la conclusione filosofica deiVeda, secondo i Vaisnava.

"La jîva confusa da måyå all'inizio viene forzata ad adot-tare il sentiero del karma, quindi adotta il karma-yoga, inseguito il jñåna-yoga ed alla fine il bhakti-yoga. Tuttavia, senon gli si mostra che questi sono tutti gradini di una mede-sima scala, l'entità vivente non è in grado di ascendere altempio della bhakti.

"Cosa significa intraprendere il sentiero del karma?Qualunque cosa venga fatta con il corpo o con la mente nelcorso della propria vita è definito karma. Il karma è di duetipi: Ωubha, positivo e aΩubha, negativo. Attraverso il Ωubha-karma la jîva ottiene esiti positivi e con l'aΩubha-karma ot-tiene quelli negativi. L'aΩubha-karma è conosciuto anchecome påpa, peccato o vikarma, azione proibita. Non prati-care Ωubha-karma si definisce akarma. Sia il vikarma chel'akarma sono negativi, mentre il Ωubha-karma è positivo.

"Il Ωubha-karma è di tre tipi: nitya, i riti giornalieri pre-scritti; naimittika, i doveri occasionali e kåmya, le cerimo-nie celebrate con il desiderio di ottenere un beneficio per-sonale. Il kåmya-karma va del tutto abbandonato poichèha un fine completamente egoistico. Gli Ωåstra ci orientano

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Terzo Capitolo

dalla Sua testa. Poichè la bocca e la testa sono in alto, la na-tura dei bråhma∫a e dei sannyåsî è la più elevata. Il Ωüdra-var∫a è stato generato dai piedi del Signore ed il g®hastha-åΩrama dalle Sue coscie. I piedi e le coscie sono situati inbasso e di conseguenza la natura dei Ωüdra e dei g®hastha èbassa.)

Ωamo damas tapa˙ Ωaucaµ santoßa˙ kßåntir årjavaµmad-bhaktiΩ ca dayå satyaµ brahma-prak®tayas tv imå˙

'Controllo della mente, controllo dei sensi, austerità, pu-lizia, soddisfazione, perdono, semplicità, devozione al Si-gnore, compassione per le sofferenze altrui e veridicità so-no le qualità naturali dei bråhma∫a.'

tejo balaµ dh®ti˙ Ωauryaµ titikßaudåryam udyama˙sthairyaµ brahma∫yam aiΩvaryaµ kßatra-prak®tayas tv

imå˙

'Coraggio, forza fisica, forza d'animo, eroismo, tolleran-za, generosità, grande perseveranza, fermezza, devozioneper i bråhma∫a e sovranità sono le qualità naturali deglikßatriya.'

åstikyaµ dåna-ni߆hå ca adambho-brahma-sevanamatu߆ir arthopacayair vaiΩya-prak®tayas tv imå˙

'Teismo (fede nel dharma Vedico), pratica della carità,libertà dall'orgoglio, servizio ai bråhma∫a ed insaziabile de-siderio di guadagno sono le qualità naturali dei vaiΩya.'

ΩuΩrüßa∫aµ dvija-gavåµ devanam cåpy amåyayåtatra labdhena santoßa˙ Ωüdra-prak®tayas tv imå˙

Jaiva-dharma

operai. “Gli stadi spirituali in cui queste persone si trovano sono

definiti åΩrama ed anch'essi sono di quattro tipologie: brah-macårî, non ancora sposati e dediti alla propria formazionespirituale; g®hastha, che fanno vita di famiglia; vånaprastha,che non hanno più responsabilità di famiglia e sannyåsa, chevivono nell'ordine ascetico di rinuncia. Coloro che invecesono attratti dall'akarma e dal vikarma sono conosciuti co-me antyaja, di bassa nascita e al di fuori di ogni åΩrama.

"I differenti var∫a vengono determinati in base alla na-tura, alla nascita, alle attività ed alle caratteristiche perso-nali. Quando il var∫a viene determinato solamente in basealla nascita, si perde lo scopo originario del var∫åΩrama.L'åΩrama viene determinato seguendo le diverse condizio-ni nel corso della vita: se si è sposati oppure no, se si è ri-nunciati dopo aver abbandonato la compagnia del sesso op-posto. La vita coniugale è conosciuta come g®hastha åΩra-ma. La vita da scapoli è conosciuta come brahmacårî åΩra-ma. Il distacco dal coniuge e dalla famiglia è conosciuto siacome vånaprastha che come sannyåsa åΩrama. Il sannyåsaè il più elevato tra gli åΩrama e i bråhma∫a sono i più eleva-ti tra i var∫a.

"Questa è la conclusione del gioiello della corona di tut-ti gli Ωåstra, lo Ûrîmad-Bhågavatam (11.17.15-21):

var∫ånam åΩramå∫åµ ca janma-bhümy-anusåri∫i˙åsan prak®tayo n®∫åµ nîcair nîcottamottamå˙

'I var∫a e gli åΩrama dell'umanità sono caratterizzati danature basse ed elevate a secondo da quale parte del corpouniversale del Signore sono apparsi.' (La natura generatadalla parte bassa della forma del Signore è bassa, e la natu-ra generata dalla parte alta è alta. Il bråhma∫a-var∫a è sta-to generato dalla bocca del Signore ed il sannyåsa åΩrama

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Terzo Capitolo

ma, queste due parole non sono state utilizzate nel senso på-ramårthika, ovvero in relazione alla suprema verità spiri-tuale. Esse sono state utilizzate come vyavahårika (con-suetudine) o aupacårika (in senso figurato).

"Parole come 'nitya-dharma', 'nitya-karma', 'nitya-tatt-va' e 'nitya-satya' non possono essere usate se non per de-scrivere la pura condizione spirituale della jîva tuttavia,quando la parola nitya è unita alla parola karma, lo è soloin senso figurato, in quanto in questo mondo il karma, siacome mezzo che come fine, indica solo molto vagamentel'eterna verità.

“Il karma in realtà non è mai eterno. Soltanto quando ilkarma è un'azione rivolta ad ottenere jñåna, cioè il karma-yoga, e quando jñåna è diretta ad ottenere la bhakti, che en-trambi, karma e jñåna, possono definirsi nitya in senso pie-no. Quando il sandhyå-vandanå dei bråhma∫a ovvero ilcanto del brahmå-gåyatrî-mantra, viene definito 'nitya-kar-ma' indica semplicemente che le pratiche compiute con ilcorpo e che sono remotamente dirette verso la bhakti, pos-sono essere definite nitya solo in quanto il loro fine è il nitya-dharma. In realtà però esse non sono veramente nitya.Questo utilizzo è upacåra, un'espressione figurata perchè ilsolo nitya-karma della jîva è k®ß∫a-prema.

“Ontologicamente, il nitya-karma si riferisce a viΩuddha-cid-anuΩîlana, la ricerca spirituale incondizionata o le atti-vità rivolte alla individuazione della propria coscienza tra-scendentale pura. Le attività fisiche che si devono svolgereper raggiungere questa cid-anuΩîlana sono di aiuto al nitya-dharma. Perciò non è sbagliato definire anche queste atti-vità come nitya-karma. Da una prospettiva assoluta tutta-via, sarebbe meglio definire queste attività come naimittika,temporanee anzichè nitya. La suddivisione del karma innitya e naimittika è stata fatta solo da un punto di vista rela-tivo e non secondo una prospettiva spirituale assoluta.

Jaiva-dharma

'Servire sinceramente i deva, i bråhma∫a e le mucche esentirsi soddisfatti della ricchezza che proviene da questoservizio sono le naturali qualità degli Ωüdra.'

aΩaucam an®taµ steyaµ nåstikyaµ Ωußka-vigraha˙kåma˙ krodhaΩ ca tarßaΩ ca sa bhåvo 'ntyåvasåyinåm

'Sporcizia, disonestà, ladroneria, mancanza di fede neldharma Vedico o in un'esistenza successiva alla morte, liti-gare per cose futili, lussuria, rabbia e desiderio di ottenereoggetti materiali, sono le caratteristiche naturali di coloroche appartengono alla classe più bassa e che sono ostili alsistema var∫åΩrama.'

ahiµså satyam asteyam akåma-krodha-lobhatåbhüta-priya-hitehå ca dharmo 'yaµ sårva-var∫ika˙

'Non violenza, veridicità, non rubare, esser liberi dallalussuria, dalla rabbia e dall'avidità, e impegnarsi per il benedelle entità viventi sono doveri per i componenti di tutti ivar∫a.'

"In questa assemblea di saggi tutti conoscono il signifi-cato dei versi sanscriti e perciò non è necessario che io midilunghi in ulteriori spiegazioni. Voglio soltanto aggiunge-re che il sistema dei var∫a e degli åΩrama è la base delvaidha-jîvana, cioè della vita che si conduce seguendo i pre-cetti religiosi. La valutazione dell'empietà di un paese vie-ne fatta sulla base di quanto il sistema var∫åΩrama è assen-te.

"Ora consideriamo in che senso le parole nitya (eterno),e naimittika (occasionale), sono state usate in unione con laparola karma. Se teniamo presenti le profonde spiegazionidate dagli Ωåstra, possiamo vedere che, in relazione al kar-

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mangiatori di cani (ca∫∂ala) ma che ha dedicato la sua men-te, le sue parole, le sue attività e la sua ricchezza ai piedi diloto di Ûrî Krishna, è superiore ad un bråhma∫a che, puradorno di tutte le dodici qualità bråhminiche, ha deviato daipiedi di loto del Signore Padmanåbha. Il ca∫∂åla può spe-rare di purificare sè stesso e la propria famiglia, mentre ilbråhma∫a pieno di orgoglio non può purificare neppure sèstesso.'

"Veridicità, controllo dei sensi, austerità, libertà dallamalizia, modestia, tolleranza, libertà dall'invidia, spirito disacrificio, carità, forza d'animo, studio dei Veda e accettaredei voti, sono le dodici qualità dei bråhma∫a. I bråhma∫ache sono adorni di queste dodici qualità sicuramente meri-tano di venire onorati in questo mondo tuttavia, se pur pos-sedendo queste qualità, i bråhma∫a sono privi di k®ß∫a-bhakti, superiore a loro è un devoto anche se ca∫∂åla. Laconclusione è che, se una persona nata in una famigliaca∫∂åla, in virtù del processo di purificazione (saµskåra)ottenuto attraverso il sådhu-sa∫ga (la compagnia dei puridevoti), si impegna nel nitya-dharma della jîva nellaΩuddha-cid-anuΩîlanam (ricerca spirituale pura), va consi-derata superiore ad un bråhma∫a fisso nel naimittika-dhar-ma ma che si astiene dalla pratica spirituale incondizionatadel nitya-dharma.

"Ci sono due tipi di esseri umani: gli udita-viveka, coloroche sono spiritualmente desti, e gli anudita-viveka, coloroche sono spiritualmente assopiti. Il mondo per la più parteè pieno di persone spiritualmente assopite. Quelli spiri-tualmente desti sono rari. I bråhma∫a sono i migliori tra lepersone spiritualmente assopite. Fra tutti i doveri prescrit-ti per i differenti var∫a, il nitya-karma dei bråhma∫a, comead esempio il sandhyå-vandanå, è il più elevato.

"Le persone spiritualmente deste sono conosciute come

Jaiva-dharma

"Dal punto di vista della natura essenziale delle cose, lapratica spirituale incondizionata è il nitya-dharma della jî-va. Tutti gli altri tipi di dharma sono naimittika. Il var∫åΩra-ma-dharma (doveri prescritti per le categorie sociali e pergli stati spirituali di vita), l'a߆åõga-yoga (gli otto livelli yo-ga), il såõkhya-jñåna (quella via della conoscenza che im-plica la ricerca analitica della natura dello spirito e della ma-teria) ed il tapasyå (ascetismo), sono tutti naimittika-dhar-ma. Se la jîva non fosse imprigionata nel corpo non avreb-be bisogno di tutti questi dharma. L'esser condizionata econfusa da måyå è in sè stessa una causa contingente. Laparola nimitta significa causa e perciò la funzione o il dove-re che vengono sollecitati da una causa contingente sonoconosciuti come naimittika-dharma, o religione contingen-te. E' solo per questa causa circostanziata (la condizione diprigionia della jîva) che quelle funzioni, come ad esempio ilvar∫åΩrama, sono diventate il dharma della jîva. Perciò, dauna prospettiva spirituale assoluta, questi sono tutti naimit-tika-dharma, o doveri sorti per una circostanza particolare.

"La superiorità dei bråhma∫a, il loro sandhyå-vandanåe l'accettare il sannyåsa dopo aver rinunciato a tutto il kar-ma, sono tutti naimittika-dharma. Tutte queste attività so-no molto raccomandate da tutti i dharma-Ωåstra e, tenendoconto delle giuste qualificazioni, esse sono benefiche, manon hanno una collocazione in relazione al nitya-karma.Nello Ûrîmad-Bhågavatam (7.9.10), Prahlåda Mahåråja af-ferma:

vipråd dvi-ßa∂-gu∫a-yutåd aravinda-nåbha-pådåravinda-vimukhåt Ωvapacaµ vari߆ham

manye tad-arpita-mano-vacanehitårtha-prå∫åm punåti sa kulaµ na tu bhürimåna˙

'Dal mio punto di vista un devoto nato in una famiglia di

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do il fine viene raggiunto, la funzione del mezzo cessa. Perquesto il mezzo non è mai decisivo. Esso semplicemente fa-cilita una fase parziale di quell'obiettivo ed è il suo scopo.In conclusione, il naimittika-dharma non è mai completo(sampür∫a).

"Per esempio, il canto del sandhyå-vandanå del bråh-ma∫a e altri svariati doveri, sono temporanei e soggetti a re-gole specifiche. Queste attività non intralceranno la pro-pria naturale tendenza spirituale. Se, dopo aver praticato alungo questi doveri pescritti, uno ottiene il sådhu-sa∫ga al-lora, tramite questa associazione, dopo aver completato ilprocesso di purificazione mentale, egli svilupperà il gustoper l'Harinåma, che costituisce la pratica spirituale pura. Inquel momento il sandhyå-vandanå non rimane più una pra-tica di karma, o di precetti temporanei volti ad ottenere deirisultati materiali. L'Harinåma è una pratica spiritualecompleta. Il sandhyå-vandanå e altre pratiche del generenon sono altro che mezzi per raggiungere questo che è il fi-ne principale. Queste pratiche non potranno mai costituirela realtà completa.

"Sebbene il naimittika-dharma sia raccomandabile per ilfatto che ha come fine la verità, esiste per essere lasciato(heya) ed è misto a risultati indesiderati (miΩra). Soltantola realtà spirituale è veramente benefica. La materia e l'u-nione con la materia devono essere abbandonate dalla jîva.Le aspirazioni materiali sono preminenti nel naimittika-dharma. Inoltre il naimittika-dharma produce un'abbon-danza tale di risultati irrilevanti che la jîva non ne trarrà gio-vamento anzi verrà ancor più intrappolata.

"L'adorazione del Signore Supremo da parte dei bråh-ma∫a, ad esempio, è una cosa buona. Ma il bråhma∫a èportato a pensare: 'Io sono un bråhma∫a e gli altri mi sonoinferiori.' Questo falso ego agisce in modo che la sua ado-razione conduca a risultati addirittura nocivi. Ottenere po-

Jaiva-dharma

Vaiß∫ava. Di conseguenza il comportamento dei Vaiß∫avae quello delle persone spiritualmente inconscie sono moltodiversi. Sebbene differente, il comportamento dei Vaiß∫avanon diverge dalla finalità e dalle regole contenute nellesm®ti, che sono state scritte per regolare la vita delle perso-ne spiritualmente inconscie. Il fine degli Ωåstra è sempreuno.

"Le persone spiritualmente inconscie sono obbligate arimanere confinate nella specifica parte dei rudi e crudi ca-noni delle scritture, mentre le persone spiritualmente destene ricevono l'essenza basilare come da un intimo amico. Ibråhma∫a spiritualmente inconsci seguono tutte le regolevidhi delle scritture con un senso di obbligo, mentre unVaiß∫ava spiritualmente desto segue l'essenza degli Ωåstracon amore spontaneo, rifiutando quelle parti che ostacola-no questo suo sentimento.

“Sebbene le attività di queste due categorie di personedifferiscano, non sussiste differenza nel fine. Il fine degliΩåstra è di portare chiunque fino al punto dell'amore puroper Dio, ma i metodi prescritti sono diversi in base alle di-verse qualifiche individuali. Dal punto di vista delle perso-ne non qualificate, il comportamento di chi è spiritualmen-te desto può apparire contrapposto al comportamento del-la gente comune, ma in definitiva lo scopo fondamentale diquesti pur differenti comportamenti è sempre lo stesso.

"Dal punto di vista delle persone spiritualmente deste,le persone comuni sono adatte a ricevere istruzioni in chia-ve di naimittika-dharma tuttavia, nella sua essenza, il nai-mittika-dharma è asampür∫a (incompleto), heya (da re-spingere), miΩra (adulterato) e acirasthåyî (temporaneo).

"Il naimittika-dharma non è propriamente una praticaspirituale. Le attività materiali temporanee che vengono in-traprese al posto delle pratiche spirituali pure, sono sempli-cemente dei mezzi per raggiungere un fine limitato. Quan-

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la pratica dell'hari-bhajana egli l'accetterà di buon grado.Quando un precetto è sfavorevole, egli immediatamente lorigetterà. La medesima considerazione vale anche per i di-vieti.

"Il Vaiß∫ava è l'entità più importante del mondo. UnVaiß∫ava è il migliore amico del mondo. Il Vaiß∫ava è unbenefattore del mondo. Qualsiasi cosa abbia detto, l'hopresentata a questa assemblea di Vaiß∫ava con umiltà. Viprego di scusarmi per gli errori e le offese."

Detto ciò, Vaiß∫ava dåsa offrì da∫∂avat-pra∫åma aiVaiß∫ava riuniti e si sedette da una parte. In quell'istantegli occhi dei Vaiß∫ava si colmarono di lacrime e tutti escla-marono all'unisono: 'Ben fatto! Ben fatto! Tu sia benedet-to!" I cespugli di Godruma fecero eco a queste parole.

Il bråhma∫a cantore che aveva posto la domanda potèverificare la profonda verità contenuta negli argomenti svi-luppati, anche se erano sorti alcuni dubbi su determinatipunti. Nonostante ciò il seme della fede nel dharmaVaiß∫ava fu riposto in modo significativo nel suo cuore.Egli a mani giunte disse: "Grandi anime, io non sono unVaiß∫ava ma, ascoltando continuamente l'Harinåma, lo stodiventando. Se vorrete istruirmi, tutti i miei dubbi svani-ranno."

Ûrî Premadåsa Paramahaµsa Båbåjî MahåΩaya gentil-mente disse: "Di volta in volta puoi associarti con ÛrîmanVaiß∫ava dåsa. Lui è uno studioso erudito in tutti gli Ωåstra.Ha vissuto a Vårå∫asî dove ha accettato sannyåsa dopo averstudiato a fondo il Vedå∫ta-Ωåstra. Il carissimo Signore delnostro cuore, Ûrî Krishna Caitanya, gli ha dimostrato unamisericordia illimitata e lo ha attirato qui a Ûrî Navadvîpa.Lui è ora del tutto esperto in ogni verità della filosofiaVaiß∫ava ed ha sviluppato un profondo amore per l'Ha-rinåma."

L'uomo che aveva posto la domanda si chiamava Ûrî Kå-

Jaiva-dharma

teri mistici è soltanto un insignificante risultato della prati-ca degli otto livelli yoga. Questi poteri mistici sono la cosameno augurabile per la jîva. La mukti (liberazione) e labhukti (godimento materiale) sono i due inevitabili compa-gni del naimittika-dharma. Solamente quando la jîva potràliberarsi dalle grinfie della mukti e della bhukti potrà rag-giungere il suo vero obiettivo che è cid-anuΩîlana, il coltiva-re la realtà spirituale pura. Di conseguenza per la jîva vi èmolto da tralasciare all'interno del naimittika-dharma.

"Il naimittika-dharma non è permanente (acirasthåyî).Esso non può essere applicato a tutti i tempi e a tutte le con-dizioni della jîva. Per esempio, i doveri ritualistici dei bråh-ma∫a, i doveri amministrativi o militari degli kßatrîya ed al-tri doveri contingenti dello stesso genere, derivano da unacausa specifica. Quando la causa vien meno, anche questidoveri cessano. Una persona può nascere come bråhma∫ain una vita e nella successiva come ca∫∂åla; in tal caso il nai-mittika-dharma relativo alla nascita bråhminica non saràpiù il suo svadharma. La parola svadharma, che significa 'ilproprio dovere', viene qui usata in un aupacårika, ovvero insenso figurato. Lo svadharma della jîva cambia ad ogni vi-ta, ma il nitya-dharma della jîva non cambia mai, in nessunavita. Il nitya-dharma è il vero svadharma della jîva, mentreil naimittika-dharma è temporaneo. Se si chiedesse: 'Qual èil dharma Vaiß∫ava?', la risposta sarebbe: 'il dharmaVaiß∫ava è il nitya-dharma della jîva'.

“Quando il Vaiß∫ava si libera dalla materia, nutre k®ß∫a-prema nella sua forma spirituale pura, tuttavia, quando ilVaiß∫ava diventa spiritualmente desto ma si trova ancora inuna condizione di schiavitù, accetta solo quegli oggetti equelle compagnie che favoriscono la sua pratica spiritualerigettando tutto ciò che è sfavorevole. Per questo egli nonaderisce mai ciecamente alle norme ed ai regolamenti del-le scritture. Solamente quando un precetto è favorevole al-

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Terzo Capitolo

dåsa Båbåjî in piedi in mezzo al cortile che parlava con unadonna. La donna, appena lo vide, scomparve. Mådhava då-sa, imbarazzato dalla presenza di Låhirî MahåΩaya, rimasemuto e immobile.

Låhirî MahåΩaya disse: "Båbåjî, cosa sta succedendo?"Con le lacrime agli occhi Mådhava dåsa rispose: "E' il

mio malvagio destino. Cosa potrei dire d'altro? Guardacom'ero in passato e come sono diventato ora! Para-mahaµsa Båbåjî MahåΩaya aveva molta fiducia in me; orainvece ho vergogna a presentarmi davanti a lui."

Låhirî MahåΩaya disse: "Ti prego, spiegami meglio, cosìche possa comprendere."

Mådhava dåsa disse: "La donna che hai appena visto èstata mia moglie. Poco dopo che io ebbi accettato l'ordinedi rinuncia del babaji, lei andò a Ûrîpå† Ûåntipura dove co-struì una capanna e lì si stabilì a vivere sulla riva del Gange.Passò così molto tempo. Un giorno mi capitò di andare aÛrîpå† Ûåntipura e, vedendola sulla riva del Gange, le dissi:'Perchè hai lasciato la famiglia?' 'Quella vita non mi attraepiù, poichè sono priva del servizio ai tuoi piedi,' mi spiegò.'Mi sono messa a vivere in questo luogo sacro e mi manten-go elemosinando i pasti.'

"Senza dirle altro, ritornai a Godruma. Dopo un po' an-che lei si trasferì a Godruma, nella casa di un fattore. Ognigiorno la scorgevo qui e là. Più cercavo di evitarla più lei miavvicinava. Ora ha costruito un åΩrama proprio qui dove ri-siedo e, venendo da me di notte tenta di portarmi alla rovi-na. La mia infamità si è diffusa ovunque. Frequentandolail mio bhajana si è deteriorato in modo serio. Sono una di-sgrazia nella famiglia di Ûrî Krishna Caitanya. Dai tempidel castigo di Cho†a Haridåsa sono l'unico che merita unapunizione. Per la loro grande compassione i båbåjî di ÛrîGodruma non mi hanno ancora castigato, ma non nutronopiù nessuna fiducia in me."

Jaiva-dharma

lidåsa Låhirî. Sentendo le parole di Båbåjî MahåΩaya, egliaccettò nel suo cuore Vaiß∫ava dåsa come guru pensando:"Vaiß∫ava dåsa è nato in una famiglia di bråhma∫a ed ha ac-cettato il sannyåsa-åΩrama. Ho notato la sua straordinariaerudizione nelle verità Vaiß∫ava. Posso imparare molto dalui per quanto riguarda il dharma Vaiß∫ava." Così pensan-do, Låhirî MahåΩaya offrì da∫∂avat-pranamå ai piedi di lo-to di Vaiß∫ava dåsa e disse: "Grande anima, ti prego, con-cedimi la tua misericordia." Vaiß∫ava dåsa contraccambiòi da∫∂avat-pranamå e rispose: "Se vorrai concedermi la tuamisericordia, sarò completamente soddisfatto."

Poichè la sera si avvicinava, tutti tornarono alle rispetti-ve case.

La casa di Låhirî MahåΩaya si trovava dentro un bo-schetto in una zona appartata del villaggio. Al centro delkuñja vi era un pergolato naturale di mådhavî ed un ripianosu cui era posata Tulasî-devî. Sui due lati del kuñja vi eranodue stanze. Il cortiletto era racchiuso da una siepe di pian-te cita. La bellezza del cortile era ancor più valorizzata dal-la presenza di alberi bela, nima e altre piante con molti fio-ri e frutti. Il giardiniere era Mådhava dåsa Båbåjî.

Fin dall'inizio Mådhava dåsa Båbåjî era stato un uomodalla virtù immacolata, ma il suo carattere Vaiß∫ava eraguastato da compagnie immorali. A causa dell'inopportu-na compagnia di una donna, le sue pratiche di bhajana sierano offuscate; si era molto impoverito ed aveva incontra-to difficoltà nel far fronte alle sue esigenze. Riusciva a ma-lapena a sopravvivere elemosinando in vari luoghi e affit-tando la stanza in più che aveva. Ora Låhirî MahåΩaya oc-cupava quella stanza.

Quella notte, a mezzanotte, il sonno di Låhirî MahåΩayasi interruppe. Egli stava meditando sui significati essenzia-li di ciò che Vaiß∫ava dåsa Båbåjî aveva spiegato, quandoudì un suono nel cortile. Uscito dalla stanza vide Mådhava

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CAPITOLO QUATTROVaiß∫ava-dharma, un altro nome della

Religione Eterna

La capanna di Låhirî MahåΩaya era adiacente alla ca-panna di Vaiß∫ava dåsa. Pochi alberi di mango e di jack siergevano lì vicino e tutta la zona era abbellita da piccolepiante di betel. Nel cortile era evidenziato un grande spiaz-zo circolare costruito molti anni prima, quando PradyumnaBrahmacårî viveva lì. I Vaiß∫ava da allora lo avevano chia-mato 'Terrazzo di Surabhi' e vi camminavano attorno of-frendo con devozione da∫∂avat-pra∫åma.

Il crepuscolo stava volgendo all'imbrunire. Nella sua ca-panna, seduto sopra uno strato di foglie, Ûrî Vaiß∫ava dåsacantava l'Harinåma. Si fece buio e nella notte gradual-mente si intensificò.

Nella capanna di Låhirî MahåΩaya era acceso un fievolelumino. Improvvisamente Låhirî MahåΩaya notò sulla so-glia qualcosa che sembrava un serpente; allora alimentò lalampada e prese immediatamente un bastone per ucciderlo,ma nel frattempo il serpente era scomparso.

Låhirî MahåΩaya disse a Vaiß∫ava dåsa: “Stai attento!Proprio adesso nella tua capanna potrebbe essere entratoun serpente.”

Vaiß∫ava dåsa rispose: “Låhirî MahåΩaya, perchè sei co-sì turbato per un serpente? Vieni, siediti con me nella miacapanna e non avere più paura.”

Låhirî MahåΩaya entrò nella capanna di Vaiß∫ava dåsa esi sedette su di uno strato di foglie ma la mente era ancora inansia per il serpente. Egli disse: “Grande anima, la nostra

Jaiva-dharma

Sentite queste parole Låhirî MahåΩaya disse: "Mådhavadåsa Båbåjî, ti prego, stai attento!" Dopo di ciò tornò nel-la sua stanza. Anche Båbåjî se ne andò e si sedette su di unasedia.

Però Låhirî MahåΩaya non riusciva a dormire. Conti-nuava a pensare: "Mådhava dåsa Båbåjî è ricaduto nella vi-ta di famiglia dopo avervi rinunciato; non è giusto che ri-manga ancora qui. Anche se non ci fosse per me il rischio diuna cattiva compagnia, certamente la mia reputazione ver-rebbe macchiata e i puri Vaiß∫ava non mi istruirebbero piùcon fiducia."

La mattina presto andò al Pradyumna kuñja, si rivolse aÛrî Vaiß∫ava dåsa con il dovuto rispetto e chiese un luogoper poter stare nel kuñja. Quando Vaiß∫ava dåsa informòParamahaµsa Båbåjî MahåΩaya di questa richiesta, Båbåjîordinò che gli venisse messa a disposizione una capanna sudi un lato del kuñja. Da allora Låhirî MahåΩaya vive inquella capanna e prende il prasåda nella casa di un bråh-ma∫a che risiede nelle vicinanze.

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Quarto Capitolo

Nelle caverne delle montagne vivono molte grandi animeimpegnate nell'adorazione del Signore Supremo. Mai essiprovano paura per gli animali selvatici che vivono là; men-tre è per paura della compagnia dei materialisti che hannoabbandonato la vita tra gli umani per vivere tra gli animaliselvatici.”

Båbåjî MahåΩaya disse: “Quando bhakti-devî, la dea del-la devozione, si manifesta nel cuore di qualcuno, quel cuo-re automaticamente si eleva ed egli può diventare caro adogni entità vivente. Tutti, sia peccatori che santi, provanoaffetto per i Vaiß∫ava. Per questo ogni essere umano do-vrebbe diventare Vaiß∫ava.”

Ascoltate queste parole, Låhirî MahåΩaya rispose: “Tuhai risvegliato la mia fede nel nitya-dharma. Mi sembra dicapire che vi è una relazione molto stretta tra il nitya-dhar-ma ed il Vaiß∫ava-dharma, ma fin'ora non sono stato in gra-do di afferrare la loro unitarietà. Ti prego umilmente dispiegarmela in modo chiaro.”

Vaiß∫ava dåsa Båbåjî prese a rispondere: “In questomondo sono due i dharma che si riferiscono al Vaiß∫avadharma. Il primo è quello puro o Ωuddha Vaisnava-dharma,mentre il secondo, adulterato, è il viddha Vaiß∫ava dharma.

“Il Ωuddha Vaiß∫ava dharma, sebbene uno, è suddiviso inquattro parti a seconda del råsa o gusto nel servire il Signo-re con uno specifico sentimento e può quindi avere le se-guenti nature: dåsya (sentimento di servitù); sakhya (senti-mento di amicizia); våtsalya (affetto dei genitori); emådhurya (amore coniugale). In realtà il Ωuddha Vaiß∫avadharma è uno, non ha secondi ed è noto anche come nitya-dharma (funzione eterna) o parama-dharma (funzione su-prema).

“Negli Ωruti-Ωåstra (Mu∫∂aka Upa∫ißad 1.1.3) troviamola seguente affermazione:

Jaiva-dharma

Ûåntipura va bene sotto ogni aspetto poichè è una città do-ve non si conosce la paura per i serpenti, per gli scorpioni eper altre cose del genere. A Nadîyå invece la paura per iserpenti è sempre viva. E' molto difficile per una personanon abituata, vivere nella foresta di Godruma.”

Ûrî Vaiß∫ava dåsa Båbåjî interloquì: “Låhirî MahåΩaya,non ha senso agitarsi per queste cose. Al riguardo dovrestiascoltare la storia di Mahåråja Parîkßit narrata nello Ûrî-mad-Bhågavatam. Senza alcun timore per la morte che gliera stata annunciata e che sarebbe sopraggiunta con unmorso di serpente, con estrema risolutezza egli bevve il net-tare dell'hari-kathå proveniente dalla bocca di Ûrî Ûukade-va e così gustò la suprema estasi trascendentale. Nessunserpente può ledere il corpo spirituale di una persona. Ilcorpo spirituale può essere ferito solamente dal serpentedella separazione dagli argomenti riguardanti il Signore Ha-ri.

“Il corpo materiale non è eterno. Un giorno sicuramen-te dovremo lasciarlo. Il karma corporale è già stato deter-minato. Quando, per volere di Krishna, il corpo collassa,nessun tipo di sforzo può salvarlo. Finchè non è giunto iltempo designato per il decesso del corpo, un serpente nonpuò costituire un problema, nemmeno se gli si dorme ac-canto.

“Quindi una persona si rivela Vaiß∫ava solamente quan-do non ha paura nè dei serpenti nè di altre cose del genere.Se invece si agita per paure del genere, come potrà fissarela propria mente sui piedi di loto di Ûrî Hari? Non si do-vrebbe quindi avere paura dei serpenti nè, sempre per pau-ra, tentare di ucciderli.”

Rasserenato, Låhirî MahåΩaya disse: “Grande anima, letue parole virtuose e definitive hanno dissipato la paura dalmio cuore. Ora mi è chiaro che si può ottenere il più altobeneficio solamente con una trasformazione del cuore.

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Quarto Capitolo

suprema è l'insondabile e onnipervadente Brahman. Que-sta scuola ordina l'adorazione di Sürya, Ga∫eΩa, Ûakti, Ûivae Viß∫u, ognuno dei quali possiede una forma, per poter ot-tenere l'indistinto e onnipervadente Brahman, privo di for-ma e aspetto. Molte persone accettano questa dottrina emancano di rispetto ai puri Vaiß∫ava. L'adorazione di que-ste cinque divinità viene definita pañcopåsanå. Anche sel'adorazione del Signore Viß∫u prescritta in questa pañ-copåsanå include l'iniziazione, l'adorazione della Divinitàe gli altri aspetti dell'adorazione del Signore Viß∫u, talvoltapersino l'adorazione di Rådhå-K®ß∫a, essa non viene con-siderata Ωuddha Vaiß∫ava dharma.

“Il Ωuddha Vaiß∫ava dharma che viene alla luce dopoaver eliminato le forme adulterate è il vero Vaiß∫ava dhar-ma. Per influenza dell'era di Kali, la maggiorparte dellepersone non è in grado di capire cosa veramente sia il dhar-ma Vaiß∫ava e così finiscono per accettare varie forme adul-terate di esso come vero Vaiß∫ava dharma.

“Secondo lo Ûrîmad-Bhågavatam, gli esseri umani mani-festano tre diverse attitudini in relazione alla Verità Asso-luta: bråhma-prav®tti, tendenza verso l'onnipervadenteBrahman; paramåtma-prav®tti, disposizione verso il Signo-re che risiede nel cuore, conosciuto come Paramåtmå ebhågavata-prav®tti, propensione verso Bhagavån la Perso-na Suprema.

“Attraverso il bråhma-prav®tti alcuni acquisiscono un gu-sto per l'indefinito Brahman senza forma che diventa il lo-ro fine ultimo. Il metodo che essi adottano per raggiunge-re questo stato viene definito pañcopåsanå. In questo pro-cesso è presente il Vaiß∫ava dharma contaminato da jñåna.

“Attraverso il paramåtmå-prav®tti alcuni acquisiscono ungusto per quel principio yoga che stabilisce un contatto conla forma sottile del Paramåtmå. I procedimenti che essi se-guono nella speranza di raggiungere lo stato di samådhi o

Jaiva-dharma

yad vijñåte sarvam idaµ vijñåtaµ bhavati

'Quando si comprende con chiarezza la Verità Suprema,ogni altra cosa diventa nota.'

“Questa affermazione fa riferimento al Ωuddha Vaiß∫avadharma. Il senso pieno e l'importanza di ciò ti verranno gra-dualmente rivelati nel corso del tempo.

“Quanto al Vaiß∫ava dharma adulterato è anch'esso didue tipi: karma-viddha (adulterato dal karma) e jñåna-viddha (adulterato da jñåna). Secondo gli smårta o i bråh-ma∫a di casta, tutte le pratiche definite come Vaiß∫avadharma sono karma-viddha Vaiß∫ava dharma. Pur essen-doci in questo tipo di Vaiß∫ava dharma un'iniziazione almantra Vaiß∫ava, l'onnipervadente Signore dell'universo,Viß∫u, viene considerato come parte costitutiva del proces-so del karma. Secondo questa teoria, sebbene Viß∫u sia ilsignore di tutti i deva, Egli viene considerato solamente unaspetto del karma ed è soggetto alle sue leggi. Il karma-viddha Vaiß∫ava dharma considera il karma non subordi-nato al volere di Viß∫u, al contrario è Viß∫u ad esser subor-dinato alle leggi del karma.

“Sempre secondo questa teoria, tutti i tipi di adorazionee di pratica spirituale come l'upåsanå, il bhajana ed il sådha-na, sono semplicemente degli aspetti di karma poichè nonc'è verità più elevata del karma. Questo tipo di Vaiß∫avadharma, praticato dagli antichi filosofi mîmåµsaka, è statoquello prevalente per un periodo di tempo molto lungo. InIndia, molte persone che hanno aderito a questa dottrina,si fregiano del titolo di Vaiß∫ava. Essi però non si curanoaffatto di riconoscere i puri Vaiß∫ava come Vaiß∫ava. Equesta è la loro grande sfortuna.

“Il Vaiß∫ava dharma adulterato da jñåna è molto diffusoin tutta l'India. Secondo questa scuola di pensiero, la verità

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trance sul Paramåtmå, sono conosciuti come karma-yoga ea߆å∫ga-yoga. Per questa dottrina, l'iniziazione al canto deiviß∫u-mantra, l'adorazione del Signore Viß∫u, la medita-zione ed altre pratiche del genere, sono tutte parti di kar-ma. Il Vaiß∫ava dharma adulterato dal karma è presente inquesto sistema.

“Attraverso il bhågavata-prav®tti le jîve fortunate acqui-siscono un gusto per il principio della bhakti e aspirano aservire la forma pura e personale del Signore Supremo, ilQuale possiede ogni qualità nella massima espressione. Leazioni di queste persone, come ad esempio il loro modo diadorare il Signore, non fanno parte del karma o del jñåna,ma sono componenti della Ωuddha-bhakti. Il Vaiß∫ava dhar-ma conforme a questa dottrina è il Ωuddha Vaiß∫ava dhar-ma. Nello Ûrîmad-Bhagavatam (1.2.11) sta scritto:

vadanti tat-tattva-vidas tattvaµ yaj-jñånam advayambrahmeti paramåtmeti bhagavån iti Ωabdyate

'Coloro che conoscono la realtà assoluta descrivono co-me Suprema Verità la sostanza ultima non duale. QuestaVerità Suprema è conosciuta come Brahman, Paramåtmå eBhagavån.'

“Il principio fondamentale che riguarda Bhagavån nelSuo supremo aspetto personale, come Verità Assoluta, è co-nosciuto come bhagavat-tattva. Dovresti capire che questoprincipio fondamentale relativo a Bhagavån, il Quale nonè diverso dal Brahman e dal Paramåtmå, è il livello più altodella Verità Assoluta.

“Questa bhagavat-tattva, o concezione della verità comepersona, è la comprensione pura del Signore Viß∫u. Le jîveche si attengono a questo principio sono jîve pure e la loropropensione viene definita bhakti. L'Hari-bhakti, devozio-

ne per il Supremo Signore Hari, viene celebrata con i nomidi Ωuddha vaiß∫ava-dharma, nitya-dharma (funzione eter-na), jaiva-dharma (funzione costitutiva delle entità viven-ti), bhågavat-dharma (religione relativa all'adorazione del-la Persona Suprema), paramårtha-dharma (religione cheimpegna nella ricerca della verità più alta) e parama-dhar-ma (occupazione suprema).

“Tutti i tipi di dharma che nascono dalla tendenza a ri-cercare il Brahman e il Paramåtmå sono naimittika, contin-genti o causati da determinate condizioni. Uno scopo ma-teriale, nimitta, è presente nella ricerca dell'indistinto Brah-man, perciò questa ricerca è naimittika, non nitya.

“La jîva schiava della materia, quand'è ansiosa di essereliberata dalla sua prigionia, trae dal suo stato di incarcera-zione la motivazione e la forza impellente che la induce adadottare il naimittika-dharma col fine di raggiungere quellostato in cui tutte le caratteristiche materiali vengono annul-late. Questo impegno è definito naimittika perchè è moti-vato da una causa materiale (nimitta) che è la condizione diimprigionamento materiale. Il dharma che punta ad otte-nere il Brahman non è dunque eterno.”

Dopo aver ascoltato questa esauriente spiegazione,Låhirî MahåΩaya disse: "Grande anima, ti prego, istruisci-mi sul Ωuddha vaiß∫ava-dharma. Sono giunto ad un'etàavanzata ed ho trovato rifugio ai tuoi piedi di loto. Ti pre-go, accettami. Ho anche sentito dire che se in precedenzasi è accettato dîkßå o Ωikßå da un guru non qualificato, quan-do si incontra un guru autentico si devono ricevere di nuo-vo l'iniziazione e le istruzioni. Da molti giorni ascolto le tueeccellenti istruzioni e la mia fede nel Vaiß∫ava dharma si èrisvegliata. Ti prego, innanzitutto istruiscimi sul Vaiß∫avadharma e poi santificami con l'iniziazione."

Båbåjî MahåΩaya, sentendosi un pò a disagio rispose:“Mio caro e santo fratello, per quel che sono in grado, di

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oltre Vaiku∫†ha, Egli è Gopîjana-vallabha Ûrî K®ß∫acandra.Le Sue varie espansioni, come le prakåΩa o espansioni dal-l'identico aspetto e le vilåsa o forme differenziate in fun-zione dei diversi passatempi, sono eterne ed illimitate. Nonesiste nulla e nessuno che Lo eguagli, che dire di superar-Lo!

“Le Sue forme prakåΩa e vilåsa vengono manifestate at-traverso la Sua potenza superiore conosciuta come parå-Ωakti. Questa parå-Ωakti manifesta il suo vikrama, potere,in molti aspetti differenti; tra questi, solamente tre sono ac-cessibili alle jîve. Il primo è cit-vikrama, la potenza internatramite cui vengono manifestati i trascendentali passatem-pi del Signore ed ogni cosa in relazione ad essi.

“La seconda è jîva o ta†asthå-Ωakti, la potenza marginale,tramite cui vengono manifestate e sostenute un numero il-limitato di entità viventi. La terza è måyå-vikrama, la po-tenza generatrice di illusione, attraverso cui il tempo mate-riale, le azioni materiali e tutti gli oggetti non sostanziali diquesto mondo vengono creati.

“La relazione del Signore con la jîva, la fondamentale na-tura della jîva e la relazione della jîva con la materia, nel-l'insieme viene definita sambandha-tattva. Chi possiedeuna completa comprensione di questa sambandha-tattva èsituato in sambandha-jñåna. Una persona priva di sam-bandha-jñåna non può diventare, con nessun altro mezzo,un puro Vaiß∫ava."

Låhirî MahåΩaya disse: “Ho sentito da qualche Vaiß∫avache i Vaiß∫ava sono solo bhåvuka, sperimentano cioè il sen-tiero della devozione tramite emozioni, per cui non hannobisogno di conoscenza. Quanta verità è contenuta in questaaffermazione? Fin'ora ho semplicemente tentato di evoca-re emozioni con il canto dell'Harinama saõkîrtana e non hofatto nessun tentativo per comprendere la sambandha-jñå-na.”

Jaiva-dharma

certo ti istruirò, ma non sono adatto come dîkßå-guru, no-nostante ciò tu puoi ricevere da me istruzioni che riguarda-no il Ωuddha vaiß∫ava-dharma.

“Il guru originale del mondo intero, Ûrî Krishna CaitanyaMahåprabhu, ha spiegato che vi sono tre principi fonda-mentali all'interno del Vaiß∫ava dharma: sambandha-tatt-va, conoscenza della propria relazione con il Supremo Si-gnore; abhidheya-tattva, i mezzi con cui raggiungere lo sco-po ultimo; e prayojana-tattva, lo scopo ultimo: k®ß∫a-prema.Chi conosce questi tre principi ed agisce in armonia con es-si è un Ωuddha Vaiß∫ava o un Ωuddha-bhakta.

“Sambandha-tattva è stata esposta in tre distinti aspetti:ja∂a-jagat (måyika-tattva), il mondo materiale (la verità fon-damentale che riguarda la potenza generatrice di illusione);jîva-tattva (adhîna-tattva), gli esseri viventi (la verità fonda-mentale riguardante le entità dominate); e infine Bhagavån(prabhu-tattva), il Signore Supremo (la verità fondamenta-le che riguarda l'entità predominante).

“Bhagavån è l'Uno senza secondi e possiede tutte le po-tenze. Egli è infinitamente affascinante; è la dimora esclu-siva dell'opulenza e della dolcezza ed il rifugio di måyå edelle jîve. Egli possiede anche una Sua suprema, indipen-dente forma di straordinaria bellezza. L'effulgenza del Suocorpo, la cui radiosità giunge ovunque, si manifesta comeBrahman senza forma. Egli manifesta le jîve ed il mondomateriale attraverso la Sua potenza divina conosciuta comeaiΩî-Ωakti e poi entra nel mondo attraverso la Sua espansio-ne parziale, il Paramåtmå. Questa è la verità fondamenta-le che riguarda ÈΩvara (Supremo Controllore), o il Pa-ramåtmå (l'eterna Superanima).

“Nella Sua forma colma di opulenza e di maestà, Egli èNåråya∫a e Si manifesta nei Vaiku∫†ha del cielo spirituale,al di là di questo universo materiale. Nel Suo aspetto col-mo di dolcezza con cui Si manifesta a Goloka V®ndåvana,

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que il Brahman dovrebbe venir considerato superiore sem-plicemente perchè senza limiti? Sebbene Bhagavån sia sen-za limiti, in virtù della potenza manifestata dall'effulgenzadel Suo corpo, Egli possiede simultaneamente anche unapropria forma trascendentale. Esiste qualche altra entitàcosì? E' per questa natura impareggiabile che Bhagavån èsuperiore al principio del Brahman.

“La Sua forma trascendentale è infinitamente attraenteperciò, in quella stessa forma, l'onnipervadenza, l'onni-scienza, l'onnipotenza, l'illimitata misericordia e la supre-ma felicità si manifestano compiutamente. Cosa è superio-re, una forma come questa, che racchiude in sè al sommogrado tutte le qualità, oppure un'esistenza oscura, onniper-vadente, ma priva di qualità e di potenze? In realtà il Brah-man è soltanto la manifestazione impersonale di Bhagavån.L'aspetto personale e quello impersonale in Bhagavån esi-stono simultaneamente ed in perfetta armonia.

“Il Brahman è solamente un aspetto di Bhagavån. Lepersone miopi sono attratte dall'aspetto senza forma, im-mutabile, incomprensibile ed incommensurabile di un Si-gnore Supremo privo di qualità. Coloro però che sono sar-va-darΩî, che vedono tutto, non provano attrazione pernient'altro all'infuori della completa Verità Assoluta.

“I Vaiß∫ava non possiedono una fede significativa per l'a-spetto impersonale e senza forma del Signore, poichè è inopposizione alla funzione eterna e incondizionata di prema.Dio la Persona Suprema, Ûrî K®ß∫acandra, è la base sia del-l'aspetto personale che di quello impersonale. Egli è unoceano di suprema felicità spirituale e Colui che attrae le jî-ve pure."

"Ûrî Krishna nasce, agisce e lascia il Suo corpo; come puòla Sua forma essere eterna?” Chiese Låhirî MahåΩaya.

“La forma di Ûrî Krishna è sac-cid-ånanda: eterna, col-ma di conoscenza e di felicità," rispose Båbåjî. "La Sua na-

Jaiva-dharma

Båbåjî rispose: “La manifestazione di bhåva, che è il pri-mo germoglio di amore divino e la base di ogni emozionetrascendentale, rappresenta per i Vaiß∫ava il frutto più gran-de. Tuttavia lo stato di bhåva deve essere puro. Alcuni pen-sano che il fine più elevato sia quello di fondere la propriaidentità nel Brahman senza forma e, per raggiungere que-sto fine, essi inducono delle emozioni mentre sono impe-gnati nella disciplina spirituale. Ma nè le loro emozioni nèil loro sforzo sono Ωuddha-bhåva (puri), essi sono semplice-mente un'imitazione.

“Anche una piccola goccia di Ωuddha-bhåva può soddi-sfare la più alta aspirazione dell'entità vivente. Tuttavia, farmostra di emozioni da parte di chi è contaminato da quellajñåna, cioè conoscenza diretta ad ottenere il Brahman im-personale, risulta una grande calamità per la jîva.

“I sentimenti devozionali delle persone che nel cuoreconservano un desiderio di diventare uno con il Brahman,sono semplicemente una sorta d'imbroglio. Svilupparesambandha-jñåna è assolutamente essenziale per i puri de-voti.”

Poi Låhirî MahåΩaya, colmo di fede, chiese: "Esistonoverità superiori al Brahman? Se Bhagavån è l'origine delBrahman, perchè le jîve non abbandonano la ricerca delBrahman e si impegnano nell'adorazione di Bhagavån?"

Båbåjî MahåΩaya sorrise gentilmente e disse: "Brahmå, iquattro Kumåra, Ûuka, Nårada e Mahådeva, il capo degliesseri celesti, in conclusione si sono tutti rifugiati ai piedi diloto di Bhagavån.”

Låhirî MahåΩaya allora sollevò un dubbio: “Bhagavånpossiede una forma. Poichè la forma è limitata da conside-razioni di spazio, come può esser Lui l'origine dell'onni-pervadente e illimitato Brahman?”

Båbåjî rispose: “Anche nel mondo materiale la sostanzaconosciuta con il nome di cielo è senza limiti. Perchè dun-

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Båbåjî gli disse: “Quando abbandonerai ogni dubbio eogni logica materiale e ti dedicherai costantemente al San-to Nome, molto presto dentro di te la realizzazione spiri-tuale maturerà da sè. Meno ricorrerai alla logica mondana;meno soggiogherai la tua mente alla prigionia materiale; piùti sforzerai di immergerti nel flusso del nåma-rasa e più letue catene materiali si allenteranno finchè la dimensionespirituale si manifesterà nel tuo cuore.”

“Ti prego, sii misericordioso, spiegami in cosa consistequesta esperienza spirituale" implorò Låhirî.

"Quando la mente tenta di comprendere quella verità at-traverso le parole, finisce per trovarsi ad un punto morto”disse Båbåjî. “La verità si può realizzare solo coltivando lafelicità spirituale. Abbandona ogni logica materiale e sem-plicemente canta il Santo Nome per molti giorni. Il poteredel Santo Nome automaticamente disperderà tutti i tuoidubbi e a questo proposito non dovrai più chiedere nulla anessuno.”

Låhirî MahåΩaya disse: “Ho capito che si ottiene il su-premo beneficio spirituale bevendo con fede l'essenza li-quida del nome di Krishna. Dopo aver compreso vera-mente sambandha-jñåna, intraprenderò il canto del SantoNome.”

Approvando Båbåjî rispose: “Eccellente! Devi avereuna comprensione sonora di sambandha-jñåna.”

“Bhågavat-tattva, la fondamentale verità riguardante ilSupremo Signore, ora mi è chiara” affermò Låhirî.

“Bhagavån è l'unica Suprema Assoluta Verità. Il Brah-man ed il Paramåtmå Gli sono subordinati. Sebbene Bha-gavån sia onnipervadente, Egli risiede nel mondo spiritua-le nella Sua particolare forma trascendentale. Egli possie-de ogni potenza ed è la Persona Suprema che concentra esi-stenza, conoscenza e felicità. Anche se è il padrone di tuttele potenze, Egli viene attratto dall'esuberante compagnia

Jaiva-dharma

scita, il Suo agire e l'abbandonare il corpo non hanno alcunnesso con la materia.”

“Perchè allora nel Mahåbhårata ed in altre scritture si èparlato di ciò?”

Båbåjî rispose: “L'eterna verità è impossibile da descri-vere poichè è al di là delle parole. L'anima pura nel suoaspetto spirituale vede la forma trascendentale e i passa-tempi di Ûrî Krishna; quando però descrive con parole quel-la suprema realtà, sembra proprio trattarsi di una storiamondana. Coloro che sono in grado di estrarre l'essenza dascritture come il Mahåbhårata, sperimentano i passatempidi Krishna in un determinato modo. Coloro che inveceascoltano queste descrizioni con l'intelligenza mondana, lecapiscono in modo diverso.”

“Se si medita sulla forma di Ûrî Krishna, la concezioneche scaturisce nel cuore è soggetta ai limiti del tempo e del-lo spazio” disse Lahiri Mahasaya. “Come si possono tra-scendere questi limiti e meditare sulla forma vera diKrishna?”

“La meditazione è un'azione della mente” affermòBåbåjî. “Finchè la mente non è completamente spiritualiz-zata, la meditazione non può essere cinmaya o spirituale.La mente purificata dalla bhakti gradualmente si spiritua-lizza. Se si medita con una mente così purificata, sicura-mente la meditazione diventa cinmaya.

“Quando i bhajanånandî Vaiß∫ava pronunciano il nomedi Krishna, il mondo materiale non può toccarli: essi sonocinmaya. Interiormente situati nel mondo spirituale, essimeditano sui passatempi che Krishna svolge durante i varimomenti del giorno e gustano l'estasi del servizio confiden-ziale.”

A mani giunte Låhirî MahåΩaya chiese al båbåjî: “Ti pre-go, sii misericordioso, concedimi questa realizzazione spiri-tuale (cid-anubhava).”

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sendosi risvegliata in loro la fede negli Ωåstra, non pratica-no il k®ß∫a-nåma. Essi adorano la divinità di Krishna comese fosse una questione di costume sociale; di conseguenzanon fiorisce nel loro cuore il gusto di associarsi e servire iVaiß∫ava.”

Dopo aver ascoltato, Låhirî disse: “ Ho capito cosa sonok®ß∫a-tattva e jîva-tattva. Ora ti prego di spiegarmi måyå-tattva.”

Båbåjî MahåΩaya spiegò: “Måyå è la potenza che esplicala funzione materiale (acit-vyåpåra), ed è anch'essa una po-tenza di Krishna. E' conosciuta come aparå-Ωakti, la poten-za inferiore o bahiraõgå-Ωakti, la potenza esterna.

“Proprio come l'ombra resta distante dalla luce, måyå re-sta distante da Krishna e dalla k®ß∫a-bhakti. Måyå manife-sta i quattordici sistemi planetari, la terra, l'acqua, il fuoco,l'aria, il cielo, la mente, l'intelligenza e l'ego tramite cui siidentifica il proprio sè col corpo materiale. Sia il corpo gros-solano che il corpo sottile della baddha-jîva, sono prodottida måyå.

“ Quando la jîva è liberata, il suo corpo spirituale non èpiù contaminato dalla materia. Più la jîva è intrappolata damåyå, più si allontana da Krishna. Più prende le distanzeda måyå, più rimane attratta a Krishna.

“L'universo materiale viene creato per volere di Krishnaallo scopo di facilitare il godimento materiale da parte del-le baddha-jîve. Il mondo materiale non è la residenza eter-na delle jîve, al contrario esso rappresenta solamente unaoccasione per potersi correggere.”

Soddisfatto da questa risposta, Låhirî MahåΩaya chieseancora al båbåjî: "Maestro, ora ti prego di parlarmi della re-lazione eterna che esiste tra måyå, le jîve e Krishna.”

“La jîva è anu-cit, una particella atomica di coscienzamentre Krishna è purna-cit, la coscienza totale; per questaragione la jîva è un'eterna servitrice di Krishna” fu la ri-

Jaiva-dharma

della Sua hlådinî, la potenza che Gli dà piacere. Ti prego,ora istruiscimi riguardo la jîva-tattva.”

In risposta Båbåjî disse: “La ta†asthå-Ωakti o potenza mar-ginale, è una delle innumerevoli potenze di Krishna. Il ri-sultato di questa energia marginale sono le entità che si tro-vano tra il mondo materiale e quello spirituale e che posso-no associarsi con entrambi. Queste entità sono le jîva-tatt-va.

“Costituzionalmente le jîve sono cit-paramå∫u, cioè en-tità atomiche di pura coscienza. Poichè le jîve sono minu-scole, sono suscettibili di venir imprigionate nel mondo ma-teriale. Poichè però sono costituite da pura coscienza, pos-sono divenire eterne residenti del mondo spirituale sempli-cemente acquisendo un po' di potere spirituale con cui ot-tenere il supremo piacere spirituale.

“Le jîve sono di due tipi: mukta, liberate; e baddha, pri-gioniere. Le jîve che risiedono nel mondo spirituale sono li-berate, quelle attaccate a questo mondo materiale, poichèvi sono state incatenate da måyå, sono prigioniere. Lebaddha-jîve sono di due tipi: udita-viveka, spiritualmentedeste; e le anudita-viveka, spiritualmente incoscienti. Gliuccelli, le bestie e gli esseri umani che non ricercano il lorobeneficio spirituale supremo sono baddha-jîve spiritual-mente incoscienti.

“Gli esseri umani che imboccano la via del Vaiß∫avismosono baddha-jîve spiritualmente deste. Nessuno più di unVaiß∫ava si sforza genuinamente di raggiungere la supremameta spirituale. Servire ed associarsi con i Vaiß∫ava è quin-di la migliore di tutte le attività; così è dichiarato dalle scrit-ture. Per la forza della loro fede negli Ωåstra, coloro che so-no spiritualmente desti acquisiscono un gusto per la prati-ca del k®ß∫a-nåma e perciò sviluppano facilmente un'attra-zione a servire e ad associarsi con i Vaiß∫ava.

“Coloro invece che sono spiritualmente inconsci, non es-

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prabhu si è riferito a queste verità fondamentali.”Gli occhi di Låhirî MahåΩaya si colmarono di lacrime ed

egli disse: “Divino Maestro, mi rifugio ai tuoi piedi di loto.Ascoltando le tue parole ricolme di ambrosia, ho finalmen-te capito cos'è sambandha-jñåna e contemporaneamente,con mio profondo stupore, tutte le impressioni mentali osaµskåra radicate profondamente in me, relativamente al-la casta di appartenenza, all'educazione e alle abitudini; pertua misericordia sono tutte svanite. Ora, ti prego, sii mise-ricordioso ed istruiscimi su abhidheya-tattva.”

Con compassione Båbåjî rispose: “Non preoccuparti. Lacrescita della tua umiltà è un segno sicuro che Ûrî Caitanya-deva ti ha concesso il Suo favore. Per le jîve prigioniere inquesto mondo, l'unico mezzo di liberazione è il sådhu-sa∫ga. I sådhu ed il guru misericordiosamente impartisco-no le istruzioni su come praticare il bhajana. Per forza diquel bhajana si raggiunge gradualmente la meta ultima,prayojana. Bhågavat-bhajana, la pratica devozionale svol-ta per la soddisfazione del Signore, è chiamata abhidheya.”

“Ti prego, rivelami come praticare il bhågavat-bhajana”chiese Låhirî al båbåjî.

“La bhakti è ciò per cui si pratica l'hari-bhajana” spiegòBåbåjî MahåΩaya. “Ci sono tre livelli di bhakti: sådhana, lostadio di pratica; bhåva, il sorgere del divino amore e pre-ma, lo stadio maturo dell'amore divino. All'inizio, perse-verando nella pratica della sådhana-bhakti, ad un certo pun-to si manifesta bhåva; quando bhåva è sviluppata appieno,allora viene definita prema.”

Intrigato da questa risposta, Låhirî implorò: “Ti prego,istruiscimi! Quali sono i differenti tipi di sådhana e come sidevono praticare?”

Il båbåjî rispose: “Ûrî Rüpa Gosvåmî nel suo libro, 'ÛrîBhakti-rasåm®ta-sindhu', ha scritto in modo elaborato suquesto argomento. Te ne riferirò brevemente. Vi sono no-

Jaiva-dharma

sposta di Båbåjî MahåΩaya. “Questo mondo materiale èuna prigione per le jîve. E' per influsso della compagnia dipersone sante che vivono in questo mondo, che viene prati-cato il canto del Santo Nome. Col tempo la jîva sarà tocca-ta dalla misericordia di Krishna e, situandosi nella sua for-ma spirituale perfetta nel mondo spirituale, berrà il nettaredel servizio a Ûrî Krishna. Questa è la relazione intima cheesiste tra queste tre fondamentali realtà o tattva. Senza que-sta conoscenza, come si può praticare il bhajana?”

“Poichè la conoscenza si ottiene con lo studio accademi-co, è necessario essere eruditi per diventare un Vaiß∫ava?Chiese Låhirî.

“Båbåjî MahåΩaya rispose: “Non vi è uno studio specifi-co da fare o una lingua particolare da imparare, per diven-tare un Vaiß∫ava. Per poter disperdere l'illusione di måyå lajîva deve rifugiarsi ai piedi di loto di un guru genuino e diVaiß∫ava autentici. Con le loro parole e con il loro com-portamento essi possono impartire sambandha-jñåna. Cer-care il rifugio in un guru genuino è definito dîkßå, e tra-smettere la sambandha-jñåna viene definito Ωikßå.”

Låhirî allora chiese: “Cosa bisogna fare dopo aver rice-vuto dîkßå e Ωikßå?”

“Si dovrebbe tenere un comportamento virtuoso ed im-pegnarsi nelle pratiche spirituali rivolte esclusivamente alpiacere di Ûrî Krishna,” rispose Båbåjî. “Questo si chiamaabhidheya-tattva, i mezzi attraverso cui raggiungere lo sco-po ultimo, k®ß∫a-prema. La parola abhidheya proviene dal-la radice verbale abhidhå, esprimere o spiegare. Il termineabhidheya letteralmente significa 'ciò che merita di venirspiegato'.

“I mezzi attraverso cui si può ottenere k®ß∫a-prema so-no le tattva o verità fondamentali più meritevoli di spiega-zione, e sono prevalentemente descritte nei Veda e in tuttigli Ωåstra. Col termine abhidheya-tattva Ûrîman Mahå-

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Quarto Capitolo

sce su come praticare il bhajana secondo la råga-mårga.”“Come si può determinare la qualificazione?” Chiese

Låhirî.Båbåjî spiegò: “Chi è qualificato a praticare la vaidhi-

bhakti non ha ancora sperimentato nella sua åtmå il princi-pio dell'attrazione spontanea, o råga, e desidera adorare ilSignore secondo le norme ed i regolamenti degli Ωåstra.Qualificato per praticare la rågånugå-bhakti è invece coluinella cui åtmå si è risvegliata una spontanea inclinazione perl'hari-bhajana e quindi, nella sua adorazione di Ûrî Hari,non desidera essere dipendente dalle leggi e dai regola-menti indicati nelle scritture.”

“Maestro” disse Låhirî “ti prego, dimmi per cosa sonoadatto, così che possa comprendere il vero criterio dellaqualificazione. Non sono ancora bene riuscito a far mia latua analisi della vaidhi e della rågånugå-bhakti.”

Båbåjî MahåΩaya allora disse: “Se scruti nel tuo cuore,conoscerai la tua qualifica. Pensi forse che il bhajana nonsia praticabile anche senza aderire ai canoni degli Ωåstra?”

Låhirî MahåΩaya rispose: “Credo che il meglio sia impe-gnarsi nel sådhana e nel bhajana sulla base delle regole de-lineate negli Ωåstra. Oggi tuttavia, realizzo che l'hari-bhaja-na è un oceano di råsa. Tramite il potere del bhajana, potrògradualmente gustare quel råsa.”

“Ora puoi capire che le regole degli Ωåstra hanno la pre-cedenza nel tuo cuore,” affermò Båbåjî. “Perciò devi pra-ticare la vaidhî-bhakti. Col tempo nel tuo cuore si risve-glierà anche il principio del råga.”

Dopo averlo scoltato, Låhirî MahåΩaya toccò i piedi delBåbåjî e con le lacrime agli occhi pronunciò queste parole:“Ti prego, sii misericordioso! Istruiscimi in ciò per cui so-no qualificato. Non desidero discutere o meditare su ciò percui non sono qualificato.”

Båbåjî MahåΩaya lo abbracciò e lo invitò a sedersi.

Jaiva-dharma

ve tipi di sådhana:

Ωrava∫aµ kîrtanaµ viß∫o˙ smara∫aµ påda-sevanamarcanaµ vandanaµ dåsyaµ sadhyam åtmå-nivedanam

'Ascoltare, cantare e ricordare il Santo Nome, la forma,le qualità ed i passatempi di Ûrî Krishna, servire i Suoi pie-di di loto, adorarLo con vari oggetti, offrirGli preghiere, ser-virLo con sentimento di servizio esclusivo, servirLo consentimento di intima amicizia ed offrirGli il proprio sè, que-sti sono i nove pricipali aspetti della devozione.'

“Questi nove tipi di sådhana-bhakti sono descritti nelloÛrîmad-Bhågavatam (7.5.23). Analizzandoli e suddividen-doli in varie parti, Ûrî Rüpa Gosvåmî ha fatto un'elaboratadescrizione di sessantaquattro tipi di sådhana-bhakti.

“In principio va notato che la sådhana-bhakti è di due ti-pi: vaidhi, o sådhana praticato sotto l'impulso di regole e re-golamenti contenuti nelle scritture; e rågånugå, ovverosådhana praticato per impulso dell'amore spontaneo.

“La vaidhi sådhana-bhakti è costituita dai nove aspettiappena elencati. Il servizio interiore a Krishna svolto con ilsentimento che nutrono gli eterni residenti di Vraja e cheaderisce totalmente al loro comportamento, è conosciutocome rågånugå sådhana-bhakti. Il sådhaka (aspirante de-voto), dovrebbe praticare il tipo di bhakti appropriato al suolivello o qualifica.”

Låhirî chiese al båbåjî: “Come si determina la qualifica(adhikåra) nella sådhana-bhakti?”

“Quando il maestro spirituale ritiene che un fedelesådhaka sia adatto a seguire le regole ed i regolamenti degliΩåstra, prima di tutto lo istruisce nella vaidhi sådhana-bhak-ti," rispose Båbåjî MahåΩaya. “Quando invece ritiene unsådhaka qualificato per la rågånugå-bhakti, allora lo istrui-

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Quarto Capitolo

poichè hai accettato Ûrî Harinåma con fede e, così facendo,hai reso fortunato anche me.”

Da quel giorno Låhirî MahåΩaya visse nella sua capannasenza più nessun timore cantando il Santo Nome con il suomålå.

Trascorsero così alcuni giorni. Låhirî MahåΩaya ora met-teva il tilaka sulle dodici parti superiori del corpo. Nonmangiava nulla che non fosse stato prima offerto al Signore.Cantava duecentomila Nomi ogni giorno. Non appenascorgeva un puro Vaiß∫ava immediatamente offrivada∫∂avat-pra∫åma.

Ogni giorno per prima cosa, prima di dedicarsi agli altrisuoi doveri, offriva da∫∂avat-pra∫åma a ParamahaµsaBåbåjî. Egli serviva sempre il suo gurudeva. Non provavapiù nessun gusto per argomenti mondani e non esibiva piùla sua bravura nel cantare. Non era più il Låhirî MahåΩayadi prima: era diventato un Vaiß∫ava.

Un giorno Låhirî offrì da∫∂avat-pra∫åma a Vaiß∫ava då-sa Båbåjî e gli chiese: “Maestro, cos'è prayojana-tattva?”

Båbåjî rispose: “Lo scopo ultimo della jîva, conosciutoappunto come prayojana-tattva è k®ß∫a-prema. Se si prati-ca il sådhana con costanza, alla fine si manifesta bhåva. Eal completamento del suo sviluppo, bhåva si trasforma inprema.

“Prema è l'eterna insita funzione della jîva, la sua eternaricchezza e il suo scopo. E' solo a causa dell'assenza di pre-ma che la jîva è costretta a sperimentare vari tipi di soffe-renza, di legami materiali e di attaccamenti agli oggetti delgodimento sensuale temporaneo. Nulla è più grande di pre-ma. Prema è completamente spirituale. Quando ånanda,l'estasi spirituale, raggiunge il massimo della sua intensità ediventa molto condensata, allora è conosciuta col nome diprema.”

Låhirî pianse copiosamente e poi chiese: “Sarò mai ca-

Jaiva-dharma

Låhirî umilmente chiese: “Ti prego, istruiscimi in modochiaro sul tipo di bhajana che devo praticare.”

“Devi praticare l'Harinåma” rispose Båbåjî in modo de-ciso. “Ûrî nåma-bhajana è più potente di ogni altra formadi bhajana. Non c'è differenza tra nåma e nåmî o, in altritermini, tra il Santo Nome ed il Signore Supremo, la perso-na cui ci rivolgiamo pronunciando il Santo Nome. Se cantiil Santo Nome senza offese, raggiungerai molto presto laperfezione. Devi cantare il Santo Nome con fede profon-da. Tutti i nove tipi di bhakti automaticamente risulterannopraticati svolgendo il nåma-bhajana. Pronunciando il San-to Nome praticherai sia il canto che l'ascolto. Cantando siricordano i passatempi di Hari e si servono mentalmente iSuoi piedi di loto, Lo si adora, Gli si offrono preghiere, Losi serve con sentimenti di servizio o di amicizia e Gli si offresè stessi.”

“Il mio cuore è molto impaziente” disse Låhirî. “Mae-stro! Ti prego, non indugiare nel concedermi la tua miseri-cordia.”

Båbåjî gli disse: “Devi sempre cantare questi nomi, sen-za commettere offese: 'Hare Krishna, Hare Krishna,Krishna Krishna, Hare Hare, Hare Råma, Hare Råma, Rå-ma Råma, Hare Hare.” Mentre li stava recitando, Båbåjîmise un tulasî målå nelle mani di Låhirî MahåΩaya.

Låhirî MahåΩaya si mise a piangere pronunciando i no-mi e accarezzando in meditazione le palline di legno delmålå. Poi disse: "Maestro, non ho parole per descrivere lafelicità che ho provato oggi."

Pronunciando queste parole per la grande gioia svenneai piedi di loto di Båbåjî MahåΩaya che amorevolmente losollevò. Poco dopo Låhirî MahåΩaya riprese i sensi e disse:“Oggi mi sono sentito benedetto. Prima non avevo mai spe-rimentato una felicità così intensa.”

Båbåjî MahåΩaya disse: “Grande anima, sei benedetto

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CAPITOLO CINQUELa vaidhî-bhakti è una religione eterna

non temporanea

Låhirî MahåΩaya aveva vissuto in una grande famiglianella sua casa di Ûåntipura. Aveva avuto due figli, entram-bi molto ben educati. Il figlio maggiore di trentacinque an-ni si chiamava Candranåtha; era uno zamindar (funziona-rio del re), amministrava tutti gli affari della famiglia ed eraanche uno studioso della scienza medica. Candranåtha nonsi era mai impegnato per progredire spiritualmente, ma cio-nonostante si era meritato grande rispetto da parte della so-cietà bråhminica. Dirigendo i lavoranti a servizio, le came-riere, i portieri e altri operai, egli amministrava la casa conabilità e dandole prestigio.

Il figlio più giovane invece, Devîdåsa, fin da bambinoaveva studiato i nyåya-Ωåstra, le scritture basate sulla logicaed anche gli sm®ti-Ωåstra, i codici dei rituali religiosi. Sul ter-reno di proprietà della famiglia, Devîdåsa aveva edificatouna scuola (catußpå†hî) dedicata allo studio dei quattro Ve-da nonchè allo studio della grammatica Sanscrita, della re-torica, della logica e della filosofia. In questa scuola egli in-segnava ad una scolaresca di dieci-quindici studenti, avendoottenuto il titolo di 'Vidyåratna' (gioiello di conoscenza).

Un giorno a Ûåntipura circolò la voce che LåhirîMahåΩaya aveva indossato gli abiti d'asceta ed era diventa-to Vaiß∫ava. La notizia si era sparsa dovunque: ai ghå†a do-ve si faceva il bagno, al mercato e per le strade.

Qualcuno diceva: "E' diventato decrepito. E' semprestato una persona dal carattere ideale ma ora è diventato

Jaiva-dharma

pace di raggiungere prema?”Båbåjî abbracciò Låhirî MahåΩaya. “Molto presto la tua

sådhana-bhakti si trasformerà in bhåva-bhakti e subito do-po Krishna certamente ti concederà la Sua misericordia.”

Sentendo questo, Låhirî MahåΩaya tremò di felicità. Ro-tolandosi per terra ai piedi del Båbåjî disse: “Ah! Non esi-ste nient'altro che il guru. Guarda! Cos'ho fatto per tuttoquesto tempo? Gurudeva mi ha misericordiosamente ripe-scato dal pozzo oscuro del godimento materiale dei sensi.”

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Quinto Capitolo

Devîdåsa disse: "Madre, papà sta bene ma, stando aquello che ho sentito dire, non possiamo più contare su dilui; se lo riportassimo qui attiveremmo una disgrazia socia-le."

Måtå-Thåkurå∫î turbata chiese: "Che cosa gli è accadu-to? Proprio oggi, sulle rive del Gange, ho parlato a lungocon la moglie di uno dei capi Gosvåmî, che mi ha detto: 'Tuomarito è molto fortunato. Ha meritato grande rispetto trai Vaiß∫ava.'"

Devîdåsa alzando leggermente il tono di voce disse: "Haguadagnato rispetto? Certo, a nostre spese! Ora che è di-ventato vecchio è forse rimasto a casa e ha accettato il no-stro servizio? No. Si è messo a diffamare la nostra famigliasopravvivendo con le rimanenze di mendicanti straccionidalla dubbia provenienza. Guarda! Questo è il tragico ef-fetto dell'età di Kali! Era un uomo d'esperienza, cosa è ca-pitato ora alla sua intelligenza?"

Måtå-Thåkurå∫î disse: "Riportatelo qui subito e tenete-lo nascosto finchè non lo persuaderete a cambiare idea."

Candranåtha disse: "Che altro possiamo fare? Devî, vàsegretamente a Godruma insieme a due o tre uomini e ri-porta qui papà."

Devîdåsa obiettò: "Voi sapete che papà mi considera unateo e per questo non ha rispetto per me. Ho paura che, an-dando io, lui neppure mi rivolga la parola."

Il cugino materno di Devîdåsa, Ûambhunåtha, era moltocaro a Låhirî MahåΩaya. Avevano vissuto insieme a lungo elo aveva servito per molto tempo. Fu deciso che Devîdåsae Ûambhunåtha sarebbero andati a Godruma insieme.Quello stesso giorno un servitore fu inviato nella casa di unbråhma∫a di Godruma per i preparativi del loro arrivo.

Il giorno successivo, dopo aver pranzato, Devîdåsa eÛambhunåtha partirono per Godruma. Raggiunta la resi-denza del bråhma∫a, scesero dai palanchini e diedero ai

Jaiva-dharma

pazzo." E qualcun'altro: "Che tipo di malattia è mai que-sta? Era felice a casa sua. Lui è un bråhma∫a di nascita; isuoi figli e tutti i suoi familiari gli sono obbedienti. Qualesofferenza può averlo spinto a scegliersi una vita da mendi-co?" Altri ancora dicevano: "Questa è la cattiva sorte di co-loro che vanno esibendo qua e là la propria religiosità."

Ma un uomo virtuoso disse: "Kalidåsa Låhirî MahåΩayaè un'anima molto pia. Egli ha goduto della prosperità ma-teriale ed ora, nella maturità, è fiorito in lui amore per l'Ha-rinåma." In questo modo un pettegolezzo variegato si spar-geva d'intorno. Qualcuno si recò da Devîdåsa Vidyåratna ariportargli quello che aveva sentito dire.

Vidyåratna si inquietò molto, andò da suo fratello mag-giore e gli disse: "Fratello, sembra che nostro padre si troviin gran difficoltà. Egli vive a Godruma in Nadîyå, dove si èrecato coll'intenzione di mantenersi in buona salute, ma làfrequenta cattive compagnie. Non possiamo più ignorare ilclamore che questa notizia ha sollevato nel villaggio."

Candranåtha disse: "Fratello, anch'io ho sentito qualco-sa. La nostra famiglia è molto rispettabile ma, dopo aversentito del comportamento di nostro padre, non ho più il co-raggio di mostrare la faccia. Abbiamo sempre minimizza-to i discendenti di Advaita Prabhu (i Vaisnava), ma cosa èaccaduto ora alla nostra famiglia? Entra, dobbiamo par-larne con Måtå-Thåkurå∫î (termine rispettoso per indicarela madre) e decidere il da farsi."

Candranåtha e Devîdåsa si sedettero sulla veranda al se-condo piano per pranzare, serviti dalla figlia nubile della ve-dova di un bråhma∫a. La madre era con loro e dirigeva laragazza nel servizio. Candranåtha chiese: "Madre, hai avu-to qualche notizia di papà?"

Måtå-Thåkurå∫î rispose: "Perchè? Sta bene vero? Vi-ve nella zona di Ûrî Navadvîpa e si è appassionato al cantodell'Harinåma. Perchè non lo riportate qui?"

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Quinto Capitolo

era di avere il darΩana di Ûrî Navadvîpa-Måyåpura ed otte-nere la polvere dei piedi di loto di Paramahaµsa BåbåjîMahåråja."

Paramahaµsa Båbåjî Mahåråja con grande umiltà disse:"Sono un grande peccatore. Tu sei venuto fin qui solo perpurificarmi."

Successivamente si scoprì che questi Vaiß∫ava erano tut-ti esperti nel cantare canzoni devozionali a glorificazionedel Signore Hari. Subito furono portate m®danga e karatå-la. Un componente anziano del gruppo di Vaiß∫ava iniziòcosì a cantare:

Ωrî-k®ß∫a caitanya-candra prabhu nityånandagadåi advaita-candra gaura-bhakta-v®nda

'Ûrî Krishna Caitanyacandra! Prabhu Nityånanda!Gadådhara! Advaitacandra! Devoti del Signore Gaura!'

apåra karu∫å-sindhu vaiß∫ava †håkuramo hena påmare dayå karaha pracura

'Vaiß∫ava Êhåkura, tu sei un oceano infinito di miseri-cordia. Ti prego, concedi a piene mani la tua misericordia aquesta creatura peccaminosa.'

jåti-vidyå-dhana-jana-made matta janeuddhåra kara he nåtha, k®på-vitara∫e

'Maestro, ti prego, sii misericordioso e libera questa per-sona intossicata dall'orgoglio di essere nata in una famigliaelevata, di essere ben educato, ricco e dall’essere attaccatoalla moglie, ai figli ed ai componenti della sua famiglia.'

kanaka-kåminî-lobha, prati߆hå-våsanå

Jaiva-dharma

portatori il permesso di ripartire. Un cuoco bråhma∫a edue servitori li avevano preceduti sul posto.

Al crepuscolo Devîdåsa e Ûambhunåtha lentamente siavviarono verso Ûrî Pradyumna-kuñja. Quando arrivaronovidero Låhirî MahåΩaya seduto sopra uno strato di fogliesulla terrazza Surabhi. Aveva gli occhi chiusi e stava can-tando l'Harinåma col suo målå. Videro che il suo corpo eradecorato in dodici posti con i segni del tilaka. Devîdåsa eÛambhunåtha salirono tranquillamente fino al terrazzo e of-frirono pranåma ai suoi piedi.

Låhirî MahåΩaya sentì il suono dei loro passi ed aprì gliocchi. Vedendoli si stupì ed esclamò: "Ûambhu! Come maisei qui? Devî, come stai?"

Entrambi gentilmente risposero: "Con le tue benedizio-ni noi stiamo bene."

Låhirî MahåΩaya chiese: "Volete pranzare qui?"Essi risposero: "Abbiamo già un posto dove sistemarci.

Non devi preoccuparti per noi."In quel momento si sentì, proveniente dal pergolato di

mådhavî-målatî di Ûrî Premadåsa Båbåjî, un cantare a granvoce il nome del Signore Hari. Ûrî Vaiß∫ava dåsa Båbåjîuscì dalla sua capanna e chiese a Låhirî MahåΩaya: "Comemai giunge così forte il canto del nome del Signore Hari dal-la dimora di Premadåsa Båbåjî?"

Låhirî MahåΩaya e Vaiß∫ava dåsa Båbåjî si protesero percapire e videro molti Vaiß∫ava che, girando attorno aBåbåjî, cantavano il Santo Nome del Signore Hari. Alloraanche loro si unirono al gruppo. Tutti offrirono da∫∂avat-pranåma a Premadåsa Båbåjî Mahåråja e si sedettero sulterrazzo. Anche Devîdåsa e Ûambhunåtah si sedettero inun angolo del terrazzo; parevano due corvi in un gruppo dicigni.

Nel frattempo un Vaiß∫ava inziò a parlare: "Siamo giun-ti da Ka∫†aka-nagara (Kattwa). Il nostro scopo principale

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testa ai tuoi piedi. Ti prego, disperdi la mia miseria!'jåtira gaurava, kevala raurava, vidyå se avidyå-kalåΩodhiyå åmåya, nitåi-cara∫e, sampahe, jåura jvålå

'L'orgoglio di casta è un inferno terribile. L'erudizionenon è altro che un aspetto dell'ignoranza. Ti prego, purifi-cami e consegnami ai piedi di loto di Nitåi. Ti prego, estin-gui la mia infuocata agonia!'

tomåra k®påya, åmåra jihvåya, sphuruka yugala-nåmakahe kålîdåsa, åmåra h®daye, jaguka Ωrî-rådhå-Ωyåma

'Possano per grazia tua, apparire sulla mia lingua i SantiNomi di Ûrî Yugala e possano Ûrî Ûrî Rådhå-Ûyåma appari-re nel mio cuore. Questa è la preghiera di Kålidåsa.'

Tutti insieme cantarono questa preghiera come impazzi-ti di gioia. Alla fine cantarono ripetutamente 'juguka Ωrî-rådhå-Ωyåma' (possano Ûrî Rådhå-Ûyåma apparire nel miocuore) e iniziarono a danzare con grande slancio. Nel cor-so della danza alcuni bhåvuka Vaiß∫ava caddero incoscien-ti. Alla vista di questi straordinari accadimenti, Devîdåsainiziò a pensare che suo padre era profondamente immersonella ricerca della verità spirituale e che sarebbe stato diffi-cile riportarlo a casa.

Era quasi mezzanotte quando la cerimonia ebbe termi-ne. Tutti si scambiarono da∫∂avat-pra∫åma e tornarono al-le rispettive dimore. Devîdåsa e Ûambhunåtha, chiesto ilpermesso del padre, tornarono alla loro residenza.

Il giorno successivo, dopo pranzo, Devî e Ûambhu anda-rono nella capanna di Låhirî MahåΩaya.

Devîdåsa Vidyåratna offrì pra∫åma a Låhirî MahåΩaya edisse: "Padre, ho una richiesta da farti. Ti prego, torna su-bito ad abitare nella nostra casa di Ûantipura. Qui non vi

Jaiva-dharma

chå∂åiyå Ωodha more, e mora prårthanå‘Ti prego, purificami dalla bramosia per le donne (kå-

minî) e per la ricchezza, e liberami dal desiderio di presti-gio. Questa è la mia preghiera.'

nåme ruci, jîve dayå, vaiß∫ave ullåsadayå kari' deha more, ohe k®ß∫a-dåsa

'Servitore del Signore Krishna, ti prego, sii misericor-dioso e donami il piacere per il Santo Nome, compassioneper tutte le entità viventi e deliziami con la compagnia deiVaiß∫ava.'

tomåra caraa-chåyå eka-måtra åΩåjîvane mara∫e måtra åmåra bharaså

'L'ombra dei tuoi piedi di loto è la mia unica speranza eil mio solo rifugio, nella vita e nella morte.'

Quando la canzone finì, tutti cantarono una preghieracomposta da Kalidåsa Låhirî MahåΩaya, molto bella e tra-boccante di sentimenti poetici:

miche måyå-vaΩe, saµsåra-sagare, pa∂iyåchilåma åmikaru∫å kariyå, diyå pada-chåyå, åmåre tårile tumi

'Sono caduto nell'oceano di nascite e morti, schiavo del-l'illusione di måyå. Tu sei stato misericordioso e mi hai li-berato donandomi l'ombra dei tuoi piedi di loto.'

Ωuna Ωuna vaiß∫ava †håkura tomåra cara∫e, sampiyåchi måthå, mora du˙kha kara düra

'Vaiß∫ava Êhåkura, ti prego, ascoltami! Ho messo la mia

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nè sentito dire una cosa del genere. Il sandhyå-vandanå nonè forse hari-bhajana? Se è hari-bhajana allora è anchenitya-dharma. Ci sono differenze tra il sandhyå-vandanå ele pratiche che costituiscono la vaidhî-bhakti, come adesempio l'ascolto ed il canto?"

Låhirî MahåΩaya disse: "Mio caro figliolo, vi è una diffe-renza significativa tra il sandhyå-vandanå, che è incluso nelkarma-kanda, e la vaidhî-bhakti. Nel sistema del karma-kanda, il sandhyå-vandanå e altre attività del genere ven-gono svolte per ottenere la liberazione, ma l'ascolto, il can-to e le altre attività dell'hari-bhajana non hanno questo fine.I risultati menzionati negli Ωåstra come conseguenti all'a-scolto, al canto ed agli altri aspetti della vaidhî-bhakti, ser-vono solo per stimolare interesse verso quelle attività inpersone non inclini.

“L'adorazione del Signore Hari non porta altri frutti senon il servizio al Signore Hari. Il frutto principale della pra-tica della vaidhî-bhakti è di portare alla manifestazione dirati (bhåva-bhakti) durante l'hari-bhajana."

Devîdåsa disse a suo padre: "Allora ammetti che questiaõga, o divisioni dell'hari-bhajana conducono a risultati se-condari!"

Låhirî MahåΩaya rispose: "Vi sono risultati secondari checorrispondono ai differenti tipi di sådhaka. La sadhana-bhakti dei Vaiß∫ava viene praticata al solo scopo di condur-re allo stadio perfetto di devozione conosciuto come siddha-bhakti. Anche i non Vaiß∫ava praticano gli stessi aõga del-la bhakti, ma essi sono motivati da questi due principaliobiettivi: il desiderio di godimento materiale (bhoga) e ildesiderio di liberazione (mokßa).

“Esternamente non vi è una differenza tra le pratiche disådhana compiute dai Vaiß∫ava e quelle compiute dai nonVaiß∫ava, ma vi è una fondamentale differenza: la qualitàdella fede."

Jaiva-dharma

sono agiatezze. A casa saremmo tutti molto felici di pren-derci cura di te. Con il tuo permesso potremmo costruireanche là una capanna solitaria per te."

Låhirî MahåΩaya rispose: "Non è una cattiva idea, ma aÛantipura non potrò avere il tipo di sådhu-sa∫ga che ho qui.Devî, tu sai che la gente di Ûåntipura è empia e propensa acalunniare il prossimo, tanto che un uomo difficilmente puòdichiararsi soddisfatto di viverci. E' pur vero che moltibråhma∫a vi risiedono, ma la loro intelligenza, in compa-gnia di materialisti dalla mentalità bassa si è deviata. Beivestiti, discorsi ariosi e calunnie ai Vaiß∫ava, sono le tre ca-ratteristiche degli abitanti di Ûåntipura. I discendenti di Ad-vaita Prabhu hanno dovuto affrontare molti problemi inquel posto. Con quella compagnia negativa anche loro so-no diventati quasi ostili a Mahåprabhu. Devi quindi fare inmodo che io riesca a vivere qui a Godruma. Questo è ciòche desidero."

Devîdåsa disse: "Padre, ciò che dici è vero. Ma perchè ènecessario per te non avere connessioni con la gente di Ûån-tipura? Se desideri potresti restare in un luogo solitario etrascorrere i tuoi giorni curando le tue pratiche religiose, co-me il sandhyå-vandanå. Il dovere giornaliero di un bråh-ma∫a è la sua religione eterna. Essere assorti in questo è ildovere di una grande anima qual tu sei."

Låhirî MahåΩaya divenne grave e disse: "Mio caro figlio,quei giorni non torneranno più. Dopo aver vissuto alcunimesi in compagnia dei sådhu ed aver ascoltato le istruzionidi Ûrî Gurudeva, la mia comprensione è drasticamente cam-biata. Ciò cui tu ti riferisci come nitya-dharma io lo chiamonaimittika-dharma.

“L'Hari-bhakti è l'unico nitya-dharma o funzione eternadella jîva. Il sandhyå-vandanå e altre pratiche del generesono in realtà naimittika-dharma."

Devîdåsa disse: "Padre, non ho mai letto in nessun Ωåstra

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Quinto Capitolo

"No," disse Låhirî. "Il sistema da loro prescritto è rivol-to alle persone spiritualmente incoscienti, ma essi aspiranoal risultato principale."

"In alcuni Ωåstra non vi è nessuna menzione dei risultatiprincipali, ma solo di quelli secondari; qual è la ragione?"Chiese allora Devîdåsa.

Låhirî rispose: "Gli Ωåstra si dividono in tre tipi a secon-da delle differenti qualifiche degli esseri umani: såttvika, dinatura virtuosa; råjasika, di natura passionevole; e tåmasikadi natura ignorante. I såttvika-Ωåstra sono per le personepermeate di sattva-gu∫a (natura virtuosa), i råjasika-Ωåstrasono per chi è avviluppato da råjo-gu∫a (natura passiona-le), e i tåmasika-Ωåstra sono per chi è immerso nel tåmo-gu∫a (natura dell'ignoranza)."

"Se così è" disse pensieroso Devîdåsa "come si può sa-pere quali direttive delle scritture è giusto seguire? E quel-li che hanno le qualificazioni più basse possono poi ottene-re una destinazione più elevata?"

Låhirî MahåΩaya rispose: "Tra gli esseri umani vi sono di-versità di natura e di fede secondo le diverse qualificazioni.Le persone affette soprattutto dall'ignoranza hanno una fe-de naturale per i tåmasika-Ωåstra. Chi è affetto soprattuttoda passionalità ha una fede naturale per i råjasika-Ωåstra echi è invece virtuoso per natura, naturalmente riporrà lapropria fede nei såttvika-Ωåstra. Il credo in una particolareconclusione degli Ωåstra è naturalmente in sintonia con lapropria fede.

"Mentre si conducono fedelmente i doveri per cui si èqualificati, è possibile entrare in contatto con i sådhu. Per ilpotere che deriva da questa compagnia, si può sviluppareuna maggior qualificazione. Non appena si risveglia unaqualificazione più alta, la propria natura si eleva e la fede inuno Ωåstra più elevato giungerà di conseguenza. Nella lorosaggezza gli autori degli Ωåstra sono stati infallibili. Hanno

Jaiva-dharma

"L'adorazione di Krishna seguendo la via del karma pu-rifica la mente e si possono ottenere la liberazione, la libertàdalla malattia o comunque ricevere dei frutti materiali. Mala stessa adorazione di Krishna seguendo la via della bhak-ti produce solamente prema (amore) per il k®ß∫a-nåma.L'osservare il giorno di Ekadasi sradica i peccati di chi se-gue la via del karma (karmi). Per i devoti, osservare l'Ekå-daΩî accresce l'hari-bhakti. C'è un oceano di differenza!"

"La sottile diversità tra il sådhana svolto come aspettodel karma e quello svolto come aspetto della bhakti può es-sere compresa solo per misericordia del Signore. I karmisono attratti da risultati secondari, mentre i devoti mirano arisultati fondamentali. I risultati secondari possono esseregrosso modo divisi in due categorie: bhukti (godimento ma-teriale dei sensi) e mukti (liberazione)."

Devîdåsa chiese a suo padre: "Allora perchè gli Ωåstra de-cantano le virtù dei risultati secondari?"

Låhirî rispose: "Vi sono due tipi di persone in questomondo: le spiritualmente deste e le spiritualmente inco-scienti. Coloro che sono spiritualmente incoscienti nonsvolgono nessuna attività pia finchè non riescono a visua-lizzare un risultato concreto. E' per costoro che gli Ωåstrahanno elogiato i risultati secondari. Ma non è l'obiettivo de-gli Ωåstra fare in modo che essi vengano soddisfatti con que-sti risultati secondari.

“L'intento degli Ωåstra è fare in modo che l'attrazione diqueste persone verso i risultati secondari li induca a com-piere azioni virtuose che possano favorire un incontro con isådhu. Poi, per misericordia dei sådhu, essi potranno co-noscere i risultati principali della pratica dell'hari-bhajanae in loro verrà risvegliato il gusto per quei risutati.

"Allora Raghunandana e altri autori di sm®ti-Ωåstra van-no collocati tra le persone spiritualmente incoscienti?"Chiese Devîdåsa.

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sate. Poichè le tue affermazioni corrispondono alla tua qua-lificazione, non vi è errore in esse."

"Fino ad ora nutrivo la convinzione che non esistesserodegli studiosi nella sampradåya Vaiß∫ava," disse Devîdåsa." Pensavo che i Vaiß∫ava fossero semplicemente dei fanati-ci che si preoccupavano solamente di una parte degli Ωåstra.Ma ciò che oggi mi hai spiegato ha del tutto cancellata lamia erronea concezione e mi ha portato a concludere chetra i Vaiß∫ava c'è chi ha veramente compreso l'essenza de-gli Ωåstra. In questo momento tu stai studiando gli Ωåstra conl'aiuto di qualche grande anima?"

"Figliolo, ora puoi chiamarmi anche fanatico Vaiß∫ava ocome preferisci" disse Låhirî "il mio gurudeva compie ilbhajana nella capanna accanto. E' stato lui che mi ha istrui-to nelle conclusioni essenziali di tutti gli Ωåstra, di cui io ti homanifestato solamente qualcosa. Se desideri ricevere istru-zioni, puoi rivolgerti a lui con sentimento devozionale. Vie-ni ti voglio presentare."

Låhirî MahåΩaya condusse allora Devîdåsa Vidyåratnanella capanna di Ûrî Vaiß∫ava dåsa Båbåjî Mahåråja e lopresentò al suo gurudeva. Lasciato Devîdåsa solo conBåbåjî Mahåråja, Låhirî MahåΩaya tornò nella sua capannaper cantare l'Harinåma. Vaiß∫ava dåsa chiese a Devîdåsa:"Mio caro figlio, quali sono stati i tuoi studi?"

Devîdåsa rispose: "Ho studiato fino al muktipåda e alsiddhånta-kusumåñjali contenuti nel nyåya-Ωåstra e anchetutti i volumi degli sm®ti-Ωåstra."

"Allora devi aver lavorato diligentemente nel tuo studiodegli Ωåstra," disse Båbåjî Mahåråja. "Ti prego, fammi unesempio di ciò che hai imparato."

Devîdåsa rispose: "Ci si deve sempre sforzare di ottene-re la mukti, che nel Såõkhya-darΩana (1.1 e 6.5) viene defi-nita con queste parole:

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composto gli Ωåstra in modo tale che, portando avanti i do-veri per i quali si è qualificati e in cui si pone una fede natu-rale, gradualmente si possa sviluppare una qualificazionepiù elevata. E' per questa ragione che differenti scritturecontengono differenti direttive. La fede negli Ωåstra è la ra-dice di ogni auspiciosità.

"La Ûrîmad Bhagavad-Gîtå è il mîmåµså-Ωåstra di tuttigli Ωåstra. Questo significa che armonizza le differenze esi-stenti in tutti gli Ωåstra analizzando le conclusioni in essi con-tenute. La conclusione che ti ho appena espressa, relativa-mente alle differenze di qualificazione, di fede e dei tre mo-di, è chiaramente indicata nella Gîtå."

Devîdåsa disse: "Fin da bambino ho studiato molti Ωåstrama oggi, per tua grazia, ho compreso il loro fine sotto unanuova luce."

Låhirî allora disse: "Nello Ûrîmad-Bhågavatam (11.8.10)sta scritto:

a∫ubhyaΩ ca mahadbhyaΩ caΩåstrebhya˙ kuΩalo nara˙sarvata˙ såram ådadyåtpußpebhya iva ßa†pada˙

'Come un'ape raccoglie il miele da differenti tipi di fio-re, così una persona intelligente prenderà l'essenza di tuttigli Ωåstra, siano essi grandi o piccoli.'

"Mio caro figlio, in passato ti ho definito un ateo. Oranon critico più nessuno perchè capisco che il tipo di fede èconseguente alle qualificazioni. Dunque non serve nessu-na critica in quanto tutti agiscono secondo la propria quali-ficazione. Tutti gradualmente avanzeranno quando verrà ilmomento giusto per ciascuno. Tu sei un profondo conosci-tore delle scritture che trattano la logica e le azioni interes-

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Quinto Capitolo

Devîdåsa potè verificare che Vaiß∫ava dåsa era uno stu-dioso molto colto ed era profondamente e veramente rea-lizzato. Devîdåsa non aveva mai studiato il Vedanta. Ini-ziò a pensare che se Vaiß∫ava dåsa fosse stato misericordio-so con lui, avrebbe potuto studiarlo. Con questa idea chie-se: "Sono idoneo a studiare il Vedånta?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Con il livello di competenza chehai ottenuto studiando la lingua Sanscrita, potrai impararefacilmente il Vedånta se troverai un insegnante qualifica-to."

Al chè Devîdåsa disse: "Se tu gentilmente mi insegneraiio potrò studiare sotto la tua guida."

Vaiß∫ava dåsa però specificò: "Il fatto è che io sono uninsignificante servitore dei Vaiß∫ava. Paramahaµsa Båbåjîmi ha misericordiosamente istruito a cantare con costanzal'Harinåma ed ora mi occupo soltanto di questo. Ho po-chissimo tempo a disposizione. Inoltre jagat-guru Ûrî Svarü-pa Dåmodara Gosvåmî ha proibito ai Vaiß∫ava di leggere odi acoltare il commentario del Vedånta, Ûårîraka-bhåßya.Di conseguenza anch'io ho smesso di leggerlo e di inse-gnarlo ad altri. Nonostante ciò il precettore del mondo in-tero, Ûrî Ûacînandana, ha esposto il vero commentario alVedånta-sütra a Ûrî Sarvabhauma. Molti Vaiß∫ava possie-dono ancora quel commentario manoscritto. Se desideristudiarlo puoi farne una copia ed io ti aiuterò a compren-derlo. Potresti chiedere il manoscritto a Ûrîmad KaviKarõapüra che vive nel villaggio di Kåñcana-pallî."

"Ci proverò" assicurò Devîdåsa. "Tu sei un grande eru-dito del Vedånta. Ti prego, parlami francamente, sarò io ingrado di accertare il vero significato del Vedånta studiandoil commentario Vaiß∫ava?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Io ho studiato ed insegnato ilcommentario di Ûaõkara. Ho studiato il Ûrî Bhåßya di ÛrîRåmånuja e anche altri commentari, ma non ho mai trova-

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atyanta-du˙kha-niv®ttir eva mukti˙'La fine di ogni miseria materiale è definita mukti.'

"Io sto cercando questa liberazione aderendo fedel-mente ai miei doveri prescritti, cioè il mio svadharma."

"Sì, una volta dopo aver studiato tutti quei libri, anch'iocome te aspiravo alla mukti" disse Vaiß∫ava dåsa.

"Ora hai abbandonato la ricerca della mukti?" chieseDevîdåsa al Båbåjî.

In risposta Vaiß∫ava dåsa chiese a Devîdåsa: "Caro figlio,sai dirmi, qual è il significato di mukti?"

"Secondo il nyåya-Ωåstra vi è un'eterna distinzione tra lajîva e il Brahman" rispose Devîdåsa. "Perciò, secondo l'o-pinione nyåya, non è chiaro come possano aver fine tutte lemiserie. Tuttavia, secondo l'opinione del Vedånta, il rag-giungimento dell'indifferenziato Brahman o, in altre paro-le, il conseguimento da parte della jîva dell'unità con ilBrahman, è definito mukti. Da un certo punto di vista que-sto è chiaro."

Vaiß∫ava dåsa disse: "Caro figlio, per quindici anni hostudiato il commentario di Ûaõkara al Vedånta ed anch'iosono stato sannyåsî per molti anni. Mi sono strenuamentesforzato di ottenere la mukti. Ho speso molto tempo medi-tando profondamente su ciò che Ûaõkara considerava iquattro mahåvåkya, o affermazioni principali delle Ωruti.Successivamene ho capito che il sistema religioso sostenutoda Ûaõkara era solo una nuova moda e che si opponeva al-la conclusione del Vedånta, quindi l'ho abbandonato."

"Perchè lo consideri un antagonismo recente?" chieseDevîdåsa.

Vaiß∫ava dåsa disse: "Un uomo di esperienza non puòtrasmettere facilmente ad altri ciò che lui ha realizzato at-traverso la propria esperienza pratica. Chi non ne ha fattoesperienza come potrà comprenderlo?"

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to una qualche spiegazione ai sütra che fosse superiore aquella data da Mahåprabhu. Questo commentario fu regi-strato da Gopînåtha Åcårya e viene studiato dai Gau∂îyaVaiß∫ava. Non vi può essere disputa dottrinale all'internodella spiegazione data ai sütra dal Supremo Signore in per-sona. L'importanza delle affermazioni delle Upanißad vie-ne accuratamente considerata nel Suo commentario. Se sidispone questa spiegazione dei sütra nella giusta sequenza,nessun'altra spiegazione potrà trovar credito in un'assem-blea di studiosi."

Devîdåsa Vidyåratna si compiacque molto nell'ascolta-re queste parole. Con fede offrì da∫∂avat-pranåma a ÛrîVaiß∫ava dåsa Båbåjî e tornò nella capanna di suo padre,cui riportò tutto ciò che aveva sentito da Vaiß∫ava dåsaBåbåjî.

Låhirî MahåΩaya deliziato rispose: "Devî, hai acquisitomolta educazione, ora però devi cercare la destinazione piùelevata, quella che è il bene supremo per gli esseri umani."

Devîdåsa disse al padre: "Sono venuto qui con la sola in-tenzione di portarti via da Ûrî Godruma. Ti prego, vieni acasa almeno per una volta, così tutti saranno soddisfatti; so-prattutto la mamma, che è molto ansiosa di avere il darΩanadei tuoi piedi ancora una volta."

Låhirî rispose: "Mi sono rifugiato ai piedi di loto deiVaiß∫ava ed ho preso l'impegno di non entrare mai più inuna casa che sia contraria alla bhakti. Prima di tutto diven-tate dei Vaiß∫ava e dopo potrete riportarmi a casa."

Devîdåsa, sorpreso da questa risposta, disse: "Padre!Come puoi dire questo? Ogni giorno, a casa, noi adoriamoil Signore, recitiamo l'Harinåma e riceviamo gli ospiti e iVaiß∫ava con cordialità. Non siamo da considerare anchenoi dei Vaiß∫ava?"

"Anche se c'è molta similitudine tra il vostro agire equello dei Vaisnava, voi non siete Vaiß∫ava," disse Låhirî.

"Allora come si può diventare un Vaiß∫ava?" chieseDevîdåsa a suo padre.

"Puoi diventare un Vaiß∫ava abbandonando i tuoi dove-ri temporanei naimittika e abbracciando il tuo dharma spi-rituale eterno."

Devîdåsa rimase però dubbioso e gli disse: "Ho un dub-bio da sottoporti e che vorrei chiarire in modo definitivo.Le attività dei Vaiß∫ava che consistono in Ωrava∫am, kîrta-nam, smara∫am, påda-sevanam, arcanam, vandanam, då-syam, sakhyam e åtmanivedanam sono connesse in modosignificativo con la materia. Perchè non ci si riferisce anchead esse come naimittika o temporanee? Ho percepito del-la parzialità in ciò. Il servizio alla Divinità, il digiuno e l'a-dorazione compiuta con ingredienti materiali sono tutte at-tività connesse alla materia grossolana, allora come si pos-sono considerare eterne?"

Låhirî rispose: "Caro figlio, anch'io ho impiegato parec-chio tempo per comprendere questo punto. Prova anche tucon molta attenzione. Gli esseri umani sono di due ripi:aihika, coloro il cui interesse è legato a questo mondo ma-teriale; e påramårthika, coloro il cui interesse è legato a ri-sultati superiori nella vita futura.

“Gli esseri umani che appartengono alla prima categoriasi impegnano solo per ottenere felicità materiale, reputa-zione e prosperità materiale. Quelli della seconda categoriasono a loro volta di tre tipi: îΩånugata, i devoti del SignoreSupremo; jñåna-ni߆ha, fissi nella ricerca della conoscenzamonista che conduce alla liberazione; e i siddhi-kåmî, colo-ro che bramano di ottenere poteri mistici.

"I siddhi-kåmî sono attaccati ai frutti del karma-kå∫∂a.Attraverso la pratica del karma queste persone desideranoottenere poteri soprannaturali. I metodi che essi adottanoper ottenere questi poteri extraterreni sono: yåga (offrireoblazioni), yajña (compiere sacrifici) e yoga (praticare gli

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nel Signore e servendoLo con fede, per Sua grazia, la jîvapuò raggiungere tutte le perfezioni.

"I siddhi-kåmî sono seguaci del karma-kå∫∂a e i jñåna-ni߆ha sono seguaci del jñåna-kå∫∂a. Solamente gli îßånu-gata sono devoti del Signore Supremo. I jñåna-kå∫∂i ed ikarma-kå∫∂i sono orgogliosi di definirsi påramårthika o in-teressati all'esito supremo, ma la loro ricerca non è in realtàinteressata allo scopo più elevato, bensì ad un utile tempo-raneo e materiale. Quindi, nel vero senso della parola, essinon sono påramårthika ma aihika e naimittika e tutte le lo-ro pratiche religiose sono sul piano della temporaneità.

"Gli odierni adoratori di Ûiva, Durgå, Ga∫esa e Sürya,conosciuti rispettivamente come Ûivaiti, Ûåktaiti,Ga∫apatyaiti e Sauraiti, sono tutti seguaci del jñåna-kå∫∂ae adottano gli aõga della bhakti, come ad esempio Ωravanae kîrtana, solo nella speranza di raggiungere la mukti ed al-la fine l'indistinto impersonale Brahman.

“Coloro che si impegnano in Ωravana e kîrtana senza nes-sun desiderio di bhukti o mukti, sono impegnati nel servizioal Signore Viß∫u, la quinta e Suprema Divinità tra quellemenzionate prima. La Ωrî mürti di Bhagavån è eterna, spi-rituale e contiene in sè tutte le potenze. Se non si accettal'adorazione a Bhagavån, l'adorazione è rivolta semplice-mente ad un oggetto temporaneo.

"Figlio, il servizio che a casa tutti voi rendete alla Divi-nità di Bhagavån, non è påramårthika poichè voi non ac-cettate la forma eterna di Bhagavån; di conseguenza nonappartenete agli îßånugata. Ora spero che tu abbia com-preso la differenza tra nitya e naimittika upåsanå (adora-zione)."

Devîdåsa rispose: "Sì, se uno adora la Ωrî vigraha (forma)di Bhagavån ma non la accetta come eterna, allora non èadorazione di un oggetto eterno. Comunque, si possonoadottare dei mezzi temporanei di adorazione per ottenere

Jaiva-dharma

otto sistemi yoga). Essi accettano l'esistenza del SupremoSignore, ma Lo considerano anch'Esso subordinato alle leg-gi del karma. Gli scienziati materialisti appartengono aquesta categoria.

"I jñåna-ni߆ha si adoperano per risvegliare la propriaidentità di Brahman coltivando la conoscenza monista im-personale. Indipendentemente dal fatto che il Signore Su-premo, ÈΩvara, esista oppure no, essi si prefigurano una for-ma immaginaria di Dio allo scopo di praticare il sådhana.Impegnandosi costantemente nelle pratiche della bhakti ri-volte a questa forma immaginaria del Signore, essi aspira-no ad ottenere l'unità con il Brahman, che è il frutto dellaconoscenza monista.

“Raggiunto il risultato del jñåna, essi non hanno più nes-sun motivo per continuare ad adorare una figurazione diDio usato semplicemente come mezzo per raggiungere il fi-ne. In altre parole, quando la loro bhakti per Dio porta ifrutti desiderati, essa si trasforma in jñåna. Secondo questadottrina, nè il Supremo Signore nè la bhakti per il Signoresono eterni.

"Gli îßånugata, coloro che sono devoti del Signore Su-premo, sono la terza categoria dei påramårthika, ovvero lepersone che ricercano dei risultati superiori nella vita dopola morte. Praticamente parlando, essi si sforzano solamen-te per paramårtha, il supremo scopo della vita. Secondo laloro opinione, esiste un solo Supremo Signore che non hainizio nè fine. Il Signore manifesta le jîve ed il mondo ma-teriale attraverso le Sue potenze e le jîve sono Sue eterneservitrici persino dopo la liberazione.

“Il dharma eterno della jîva è di restare eternamente sot-to la guida del Signore. La jîva non può fare nulla per po-tere proprio. La jîva non può raggiungere nessun beneficioduraturo praticando il karma, ed attraverso il jñåna il suobeneficio eterno viene travisato tuttavia, trovando conforto

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tico, sarai in grado di comprendere correttamente questadifferenza, dopo aver considerato i risultati che ne deriva-no."

A Devîdåsa tutto questo parve sensato. "Ora capiscoche i Vaiß∫ava non sono semplicemente dei fanatici trasci-nati da una fede cieca; essi invece possiedono una visionesottile e discriminatoria. Vi è una differenza significativatra l'adorazione della Ωrî mürti e l'adorazione temporaneadi una forma immaginaria del Signore attribuita come sefosse un oggetto materiale. Tra questi due tipi di adorazio-ne, anche se non vi è differenza tra le procedure esterne, viè una ampia differenza in termini di fede. Dovrò meditaresu questo per alcuni giorni. Padre, oggi il mio dubbio piùgrande è stato chiarito. Ora posso enfaticamente dire chel'adorazione compiuta dai jñånî è semplicemente un tenta-tivo di ingannare il Signore. Più avanti vorrei parlare anco-ra di questo argomento."

Dopo queste parole Devî Vidyåratna e Ûambhu si ritira-rono nella loro residenza. Nel pomeriggio tardi però tor-narono, ma non vi fu nessuna opportunità per discutere ul-teriormente di questi temi poichè in quel momento eranotutti immersi nell'Harinama saõkîrtana.

Il pomeriggio successivo si riunirono tutti nella casa diParamahaµsa Båbåjî; Devî Vidyåratna e Ûambhu erano se-duti vicino a Låhirî MahåΩaya quando arrivò il Kåzî (l'au-torità locale Musulmana) del villaggio di Bråhma∫a-Pußka-ri∫î. I Vaiß∫ava vedendo il Kåzî, si alzarono per offrirgli iloro rispetti. Anche il Kåzî salutò i Vaiß∫ava con piacere eprese posto nell'assemblea.

Paramahaµsa Båbåjî disse al Kåzî: "Tu sei benedettopoichè sei il discendente di Chånd Kåzî che fu oggetto del-la misericordia di Ûrî Mahåprabhu. Ti preghiamo, concedi-ci la tua misericordia."

Il Kåzî rispose: "Per misericordia di Ûrî Mahåprabhu sia-

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la verità eterna che in definitiva è distinta da qualsiasi formatemporanea?"

Låhirî rispose: "Anche se questo fosse, questa adorazio-ne temporanea non può definirsi dharma eterno. L'adora-zione della vigraha eterna, come viene compiuta nelVaiß∫ava-dharma, è il nitya-dharma."

"Ma" obiettò Devîdåsa "la Ωrî vigraha che viene adora-ta ha l'aspetto di un essere umano, come può quindi essereeterna?"

Låhirî rispose: "La vigraha adorata dai Vaiß∫ava non èdi natura temporanea. Bhagavån non è privo di forma, co-me il Brahman. Egli è onnipotente ed è la personificazionedell'eternità, della conoscenza, della felicità. E' quella sac-cid-ånanda-ghana-vigraha l'adorabile Divinità deiVaiß∫ava. La trascendentale forma del Signore, di eternità,conoscenza e felicità, viene prima di tutto rivelata alla co-scienza pura della jîva e successivamente viene riflessa nel-la mente. La forma esterna della Divinità ha l'aspetto diquesta forma trascendentale rivelata nella mente, successi-vamente, per il potere del bhakti-yoga, la forma sac-cid-ånanda del Signore si manifesta all'interno della Divinità.Quando il devoto si appresta al darΩana della Divinità, quel-la Divinità è unita alla forma spirituale del Signore che il de-voto vede nel suo cuore.

"La Divinità adorata dai jñånî, tuttavia, non è di questanatura. Secondo il loro punto di vista, la Divinità è una sta-tua composta da elementi materiali. Essi immaginano lostato di Brahman presente in quegli elementi solamente du-rante il momento dell'adorazione. Dopo aver terminato l'a-dorazione, la Divinità non è altro che una statua compostadi elementi materiali. Alla luce di tutto questo devi ora con-siderare la differenza fra le due concezioni della Divinità ei relativi metodi di adorazione. Quando riceverai l'inizia-zione Vaiß∫ava (dîkßå), per misericordia di un guru auten-

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Il Kåzî rispose: "Nel Qur'ån la dimora personale del Si-gnore, che è la meta suprema nel mondo spirituale, è cono-sciuto come behesht. Di fatto là non esiste un'adorazioneformale, ma la vita stessa è adorazione (ibåda). I residentidi quella dimora semplicemente guardando il Signore ven-gono sommersi dall'estasi trascendentale. Questo è lo stes-so insegnamento che Ûrî Gauraõgadeva ha dato."

Låhirî allora chiese: "Il Qur'ån accetta il fatto che il Si-gnore abbia una forma spirituale?"

Il Kåzî rispose: "Il Qur'ån afferma che il Signore non haforma. Ma Ûrî Gauraõgadeva disse al Chånd Kåzî che que-sta affermazione contenuta nel Qur'ån sta a significare cheil Signore non può avere una forma materiale. Esso non ne-ga l'esistenza della Sua forma spirituale pura. PaigambarSåhib vide l'amata forma divina del Signore in base al suolivello di qualificazione. I sentimenti spirituali caratteristi-ci degli altri råsa gli rimanevano celati."

"Qual è l'opinione dei Sufi a questo proposito?" ChieseLåhirî.

Il Kåzî disse: "Essi aderiscono alla dottrina di anå al-˙aqq, che significa 'Io sono Khoda' o 'Io sono Brahman'.La dottrina advaitavåda e la dottrina Sufi dell'Islam sonoidentiche."

Låhirî chiese ancora: "Tu sei un Sufi?""No," fu la risposta del Kåzî, "noi siamo devoti puri.

Gauraõga è la nostra stessa vita."La discussione proseguì a lungo in questo modo. Quan-

do si concluse, Kåzî Såhib offrì i suoi rispetti ai Vaiß∫ava epartì. Seguì l'Harinåma saõkîrtana, dopodichè l'assembleasi sciolse.

Jaiva-dharma

mo diventati oggetto della misericordia dei Vaiß∫ava. Gau-raõga è il Signore della nostra vita. Noi non facciamo nullasenza averGli prima offerto i nostri da∫∂avat-pranåma."

Låhirî MahåΩaya era uno studioso della lingua Farsi.Egli aveva studiato le trenta sephårå del Qur'ån e molti libridei Sufi. Egli chiese al Kåzî: "Secondo la tua concezione,qual è il significato di mukti?"

Il Kåzî rispose: "Ciò che tu definisci jîva, entità indivi-duale, noi la chiamiamo rüh. Questa rüh si situa in due con-dizioni: rüh-mujarrad, l'entità vivente cosciente o liberata erüh-tarkîbî, l'entità vivente condizionata. Ciò che tu defi-nisci cit (spirito) noi lo chiamiamo mujarrad e ciò che tu de-finisci acit (materia) noi la chiamiamo jism. Mujarrad và ol-tre il limite del tempo e dello spazio, mentre jism è subordi-nato a tempo e spazio.

“La tarkîbî-rüh o baddha-jîva possiede una mente mate-riale ed è colma d'ignoranza (malphut) e di desideri. Lamujarrad-rüh è pura ed al di sopra di tutte queste contami-nazioni. Le mujarrad-rüh o anime liberate, risiedono nelregno spirituale conosciuto come ålam al-maΩhål.

"Man mano che iΩhqh o prema si sviluppa, la rüh diven-ta pura. Non esiste l'influenza della jism o materia, nel re-gno dove Khoda (Dio) condusse il profeta PaigambarSåhib. Ma anche là rüh resta una 'banda' o servitrice, ed ilSignore è il padrone. Perciò la relazione tra banda e Khodaè eterna. La realizzazione di questa relazione nella sua for-ma pura è conosciuta come mukti. Queste conclusioni sonostate descritte nel Qur'ån e nella letteratura dei Sufi, manon tutti le comprendono. Gauraõga Mahåprabhu miseri-cordiosamente insegnò al Chånd Kåzî tutti questi punti e daallora noi, suoi discendenti, siamo diventati dei devoti pu-ri."

"Qual è l'insegnamento principale contenuto nelQur'ån?" Chiese Låhirî.

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CAPITOLO SEIReligione eterna e distinzioni

di razza e di casta

Devîdåsa Vidyåratna era un insegnante. Per lungo tem-po era stato convinto che i bråhma∫a fossero i più elevatitra i var∫a (divisioni sociali). Secondo lui, nessuno tranneun bråhma∫a era adatto a raggiungere paramårtha, la metapiù alta della vita, e senza essere nati in una famiglia dibråhma∫a, la jîva non aveva possibilità di ottenere la muk-ti. Egli pensava che la natura caratteristica del bråhma∫a sisviluppasse solamente in base alla nascita in una famiglia dibråhma∫a. Devîdåsa si sentì molto insoddisfatto quandoascoltò la discussione tra i Vaiß∫ava ed il discendente delChånd Kåzî. Egli non riusciva a penetrare a fondo leprofonde affermazioni, colme di verità fondamentali, delKåzî Såhib.

Turbato, Devîdåsa Vidyåratna iniziò a pensare: "Gli Ya-vana sono effettivamente uno strano fenomeno. Non vi èsenso in tutto ciò che dicono. Certo, mio padre ha studiatoil Farsi e l'Arabo ed ha studiato la religione a lungo, perchèperò mostra tanto rispetto per gli Yavana? Anche solo peraver toccato uno Yavana, un bråhma∫a è obbligato a fareun bagno per potersi purificare. Cosa pensano Vaiß∫ava då-sa Båbåjî e Paramahaµsa Båbåjî Mahåråja quando invita-no queste persone a sedersi nell'assemblea e gli offrono co-sì tanto rispetto?"

Quella stessa notte Devîdåsa disse: "Ûambhu! Non pos-so evitare di sollevare una questione. Dovrò accendere undibattito logico ardente come il fuoco e ridurre in polvere

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Sesto Capitolo

gnificanti dell'erba, perciò tutti offrirono pranåma dicendo:"vipra cara∫ebhyo˙ nama˙," offriamo omaggi ai piedi deibråhma∫a. I bråhma∫a pa∫∂ita, ritenendosi degli studiosieruditi, in cambio offrirono ai Vaiß∫ava le loro benedizionie poi si sedettero. Vidyåratna aveva preparato i bråhma∫aad una discussione. I bråhma∫a offrirono pranåma a LåhirîMahåΩaya in quanto più giovani. Låhirî MahåΩaya, diven-tato un esperto delle verità intime contenute nelle scrittu-re, in cambio offrì immediatamente pranåma ai pa∫∂ita.

Tra i pa∫∂ita Krishna Cü∂åma∫i era il più eloquente. AKåsî, a Mithilå e in molti altri luoghi egli aveva discusso connumerosi pa∫∂ita sul significato degli Ωåstra e li aveva sem-pre sconfitti. Era basso, con una carnagione scura e lucidaed aveva un contegno grave. I suoi occhi luccicavano comestelle.

Cü∂åma∫i iniziò a discutere con i Vaiß∫ava dicendo:"Oggi siamo venuti per avere il darΩana dei Vaiß∫ava. An-che se non seguiamo tutte le vostre pratiche, ammiriamomolto la vostra devozione esclusiva. Il Signore in personadice nella Bhagavad-Gîtå (9.30):

api cet su-duråcåro bhajate måm ananya-bhåksådhur eva sa mantavya˙ samyag-vyavasito hi sa˙

'Anche chi è un peccatore abominevole, se Mi adora condevozione esclusiva, va considerato un sådhu, poichè la suaintelligenza è fermamente collocata nella giusta determina-zione.'

"Questa affermazione contenuta nella Bhagavad-Gîtå èevidente. Basandoci su questa conclusione, oggi siamo ve-nuti per avere il darΩana dei sådhu. Abbiamo però qualco-sa da obiettare: perchè, con il pretesto della bhakti, vi asso-ciate con gli Yavana? Vorremmo parlare di questo con voi.

Jaiva-dharma

un punto di vista eretico. Proprio qui a Navadvîpa studiosieccelsi come Sårvabhauma e Ûiroma∫i discussero il nyåya-Ωåstra e Raghunandana estrasse le ventotto verità daglism®ti-Ωåstra. Com'è possibile che ora, proprio in questastessa Navadvîpa, gli Aryani e gli Yavana si accumunino inquesto modo? Forse gli insegnanti di Navadvîpa non han-no ancora avuto sentore di questa notizia." Per un paio digiorni Vidyåratna si dedicò completamente a questo.

Mentre si faceva giorno iniziò a cadere una lieve piogge-rella. A mezza mattina, offuscato dalle nuvole, il sole nonera ancora riuscito a lanciare uno sguardo sulla Terra. Devîe Ûambhu finirono il pasto, composto da khicarî (riso esoia), prima delle undici e, comprendendo che era giunto ilmomento opportuno, si prepararono. A Ûrî Godruma iVaiß∫ava stavano rientrando in ritardo dal consuetomådhukarî (elemosinare cibo). Tuttavia nel primo pome-riggio quasi tutti avevano finito di onorare prasåda. Sedutiin un largo capanno da un lato del pergolato di mådhavî-målati, i Vaiß∫ava cantavano l'Harinåma sul loro målå.

Paramahaµsa Båbåjî, Vaiß∫ava dåsa, Pa∫∂ita Anantadåsa del villaggio di Ûrî N®siµhapallî, Låhirî MahåΩaya eYådava dåsa da Kuliyå, erano seduti e cantavano con gran-de soddisfazione l'Harinåma con il loro målå di tulasî. Inquel momento giunsero Vidyåratna MahåΩaya e Catu-rabhuja Padaratna di Samudragarh, Cintåmanî Nyåyaratnadi Kåsî, Kålidåsa Våcaspati di Pürvasthalî e il famosopa∫∂ita Krishna Cüdåma∫i. I Vaiß∫ava offrirono grande ri-spetto ai bråhma∫a eruditi e li fecero accomodare.

Paramahaµsa Båbåjî disse: "Si dice che una giornata nu-volosa non sia di buon augurio, ma quella di oggi è diventa-ta una giornata fortunata. Oggi i bråhma∫a pa∫∂ita del dha-ma (luogo sacro di Navadvîpa) hanno purificato con la pol-vere dei loro piedi la nostra capanna."

Naturalmente i Vaiß∫ava considerano sè stessi più insi-

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Sesto CapitoloJaiva-dharma

Il più esperto di voi nel rispondere, deve farsi avanti."I Vaiß∫ava si addolorarono udendo le parole di Krishna

Cü∂åma∫i. Paramahaµsa Båbåjî molto umilmente disse:"Noi siamo degli sciocchi. Cosa ne sappiamo di dibattiti?Noi semplicemente agiamo in sintonia col comportamentodei nostri predecessori mahåjana (grandi santi). Voi sietetutti eruditi; potete recitare le istruzioni contenute negliΩåstra e noi ascolteremo in silenzio."

Cü∂åma∫i disse: "Come potete andare avanti basandovisu questa affermazione? Se con gli auspici della societàHindu voi perpetrate delle pratiche e degli insegnamentiche sono in opposizione agli Ωåstra, il mondo verrà rovinato.Col pretesto dei mahåjana voi mettete in pratica degli inse-gnameti che sono in opposizione agli Ωåstra. Che discorso èmai questo? Chi è il mahåjana? Solamente se il comporta-mento e gli insegnamenti del mahåjana sono in accordo congli Ωåstra ci si può definire mahåjana. Altrimenti come po-trà esserci beneficio per il mondo se noi semplicemente eti-chettiamo chiunque come mahåjana e citiamo: 'mahåjanoyena gata˙ sa panthå˙', si dovrebbe seguire la via indicatadai mahåjana?"

Udite le parole di Cü∂åma∫i i Vaiß∫ava si ritirarono perriunirsi a parte in una capanna. Essi conclusero che, se ve-niva attribuita una mancanza ai mahåjana, era doveroso daparte loro confutare quelle affermazioni per quel che fosseloro possibile. Paramahaµsa Båbåjî scelse di non parteci-pare al dibattito. Sebbene Pa∫∂ita Ananta dåsa Båbåjî fos-se un erudito del nyåya-Ωåstra, tutti chiesero che fosse ÛrîVaiß∫ava dåsa Båbåjî a condurre il dibattito. I Vaiß∫ava in-tuirono subito che era stato Vidyåratna ad istigare questoscompiglio.

Anche Låhirî MahåΩaya era presente e disse apertamen-te: "Devî è estremamente orgoglioso. La sua mente si è tur-bata quando ha visto il nostro atteggiamento verso Kåzî

Såhib e, come risultato, ha aizzato tutti questi bråhma∫apa∫∂ita e li ha condotti qui."

Vaiß∫ava dåsa mise la polvere dei piedi di ParamahaµsaBabaji sulla propria testa e disse: "Porterò sulla mia testal'ordine dei Vaiß∫ava. La conoscenza che ho assimilato og-gi di sicuro porterà i suoi frutti."

In quel momento il cielo si schiarì. Fu preparato un gran-de spazio sotto il pergolato di målati-mådhavî. I bråhma∫apa∫∂ita presero posto da un lato ed i Vaiß∫ava dall'altro.Tutti i bråhma∫a ed i pa∫∂ita di Godruma e di Madhyadvî-pa erano riuniti in quel luogo ed anche molti studenti dellevicinanze e altri bråhma∫a eruditi erano arrivati e si eranouniti all'assemblea. L'incontro certo non passava inosser-vato. Vi erano un centinaio di bråhma∫a pa∫∂ita da unaparte e circa duecento Vaiß∫ava dall'altra. Vaiß∫ava dåsa,calmo e composto, si mise a capo dell'assemblea su richiestadei Vaiß∫ava. Proprio in quel momento accadde qualcosadi imprevisto: dal pergolato soprastante un mazzetto di fio-ri målati cadde sulla testa di Vaiß∫ava dåsa. Questo fatto il-luminò i Vaiß∫ava ispirandoli a cantare a gran voce il nomedi Hari. Essi dichiararono: "Questo è un segno della mise-ricordia di Ûrîman Mahåprabhu."

Seduto di fronte, Krishna Cü∂åma∫i con una smorfia dis-se: "Voi potete anche pensarlo, ma i fiori non sono in gradodi pensare. L'albero sarà giudicato dai suoi frutti."

Congedando la questione Vaiß∫ava dåsa iniziò: "L'in-contro che sta per avviarsi oggi a Navadvîpa assomiglia aquelli che avvengono a Vårå∫asî ed è per me fonte di gran-de gioia. Anche se attualmente risiedo in Bengala, ho tra-scorso molto tempo studiando e dando lezioni a Vårå∫asîed in altri luoghi, non sono perciò molto abituato ad espri-mermi in Bengali. Vi faccio quindi richiesta che, nel corsodel dibattito che si terrà oggi, le domande e le risposte ven-gano pronunciate in Sanscrito."

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se del genere?"Vaiß∫ava dåsa rispose: "Le jîve nascono in var∫a di bas-

so o di alto livello, in una casta o in un'altra, in accordo alkarma precedente e, in armonia con il loro var∫a, sonoadatte a svolgere differenti tipi di lavoro. Bråhma∫a, kßa-triya, vaiΩya e südra sono i quattro var∫a. Tutti gli altri sonoantyaja, cioè hanno acquisito una nascita talmente bassa chesi trovano al di fuori del sistema delle caste."

"Gli Yavana hanno ricevuto una nascita molto bassa?"chiese Cü∂åma∫i.

"Sì," rispose Vaiß∫ava dåsa. "Secondo gli Ωåstra essi so-no antyaja, al di fuori della giurisdizione dei quattro var∫a."

Cü∂åma∫i chiese: "Allora come possono gli Yavana es-sere dei Vaiß∫ava e come possono dei Vaiß∫ava rispettabiliassociarsi con loro?"

Vaiß∫ava dåsa disse: "Coloro che possiedono la purabhakti sono Vaiß∫ava. Tutti gli esseri umani sono candida-ti del dharma Vaiß∫ava. Secondo il sistema del var∫åΩramagli Yavana non sono adatti a compiere i doveri prescritti neidifferenti var∫a ma, sebbene siano nati senza qualifiche, an-ch'essi hanno diritto di partecipare alle pratiche della bhak-ti. Finchè non si analizzano scrupolosamente le differenzesottili che esistono tra il karma-kå∫∂a, il jñåna-kå∫∂a ed ilbhakti-kå∫∂a, nessuno potrà mai affermare di conoscere ilvero scopo degli Ωåstra."

"Molto bene" accettò Cü∂åma∫i. "Compiendo il karmaprescritto, il cuore gradualmente verrà purificato. Quandoil cuore è puro uno si qualifica per jñåna. Tra i jñånî alcunisono nirbheda brahmavådî, coloro che invocano il Brahmanimpersonale indifferenziato, mentre altri sono Vaiß∫ava, co-loro che sostengono che la forma personale del Signore pos-siede degli attributi trascendentali (sarviΩeßavåda). Se-guendo questa progressione e senza prima essersi qualifi-cati coerentemente al proprio karma, non si può diventare

Jaiva-dharma

Sebbene Cü∂åma∫i avesse studiato con diligenza gliΩåstra, non era in grado di parlare fluentemente in Sanscri-to, eccetto per alcuni versi che conosceva a memoria per cui,sgomentato dalla proposta di Vaiß∫ava dåsa, disse: "Per-chè? Se un incontro avviene in Bengala la cosa migliore sa-rebbe parlare la lingua del posto. Io non sono in grado diparlare in Sanscrito come i pa∫∂ita delle province occiden-tali."

Da questo comportamento tutti dedussero cheCü∂åma∫i aveva timore di discutere con Vaiß∫ava dåsa. Al-l'unisono tutti chiesero a Vaiß∫ava dåsa di parlare in Ben-gali e lui acconsentì.

Cü∂åma∫i sollevò allora la prima questione domandan-do: "La jåti o casta è nitya (immutabile)? Gli Hindu e gliYavana non appartengono a caste differenti? Gli Hindu sidegradano entrando in contatto con gli Yavana?"

Vaiß∫ava dåsa Båbåjî rispose: "In base al nyåya-Ωåstra,jåti (un termine che si riferisce alla razza, alla casta o ad unaspecie) è immutabile. Tuttavia il termine jåti-bheda (distin-zione di casta) menzionato qui non si riferisce alla differen-za di casta che esiste tra esseri umani anche se nati in paesidiversi. Questo termine si riferisce alla differenza tra le spe-cie, come ad esempio tra mucche, capre ed esseri umani."

Cü∂åma∫i disse: "Se ciò che dici è giusto, allora non esi-ste jåti-bheda o distinzione di casta, tra Hindu e Yavana?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Vi è un certo tipo di distinzione,ma quel tipo di jåti non è eterno poichè gli esseri umani ap-partengono ad una sola jåti (specie). All'interno della spe-cie umana sono state inventate molte differenti jati sulla ba-se della lingua, del paese, dell'abbigliamento e del coloredella pelle."

Cü∂åma∫i domandò: "Ma vi è una differenza basata sul-la nascita? Oppure la differenza tra Hindu e Yavana consi-ste semplicemente nel differente tipo di abbigliamento o co-

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'O Re, se un mangiatore di cani diventa devoto del Si-gnore Viß∫u, è migliore di un bråhma∫a. Viceversa, se unoyati o un sannyåsî è privo di Viß∫u-bhakti, è inferiore ad unmangiatore di cani.'

Cü∂åma∫i disse: "Si possono citare molte evidenze dal-le scritture, ma sta di fatto che è essenziale differenziare conapprofondimenti logici. Come può essere rimosso il difettodi durjåti (nascita degradata)? E' possibile rimuovere que-sto difetto senza rinascere una seconda volta?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Una nascita degradata è causa-ta dal prårabdha-karma, al risultato cioè di attività prece-denti che hanno iniziato a produrre i loro frutti nella vitapresente, ma il prårabdha-karma può venire annullato pro-nunciando il nome del Signore. Ne è prova lo Ûrîmad-Bhå-gavatam (6.16.44), con riferimento alla potenza del SantoNome del Signore:

yan-nåma sak®c chrava∫åtpukkaΩo 'pi vimucyate saµsåråt

'Persino un mangiatore di carne di bassa nascita può ve-nir liberato dall'esistenza materiale semplicemente ascol-tando una sola volta il Tuo Santo Nome.'

"Inoltre nello Ûrîmad-Bhagavatam è detto (6.2.46):

nåta˙ paraµ karma-nibandha-k®ntanaµmumukßatåm tîrtha-padånukîrtanåtna yat puna˙ karmasu sajjate mano

rajas-tamobhyåm kalilaµ tato 'nyathå

'Per coloro che desiderano la liberazione dalla schiavitùdell'esistenza materiale, non vi è nessun altro mezzo per

Jaiva-dharma

Vaiß∫ava. Essendo fuori casta, gli Yavana per natura nonsono adatti a compiere il karma prescritto nel sistema deivar∫a, quindi come possono ottenere le qualifiche dellabhakti?"

"Gli esseri umani di bassa nascita hanno ogni diritto diintraprendere la pratica della bhakti" affermò Vaiß∫ava då-sa "tutti gli Ωåstra accettano questo. Il Signore Supremostesso dice nella Ûrîmad Bhågavad-Gîtå (9.32):

måµ hi pårtha vyaopåΩritya ye 'pi syu˙ påpa-yonaya˙striyo vaiΩyås tatha Ωüdrås te 'pi yånti paråµ gatim

'O figlio di P®thå, le donne, i vaiΩya, i Ωüdra e le personedi bassa nascita nate in famiglie degradate, possono rag-giungere la destinazione suprema rifugiandosi in Me.'

"Qui la parola vyapåΩritya (rifugiarsi) si riferisce allabhakti. Questo viene corroborato nel KåΩî-kha∫∂a delloSkanda-purå∫a (21.63) e citato nell'Hari-bhakti-vilåsa(10.106):

brahma∫a˙ kßatriyo vaiΩya˙ südro vå yadi vetara˙viß∫u-bhakti-samåyukto jñeya˙ sarvottamaΩ ca sa˙

'Se una persona sia bråhma∫a, kßatriya, vaiΩya, südra odi bassa nascita al di fuori dei quattro var∫a, si rifugia nellaviß∫u-bhakti, va considerata la migliore di tutti."

"Nel Nåradîya-purå∫a (citato nell'Hari-bhakti-vilåsa10.87) si dice:

Ωvapaco 'pi mahîpåla viß∫u-bhakto dvijådhika˙viß∫u bhakti-vihîno yo yatiΩ ca Ωvapacådhika˙

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finchè non nascerà in una famiglia di bråhma∫a. Tuttaviaegli potrà praticare gli aõga della bhakti che sono incompa-rabilmente più significativi degli yajña."

"Che conclusione è mai questa?" disse Cü∂åma∫i. "Unapersona non adatta ad accedere persino a dei privilegi ordi-nari può essere qualificata per qualcosa di superiore? Esi-ste qualche evidenza a questo riguardo?"

Vaiß∫ava dåsa disse: "Le attività degli esseri umani sisuddividono in due categorie: vyåvahårika, materiali o inrelazione all'esistenza pratica; e påramårthika, spirituali orelative alla verità suprema. Avere le qualifiche spiritualinon necessariamente qualifica una persona a certe attivitàmateriali. Per esempio: uno Yavana di nascita può aver ac-quisito la natura e tutte le qualità dei bråhma∫a; dal puntodi vista spirituale questa persona viene considerata un brah-mana, tuttavia rimane inadatta per certe attività materialicome ad esempio sposare la figlia di un bråhma∫a."

"Perchè?" chiese Cü∂åma∫i. "Cosa c'è di sbagliato se lasposa?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Se si viola il costume sociale, sidiventa punibili per vyåvahårika-doßa, errore secolare. Inpiù, nella società, coloro che sono orgogliosi della propriarispettabilità, non approvano questo modo d'agire. Questecose perciò non si devono fare anche se uno possiede le qua-lifiche spirituali per farle"

Soddisfatto della risposta, Cü∂åma∫i chiese: "Ti prego,dimmi, qual è la causa dell'eleggibilità per compiere il kar-ma e quale per praticare la bhakti?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "tat-tat-karma-yogya-svabhåva-janma, la natura, la nascita ed altre vyåvahårika (cause pra-tiche) conformi ai corrispondenti tipi di lavoro fan sorgerel'eleggibilità per il karma. Tåttvika-Ωraddhå o fede radicatanella Verità Assoluta fa sorgere l'eleggibilità per la bhakti."

"Non tentare di intimidirmi con il linguaggio del Vedån-

Jaiva-dharma

sradicare il peccato se non il canto dei Santi Nomi del Su-premo Signore il Quale, con il semplice tocco dei Suoi pie-di di loto, santifica persino i luoghi sacri. La ragione è che lamente, attraverso il nåma-saõkîrtana, non rimane più ag-ganciata al karma. Con tutti gli altri metodi la mente si con-tamina ancora con le qualità materiali della passione e del-l'ignoranza, e quindi i peccati non vengono distrutti alla ra-dice.'

"Ed ancora nello Ûrîmad-Bhågavatam (3.33.7) è detto:

aho bata Ωvapaco 'to garîyånyaj-jihvågre vartate nåma tubhyamtepus tapas te juhuvu˙ sasnur åryåbrahmånücur nåma g®∫anti ye te

'Oh! Cosa si può dire di più a proposito della grandezzadi colui che canta il Santo Nome del Signore? Chi con lapropria lingua pronuncia i Tuoi Santi Nomi è superiore atutti, anche se è nato in una famiglia di mangiatori di cani.Chi canta il Tuo Santo Nome ha già intrapreso le ascesi, hacompiuto sacrifici del fuoco, si è bagnato nei luoghi sacri, haseguito le regole del giusto comportamento ed ha studiato afondo i Veda.'

"Allora perchè un ca∫∂åla (mangiatore di cani) che can-ta l'Harinåma viene diffidato dal compiere yajña (sacrifici)ed altre attività proprie dei bråhma∫a?" chiese Cü∂åma∫i.

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Nascere in una famiglia di bråh-ma∫a è indipensabile per poter compiere degli yajña e altreattività del genere. Proprio come una persona nata in unafamiglia di bråhma∫a non è qualificata per compierne i do-veri fino a quando non si è purificata con la cerimonia di in-vestitura del filo sacro, così un ca∫∂åla, anche se purificatodal canto dell'Harinåma, resta inadatto a compiere yajña

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"In alcuni casi la nascita diventa un fattore preminenteper individuare la natura; in altri casi il fattore principale di-venta il vivere insieme. Ciò inizia fin dalla nascita e la na-tura si forma con questa associazione. Quindi la nascita ècertamente determinante nello sviluppo della natura. Tut-tavia non bisogna semplicisticamente concludere che, poi-chè la natura si sviluppa dal momento della nascita, essa siala sola causa che determina le qualità e la predisposizioneverso un particolare tipo di attività. Vi sono molti altri fat-tori. Perciò gli Ωåstra prescrivono che, per accertare l'ido-neità ad un compito, si deve prima studiare la natura dellapersona."

"Cosa s'intende per tåttvika-Ωraddhå, fede nella VeritàAssoluta?" Chiese Cü∂åma∫i.

Vaiß∫ava dåsa replicò: "La fede in Dio con onestà di cuo-re, da cui scaturisce uno sforzo spontaneo per raggiungere ilSignore, è conosciuta come tåttvika-Ωraddhå. La fede basa-ta su di una concezione sbagliata di Dio, che nasce in uncuore impuro e da cui trae origine uno sforzo egoistico ra-dicato nell'orgoglio, nel prestigio e nei desideri materiali, èconosciuta come atåttvika-Ωraddhå, fede fittizia.

Alcuni mahåjana hanno descritto la tåttvika-Ωraddhå co-me Ωåstrîya-Ωraddhå o fede nelle scritture. Questa tåttvika-Ωraddhå è la causa prima dell'eleggibilità alla bhakti."

"Alcune persone hanno sviluppato fede nelle scritturema la loro natura non è elevata," disse Cü∂åma∫i. "Anchequeste persone sono eleggibili alla bhakti?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "La natura è la causa dell'eleggi-bilità per il karma, non per la bhakti. Ûraddhå è la sola cau-sa di eleggibilità alla bhakti. Così viene chiaramente affer-mato nei seguenti versi dello Ûrîmad-Bhågavatam:

jåta-Ωraddho mat-kathåsu nirvi∫∫a˙ sarva-karmasuveda du˙khåtmakån kåmån parityåge 'py anîΩvara˙

Jaiva-dharma

ta" disse Cü∂åma∫i contrariato. "Spiega con chiarezza co-sa intendi per tat-tat-karma-yogya-svabhåva."

Vaiß∫ava dåsa avviò la propria analisi: "Ûama (controllodei sensi), dama (controllo della mente), tapa˙ (austerità),Ωauca (purezza), santoßa (soddisfazione), kßamå (perdono),saralatå (semplicità), îΩa-bhakti (devozione per Dio), dayå(misericordia) e satya (veridicità), sono le qualità che si ri-scontrano nella natura del bråhma∫a.

“Teja (prodezza), bala (forza fisica), dh®ti (risolutezza),Ωaurya (eroismo), titikßå (tolleranza), udåratå (magnani-mità), udyama (perseveranza), dhíratå (gravità), brah-ma∫yatå (devozione verso i bråhma∫a) e aiΩvarya (opulen-za), sono le caratteristiche della natura kΩatriya.

“Astikya (teismo), dåna (carità), ni߆hå (fede), adåm-bikatå (assenza d'orgoglio) e artha-t®ß∫å (bramosia di accu-mulare ricchezza), sono le caratteristiche riscontrabili nellanatura di un vaiΩya.

“Dvija-go-deva-sevå (servire i bråhma∫a, le mucche e gliesseri celesti) e yathå-låbha-santoßa (essere soddisfatti di ciòche si possiede), caratterizzano i südra. AΩauca (sporcizia),mithyå (disonestà), caurya (furto), nåstikatå (ateismo),v®thå kalaha (litigiosità), kåma (lussuria), krodha (rabbia)e indriya-t®ßnå (bramosia di soddisfare i propri sensi), sonole caratteristiche che distinguono la natura di un antyaja,una persona di bassa nascita.

"Gli Ωåstra prescrivono che i var∫a vengano stabiliti inbase a queste differenti nature. Determinare l'appartenen-za ad un var∫a solamente sulla base della nascita è una pra-tica solo recentemente adottata. La propensione e le capa-cità che l'essere umano possiede per assolvere un partico-lare tipo di compito, nascono congiuntamente a queste na-ture. Questo particolare svabhåva è definito tat-tat-karma-yogya-svabhåva, la natura che è in accordo ad uno specificotipo di lavoro.

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verso le attività interessate, l'austerità, la conoscenza, la ri-nuncia, la pratica dello yoga, la carità, i doveri religiosi e tut-ti gli altri propizi tipi di sådhana, vengono facilmente rag-giunti dai Miei devoti con il potere del bhakti-yoga. Anchese i Miei devoti sono privi di ambizioni, essi facilmente ot-tengono la promozione ai pianeti celesti, la liberazione o laresidenza a Vaiku∫†ha se hanno desiderio per queste cose.'(SB 11.20.32-33)

"Questo è lo sviluppo sistematico del bhakti-yoga cheorigina da Ωraddhå."

"E se io non accettasi l'autorità dello Ûrîmad-Bhågava-tam?" chiese Cü∂åma∫i.

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Questa è la conclusione di 'tutti'gli Ωåstra e gli Ωåstra sono un'unica cosa. Se tu non accetti ilBhågavatam, sarai tormentato dagli altri Ωåstra. Non c'è bi-sogno che citi diverse scritture. Puoi anche considerare so-lamente ciò che viene detto nella Gîtå, il libro che è accet-tato dagli aderenti a tutti i sistemi filosofici. In effetti tuttele istruzioni sono contenute nel verso della Gîtå che tu haipronunciato appena giunto qui (Gîtå 9.30):

api cet su-duråcåro bhajate måm ananya-bhåksådhur eva sa mantavya˙ samyag vyavasito hi sa˙

'Colui che non ha altro oggetto di devozione oltre Me ela cui fede è perciò esclusivamente fissa in Me, rimane as-sorto nell'adorarMi ascoltando hari-kathå e cantando l'Ha-rinåma. Anche se possiede una natura abominevole e de-pravata ma si oppone alla via del karma, deve essere consi-derato un sådhu poichè ha imboccato la via dei sådhu.'

"La spiegazione è che il sistema del var∫åΩrama genera-to dal karma-kå∫∂a è solo un tipo di via; il procedimento

Jaiva-dharma

tato bhajeta måµ prîta˙ Ωraddhålur d®∂ha-niΩcaya˙jußamå∫aΩ ca tån kåmån du˙khodarkåµΩ ca garhayan

'Un sådhaka che ha sviluppato fede nelle narrazioni cheparlano di Me, che è disgustato da tutti i tipi di karma e chesa come il godimento materiale ed il desiderio per questogodimento siano causa di dolore, può comunque non esse-re capace di staccarsene. Questa persona deve condanna-re il godimento materiale sapendo che esso culmina sola-mente nella sofferenza. Anche se a volte indulge nel godi-mento materiale, deve adorarMi con fede, determinazioneed amore.' (SB 11.20.27-28)

proktena bhakti-yogena bhajato måsak®n mune˙kåmå h®dayå naΩyanti sarve mai h®di sthite

bhidyate hrdaya-granthiΩ chidyante sarva-saµΩayå˙kßîyante cåsya karmå∫i mayi d®ß†e 'khilåtmani

'Quando il sådhaka Mi adora costantemente con il me-todo del bhakti-yoga che ho descritto, Io giungo e mi siedonel suo cuore. Non appena Mi stabilisco lì, tutti i desiderimateriali e i saµskåra o impressioni da cui derivano questidesideri, vengono distrutti. Quando il devoto Mi vede comeil Paramåtmå situato nel cuore di tutte le entità viventi, ilnodo del falso ego presente nel suo cuore si scioglie, tutti isuoi dubbi vengono dissolti ed il desiderio di compiere atti-vità materiali completamente distrutto.' (SB 11.20.29-30)

yat karmabhir yat tapaså jñåna-vairågyataΩ ca yatyogena dåna-dharmea sΩreyobhir itarair api

sarvam mad-bhakti-yogena mad-bhakto labhate 'ñjasåsvargåpavargaµ mad-dhåma kathañcid yadi våñchati

'Qualsiasi risultato ottenuto con grande difficoltà attra-

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della conoscenza e della rinuncia che appartiene al jñåna-kå∫∂a, è un altro tipo di sentiero; e la fede nell'hari-kathå enell'Harinåma che si sviluppa con sat-saõga è il terzo tipo distrada. A volte succede che queste tre vie vengano intra-prese insieme come se fossero un unico sistema di yoga chesi identifica sia con il karma-yoga che con il jñåna-yoga econ il bhakti-yoga, a volte invece vengono praticate in mo-do separato. I praticanti di questi differenti sistemi sono co-nosciuti rispettivamente come karma-yogi, jñåna-yogi ebhakti-yogi. Tra essi i bhakti-yogi sono i migliori perchè ilbhakti-yoga, avendo una supremazia impareggiabile, pos-siede un'infinita auspiciosità. Questa conclusione è confer-mata in ciò che è scritto nella Gîtå al termine del sesto capi-tolo (Gîtå 6.47):

yoginåm api sarveßåµ mad-gatenåntaråtmanåΩraddhåvån bhajate yo måm sa me yuktatamo mata˙

'Arjuna, tra tutti gli yogi, colui che costantemente Miadora con grande fede, con la mente profondamente assor-ta nell'amore per Me, deve essere considerato il migliore.'

"Inoltre la Gîtå dice (9.31-32):

kßipram bhavati dharmåtmå ΩaΩvac-chåntiµ nigacchatikaunteya pratijånîhi na me bhakta˙ pra∫aΩyati

måm hi pårtha vyapåΩritya ye 'pi syu˙ påpa-yonaya˙striyo vaiΩyås tathå Ωüdrås te 'pi yånti paråµ gatim

'Chi Mi adora con devozione esclusiva diventa subito vir-tuoso ed ottiene la pace eterna. Figlio di Kuntî, dichiaro so-lennemente che il Mio devoto non perirà mai. Figlio diP®tha, le donne, i vaiΩya, i Ωüdra e le persone nate in fami-glie di basso livello possono raggiungere la destinazione ul-

tima rifugiandosi in Me.'"E' essenziale che tu comprenda chiaramente questo

punto del verso: kßipram bhavati dharmåtmå," disseVaiß∫ava dåsa. "Le persone che con fede hanno intrapresoil sentiero dell'ananya-bhakti, devozione esclusiva, vengonosubito purificate da tutte le manchevolezze implicite nellaloro natura e nel loro comportamento. Dove c'è bhakti, diconseguenza giunge il dharma. Bhagavån è la radice di ognidharma. Egli viene facilmente conquistato dalla bhakti.Non appena Bhagavån si stabilisce nel cuore, måyå, che im-prigiona nell'illusione le entità viventi, immediatamenteviene dissipata. Non è necessario praticare nessun altro ti-po di sådhana. Non appena uno diventa devoto, il dharmaappare e rende virtuoso il suo cuore. Nel momento in cui idesideri materiali di godimento dei sensi vengono dissipa-ti, la pace pervade il cuore.

“Perciò il Signore Supremo promette: 'Il Mio devoto nonperirà mai.' I karmi e i jñånî, volendo essere indipendenti,nel corso del loro sådhana possono cadere vittime di cattivecompagnie. I devoti tuttavia, per l'influsso della presenzadel Signore, non cadono in cattive compagnie e perciò nonsi degradano. Indipendentemente che nasca in una fami-glia di peccatori o nella casa di un bråhma∫a, il devoto ha aportata di mano la suprema destinazione."

Cü∂åma∫i disse: "La precisazione che si trova negliΩåstra sulla determinazione della casta di nascita, mi sembrasia superiore. Chi nasce in una famiglia di bråhma∫a rag-giunge la conoscenza attraverso la pratica regolare delsandhyå-vandanå ed alla fine è destinato a raggiungere laliberazione. Non capisco come si evolve e come si sviluppaΩraddhå (la fede). Nella Gîtå e nel Bhågavatam troviamodelle istruzioni relativamente alla bhakti che nasce daΩraddhå ma vorrei sapere in modo chiaro cosa deve fare lajîva per conseguire questa Ωraddhå."

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Krishna, è conosciuta come Ωraddhå.'"Ascoltando con regolarità le istruzioni date dai sådhu e

ricercando la compagnia di devoti santi, nel cuore delsådhaka nasce la convinzione di non poter ottenere il beneeterno attraverso il metodo del karma, jñåna, yoga e così viae di non aver mezzi per raggiungere il successo senza il ri-fugio esclusivo ai piedi di loto di Ûrî Hari. Quando si mani-festa questa convinzione si può capire che nel cuore delsådhaka è nata Ωraddhå nei Veda e nelle parole del guru. Lanatura di Ωraddhå viene descritta così: (Amnåya-sütra 58):

så ca Ωara∫ågati-lakßa∫å

'Sraddhå è caratterizzata da sintomi esterni comeΩara∫ågati, sottomissione al Signore.'

"Ûara∫ågati viene descritta con queste parole (Hari-bhakti-vilåsa 11.676):

ånukülyasya saõkalpa˙ pråtikülyasya varjanamrakßisyatîti viΩvåso gopt®tve vara∫aµ tathå

åtma-nikßepa-kårpa∫ye ßa∂-vidhå Ωara∫ågati˙

'Sei sono i sintomi della sottomissione. I primi due sono ånukülyasya saõkalpa˙ e pratikulyasya varjanam: 'Farò so-lamente ciò che è favorevole ad ottenere la bhakti incondi-zionata e respingerò tutto ciò che le è sfavorevole.' Questoè ciò che s'intende per saõkalpa o pratijñå, un voto solenne.Il terzo sintomo è rakßisyatîti viΩvåso (la fede che il Signoreè il nostro unico protettore): 'Bhagavån è il mio solo pro-tettore. Non riceverò nessun beneficio dal jñåna, dallo yo-ga e da altre simili pratiche.' Questo è ciò che s'intende perviΩvåsa, fiducia. Il quarto sintomo è gopt®ve varaõam (ac-cettazione volontaria del Signore come proprio sostentato-

Jaiva-dharma

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Ûraddhå è la nitya-svabhåva del-la jîva. Compiere con fede i doveri prescritti dal var∫åΩra-ma-dharma non nasce dalla nitya-svabhåva (la natura eter-na) della jîva; nasce invece dalla sua naimittika-svabhåva (lanatura temporanea). Questo è il verdetto degli Ωåstra. Nel-la Chåndogya Upanißad (7.19.1) sta scritto:

yadå vai Ωraddadhåti atha manutenåΩraddadhan manute

Ωraddadhad eva manuteΩraddhåtveva vijijñåsitavyeti

Ωraddhåµ bhagavo vijijñåsa iti

'Sanat-kumåra disse: 'Quando una persona sviluppaΩraddhå può pensare e comprendere un soggetto, ma senzaΩraddhå ciò non è possibile, infatti, solamente chi possiedeΩraddhå può riflettere su qualsiasi cosa. Quindi devi porredomande in particolare riguardo a Ωraddhå. Nårada rispo-se: Maestro, mi piacerebbe conoscere nello specifico questaΩraddhå.'

"Alcune persone erudite nella conclusione degli Ωåstrahanno spiegato che il termine Ωraddhå significa aver fedenei Veda e nelle parole del guru" disse Vaiß∫ava dåsa. Poiaggiunse: "Questo significato non è sbagliato ma non è deltutto chiaro. Nella nostra sampradåya il significato della pa-rola Ωraddhå è il seguente (Amnåya-sütra 57):

Ωraddhå tv anyopåya-varjaµ bhakty-unmukhî citta-v®tti-viΩeßa˙

'La funzione propria di un cuore che si sforza di ottene-re esclusivamente quella bhakti totalmente priva di karmae jñåna e senz'altro desiderio che l'esclusivo piacere di

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ri devoti per effetto di attività pie improntate alla spiritua-lità, accumulato nel corso di molte vite.'

"Le suk®ti sono di due tipi: nitya, eterne e naimittika,temporanee. Le suk®ti attraverso cui si ottiene il sådhu-sa∫ga e la bhakti sono nitya suk®ti. Le suk®ti attraverso cuisi ottiene il godimento materiale e la liberazione imperso-nale sono naimittika-suk®ti. Le suk®ti che culminano in unfrutto eterno sono nitya suk®ti. Le suk®ti che culminano inrisultati temporanei dipendenti da qualche causa sono nai-mittika-suk®ti o anitya suk®ti."

Vaiß∫ava dåsa continuò: "Tutti i tipi di godimento mate-riale evidentemente dipendono da una qualche causa e per-ciò non sono eterni. Molti pensano che la mukti sia eterna,ma giungono a questa conclusione solamente perchè nonconoscono veramente la natura della mukti. L'åtmå, l'ani-ma individuale, è Ωuddha (pura), nitya (eterna) e sanåtana(primordiale). L'associazione con måyå è la causa (nimit-ta) della prigionia della jîvåtma. La completa liberazioneda questa prigionia viene chiamata mukti. La liberazione oil rilascio da questa prigionia accade in un istante. Di con-seguenza l'azione del rilascio non la si può certo considera-re un'azione eterna. Non appena si ottiene libertà, tutte leconsiderazioni riguardanti la mukti diventano obsolete. Lamukti non è altro che la distruzione di una causa materiale,perciò, essendo nient'altro che l'annullamento di una causamateriale temporanea, anche la mukti è causale e tempora-nea (naimittika).

"Viceversa quando rati, o attaccamento ai piedi di lotodi Ûrî Hari, si radica nel cuore della jîva, non cesserà mai disussistervi . Questo rati o bhakti è quindi nitya-dharma e, se-condo un'analisi corretta, nessuno dei suoi aõga o aspetti,può essere definito naimittika. Quella bhakti che concedela mukti e che termina a quel punto, è solamente un tipo di

Jaiva-dharma

re): 'Non posso ottenere nulla con il mio sforzo personale,nè potrò mai mantenermi da solo. Servirò Bhagavån finchèmi sarà possibile e Lui si prenderà cura di me.' Questo è ciòche s'intende per nirbharatå, dipendenza. Il quinto sinto-mo è åtma-nikßepa (arrendersi): 'Chi sono? Io sono Suo. Ilmio dovere è quello di soddisfare i Suoi desideri.' Questoè ciò che s'intende per åtma-nivedana, donare il proprio sè.Il sesto sintomo è kårpa∫ye (mitezza): 'Sono insignificante,miserabile e materialmente bisognoso.' Questo è ciò ches'intende per kårpanya o dainya, umiltà.'

"Quando questi sentimenti di pratijñå, viΩvåsa, nirbha-ratå, åtma-nivedana e dainya si combinano insieme e si in-sediano nel cuore, la predisposizione che ne deriva vienechiamata Ωraddhå. Una jîva che possiede questa Ωraddhå èeleggibile per la bhakti. Questo è il primo stadio dello svi-luppo della svabhåva simile a quella delle pure jîve eterna-mente liberate. Perciò questo è il nitya-svabhåva della jîva.Tutti gli altri svabhåva sono naimittika."

"Ho capito" disse Cü∂åma∫i. "Ma non hai ancora spie-gato come si sviluppa Ωraddhå. Se Ωraddhå si sviluppa dalsat-karma, azioni virtuose, allora il mio argomento resta an-cora il più forte perchè Ωraddhå non può scaturire senzaaver compiuto propriamente il sat-karma e lo svadharmadel var∫åΩrama. Poichè gli Yavana non praticano il sat-kar-ma, come possono essere qualificati per la bhakti?"

Vaiß∫ava dåsa disse: "E' un fatto che Ωraddhå nasca dal-le suk®ti, azioni pie. Ciò è scritto nel B®han Nåradîya-purå∫a (4.33):

bhaktis tu bhagavan bhakta saõgena parijåyatesat-saõga˙ pråpyate puµbhi˙ suk®tai˙ pürva sañcitai˙'L'inclinazione verso la bhakti si risveglia in compagnia

dei devoti del Signore. La jîva merita la compagnia dei pu-

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po di suk®ti esse nascono?"Vaiß∫ava dåsa rispose: "Conversare con i puri devoti, ser-

virli ed ascoltare i loro discorsi è ciò che s'intende per bhak-ta-saõga. I puri devoti praticano le attività della bhakti co-me il nagara-sankîrtana, il canto congregazionale pubblicodel Santo Nome. Se una persona in qualche maniera par-tecipa a tutte queste attività o le fa di sua volontà, ciò vienedefinito bhakti-kriya-saõga, avere contatto con azioni de-vozionali.

"Negli Ωåstra vengono indicate come bhakti-kriya azioniquali pulire il tempio del Signore Hari, offrire la lampada aTulasi e osservare l'Harivåsara (Ekadasi, Janmastami, Rå-ma-navami e altri giorni del genere). Queste attività, anchese compiute in modo accidentale o senza pura Ωraddhå, pro-durranno comunque bhakti-poßaka suk®ti, atti virtuosi chenutrono la devozione. Quando queste suk®ti accumulatenel corso di numerose vite acquisiscono forza, si manifestaΩraddhå per sådhu-sa∫ga e per ananya-bhakti (devozioneesclusiva).

"Va capito che all'interno di qualsiasi vastu (sostanza), viè una particolare potenza conosciuta come vastu-Ωakti, il po-tere intrinseco di quella sostanza. La potenza che nutre labhakti si riscontra solamente all'interno delle attività dellabhakti. Anche se esse vengono compiute con indifferenzaprodurranno suk®ti, che dire poi se vengono compiute confede. Questo si trova ben espresso nel Prabhåsa-kha∫∂a(Hari-bhakti-vilåsa 11.451):

madhura-madhuram-etan maõgalaµ maõgalånåµsakala-nigama-vallî-sat-phallaû cit-svarüpaµ

sak®d api parigîtaµ Ωraddhayå helayå våbh®gu-vara nara-måtraµ tårayet k®ß∫a-nåma

'Fra tutto ciò che è di buon auspicio, il Santo Nome di ÛrîKrishna si erge supremo. Tra tutte le cose dolci, il Santo

Jaiva-dharma

naimittika-karma. La bhakti che è presente prima, durantee dopo la mukti è una verità eterna e distinta che costituisceil nitya-dharma della jîva. La mukti non è altro che un irri-levante risultato secondario della bhakti. Nella Mu∫∂akaUpanißad (1.2.12) è detto:

parîkßya lokån karma-citån bråhma∫onirvedam-åyån nåsty ak®ta˙ k®tena

tad-vijñånarthaµ sa gurum evåbhigacchetsamit-på∫i˙ Ωrotriyaµ brahma-ni߆ham

'Un bråhma∫a che abbia studiato minuziosamente gliΩåstra, si disinteresserà della pratica del karma esaminandocon cura la natura temporanea, impura e miserabile di svar-ga-loka e di altri pianeti celesti raggiungibili compiendo at-tività pie. E ciò perchè il nitya-vastu, Bhagavån, non Si puòraggiungere con anitya-karma, trovandoSi Egli oltre il cam-po d'azione del karma. Quindi, per giungere alla reale co-noscenza e realizzazione dell'eterna Persona Suprema, sidovrebbe raccoglier legna, accendere il fuoco sacrificale e,con fede ed umiltà, sottomettere il proprio corpo, mente eparole ad un guru qualificato erudito nei Veda, ben fermonel servizio a Bhagavån e a conoscenza della Verità Asso-luta.'

"Il karma, il jñåna e lo yoga sono tutti naimittika-suk®ti.Bhakta-saõga, restare in compagnia di devoti e bhakti-kriya-saõga, avere contatto con azioni devozionali, sononitya-suk®ti. Solamente chi ha accumulato nitya-suk®ti permolte vite svilupperà Ωraddhå. Sono molti e differenti i ri-sultati provenienti da naimittika-suk®ti, ma con quei meto-di non si può sviluppare fede nella bhakti incondizionata."

Cü∂åma∫i allora chiese: "Ti prego, spiegami bene cosas'intende per bhakta-saõga e bhakti-kriya-saõga. Da che ti-

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Cü∂åma∫i chiese: "Quindi vuoi dire che le nitya-suk®tigiungono per un caso fortunato?"

"Tutto viene per fortuna" disse Vaiß∫ava dåsa. "Lo stes-so avviene per il karma-mårga. Le circostanze con cui la jî-va entra nel ciclo del karma non sono forse nient'altro cheun caso fortuito? Anche se i filosofi mimåµsa hanno de-scritto il karma come anadi, senza inizio, il karma un'origi-ne ce l'ha. Bhagavad-vimukhatå, (indifferenza per il Si-gnore), è l'evento che scatena gli effetti del proprio karmaoriginale. In modo simile, anche le nitya-suk®ti sembra ab-biano un evento scatenante. Nella ÛvetåΩvatara Upanißad(4.7) è scritto:

samåne v®kße purußo nimagno'nîΩayå Ωocati muhyamåna˙

ju߆am yadå paΩyaty anyam îΩamasya mahimånam iti vîta-Ωoka˙

'La jîva e l'onnipresente Paramåtmå risiedono entrambinello stesso corpo. La jîva, attratta dal godimento dei sen-si, è assorta nella concezione corporale della vita. Confusada måyå, essa è incapace di trovare una via per liberarsi equindi si lamenta. Quando, per l'influenza di suk®ti acqui-site nel corso di molte vite, essa ottiene la misericordia delSupremo Signore o dei Suoi puri devoti, essa vedrà nel suocuore, all'interno dell'albero del suo corpo, un secondo in-dividuo, chiamato Signore Supremo, il Quale viene servitoeternamente dai Suoi devoti incondizionati. In quel mo-mento la jîva potrà vedere le glorie del Signore. Anche se ilSignore dirige ogni cosa, Egli è sempre distante; Egli è com-pletamente libero dall'influenza dell'ignoranza; nella Suaforma originale Egli è assorto nella felicità trascendentale;servendoLo, anche la jîva potrà godere di quella supremafelicità. Osservando le glorie impareggiabili del Signore, la

Jaiva-dharma

Nome ancora è il più dolce. Il Santo Nome è il frutto eter-no e maturo dell'albero dei desideri dei Veda. Migliore deiBh®gu, se qualcuno anche solo una volta canta senza offeseil Santo Nome di Ûrî Krishna, con fede o con indifferenza,il Santo Nome lo libererà immediatamente dall'oceano del-l'esistenza materiale.'

"Quindi tutti i tipi di suk®ti che nutrono la bhakti sononitya-sukrti. Gradualmente quando queste suk®ti si rinvi-goriranno, si svilupperà Ωraddhå nell'ananya-bhakti fino adottenere sådhu-sa∫ga. Come risultato del compimento dinaimittika-dusk®ti, azioni temporanee empie, capiterà di na-scere in una famiglia Yavana. A causa però delle nitya-suk®ti, attività pie eterne, si svilupperà fede per l'ananya-bhakti. Cosa c'è di sorprendente in tutto ciò?"

"Quello che intendevo dire con la mia precedente do-manda era che, se è presente questa bhakti-poßaka-suk®ti(virtù che nutre la devozione), essa deve essere pur nata daqualche altro tipo di suk®ti. Gli Yavana non hanno nessunaltro tipo di suk®ti, quindi non è possibile che abbiano bhak-ti-poßaka-suk®ti," spiegò Cü∂åma∫i.

"Questo non è vero" disse Vaiß∫ava dåsa. "Poichè lenitya-suk®ti e le naimittika-suk®ti sono di categorie diffe-renti, esse non dipendono le une dalle altre. Una volta ac-cadde ad un cacciatore che aveva compiuto molte attivitàempie, di trovarsi per caso a digiunare e di restare alzatotutta la notte in occasione della festa di Ûiva-råtrî. Come ri-sultato delle nitya-suk®ti maturate da questa azione, egli svi-luppò l'eleggibilità per l'hari-bhakti. Nello Ûrîmad-Bhåga-vatam (12.13.16) è scritto: 'vaiß∫avånåµ yathå Ωambhu˙’, ilSignore Ûiva è il migliore dei Vaiß∫ava. Da questa afferma-zione si può comprendere che Mahådeva è il Vaiß∫ava piùmeritevole di adorazione. Osservando un voto per com-piacerlo, si otterrà l'hari-bhakti."

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Cü∂åma∫i chiese: "Secondo la tua opinione non vi è dif-ferenza tra un Aryano ed uno Yavana?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Ci sono due discriminanti: unapoggia su påramårthika, ciò che è relativo alla realtà asso-luta; e l'altra su vyåvahårika, ciò che è relativo all'esperien-za pratica. Non vi è differenza påramårthika tra Aryani eYavana, ma esiste una differenza vyåvahårika."

"Perchè insisti nell'esibire in maniera prolissa la tua co-noscenza del Vedånta?" Sbottò Cü∂åma∫i indignato. "Co-sa intendi per differenza vyåvahårika tra gli Aryani e gli Ya-vana?"

Ignorando l'impertinenza di Cü∂åmani, Vaiß∫ava dåsarispose: "I costumi sociali sono conosciuti come vyåvahåra.Nella vita quotidiana gli Yavana sono considerati intocca-bili di conseguenza, dal punto di vista vyåvahårika (prati-co), gli Yavana sono intoccabili, infatti la loro compagnianon è augurabile. L'acqua ed il cibo toccati da uno Yavananon devono essere toccati dagli Aryani. A causa della bas-sa nascita il corpo di uno Yavana è spregevole e perciò in-toccabile."

"Allora come è possibile che non vi siano differenze tragli Aryani e gli Yavana da un punto di vista påramårthika?"chiese Cü∂åma∫i. "Spiegamelo in maniera chiara."

Vaiß∫ava dåsa disse: "Gli Ωåstra lo hanno chiarito conqueste parole: 'bh®gu-vara-nara-måtraµ tårayet k®ß∫a-nå-ma, migliore tra i Bh®gu, il Santo Nome di Ûrî Krishna donala liberazione a tutti gli uomini.' Il termine nara-måtram fariferimento a tutti gli umani, senza distinzione di casta, dicredo od altre designazioni materiali. Secondo questo ver-so, gli Yavana e tutti gli altri esseri umani sono uguali perquanto riguarda l'opportunità di conseguire påramårtha, loscopo supremo della vita. Chi è privo di nitya-suk®ti vienedefinito dvipada-paΩu, un animale a due gambe, poichè nonha fede nel k®ß∫a-nåma. Nonostante abbiano ottenuto la

Jaiva-dharma

jîva si libera di ogni motivo di lamento.'

"Nello Ûrîmad-Bhågavatam (10.51.53) è scritto:

bhavåpavargo bhramato yadå bhavejjanasya tarhy acyuta sat-samågama˙sat-saõgamo yarhi tadaiva sad-gatau

paråvareΩe tvayi jåyate rati˙

'Signore Acyuta (situato eternamente nella Tua formaspirituale originale), la jîva vaga nel ciclo di nascite e mortida tempo immemorabile. Quando giunge l'ora di emanci-parsi da questo ciclo, essa ottiene sat-saõga. E quando ot-tiene sat-saõga, essa si sente fermamente attratta da Te chesei la meta suprema raggiunta dai sådhu, Tu che controlli sialo spirito che la materia.'

"La stessa cosa viene espressa in questo altro verso del-lo Ûrîmad-Bhågavatam (3.25.25):

satåµ prasaõgån mama vîrya-samvidobhavanti h®t-kar∫a-rasåya∫å˙-kathå˙

taj-joßa∫åd åΩv apavarga-vartmaniΩraddhå ratir bhaktir anukramißyati

'Come risultato di una associazione sincera con il cuoreaperto verso i puri devoti, una persona avrà l'opportunitàdi ascoltare le descrizione delle Mie eroiche gesta, che sonocome un nettare tonico per le orecchie ed il cuore. Gustan-do ripetutamente questi argomenti attraverso l'ascolto e lacontemplazione, essa, velocemente ed in successione, ot-terrà Ωraddhå, rati e prema-bhakti per Me, la meta finaledella via lungo la quale, incidentalmente, si incontra anchela mukti.'

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Sesto Capitolo

'All'interno di questo universo ogni cosa animata ed ina-nimata deriva dal Signore ed è anche da Lui pervasa perciò,con sentimento di distacco, si dovrebbe accettare solamen-te ciò che è necessario al proprio sostentamento, conside-rando ogni cosa come una rimanenza del Signore. Non do-vremmo impossessarci della proprietà del Signore e consi-derarci i fruitori.'

"Ogni cosa esistente all'interno dell'universo è connessacon la potenza del Signore. Se una persona vede ogni cosain relazione alla cit-Ωakti, la potenza spirituale del Signore,lascerà lo spirito di godimento mondano. Se una jîva intro-spettiva accetta in questo mondo solamente le cose neces-sarie al mantenimento del suo corpo e le considera come ri-manenze del Signore, non si degraderà più, al contrario, lasua inclinazione verso la coscienza spirituale tenderà a cre-scere. Le rimanenze di cibo e altri oggetti offerti a Dio so-no conosciuti come mahåprasåda. E' una grande sfortunache tu non abbia fede in questi oggetti così straordinari."

Cü∂åma∫i si sentì in qualche modo imbarazzato, quindidisse: "Lasciamo in disparte questo argomento e torniamoal punto originario della discussione. Come ci si deve com-portare con gli Yavana?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Finchè una persona resta Yava-na, noi rimaniamo indifferenti. Tuttavia, per influenza del-le nitya-suk®ti, quando qualcuno che in precedenza era Ya-vana diventa un Vaiß∫ava noi non lo consideriamo più unoYavana. Questo è l'inequivocabile verdetto degli Ωåstra, co-me appare dalla seguente affermazione della Itihåsa-sa-mucchaya (Hari-bhakti-vilåsa 10.119):

Ωüdraµ vå bhagavad-bhaktaµ nißådaµ Ωvapacaµ tathåvîkßate jåti-såmånyåt sa yåti narakaµ dhruvam

'Se una persona considera un devoto del Signore un

Jaiva-dharma

forma umana, queste persone sono prive di qualità umanee sono sovraccariche di propensioni animalesche. NelMahåbhårata sta scritto:

mahåprasåde govinde nåma-brahma∫i vaiß∫avesvalpa-pu∫yavatåµ råjan viΩvåso naiva jåyate

'O Re, una persona le cui attività pie precedenti sono ir-rilevanti, non può aver fede nelle rimanenze del cibo offer-to al Supremo Signore, in Ûrî Govinda, nel Santo Nome onei Vaiß∫ava.'

"Le nitya-suk®ti sono una grande virtù che purifica la jî-va. Le naimittika-suk®ti sono virtù insignificanti che nonhanno il potere di risvegliare Ωraddhå per gli oggetti tra-scendentali. In questo mondo materiale sono quattro gli og-getti trascendentali in grado di risvegliare la coscienza spi-rituale: il mahåprasåda, Krishna, il k®ß∫a-nåma e i ΩuddhaVaiß∫ava (puri Vaiß∫ava)."

A questa affermazione Cü∂åmani sorrise lievemente edisse: "Che strana idea è mai questa? Questo è semplice-mente fanatismo dei Vaiß∫ava. Come possono il riso, il daled i vegetali essere cinmaya, spirituali? Non c'è proprio nul-la che voi Vaiß∫ava non siate capaci di fare!"

Vaiß∫ava dåsa però fu pronto nel castigarlo. "Puoi farequalsiasi cosa ma non criticare i Vaiß∫ava. Questa è la miaumile richiesta. In un dibattito si dovrebbe argomentare ilpunto in questione. Qual è l'utilità di deridere i Vaiß∫ava?In questo mondo materiale il mahåprasåda è il solo cibo chesi dovrebbe accettare poichè risveglia la coscienza spiritua-le e dissolve la natura materialistica. Perciò il mantra 1 del-la IΩopanißad dice:

îΩåvåsyam idaµ sarvaµ yat kiñca jagatyåµ jagattena tyaktena bhuñjîthå må g®dha˙ kasyasvid dhanam

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Sesto Capitolo

tika, temporanea, la loro osservanza va consigliata per man-tenere ordinata la vita quotidiana. Non si può diventare unVaiß∫ava semplicemente abbandonando i costumi socialidei quattro var∫a. I Vaiß∫ava devono adottare ciò che fa-vorisce la bhakti. Si possono tralasciare i doveri dei var∫asolo quando si diventa veramente distaccati e qualificati perpoterlo fare. Solo in quel momento si possono lasciare i do-veri dei quattro var∫a e tutto ciò che ne è connesso.

"Quando il var∫a-dharma diventa sfavorevole alla pra-tica del bhajana, può essere abbandonato senza problemi .Se la compagnia degli Yavana ostacola la pratica del bhaja-na, uno Yavana in cui si sia risvegliata la fede nella bhakti,ha il diritto di lasciare quella compagnia. Se un Aryanoqualificato ad abbandonare i quattro var∫a ed uno Yavanaqualificato a lasciare la sua comunità, diventano entrambiVaiß∫ava, che differenza c'è tra loro? Entrambi hanno ab-bandonato vyåvahåra, ciò che è in relazione alla vita ordi-naria, ed entrambi sono diventati fratelli rispetto a på-ramårtha, la realtà spirituale.

"Tuttavia il principio di rigettare il var∫a-dharma nonviene applicato ai g®hastha Vaiß∫ava. Un g®hastha Vaiß∫avanon deve lasciare la vita sociale finchè non è pienamentequalificato per farlo, anche se essa è sfavorevole alla prati-ca del suo bhajana. Quando però l'attaccamento e l'affettoper ciò che favorisce il bhajana si risveglia nel cuore delVaiß∫ava, egli facilmente può lasciare la società materiale.Nello Ûrîmad-Bhågavatam (11.11.32) è detto:

åjñåyaivaµ gu∫ån doßån mayådi߆ån api svakåndharmån santyajya ya˙ sarvån måµ bhajet sa tu sattamah

'Nei Veda e nelle Upanißad Io ho stabilito i doveri degliesseri umani spiegando che cos'è il dharma e l'adharma,quali sono le qualifiche e quali sono le mancanze. Il porta-re avanti i propri doveri religiosi è un fatto positivo poichè

Jaiva-dharma

Ωüdra (un componente della casta più bassa), un nißåda (uncomponente della tribù di aborigeni cacciatori) o uno Ωva-paca (un fuori casta mangiatore di cani), semplicementeperchè il devoto è nato in queste famiglie, è sicuramente de-stinato a finire all'inferno.'

"Similmente nella Itihåsa-samuccaya si dice (Hari-bhak-ti-vilåsa 10.127):

na me priyaΩ catur-vedi mad-bhakta˙ Ωvapaca˙ priya˙tasmai deyaµ tato gråhyaµ sa ca püjyo yathå hy aham

'Un bråhma∫a che ha studiato i quattro Veda ma è privodi bhakti, non Mi è caro. Viceversa Mi è molto caro il Miodevoto anche se nato in una famiglia di mangiatori di cani.Ad un tale devoto è giusto donare in carità e qualunque co-sa egli offra va accettata poichè lui è meritevole di adora-zione come lo sono Io.'

"Ho capito" disse Cü∂åma∫i. "Può allora un g®hasthaVaiß∫ava offrire sua figlia in sposa ad uno Yavana Vaiß∫ava,oppure accettare la figlia di uno Yavana Vaiß∫ava in mo-glie?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Da un punto di vista vyåvahå-rika, uno Yavana rimane tale agli occhi della gente comunefinchè non lascierà il corpo. Ma da un punto di vista på-ramårthika, una volta ottenuta la bhakti egli non può venirconsiderato uno Yavana. Gli smårta-karma, i riti socialiprescritti negli sm®ti-Ωåstra sono di dieci tipi, e tra questi vi èil matrimonio. Se un g®hastha Vaiß∫ava è un Aryano, cioè ècompreso all'interno dei quattro var∫a, egli si dovrà sposa-re solamente all'interno del var∫a cui appartiene.

"Anche se il cåtur-var∫ya-dharma, i doveri religiosi com-presi all'interno delle quattro caste, sono di natura naimit-

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Sesto Capitolo

di rinuncia alla vita, indifferente a tutte le restrizioni socia-li, viene definito nirapekßa. Il termine nirapekßa letteral-mente significa senza nessun bisogno o richiesta. Un nira-pekßa Vaiß∫ava ed uno Yavana Vaiß∫ava possono sedersi in-sieme per onorare il mahåprasåda. Viceversa un g®hasthaVaiß∫ava, non può sedersi e mangiare con uno YavanaVaiß∫ava durante occasioni di vita sociale e familiare tutta-via, quando si tratta di onorare Viß∫u o il prasåda Vaiß∫ava,non vi è nessun divieto anzi, è suo dovere farlo."

"Perchè allora non è permesso ad uno Yavana Vaiß∫avaentrare nei templi Vaisnava per adorare e servire la Divi-nità?" Puntualizzò Cü∂åma∫i.

Vaiß∫ava dåsa replicò: "Se una persona si rivolge ad unVaiß∫ava definendolo Yavana solo perchè è nato in tale fa-miglia, lo offende. Tutti i Vaiß∫ava hanno il diritto di servi-re Krishna. Se un g®hastha Vaiß∫ava nel servizio alla Divi-nità fa qualcosa che va contro le regole del var∫åΩrama, daun punto di vista vyåvahårika cioè materiale, dev'essereconsiderato in errore. Per i nirapekßa Vaiß∫ava non esisto-no ingiunzioni ad adorare la Divinità. Essi non La adoranoperchè ciò impedirebbe il manifestarsi della qualità intrin-seca in nirapekåata (libertà da tutte le necessità e dipen-denze esterne). Essi sono impegnati nel servire Ûrî Rådhå-Vallabha attraverso månasi-sevå, il servizio compiuto con lamente e situati nella forma spirituale da loro interiormenteconcepita."

Cü∂åma∫i disse: "Ho capito. Ora ti prego, dimmi, cosane pensi dei bråhma∫a?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "I bråhma∫a sono di due tipi:svabhåva-siddha (bråhma∫a per natura) e jåti-siddha (bråh-ma∫a per nascita). Coloro che sono bråhma∫a per naturasono praticamente dei Vaiß∫ava; perciò vengono rispettatidagli aderenti a tutti i sistemi filosofici. Coloro che sonobråhma∫a di nascita soltanto, ricevono solo rispetto forma-

Jaiva-dharma

purifica il cuore di chi li assolve. Trascurarli è invece unosbaglio. Chi sa queste cose e ciò nonostante abbandona idoveri prescritti considerandoli solamente una distrazionedalla pratica del bhajana e Mi adora con esclusiva e fermaconvinzione che tutte le perfezioni possono essere raggiun-te solo con la bhakti, va considerato il migliore dei sådhu.'

"Questa affermazione viene corroborata dalla conclu-sione finale contenuta nella Gîtå (18.66):

sarva-dharmån parityajya måm ekaµ Ωara∫aµ vrajaahaµ tvåµ sarva-påpebhyo mokßayißyåmi må Ωuca˙

'Abbandona tutti i tipi di naimittika-dharma come il kar-ma ed il jñåna e soltanto arrenditi a Me. Non lamentartiperchè Io ti libererò da tutte le reazioni peccaminose deri-vate dall'abbandono dei doveri prescritti.'

"E viene ulteriormente confermato dallo Ûrîmad-Bhå-gavatam (4.29.46):

yadå yasyånug®h∫åti bhagavån åtma-bhåvita˙sa jahåti matiµ loke vede ca parini߆hitåm

'Quando Bhagavån Si compiace per la sottomissione diuna jîva o perchè essa Lo ha servito col più profondo impe-gno delle sue facoltà interiori; a quella jîva il Signore con-cederà la Sua misericordia. In quel momento la jîva ab-bandona l'attaccamento ad ogni costume sociale e ai ritua-li religiosi prescritti dai Veda.'

"Se uno Yavana è veramente diventato un Vaiß∫ava,puoi mangiare, bere e fare altre cose del genere in sua com-pagnia?" Chiese Cü∂åma∫i.

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Un Vaiß∫ava situato nell'ordine

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Sesto Capitolo

ed in pratica essi così fanno. E' detto nella B®had-åra∫yakaUpanißad (4.4.21):

tam eva dhîro vijñåya prajñåµ kurvîta bråhma∫a˙

'Una persona sobria e spiritualmente illuminata che co-nosce bene il Supremo Dio, renderà al Signore prema-bhakti, poichè è la manifestazione della conoscenza più ele-vata.'

"Inoltre viene affermato nella B®had-åra∫yaka Upanißad(3.8.10):

yo vå etad akßaraµ gårgy aviditvåsmål lokat praiti sa k®pa-na˙ atha ya etad akßaraµ gårgi viditvåsmål lokåt praiti sa

bråhma∫a˙

'Gårgi, colui che esce da questo mondo senza conoscerela Suprema Entità Imperitura, il Signore Viß∫u, è un uomodisgraziato, mentre colui che vive in questo mondo e cono-sce l'Entità Suprema Imperitura è un bråhma∫a.'

"Di coloro che sono bråhma∫a da un punto di vista vyå-vahårika (fondato su considerazioni sociali) Manu ha detto(Manu-sm®ti 2.168):

yo 'madhîtya dvijo vedam anyatra kurute Ωramansa jîvann eva Ωüdratvam åΩu gacchati sånvaya˙

'Dvija si riferisce a chiunque tra i bråhma∫a, kßatriya ovaiΩya abbia ricevuto la seconda nascita attraverso l'upa-nayana-saµskåra o sia stato investito con il filo sacro cheprepara allo studio dei Veda. Se, dopo aver ricevuto il filosacro, uno dvija fallisce nello studio dei Veda perchè invece

Jaiva-dharma

le e ciò è approvato anche dai Vaiß∫ava. La conclusione de-gli Ωåstra a questo proposito è espressa nello Ûrîmad-Bhå-gavatam (7.9.10):

vipråd dvi-ßa∂-gu∫a-yutåh aravinda-nåbha-pådåravinda-vimukhåt Ωvapaca vari߆hammanye tad-arpita-mano-vacanehitårtha-

prå∫aµ punåti sa kulaµ na tu bhürimånah

'A mio avviso un devoto che ha dedicato la sua mente, lesue azioni e la sua ricchezza ai piedi di loto di Krishna mache è nato in una famiglia di mangiatori di cani, è superioread un bråhma∫a che possiede tutte le dodici qualità bråh-miniche ma è contrario al servizio ai piedi di loto del Signo-re che ha l'ombelico a forma di loto. Questo devoto è ingrado di purificare non solo sè stesso ma anche la sua fami-glia, mentre il bråhma∫a orgoglioso del suo falso prestigionon è in grado di purificare neppure sè stesso.'

Cü∂åma∫i disse: "I Ωüdra non sono qualificati a studiarei Veda. Quando un Ωüdra diventa un Vaiß∫ava allora puòstudiare i Veda?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "A qualunque casta uno appar-tenga, se diventa un puro Vaiß∫ava, automaticamente ot-tiene lo status di bråhma∫a da un punto di vista på-ramårthika (assoluto). I Veda sono divisi in due sezioni: leistruzioni che riguardano il karma, cioè lo svolgimento deidoveri prescritti; e le istruzioni riguardanti la tattva, VeritàAssoluta. I vyåvahårika bråhma∫a sono qualificati per stu-diare i Veda che promuovono il karma ed i påramårthikabråhma∫a sono qualificati per studiare i Veda che promuo-vono la conoscenza della tattva. Indipendentemente dallacasta cui appartengono, i puri Vaiß∫ava possono studiare edinsegnare quei Veda che promuovono la verità spirituale,

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Sesto Capitolo

na. Nello Ûrîmad-Bhågavatam (11.14.3) il Signore Supre-mo dice:

kålena na߆å pralaye vå∫îyaµ veda-samjñitåmayådau brahma∫e proktå dharmo yasyåµ mad-åtmakah

'Ûrî Bhagavån disse: Uddhava, con l'influenza del tempoil messaggio dei Veda che contiene istruzioni riguardantiquel dharma che risveglia rati per Me, è stato perso al mo-mento della distruzione. All'inizio della creazione succes-siva, brahma-kalpa, ho di nuovo trasmesso lo stesso mes-saggio Vedico al Signore Brahmå.'

"Nella Ka†hopa∫ißad (1.2.15 e 1.3.9) è detto:

sarve vedå yat padam åmanantitapåµsi sarvå∫i ca yad vadanti

yad icchanto brahmacaryaµ carantitat te padaµ saõgrahe∫a bravîmi oµ ity etat

'Ti descriverò ora brevemente quella verità ultima cono-sciuta come Parabrahma, che tutti i Veda hanno ripetuta-mente descritto come il supremo obiettivo da raggiungere.Tutte le ascesi sono state decretate per dare piacere a quel-la Suprema Verità. E' con il desiderio di raggiungerla che ibrahmacårî vanno a casa del guru e studiano i Veda mante-nendosi celibi. Quella Verità Suprema è definita con la sil-laba oµ.'

vijñåna-sårathir yas tu mana˙ pragrahavån nara˙so 'dhvana˙ påram åpnoti tad viß∫o˙ paramaµ padam

'Una persona che ha vijñåna (conoscenza realizzata delSignore) che lo guida e una perfetta padronanza sulla men-

Jaiva-dharma

si è impegnato nello studio di altre materie quali l'econo-mia, la scienza o la logica, in questa stessa vita si degraderàal livello di Ωüdra insieme ai componenti della sua famiglia.'

"L'eleggibilità a studiare quei Veda che promuovono laverità spirituale viene descritta negli stessi con le seguentiparole (ÛvetåΩvatara Upa∫ißad 6.23):

yasya deve parå bhaktir yathå deve tathå gurautasyaite kathitå hy arthå˙ prakåΩante mahåtmana˙

'Tutte le verità esoteriche contenute in questa Upa∫ißadsaranno rivelate a quella grande anima che ha para-bhaktiesclusiva, ininterrotta e spirituale devozione per Ûrî Bha-gavån, e che possiede para-bhakti per il suo guru esatta-mente della stessa natura.'

"Il termine para-bhakti in questo verso significa Ωuddha-bhakti" precisò Vaiß∫ava dåsa. "Non voglio elaborare ulte-riormente questo argomento. Ti prego, cerca di afferrarloda solo. In breve si può dire che coloro che hanno risve-gliato la fede nell'ananya-bhakti sono eleggibili a studiarequei Veda che promuovono la conoscenza di tattva, la veritàspirituale. In più, chi ha già ottenuto ananya-bhakti è ido-neo anche ad insegnare i Veda che promuovono quella tatt-va."

"In conclusione, quei Veda che promuovono la tattva, in-segnano soltanto il Vaiß∫ava dharma e nessun'altra religio-ne?" Chiese Cü∂åma∫i.

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Il dharma, la naturale funzionecaratteristica dell'anima, è uno, non molteplice, ed è cono-sciuto come nitya-dharma o Vaiß∫ava-dharma. Tutte le al-tre forme di naimittika-dharma insegnate nei Veda non so-no altro che gradini che conducono a quella religione eter-

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CAPITOLO SETTEReligione eterna ed esistenza materiale

Per secoli molti orafi avevano vissuto sulle rive del fiumeSarasvatî nei pressi dell'antica città mercantile di Saptagrå-ma. Per misericordia di Ûrî Nityånanda Prabhu, dai tempidi Ûrî Uddhåra Da††a, quei mercanti si erano dedicati al-l'Harinåma saõkîrtana. A Saptagråma viveva anche un mi-serevole orafo di nome Ca∫∂î dåsa. Preoccupato dall'ideadi spendere per sponsorizzare i festival, Candi dåsa non par-tecipava con gli abitanti della città all'hari-kîrtana. Con lasua avarizia era riuscito ad accumulare un buon gruzzolo.Sua moglie, Damayantî, avendo adottato l'atteggiamentodel marito non offriva neppur la minima ospitalità aiVaiß∫ava o ad altri ospiti. In gioventù, questa coppia dimercanti aveva avuto quattro figli e due figlie. Le figlie era-no sposate ed ora vi era una cospicua eredità riservata ai fi-gli maschi.

In una casa mai visitata da persone sante, i bambini nonsono propensi a sviluppare gentilezza e compassione. Manmano che quei bimbi crescevano divennero infatti semprepiù orgogliosi. Bramosi dell'eredità, presero persino a spe-rare nella morte dei propri genitori. L'infelicità della coppiadi mercanti non aveva limiti. Gradualmente anche i figliuno dopo l'altro si sposarono e, col passare del tempo, an-che le loro mogli assimilarono la natura dei loro mariti e an-ch'esse iniziarono a desiderare la morte dei suoceri. Passòdel tempo; i figli divennero esperti negli affari e abili com-mercianti. Si divisero quasi tutta la ricchezza del padre einiziarono un'attività in proprio.

Jaiva-dharma

te che rappresenta le redini per dirigere il cavallo dei sensi,attraversa questa esistenza materiale e raggiunge la supre-ma dimora di Ûrî Viß∫u, l'onnipervadente Superanima co-nosciuta come Våsudeva.'

A questo punto della discussione, i volti di Devî Vidyå-ratna e dei suoi compagni si sbiancarono e il loro entusia-smo si frantumò. Poichè erano circa le cinque del pomerig-gio, fu proposto che la discussione venisse aggiornata. Tut-ti acconsentirono e l'incontro per quel giorno terminò.

I bråhma∫a pa∫∂ita se ne andarono con parole di gran-de elogio per l'erudizione di Vaiß∫ava dåsa. I Vaiß∫ava dalcanto loro tornarono alle rispettive dimore cantando a granvoce i nomi di Hari.

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Settimo Capitolo

gio a Ûrîdhåma-Navadvîpa passando da Kålnå e Ûåntipura."I due scelsero un giorno propizio per iniziare il loro pel-

legrinaggio accompagnati dalla Vaiß∫avi. Il giorno succes-sivo, dopo aver camminato a lungo, raggiunsero Ambikå-Kålnå. In un negozio cucinarono il pasto e quindi si sedet-tero per mangiare. In quel momento un uomo provenienteda Saptagråma li avvicinò informandoli: "I vostri figli han-no forzato la serratura della porta ed hanno preso tutte levostre cose. Non vi faranno più rientrare a casa: hanno tro-vato il gruzzolo che avevate nascosto e se lo sono spartito."

Dopo aver ricevuto questa notizia, Ca∫∂î dåsa e Da-mayantî si sentirono addolorati per la perdita dei soldi. Nonfurono in grado di mangiare nulla e trascorsero l'intera gior-nata versando fiumi di lacrime. La Vaiß∫avi che si prende-va cura di loro tentò di consolarli dicendo: "Non siate at-taccati alla casa! Venite, potete intraprendere la vita degliasceti Vaiß∫ava. Potete costruire un åΩrama semplice dovei Vaiß∫ava possono riunirsi e viverci. Poichè coloro per cuiavete sacrificato tutto vi sono diventati nemici, non è più ilcaso che torniate a casa. Andiamo a stabilirci a Navadvîpa.Potrete mantenervi elemosinando e farete una vita più ele-vata."

Pensando al comportamento dei figli e delle nuore,Ca∫∂î dåsa e Damayantî confermarono: "Meglio morireche tornare a casa!" Rimasero per alcuni giorni nel villag-gio di Ambikå a casa di un Vaiß∫ava; da lì andarono a visi-tare Ûåntipura e poi raggiunsero Ûrî Navadvîpa-dhåma. AÛrî Måyåpura rimasero alcuni giorni con un loro parentemercante. Iniziarono poi il pellegrinaggio delle sette loca-lità di Navadvîpa, del Gange ed anche delle sette località diKuliyå-gråma al di là del Gange. Tuttavia, dopo alcuni gior-ni, l'attaccamento ai figli e alle nuore riaffiorò.

Ca∫∂î dåsa disse a sua moglie: "Vieni, torniamo a casa, aSaptagråma. Dopo tutto sono nostri figli, non è vero? Non

Jaiva-dharma

Un giorno Ca∫∂î dåsa li convocò tutti e disse loro:"Ascoltatemi, fin da bambino ho vissuto parsimoniosa-mente; come risultato sono riuscito a mettere da parte unacospicua somma di denaro per tutti voi. Non ho mai man-giato cibi raffinati o indossato abiti di lusso. Anche vostramadre ha condotto una vita modesta. Ora che stiamo di-ventando vecchi è vostro dovere prendervi cura di noi. Masiamo angosciati perchè abbiamo iniziato a percepire daparte vostra della negligenza verso di noi. Ho ancora unacerta quantità di denaro nascosta e la donerò a quel figlioche avrà la bontà di prendersi cura di noi."

I figli e le nuore di Ca∫∂î dåsa ascoltarono il suo discor-so in silenzio e poi si appartarono in un'altra stanza per con-fabulare tra di loro. Essi conclusero: "La cosa migliore èmandare padre e madre da qualche parte e confiscare i sol-di che hanno nascosto poichè non si può veramente dire achi il vecchio darà ingiustamente quei soldi." Tutti eranoconvinti che il gruzzolo fosse nascosto nella camera da let-to del padre.

Un mattino, all'alba, Haricara∫a figlio maggiore diCa∫∂î dåsa, andò da suo padre e prese a parlargli con fintaumiltà: "Padre, tu e la mamma dovreste almeno una voltaandare ad avere il darΩana di Ûrî Navadvîpa-dhåma. In que-sto modo la vostra vita toccherà il successo. Ho sentito di-re che in questa era di Kali nessun altro luogo è benefico co-me Ûrî Navadvîpa-dhåma. Non sarebbe nè difficile nè co-stoso andare là. Se non siete in grado di camminare, po-tremmo noleggiare una barca per condurvi via fiume; c'èuna Vaisnavi che è desiderosa di accompagnarvi."

Quando Ca∫∂î dåsa fece presente la proposta del figlioalla moglie Damayantî, questa ne fu molto felice. Entram-bi conclusero: "Dopo quel che abbiamo detto, i nostri figlisono diventati premurosi e gentili. Non siamo così debolida non poter camminare. Dunque andiamo in pellegrinag-

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Settimo CapitoloJaiva-dharma

ci mostreranno almeno un po' di affetto?"La Vaiß∫avi che li assisteva disse con enfasi: "Non avete

dignità? Questa volta vi prenderanno la vita!"La vecchia coppia, percependo la verità di quelle parole,

divenne apprensiva. Essi risposero: "Rispettabile Vaiß∫avi,tu puoi tornartene a casa. Ora riusciamo a discriminare conchiarezza. Avvicineremo una persona qualificata cui chie-dere istruzioni; ci manterremo con l'elemosina e ci impe-gneremo nel bhagavat-bhajana."

La Vaiß∫avi se ne andò e la coppia di mercanti, abban-donata ogni speranza di tornare a casa a Saptagråma, iniziòa costruire una nuova casa nell'area di Kuliyå-gråma, doveviveva Chakaurî Ca††opådhyåya. Accettando contributi econsigli da molte persone di gentili e buone maniere, co-struirono una capanna e vi si stabilirono in via definitiva.Kuliyå-gråma è conosciuta anche con il nome di aparådha-bhañjana-på†a, il luogo santo dove vengono sradicate tuttele offese, vale a dire che, vivendo in quel luogo, tutte le of-fese precedenti saranno annullate. Da molto tempo questoè ciò che si dice di quel luogo.

Un giorno Ca∫∂î dåsa disse: "Madre di Hari, perchè di-spiacersi? Non parlarne più dei figli e riguardo quella que-stione, non pensarci più. Abbiamo commesso molte offesee per questa ragione siamo nati in una famiglia di mercanti.A causa della nostra nascita ci siamo comportati in manie-ra miserabile e mai abbiamo reso servizio agli ospiti o aiVaiß∫ava. Ora se arriveremo ad accumulare qualcosa qui,sia certo che lo useremo per servire gli ospiti, così potremoaver beneficio nella vita successiva. Stavo pensando di apri-re una drogheria; chiederò cinque monete ad alcuni genti-luomini e inizierò questa attività."

In breve Ca∫∂î dåsa aprì un piccolo negozio. Ogni gior-no riusciva a guadagnare qualcosa e, oltre a mantenersi, lacoppia iniziò a servire un ospite al giorno. In questo modo

la loro vita trascorreva più piacevolmente di prima.Ca∫∂î dåsa aveva ricevuto un'educazione e, ogni qual-

volta aveva del tempo libero, si sedeva nel negozio a legge-re il libro 'Ûrî Krishna Vijaya' scritto da Gu∫aråja Khåna.Egli gestiva il negozio onestamente ed era ospitale col pros-simo. Passarono così cinque o sei mesi. Quando la gente diKuliyå venne a conoscenza della storia di Ca∫∂î dåsa, ini-ziarono ad aver fede in lui.

In quel villaggio viveva un g®hastha bråhma∫a di nomeYådava dåsa che ogni giorno dava lezioni sul Ûrî Caitanya-maõgala. Ca∫∂î dåsa occasionalmente andava ad ascoltarequeste lezioni. Yådava dåsa e sua moglie erano costante-mente impegnati a servire i Vaiß∫ava. Vedendo ciò, ancheCa∫∂î dåsa e Damayantî si sentirono ispirati ad imitarli.

Un giorno Ca∫∂î dåsa chiese a Yådava dåsa: "Cos'è que-sta esistenza materiale?"

Yådava dåsa gli rispose: "A Ûrî Godrumadvîpa, sulla ri-va orientale del fiume Bhågîrathî, vivono molti Vaiß∫avaeruditi. Vai da loro e ponigli questa domanda. Anch'io avolte vado per ricevere istruzioni. Nelle conclusioni degliΩåstra i Vaiß∫ava di Ûrî Godruma sono più esperti dei bråh-ma∫a eruditi. Alcuni giorni fa dei bråhma∫a pa∫∂ita diquella zona sono stati sconfitti in un dibattito con ÛrîVaiß∫ava dåsa Båbåjî. Una domanda profonda come quel-la che tu hai posto, là può trovare una risposta soddisfacen-te."

Nel pomeriggio, Yådava dåsa e Ca∫∂î dåsa si accinseroad attraversare il Gange. Damayantî ora serviva regolar-mente i puri Vaiß∫ava. L'avarizia che prima aveva nel cuo-re era scomparsa, così lei disse: "Anch'io voglio venire a ÛrîGodruma con te."

Yådava dåsa le rispose: "I Vaiß∫ava che vivono là non so-no g®hastha, hanno adottato una vita di stretta rinuncia e so-no distaccati da ogni relazione con donne. Temo che la tua

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Settimo Capitolo

mostrarmi la tua misericordia spiegandomi con chiarezza incosa consiste l'esistenza materiale."

Ananta dåsa Båbåjî rispose: "Ca∫∂î dåsa, la tua è una do-manda molto profonda. Vorrei rimettere la risposta a ÛrîParamahaµsa Båbåjî MahåΩaya o a Ûrî Vaiß∫ava dåsaBåbåjî MahåΩaya."

Paramahaµsa Båbåjî allora interloquì: "Ûrî Ananta dåsaBåbåjî MahåΩaya è sufficientemente qualificato per rispon-dere ad una domanda di tale spessore e quindi tutti noi og-gi ascolteremo le spiegazioni che darà Båbåjî MahåΩaya."

"Poichè me lo chiedi, posso dire tutto ciò che so" fu la ri-sposta di Ananta dåsa. "Innanzitutto voglio ricordare i pie-di di loto del mio gurudeva, Ûrî Pradyumna Brahmacårî, unintimo compagno del Signore.

"Le jîve hanno due stati di esistenza: mukta-daΩå (statoliberato) e saµsåra-baddha-daΩå (stato di prigionia mate-riale). Le jîve che sono puri devoti del Signore Krishna eche non sono mai state prigioniere di måyå, e quelle che so-no state liberate dall'esistenza materiale personalmente daKrishna, sono definite mukta-jîve. Il loro stato liberato diesistenza si chiama mukta-daΩå. Viceversa, le jîve che, di-mentiche del Signore Krishna, sono cadute tra le grinfie dimåyå da tempo immemorabile, sono definite baddha-jîve.Il loro stato condizionato di esistenza si definisce saµsåra-baddha-daΩå. Le jîve liberate da måyå sono cinmaya, com-pletamente spirituali ed il servizio a Krishna, conosciuto co-me k®ß∫a-dåsya, è la loro stessa vita. Esse non risiedono inquesto mondo materiale ma in uno dei puri mondi spiritua-li quali Goloka, Vaiku∫†ha, V®ndåvana e così via. Le jîve li-berate da måyå sono un numero sterminato.

"Anche le jîve prigioniere di måyå sono innumerevoli.K®ß∫a-vimukhatå, la non affezione a Krishna, è il loro di-fetto. A causa di ciò, la potenza ombra di Krishna, cono-sciuta come chåyå-Ωakti o måyå, imprigiona le jîve con la sua

Jaiva-dharma

presenza in qualche modo possa dar loro dispiacere."Damayantî rispose: "Offrirò i miei da∫∂avat-pranåma da

distante. Non entrerò nelle loro dimore. Sono una vecchia;non si arrabbieranno con me."

Yådava dåsa acconsentì ma avvertì: "Alle donne non èpermesso recarsi in quel posto. Possiamo lasciarti nelle vi-cinanze ed al ritorno passeremo a prenderti."

Prima di sera i tre attraversarono il Gange e raggiunseroPradyumna-kuñja. Damayantî si prostò all'ingresso del bo-schetto offrendo da∫∂avat-pranåma e poi si sedette all'om-bra di un vecchio albero baniano. Yådava dåsa e Ca∫∂î då-sa entrarono nel boschetto e offrirono con grande devozio-ne da∫∂avat-pranåma ai Vaiß∫ava riuniti che stavano sedu-ti sotto il pergolato di målatî-mådhavî.

Paramahaµsa Båbåjî era seduto al centro. Attorno vierano Ûrî Vaiß∫ava dåsa, Låhirî MahåΩaya, Ananta dåsaBåbåjî e molti altri. Yådava dåsa si sedette vicino a Para-mahaµsa Båbåjî e Ca∫∂î dåsa lo seguì.

Guardando Yådava dåsa, Ananta dåsa Båbåjî chiese:"Chi è quest'uomo?"

Yådava dåsa raccontò l'intera storia di Ca∫∂î dåsa.Ananta dåsa Båbåjî sorrise e disse: "Sì, questo è ciò che s'in-tende per esistenza materiale. Una persona che sa cos'è l'e-sistenza materiale è un vero saggio e coloro che cadono inquesto circolo di esistenza materiale sono dei miserabili."

La mente di Ca∫∂î dåsa si era pian piano purificata. Chicompie nitya-suk®ti, certamente otterrà degli eventi positi-vi. Ospitare i Vaiß∫ava, leggere i libri sacri dei Vaiß∫ava edascoltarne la loro lettura, sono tutte nitya-suk®ti. Dopo ri-petute attività di questo genere, il cuore di Ca∫∂î dåsa si erapurificato ed aveva naturalmente sviluppato Ωraddhå (fede)per l'ananya-bhakti, la devozione esclusiva.

Sentendo le parole di Ûrî Ananta dåsa Båbåjî, Ca∫∂î då-sa si mise a parlare a cuore aperto: "Ti prego umilmente di

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Settimo Capitolo

Yådava dåsa disse: "Capisco che le concezioni di 'Io' e'Mio' operano nello stato condizionato ma, esistono anchenello stato liberato?"

Ananta dåsa rispose: "Sì, ma le concezioni di 'Io' e 'Mio'nello stato liberato sono spirituali e libere da ogni difetto.Nel mondo spirituale, nello stato liberato di esistenza, la jî-va è consapevole della sua natura pura, esattamente come èstata concepita da Krishna. Anche nel mondo spirituale visono molti differenti tipi di ego caratterizzati dal senso del-l'Io'. Là tutti sono servitori di Krishna ma hanno differen-ti relazioni con Lui e questo dà origine a differenti tipi dicid-rasa, scambi spirituali di sentimenti. Tutti i diversi cin-maya upakara∫a, o oggetti spirituali, che formano gli ingre-dienti costitutivi del råsa, vanno sotto il nome di 'Mio'.

"Allora qual è il difetto nelle varie concezioni di 'Io' e'Mio' dello stato condizionato?" Chiese Yådava dåsa.

Ananta dåsa rispose: "La concezione di 'Io' e 'Mio' nel-lo stato puro è reale, mentre nell'esistenza materiale tuttele concezioni di 'Io' e 'Mio' sono immaginarie o imposte al-l'entità vivente. Queste concezioni in realtà non sono vere,ma solo false identificazioni del sè. Di conseguenza tutte levarie identificazioni materiali, tipiche dell'esistenza mon-dana, sono soggette al mutamento, sono irreali e fonte di fe-licità e dolore momentanei."

Yådava dåsa chiese ancora: "Allora questa ingannevoleesistenza materiale è non reale?"

"No, questo mondo è illusorio ma non irreale," risposeAnanta dåsa. "Per volere di Krishna esso è una realtà, tut-tavia quando la jîva entra nel mondo materiale, ciò che es-sa considera come 'Io' e 'Mio' non sono in realtà tali. Co-loro che invece considerano questo mondo non reale sonomåyåvådî, fautori della teoria dell'illusione. Queste perso-ne sono degli offensori."

"Perchè siamo caduti in questa condizione illusoria?"

Jaiva-dharma

fune a tre capi, che sono le tre qualità della natura materia-le: sattva-gu∫a (virtù), rajo-gu∫a (passione) e tamo-gu∫a(ignoranza). Influenzati in varie combinazioni e gradi daquesti gu∫a, gli stati di esistenza delle anime condizionateappaiono differenziati e variegati. Considera soltanto tuttele varietà esistenti in termini di corpi, sentimenti, aspetto,natura, condizioni di vita e di movimento delle jîve.

"Entrando nell'esistenza materiale, la jîva acquisisce unnuovo tipo di ego. Nello stato puro di esistenza, l'ego dellajîva si esprime nell'essere una servitrice di Krishna, ma nel-lo stato condizionato nascono molti tipi di ego, per cui l'en-tità vivente di sè finisce per pensare: 'Sono un essere uma-no, sono un deva, sono un animale, sono un re, sono unbråhma∫a, sono un fuori casta, sono malato, sono affama-to, sono senza onore, sono caritatevole, sono un marito, so-no una moglie, sono un padre, sono un figlio, sono un ne-mico, sono un amico, sono uno studioso, sono affascinante,sono ricco, sono povero, sono felice, sono triste, sono fortee sono debole.' Queste attitudini si chiamano ahantå, lette-ralmente sensazione di sè o falso ego.

"Vi è inoltre un'altra funzione conosciuta come mamatå,che agisce all'interno della jîva. Mamatå significa letteral-mente 'senso di possessività'. Ecco alcuni esempi: 'Questaè la mia casa, queste sono mie proprietà, questa è la mia ric-chezza, questo è il mio corpo, questi sono i miei figli, questaè mia moglie, questo è mio marito, questo è mio padre, que-sta è mia madre, questa è la mia casta, questa è la mia razza,questo è il mio potere, questa è la mia bellezza, queste so-no le mie qualità, questa è la mia erudizione, questa è la miarinuncia, questa è la mia conoscenza, questa è la mia sag-gezza, questo è il mio lavoro, questa è mia proprietà e que-sti sono i miei servitori e dipendenti.' Il colossale soggettoche ci induce ad agire nella concezione di 'Io' e di 'Mio' vie-ne definito saµsåra, esistenza materiale.

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sa."Sono inadatti perchè la pratica di questi metodi incon-

tra molti ostacoli che impediscono il raggiungimento del fi-ne desiderato," disse Ananta dåsa. "Inoltre è di base scar-sa la probabilità di raggiungere quel fine. Il punto è che lanostra esistenza materiale si è concretizzata a causa diun'offesa da noi fatta. Senza aver prima ottenuto la miseri-cordia di chi è stato da noi offeso, non riusciremo a liberar-ci dalla condizione materiale e a conseguire la condizionespirituale pura."

Yådava dåsa chiese: "Quali sono gli sforzi appropriati?""Sådhu-sa∫ga (la compagnia dei devoti) e prapatti (ar-

rendere il proprio sè) sono i mezzi appropriati," risposeAnanta dåsa. Nello Ûrîmad-Bhagavatam (11.2.30), relati-vamente al sådhu-sa∫ga troviamo la seguente affermazio-ne:

ata åtyantikaµ kßemaµp®cchåmo bhavato 'naghå˙saµsåre 'smin kßa∫årdho 'pisat-saõga˙ Ωevadhir n®∫åm

'Tu che sei senza peccato, poichè è molto raro poter ot-tenere il darΩana di un grande devoto quale tu sei, vorrem-mo che tu ci dica qual è il bene supremo.

Anche un solo momento di compagnia con un puro de-voto in questo mondo materiale è la ricchezza più grandeper un essere umano.'

"Se qualcuno chiedesse come si può ottenere il massimobene per le jîve cadute in questa esistenza materiale, ri-sponderei che per chi ottiene il sat-saõga anche per un soloistante, sarà possibile ottenere il bene supremo.

"Prapatti viene descritta nel settimo capitolo della Gîtå

Jaiva-dharma

Chiese Yådava dåsa.Ananta dåsa rispose: "Bhagavån è pür∫a cid-vastu (en-

tità spirituale completa) e la jîva è cid-ka∫a (particella dispirito). La prima ubicazione della jîva è sulla linea di con-fine (tatastha) esistente tra il mondo materiale e quello spi-rituale. Da lì, la jîva che non dimentica la sua relazione conKrishna, viene potenziata dalla cit-Ωakti e trasportata nel re-gno spirituale. Queste jîve diventano eterne compagne delSignore ed iniziano a gustare la felicità spirituale del servi-zio a Krishna.

"Le jîve che si allontanano da Krishna desiderano invecegodere måyå. Tramite il suo potere måyå attrae questeanime a sè. Da quel preciso momento inizia il loro stato diesistenza materiale. Contemporaneamente a questo even-to, scompare la loro vera identità, quella spirituale, per cuipensano: 'Io sono il fruitore di måyå.' E questo falso ego lericopre con svariati e falsi tipi di identità."

Yådava dåsa allora chiese: "Perchè la nostra vera iden-tità non si manifesta nonostante sforzi significativi?"

Ananta dåsa rispose: "Gli sforzi sono di due generi:upayukta (appropriati) e anupayukta (impropri). Il falsoego verrà certamente dissolto se si applicano sforzi appro-priati, ma se ci si impegna in modo improprio, come si potràmai raggiungere quel risultato?"

"Quali sono gli sforzi impropri?" Volle sapere Yådavadåsa.

Ananta dåsa spiegò: "Alcuni pensano che seguendo ilkarma-kå∫∂a, il loro cuore verrà purificato e che poi adot-tando il brahma-jñåna, si libereranno da måyå. Questo tipodi sforzo è improprio. Altri pensano che, praticandol'a߆å∫ga-yoga, potranno entrare in una trance di samådhi-yoga ed ottenere la perfezione. Anche questo è uno sforzoimproprio. Vi sono molti tipi di sforzi inadatti."

"Perchè questi sforzi sono impropri?" chiese Yådava då-

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Settimo CapitoloJaiva-dharma

(7.14) come segue:

daivî hy eΩå gu∫amayîmama måyå duratyayå

måm eva ye prapadyantemåyåm etåµ taranti te

'Questa Mia potenza divina, conosciuta come daivî-måyå, consiste in tre influenze: sattva, rajas e tamas. Gli es-seri umani non possono superare questa måyå con i loro so-li sforzi, e perciò è molto difficile vincerla. Solamente colo-ro che si abbandonano a Me possono andare oltre questaMia potenza.'

Ca∫∂î dåsa chiese: "Grande anima, non riesco a com-prendere bene ciò che ci hai esposto. Ho capito che noi era-vamo delle entità pure e che, avendo dimenticato Krishna,siamo caduti nelle mani di måyå rimanendo imprigionati inquesto mondo. Però, se otteniamo la misericordia diKrishna, possiamo di nuovo tornare liberi. In caso contra-rio rimarremo in questa condizione."

"Proprio così," disse Ananta dåsa, "per ora questa com-prensione ti sia sufficiente. Il tuo precettore, Yådava dåsaMahåΩaya, ha ben chiare tutte queste verità. Gradualmen-te le capirai da lui. Ûrî Jagadånanda, uno dei compagni in-timi del Signore, ha scritto una meravigliosa spiegazionedelle varie condizioni delle entità viventi nel suo libro 'ÛrîPrema-vivarta (6.1-13):

cit-ka∫a - jîva, k®ß∫a-cin-maya bhåskaranitya k®ß∫e dekhi-k®ß∫e karena ådara

k®ß∫a-bahirmikha hañå bhoga-våñchå karenika†a-stha måyå tåre jåpa†iyå dhare

'La jîva è una particella infinitesimale di coscienza spiri-tuale, come la particella atomica di luce che emana dal sole.Ûrî Krishna è la coscienza spirituale completa, il sole tra-scendentale. Finchè la jîva focalizza la sua attenzione suKrishna, mantiene rispetto per Lui. Quando invece rivolgela sua attenzione altrove, essa desidera il godimento mate-riale e la potenza illudente di Krishna, måyå, che si trova ac-canto alla jîva, la imprigiona con il suo abbraccio.'

piΩåcî påile jena mati-cchana hayamåyå-grasta jîvera haya se bhåva udaya

'Il dharma dell'entità vivente che lascia Krishna viene co-perto, proprio come l'intelligenza di una persona quandoviene imprigionata in un incantesimo.'

åmi siddha k®ß∫a dåsa, ei kathå bhulemåyåra naphara hañå cira-dina bule

'Essa dimentica l'identità del Signore ed anche di essereuna Sua servitrice. Divenuta schiava di måyå, vaga qua e làper molto tempo in questa illusoria esistenza materiale.'

kabhu råjå, kabhu prajå, kabhu vipra, Ωüdrakabhu du˙khî, kabhu sukhî, kabhu kî†a kßudra

'A volte è re e a volte suddito, a volte bråhma∫a e a vol-te Ωüdra. A volte prova felicità, a volte è addolorata e a vol-te è un minuscolo insetto.'

kabhu svarge, kabhu martye, narake vå kabhukabhu deva, kabhu daitya, kabhu dåsa, prabhu

'A volte vive in paradiso, a volte sulla terra e a volte al-

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ricordia, la sente piangere anche solo una volta così dispe-ratamente, subito la conduce oltre questa insormontabileenergia materiale.'

måyåke pichane råkhi' k®ß∫a-påne cåyabhajite bhajite k®ß∫a-påda-padma påyak®ß∫a tåre dena nija-cic-chaktira balamåyå åkarßa∫a chå∂e haiyå durbala

'Krishna sostiene la jîva con la Sua cit-Ωakti, per cui il po-tere di attrazione di måyå gradualmente svanisce. La jîvaallora volta le spalle a måyå e desidera solo Krishna. Ado-randoLo costantemente, la jîva alla fine diventa idonea araggiungere i Suoi piedi di loto.

sådhu-saõge k®ß∫a-nåma - ei-måtra cåisaµsåra jinite åra kona vastu nåi

'In conclusione, l'unico metodo infallibile per attraver-sare questa insormontabile esistenza materiale consiste nelcantare il k®ß∫a-nåma in compagnia dei devoti.'

"Båbåjî MahåΩaya, i sådhu di cui tu parli sono presenti inquesto mondo?" Chiese Yådava dåsa. "Siccome sono an-che loro oppressi dalle miserie dell'esistenza materiale, co-me possono liberare le altre jîve?"

Ananta dåsa rispose: "E' un fatto che anche i sådhu vi-vono in questo mondo, ma vi è una significativa differezatra la vita terrena dei sådhu e quella delle jîve confuse damåyå. Anche se la vita terrena di entrambi esternamenteappare uguale, internamente vi è un'enorme differenza.Inoltre la compagnia dei sådhu è molto rara perchè, anchese i sådhu sono presenti, le persone comuni non sono in gra-do di riconoscerli.

Jaiva-dharma

l'inferno. A volte è un essere celeste e a volte un demone.A volte è serva, a volte padrona.'

ei-rüpe saµsåra bhramite kona janasådhu-saõge nija-tattva avagata hana

'Vaga in questo modo attraverso l'esistenza materiale ese, per qualche grande fortuna, ottiene la compagnia di pu-ri devoti, viene a conoscenza della sua identità e così la suavita acquista senso.'

nija-tattva jåni åra saµsåra na cåyakena vå bhajinu måyå kare håya håya

'Grazie alla compagnia di quei devoti essa giunge a com-prende la sua identità vera e diventa indifferente al godi-mento materiale. Amaramente addolorata per la difficilesituazione in cui si trova, essa si chiede: 'Guarda! Perchè hoservito måyå così a lungo?'

kende bole, ohe k®ß∫a! åmi tava dåsatomåra cara∫a chå∂i' haila sarva-nåΩa

'Allora piange e prega ai piedi di loto del Signore:'Krishna! Sono una Tua servitrice eterna ma trascurando ilservizio ai Tuoi piedi mi sono rovinata con le mie stesse ma-ni. Chissà per quanto ho vagato senza meta, schiava dimåyå?'

k®på kari k®ß∫a tåre chå∂åna saµsårakåkuti kariyå k®ß∫e ∂åke eka-båra

'O Patita-påvana! O Dînanåtha! Ti prego, proteggi que-sta anima disgraziata! Liberami dalla Tua måyå ed impe-gnami al Tuo servizio.' Quando il Signore, oceano di mise-

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'Come i granelli di polvere non possono essere contati,così non si possono contare le entità viventi in questo uni-verso. Tra di esse, pochissime hanno una forma di vita ele-vata come ad esempio la forma umana, di deva, di gandhar-va e così via. E anche tra questi, solo pochi adottano prin-cipi religiosi elevati.'

pråyo mumukßava teßåµ kecanaiva dvijottamamumukßü∫åµ sahasreßu kaΩcin mucyeta sidhyati

'Migliore tra i bråhma∫a, fra coloro che adottano princi-pi religiosi elevati, pochissimi si impegnano per raggiunge-re la liberazione. E tra le molte migliaia di coloro che si im-pegnano per la liberazione solo uno può ottenere davverolo stadio perfetto o liberato.'

muktånåm api siddhånåµ nåråya∫a-paråya∫a˙su-durlabha˙ praΩåntåtmå do†ißv api mahå-mune

'Grande saggio, tra milioni di queste anime perfette e li-berate, un devoto completamente pacifico ed esclusiva-mente devoto al Signore Nåråya∫a è estremamente raro.'

"I devoti di Krishna sono poi persino più rari dei devotidi Nåråya∫a," aggiunse Ananta dåsa. "Coloro che hannosuperato il desiderio di liberazione e sono già nello stato li-berato, sono i devoti del Signore Krishna. Essi rimangonoin questo mondo finchè il corpo permane, ma la loro esi-stenza è categoricamente differente da quella dei materia-listi. I devoti di Krishna vivono in questo mondo in due mo-di: come capifamiglia e come rinunciati."

Yådava dåsa chiese: "Nei versi del Bhågavatam che tuhai appena menzionato, si parla di quattro categorie di per-sone che possiedono una visione spirituale. Di queste quat-

Jaiva-dharma

"Sono due le categorie di jîve che cadono nelle grinfie dimåyå. Alcune, completamente assorte nell'insignificantepiacere materiale, rivolgono tutta la loro attenzione a que-sto mondo materiale; altre, insoddisfatte dell'insignificantepiacere di måyå, con l'aiuto di una raffinata capacità di di-scriminazione tentano di raggiungere una felicità di qualitàsuperiore. Di conseguenza, le persone di questo mondopossono venir divise grosso modo in due gruppi: i viveka-Ωünya, che sono privi del potere di distinzione tra materia espirito; e i viveka-yukta, che possiedono una visione spiri-tuale. Alcuni fanno riferimento ai viveka-Ωünya come avißayî (goditori dei sensi) ed ai viveka-yukta come mu-mukßu (coloro che ricercano la liberazione).

"Qui la parola mumukßu non va intesa in riferimento ainirbheda-brahma jñånî, coloro che ricercano il Brahmanimpersonale con il processo della conoscenza monista. GliΩåstra Vedici indicano come mumukßu quelle persone che,esasperate dalla miseria dell'esistenza materiale, ricercanola loro vera identità spirituale. La parola mumukßu signifi-ca letteralmente desiderio della mukti o liberazione. Quan-do un mumukßu lascia questo desiderio di liberazione ed in-traprende l'adorazione del Signore, il suo bhajana viene de-finito Ωuddha-bhakti. Le scritture non impongono di ab-bandonare la mukti anzi, non appena la verità su Krishna esulla jîva si fa luce in una persona che desidera la liberazio-ne, essa viene immediatamente liberata. (In altre parole:non appena un mumukßu diventa devoto esclusivo del Si-gnore, viene immediatamente liberato, come spiegato inprogressione qui di seguito). Ciò è confermato dalle se-guenti affermazioni contenute nello Ûrîmad-Bhågavatam(6.14.3-5):

rajobhi˙ sama-saõkhyåtå˙ pårthivair iha jantava˙teßåµ ye kecanehante Ωreyo vai manujådaya˙

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devoti del Signore è benefica sotto ogni aspetto. Il viΩuddhabhakti-rasa si manifesta nel cuore specialmente quando cisi rifugia presso quei devoti che vivono immersi nella dol-cezza del Signore."

"Hai detto che questi devoti vivono in due condizioni,"disse Yådava dåsa. "Ti prego, spiegami con chiarezza que-sto concetto, affinchè anche una persona dall'intelligenzacorta come la mia, possa facilmente comprendere."

Ananta dåsa rispose: "Secondo la situazione, i devoti so-no sia g®hastha-bhakta (devoti sposati), che g®hastha-tyågî-bhakta (devoti che hanno rinunciato alla vita di famiglia)."

"Ti prego, spiegami che relazione intercorre tra i devotisposati e questo mondo." Domandò Yådava dåsa.

Ananta dåsa spiegò: "Il termine g®ha significa 'casa', estha significa 'risiedere'. Ma certamente non si diventag®hastha semplicemente costruendo una casa ed abitando-la. Il termine 'g®ha' richiama anche i componenti della fa-miglia che abitano nella stessa casa e, considerandolo comevoce verbale, significa prendere o accettare. Quindi vienedefinito con il termine 'g®ha' colui che, sposandosi formauna famiglia. Il devoto che, trovandosi in questa condizio-ne, pratica la bhakti, si chiama g®hastha-bhakta.

"La jîva imprigionata da måyå entra nel campo del godi-mento materiale dei sensi attraverso cinque porte, rappre-sentate dai cinque organi di senso del corpo materiale. At-traverso gli occhi vede le forme e i colori. Con le orecchieascolta i suoni. Con il naso sente gli odori. Con la pelle en-tra in contatto con gli oggetti e con la lingua gusta i sapori.Entrata in contatto con il mondo materiale attraverso que-ste cinque porte, la jîva vi si attacca. Più si attacca alla ma-teria grossolana e più si distanzia dal suo prå∫anåtha, ÛrîKrishna. Questa condizione viene definita bahirmukhasaµsåra, stato di coscienza che viene indirizzato all'esterno,verso l'esistenza materiale. Coloro che rimangono intossi-

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tro, quale compagnia viene considerata sådhu-sa∫ga?"Ananta dåsa rispose: "Vi sono quattro categorie di vi-

veka-yukta o persone che possiedono una visione spiritua-le: i vivekî (i consapevoli), i mumukßu (desiderosi di libera-zione), i mukta (liberati) e i bhakta (devoti). Tra questequattro categorie la compagnia dei vivekî e dei mumukßu èdi beneficio ai vißayî (materialisti grossolani). I mukta so-no sia cid-rasågrahî mukta (individui liberati con un'insa-ziabile sete di råsa trascendentale), che nirbheda-måyåvådîmuktåbhimånî (impersonalisti che negano il nome, la for-ma, le qualità ed i passatempi trascendentali del Signorepoichè li considerano una mera illusione, ma che si glorianodi essere liberati). I nirbheda måyåvådî sono offensori e laloro compagnia non è consigliabile per nessuno. Questepersone vengono così condannate dallo Ûrîmad-Bhågava-tam (10.2.32):

ye 'nye 'ravindåkßa vimukta-måninastvayyasta-bhåvåd aviΩuddha-buddhaya˙

åruhya k®cchre∫a paraµ padaµ tata˙patanty adho 'nåd®ta-yußmad-aõghraya˙

'O Signore dagli occhi di loto, coloro che non si rifugianopresso i Tuoi piedi di loto invano si considerano esseri libe-rati. Privi di affetto e devozione per Te, hanno un'intelli-genza impura e anche se si avvicinano alla liberazione in-traprendendo severe ascesi e pratiche spirituali, finisconoper cadere comunque da quella posizione proprio perchèhanno lasciato i Tuoi piedi di loto.'

"La quarta categoria di anime, quelle che discriminano,i bhakta, sono sia aiΩvarya-para, attratte al Signore dal Suoaspetto maestoso ed opulento, che mådhurya-para, attratteal Signore dal Suo aspetto intimo e dolce. La compagnia dei

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ma∫a, altrimenti vanno incontro a molti fastidi nella vita so-ciale. In tali circostanze come possono praticare la Ωuddha-bhakti?"

Ananta dåsa rispose: "I g®hastha Vaiß∫ava sono certa-mente obbligati a seguire le convenzioni sociali, come adesempio sposare i figli e le figlie, celebrare i riti per i paren-ti defunti ed altre simili incombenze. Ma dovrebbero evi-tare di impegnarsi nel kåmya-karma, attività ritualistiche in-dirizzate a soddisfare ambizioni materiali.

"Per mantenere un proprio stile di vita è necessario di-pendere dagli altri o dalle cose. Persino coloro che si defi-niscono nirapekßa, privi di ogni necessità, dipendono da ciò.Tutti gli esseri incarnati hanno delle necessità: dipendonodalle medicine quando si ammalano, devono alimentarsiquando hanno fame, devono indossare abiti per protegger-si dal freddo e vivere in una casa per proteggersi dal caldo edalle intemperie. Il vero significato di nirapekßa è ridurre ilpiù possibile le proprie necessità, e nessuno può definirsi ni-rapekßa, totalmente indipendente, finchè ha un corpo. Mapiù ci si riesce a liberare dalle esigenze materiali, meglio èperchè ciò contribuisce ad avanzare nella bhakti.

"E' solamente quando si collegano a Krishna tutte leazioni compiute, che queste diventano esenti da ogni difet-to. Ad esempio: non ci si dovrebbe sposare col desiderio digenerare figli e adorare gli avi, ma pensando: 'Sto accettan-do questa servitrice di Krishna solo per aiutarci reciproca-mente nel servizio a Krishna ed insieme a lei formerò unafamiglia incentrata su Krishna,' e questa determinazione èfavorevole alla bhakti. I componenti della famiglia che so-no materialmente attaccati o il prete di famiglia possono di-re ciò che vogliono, ma uno alla fine raccoglie il frutto del-la propria determinazione.

"In occasione della cerimonia di Ωraddhå, un rito che sicelebra a beneficio degli antenati defunti, il pi∫∂a (oblazio-

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cati da questa esistenza materiale si chiamano vißayî ovve-ro avvinti agli oggetti materiali dei sensi.

"Quando i devoti vivono da g®hastha, essi non ricercanosemplicemente la gratificazione dei sensi come fanno ivißayî. La moglie legittima di un devoto sposato è una dåsî(servitrice di Krishna). Anche i figli e le figlie sono servito-ri e servitrici di Krishna. Gli occhi di tutti i componenti del-la famiglia si soddisfano nella contemplazione della formadella Divinità e degli oggetti che sono in relazione aKrishna. Le loro orecchie vengono completamente soddi-sfatte dall'ascolto dell'hari-kathå e dalle narrazioni della vi-ta dei grandi devoti. I loro nasi sono soddisfatti quando an-nusano l'aroma di tulasî e di altri oggetti fragranti offerti aipiedi di loto di Ûrî Krishna. Le loro lingue gustano il netta-re del k®ß∫a-nåma e le rimanenze del cibo offerto a Krishna.I loro corpi si deliziano toccando i piedi di loto dei devotidel Signore. Le loro aspirazioni, attività, desideri, l'ospita-lità ed il servizio alla Divinità, tutto è caratterizzato dal lo-ro sentimento di servizio a Krishna. La loro intera vita è ungrande festival che comprende la misericordia verso le jîve,il canto del k®ß∫a-nåma ed il servizio ai Vaiß∫ava.

"L'abilità di possedere ed utilizzare oggetti materiali sen-za diventarne schiavi è possibile solo per i g®hastha-bhakta.Per le jîve che vivono nell'era di Kali la cosa più giusta sa-rebbe diventare g®hastha Vaiß∫ava, perchè in questa situa-zione non esiste la paura di cadere. La bhakti può esserecompletamente sviluppata anche da questa posizione. Trai g®hastha Vaiß∫ava vi sono molti guru esperti nelle veritàfondamentali contenute negli Ωåstra. Se i figli di questi san-ti Vaiß∫ava sono anch'essi puri Vaiß∫ava, vengono anch'es-si considerati dei g®hastha-bhakta. Perciò la compagnia dig®hastha-bhakta è particolarmente benefica per la jîva."

Yådava dåsa chiese: "I g®hastha Vaiß∫ava sono costretti arimanere all'interno della giurisdizione degli smårta bråh-

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"La pura anima spirituale, dimentica della propria veraidentità, considera la mente come il sè, ma in realtà la men-te è una parte del corpo sottile. L'anima, così identificatacon la mente, si fa assistere dalle cinque porte dei sensi eviene attratta dagli oggetti esterni dei sensi. Questo si chia-ma bahirmukha-prav®tti. Quando il flusso della coscienzaregredisce dalla materia grossolana tornando nella mente epoi dalla mente all'anima, ciò è definito antarmukha-prav®tti.

"Finchè la tendenza all'esteriorità rimane preminente, ènecessario rivolgere tutte queste tendenze esterne aKrishna, ponendoLo al centro attraverso la forza del sådhu-sa∫ga e compiendo queste azioni senza offese. Se si pren-de rifugio nella k®ß∫a-bhakti, queste tendenze esteriori inbreve tempo si riducono e si convertono in tendenze inte-riori. Quando la propria tendenza va esclusivamente versol'interiorità, ciò significa che è nata la propensità a rinun-ciare alla vita di famiglia. Se si lascia la vita di famiglia pri-ma di aver raggiunto questo stadio, vi è un significativo pe-ricolo di caduta. Il g®hastha-åΩrama è una speciale scuola incui la jîva riceve istruzioni che riguardano l'åtma-tattva, laverità spirituale, e dove ha l'opportunità di sviluppare lapropria realizzazione su tutto ciò. A educazione completa-ta è possibile lasciare la scuola."

"Quali sintomi mostra un devoto qualificato ad abban-donare la vita di famiglia?" Chiese Yådava dåsa.

"Prima di tutto," disse Ananta dåsa, "Non dovrebbe de-siderare la compagnia di persone di sesso opposto per go-dimento materiale, sottile o grossolano che sia. Dovrebbeessere misericordioso verso tutte le entità viventi. Esserepoi completamente disinteressato all'accumulo di ricchez-ze e impegnarsi solo per una adeguata soddisfazione dellenecessità alimentari e di vestiario. Dovrebbe aver fede inKrishna e provare amore per Lui. Dovrebbe evitare la

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ne di cibo che si offre agli antenati) dovrebbe essere com-posto di cibo offerto prima a Krishna. Poi vanno nutriti ibråhma∫a ed i Vaiß∫ava. In questo modo la cerimonia diΩraddhå celebrata dai g®hastha Vaiß∫ava è favorevole allabhakti.

"Solo combinandoli con la bhakti tutti i rituali smårtaperdono la loro connotazione di karma. Quando si segue ilkarma che i Veda ingiungono di compiere allo scopo di ot-tenere la Ωuddha-bhakti, allora quel karma non è sfavore-vole alla bhakti. Le attività ordinarie vanno svolte con spi-rito di rinuncia e senza attaccamento al risultato. Le atti-vità spirituali vanno svolte in compagnia di devoti. Facen-do così non potrà esserci errore.

"Considera che la maggioranza dei compagni di ÛrîmanMahåprabhu erano g®hastha-bhakta e che fin dai tempi an-tichi molti devoti råjarißi (re santi) e devarißi (saggi) eranog®hastha-bhakta. Dhruva, Prahlåda e i På∫∂ava erano tut-ti g®hastha-bhakta. Devi anche sapere che i g®hastha-bhak-ta sono molto rispettati nel mondo."

"Se i g®hastha-bhakta sono così rispettati e cari a tutti,perchè allora alcuni di loro rinunciano alla vita di famiglia?"Chiese Yådava dåsa.

Ananta dåsa rispose: "Tra i g®hastha-bhakta vi sono al-cuni che, idonei a diventare Vaiß∫ava, rinunciano alla vitadi famiglia. Questi Vaiß∫ava però sono molto pochi in que-sto mondo e quindi la loro compagnia è molto rara."

Yådava dåsa chiese: "Ti prego, spiegami come si diventaqualificati a rinunciare alla vita di famiglia."

Ananta dåsa rispose: "Negli esseri umani esistono duetendenze: bahirmukha-prav®tti (tendenza esteriore) e an-tarmukha-prav®tti (tendenza interiore). Nel linguaggio deiVeda queste due tendenze sono definite paråk-v®tti (con-centrate verso il mondo esterno) e pratyak-v®tti (focalizza-te interiormente, verso l'anima).

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'Pronunciando anche involontariamente il Santo Nomedel Signore Hari senza offese, verranno sradicati tutti i pec-cati. Colui che ha imprigionato i piedi di loto del SignoreÛrî Hari nel proprio cuore, utilizzando la corda dell'amore,dev'essere considerato il migliore dei devoti.'

"Quando questi sintomi si manifestano in un g®hastha-bhakta," disse Ananta dåsa, "egli non è più adatto ad im-pegnarsi nel karma e perciò può rinunciare alla vita di fa-miglia. Questi nirapekßa-bhakta sono rari. Chiunque, in unqualsiasi momento della propria vita, riesca ad avere lacompagnia di tali devoti, ha una fortuna enorme."

"Oggigiorno si vedono uomini che, in età molto giovane,rinunciano alla vita di famiglia per indossare gli abiti del-l'ordine di rinuncia," disse Yådava dåsa. "Essi si stabili-scono in luoghi adatti per i sådhu per fare congregazione ediniziano anche ad adorare la forma divina del Signore. Do-po un po' però finiscono in compagnia di donne, ma ciò no-nostante non abbandonano il canto dell'Harinåma. Ele-mosinando essi mantengono il loro eremitaggio. Questi uo-mini sono da considerarsi nirapekßa o g®hastha-bhakta?"

Ananta dåsa rispose: "La tua domanda solleva moltequestioni. Risponderò ad esse una ad una. L'eleggibilità arinunciare alla vita di famiglia non ha nulla a che fare conl'età. Per virtù dei saµskåra acquisiti durante questa vitaed anche in quelle precedenti, alcuni g®hastha-bhakta sonoqualificati a lasciare la vita di famiglia anche in giovane età.Per l'influsso dei precedenti saµskåra, Ûukadeva fu quali-ficato a rinunciare alla vita di famiglia già nel momento stes-so della sua nascita. Una sola cosa è indispensabile: con-statare che la qualificazione non sia artificiosa. Se il distac-co è vero, la giovane età non può essere un impedimento."

Cosa sono vera e falsa rinuncia?" Chiese Yådava dåsa.Ananta dåsa rispose: "La vera rinuncia è talmente salda

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compagnia dei materialisti e mantenersi equilibrato sia nel-l'onore che nel disonore. Non dovrebbe vagheggiare pro-getti colossali ed essere libero dall'attaccamento alla vita edall'avversione per la morte. Nello Ûrîmad-Bhågavatam(11.2.45), questi sintomi vengono descritti così:

sarva-bhüteßu ya˙ paΩyed bhagavad-bhåvam åtmana˙bhütåni bhagavaty åtmany eßa bhågavatottama˙

'Una persona che vede in tutti gli esseri viventi l'Animadi tutte le anime, Ûrî K®ß∫a-candra, e che vede in ÛrîKrishna tutti gli esseri viventi, è un uttama-bhågavata.'

"Nello Ûrîmad-Bhågavatam (3.25.22) il Signore Kapila-deva descrive le principali caratteristiche del sådhu:

maiy ananyena bhåvenabhaktim kurvanti ye d®ßhåm

mat-k®te tyakta karmå∫astyakta-svajana-båndhavå˙

'Il Signore Kapiladeva descrive le principali caratteristi-che del sådhu: sådhu sono coloro che non hanno altro sco-po che quello di adorarMi, e quindi si impegnano con fer-ma ed esclusiva devozione, abbandonando tutto per amorMio, inclusi tutti i doveri prescritti del var∫åΩrama-dharmae le relazioni con moglie, figli, amici e parenti.'

"Sempre lo Ûrîmad-Bhågavatam (11.2.55) dice ancora:

vis®jati h®dayaµ na yasya såkßåd-dharir avaΩåbhihito 'py aghaugha-nåΩa˙pra∫aya-rasanayå dh®tåõghri-padma˙sa bhavati bhågavata-pradhåna ukta˙

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glia, l'accettare dei segni esterni di rinuncia può anche nonessere di alcuna utilità, ma per altri è utile. Nello Ûrîmad-Bhågavatam (4.29.46) sta scritto:

sa jahåti matiµ loke vede ca parini߆hitam

'Un devoto che ha ricevuto la misericordia del Signoreabbandona ogni attaccamento per tutte le attività materia-li e anche per tutti i doveri ritualistici prescritti nei Veda.'

"Per questi devoti non vi è nessuna ingiunzione ad ac-cettare gli abiti esterni della rinuncia. E' necessario sola-mente finchè vi è dipendenza da considerazioni sociali."

Allora Yådava dåsa chiese: "Da chi si deve accettare l'or-dine di rinuncia?"

"Da un Vaiß∫ava a sua volta dell'ordine di rinuncia." Fula risposta di Ananta dåsa. "I devoti g®hastha non hannoesperienza sul comportamento dei devoti rinunciati e per-ciò non devono iniziare nessuno all'ordine di rinuncia, co-me è confermato dalla seguente affermazione contenuta nelBrahma-vaivarta Purå∫a:

aparîkßyopadi߆am yat loka-nåΩåya tad bhavet

'Dare istruzioni su principi religiosi senza già seguirli per-sonalmente, avendoli assimilati, porta il mondo alla rovina.'

Yådava dåsa chiese: "A quali criteri deve rifarsi un guruche inizia all'ordine di rinuncia?"

"Prima di tutto deve valutare se il devoto è qualificatooppure no," rispose Ananta dåsa. "Deve cioè constatarese il g®hastha-bhakta, per forza della k®ß∫a-bhakti, ha ac-quisito un temperamento spirituale caratterizzato da qua-lità quali: il pieno controllo della mente e dei sensi; se il de-

Jaiva-dharma

che non può venire infranta in nessun momento. Quella fal-sa invece nasce dall'inganno, dalla disonestà e dal desideriodi prestigio. Alcuni fanno mostra di rinuncia desiderandoottenere rispetto pari a quello offerto ai devoti nirapekßache hanno rinunciato alla vita di famiglia. Ma questo falsodistacco è futile e del tutto negativo. Non appena questepersone lasciano la casa, i sintomi della qualificazione al di-stacco scompaiono ed essi si degradano."

Yådava dåsa chiese: "Per il devoto che ha rinunciato al-la vita di famiglia è necessario indossare gli abiti di quel-l'ordine?"

Ananta dåsa rispose: "Sia che vivano nella foresta oppu-re in casa, i nirapekßa akiñcana bhakta che hanno rinuncia-to con fermezza allo spirito di godimento materiale, purifi-cano il mondo intero. Alcuni di loro indossano il perizomae degli stracci per essere identificati con i segni esterni del-l'ordine di rinuncia. Nel momento in cui scelgono questoabbigliamento, fanno voto solenne alla presenza di altriVaiß∫ava appartenenti all'ordine di rinuncia, e questorafforza la loro decisione. Ciò viene indicato come ingres-so nell'ordine di rinuncia o accettazione di un abbigliamen-to coerente con la rinuncia. Se ti riferisci a questo comebheka-graha∫a o veΩa-graha∫a (accettare l'abito della ri-nuncia), dov'è il problema?"

"A quale obiettivo si tende nel farsi identificare con i se-gni dell'ordine di rinuncia?" Voleva sapere Yådava dåsa.

Ananta dåsa rispose: "Essere riconosciuti nel mondo co-me appartenenti all'ordine di rinuncia è di molta utilità. Ifamiliari di quella persona non manterranno più nessuna re-lazione con lui anzi, facilmente lo lascieranno al suo desti-no. Dal canto suo egli non avrà più desiderio di entrare incasa sua. Nel suo cuore fiorirà un naturale distacco ed an-che del timore per la società materialistica. Per i devoti chehanno pienamente maturato il distacco dalla vita di fami-

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rebbero dei capifamiglia?" Chiese Yådava dåsa."Si possono definire våntåsî," disse Ananta dåsa, "ov-

vero coloro che mangiano di nuovo ciò che hanno vomita-to."

Yådava dåsa chiese: "Quindi non dovrebbero più venirconsiderati Vaiß∫ava?"

Ananta dåsa rispose: "Quando il loro comportamento sioppone alle scritture ed al Vaiß∫ava dharma, che tipo di be-neficio può recare la loro compagnia? Essi hanno lasciato lapura bhakti per una vita ipocrita. Che tipo di relazione puòavere un Vaiß∫ava con queste persone?"

"Come si può dire che essi hanno abbandonato ilVaiß∫avismo se non interrompono il canto dell'Harinåma?"Chiese Yådava dåsa.

"Harinåma e nåmåparådha sono due cose differenti,"affermò Ananta dåsa. "Il canto puro dell'Harinåma è unacosa ed il canto offensivo, che solo esternamente sembraHarinåma, è un'altra cosa. Quando uno canta e commettepeccato pensando che con il potere del Nome riuscirà adespiare quel peccato, questo è un'offesa al Nome, unanåmåparådha, e non è Ωuddha-harinåma, canto puro delNome. Bisogna rifuggire da questo canto offensivo."

"Quindi la vita quotidiana di queste persone non deveessere considerata come incentrata su Krishna?" ChieseYådava dåsa.

"Mai," disse con fermezza Ananta dåsa. "Non vi è postoper l'ipocrisia nella vita quotidiana di chi ha posto Krishnaal centro di tutto. Al contrario, ci deve essere completa one-stà e semplicità, senza traccia di offese."

"Quindi suppongo che questa persona sia inferiore ad ung®hastha-bhakta," suggerì Yådava dåsa.

Ananta dåsa rispose: "Poichè non è neppure un devoto,non vi è la minima possibilità che possa venir paragonato adun qualsiasi devoto."

Jaiva-dharma

siderio di compagnia con donne è stato abbandonato op-pure no; se il desiderio per la ricchezza e la soddisfazionedella lingua sono state sradicate oppure no. Il guru poi de-ve tenere il devoto vicino a sè quanto è necessario per po-terlo esaminare a fondo e quando lo reputa adatto può ini-ziarlo all'ordine di rinuncia. In nessuna circostanza gli daràquesta iniziazione prima. Offrirla ad una persona non qua-lificata di certo determinerebbe la caduta del guru."

"Ora mi rendo conto che l'accetazione dell'ordine di ri-nuncia non è un fatto risibile," disse Yadava dåsa. "E'un'impresa seria. Solo guru squalificati l'hanno trasforma-ta in un affare comune. E questo è solo l'inizio, non si sa findove si giungerà."

Ananta dasa acconsentì: "Infatti Ûrî Caitanya Mahå-prabhu, punì severamente Cho†a Haridåsa per un erroredel tutto insignificante solamente per proteggere la santitàdell'ordine di rinuncia. I devoti del nostro Signore dovreb-bero sempre ricordare la punizione di Cho†a Haridåsa (que-sto sannyåsî fu cacciato da Ûrî Caitanya per aver chiesto aduna donna del riso da cucinare per il Signore)."

Yådava dåsa chiese: "Dopo aver accettato l'ordine di ri-nuncia è giusto costruire un monastero e stabilirvi l'adora-zione della Divinità?"

Ananta dåsa fu deciso nella risposta: "No. Un discepoloqualificato che ha accettato l'ordine di rinuncia deve man-tenersi elemosinando ogni giorno, nè prendere l'impegnodi costruire un monastero o comunque fare grandi proget-ti. Egli può vivere dovunque, sia in una capanna isolata chenel tempio di un capofamiglia. Deve rimanere al di fuoridelle situazioni nelle quali è necessario avere soldi. Con-ducendo tale vita, egli deve cantare costantemente il SantoNome di Krishna senza commettere offese."

"Come definiresti coloro che si dicono rinunciati ma checostruiscono un monastero e poi vi si stabiliscono, come fa-

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cipio religioso. Tuttavia, da una prospettiva påramårthika(spirituale e assoluta), entrambi sono caduti poichè privi dibhakti."

Yådava dåsa chiese: "Un g®hastha può avere il diritto,mentre conduce una vita da capofamiglia, di indossare gliabiti da mendicante?"

"No," rispose Ananta dåsa. "Se lo fa imbroglia sè stes-so ed anche il mondo, diventa colpevole due volte. Indos-sare gli abiti del mendicante da parte del g®hastha esprimesemplicemente un affronto e ridicolizza i mendicanti ge-nuini che indossano gli abiti dell'ordine di rinuncia."

"Båbåjî MahåΩaya," chiese Yådava dåsa, "Negli Ωåstra viè una descrizione sul sistema da adottare per accettare l'or-dine di rinuncia?"

"Non c'è una descrizione chiara," ammise Ananta dåsa."Le persone che appartengono ad una qualunque casta pos-sono diventare Vaiß∫ava ma, secondo gli Ωåstra, solamentecoloro che hanno ricevuto la seconda iniziazione, quellabråhminica, possono ricevere sannyåsa. Nello Ûrîmad-Bhå-gavatam (7.11.35), dopo aver definito le caratteristiche diciascun var∫a, Nårada conclude così:

yasya yal lakßa∫aµ proktaµpuµso var∫åbhivyañjakam

yad anyatråpi d®Ωyetatat tenaiva vinirdiΩet

'Se una persona possiede le caratteristiche distintive pro-prie di uno dei quattro var∫a, la sua appartenenza ad unvar∫a viene determinata in base a quei sintomi, anche se na-ta in una casta differente.'

"Il principale criterio per la determinazione del var∫a èpossedere le caratteristiche specifiche di quel var∫a. L'es-

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"Come si può correggerlo?" Chiese Yådava dåsa.Ananta dåsa rispose: "Quando avrà abbandonato tutte

le offese, canterà costantemente il Santo Nome e verserà la-crime di pentimento, verrà di nuovo considerato un devo-to."

Yådava dåsa chiese: "Dimmi, Båbåjî MahåΩaya, i g®ha-stha-bhakta si trovano all'interno del var∫åΩrama-dharma;se un g®hastha viene escluso dal var∫åΩrama-dharma, gliviene impedito di diventare un Vaiß∫ava?"

"Ah!" esclamò Ananta dåsa. "Il Vaiß∫ava dharma èmolto liberale e magnanimo. Tutte le jîve hanno diritto diaccedere al Vaiß∫ava dharma perciò è conosciuto anche conil nome di jaiva-dharma. Persino i fuori casta di nascita de-gradata possono accedere al Vaiß∫ava dharma e vivere co-me g®hastha, pur non rientrando nell'ambito del var∫åΩra-ma. Inoltre, anche coloro che hanno accettato sannyåsa al-l'interno del var∫åΩrama e sono poi caduti dalla loro posi-zione, potranno più tardi praticare la pura bhakti grazie al-l'influenza del sådhu-sa∫ga diventando dei g®hastha-bhak-ta, pur essendo ormai anche loro al di fuori della giurisdi-zione delle regole del var∫åΩrama.

"Vi sono persone che abbandonano il var∫åΩrama-dhar-ma a causa dei misfatti da loro commessi, ma se loro ed i lo-ro figli si rifugiano nella pura bhakti, grazie all'influenza delsådhu-sa∫ga possono diventare dei g®hastha-bhakta, purnon essendo anch'essi inclusi nel var∫åΩrama. In conclu-sione i g®hastha-bhakta sono di due tipi: coloro che sonocompresi nel var∫åΩrama e coloro che ne sono esclusi."

"Tra questi chi è superiore?" Chiese Yådava dåsa.Ananta dåsa rispose: "Colui che possiede più bhakti; ma

se entrambi sono privi di bhakti allora, da un punto di vistavyåvahårika (relativo), colui che segue il var∫åΩrama vieneconsiderato superiore perchè almeno segue dei principi re-ligiosi, mentre l'altro è fuori casta e non segue nessun prin-

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sere bråhma∫a viene determinato principalmente da qua-lità come: il controllo dei sensi, il controllo della mente e co-sì via. La nascita non è il criterio principale per la determi-nazione del var∫a. Se i sintomi di un particolare var∫a ven-gono constatati in una persona appartenente ad una castadiversa, saranno quei sintomi a determinare il var∫a di quel-la persona.

"La consuetudine di offrire sannyåsa a uomini che, an-che se nati in altre caste, possiedono i requisiti del bråh-ma∫a, avviene sulla base di questo verdetto contenuto negliΩåstra. Se un uomo nato in una casta diversa, possiede ve-ramente i sintomi del bråhma∫a e gli viene concessosannyåsa, bisogna ammettere che ciò è stato approvato da-gli Ωåstra. Questa pratica è effettiva solamente sulla base dipåramårthika e non di vyavahårika."

Yådava dåsa, rivolgendosi a Ca∫∂î dåsa disse: "Bene, latua domanda ha avuto risposta."

Ca∫∂î dåsa confermò: "Oggi sono stato benedetto. Fratutte le istruzioni sgorgate dalla bocca del riverito BåbåjîMahåΩaya, queste sono quelle che sono stato capace di as-similare:

La jîva è un'eterna servitrice di Krishna ma, dimentican-dolo, si incarna in un corpo materiale. Influenzata dalle ca-ratteristiche della natura materiale, essa percepisce daglioggetti materiali felicità e dolore. Per godere dei frutti del-le proprie azioni materiali, essa deve adornarsi di una ghir-landa composta da nascita, vecchiaia e morte.

A volte nasce in una posizione elevata e a volte in unadegradata. Cambiando ripetutamente la propria identità,la jîva viene così trascinata in innumerevoli situazioni. Fa-me e sete la spingono ad agire in un corpo che può perire inogni istante. Accecata dalle costrizioni di questo mondo de-ve far fronte a sofferenze varie e illimitate. Malattie ed af-flizioni tormentano il suo corpo. In casa litiga con i figli e

con i parenti; a volte arriva persino al suicidio. Trascinatadalla bramosia di ricchezza, commette molte colpe; vieneperciò punita dallo Stato, insultata e soffre di afflizioni cor-porali anche inimmaginabili.

"La separazione dalla famiglia, le perdite patrimoniali, illadrocinio da parte di delinquenti ed innumerevoli altre sof-ferenze gli cadono addosso costantemente. Quando la jîvadiventa vecchia, i suoi familiari non si prendono più cura dilei e questo le genera un grande dolore. Il suo corpo esan-gue, devastato dal catarro, dai reumatismi e da altri dolori,diventa fonte solo di miserie. Dopo la morte deve di nuovoentrare in un grembo materno e soffrire pene intollerabili.E oltre a ciò, finchè rimane nel corpo, la sua capacità di di-scriminazione viene offuscata dalla lussuria, dalla rabbia,dall'avidità, dall'illusione, dall'orgoglio e dall'invidia. Tut-to questo è saµsåra, l'esistenza materiale.

Ora mi è chiaro il significato di saµsåra. Offro ripetuta-mente da∫∂avat-pra∫åma a Båbåjî MahåΩaya. I Vaiß∫avasono i precettori del mondo intero. Oggi, per misericordiadei Vaiß∫ava, ho acquisito la giusta conoscenza di questomondo materiale."

In risposta ai profondi insegnamenti di Ananta dåsaBåbåjî MahåΩaya, tutti i Vaiß∫ava presenti acclamarono:"Sådhu! Sådhu! Hari! Hari!" In quel momento tutti iVaiß∫ava riuniti iniziarono a cantare una canzone compo-sta da Låhirî MahåΩaya:

e ghora saµsåre, pa∂iyå månava, na påya du˙khera Ωeßasådhu-sa∫ga kori', hari bhaja yadi, tabe anta haya kleΩa

'Caduta in questa orribile esistenza materiale, l'entità vi-vente non trova fine al suo dolore. Con la compagnia deisådhu e iniziando ad adorare il Signore Hari, i suoi proble-mi finiranno.'

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Settimo Capitolo

perfetto. Si ottiene Ωuddha-bhakti anche solamente venen-do qui. Godruma è un villaggio di pastori, il luogo dove ilSignore della nostra vita, Ûacînandana manifesta i Suoi di-vini passatempi. Ûrî Prabodhananda Sarasvatî, dopo averrealizzato nel cuore questa verità, ha così pregato (Ûrî Na-vadvîpa-Ωataka 36):

na loka-vedoddh®ta-mårga-bhedairåviΩya saõkliΩyata re vimudhå˙hathe∫a sarvaµ parih®tya gau∂e

Ωrî-godrume parña-ku†îµ kurudhvam

'Sciocchi, anche se vi siete rifugiati nella società mate-riale dei Veda ed avete adottato differenti doveri sociali ereligiosi, siete miserevoli. Lasciate subito queste improba-bili vie e costruitevi una capanna di foglie a Ûrî Godruma.'

Parlando dell'hari-kathå i tre attraversarono il Gange egiunsero a Kuliyå-gråma. Da quel giorno sia Ca∫∂î dåsache sua moglie Damayantî mostrarono un meravigliosocontegno Vaiß∫ava. Era come se questo mondo illusorionon li toccasse più. Essi si ornarono delle qualità del servi-zio ai Vaiß∫ava, del canto costante del k®ß∫a-nåma e dellamisericordia per tutte le jîve. Sia benedetta la coppia dimercanti! Sia benedetta la misericordia dei Vaiß∫ava! Siabenedetto l'Harinåma! Sia benedetta Ûrî Navadvîpa-bhü-mi!

Jaiva-dharma

vißaya-anale, jvaliche h®daya, anale bå∂e analaaparådha chai∂i' laya k®ß∫a-nåma, anale pa∂aye jala

'Il suo cuore è arso dal fuoco ardente del desiderio sen-suale e quando prova a soddisfarlo, accade solo che il fuocodivampa con maggiore intensità. Ma il non commettere of-fese e il canto del Santo Nome di Krishna, come una frescacascata di pioggia, estingueranno il fuoco ardente.'

nitai-caitanya-cara∫a-kamale, åΩraya laila yeikålidåsa bole, jîvane mara∫e, åmåra åΩraya sei

'Kålidåsa dice: 'Colui che si è rifugiato presso i piedi diloto di Caitanya-Nitåi diventa il mio rifugio nella vita e nel-la morte.'

Mentre il kîrtana continuava, Ca∫∂î dåsa danzava inprofonda estasi. Egli prese la polvere dai piedi dei båbåjî, sela pose sulla testa e poi, rotolandosi per terra, pianse perl'intensa gioia. Tutti concordarono: "Ca∫∂î dåsa è moltofortunato!"

Dopo un po' Yådava dåsa si rivolse a Ca∫∂î dåsa dicen-dogli: "Andiamo, dobbiamo attraversare il fiume."

Sorridendo Ca∫∂î dåsa rispose: "Se mi farai attraversa-re il fiume dell'esistenza materiale, verrò con te."

I due offrirono da∫∂avat-pra∫åma al Pradyumna-kuñja epoi partirono. Usciti dal kuñja, videro Damayantî offrireanch'essa ripetuti omaggi: "Perchè sono nata donna? Sefossi un uomo avrei potuto entrare nel kuñja, avere ildarΩana delle grandi anime e sentirmi appagata col prende-re la polvere dei loro piedi. Che possa, vita dopo vita, di-ventare semplicemente una servitrice dei Vaiß∫ava di ÛrîNavadvîpa e trascorrere il mio tempo al loro servizio."

Yådava dåsa disse: "Godruma-dhåma è un luogo sacro

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CAPITOLO OTTOReligione eterna e comportamento

Vaiß∫ava

In una foresta che costeggiava la sponda sud orientaledel lago sacro Ûrî Gorå-hrada, in una dimora poco in vista,vivevano alcuni Vaiß∫ava. Un giorno i Vaiß∫ava di quel luo-go invitarono i Vaiß∫ava di Ûrî Godruma a raggiungerli nelpomeriggio per prendere il prasåda assieme. Dopo averonorato il santo pasto, tutti i Vaiß∫ava si sedettero insiemeall'interno della casa e Låhirî MahåΩaya intonò una canzo-ne che risvegliò nel cuore di ognuno l'amore estatico diVraja:

(gora!) kata lîlå karile ekhåneadvaitådi bhakta-saõge nåcile e vane raõge

kåliya-damana-saõkîrtanee hrada haite prabhu, nistårile nakra prabhu

k®ß∫a yena kåliya-damane

'Pensate ai molti passatempi vissuti da Gaura in questoluogo! Egli danzava e giocava in questa foresta in compa-gnia di Advaita e di altri devoti. Proprio come il SignoreKrishna domò il serpente Kåliya, il Signore Gaura, com-piendo il saõkîrtana, liberò da un coccodrillo questo lagoche da allora viene chiamato kåliya-damana-saõkîrtana.'

Quando la canzone ebbe termine, i Vaiß∫ava iniziaronoa discutere sull'uguaglianza dei gaura-lîlå con i k®ß∫a-lîlå.In quel momento arrivarono da Baragåchi altri Vaiß∫ava.

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Ottavo Capitolo

svåmî ed hai ricevuto istruzioni da Paramahaµsa Båbåjî.Sei un grande recipiente della misericordia di ÛrîmanMahåprabhu e perciò sei la persona più adatta per rispon-dere a questa domanda."

Vaiß∫ava dåsa Båbåjî MahåΩaya umilmente disse:"Grande anima, tu hai visto Ûrîman Nityånanda Prabhu,che è Baladeva stesso. In assemblee di molti mahåjana, tuhai istruito un gran numero di persone aiutandole ad intra-prendere la via della spiritualità. Penso sia una grande mi-sericordia che tu oggi ci possa istruire."

Immediatamente tutti gli altri Vaiß∫ava chiesero insi-stentemente a Ûrî Haridåsa Båbåjî MahåΩaya di risponderealla domanda. Non vedendo alternative, Båbåjî MahåΩayafinì per acconsentire. Offrì da∫∂avat-pranåma a Ûrî Nityå-nanda Prabhu ai piedi del baniano e iniziò a parlare: "Offropranåma a tutte le jîve di questo mondo, considerandoleservitrici di Krishna. Nella Caitanya-Caritåm®ta (Ådi-lîlå6.85) Ûrîla K®ß∫adåsa Kaviråja Gosvåmî ha fatto questa af-fermazione che io porto sempre sopra la mia testa:

keha måne, keha nå måne, saba tåñra dåsa'Tutti sono servitori di Krishna ma alcuni lo accettano ed

altri no.'

"Sebbene tutti siano per natura servitori di Krishna, al-cuni non lo accettano per ignoranza o illusione, ed essi co-stituiscono una categoria di persone. Coloro che invece ac-cettano la loro naturale identità di servitori del SignoreKrishna, formano un'altra categoria. Vi sono dunque inquesto mondo due categorie di persone: "i k®ß∫a-bahir-mukha, coloro che hanno deviato da Krishna; e i k®ß∫a-un-mukha, coloro che danno la massima attenzione a Krishna.

"La maggior parte delle persone su questo mondo hannodeviato da Krishna. Queste possono essere suddivise a lo-

Jaiva-dharma

Prima di tutto offrirono da∫∂avat-pra∫åma al Gorå-hradae poi ai Vaiß∫ava. I Vaiß∫ava del luogo restituirono ade-guati rispetti ai nuovi arrivati e li invitarono a sedersi.

In quel boschetto appartato vi era anche un antico ba-niano. Attorno ad esso i Vaiß∫ava avevano costruito unapiattaforma circolare di malta. L'albero veniva onorato datutti col nome di Nitåi-va†a, l'albero baniano del SignoreNityånanda, perchè il Signore era solito sedersi lì sotto. Al-l'ombra del Nitåi-va†a, i Vaiß∫ava iniziarono a parlare di te-mi spirituali. Tra coloro che erano giunti da Baragåchi, viera un giovane e curioso Vaiß∫ava che improvvisamente dis-se: "Vorrei porre una domanda e sarei felice se qualcuno divoi potesse darmi risposta."

Haridåsa Båbåjî MahåΩaya, un residente di quel kuñjanascosto, era uno studioso saggio e profondamente erudi-to. Båbåjî MahåΩaya aveva quasi cento anni e rare volteaveva lasciato il kuñja salvo le pochissime occasioni in cuisi era recato a Pradyumna-kuñja per incontrarsi con Para-mahaµsa Båbåjî. Molti anni prima egli aveva visto perso-nalmente Nityånanda Prabhu seduto sotto quell'albero ba-niano. Coltivava nel cuore il desiderio di lasciare questomondo in quel luogo. Sentite le parole del giovaneVaiß∫ava egli disse: "Figlio mio, poichè i compagni di Para-mahaµsa Båbåjî sono seduti proprio qui, non temere chericeverai risposta alla tua domanda."

Il giovane Vaiß∫ava di Baragåchi allora pose con grandeumiltà la domanda: "Il Vaiß∫ava dharma è la religione eter-na. Vorrei conoscere in dettaglio come si deve comportarecon gli altri colui che si è rifugiato nel Vaiß∫ava dharma."

Dopo aver ascoltato la domanda del nuovo arrivato, Ha-ridåsa Båbåjî MahåΩaya guardò Ûrî Vaiß∫ava dåsa Båbåjî edisse: "Vaiß∫ava dåsa, attualmente in Bengala non vi è stu-dioso che ti possa eguagliare ed inoltre sei un Vaiß∫ava ec-cellente. Tu hai avuto la compagnia di Ûrîla Sarasvatî Go-

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Ottavo CapitoloJaiva-dharma

ro volta in due gruppi: quelle che rigettano la religione intoto e quelle che accettano alcuni principi morali. Non vi èmolto da dire sul primo gruppo di persone: esse non discri-minano su ciò che deve essere fatto e ciò che non deve es-sere fatto e la loro intera esistenza è basata su di un princi-pio egoistico di felicità. Le persone che hanno dei principimorali possiedono un senso del dovere. E' per questi ultimiche il grande Vaiß∫ava Manu ha affermato nella Ûrî Manu-saµhitå (6.92):

dh®ti˙ kßamå damo 'steyaµΩaucam indriya-nigraha˙

dhîr vidyå-satyam akrodhodaΩakaµ dharma-lakßa∫am

'Sono dieci le caratteristiche che contraddistinguono lavita religiosa: dh®ti (la pazienza o l'essere soddisfatti),kßamå (il perdono o il non reagire quando si viene offesi),dama (controllo della mente o mantenersi equanimi anchein circostanze destabilizzanti), asteya (astenersi dal furto ov-vero non appropriarsi della proprietà altrui con metodi in-giusti), Ωauca (pulizia o purezza esteriore ed interiore), in-driya-nigraha (trattenere i sensi dai loro oggetti), dhî (in-telligenza ovvero conoscenza degli Ωåstra), vidyå (saggezza,realizzazione dell'anima), satya (veridicità) e akrodha (as-senza di rabbia o il rimanere imperturbabili anche in mezzoa circostanze irritanti).

"Tra queste caratteristiche, la pazienza, il controllo dellamente, la pulizia, il controllo dei sensi, la conoscenza degliΩåstra e la saggezza, costituiscono i sei doveri che si hannoverso sè stessi. Le rimanenti quattro caratteristiche: il per-dono, l'astenersi dal rubare, la veridicità e l'assenza di rab-bia, sono rivolti verso gli altri. L'hari-bhajana tuttavia nonviene esplicitamente indicato tra queste dieci caratteristi-

che. Questi dieci doveri religiosi sono stati prescritti per lepersone in genere. Inoltre non è neppur detto che, seguen-do fedelmente questi doveri, si abbia la certezza di conse-guire il successo completo nella vita, come è confermato an-che nel Viß∫u-dharmottara Purå∫a (citato nell'Hari-bhakti-vilåsa 10.317):

jîvitam viß∫u-bhaktasya varaµ pañca-dinåni cana tu kalpa-sahasrå∫i bhakti-hînasya keΩave

'Vivere in questo mondo come devoto del Signore Viß∫u,anche solo per cinque giorni, è di grande auspicio, mentreviverci per migliaia di kalpa, ma privo di bhakti per il Si-gnore KeΩava, non è per nulla augurabile.'

"Poichè la funzione costitutiva dell'essere umano è labhakti per Ûrî Krishna, coloro che sono privi di k®ß∫a-bhak-ti non possiedono le qualità che contraddistinguono gli es-seri umani. E' per tale ragione che questi non devoti sonodefiniti animali a due zampe. Nello Ûrîmad-Bhågavatam(2.3.19) sta scritto:

Ωva-vi∂-varåho߆ra-kharai˙ saµstuta˙ purußa˙ paΩu˙na yat kar∫a-pathopeto jåtu nåma gadågraja˙

'Un essere animalesco che non ha mai ascoltato il SantoNome di Ûrî Krishna, fratello maggiore di Gada, viene glo-rificato da quegli uomini sensuali più simili a cani, maiali,cammelli, asini e così via.'

"Tuttavia, la domanda posta oggi, non riguarda ciò chequeste persone sfortunate devono o non devono fare. Essatende a sapere solamente come devono comportarsi con glialtri coloro che si sono rifugiati sulla via della bhakti," dis-se Haridåsa Båbåjî. "Ora parlerò di questo. Coloro chehanno imboccato la via della bhakti si possono dividere in

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Ottavo Capitolo

legrinaggio, deve essere considerato un asino tra le muc-che.'

Haridasa Båbåjî disse: "La spiegazione di questi due ver-si è che la bhakti neppure inizia se non c'è l'adorazione delSignore sotto forma di Divinità. A chi rifiuta la forma del-la Divinità, utilizzando solamente la logica per dedurre laverità, gli si inaridirà il cuore e non potrà mai accertare il ve-ro oggetto dell'adorazione. Ma, dopo aver accettato la Di-vinità, è essenziale servirLa con coscienza trascendentale(Ωuddha-cinmaya-buddhi). In questo mondo le jîve sonocinmaya-vastu, entità coscienti. Tra tutte le jîve quelle de-vote di Krishna sono Ωuddha-cinmaya, dotate di coscienzapura. Sia i bhakta che Krishna sono Ωuddha-cinmaya vastu,entità coscienti pure. Per poter comprendere queste entitàcoscienti pure, è assolutamente essenziale conoscere la re-lazione che intercorre tra il mondo materiale, le jîve eKrishna (sambandha-jñåna). Chi vuole adorare la Divinitàcon sambandha-jñåna deve, insieme all'adorazione diKrishna, servire i devoti. Questa adorazione e rispetto perla cinmaya-tattva (realtà trascendentale) accompagnata daΩraddhå, è conosciuta come Ωåstrîya Ωraddhå, fede basatasulle scritture.

"L'adorazione della Divinità se priva di questa inequi-vocabile conoscenza della relazione tra i differenti aspettidella cinmaya-tattva, è basata unicamente su lautikaΩraddhå (rispetto dei costumi o della tradizione), perciò, an-che se questa adorazione abitudinaria della Divinità rap-presenta il primo passo verso la porta d'ingresso alla bhak-ti, non è ancora Ωuddha-bhakti. Questa è la conclusione de-gli Ωåstra. Coloro che hanno raggiunto la soglia della bhak-ti vengono così descritti dagli Ωåstra (Hari-bhakti-vilåsa1.55):

g®hîta-viß∫u-dîkßåko viß∫u-püjå-paro nara˙

Jaiva-dharma

tre categorie: i kani߆ha (neofiti), i madhyama (intermedi)e gli uttama (superiori). I kani߆ha sono coloro che hannoiniziato il cammino sulla via della bhakti ma non sono an-cora dei devoti veri e propri. Le loro caratteristiche sonoquelle descritte nello Ûrîmad-Bhågavatam (11.2.47):

arcåyåm eva haraye püjåµ ya˙ Ωraddhayehatena tad-bhakteßu cånyeßu sa bhakta˙ pråk®ta˙ sm®ta˙'Chi adora con fede il Signore Hari solamente sotto for-

ma di Divinità, ma senza rendere servizio ai devoti del Si-gnore o agli altri esseri viventi, è un pråk®ta-bhakta, un de-voto grossolano.'

"Quindi viene stabilito che Ωraddhå (fede) è il bîja (se-me) della bhakti. Solamente adorando Bhagavån conΩraddhå la bhakti potrà dirsi effettiva. Ma anche così, non èancora Ωuddha-bhakti finchè l'adorazione non si estende an-che ai devoti. Se si fallisce in questo il vero avanzamentonella bhakti viene inibito. Questo tipo di devoto ha a mala-pena varcato la soglia nella pratica della bhakti. Nello Ûrî-mad-Bhågavatam (10.84.13) è scritto:

yasyåtma-buddhi˙ ku∫ape tri-dhåtukesva-dhî˙ kalatrådißu bhauma ijya-dhî˙

yat tîrtha-buddhi˙ salite na karhicijjaneßv abhijñeßu sa eva go-khara˙

'Chi crede che questo corpo cadaverico composto da treelementi: muco, bile ed aria, sia il proprio sè; chi pensa chela moglie e i figli gli appartengano; chi considera oggetto diadorazione un'immagine terrena o considera l'acqua di unfiume come un luogo di pellegrinaggio, ma non consideramai i devoti che hanno familiarità con la Verità Assolutapersone care come il proprio sè, con cui avere relazionistrette e meritevoli di adorazione o come luoghi santi di pel-

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Ottavo Capitolo

îΩvare tad-adhîneßu båliΩeßu dvißatsu caprema-maitrî-k®popekßå ya˙ karoti sa madhyama˙'Colui che ama il Signore Supremo, è amico con i devo-

ti, ha misericordia verso coloro che ignorano la bhakti, e tra-scura chi prova inimicizia per il Signore ed i Suoi devoti, vie-ne considerato un madhyama-bhågavata.'

"Il comportamento qui descritto va classificato nel cam-po del nitya-dharma, non si riferisce a naimittika-dharma(doveri religiosi temporanei) o ad aihika-vyavahåra (dove-ri materiali). Questo comportamento è assolutamente es-senziale per un Vaiß∫ava. Altri tipi di comportamento chenon siano in contrasto con questo, possono venir accettatia seconda delle circostanze che li rendano necessari.

"Il comportamento Vaiß∫ava è indirizzato verso quattrocategorie di individui: îΩvara (il Signore Supremo), tad-adhî-na (i devoti del Signore), båliΩa (le persone materialisteignoranti della verità spirituale) e dveßî (le persone contra-rie alla bhakti). Un Vaiß∫ava verso questi quattro tipi di in-dividui mostra rispettivamente amore, amicizia, misericor-dia e rifiuto. In altri termini: si comporta con amore versoil Signore, con amicizia verso i devoti e con misericordiaverso gli ignoranti, mentre respinge coloro che nutrono ini-micizia," dichiarò Haridåsa Båbåjî.

"La prima caratteristica del madhyama Vaiß∫ava è cheha prema per il Signore. Ciò significa che prova amore perÛrî Krishna, il Signore a tutti superiore. La parola premaqui si riferisce a Ωuddha-bhakti. I sintomi della Ωuddha-bhakti sono stati descritti nel Bhakti-rasåm®ta-sindhu(1.1.11) come segue:

anyåbhilasita-sunyam jñåna-karmådy-anåv®tamånukülyena k®ß∫ånuΩîlanaµ bhaktir-uttamå

'Uno sforzo consumato nel servire Ûrî Krishna con sen-

Jaiva-dharma

vaiß∫avo 'bhihito 'bhijñair itaro 'småd avaiß∫ava˙'Chi è iniziato al Viß∫u mantra secondo le regole delle

scritture ed è impegnato nell'adorare il Signore Viß∫u, vie-ne definito dagli studiosi eruditi un Vaiß∫ava. Tutti gli altrinon sono Vaiß∫ava.'

"Coloro che accettano un prete di famiglia assecondan-do la tradizione e che, spinti da lautika-Ωraddha, prendonol'iniziazione al Viß∫u mantra e adorano la divinità di ÛrîViß∫u imitando gli altri, sono kani߆ha Vaiß∫ava o pråk®ta-bhakta. Costoro non sono Ωuddha-bhakta. In questi devo-ti grossolani predomina chåyå-bhakti-åbhåsa (un'ombra dibhakti), ma non vi è pratibimba-bhakti åbhåsa (il riflesso dibhakti). La pratibimba-bhakti-åbhåsa è di natura offensivae quindi priva di Vaiß∫avismo. La chåyå-bhakti-åbhåsa è ilrisultato di una grande fortuna (riferita ai saµskåra di bhak-ti acquisiti in compagnia di devoti ed in relazione ad azionidevozionali compiute in questa vita o nelle vite preceden-ti). Questa chåyå-bhakti-åbhåsa è lo stadio preliminare del-la bhakti, dal quale le persone possono gradualmente avan-zare per diventare Vaiß∫ava madhyama e Vaiß∫ava uttama.

"Tuttavia, coloro che si trovano allo stadio di chåyå-bhakti-åbhåsa, non possono venir chiamati Ωuddha-bhak-ta." Affermò Haridåsa Båbåjî. "Queste persone adoranola Divinità con lautika-Ωraddha e, nel loro comportamentocon gli altri, si basano solamente sui dieci tipi di doveri reli-giosi per le persone in generale che ho descritto prima.Quel comportamento che gli Ωåstra prescrivono per i devo-ti, non si applica a loro poichè non sono neppure in gradodi accertare chi è o no un vero devoto. Questo potere di-scriminatorio è sintomatico del madhyama Vaiß∫ava.

"Nello Ûrîmad-Bhågavatam (11.2.46) il comportamentodel madhyama Vaiß∫ava viene descritto così:

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gnore. Coloro nel cui cuore si manifesta la Ωuddha-bhaktisono conosciuti come tad-adhîna bhakta, devoti sottomessial volere del Signore. I devoti kani߆ha non sono puri de-voti arresi al Signore ed essi non offrono rispetto e ospitalitàai puri devoti. Perciò solamente i madhyama e gli uttama-bhakta sono le persone giuste con cui coltivare un'amiciziaintima.

"Nell'arco di tre anni i devoti di Kulîna-gråma chiesero aÛrîman Mahåprabhu: 'Chi può essere considerato unVaiß∫ava e quali sono i sintomi attraverso i quali si può ri-conoscere?' In risposta Ûrîman Mahåprabhu descrisse le tregradazioni di Vaiß∫ava iniziando da colui che pronuncia an-che solo una volta il k®ß∫a-nåma. Anche se queste grada-zioni vengono comunemente designate con 'uttama,madhyama e kani߆ha', Mahåprabhu non utilizzò mai queitermini per darne la definizione. In base alle caratteristicheproprie della Sua descrizione, in tutte e tre le classi si ri-scontrano gli standard sopra definiti per i madhyama e gliuttama Vaiß∫ava. Nessuno di quegli standard corrispondeai devoti kani߆ha: essi adorano solamente la Divinità. Co-loro che adorano solamente la Divinità non pronunciano ilΩuddha k®ß∫a-nåma ma si limitano ad un canto definitochåyå-nåmåbhåsa. Il chåyå-nåmåbhåsa si riferisce ad unasembianza di puro Nome, oscurato dall'ignoranza e dalleanartha (cattive abitudini), proprio come il sole coperto dal-le nuvole che non manifesta il suo pieno splendore.

"Mahåprabhu istruì i madhyama-adhikårî g®hasthaVaiß∫ava a servire i tre tipi di Vaiß∫ava qui descritti: coloroche pronunciano anche solo una volta il k®ß∫a-nåma, colo-ro che pronunciano il k®ß∫a-nåma costantemente e coloroche, anche solo guardandoli, ispirano gli altri a pronunciarespontaneamente il k®ß∫a-nåma. Quindi è giusto servirequesti tre tipi di Vaiß∫ava.

"Noi veniamo istruiti a servire i Vaiß∫ava sulla base del

Jaiva-dharma

timento favorevole, privo di ogni desiderio che non sia al-tro che questo servizio, non coperto dalla ricerca della co-noscenza del Brahman impersonale, dai doveri ritualisticidelineati negli sm®ti-Ωåstra, dalla rinuncia, dallo yoga, dalsåõkhya e da altri tipi di dharma, viene definito uttamå-bhakti.'

"La bhakti intrisa di queste caratteristiche è riscontrabi-le prima nelle pratiche di sådhana di un madhyamaVaiß∫ava e poi si estende fino agli stadi di bhåva e prema.L'unica caratteristica riscontrabile nella bhakti di un devo-to kani߆ha è il servizio offerto con fede alla Divinità. Que-sta persona non possiede nessuna caratteristica dell'uttamå-bhakti cioè: anyåbhilåßitå-Ωünya (libertà da ulteriori desi-deri), jñåna-karmådy-anåv®ta (libertà dalla conoscenza im-personale e dalle azioni interessate) ed ånukülyak®ß∫ånuΩîlana (sforzi consumati per servire Krishna con unsentimento favorevole).

"Quando la bhakti che possiede questi sintomi si mani-festa nel cuore di un devoto kani߆ha, allora viene conside-rato madhyama Vaiß∫ava o devoto genuino. Prima di rag-giungere questo stadio, egli rimane un pråk®ta-bhakta ciòvuol dire che dev'essere considerato solamente un bhakta-abhåsa, una sembianza di devoto od anche un Vaiß∫avaabhåsa, una sembianza di Vaiß∫ava. Nel verso precedente,il termine 'k®ß∫ånuΩîlana', se considerato in modo indipen-dente, è in relazione a prema, amore per Krishna. Ma la pa-rola 'ånukülyena', che qualifica k®ß∫ånuΩîlana, si riferisce aciò che è favorevole a k®ß∫a-prema, cioè nutrire amicizia peri devoti, misericordia per gli ignoranti e rifiutare i nemici;anche questi sono sintomi propri del madhyama Vaiß∫ava"disse Haridåsa Båbåjî.

"La seconda caratteristica del madhyama Vaiß∫ava"continuò "è la sua amicizia con i devoti abbandonati al Si-

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re in loro la fede nell'ananya-bhakti e il gusto per il Ωuddha-nåma. Questo è il vero significato di misericordia. L'igno-rante, poichè inesperto degli Ωåstra, potrebbe essere vittimadi qualche cattiva compagnia e cadere in ogni momento. Ilmadhyama Vaiß∫ava deve sempre proteggere queste per-sone condizionabili dalle cattive compagnie. Egli deve mi-sericordiosamente offrire la sua associazione e istruirli gra-dualmente nelle questioni spirituali e sulle glorie del SantoNome.

"Una persona malata non può curarsi da sola; deve ri-correre alle cure del medico. Proprio come il nervosismodi una persona malata è perdonabile, così anche il compor-tamento improprio dell'ignorante va scusato. Questa atti-tudine è definita misericordia. L'ignorante ha molte con-cezioni sbagliate, come ad esempio il riporre la propria fe-de nel karma-kå∫∂a; ha una inclinazione occasionale perjñåna; adora la Divinità con motivazioni sbagliate; ha fedenello yoga; è indifferente alla compagnia dei puri Vaiß∫ava;è attaccato al sistema del varnåΩrama e molte altre cose an-cora. Con la compagnia, la misericordia e le buone istru-zioni, queste concezioni errate possono venire disperse ed ilkani߆ha-adhikårî può velocemente diventare un madhya-ma-adhikårî Ωuddha-bhakta.

"Quando queste persone iniziano ad adorare la Divinitàdel Signore, si può dedurre che abbiano gettato le fonda-menta su cui si erge ogni bene. Su questo non vi è alcundubbio. Non colpevoli del vizio di aderire a dottrine diver-genti, essi hanno un sentore di vera Ωraddhå. Per contrasto,coloro che adorano la Divinità secondo la linea di pensieromåyåvåda non possiedono neppure un briciolo di Ωraddhåper la Divinità. Essi sono offensori dei piedi di loto del Si-gnore. Per questo nel verso che descrive il devoto kani߆ha(Ûrîmad-Bhågavatam 11.2.47), sono state usate le parole:'Ωraddhayå püjåm îhate', egli adora con fede.

Jaiva-dharma

loro rispettivo livello di avanzamento spirituale. La parola'maitrî' indica compagnia, conversazione e servizio. Nonappena vediamo un puro Vaiß∫ava dobbiamo accoglierlo eoffrirgli rispetto, un posto a sedere, conversare con lui e darsoddisfazione alle sue necessità. Bisognerebbe servirlo intutte queste maniere. Inoltre mai invidiarlo o insultarlo,mai mancargli di riguardo perchè non ha un aspetto at-traente o è malato.

"Terza caratteristica del madhyama Vaiß∫ava è la sua mi-sericordia verso gli ignoranti. La parola 'båliΩa' si riferiscea persone che ignorano la verità spirituale, che sono confu-si e sciocchi. I materialisti che non hanno avuto una guidaspirituale autentica, che non sono stati contaminati da dot-trine non autentiche come la måyåvåda, che non sono abi-tuati ad invidiare i devoti e la bhakti ma che, per via dellapredominanza di egoismo e attaccamento materiale, sonoimpediti nello sviluppare fede nel Signore, sono definiti bå-liΩa. Persino gli studiosi eruditi che non hanno ottenuto ilfrutto supremo dello studio, cioè sviluppare fede nel Signo-re, sono annoverati tra gli ignoranti.

"Il kani߆ha-adhikårî pråk®ta-bhakta, pur di fronte allasoglia della bhakti, non ha ottenuto la Ωuddha-bhakti per-chè ignora i principi della sambandha-jñåna. Finchè costuinon raggiunge la piattaforma della Ωuddha-bhakti, sarà con-siderato un båliΩa. Quando però conosce la verità dellasambandha-jñåna e si risveglia in lui un gusto per ΩuddhaHarinåma in compagnia dei puri devoti, la sua ignoranzaviene dispersa ed anche lui ottiene lo status di madhyamaVaiß∫ava.

"Per un madhyama Vaiß∫ava è essenziale concedere lapropria misericordia a tutte queste persone ignoranti. Trat-tandoli come ospiti, il madhyama Vaiß∫ava deve soddisfarele loro necessità per quel che gli è possibile. Ma ciò non èsufficiente. Egli deve anche agire in modo tale da risveglia-

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Ottavo CapitoloJaiva-dharma

"L'ottica o prospettiva filosofica contenuta nel cuore deimåyåvådî e di chi propone altre dottrine simili, è che il Su-premo Signore è privo di forma e la Divinità cui si rivolgeadorazione è semplicemente un'icona. In queste circostan-ze, come può esserci fede nella Divinità? In conclusione viè una significativa differenza tra l'adorazione della Divinitàda parte dei måyåvådî e quella portata avanti da unVaiß∫ava seppur neofita.

"Il Vaiß∫ava kani߆ha-adhikårî adora la Divinità con fe-de, sapendo che il Signore possiede forma e attributi perso-nali. I måyåvådî invece considerano il Signore privo di for-ma e di attributi e pensano che la Divinità sia immaginariae temporanea. E' per questa ragione che i neofiti, anche senon possiedono nessun'altra caratteristica Vaiß∫ava, sonostati definiti pråk®ta Vaiß∫ava (devoti grossolani), perchè al-meno non si macchiano delle offese che commettono imåyåvådî. Il loro Vaiß∫avismo è basato su questo. Graziea questa unica qualità, e per misericordia dei sådhu, certa-mente si eleveranno in modo graduale. I Vaiß∫ava madhya-ma-adhikårî devono essere genuinamente misericordiosiverso queste persone, e così l'adorazione della Divinità e ilcanto dell'Harinåma da parte del devoto neofita veloce-mente lo eleveranno dallo stadio di åbhåsa (sembianza) aquello spirituale puro.

"Quarta caratteristica del Vaiß∫ava madhyama è quelladi non prendere in considerazione le persone che nutronosentimenti d'inimicizia. E' necessario definire il significatodi inimicizia e descriverne le differenti tipologie. Dveßa (l'i-nimicizia) è una particolare attitudine conosciuta anche conil nome di matsaratå (invidia). Il Signore Supremo è l'uni-co destinatario dell'amore. Il sentimento opposto all'amo-re che si prova per il Signore è conosciuto col nome di dveßa.Dveßa si delinea in cinque aspetti: assenza di fede in Dio;credere che Dio non sia nulla più di una potenza naturale

che genera le conseguenze delle azioni; credere che Dio nonpossieda una forma particolare; credere che le jîve non sia-no eternamente subordinate al Signore e, per ultimo, as-senza di misericordia.

"Un cuore contaminato da questi sentimenti sfavorevo-li, è completamente privo di Ωuddha-bhakti; è privo persinodi pråk®ta-bhakti (devozione rudimentale espressa nell'a-dorazione della Divinità da parte del devoto neofita) chedella Ωuddha-bhakti ne è la porta," affermò HaridåsaBåbåjî. I cinque tipi di inimicizia appena descritti coesisto-no con l'attaccamento al godimento materiale dei sensi. Avolte il terzo e quarto tipo di inimicizia (credere che Dionon abbia una forma e credere che le jîve non siano eterna-mente subordinate a Dio) conducono ad una forma tal-mente estrema di ascetismo o di avversione verso il mondoda culminare nell'auto distruzione. Questo è riscontrabilenelle vite dei sannyåsî måyåvådî. Come devono compor-tarsi i Ωuddha-bhakta con queste persone che nutrono ini-micizia? Devono evitarle.

"Upekßå (rifiuto) non implica il tralasciare tutte le rela-zioni sociali che normalmente intercorrono tra esseri uma-ni. Neppure significa che, se una persona dedita all'inimi-cizia si trova in difficoltà o in ristrettezze, non ci si debbaadoprare per alleviare la sua pena. I g®hastha Vaiß∫ava ri-mangono all'interno della società e quindi hanno molti tipidi relazione, ad esempio con i parenti per via del matrimo-nio, con gli altri per affari o per mantenere la proprietà edaccudire gli animali, per compiere attività volte a mitigarele sofferenze altrui e per via della loro posizione come cit-tadini dello Stato. Evitare non significa necessariamenteabbandonare la compagnia di persone che nutrono inimici-zia e le connessioni che queste differenti relazioni implica-no. Si è obbligati a portare avanti la routine degli affari e adinteragire anche con le persone che sono indifferenti verso

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Ottavo Capitolo

sve sve 'dhikåre yå ni߆hå sa gu∫a˙ parikîrtita˙viparyayas tu doßa˙ syåd ubhayor eßa niΩcaya˙

'Esser ben fermi nei doveri che si è autorizzati a svolge-re è una qualità, ed è considerata una mancanza il compor-tarsi in maniera contraria. Le qualità e le mancanze vannoaccertate in questo modo.'

"In altre parole" disse Haridåsa Båbåjî "qualità e man-canze vengono determinate sulla base della propria eleggi-bilità, e con nessun altro criterio. I doveri del madhyama-adhikårî Ωuddha-bhakta sono, da quel che risulta dagliΩåstra, mostrare amore per Dio, instaurare amicizia con ipuri devoti, essere misericordiosi con gli ignoranti e rifiuta-re le persone che provano inimicizia. Il grado di amiciziache i madhyama-bhakta instaurano con gli altri devoti devecorrispondere al grado di avanzamento nella bhakti di queidevoti. Il grado di misericordia che i madhyama-bhakta di-mostrano alle persone ignoranti, dipende dal grado di sin-cerità o di stoltezza di quelle persone. Il grado di rifiuto concui il madhyama-bhakta tratta coloro che nutrono inimici-zia, dipende dal livello di inimicizia che queste persone han-no. In relazione alle questioni spirituali i madhyama-bhak-ta interagiranno con gli altri prendendo in considerazionetutte queste cose. Gli affari materiali vanno gestiti in modoretto e subordinandoli al comportamento spirituale."

Proprio allora un abitante di Baragåchi di nome Nityå-nanda dåsa intervenne chiedendo: "Qual è il comporta-mento dell'uttama-bhakta?"

Con bella prontezza Haridåsa Båbåjî MahåΩaya disse:"Figliolo! In progressione si giungerà anche a questa ri-sposta. Lasciami prima finire ciò che devo dire. Sono unvecchio e la mia memoria vacilla. Cambiare repentina-mente argomento seppur nell'ambito di questo tema, mi fa-rebbe scordare quello che avevo in mente di dire."

Jaiva-dharma

Dio, ma certo non si deve cercare la loro compagnia quan-do si tratta di questioni spirituali.

"Come conseguenza delle attività peccamiose della vitaprecedente, alcuni componenti della propria famiglia pos-sono avere una natura maligna. Si devono lasciare questepersone? Certamente no. Si deve trattare con esse senzaattaccamento per quel che concerne gli affari ordinari, manon dobbiamo stare in loro compagnia per le questioni spi-rituali. Upekßå va applicata a queste situazioni. Associa-zione spirituale significa stare insieme con l'intento di avan-zare spiritualmente, discutere argomenti che riguardano laverità eterna e scambiarsi servizio e assistenza per risve-gliare sentimenti devozionali. Evitare di stare con personecon le quali questi tipi di scambio non sono possibili è defi-nito upekßå.

"Quando una persona ostile, che ha adottato opinioni di-vergenti, ascolta la glorificazione della Ωuddha-bhakti, istru-zioni virtuose riguardanti la bhakti, immediatamente repli-cherà con argomenti futili che non aiutano nè lei nè chi l’a-scolta. Si devono evitare questi argomenti inutili e intera-gire con queste persone per ciò che riguarda le relazioni so-ciali. Se si affermasse che sarebbe meglio includere le per-sone ostili tra gli ignoranti e conceder loro la misericordiaper poterli aiutare, risponderei che ciò finirebbe per costi-tuire solo un problema. La benevolenza dev'essere prati-cata, ma con cautela.

"I madhyama-adhikårî Ωuddha-bhakta devono sicura-mente praticare questi quattro tipi di comportamento.Qualsiasi negligenza da parte loro a questo proposito, li ren-derebbe colpevoli di comportamento improprio e fallireb-bero nel fare ciò per cui sono qualificati. Ciò verrebbe con-siderato un serio difetto. A questo riguardo lo Ûrîmad-Bhå-gavatam dice (11.21.2):

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zione di prema per Krishna. Quando Ωuddha-prema diven-ta la vita stessa del devoto, allora egli viene definito uttama-bhågavata. In questa condizione non vi è più distinzione traamore, amicizia, misericordia e rifiuto, come era nel casodel madhyama-adhikårî. Tutti i comportamenti dell'uttamadiventano manifestazioni di prema. Ai suoi occhi non c'èdifferenza tra un Vaiß∫ava kani߆ha ed un uttama, nè tra unVaiß∫ava e un non Vaiß∫ava. Questa posizione così avan-zata è estremamente rara.

"Prova a considerare anche solo che un Vaiß∫ava ka-ni߆ha non rende servizio ai Vaiß∫ava, mentre un Vaiß∫avauttama non fa nessuna distinzione tra Vaiß∫ava e nonVaiß∫ava, poichè vede tutte le entità viventi come servitoridi Krishna. Perciò offrire rispetto ai Vaiß∫ava e rendere lo-ro servizio è una prerogativa dei Vaiß∫ava madhyama. UnVaiß∫ava madhyama deve servire tutti e tre i tipi diVaiß∫ava: coloro che hanno pronunciato il k®ß∫a-nåma unasola volta, coloro che cantano il k®ß∫a-nåma costantemente,e coloro che semplicemente vedendoli stimolano automa-ticamente negli altri il canto del k®ß∫a-nåma. A seconda delgrado di avanzamento un Vaiß∫ava può essere consideratosemplicemente Vaiß∫ava, Vaiß∫avatara (un Vaiß∫ava supe-riore) o Vaiß∫avatama (un Vaiß∫ava sommo). Un devotomadhyama fa un servizio appropriato quando prende inconsiderazione questa gradazione. Solamente un Vaiß∫avauttama arriva alla conclusione che: 'Non è giusto conside-rare se un Vaiß∫ava è kani߆ha, madhyama o uttama'. Se unmadhyama-adhikårî la pensasse così, diverrebbe un offen-sore. Ûrîman Mahåprabhu, con indicazioni indirette, resecoscienti di ciò gli abitanti di Kulîna-gråma. Queste istru-zioni di Mahåprabhu vanno rispettate da tutti i Vaiß∫avamadhyama, ancor più dei Veda stessi. E cosa sono i Veda oΩruti se non gli ordini del Signore Supremo?"

Dopo aver così parlato, Haridåsa Båbåjî si fece silenzio-

Jaiva-dharma

Haridåsa era un båbåjî austero. Anche se non trovavadifetti in nessuno, era pronto a rispondere se qualcuno gliparlava in modo non appropriato. Tutti furono scossi dallesue parole.

Haridåsa Båbåjî offrì ancora pra∫åma a NityånandaPrabhu ai piedi del baniano e ricominciò a parlare: "Quan-do la bhakti del Vaiß∫ava madhyama progredisce e superagli stadi di sådhana e bhåva per giungere al livello di prema,diventa molto condensata. In quel momento il bhaktamadhyama-adhikårî diventa un uttama-bhakta. Nello Ûrî-mad-Bhågavatam (11.2.45) le caratteristiche di un Vaiß∫avauttama vengono descritte così:

sarva-bhüteßu ya˙ paΩyed bhagavad-bhåvam åtmana˙bhütåni bhagavaty åtmany eßa bhågavatottama˙

'Colui che vede in tutti gli esseri viventi l'anima di tutte leanime, Ûrî K®ß∫a-candra, e che contemporaneamente vedein Ûrî Krishna tutti gli esseri viventi, è un uttama-bhågavata.’

"Un Vaiß∫ava uttama percepisce che tutti gli esseri vi-venti amano il Signore con lo stesso specifico sentimento diamore spirituale che lui prova per il Signore. Egli percepi-sce anche che il Signore sente e reciproca un sentimentod'amore verso tutti gli esseri viventi. Un Vaiß∫ava uttamanon possiede altre predisposizioni se non questo sentimen-to di amore spirituale. Tutti gli altri sentimenti che nasconodi volta in volta secondo le differenti circostanze, non sonoaltro che una trasformazione di quel prema.

"Prendiamo per esempio Ûukadeva Gosvåmî" disse Ha-ridåsa Båbåjî. "Sebbene fosse un uttama bhågavata, de-scrisse Kaµsa con le parole 'bhoja-påµΩula' (una disgraziaper la dinastia Bhoja). Anche se in apparenza sembra chequeste parole siano state pronunciate con un sentimento diinimicizia verso Kaµsa, in realtà esse sono una manifesta-

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ri peccaminosi. "Ho sviluppato un gusto nel cantare migliaia di Harinå-

ma ogni giorno. Ho compreso che non c'è differenza tra ilSignore Supremo ed il Suo Santo Nome: entrambi sonocompletamente spirituali. Osservo il digiuno di EkådaΩî co-me stabilito dagli Ωåstra ed offro l'acqua a Tulasî. Quando iVaiß∫ava compiono il kîrtana anch'io mi unisco a loro e par-tecipo. Bevo l'acqua che ha toccato i piedi dei puriVaiß∫ava. Studio il Caitanya-maõgala. Non desidero più ci-bi sofisticati o bei vestiti e non mi piace partecipare a di-scussioni mondane. Quando vedo i sentimenti estatici deiVaiß∫ava, a volte mi rotolo per terra davanti a loro anche sesono spinto da un qualche desiderio di prestigio. Ora ti pre-go, dammi il tuo verdetto. Che tipo di Vaiß∫ava sono e co-me mi devo comportare?"

Haridåsa Båbåjî guardando con un sorriso Vaiß∫ava då-sa Båbåjî chiese a sua volta: "Dimmi, a quale classe diVaiß∫ava appartiene Nityånanda dåsa?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Da quel che ho sentito, ha supe-rato lo stadio kani߆ha ed è entrato in quello madhyama."

"E' ciò che credo anch'io" confermò Haridåsa.Nityånanda dåsa estasiato disse: "Che meraviglia! Oggi

ho conosciuto, per bocca dei mahåjana, la mia vera posizio-ne. Vi prego, concedetemi la vostra misericordia così chepossa raggiungere lo stadio del Vaiß∫ava uttama."

Vaiß∫ava dåsa aggiunse: "Nel momento in cui hai accet-tato di essere un mendicante, vi era nel tuo cuore un desi-derio di onore e di prestigio. In quel momento tu non eriveramente qualificato per l'ordine di rinuncia, perciò la tuaaccettazione era macchiata dal vizio di considerazioni nonautentiche. Nonostante ciò, per misericordia dei Vaiß∫ava,hai ottenuto un genuino atteggiamento favorevole."

Nityånanda dåsa onestamente ammise: "Persino oraconservo del desiderio di onore. Penso di poter attrarre gli

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so. In quel momento Nityånanda dåsa Båbåjî di Baragåchia mani giunte gli chiese: "Posso farti una domanda?"

Haridåsa Båbåjî rispose: "Se ti fa piacere."Il giovane Nityånanda dåsa Båbåjî chiese: "Båbåjî

MahåΩaya, a quale categoria di Vaiß∫ava appartengo io?Sono un Vaiß∫ava kani߆ha o madhyama? Certamente nonsono un Vaiß∫ava uttama."

Haridåsa Båbåjî MahåΩaya sorridendo disse: "Può unapersona che ha ricevuto il nome di Nityånanda dåsa esserealtro che un Vaiß∫ava uttama? Il mio Nitåi è molto miseri-cordioso: anche se fosse percosso, in cambio donerebbe pre-ma quindi cos'altro si può aggiungere per chi possiede il Suonome (Nityånanda) e diventa il Suo dåsa?"

Nityånanda dåsa rispose: "Sinceramente, vorrei cono-scere la mia posizione."

"Allora raccontami la tua storia, figliolo" disse Haridå-sa Båbåjî. "Se Nitåi me ne darà la facoltà, potrò dirti qual-cosa."

Nityånanda dåsa iniziò a raccontare di sè: "Sono nato inuna famiglia di bassa classe in un villaggio sulle rive del fiu-me Padmåvatî. Mi sono sposato molto giovane. Non sonomai caduto nell'indecenza. Quando mia moglie morì, nac-quero in me pensieri di distacco. Vidi che a Baragåchi vi-vevano molti Vaiß∫ava che avevano rinunciato alla vita difamiglia e che la gente li rispettava molto. Bramoso di rice-vere anch'io quel rispetto e spinto dal distacco momenta-neo che la morte di mia moglie aveva causato, mi recai a Ba-ragåchi e indossai l'abito del Vaiß∫ava mendicante. Dopoalcuni giorni la mia mente fu pervasa da pensieri immorali.Tuttavia, per mia grande fortuna, ebbi la compagnia di uneccellente Vaiß∫ava, puro e semplice. Attualmente lui vivee compie il bhajana a Vraja. Provando profondo affetto perme, egli mi diede consigli, mi tenne in sua compagnia e pu-rificò la mia mente, che ora non è più disturbata da pensie-

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"Senza la fede nella forma eterna del Signore e nell'ado-razione della Divinità fatta secondo le regole degli Ωåstra,non ci si può considerare Vaiß∫ava" disse Nityånanda då-sa. "Posso anche comprendere perchè questi siano i duesintomi principali; non capisco tuttavia perchè l'ascolto, ilcanto, il ricordo e le altre attività siano secondarie."

Haridåsa Båbåjî gli rispose: "Il Vaiß∫ava kani߆ha non co-nosce la natura intrinseca della Ωuddha-bhakti. L'ascolto, ilcanto, e tutto il resto sono aõga (divisioni) della Ωuddha-bhakti. A causa della mancanza di conoscenza della naturaintrinseca della Ωuddha-bhakti, il canto e l'ascolto delVaiß∫ava kani߆ha non assumono la loro connotazione prin-cipale; al contrario, essi si manifestano in aspetti secondari.Inoltre vi sono i tre gu∫a o qualità della natura materiale:sattva (virtù), raja˙ (passione), e tama˙ (ignoranza). Ciòche nasce da questi tre gu∫a si chiama gau∫a, che letteral-mente significa 'ciò che possiede delle qualità o che è se-condario'. Di conseguenza, finchè queste azioni si svolgonosotto il condizionamento dei gu∫a, sono definite gau∫a, se-condarie. Quando queste azioni diventeranno nirgu∫a, li-bere dall'influenza dei modi della materia, esse diventeran-no aõga della Ωuddha-bhakti e si sarà giunti allo stadio dimadhyama."

"Il Vaiß∫ava kani߆ha è contaminato dal difetto del kar-ma e del jñåna ed il suo cuore è colmo di desiderio per coseche non sono la bhakti" disse Nityånanda dåsa. "Come puòallora venir definito devoto?"

"La radice della bhakti è Ωraddhå." Rispose HaridåsaBåbåjî. "Chi ha Ωraddhå è eleggibile per la bhakti. Non c'èdubbio che egli si trovi sulla soglia della bhakti. La parolaΩraddhå significa viΩvåsa, fede. Quando il kani߆ha-bhaktarisveglia la propria fede nella sublime Divinità, si qualificaper la bhakti."

"Quando otterrà la bhakti?" Chiese Nityånanda dåsa.

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altri ed ottenere un enorme rispetto mostrando le lacrimeche sgorgano dai miei occhi e manifestando emozioni esta-tiche."

Haridåsa Båbåjî consigliò: "Devi sforzarti di tralasciaretutto questo, altrimenti la tua bhakti ne verrà pericolosa-mente intaccata. Se ciò accadesse, dovresti scendere di nuo-vo allo stadio kani߆ha. Anche se i sei nemici: lussuria, rab-bia, avidità, invidia, orgoglio e illusione sono svaniti, è ri-masto un desiderio di onore. Il desiderio di fama è il nemi-co più funesto per un Vaiß∫ava. Non acconsente a lasciarefacilmente il sådhaka. Inoltre, una sola goccia di emozionespirituale genuina è molto superiore ad una imitazione diemozioni."

"Vi prego, concedetemi la vostra misericordia" disseNityånanda dåsa e, prendendo la polvere dai piedi di lotodi Haridåsa Båbåjî, la pose con reverenza sulla propria te-sta. Subito Båbåjî si inquietò, si alzò e abbracciò Nityånan-da dåsa facendolo poi sedere al suo fianco. Com'è straor-dinario l'effetto del contatto con un Vaiß∫ava! In quel mo-mento lacrime presero a scendere dagli occhi di Nityånan-da dåsa. Tenendo un filo d'erba tra i denti in segno diumiltà, egli esclamò: "Sono molto degradato! Sono moltodegradato!" Haridåsa Båbåjî lo strinse al petto piangendo.Quale eccezionale impeto di emozioni spirituali! Da oggila vita di Nityånanda dåsa ha raggiunto il successo.

In breve l'emozione calò. Nel suo cuore Nityånanda då-sa accettò Ûrî Haridåsa come guru. Egli quindi chiese:"Quali sono relativamente alla bhakti le caratteristicheprincipali e quelle secondarie del kani߆ha-bhakta?"

Haridåsa Båbåjî rispose: "Le due principali caratteristi-che di un Vaiß∫ava kani߆ha sono: la sua fede nella formaeterna del Signore e la sua adorazione della Divinità. Le at-tività devozionali che egli compie, come l'ascolto, il canto, ilricordo e l'offrire preghiere sono caratteristiche secondarie."

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co per le orecchie ed il cuore. Gustando in continuazionequesti argomenti con l'ascolto e la contemplazione, veloce-mente ed in successione si ottiene Ωraddhå, rati e prema-bhakti per Me, la meta ultima della via lungo la quale lamukti viene incidentalmente superata.'

"Chi ascolta hari-kathå in compagnia dei devoti, gra-dualmente svilupperà Ωraddhå, rati e bhakti."

Nityånanda dåsa chiese: "Come si ottiene sådhu-sa∫ga?""Ho già detto che sådhu-sa∫ga si ottiene attraverso le

suk®ti acquisite dalle vite precedenti" rispose Haridåsa."Ciò è spiegato nello Ûrîmad-Bhågavatam (10.51.53):

bhavåpavargo bhramato yadå bhavejjanasya tarhy acyuta sat-samågama˙sat-saõgamo yarhi tadaiva sad-gatau

paråvareΩe tvayi jåyate rati˙'Signore Acyuta (Signore che sei nella Tua forma spiri-

tuale originale), la jîva vaga nel ciclo di nascite e di morti datempo immemorabile. Quando si avvicina il momento del-la sua liberazione da questo ciclo, essa ottiene sat-sa∫ga.Dal momento in cui ottiene sat-sanga, si attacca con fer-mezza a Te, che sei Controllore sia dello spirito che della ma-teria e che per i sådhu sei lo Scopo ultimo da raggiungere.'

"Se è solamente tramite il sådhu-sa∫ga che un kani߆ha-bhakta risveglia un'inclinazione per l'adorazione della Di-vinità, come è possibile affermare che egli non sta renden-do servizio ai devoti?" Chiese Nityånanda dåsa.

"Quando uno ottiene sådhu-sa∫ga, per sua buona fortu-na si risveglia viΩvåsa o fede nella Divinità" spiegò Haridå-sa Båbåjî. "Tuttavia l'adorazione della Divinità deve esse-re accompagnata dal servizio ai devoti. Finchè non si svi-luppa questo tipo di fede, la propria Ωraddhå è incompleta e

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"Quando la contaminazione del karma e del jñåna sa-ranno svanite, il kani߆ha-bhakta non desidererà altro chel'ananya-bhakti; quando comprenderà che vi è differenzatra il servizio agli ospiti in genere ed il servizio ai devoti e ri-sveglierà il piacere per il servizio ai devoti, servizio che pro-pizia la bhakti, allora sarà un Ωuddha-bhakta a livellomadhyama" fu la risposta di Haridåsa Båbåjî.

"La Ωuddha-bhakti compare insieme a sambandha-jñå-na" disse Nityånanda dåsa. "Quando si risveglia questa co-noscenza e come si diventa pronti per la Ωuddha-bhakti?"

Haridåsa Båbåjî rispose: "Quando la conoscenza conta-minata dalle concezioni måyåvåda viene cancellata, allorala vera sambandha-jñåna e la Ωuddha-bhakti si manifestanosimultaneamente."

"Quanto tempo ci vuole?" Volle sapere Nityånanda dåsa.Haridåsa Båbåjî rispose: "Maggiore è la forza delle suk®ti

delle precedenti attività, più velocemente ci si arriverà."Allora Nityånanda dåsa chiese: "Qual è il primo risulta-

to raggiunto dalle precedenti suk®ti?""Ottenere sådhu-sa∫ga," rispose Haridåsa."Che progressione si sviluppa dopo il sådhu-sa∫ga?"

Chiese Nityånanda dåsa.Haridåsa Båbåjî disse: "Nello Ûrîmad-Bhågavatam

(3.25.25) vi è una descrizione succinta relativa all'evoluzio-ne sistematica della bhakti:

satåµ prasaõgån mama vîrya-samvidobhavanti h®t-kar∫a-rasåya∫å˙-kathå˙

taj-joßa∫åd åΩv apavarga-vartamiΩraddhå ratir bhaktir anukramißyati

'Come risultato di una associazione a cuore aperto con ipuri devoti, si avrà l'opportunità di ascoltare la descrizionedelle Mie eroiche imprese, che sono come un nettare toni-

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Haridåsa Båbåjî rispose: "Se un kani߆ha-bhakta si asso-cia principalmente con le persone che nutrono inimicizia, ilsuo livello infantile di qualificazione per la bhakti svaniscein breve e la sua eleggibilità per karma e jñåna prende il so-pravvento, in altri casi non cresce nè diminuisce, rimaneesattamente la stessa."

"Quando avviene questo?" Chiese Nityånanda dåsa."Quando la compagnia con i devoti e con le persone che

nutrono inimicizia è di egual proporzione, non vi è pro-gresso nè involuzione" rispose Haridåsa Båbåjî.

Nityånanda dåsa chiese: "In quali circostanze il progres-so è sicuro?"

Haridåsa Båbåjî rispose: "Quando la compagnia dei de-voti diventa predominante e la compagnia con persone osti-li è al minimo l'avanzamento sarà rapido."

Nityånanda dåsa chiese allora: "Com'è la tendenza delkani߆ha-adhikårî verso le attività pie e peccaminose?"

Haridåsa Båbåjî spiegò: "Nello stadio preliminare l'in-clinazione per le attività empie e pie sarà come quella di co-loro che seguono la via del karma e del jñåna. Man manoche progredisce, quelle propensioni scompariranno e l'in-clinazione a dar piacere al Signore diventerà preponderan-te."

Soddisfatto Nityånanda dåsa dichiarò: "Maestro, ho ca-pito quali sono i sintomi del kani߆ha-adhikårî. Ora, ti pre-go, descrivi i principali sintomi dei bhakta madhyama-adhikårî."

Haridåsa Båbåjî MahåΩaya spiegò: "Il madhyama-bhak-ta ha ananya-bhakti per Krishna. Egli nutre amicizia per idevoti in quattro modi: åtma-buddhi, considera i devoti piùcari della sua stessa vita; mamatå-buddhi, prova per loro unaffetto intimo che ispira un reciproco sentimento di posses-sività dell'uno verso l'altro; îjya-buddhi, considera i devotimeritevoli di adorazione; e tîrtha-buddhi, li considera come

Jaiva-dharma

non ci si qualifica per l'ananya-bhakti."Nityånanda dåsa chiese: "Quali sono i diversi stadi di

progresso del kani߆ha-bhakta?"Haridåsa Båbåjî rispose: "Poniamo per esempio una per-

sona che ha sviluppato fede nella Divinità ma che non è an-cora libera dalle contaminazioni di karma e di jñåna e nu-tre ancora desideri estranei ma adora la Divinità del Signo-re ogni giorno. Per caso degli ospiti devoti giungono nelmomento dell'adorazione. Egli dà il benvenuto e li servecome farebbe con qualunque altro ospite. Il kani߆ha-bhak-ta osserva il comportamento e le azioni dei devoti e nellostesso tempo ha l'opportunità di ascoltare argomenti spiri-tuali basati sugli Ωåstra. Ascoltando e osservando, il ka-ni߆ha-bhakta inizia a sviluppare grande rispetto per il ca-rattere dei devoti.

"A questo punto diventa cosciente dei propri difetti. Ini-zia a seguire il comportamento dei sådhu e rettifica il pro-prio comportamento. Gradualmente, i suoi difetti dovuti alkarma e al jñåna iniziano a svanire. Più il suo cuore si puri-fica, più si libera dai desideri estranei. Lo studio degli Ωåstradiventa effettivo leggendo e ascoltando le narrazioni deipassatempi e delle verità fondamentali che riguardano l'on-tologia del Signore. Più egli prende in considerazione la na-tura spirituale del Signore Hari, del Suo Santo Nome e de-gli aõga della bhakti, come l'ascolto ed il canto, più la suasambandha-jñåna diventa via via stabile. Quando la suasambandha-jñåna è completata, egli ottiene lo stadio diVaiß∫ava madhyama. A questo punto la compagnia dei de-voti ed il servizio a loro rivolto, iniziano nel vero senso. Eglipuò allora distinguere la incomparabile superiorità dei de-voti rispetto agli ospiti normali e inizia a considerarli al li-vello di guru."

"Molti kani߆ha-bhakta non riescono a progredire" notòNityånanda dåsa. "Come mai?"

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Ottavo Capitolo

re?" Chiese Nityånanda dåsa, aggiungendo poi: "e se cosìfosse, perchè?"

Haridåsa Båbåjî chiarì: "Essi non desiderano vivere omorire, nè ottenere la liberazione. Essi desiderano viveresolamente per eseguire il bhajana."

"Perchè non bramano la morte?" Chiese Nityånandadåsa. "Che felicità si riscontra nel rimanere in un corpo ma-teriale grossolano? Quando giungerà la morte, non otter-ranno forse, per misericordia di Krishna, la loro forma eidentità spirituali?"

Haridåsa Båbåjî rispose: "Essi non nutrono desideri in-dipendenti; tutti i loro desideri dipendono dal volere diKrishna. E' loro ferma convinzione che tutto avvenga pervolere di Krishna, partendo da questi presupposti pensanoche quando un madhyama-bhakta desidera che qualcosa ac-cada, allora accadrà veramente. Perciò non han bisogno diaspirare a qualcosa indipendentemente."

Nityånanda dåsa sentì di aver compreso i sintomi delmadhyama-adhikårî ed allora desiderò conoscere i sintomidell'uttama-adhikårî, per cui chiese a Båbåjî di parlargliene.

Haridasa Båbåjî disse: "Le attività corporee dell'uttama-adhikårî sono sintomi secondari. Anche se, essendo sottoil controllo di prema che è al di là dell'influenza della natu-ra materiale, non si possono in realtà concepire separata-mente, come sintomi secondari."

"Maestro, i kani߆ha-adhikårî non rinunciano alla vita difamiglia e i madhyama-adhikårî possono vivere sia come ca-pifamiglia che rinunciati" disse Nityånanda dåsa. "E' pos-sibile che un uttama-adhikårî viva da capofamiglia?"

"Il grado di avanzamento nella bhakti è il solo criterioper determinare il livello di qualificazione" spiegò Haridå-sa. "Questo non può essere definito dal fatto di essere ca-pofamiglia o nell'ordine di rinuncia. Di certo non è un pro-blema se un bhakta uttama-adhikårî rimane capofamiglia.

Jaiva-dharma

un luogo di pellegrinaggio. Il madhyama-bhakta inoltreconcede la misericordia a coloro che ignorano la verità spi-rituale ed evita le persone di natura ostile. Sono queste leprincipali caratteristiche del madhyama-bhakta.

"Praticando il sådhana della bhakti, rappresentato daabhidheya (i mezzi) e sambandha-jñåna, si ottiene premaovvero prayojana (il fine). E' questa la metodologia deimadhyama-bhakta. In genere i madhyama-bhakta compio-no l'Harinåma, il kîrtana e altre simili attività in compagniadei devoti e senza commettere offese."

Nityånanda dåsa allora chiese: "E quali sono i sintomi se-condari?"

Haridåsa Båbåjî rispose: "Il modo in cui il madhyama-bhakta vive è uno dei sintomi secondari. La sua vita è to-talmente arresa al volere di Krishna e dedicata alla bhakti."

"Può ancora commettere peccati o offese?" ChieseNityånanda dåsa.

"All'inizio può ancora essere presente una qualche ten-denza a commettere peccati o offese" affermò HaridåsaBåbåjî. "Ma ciò gradualmente scompare. Qualsiasi pecca-to od offesa siano presenti nella fase iniziale di madhyama,sono come ceci che stanno per venir macinati e ridotti inpolvere. Poco prima che i ceci siano completamente maci-nati, sono ancora visibili piccoli pezzi, ma anch'essi subitodopo diverranno farina. Yukta-vairågya, la rinuncia corret-ta caratterizza la vita del madhyama-bhakta."

Nityananda-dasa chiese: "I madhyama-bhakta hanno an-cora tracce di karma, jñåna o di desideri impuri?"

Haridåsa rispose: "Nello stadio iniziale possono ancorapersistere delle tracce che però alla fine saranno sradicatecompletamente. Qualsiasi traccia di karma e jñåna si rendaoccasionalmente visibile all'inizio dello stadio di madhya-ma, gradualmente viene obliterata."

"Questi devoti conservano ancora il desiderio di vive-

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Ottavo CapitoloJaiva-dharma

Tutti i g®hastha-bhakta di Vraja erano uttama-adhikårî.Molti devoti di Ûrî Caitanya Mahåprabhu erano sposati ederano uttama-adhikårî. Råya Råmånanda è l'esempio piùimportante."

"Maestro" disse Nityånanda dåsa "Se un bhakta utta-ma-adhikårî è un g®hastha ed un bhakta madhyama-adhikårî è un rinunciato, quale deve essere il loro compor-tamento reciproco?"

"La persona meno qualificata deve offrire da∫∂avat-pra∫åma alla persona dalle qualifiche più elevate" risposeHaridåsa. "Questa regola va rispettata solamente a bene-ficio del madhyama-adhikårî, poichè il bhakta uttama-adhikårî non si aspetta di ricevere testimonianze di rispet-to da nessuno: egli vede Dio in ogni entità vivente."

"Si dovrebbero organizzare festival con molti Vaiß∫avaallo scopo di distribuire il prasåda del Signore?" ChieseNityånanda dåsa.

"Se molti Vaiß∫ava si riuniscono in una particolare occa-sione ed il devoto madhyama-adhikårî sposato vuole ono-rarli con la distribuzione del prasåda del Signore, non vi so-no obiezioni da un punto di vista spirituale" disse Haridå-sa. "Non è comunque raccomandata una esibizione pom-posa nel servire i Vaiß∫ava: altrimenti questa attività si mac-chierebbe del modo della passione. Uno deve distribuireprasåda ai Vaiß∫ava riuniti con grande cura ed attenzione,per dimostrare il ripetto che è giusto rivolgere loro. Se sidesidera servire i Vaiß∫ava in questo modo, bisogna invita-re solamente i puri Vaiß∫ava."

Nityånanda dåsa quindi spiegò cosa stava accadendo nelsuo villaggio. "A Baragåchi è nata una nuova casta, forma-ta da persone che si definiscono discendenti di Vaiß∫ava. Icapifamiglia kani߆ha-adhikårî li invitano e gli offrono ciboin nome del Vaiß∫ava seva (servizio). Come considerarequesta situazione?"

"Questi discendenti di Vaiß∫ava sono in grado di infon-dere la Ωuddha-bhakti?" Domandò Haridåsa BåbåjîMahåΩaya.

Nityånanda dåsa rispose: "In nessuno di loro ho riscon-trato Ωuddha-bhakti. Solamente si definiscono Vaiß∫ava.Alcuni non indossano altro che il perizoma."

"Non so perchè questo tipo di pratica sia diventato dimoda" disse il Båbåjî. "Ma non è una pratica da seguire.Posso solamente supporre che ciò stia avvenendo perchè ikani߆ha Vaiß∫ava non hanno la capacità di riconoscere unvero Vaiß∫ava."

Nityånanda dåsa chiese: "Ma i discendenti dei Vaiß∫avameritano un qualche riguardo speciale?"

"L'onore è dovuto solo a chi è Vaiß∫ava" rispose Ha-ridåsa. "Se i discendenti dei Vaiß∫ava sono a loro volta deipuri Vaiß∫ava, vanno onorati secondo il loro avanzamentonella bhakti."

"Che succede se il discendente di un Vaiß∫ava è una per-sona comune?" Chiese Nityånanda dåsa.

"In questo caso va considerato un uomo comune e nonun Vaiß∫ava; egli non dev'essere onorato come unVaiß∫ava," disse Haridåsa Båbåjî. "Vanno sempre ricor-date le istruzioni impartite da Ûrîman Mahåprabhu(Ûikßå߆aka 3):

t®∫åd api sunîcena taror api sahiß∫unåamåninå månadena kîrtanîya˙ sadå hari˙

'Considerando sè stessi più insignificanti di un filo d'er-ba, più tolleranti di un albero, privi di ogni desiderio di pre-stigio personale e offrendo rispetto agli altri, ci si deve as-sorbire costantemente nell'hari-kîrtana.'

"Si dovrebbe essere privi di orgoglio ed offrire il giustorispetto agli altri. A chi è Vaiß∫ava vanno offerti rispetti

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Ottavo Capitolo

gnificante. Come posso infliggere punizioni ad altri?'Quando questa attitudine si combina con la compassione,automaticamente appare il perdono. Anche il perdono èincluso nella bhakti.

"Krishna è satya, reale. Le jîve sono reali. Il fatto che lejîve siano servitrici di Krishna è reale. Il fatto che il mondomateriale sia solamente una casa di cura per le jîve è reale.Quindi anche la bhakti è reale perchè la relazione delle jîvecon Krishna, su cui poggiano queste verità, è quella dellabhakti. Verità, umiltà, compassione e perdono sono le quat-tro qualità speciali incluse nella bhakti."

Nityånanda dåsa allora pose un'altra domanda: "Comesi deve comportare un Vaiß∫ava verso coloro che si affidanoad altre religioni?"

In risposta Haridåsa disse: "Nello Ûrîmad-Bhågavatam(1.2.26) è detto:

nåråya∫a-kalå˙ Ωåntå˙ bhajanti hy anas¨yava˙'Coloro che sono liberi dalla propensione ad uccidere e

sono del tutto pacifici perchè privi di desideri materiali, ado-rano il Signore Nåråya∫a e le Sue manifestazioni plenarie.'

"Non esiste altro dharma all'infuori del dharmaVaiß∫ava. Tutti gli altri dharma che vengono o verrannopropagati nel mondo, sono sia dei gradini nella scala delVaiß∫ava dharma che delle sue distorsioni. Quei dharmache sono gradini che conducono alla bhakti vanno rispetta-ti a seconda del loro grado di purezza. Nè si dovrebbe pro-vare avversione per i dharma che sono distorsioni dellabhakti; ci si deve però focalizzare esclusivamente sul colti-vare le proprie verità devozionali, ma senza provare nessu-na animosità per i seguaci di altre religioni. Quando i tem-pi matureranno, i seguaci di altri dharma facilmente diven-teranno Vaiß∫ava; su questo non vi è nessun dubbio."

Jaiva-dharma

adatti ai Vaiß∫ava, e verso chi non è Vaiß∫ava rispetti adat-ti per un essere umano. Se non si rispetta il prossimo, non siacquisiscono le qualifiche necessarie per cantare il SantoNome."

"Come si può essere privi di orgoglio?" Chiese Nityå-nanda dåsa.

Haridåsa rispose: "Non si deve pensare orgogliosamen-te: 'Sono un bråhma∫a, sono ricco, sono un erudito, sono unVaiß∫ava' oppure 'sono uno che ha rinunciato alla vita di fa-miglia.' Di certo si può rispettare chi possiede questi attri-buti, ma non si deve nutrire nessun desiderio di ricevereonore dagli altri, spinti da orgoglio egoistico. Bisogna sem-pre pensare a sè stessi come ad una persona povera, insi-gnificante e più piccola di un filo d'erba."

Nityånanda dåsa commentò: "Da ciò deduco che non sipuò essere Vaiß∫ava se non si è umili e compassionevoli."

Haridåsa confermò: "E' verissimo.""Allora bhakti-devî dipende dall'umiltà e dalla compas-

sione?" Chiese Nityånanda dåsa."No," rispose Haridåsa. "La bhakti è completamente

indipendente. La bhakti è la personificazione della bellez-za e dell'ornamento. Non dipende da nessun'altra qualità.L'umiltà e la compassione si trovano all'interno della bhak-ti; non sono qualità da lei separate. 'Sono un servitore diKrishna, sono un disgraziato, non ho nulla, Krishna è tuttociò che possiedo.' La bhakti che si esprime attraverso que-ste espressioni è in sè dainya, umiltà.

"La tenerezza che si sente per Krishna nel cuore è cono-sciuta col nome di bhakti. Tutte le jîve sono servitrici diKrishna. Quando si sperimenta nel cuore tenerezza per glialtri, allora si tratta di dayå, compassione. Perciò anche lacompassione è compresa nella bhakti.

"La qualità che si colloca tra l'umiltà e la compassioneviene definita kßamå, perdono. 'Sono disgraziato ed insi-

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CAPITOLO NOVEReligione eterna, scienza e

civiltà materiale

Da tre o quattro anni Låhirî MahåΩaya viveva a Ûrî Go-druma in compagnia dei Vaiß∫ava, il suo cuore si era perciòpurificato. Recitava l'Harinåma in continuazione, anchementre mangiava o dormiva. Indossava abiti semplici e nonusava nè scarpe nè sandali. Aveva estirpato il suo orgogliodi casta a tal punto che, non appena vedeva un Vaiß∫ava, glioffriva da∫∂avat-pra∫åma e gli prendeva la polvere dai pie-di. Era alla ricerca costante di puri Vaiß∫ava per poter ono-rare le rimanenze del loro pasto. I suoi figli gli facevano vi-sita regolarmente ma quando compresero il suo sentimen-to, non ebbero più l'audacia di proporgli di tornare a casacon loro. Vedendo Låhirî MahåΩaya, si sarebbe certamen-te concluso che era diventato un båbåjî Vaiß∫ava.

Ascoltando la filosofia esposta dai Vaiß∫ava di Ûrî Go-druma, Låhirî MahåΩaya aveva realizzato che il principioessenziale era il distacco autentico coltivato nel cuore e nonl'adozione esterna degli abiti da rinunciato. Per ridurre alminimo le proprie necessità, seguendo l'esempio di ÛrîSanåtana Gosvåmî, da una stoffa ne ricavò quattro pezzi eli utilizzò per coprirsi. Tuttavia egli indossava ancora il filosacro attorno al petto, pratica che viene generalmente ab-bandonata dai båbåjî. Ogni qualvolta i suoi figli gli offriva-no del denaro, egli diceva: "Non voglio soldi dai materiali-sti." Suo figlio maggiore, CandraΩekara, una volta gli portòcento monete per organizzare un festival e nutrire iVaiß∫ava; ricordando l'esempio di Ûrî Dåsa Gosvåmî, Låhirî

Jaiva-dharma

Questa risposta stimolò Nityånanda dåsa a formulareun'altra domanda: "E' nostro dovere predicare il Vaiß∫avadharma?"

"Certamente sì" rispose Haridåsa. "Il nostro Ûrî Cai-tanya Mahåprabhu ha affidato a tutti la responsabilità didiffondere questo dharma (Ûrî Caitanya-Caritåm®ta, Ådi-lîlå 7.92 e 9.36):

nåca, gåo, bhakta-saõge kara saõkîrtanak®ß∫a-nåma upadeΩi' tåra' sarva-jana

'Danzate, cantate e fate il saõkîrtana in compagnia di de-voti. Istruendo gli altri a cantare il Santo Nome di Krishna,liberateli tutti.'

ataeva åmi åjñå diluñ sabåkårejåhåñ tåhåñ prema-phala deha' yåre tåre

'Perciò ordino ad ognuno di distribuire i frutti dell'amo-re per Dio ovunque e a chiunque incontrate.'

"E' necessario comunque ricordare " mise in guardia Ha-ridåsa Båbåjî, "che il Santo Nome non deve essere dato a per-sone non qualificate. Queste persone devono prima di tuttodiventare qualificate; solamente allora potranno essere istrui-te sul canto del Santo Nome. Quando è giusto applicareupekßå (rifiuto), come ad esempio con le persone ostili, que-ste indicazioni di Ûrîman Mahåprabhu non vanno applicateperchè tentare di illuminare queste persone sarebbe sola-mente un impedimento alla predica."

Dopo aver ascoltato le dolci parole di Haridåsa BåbåjîMahåΩaya, colmo d'amore, Nityånanda dåsa si rotolò in terraai piedi di Båbåjî. La casa risuonò col nome del Signore Hariacclamato dai Vaiß∫ava. Tutti offrirono da∫∂avat-pra∫åma aBåbåjî MahåΩaya. L'incontro in quella casa appartata nella fo-resta ebbe fine e tutti tornarono alle loro rispettive dimore.

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Nono Capitolo

Digambara Ca††opådhyåya era un uomo astuto, studiosodel tantra-Ωåstra ed anche espertissimo nelle usanze della ci-viltà Musulmana. Persino studiosi e insegnanti Musulmanisi arrendevano a Digambara per ciò che riguardava le lin-gue Farsi e Arabo. Se avesse incontrato un erudito bråh-ma∫a, Digambara lo avrebbe lasciato ammutolito con le sueesperte argomentazioni sul tantra-Ωåstra. Aveva guadagna-to una reputazione significativa a Delhi, Lucknow e altrecittà. Nel suo tempo libero aveva scritto un libro: 'Il Tan-tra-saõgraha, un compendio sul Tantra.' La sua vasta eru-dizione era stata dimostrata nel commento ai versi conte-nuti in questo libro.

Prendendo con sè il Tantra-saõgraha, Digambara salì sul-la barca con spirito ardente. In sei ore arrivò a Ûrî Godru-ma. Rimanendo nella barca attraccata alla darsena, Di-gambara diede ad un uomo intelligente delle istruzioni e lomandò da Ûrî Advaita dåsa.

L'inviato di Digambara Ca††opådhyåya trovò Ûrî Advai-ta dåsa seduto nella sua capanna mentre cantava l'Harinå-ma. L'uomo offrì pra∫åma a Ûrî Advaita dåsa.

Advaita dåsa chiese: "Chi sei e perchè sei venuto qui?"L'uomo rispose: "Sono stato mandato dal venerabile Di-

gambara Ca††opådhyåya. Chiede se Kålidåsa si ricorda an-cora di lui oppure no."

Ûrî Advaita dåsa disse: "Dov'è Digambara? Lui è il mioamico d'infanzia. Come potrei dimenticarlo? Ha adottatoil Vaiß∫ava dharma ora?"

L'uomo rispose: "Si trova in una barca nella darsena.Non saprei dirti se sia un Vaiß∫ava oppure no."

Advaita dåsa chiese: "Perchè è rimasto in darsena? Per-chè non è venuto qui?"

Sentito ciò, il messaggero se ne ripartì per andare adinformare Digambara. Nel giro di un'ora DigambaraCa††opådhyåya accompagnato da pochi altri gentiluomini,

Jaiva-dharma

MahåΩaya rifiutò le monete.Un giorno Paramahaµsa Båbåjî disse: "Låhirî

MahåΩaya, ora sei libero da ogni traccia di comportamentonon Vaiß∫ava. Anche se abbiamo preso i voti da mendi-canti, sulla rinuncia possiamo imparare molto da te. Devisolo accettare un nome Vaiß∫ava e tutto sarà perfetto."

Låhirî MahåΩaya rispose: "Tu sei il mio parama guru. Tiprego, fa ciò che credi."

Båbåjî MahåΩaya disse: "La tua casa si trova a Ûrî Ûånti-pura (luogo d'origine di Ûrî Advaita Prabhu). Quindi tichiameremo Ûrî Advaita dåsa."

Låhirî MahåΩaya cadde a terra offrendo prostrati omag-gi e accettò la misericordia del suo nuovo nome. Da quelgiorno tutti lo chiamarono Ûrî Advaita dåsa e facevano ri-ferimento alla capanna nella quale abitava e compiva ilbhajana, come advaita-ku†îra.

Un amico d'infanzia di Advaita dåsa, DigambaraCa††opådhyåya aveva accumulato un cospicuo patrimonio econseguito una grande reputazione fornendo importantiservigi all'amministrazione reale Musulmana. Quando Di-gambara Ca††opådhyåya raggiunse l'anzianità di servizio, siritirò dall'impiego governativo e tornò al villaggio di Am-bikå a cercare Låhirî MahåΩaya. Lì venne a sapere che ilsuo amico d'infanzia aveva lasciato la casa e che viveva aGodruma col nome di Ûrî Advaita dåsa trascorrendo i gior-ni nel canto dell'Harinåma.

Dingambara Ca††opådhyåya era un dogmatico adorato-re della Dea Durga. Egli si sarebbe tappato le orecchie conle mani solo al sentir pronunciare la parola 'Vaiß∫ava'. Do-po aver avuto notizia della (per lui) caduta del suo caro ami-co, disse al suo servitore: "Vamana dåsa, prepara subito unabarca. Devo correre a Navadvîpa per liberare il mio amicoKålidåsa, che è caduto in disgrazia." Il servitore affittò im-mediatamente una barca e ne informò il suo padrone.

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Nono Capitolo

versare il Gange per incontrarmi ad Ambikå. Il tempo checi rimane da vivere potremmo spenderlo cantando e stu-diando insieme il tantra-Ωåstra, ma guardati! Il fato mi haelargito un colpo crudele. Sei diventato un inutile ammas-so di sterco; senza utilità in questa vita e nella prossima.Dimmi, come ti è potuto accadere?"

Advaita dåsa si rese subito conto che quella persona, ilsuo amico d'infanzia, era la compagnia più indesiderabile.Iniziò a pensare a come sfuggire ai suoi artigli. Egli disse:"Fratello Digambara, ti ricordi di quel giorno ad Ambikåquando giocavamo a gullî-da∫∂å (cricket) e raggiungemmoun vecchio albero di tamarindo?"

Digambara rispose: "Sì, sì, mi ricordo molto bene. Eral'albero di tamarindo che si trovava proprio di fianco allacasa di Gaurîdåsa Pa∫∂ita. Gaura-Nitåi erano soliti sedereall'ombra di quell'albero."

Advaita dåsa disse: "Fratello, mentre giocavamo tu di-cevi: 'Non toccare quest'albero di tamarindo. La zia del fi-glio di Ûacî si siede qui. Se tocchiamo quest'albero dovre-mo diventare dei rinunciati."

"Sì, ricordo molto bene" disse Digambara. "Avevo no-tato la tua inclinazione verso i Vaiß∫ava e ti dicevo: 'Cadrainella trappola di Gauråõga.'"

"Fratello, era quella la natura della mia vita. Allora erosolo sull'orlo della trappola, ora ci sono veramente caduto"disse Advaita dåsa.

Digambara gli propose: "Prendi la mia mano ed esci.Non va bene rimanere intrappolati."

Advaita dåsa rispose: "Fratello, io sono molto felice inquesta trappola. Prego di poter rimanere qui per sempre.Toccala anche soltanto una volta e te ne renderai conto an-che tu."

"Io lo so già" disse Digambara. "All'inizio sembra feli-cità ma poi finisce nell'inganno."

Jaiva-dharma

arrivò all'advaita-kutîra. Digambara era sempre stato unuomo dal cuore generoso, ed ora, vedendo il suo vecchioamico, il suo cuore fu sommerso dalla gioia. Abbracciò ÛrîAdvaita dåsa e cantò una canzone da lui stesso composta:

kålî! tomåra lîlå-khelå ke jåne må, tribhuvane?kabhu purußa, kabhu nårî, kabhu matta hao go ra∫e

brahmå ha'ye s®ß†i kare, s®ß†i nåΩa ha'ye hara,viß∫u ha'ye viΩva-vyåpî påla go må, sarva-janek®ß∫a-rüpe v®ndåvane, våµΩî båjåo vane vane

(åbåra) gaura ha'ye navadvîpe, måtåo sabe saõkîrtane

'Madre Kålî, chi nei tre mondi è in grado di sondare i tuoipassatempi? A volte tu prendi l'aspetto di uomo, a volte didonna e a volte appari in battaglia con aria truce. Come Si-gnore Brahmå tu crei l'universo, come Signore Ûiva lo di-struggi, e come Signore Viß∫u lo pervadi e mantieni in vitatutte le entità viventi. Come Ûrî Krishna tu appari a V®ndå-vana e vai di foresta in foresta suonando il flauto. Poi, an-cora come Ûrî Gaura, appari a Navadvîpa e rendi tutti eb-bri con il canto del Santo Nome.'

Advaita dåsa offrì a Digambara Ca††opådhyåya un seg-gio di foglie e gli disse: "Vieni fratello, vieni. Ci incontriamodopo tanto tempo!"

Digambara si sedette. Le lacrime tradivano il suo affet-to mentre si accingeva a parlare: "Fratello mio, Kålidåsa,come farò? Ora sei diventato un rinunciato e non ti curi nèdei deva nè dei tuoi doveri religiosi. Sono giunto dal Punjabpieno di speranza. I nostri amici d'infanzia PeΩå, Påglå,Khendå, Girish, IΩe Påglå, Dhanå l'artigiano, Kele il car-pentiere e Kånti Ba††acårjî, sono tutti morti. Ora siamo ri-masti solo tu ed io. Qualche volta potrei attraversare ilGange ed incontarti a Ûåntipura ed a volte potresti tu attra-

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Nono Capitolo

mentali. Anche se purußa e pråk®ti si manifestano come dif-ferenti fenomeni, essi in realtà sono uno, come le due metàdi un cece. Se sbucci il cece, vi saranno due metà ma semanterrai la buccia, ve n'è solo uno. Purußa è la coscienzae pråk®ti la materia inerte. Quando coscienza e materiainerte si fondono a costituire una sostanza indifferenziata,ne risulta il Brahman."

Advaita dåsa chiese: "Questa tua madre è pråk®ti, fem-minile, o purußa, maschile?"

Digambara rispose: "A volte è maschile ed a volte fem-minile."

Advaita dåsa disse: "Se purußa e pråk®ti sono come ledue metà del cece coperto dalla buccia, qual è allora la ma-dre e quale il padre?"

"Stai ponendo una domanda filosofica?" Esclamò Di-gambara. "Eccellente! Noi conosciamo bene la verità. Ele cose stanno così: che la madre è pråk®ti (materia) ed ilpadre è caitanya (coscienza)."

Advaita allora chiese: "E tu chi sei?"Digambara rispose: 'påΩa-baddho bhavej jîva˙ paΩå-

mukta˙ sadåΩiva˙': quando uno è prigioniero delle corde dimåyå è una jîva e quando è libero da quelle corde è il Si-gnore SadåΩiva.

Advaita dåsa insistè: "Quindi sei spirito o materia?"Digambara rispose: "Io sono spirito e la Madre è mate-

ria. Quando sono prigioniero, Lei è la Madre; quando di-vento liberato, Lei è mia moglie."

"Splendido!" Disse Advaita dåsa. "Ora l'intera verità èstata esposta senza ombra di dubbio. La persona che at-tualmente è tua madre, diventerà tua moglie. Da dove haitratto questa filosofia?"

Digambara rispose: "Fratello, io non sono come te, chesemplicemente vaghi qui e là dicendo: 'Vaiß∫ava, Vaiß∫ava.'Ho acquisito questa conoscenza frequentando un gran nu-

Jaiva-dharma

"Ed in quale trappola sei tu?" Chiese Advaita dåsa. "Tiaspetti una grande felicità alla fine? Non deludere te stes-so."

Digambara rispose: "Guarda, noi siamo servitori dellaDea Mahåvidyå (Durgå). Ora siamo felici e lo saremo an-che nell'aldilà. Tu ora pensi di star sperimentando la feli-cità ma non ti rendi conto di non avere nessuna felicità, inol-tre, alla fine, la tua sofferenza sarà infinita. Davvero noncapisco come si possa diventare un Vaiß∫ava. Guarda, noiproviamo piacere mangiando carne e pesce, andiamo benvestiti e siamo più civili di voi Vaiß∫ava. Godiamo di ognipiacere che la scienza materiale ci propone. Voi vi private ditutte queste cose ed in conclusione non otterrete neppurela liberazione."

"Fratello, perchè dici che per me non ci sarà liberazione?Chiese Advaita dåsa.

Digambara rispose: "Chiunque sia indifferente a MadreNiståri∫î (colei che concede la liberazione) non potrà maiottenere la salvezza, neppure il Signore Brahmå, il SignoreHari o il Signore Ûiva: Madre Niståri∫î è il potere primor-diale è Lei che manifesta Brahmå, Viß∫u e MaheΩa e li man-tiene con la sua potenza attiva, kårya-Ωakti. Quando quellaMadre desidera, tutto rientra nel suo grembo che è come unvascello contenente l'intero universo. Hai mai adorato laMadre per invocare la sua misericordia?"

Advaita dåsa gli chiese: "Madre Niståri∫î è un'entità co-sciente oppure materia inerte?"

Digambara rispose: "E' la coscienza personificata e pos-siede un volere indipendente. E' solamente per suo desi-derio che lo spirito viene creato."

"Cos'è purußa, lo spirito, e cos'è pråk®ti, la materia?"Chiese Advaita dåsa.

Digambara rispose: "I Vaiß∫ava si impegnano solo nelbhajana; essi non conoscono le verità filosofiche fonda-

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zardò Advaita dåsa.Digambara dichiarò: "Tu sei il mio amico d'infanzia. Da-

rei la mia vita per te. Come potrei diventare intolleranteverso qualsiasi cosa tu possa dire? Mi piace essere cortesee quindi, anche se mi arrabbiassi, le mie parole rimarrebbe-ro dolci. Più si riescono a controllare i sentimenti, più ci sipuò considerare persone colte."

Allora Advaita dåsa disse: "La vita umana è molto brevee i triboli sono molti. In questo breve lasso di tempo, l'uni-co dovere dell'umanità è quello di adorare il Signore Haricon semplicità. Studiare i modi della civiltà e della culturamateriale significa semplicemente prendere in giro la pro-pria anima. Quel che io ho capito è che la parola sabhyatå(civiltà) è semplicemente un altro nome di Ωathatå (civiltàdell'imbroglio). Finchè l'essere umano non sceglie la viadella verità, rimane uno sciocco. Chi sceglie la via della di-sonestà desidera mostrarsi civilizzato e compiacere gli altricon dolci parole mentre interiormente rimane dedito al-l'imbroglio e ad un agire peccaminoso. Ciò cui tu ti riferiscicome civiltà non possiede qualità. La verità e la semplicitàsono le sole qualità.

"Al giorno d'oggi l'usanza di nascondere dentro di sè lapropria depravazione, viene definita civiltà. La parolasabhyatå significa letteralmente 'essere idonei a partecipa-re ad una sabha, assemblea virtuosa'. Questa è la vera ci-viltà. Questo livello di comprensione è andato però gra-dualmente deteriorandosi, al punto che ora tu fai riferi-mento alla falsità definendola civiltà. In realtà quella civiltàche è libera dal peccato e dall'imbroglio si riscontra sola-mente tra i Vaiß∫ava. La civiltà satura di peccato è invecemolto apprezzata tra i non Vaiß∫ava. La civiltà cui ti riferi-sci non ha nessuna relazione con il nitya-dharma della jîva.

"Indossare abiti alla moda per attrarre gli altri è la tuadefinizione di civiltà, le prostitute allora sono più civili di te.

Jaiva-dharma

mero di sannyåsî, brahmacårî e tantrika perfetti e liberati, eho studiato il tantra-Ωåstra giorno e notte. Se vuoi possometterti in grado di comprendere questa conoscenza."

Advaita dåsa pensò tra sè: "Che sfortuna orrenda!" Adalta voce disse: "Molto bene. Ti prego, chiariscimi: cos'è ci-viltà e cos'è scienza materiale."

Digambara spiegò: "Civiltà significa esprimersi con cor-tesia in una società acculturata, vestirsi in maniera decoro-sa, avere maniere piacevoli e mangiare e comportarsi in mo-do tale da non essere ripugnante per gli altri. Tu non fai nes-suna di queste cose."

"Come fai a dirlo?" Chiese Advaita dåsa.Digambara rispose: "Tu sei un asociale. Non ti mischi

con gli altri. I Vaiß∫ava non hanno mai imparato cosa si-gnifica compiacere gli altri con parole dolci. Non appenafanno cadere lo sguardo su di una persona, gli comandanodi cantare l'Harinåma. Perchè non è possibile fare nes-sun'altra discussione civile? Se qualcuno vede il vostro ab-bigliamento, immediatamente vi proibisce di sedere in unqualunque consesso. Avete un singolare ciuffo di capellisulla testa e appeso al collo un mesto sacchetto che contie-ne delle palline, inoltre siete seminudi. Che tipo di corredoè mai questo? Mangiate solamente frutta, verdura e radici.Voi non siete per nulla civili."

Advaita dåsa arrivò in conclusione a pensare che, se fos-se iniziato un litigio e Digambara se ne fosse andato via ar-rabbiato, sarebbe stato per lui un grande sollievo; quindidisse: "Il tuo tipo di vita civile garantirebbe un'opportunitàdi ottenere la destinazione più elevata nella prossima vita?"

Digambara rispose: "La cultura in sè non garantisce unadestinazione più elevata nella prossima vita, ma senza cul-tura come può una società elevarsi? Se la società è elevata,allora ci si può sforzare per progredire nella prossima vita."

"Fratello, se non ti arrabbi, vorrei dire una cosa" az-

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mo saggio esser felice in una simile civiltà? La venerazioneverso una civiltà di uomini rozzi può essere alimentata so-lamente con argomenti inconsistenti e con l'intimidazionefisica."

"Alcuni sostengono che nel mondo la conoscenza stagradualmente aumentando e che man mano la società tra-sformerà la Terra in paradiso" controbattè Digambara.

Advaita dåsa disse: "E' un'idea semplicemente fantasio-sa, e la fede di chi ci crede è ancor più singolare; ma più ter-ribile ancora è l'audacia di coloro che propagandano que-sta visione senza realmente crederci. La conoscenza è didue tipi: påramårthika, quella che si riferisce alla verità eter-na; e laukika, quella che fa riferimento a questo mondotransitorio. La conoscenza påramårthika non sembra sia inaumento anzi, nella maggiorparte dei casi, è contaminata ri-spetto alla sua natura originale. E' solamente la conoscen-za laukika che sembra in aumento. La jîva ha forse una re-lazione eterna con la conoscenza laukika? Quando laukika-jñåna aumenta, la mente delle persone viene deviata da sco-pi materiali temporanei e rifiuta la verità spirituale origina-le. Credo fermamente che più la laukika-jñåna aumenta,più aumenta l'ambiguità della civiltà. E' una grande sfor-tuna per le entità viventi."

"Una sfortuna? Perchè mai?" Chiese Digambara."Ho detto prima che la vita umana è molto corta" af-

fermò Advaita dåsa. "Come viaggiatori in una locanda, lejîve devono usare questo breve lasso di tempo per prepa-rarsi alla loro destinazione finale. Sarebbe una vera e pro-pria sciocchezza se spendessero interamente il loro tempopreoccupandosi di migliorare le condizioni della loro brevepermanenza senza darsi pensiero della destinazione finale.Più il coinvolgimento con la conoscenza materiale aumen-ta, meno tempo si ha a disposizione per le questioni spiri-tuali. E' mia convinzione che la conoscenza vada usata so-

Jaiva-dharma

Tutto quello che va detto sull'abbigliamento è che serve percoprire il corpo, dev'essere pulito e senza cattivi odori. Ilcibo è a sua volta senza difetti quando è puro e nutriente.Secondo te, quello che importa è che il cibo abbia un buongusto. Non prendi neppure in considerazione il fatto che siapuro o no. La carne ed il vino sono impuri di natura ed unaciviltà basata sul loro consumo è semplicemente una societàbasata sul peccato. Quella che attualmente viene conside-rata civiltà non è altro che la civiltà di Kali-yuga."

Digambara interloquì: "Hai dimenticato la civiltà degliimperatori Musulmani? Tieni presente che molte personeben educate che siedono alla corte dell'imperatore Musul-mano, sono persone raffinate e parlano rispettando l'eti-chetta."

Advaita dåsa respinse tutto dicendo: "Quello è soltantoun comportamento mondano. Quali mancanze vi sono ve-ramente in un uomo che non pratica queste formalità ester-ne? Fratello, tu hai servito il governo Musulmano per mol-to tempo e sei diventato partigiano di quel tipo di civiltà. Inrealtà la vita umana diventa civile solo quando è senza pec-cato. La civiltà di Kali-yuga che sta avanzando a causa del-l'aumento dei peccati, non è altro che ipocrisia."

"Guarda" disse Digambara "l'opinione degli uominimoderni ed educati è che civiltà significa essere umanitari.Coloro che non sono civili non sono da considerare esseriumani. Vestire le donne in modo attraente nascondendoperciò i loro difetti, è considerato un segno di raffinatezza."

Advaita dåsa disse: "Solamente considera se questa ideaè buona o cattiva. Io sento che coloro cui tu fai riferimentocome persone educate, sono semplicemente esseri rozzi chehanno tratto profitto dai tempi. A causa delle impressionipeccaminose presenti nei loro cuori e poichè reputano op-portuno nascondere i loro errori, queste persone finisconoper favorire questa civiltà dell'imbroglio. Come può un uo-

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Advaita dåsa disse: "Digambara, hai affermato che iVaiß∫ava non hanno interesse per vijñåna, che comune-mente viene riferita alla scienza materiale, ma questo nonè vero. Secondo i quattro versi originali dello Ûrîmad-Bhå-gavatam, la conoscenza pura dei Vaiß∫ava è vijñåna-sa-manvita, una conoscenza cioè caratterizzata dall'esperien-za pratica. Ciò viene espresso con le seguenti parole(2.9.30):

Ωrî bhagavån uvåcajñånaµ parama-guhyaµ me yad-vijñåna-samanvitam

sarahasyaµ tad-aõgaµ ca g®hå∫a goditaµ måyå

'Ûrî Bhagavån disse: “Brahmå, la conoscenza che riguar-da Me è il mistero più elevato. Essa è caratterizzata dal po-tere dell'esperienza, è di natura confidenziale ed è costitui-ta da diverse parti. Devi abbracciare questa conoscenza cheIo ho spiegato.”'

Advaita dåsa continuò: "Prima della creazione, quandoBhagavån si compiacque dell'adorazione di Brahmå, glidiede delle istruzioni che contenevano i principi del purodharma Vaiß∫ava dicendo: 'Brahmå, ti affido questa cono-scenza confidenziale che Mi riguarda. Essa è arricchita dal-la potenza della realizzazione, contiene il mistero di premaed è composta dagli aõga della sådhana-bhakti. Accetta tut-to questo da Me.'

"Digambara, la conoscenza è di due tipi: Ωuddha-jñåna(conoscenza pura) e vißaya-jñåna (conoscenza degli ogget-ti materiali o conoscenza degli oggetti materiali acquisitamediante i sensi). Quest'ultima (vißaya-jñåna) è imperfet-ta e di conseguenza di nessuna utilità per il discernimentodegli oggetti trascendendali. La sua utilità è limitata allaconduzione degli affari della jîva condizionata all'interno

Jaiva-dharma

lamente quel tanto che è essenziale per mantenersi in vita.Non è necessario eccedere nella conoscenza materiale enella sua compagna, la civiltà materiale. Per quanti giornidurerà questo luccichio terreno?"

"Vedo che sono caduto tra gli artigli di un rinunciato in-flessibile," dichiarò Digambara. "Allora la società non è dinessuna utilità?"

"Dipende dalla sua composizione" rispose Advaita då-sa. "La funzione di una società di Vaiß∫ava è molto benefi-ca per le jîve. Se è invece una società di non Vaiß∫ava o sem-plicemente una società secolare, la funzione che svolge nonè di vantaggio per le jîve." Poi Advaita dåsa aggiunse: "Ab-biamo parlato a sufficienza di questo argomento; dimmi oracosa intendi per scienza materiale?"

Digambara rispose: "Nel tantra-Ωåstra vengono delinea-ti molti tipi di scienza materiale. Qualsiasi conoscenza, abi-lità e bellezza si trovino nel mondo materiale, sono da in-cludere nella scienza materiale. Tutti i rami della cono-scenza, inclusa l'arte militare, la medicina, la musica, la dan-za e l'astronomia, fanno parte della scienza materiale."

Digambara si sentiva euforico dovendo ancora esporredei principi filosofici. Egli disse: "La pråk®ti (natura mate-riale) è il potere primordiale; lei mantiene e manifesta que-sto universo materiale e, tramite la sua energia, ha creato lavarietà in esso contenuta. Ciascuna forma di vita è un pro-dotto di questa energia ed ogni forma è accompagnata dal-la conoscenza o dalla scienza corrispondente. Quando siacquisisce quella conoscenza ci si libera dai peccati com-messi verso Madre Niståri∫î. I Vaiß∫ava non ricercano que-sta conoscenza, ma noi Ωakta otterremo la liberazione pro-prio tramite la potenza di questa conoscenza. Consideraquanti libri sono stati scritti conformemente a questa cono-scenza da grandi uomini dei paesi Yavana, quali Platone,Aristotele, Socrate ed il famoso Håkim."

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gresso materiale conduce indirettamente a trar vantaggiodal progresso spirituale dei Vaiß∫ava, i quali a loro voltapossono utilizzare i prodotti di questi sforzi nell'adorazio-ne del Signore Hari. Puoi certamente far riferimento al-l'insignificante conoscenza materiale di coloro che ricerca-no il progresso materiale con la parola pråk®tika-vijñåna(scienza naturale). Non ci sono obiezioni su ciò; sarebbesciocco litigare sui nomi."

Digambara disse: "Bene, se non vi è avanzamento nellaconoscenza materiale, come potreste voi Vaiß∫ava essere ingrado di soddisfare in modo conveniente i vostri bisognimateriali ed essere così liberi di impegnarvi nel bhajana?Anche voi dovete fare degli sforzi per il progresso materia-le."

Advaita dåsa rispose: "Le persone lavorano in modi dif-ferenti secondo le loro rispettive inclinazioni e Dio, il Su-premo Controllore di tutti, concede a ciascuno il giusto ri-sultato delle proprie azioni."

"Da dove viene la propensione?" Chiese Digambara.Advaita dåsa rispose: "Da impressioni acquisite nelle vi-

te precedenti e fortemente radicate nel cuore. Più ampio èl'impegno nel campo materiale, maggiori sono l'esperienzae la conoscenza della materia e dei manufatti che originanoda questa conoscenza. Le cose che queste persone produ-cono possono essere d'aiuto ai Vaiß∫ava poichè sono ancheoggetti da usare nel servizio a Krishna. Tuttavia per iVaiß∫ava non vi è la necessità di impegnarsi per essi in mo-do specifico. Vedi, i carpentieri costruiscono carri per po-ter vivere, e i g®hastha Vaiß∫ava usano quei carri come ba-samento su cui poggiare la Divinità. Le api raccolgono ilmiele secondo la loro attitudine, e i devoti accettano quelmiele per il servizio alla Divinità. Non tutte le jîve del mon-do si impegnano per elevarsi spiritualmente. Esse sono im-pegnate in differenti tipi di lavoro spinte dalle loro inclina-

Jaiva-dharma

dell'esistenza materiale. La conoscenza che riguarda la co-scienza spirituale si chiama Ωuddha-jñåna. Questa cono-scenza è alla base dell'adorazione Vaiß∫ava ed è eterna. Laconoscenza spirituale è l'antitesi della conoscenza materia-le e si erge in contrapposizione a quest'ultima. Tu fai riferi-mento alla vißaya-jñåna come se fosse vijñåna ma, nel verosenso del termine, la vißaya-jñåna non è vijñåna.

"La parola vi-jñåna letteralmente significa 'conoscenzacontrastante'. Il prefisso 'vi' significa opposizione o distin-zione. Il tuo åyur-veda ed altri tipi di conoscenza materialeche sono in contrasto con la conoscenza spirituale pura,fanno perciò comunemente riferimento ad essa come vijñå-na. Tuttavia ciò che veramente s'intende per vijñåna è quel-la conoscenza pura distinta dalla conoscenza materiale.Jñåna, la conoscenza di una sostanza veramente duratura evijñåna, la conoscenza della distinzione dalla materia diquella sostanza, sono la medesima cosa. La percezione di-retta di un oggetto trascendentale si chiama jñåna, mentrela conferma della conoscenza pura che è in contrasto conla conoscenza materiale, si chiama vijñåna. Sebbene que-ste due siano in realtà la stessa cosa, esse si chiamano jñånao vijñåna, in base al metodo con cui vengono applicate.

"Tu ti riferisci alla conoscenza materiale con la parolavijñåna, ma i Vaiß∫ava vi si riferiscono come al vero accer-tamento della natura della conoscenza materiale. Esami-nando la natura della scienza militare, della scienza medi-ca, dell'astronomia e della chimica, i Vaiß∫ava concludonoche sono tutte conoscenze materiali e che la jîva non ha unaconnessione eterna con esse, quindi sono tutte irrilevantiper quel che riguarda il nitya-dharma della jîva. Chi si im-pegna nello sviluppo della conoscenza materiale seguendole sue propensioni materiali, viene definito dai Vaiß∫ava co-me persona immersa nel karma-kå∫∂a. Tuttavia i Vaiß∫avanon condannano tali persone. Il loro impegno per il pro-

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arrabbiarti! Sei venuto a trovarmi dopo tanto tempo. Vo-glio darti soddisfazione. Parlare di viß∫u-måyå ti pare unaminimizzazione? Bhagavån Viß∫u è l'incarnazione della co-scienza suprema e l'unico Supremo Controllore di tutto e ditutti. Tutto ciò che esiste è una Sua potenza. Quando par-liamo di potenza, non ci riferiamo ad un oggetto indipen-dente ma ad un potere funzionale inerente l'oggetto. Separli di Ωakti, potenza, come della radice di ogni cosa, ciò èdavvero in contrasto con la verità metafisica. La Ωakti nonpuò esistere indipendentemente dall'oggetto cui appartie-ne. Dobbiamo prima di tutto accettare l'esistenza di un sog-getto che possiede la completa coscienza spirituale.

"Il commentario del Vedanta afferma: 'Ωakti-Ωaktimatorabheda˙', non c'è differenza tra la potenza e chi la possie-de. Ciò significa che la Ωakti non è un oggetto in sè autono-mo. La Persona Suprema, Colui che possiede tutte le po-tenze, è l'unica vera sostanza permanente. La Ωakti è la qua-lità o funzione intrinseca, subordinata al Suo volere e agi-sce con l'appoggio dell'entità cosciente pura, quindi è con-siderata identica a quella entità potente. In questo quadro,si può giustamente dire che la Ωakti è l'incarnazione della co-scienza, che possiede una volontà propria e che si trova aldi là dell'influenza delle tre qualità della natura materiale.Desiderio e coscienza dipendono dall'Essere Supremo.Nella potenza non può esistere il desiderio; al contrario, lapotenza agisce secondo il desiderio dell'Essere Supremo.Tu possiedi il potere del movimento. Quando desiderimuoverti, quel potere agirà. Se dici che il potere si sta muo-vendo, significa in realtà che la persona che possiede quelpotere si sta muovendo; dire che il potere si muove è sem-plicemente una metafora.

"Bhagavån possiede una sola potenza, che si manifestain svariate forme. Quando quella potenza funziona con ca-pacità spirituali, si chiama cit-Ωakti, e quando essa opera in

Jaiva-dharma

zioni individuali."Le attitudini degli esseri umani sono svariate; alcune so-

no elevate ed altre degradate. Coloro che hanno una natu-ra degradata si impegnano in lavori coerenti a ciò sulla spin-ta della loro tendenza degradata. Il lavoro manuale che es-si compiono coadiuva altri lavori di natura più elevata. Laruota di questo universo gira basandosi anche su queste di-visioni del lavoro. Anche se tutte le persone che si trovanosotto la giurisdizione della materia lavorano secondo le lo-ro inclinazioni materiali, indirettamente aiutano i Vaiß∫avanello sviluppo della loro vocazione spirituale. Essi non so-no coscienti del fatto che, con le loro attività aiutano iVaiß∫ava; agiscono perchè confusi da måyå, la potenza delSignore Viß∫u. Di conseguenza l'intero mondo, inconsape-volmente, serve i Vaiß∫ava."

"Cos'è questa viß∫u-måyå?" Chiese Digambara.Advaita dåsa rispose: "Nel Ca∫∂î-måhåtmya del

Mårka∫∂eya Pura∫a (81.40), viß∫u-måyå viene descrittacon queste parole: 'yogamåyå hare˙ Ωaktir yayå sammohi-taµ jagat', la potenza del Signore Hari tramite la quale ilmondo intero viene confuso, si chiama yogamåyå."

"Chi è allora la devî che io conosco come Madre Nistå-ri∫î?" Chiese Digambara.

Advaita dåsa rispose: "E' la potenza esterna del Signo-re, conosciuta come viß∫u-måyå."

Digambara aprì il suo libro sui tantra e disse: "Guarda!Qui sta scritto che la mia Divina Madre è la coscienza per-sonificata. Lei possiede il controllo assoluto ed è al di là del-le tre qualità della natura materiale, e comunque ne è il so-stegno. La tua viß∫u-måyå non è libera dall'influenza deimodi della natura. Come puoi quindi equiparare la tuaviß∫u-måyå con la mia Madre? Questo fanatismo Vaiß∫avami irrita veramente."

Advaita dåsa disse: "Fratello, Digambara, ti prego, non

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caråtra, Ûrî Durgå Devî spiega:tava vakßasi rådhåhaµ

råse v®ndåvane vane

'Nella foresta chiamata V®ndåvana, io sono la Tua po-tenza interna, Ûrî Rådhikå, e adorno il Tuo petto nella dan-za råsa.'

"Da questa affermazione di Durgå Devî, è chiaro che viè solo una Ωakti, non due. Quando quella Ωakti si manifestacome potenza interna, lei è Rådhikå, e quando si manifestacome potenza esterna è ja∂a-Ωakti (Durgå o mahåmåyå).Nello stato di libertà dall'influenza dei modi materiali del-la natura, viß∫u-måyå è cit-Ωakti. Quella stessa viß∫u-måyå,nella condizione di congiungimento con i modi della naturaè ja∂a-Ωakti."

Digambara disse: "Tu dici di essere una jîva-Ωakti. Macosa significa?"

Advaita dåsa rispose: "Nella Bhagavad-Gîtå (7.4.5) Bha-gavån dice:

bhümir åpo 'nalo våyu˙ khaµ mano buddhir eva caahaõkåra itîyam me bhinnå prak®tir a߆adhå

apareyam itas tv anyåµ prak®tiµ viddhi me paråmjîva-bhütåµ mahå-båho yayedaµ dhåryate jagat

'La Mia potenza esterna, conosciuta come prak®ti, è sud-divisa in otto parti: terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente,intelligenza ed ego. Questi otto aspetti della prak®ti sono laMia potenza inferiore. Forte Arjuna, Io possiedo un'altrapotenza conosciuta come jîva, che è superiore a questa etramite la quale questo universo viene sostenuto.'

"Digambara, tu conosci le glorie della Bhagavad-Gîtå?

Jaiva-dharma

campo materiale si chiama ja∂a-Ωakti o måyå. NellaÛvetåΩvatara Upa∫ißad (6.8) sta scritto: 'paråsya Ωaktir vi-vidhaiva Ωrüyate', la potenza divina del Signore viene de-scritta nei Veda come essere di diversi tipi.

"La potenza che supporta i tre modi della natura mate-riale è la ja∂a-Ωakti e le sue funzioni sono di creare e di-struggere l'universo. Nei Pura∫a e nei Tantra questa po-tenza viene definita viß∫u-måyå, mahåmåyå, måyå e con al-tri nomi del genere. Vi sono molte descrizioni allegorichedelle sue attività, come ad esempio che lei è la madre diBrahmå, Viß∫u e Ûiva, e la distruttrice dei demoniaci fratel-li Ûumbha e NiΩumbha. Finchè l'entità vivente è impegna-ta nel godimento materiale, rimane soggiogata da questapotenza. Quando la jîva acquisisce la conoscenza pura, di-venta cosciente della sua svarüpa (forma spirituale eterna).Con questa coscienza essa è in grado di trascendere la po-tenza di måyå-Ωakti ed ottenere lo stato liberato. La jîva al-lora giunge sotto il controllo della cit-Ωakti e consegue la fe-licità spirituale."

Digambara chiese: "Sei sotto il controllo di qualche po-tere?"

Advaita dåsa rispose: "Sì, noi siamo jîva-Ωakti. Abbiamolasciato måyå-Ωakti e siamo sotto la protezione di cit-Ωakti."

E Digambara: "Allora anche tu sei un Ωakta, un adorato-re della potenza."

"Sì, i Vaiß∫ava sono i veri Ωakta" replicò Advaita dåsa."Noi siamo sotto il controllo di Ûrî Rådhikå, che è la perso-nificazione della cit-Ωakti. E' solamente sotto il Suo rifugioche rendiamo servizio a Krishna. Perciò, chi è più Ωakta diun Vaiß∫ava? Per noi non c'è nessuna differenza tra iVaiß∫ava e i Ωakta. Tuttavia, anche coloro che nutrono at-taccamento solo per måyå-Ωakti e che non si rifugiano in cit-Ωakti, si possono chiamare Ωakta, anche se non sonoVaiß∫ava; essi sono solo dei materialisti. Nel Nårada-pañ-

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re di te perchè eri sempre molto bravo con le parole. Orache sei diventato un Vaiß∫ava sei ancora più dogmatico nelportare avanti il tuo punto di vista. Qualunque cosa io dica,tu la distruggi."

Advaita dåsa disse: "Non v'è dubbio che io sono solo uninutile sciocco, ma posso affermare che non vi è altroΩuddha-dharma se non il Vaiß∫ava dharma. Tu sei semprestato contrario ai Vaiß∫ava, e perciò non puoi neppure ri-conoscere la via che farebbe la tua fortuna."

Un pò arrabbiato Digambara disse: "O davvero! Io misono molto impegnato nel sådhana e bhajana, e tu dichiariche non sono neppure in grado di vedere la via della miafortuna. Ho forse tagliato l'erba per il mio cavallo in tuttiquesti anni? Guarda questo Tantra-saõgraha! Pensi sia sta-to uno scherzo scrivere un libro come questo? Tu ridicoliz-zi la scienza e la civiltà moderna proponendo in modo arro-gante il tuo Vaiß∫avismo. Come mi devo comportare? Vie-ni, andiamo tra persone civili e vediamo chi sarà giudicatonel giusto, se tu od io."

Rendendosi conto che l'incontro con Digambara eracompletamente improduttivo e desiderando liberarsi al piùpresto di quella compagnia indesiderabile, Advaita dåsadisse: "Bene fratello, di che utilità saranno la tua scienza ela tua civiltà materiale nel momento della morte?"

Digambara rispose: "Kålidåsa, sei veramente un tipostrano. Forse che rimarrà qualcosa dopo la morte? E' fin-chè sei vivo che devi tentare di acquisire fama tra gli uomi-ni civili e godere dei cinque piaceri: il vino, la carne, il pe-sce, la ricchezza e le donne. Nel momento della morte Ma-dre Niståri∫î esprimerà tutto il suo potere per portarti là do-ve meriti di andare. La morte è certa, quindi perchè ti in-fliggi adesso tante tribolazioni? Dove sarai quando i cinqueelementi che compongono questo corpo si fonderanno coni cinque grandi elementi della natura materiale?

Jaiva-dharma

Questa opera è l'essenza delle istruzioni contenute in tuttigli Ωåstra, ed è in grado di risolvere tutte le varie e conflit-tuali ideologie filosofiche. Lì viene stabilito che il genere dientità conosciute come jîva-tattva sono fondamentalmentedifferenti dal mondo materiale. Questa jîva-tattva è unadelle potenze del Signore. Autorevoli studiosi fanno riferi-mento a questa tattva col nome di tata߆ha-Ωakti. QuestaΩakti è superiore alla potenza esterna ed inferiore a quellainterna. Ciò significa che le jîve sono una potenza partico-lare di Krishna."

Digambara chiese: "Kålidåsa, ma tu hai letto la Devî-Gîtå?"

Advaita dåsa rispose: "Sì, molto tempo fa.""Qual è la natura dei suoi insegnamenti filosofici?" In-

terrogò Digambara.Intuendo dietro la domanda la parzialità di Digambara

verso la Devî-Gîtå e la Devî-Bhågavata, le quali elogianoDurgå Devî come Divinità suprema, Advaita dåsa rispose:" Digambara, Fratello mio, la gente elogia la melassa solofinchè non gusta lo zucchero candito."

Digambara replicò: "Fratello mio, questa, da parte tua,è semplicemente una fede cieca. Tutti hanno il massimo ri-spetto per la Devî-Bhågavata e la Devî-Gîtå. Voi Vaiß∫avasiete le sole persone che non possono sopportare nemme-no di sentire il nome di questi due libri."

Allora Advaita dåsa chiese a sua volta: "Tu hai letto laDevî-Gîtå?"

"No" rispose Digambara. "Perchè dovrei dire una bu-gia? Ho intenzione di farmi una copia di questi due libri manon ho ancora potuto farlo."

E Advaita dåsa: "Come puoi affermare se un libro è buo-no o meno senza averlo letto? E' la mia una fede cieca op-pure la tua?"

Digambara ribattè: "Fratello, fin da piccolo avevo timo-

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Nono Capitolo

biarti, e io te lo dirò. Nello Ûrîmad-Bhågavatam (4.30.33) sta scritto (citato

nell'Hari-bhakti-vilåsa 10.292):

yåvat te måyayå sp®ß†å bhramåma iha karmabhi˙tåvad bhavat-prasaõgånåµ saõga˙ syån no bhave bhave

'Bhagavån, finchè siamo confusi dalla Tua potenza illu-soria e vaghiamo in questa esistenza materiale condiziona-ti dalle nostre attività karmiche, preghiamo di poter averela compagnia dei Tuoi devoti vita dopo vita.'

"Nell'Hari-bhakti-vilåsa (10.294) sta scritto:

asadbhi˙ saha saõgas tu na kartavya˙ kadåcanayasmåt sarvårtha-håni˙ syåd adha˙-påtaΩ ca jåyate

'Non bisognerebbe mai associarsi con persone immersenell'illusione, poichè questa compagnia ci fa perdere ogniobiettivo utile e fa cadere ad un livello degradato.'

"Nella Katyåyana-saµhitå sta scritto (citato nell'Hari-bhakti-vilåsa 10.295):

varaµ hutavaha-jvålå pañjaråntar-vyavasthiti˙na Ωauri-cintå-vimukta-jana-samvåsa-vaiΩasam

'Meglio vivere in una gabbia infuocata anzichè soppor-tare la miserevole compagnia di coloro che sono dimentichidi Ûrî Krishna (il nipote di Ûüra).'

"Nel terzo canto dello Ûrîmad-Bhågavatam (3.31.33-34)sta scritto (Hari-bhakti-vilåsa 10.297-298):

Jaiva-dharma

"Questo mondo è måyå, yogamåyå e mahåmåyå. E' leiche può concederti la felicità ora e la liberazione dopo lamorte. Non esiste nient'altro che la Ωakti; tu vieni dalla Ωak-ti e tornerai ancora alla Ωakti. Servi semplicemente la Ωaktie osserva il suo potere nella scienza. Prova ad aumentare iltuo potere spirituale attraverso la disciplina dello yoga. Al-la fine vedrai che non esiste altro che questa inafferrabilepotenza. Da dove hai tratto questa storia elaborata che par-la di un Dio supremo e cosciente? Poichè ci credi, per in-tanto soffri e non so immaginare quale destinazione avrainella prossima vita, che sia superiore alla mia. Che bisognoc'è di un Dio personale? Servi semplicemente Ωakti e quan-do ti immergerai in lei, vi resterai per l'eternità."

Advaita dåsa disse: "Fratello, tu sei infatuato da questapotenza materiale ma, se esistesse un Dio onnisciente, haipensato a cosa succederebbe dopo la tua morte? Cos'è lafelicità? La felicità è la pace della mente. Io ho abbando-nato tutti i piaceri materiali ed ho trovato la felicità nellapace interiore. Se vi è qualcosa di più da ottenere dopo lamorte, la otterrò comunque. Tu non sei veramente soddi-sfatto. Più tenti di godere, più la tua sete di piacere mate-riale si espande. Non sai neppure cosa significa essere feli-ci. Tu stai semplicemente fluttuando nella corrente dellasensualità invocando: 'Piacere! Piacere!' Ma un giorno fi-nirai per cadere in un oceano di dispiacere."

Digambara disse: "Il mio destino sarà quello che sarà matu, perchè hai abbandonato la compagnia di persone col-te?"

Advaita dåsa rispose: "Non ho lasciato la loro compa-gnia, al contrario, è esattamente ciò che ho ottenuto. Stotentando di evitare la compagnia di uomini degenerati."

"Che cosa intendi per compagnie degenerate?" ChieseDigambara.

Advaita dåsa rispose: "Ti prego, ascolta senza arrab-

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Nono Capitolo

te volte perfettamente eseguiti, non possono purificare unapersona dimentica del Signore Nåråya∫a.'

"Nello Skanda Purå∫a sta scritto (Hari-bhakti-vilåsa10.312):

hanti nindati vai dve߆i vaiß∫avån nåbhinandatikrudhyate yåti no harßaµ darΩane patanåni ßa†

'Picchiare un Vaiß∫ava, diffamarlo, calunniarlo, non ac-coglierlo o non compiacerlo, mostrare rabbia nei suoi con-fronti e non sentirsi felici dopo averlo visto, sono le sei cau-se che portano alla caduta.'

"Digambara, una persona non potrà mai ottenere cosefavorevoli con questo tipo di compagnia immorale. Che be-neficio si potrà mai avere vivendo in una società compostada uomini tali?"

"Ma bene! Con che gentiluomo distinto sono venuto aparlare!" Esclamò Digambara. "Secondo lui noi siamo tut-ti dei barbari. Non c'è dubbio che tu devi rimanere tra i pu-ri Vaiß∫ava. Io torno a casa mia."

Advaita dåsa sentì che questo scambio con Digambarastava per terminare e pensò fosse appropriato concluderlocon una nota piacevole, per cui con cortesia gli disse: "Tusei il mio amico d'infanzia. So che devi tornare a casa, manon vorrei che te ne andassi proprio adesso. Hai fatto mol-ta strada, ti prego, resta ancora un poco. Prendi del praså-da e dopo potrai andartene."

Digambara rispose: "Kålidåsa, tu sai molto bene che ioseguo una dieta stretta. Mangio solamente haviΩya (risoseccato al sole e cucinato con acqua mista a ghee) ed homangiato proprio prima di venire qui. E' stato comunqueun piacere vederti. Verrò a trovarti ancora, se troverò iltempo. Non posso stare fuori la notte, ho dei doveri da

Jaiva-dharma

satyaµ Ωaucaµ dayµ maunaµ buddhir hrîr Ωrîr yaΩa˙kßamå

Ωamo damo bhagaΩ ceti yat-saõgåd yåti saõkßayamteßv aΩånteßu mü∂heßu ka∫∂itåtmaßv asådhußu

saõgaµ na kuryåc chocyeßu yoßit-kr®î∂-m®geßu ca

'Associandosi con coloro che sono privi di virtù, le pro-prie qualità come: veridicità, pulizia, misericordia, control-lo della parola, intelligenza, timidezza, ricchezza, fama, ca-pacità di perdono, controllo dei sensi, controllo della men-te e fortuna, svaniscono completamente. Perciò non ci sidovrebbe mai associare con persone disgraziate che sonoagitate dal desiderio di godimento dei sensi, che sono scioc-chi, immersi nella concezione corporale di vita e giocattolinelle mani delle donne.'

"Nel Garu∂a Purå∫a sta scritto (Hari-bhakti-vilåsa10.303):

antaµ gato 'pi vedånåµ sarva-Ωåstrårtha-vedy apiyo na sarveΩvare bhaktas taµ vidyåt purußådhamam

'Anche studiando tutti i Veda e diventando esperti nei si-gnificati degli Ωåstra, se non si è devoti del Signore Supre-mo, si è considerati i più infimi tra gli uomini.'

"Nello Ûrîmad-Bhågavatam (6.1.18) sta scritto (Hari-bhakti-vilåsa 10.305):

pråyaΩcittåni cîr∫åni nåråya∫a-paråõmukhamna nißpunanti råjendra surå-kumbham ivåpagå˙

'Re, come l'acqua di molti fiumi non può purificare unadamigiana di vino, così tutti i tipi di espiazioni anche se mol-

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CAPITOLO DIECIReligione eterna e Storia

Ûrî Harihara Bha††åcårya era un professore di Agradvî-pa. Egli aveva preso l'iniziazione al Vaiß∫ava dharma edadorava Bhagavån Ûrî Krishna a casa propria. Harihara nu-triva alcuni dubbi riguardo la religione Vaiß∫ava, e nono-stante avesse parlato con molte persone, non era riuscito arisolverli anzi, queste discussioni avevano peggiorato la suaincertezza mentale. Un giorno Harihara andò nel villaggiodi Arka†îlå e chiese a Ûrî Caturabhuja Nyåyaratna:"Bha††åcårya MahåΩaya, potresti dirmi quanto è antica lareligione Vaiß∫ava?"

Nyåyaratna MahåΩaya aveva studiato con impegno ilnyåya-Ωåstra per circa venti anni. Di conseguenza era mol-to indifferente alla religione e non amava essere coinvoltoin discussioni religiose. Solo nei momenti di adorazionedella Dea Durgå egli mostrava tendenze devozionali.

Nyåyaratna ebbe sentore che la domanda di Harihara,essendo relativa alla religione Vaiß∫ava, lo avrebbe coin-volto in una discussione. La cosa migliore per lui era di evi-tare qualsiasi controversia e così pensando disse: "Hariha-ra, che domanda è mai questa? Tu hai studiato il nyåya-Ωåstra e sei giunto fino alla sezione che parla della muktipå-da (la via che conduce alla mukti). Avrai presente che innessuna parte del nyåya-Ωåstra si parla del Vaiß∫ava dhar-ma, perchè allora mi fai carico di una domanda del genere?"

Harihara rispose: "Bha††åcårya MahåΩaya, i miei ante-nati sono Vaiß∫ava da generazioni ed anch'io sono stato ini-ziato al mantra Vaiß∫ava. Non ho mai avuto dubbi sul dhar-

Jaiva-dharma

compiere secondo il sistema datomi dal mio guru. Per oggidevo congedarmi."

Advaita dåsa disse: "Ti accompagno alla barca. Andia-mo."

Ma Digambara disse: "No, no. Continua pure le tue co-se. Ho degli uomini con me."

Così Digambara se ne andò cantando una canzone sullaDea Ûyåmå (una forma di Durgå adorata dai tantrika). EAdvaita dåsa potè così cantare il Santo Nome nella sua ca-panna, senza altri impedimenti.

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Decimo Capitolo

Resosi conto che Harihara non era l'ortodosso Vaiß∫avache lui pensava, sul viso di Nyåyaratna MahåΩaya sbocciò lafelicità e gli disse: "Harihara, tu sei un vero studioso delnyåya-Ωåstra. Ciò che hai or ora detto è esattamente ciò checredo anch'io. Oggigiorno c'è un nuovo impeto di Vaiß∫avadharma e io ho timore di dire qualcosa in opposizione. Inquesta era di Kali dobbiamo essere un po' cauti. Molti gen-tiluomini ricchi e rispettabili hanno accettato la dottrina diCaitanya. Costoro ci ignorano completamente e ci consi-derano addirittura nemici. Sento che tra breve la nostraprofessione diventerà obsoleta perchè anche le caste infe-riori dei venditori d'olio, di foglie di betel e di mercanti d'o-ro, hanno intrapreso lo studio degli Ωåstra, e questo ci ad-dolora molto.

"Rifletti, è da lungo tempo che i bråhma∫a hanno esco-gitato un sistema per fare in modo che nessun'altra casta siain grado di studiare gli Ωåstra. Persino i kåyastha, che costi-tuivano la casta più vicina ai bråhma∫a, mai osavano pro-nunciare la sacra sillaba oµ e tutti rispettavano le nostre pa-role; ora gente di ogni casta è diventata Vaiß∫ava. Essi par-lano delle verità filosofiche e ciò ha compromesso non po-co la reputazione della casta dei bråhma∫a. Dai tempi diNimåi Pa∫∂ita, il dharma dei bråhma∫a si è praticamentedissolto. Caro Harihara, Tarka-Cü∂åmai ha detto il giusto,sia che lo abbia fatto per bramosia di soldi, o dopo un'ana-lisi accurata della situazione.

"Quando sento le parole delle canaglie Vaiß∫ava il miocorpo brucia di rabbia. Ora sono giunti a sostenere cheÛaõkaråcårya ha compilato una falsa scrittura måyåvåda suordine di Bhagavån e che la religione Vaiß∫ava è eterna.Una religione fiorita nemmeno cento anni fa ora sarebbediventata eterna! Come popolarmente si dice: 'udor pi∫∂ibudhor ghåde', il bene destinato ad uno viene poi goduto daun altro. Cosa non direbbero!

Jaiva-dharma

ma Vaiß∫ava. Forse hai sentito parlare di Tarka-Cü∂åma∫idi Vikramapura, lui è intenzionato a sradicare la religioneVaiß∫ava e, perseguendo questo obiettivo, sta attualmentepredicando contro di essa, sia dove abito che in altre loca-lità. Nel fare questo sta accumulando una considerevole ric-chezza. In un incontro cui hanno partecipato soprattutto gliadoratori di Durgå, egli ha proclamato che la religioneVaiß∫ava è molto recente e che non ha basi filosofiche. Egliha anche detto che solamente le persone di bassa classe di-ventano Vaiß∫ava; quelle di alta non rispettano il Vaiß∫avadharma.

"All'inizio, quando ho sentito di queste conclusioni trat-te da uno studioso della sua statura, ho provato dolore nelmio cuore. Quando però ci ho rifletturo su, mi è venuto inmente che, prima della venuta di Ûrî Caitanyadeva, ilVaiß∫ava dharma nel Bengala non esisteva. Praticamentetutti adoravano la Dea Durgå e recitavano i Ωakti-mantra.Ammesso questo, erano pochi i Vaiß∫ava che, come noi, fa-cevano adorazione recitando i mantra Vaiß∫ava. Comun-que, in conclusione, lo scopo di tutti era di raggiungere ilBrahman e quindi tutti si impegnavano diligentemente perla mukti (liberazione).

"Nel tipo di Vaiß∫ava dharma in cui eravamo stati inizia-ti, tutti approvavano il sistema conosciuto come pañcopå-sana, l'adorazione di cinque divinità. Tuttavia, dopo Cai-tanya Mahåprabhu, il Vaiß∫ava dharma assunse un nuovoaspetto. Ora i Vaiß∫ava non riescono persino ad ascoltare leparole 'mukti' e 'Brahman'. Neppure sono in grado di direcosa intendono per bhakti. Il proverbio 'kånå-garura bhin-na go†a', la mucca con un occhio solo spesso si allontana dal-la mandria perdendosi, si può applicare perfettamente aiVaiß∫ava di oggi. Quindi la mia domanda è: 'Prima esiste-va questo tipo di Vaiß∫ava dharma o è apparso solamentedopo la venuta di Caitanyadeva?'"

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Decimo Capitolo

Caturabhuja Nyåyaratna era in apprensione poichè pen-sava che, se fosse andato dai Vaiß∫ava, sarebbe andato in-contro al medesimo destino di Krishna Cü∂åma∫i e degli al-tri che erano già stati sconfitti. Egli disse: "Harihara, ci an-drò in incognito. Tu ti presenterai a Gådigåchå come inse-gnante e accenderai il fuoco della discussione."

Harihara soddisfatto disse: "Sì, farò così! Lunedì prossi-mo attraverserò il Gange invocando il nome di Mahådevaper ottenere i suoi favori."

Il lunedì tre professori, Harihara, Kamalåkånta eSadåΩiva si incontrarono a casa di Ûrî Caturabhuja Nyåya-ratna ad Arka†îlå e lo accompagnarono sull'altra riva delGange. Arrivarono a Ûrî Pradyumna-kuñja verso le quat-tro del pomeriggio. Esclamando: "Haribol! Haribol!" sisedettero sotto il pergolato di mådhavi e parevano comeDurvåså Muni ed i suoi discepoli.

Ûrî Advaita dåsa li accolse e offrì a ciascuno una stuoiasu cui sedersi. Poi chiese: "Come posso servirvi?"

Harihara spiegò: "Siamo venuti per parlare di alcunequestioni con i Vaiß∫ava."

Advaita dåsa disse: "I Vaiß∫ava qui non amano discute-re, quale che sia l'argomento, tuttavia, se siete venuti a chie-dere con mitezza, può anche andar bene. L'altro giorno al-cuni professori hanno avviato una discussione con il prete-sto di porre delle domande ed alla fine se ne sono andatimolto contrariati. Chiederò a Paramahaµsa BåbåjîMahåΩaya e vi darò una risposta." Detto ciò entrò nella ca-panna di Båbåjî MahåΩaya.

Pochi minuti più tardi Advaita dåsa tornò e preparò altriposti a sedere. Paramahaµsa Båbåjî arrivò a sua volta sot-to il pergolato e prima di tutto offrì da∫∂avat-pra∫åma aV®nda Devî e poi agli educati bråhma∫a in visita. A manigiunte chiese: "Grandi anime, ditemi, cosa posso fare pervoi?"

Jaiva-dharma

Qualsiasi gloria abbia di fatto raggiunto Navadvîpa, oraè destinata ad espandersi. In particolare vi sono deiVaiß∫ava che vivono a Gådigåchå di Navadvîpa che guar-dano al mondo come ad un piatto di terracotta. Vi sono po-chissimi studiosi tra di loro, ma hanno suscitato un tumultotale da rovinare l'intero paese. Ora i doveri occupazionalidelle quattro caste, la verità eterna della dottrina måyåvå-da e l'adorazione dei deva e delle devî stanno cadendo neldimenticatoio. Raramente le persone compiono la cerimo-nia Ωraddhå a beneficio dei loro antenati. Come faremo noiinsegnanti a sopravvivere?"

Harihara disse: "Bha††åcårya MahåΩaya, non c'è rimedioa tutto ciò? A Måyåpura vi sono ancora sei o sette studiosibråhma∫a che godono di grande reputazione. Anche al dilà del Gange, a Kuliyå-gråma, vi sono numerosi studiosimolto eruditi nelle sm®ti e nel nyåya-Ωåstra. Se si unirannoe verranno a Gådigåchå, vedremo dei risultati.

Nyåyaratna rispose: "Sì, è possibile, se ci fosse unità tra ibråhma∫a pa∫∂ita, ma tendono ad invidiarsi l'un l'altro colpretesto della loro professione. Ho sentito dire che pochipa∫∂ita capeggiati da Krishna Cü∂åma∫i si recarono a Gå-digåchå e iniziarono un dibattito con i Vaiß∫ava, ma torna-rono alle loro scuole sconfitti, dopo di che non parlaronopiù di quel fatto se non sollecitati."

Harihara disse: "Bha††åcårya MahåΩaya, tu non sei sola-mente il nostro insegnante, sei l'insegnante anche di moltialtri insegnanti. Dopo aver studiato il tuo commentario alnyåya-Ωåstra, molti hanno imparato l'arte della logica e lascomposizione delle argomentazioni fallaci. Perchè non vaia sconfiggere questi studiosi Vaiß∫ava una volta per tutte?Chiarisci che la religione Vaiß∫ava è un'invenzione moder-na e che non si basa sui Veda. La nostra antica adorazionedel pañcopåsanå verrà di conseguenza ristabilita nella suaposizione originale."

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Decimo Capitolo

colare che egli adora ed anche la misericordia di quella Di-vinità. Seguendo questa concezione, la dottrina dell'im-personalismo viene considerata måyåvåda, una concezionesbagliata propagata da Ûaõkara. Quale di questi due tipi diVaiß∫avismo è senza inizio ed eterno?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Quello descritto per ultimo è ilvero Vaiß∫ava dharma, quello eterno. L'altro è Vaiß∫avadharma solo di nome. In realtà questo pseudo Vaiß∫avadharma è agli antipodi del vero Vaiß∫ava dharma: è tempo-raneo e gli è stato dato rilievo con la dottrina måyåvåda."

Nyåyaratna continuò: "Quel che capisco è che, secondote, il solo vero Vaiß∫ava dharma è la dottrina ricevuta daCaitanyadeva. Secondo te l'adorazione di Rådhå-K®ß∫a, diRåma, o di N®siµha in sè e per sè non costituisce il Vaiß∫avadharma. Solo l'adorazione di Rådhå-K®ß∫a e delle altre Di-vinità compiuta secondo i precetti di Caitanya tu dici esse-re il Vaiß∫ava dharma. Non è così? E' un'idea singolare,ma come puoi affermare che questo Vaiß∫ava dharma èeterno?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Perchè viene insegnato negliΩåstra Vedici e in tutti gli sm®ti-Ωåstra. Tutte le storie conte-nute nei Veda parlano delle glorie di questo Vaiß∫ava dhar-ma."

Nyåyaratna disse: "L'apparizione di Caitanyadeva è av-venuta meno di centocinquanta anni fa. Poichè è ovvio cheLui è il pioniere di questa dottrina, come può essere eter-na?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Questo Vaiß∫ava dharma nascenel momento stesso dell'apparizione della jîva, ma le jîvenon hanno un inizio nel tempo materiale, esse sono anådi,senza inizio; perciò la funzione costitutiva della jîva, cono-sciuta come jaiva-dharma o Vaiß∫ava dharma, è anch'essaanådi. Brahmå è la prima jîva nata in questo universo. Nelmomento in cui Brahmå apparve, la vibrazione sonora Ve-

Jaiva-dharma

Nyåyaratna disse: "Vorremmo porti alcune domande edesidereremmo che ci rispondessi tu personalmente."

Quando Paramahaµsa Båbåjî MahåΩaya sentì la richie-sta, invitò Vaiß∫ava dåsa Båbåjî MahåΩaya ad unirsi a loro.Vaiß∫ava dåsa Båbåjî arrivò, offrì pra∫åma a ParamahaµsaBåbåjî e poi si sedette al suo fianco. In breve si formò unapiccola assemblea di Vaiß∫ava dove tutti sedevano tran-quilli.

Nyåyaratna MahåΩaya allora pose la domanda: "Ti pre-go, dicci se la religione Vaiß∫ava è antica oppure recente."

Paramahaµsa Båbåjî MahåΩaya chiese a Vaiß∫ava dåsadi rispondere. In modo pacifico ma con voce graveVaiß∫ava dåsa disse: "Il Vaiß∫ava dharma è sanåtana, sem-pre esistito ed è quindi nitya, eterno."

Nyåyaratna disse: "Io ho constatato che vi sono due tipidi Vaiß∫ava dharma. In uno la suprema verità definitaBrahman è priva di forma e di qualità. Tuttavia, poichè nonsi adora un oggetto senza forma, i sådhaka neofiti immagi-nano il Brahman con una forma e poi la adorano. Questaadorazione è necessaria per purificare il cuore, ma quandoil cuore sarà puro, nascerà la conoscenza del Brahman sen-za forma. A quel punto non sarà più necessario continuaread adorare delle forme. Le forme di Rådhå-K®ß∫a, di Rå-ma, o di N®siµha sono tutte immaginarie, sono un prodot-to di måyå. Adorando queste forme immaginarie, gradual-mente si risveglia la conoscenza del Brahman. Tra i pañ-copåsaka (adoratori delle cinque Divinità), coloro che ado-rano la Divinità di Viß∫u con questa attitudine e recitano ilviß∫u-mantra, si considerano dei Vaiß∫ava.

"Nel secondo tipo di Vaiß∫ava dharma, Bhagavån Viß∫u,Råma o Krishna vengono considerati come il SupremoBrahman che possiede delle forme eterne. Adorando unadi queste particolari forme con i mantra corrispondenti, ilsådhaka ottiene la conoscenza eterna della Divinità parti-

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Decimo Capitolo

sarvå-diΩa ürddhvam adhaΩ ca tiryakprakåΩayan bhråjate yadv ana∂vån

evaµ sa devo bhagavån vare∫yoyoni-svabhåvån adhiti߆halty eka˙

'Proprio come il sole splende illuminando tutte le dire-zioni: sopra, sotto e orizzontalmente, Bhagavån, la PersonaSuprema e la fonte originale di tutti i deva, l'oggetto supre-mo di adorazione, l'uno senza secondi, regola la natura ma-teriale che è l'origine di tutte le esistenze.'

"Nella Taitirîyopanißad (2.1.2) è citato:

satyam jñånam anantaµ brahmayo veda nihitaµ guhåyaµ parame vuoman

so 'Ωnute sarvån kåmån saha bråhma∫a vipaΩciteti'La Realtà Suprema e Assoluta, Brahman, è la personi-

ficazione della verità, della conoscenza e dell'eternità. An-che se quel Supremo Brahman è situato nel cielo spirituale,è nascosto nel cielo del cuore delle entità viventi. Colui checonosce il Signore, che si trova all'interno del cuore comeAnima Suprema, vedrà soddisfatto ogni suo desiderio en-trando in contatto con Lui, il Signore onnisciente.'

Nyåyaratna allora disse: "Come puoi affermare che ilVaiß∫ava dharma cui si allude nel Rg-Veda con l'afferma-zione: 'tad viß∫o˙ paramaµ padaµ (la suprema dimora diBhagavån Ûrî Viß∫u è l'obiettivo più elevato), non si riferi-sce al Vaiß∫ava dharma cui fa riferimento la dottrinamåyåvåda?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Il Vaiß∫ava dharma contenutonella filosofia måyåvåda rifiuta la concezione di eterno ser-vizio al Signore. I måyåvådî credono che, quando ilsådhaka acquisisce la conoscenza, ottiene lo status di Brah-man. Ma se uno diventa Brahman, come può esserci il ser-

Jaiva-dharma

dica che è alla base del Vaiß∫ava dharma, si manifestò. Co-sì sta scritto nei quattro versi essenziali dello Ûrîmad-Bhå-gavatam (2.9.33-36), noti come catu˙-Ωlokî. E v'è menzio-ne anche nella Mu∫∂aka Upa∫ißad (1.1.1):

brahmå devånåµ prathama˙ sambabhüvaviΩvasya kartå bhuvanasya goptå

sa brahma-vidyåµ sarva-vidyå-prati߆håmatharvåya jye߆ha-putråya pråha

'Brahmå, il primo di tutti i deva, apparso dal loto chesboccia dall'ombelico di Bhagavån, è il creatore dell'uni-verso e colui che sostiene tutte le entità viventi. Egli ha im-partito a suo figlio maggiore Atharva la brahma-vidyå, laconoscenza trascendentale della Verità Assoluta, che è labase di ogni conoscenza.'

"Le istruzioni contenute nella brahma-vidyå sono men-zionate nella Rg Veda-saµhitå (1.22.20):

oµ tad viß∫o˙ paramaµ padaµsadå paΩyanti s¨raya˙divîva cakΩur åtatam

'I sura (esseri celesti), sempre guardano alla suprema di-mora di Bhagavån Ûrî Viß∫u, proprio come un occhio sanovede il cielo.'

"Nella Ka†hopanißad (1.3.9) si afferma:

tad viß∫o˙ paramaµ padam'La suprema dimora di Bhagavån Ûrî Viß∫u è l'obiettivo

più elevato.'

"Nella ÛvetåΩvatara Upanißad (5.4) sta scritto:

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Decimo Capitolo

'Adorando quel Brahman Supremo dalla carnagionescura si potrà raggiungere la dimora divina del Signore, nel-la quale si trovano svariati oggetti e variegati passatempi.Raggiungendo quella esuberante dimora, si raggiungeràÛyåmasundara, Ûrî Krishna.'

"Molte affermazioni del genere nei Veda dichiarano cheil k®ß∫a-bhajana è il risultato supremo."

"Esiste da qualche parte nei Veda il riferimento al nomedi Krishna?" Chiese Nyåyaratna.

Vaiß∫ava dåsa rispose: "La parola Ûyåma non si riferisceforse a Krishna? Nel Rg Veda (1.22.164.31) è riferito:

apaΩyåm gopåm anipadyamånam'Ho visto un pastorello il cui corpo è imperituro.'

"Nei Veda vi sono molte affermazioni che si riferisconoin modo specifico a Krishna che ha l'aspetto del figlio di ungopa (pastore)."

"Ma il nome di Krishna non viene esplicitato con chia-rezza in nessuna di queste affermazioni," disse Nyåyarat-na. "Queste sono semplicemente delle tue ingegnose in-terpretazioni."

In risposta Vaiß∫ava dåsa disse: "Se tu studiassi attenta-mente i Veda, potresti appurare che hanno utilizzato que-sto tipo di affermazioni indirette per ogni argomento con-tenuto in essi. Gli antichi saggi hanno spiegato il significa-to di tutte queste affermazioni. Dobbiamo avere il massi-mo riguardo per le loro opinioni."

Nyåyaratna allora disse: "Ammettiamo pure che il vo-stro Vaiß∫ava dharma sia convalidato dai Veda; vorrei co-munque sapere se vi sono delle evidenze storiche che de-terminano l'anzianità dei vostri insegnamenti. Racconta-mi, ti prego, la storia del Vaiß∫ava dharma."

Jaiva-dharma

vizio? Nella Ka†hopanißad (1.2.23) è stabilito:

nåyam åtmå pravacanena labhyona medhayå na bahuna Ωrutenayam evaißa v®∫ute tena labhyas

tasyaißa åtmå viv®∫ute tanuµ svåm'L'Anima Suprema, Parabrahman, non può essere rag-

giunta con spiegazioni teoriche, con l'intelligenza e neppu-re ascoltando assiduamente i Veda. Quell'Anima Supremaè raggiungibile solamente da colui a cui Lui stesso concedela Sua misericordia, essendo compiaciuto dell'attitudine diservizio incondizionato di quella persona. Il Signore mani-festa il Suo aspetto personale solamente a tale persona.'

"La funzione costitutiva caratterizzata dall'attitudine alservizio e alla sottomissione è la sola e vera religione. E' so-lamente in questa maniera che si può ottenere la misericor-dia del Signore ed essere in grado di vedere la Sua formaeterna. Non si può ottenere il darΩan della forma eterna delSignore attraverso la conoscenza del Brahman. Da questaaffermazione categorica, contenuta nei Veda, puoi capireche il puro Vaiß∫ava dharma è fondato sui Veda. IlVaiß∫ava dharma insegnato da Ûrîman Mahåprabhu è san-zionato in tutti i Veda. Non vi è alcun dubbio a questo pro-posito."

Nyåyaratna allora chiese: "Vi è nei Veda una qualche af-fermazione a conferma che il k®ß∫a-bhajana, e non la rea-lizzazione di brahma-jñåna, sia il traguardo più elevato?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Nella Taittirîya Upanißad (2.7.1)sta scritto: 'raso vai sa˙’, il Supremo Signore è la personifi-cazione del råsa. Inoltre nella Chåndogya Upanißad(8.13.1) si conferma:

Ωyåmåc chabalaµ prapadye Ωabalåc chyåmaµ prapadye

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sone al puro Vaiß∫ava dharma. Per loro misericordia, forsemetà della popolazione Indiana ha attraversato l'oceano dimåyå e ha potuto rifugiarsi presso i piedi di loto di Bha-gavån. Considera anche quante persone oppresse e degra-date furono liberate nel Bengala da Ûrî Ûacînandana, guar-diano e padrone dei cuori di tutti. Dopo aver consideratotutto questo non riesci ancora a percepire la grandezza delVaiß∫ava dharma?"

Nyåyaratna domandò: "Sì, ma su che basi si regge l'af-fermazione che Prahlåda e gli altri erano Vaiß∫ava?"

Vaiß∫ava dåsa spiegò: "Possono venir definiti Vaiß∫avasulla base degli Ωåstra. Sa∫∂a e Amarka, insegnanti diPrahlåda, volevano istruirlo nella brahma-jñåna contami-nandolo con la dottrina måyåvåda ma Prahlåda rifiutò i lo-ro insegnamenti perchè si era reso conto che l'Harinåmaera l'essenza di ogni educazione, e così lui cantava costan-temente il nome di Bhagavån con grande amore. In questasituazione non vi è dubbio alcuno che Prahlåda fosse un pu-ro Vaiß∫ava. La verità è che, senza un'indagine imparzialee minuziosa, non si può comprendere l'essenza degli Ωåstra."

"Se, come tu dici, il Vaiß∫ava dharma è eterno" chieseNyåyaratna, "quale nuova prospettiva ha rivelato CaitanyaMahåprabhu per meritarSi uno speciale riguardo?"

"Il Vaiß∫ava dharma, come un fiore di loto, sboccia quan-do è maturo" disse Vaiß∫ava dåsa. "All'inizio appare il boc-ciolo che poi inizia lentamente a schiudersi. Quando è ma-turo si apre completamente ed attrae tutte le entità viventidiffondendo il suo dolce profumo in ogni direzione. All'i-nizio della creazione, vennero espressi a Brahmå i quattroaspetti della conoscenza attraverso i catu˙-Ωlokî Bhågava-tam. Essi espongono la bhågavat-jñåna (conoscenza tra-scendentale dell'Assoluto come Bhagavån), la måyå-vijñå-na (conoscenza analitica della potenza esterna del Signore),la sådhana-bhakti (i mezzi di realizzazione) e prema (l'o-

Jaiva-dharma

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Ho già detto che il Vaiß∫avadharma apparve simultaneamente alla creazione della jîva.Brahmå fu il primo Vaiß∫ava. Anche Ûrîman Mahådeva èun Vaiß∫ava. Ûrî Nårada Gosvåmî, che nacque dalla mentedi Brahmå, è un Vaiß∫ava. E' quindi chiaramente convali-dato il fatto che il Vaiß∫ava dharma è stato prevalente findall'inizio della creazione; non è una scoperta recente. Larealtà di fondo è che non tutte le entità viventi sono liberedall'influenza dei tre modi della natura. Più la natura del-l'entità vivente è libera dall'influenza di questi tre modi piùessa viene considerata un Vaiß∫ava.

"Il Mahåbhårata, il Råmåya∫a e i Purå∫a contengono lastoria del popolo Aryano. L'eccellenza del Vaiß∫ava dhar-ma è stata delineata all'interno di tutti questi libri. Tu haigià considerato che il Vaiß∫ava dharma era presente all'ini-zio della creazione. Quando esaminiamo separatamente ledescrizioni dei deva, degli esseri umani e dei demoni, le pri-me narrazioni che incontriamo sono quelle che riguardanoPrahlåda e Dhruva, entrambi Vaiß∫ava. Ai tempi di Prahlå-da e Dhruva vivevano molte migliaia di Vaiß∫ava che nonsono stati menzionati da nessuna parte; questo perchè nel-la storia sono state menzionate solamente le persone pre-minenti. Dhruva era il nipote di Manu, e Prahlåda era il ni-pote di Prajåpati KaΩyapa. Entrambi sono vissuti nel pe-riodo in cui iniziò la creazione; su questo non vi è alcun dub-bio. Puoi perciò riscontrare che il Vaiß∫ava dharma era at-tivo fin dall'origine della storia.

"Inoltre, i re delle dinastie del Sole e della Luna, così co-me i grandi muni e ®ßi erano tutti devoti dedicati al SignoreViß∫u. Vi sono ampie indicazioni del Vaiß∫ava dharma nel-le tre ere precedenti: Satya, Tretå e Dvåpara. Persino nel-l'attuale era di Kali, Ûrî Råmånuja, Ûrî Madhvåcårya e ÛrîViß∫u Swåmî nel Sud India come Ûrî Nimbåditya Swåmînell'India occidentale, hanno iniziato molte migliaia di per-

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velle per attrarre le persone comuni, si fanno anch'essi chia-mare pa∫∂ita. Ma come possono questi pa∫∂ita capire ospiegare il significato di dharma e dare l'autentica spiega-zione degli Ωåstra? Attraverso le baruffe intellettuali delnyåya qualcuno potrà mai ottenere ciò che si può realizza-re soltanto con un'analisi attenta ed oggettiva degli Ωåstra?

"La verità è che in Kali-yuga sono conosciuti comepa∫∂ita coloro che sono esperti nell'imbrogliare sè stessi egli altri con argomentazioni vacue. Nelle assemblee di que-sti pa∫∂ita si procede ad accesi dibattiti su questioni fuor diogni logica. Essi non discutono mai della conoscenza dellarealtà suprema, della conoscenza della relazione che esistetra l'entità vivente e la Verità Assoluta, della meta supremadelle entità viventi o di come raggiungere quella meta. So-lamente quando si scorge la verità di queste cose si potrà ca-pire la vera natura di prema e del kîrtana."

"Va bene, ammetto che oggigiorno vi sono pa∫∂ita nonqualificati" disse Nyåyaratna. "Perchè allora i bråhma∫adi alta classe non accettano il vostro Vaiß∫ava dharma? Ibråhma∫a sono nel modo della virtù; naturalmente inclinia seguire la via della verità e degli esaltanti principi religio-si. Perchè allora quasi tutti i bråhma∫a sono contrari alVaiß∫ava dharma?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Poichè tu poni la domanda, so-no obbligato a risponderti. I Vaiß∫ava sono per loro naturacontrari alla critica degli altri. Se non te ne addolorerai oarrabbierai nel cuore e se desideri sinceramente conoscerela verità, proverò a rispondere alla tua ultima domanda."

"Qualunque cosa avvenga" disse Nyåyaratna "studian-do gli Ωåstra abbiamo sviluppato l'attitudine alla tranquil-lità, all'auto controllo ed alla tolleranza. Non è un proble-ma l'essere in grado di accettare le tue parole. Per favore,parla apertamente senza esitazioni, e certamente farò miociò che riterrò ragionevole e buono."

Jaiva-dharma

biettivo della realizzazione). Questi quattro aspetti furonomanifestati nel cuore delle jîve sotto forma di germoglio diquel fiore di loto che è il Vaiß∫ava dharma.

"Ai tempi di Prahlåda questo germoglio prese la formadi bocciolo. Gradualmente, ai tempi di Bådaråya∫a Rsi, ilbocciolo del Vaiß∫ava dharma iniziò a diventar fiore. Aitempi di Råmånuja, Madhva e degli altri sampradaya-åcårya, esso divenne fiore. Dopo l'apparizione di ÛrîmanMahåprabhu, il Vaiß∫ava dharma fiorì completamente diprema ed iniziò ad attrarre i cuori di tutte le entità viventiemanando la sua incantevole, dolce fragranza.

"L'essenza più intima del Vaiß∫ava dharma è costituitadal risveglio di prema. Ûrîman Mahåprabhu manifestò atutte le entità viventi la buona fortuna distribuendo questoprema attraverso il canto del Santo Nome. Ûrî nåma-saõkîr-tana è un'inestimabile ricchezza e merita il più grande ri-spetto. C'è stato qualcuno prima di Mahåprabhu che abbiarivelato questo insegnamento? Anche se questa verità giàera contenuta all'interno degli Ωåstra, non vi era un esempiochiaro di ciò che poteva ispirare le comuni jîve a metterla inpratica nella loro vita infatti, prima di Ûrîman Mahåprabhu,aveva mai qualcuno saccheggiato il magazzino del prema-rasa per distribuirlo liberamente anche agli uomini comu-ni?"

Nyåyaratna disse: "Va bene, ma se il vostro prema-kîrta-na è così benefico, perchè non gode della più alta stima daparte degli eruditi pa∫∂ita?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Nell'attuale era di Kali il signifi-cato della parola pa∫∂ita viene distorto. La conoscenza il-luminante contenuta negli Ωåstra si chiama pa∫∂å; chi pos-siede questa conoscenza si chiama pa∫∂ita. Questo è il si-gnificato vero della parola pa∫∂ita; coloro che attualmentefanno mostra di vana sofisticazione nello nyåya-Ωåstra o chespiegano il significato degli sm®ti-Ωåstra sotto forma di no-

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riguardo. La maggioranza delle persone di bassa classe siconsidera molto degradata e sofferente e per questo è ido-nea a ricevere la misericordia dei Vaiß∫ava. Senza questamisericordia non si può diventare Vaiß∫ava. Finchè si restaintossicati dall'orgoglio di una nascita elevata e dalla ric-chezza, l'umiltà non potrà toccare il cuore. Di conseguenzaè molto raro per una persona di tal genere ottenere la mi-sericordia dei Vaiß∫ava."

A questo punto Nyåyaratna disse: "Non voglio discuteredi questo più a lungo. Prevedo che inevitabilmente tu cite-rai le parole contenute negli Ωåstra che descrivono con du-rezza i bråhma∫a di Kali-yuga. Mi addoloro molto quandoascolto particolari affermazioni degli Ωåstra come questa,contenuta nel Varåha Purå∫a:

råkßaså˙ kalim åΩrîtya jåyante brahma-yonißu'Rifugiandosi nell'era di Kali, i demoni nasceranno nel-

le famiglie bråhma∫a.'

"Non proseguiamo oltre su questo argomento. Ora tiprego, dimmi, perchè non rispetti Ûrî Ûaõkaråcårya, che èuno sterminato oceano di conoscenza?"

Vaiß∫ava dåsa chiese: "Perchè mi dici questo? Noi con-sideriamo Ûrî Ûaõkaråcårya un'incarnazione di Ûrî Mahå-deva. Ûrîman Mahåprabhu ci ha insegnato ad onorarlo ri-volgendoci a lui come åcårya. Noi rifiutiamo solamente lasua dottrina måyåvåda; una filosofia che non ha fondamen-to nei Veda. Essa è una forma coperta di Buddhismo. Perordine di Bhagavån, al fine di convertire a questa filosofiacoloro che hanno tendenza atea, Ûaõkaråcårya ha distorto ilsignificato dei Veda, del Vedånta e della Gîtå e ha generatola falsa dottrina monista dell'impersonalismo, conosciutacome advaitavåda. Che cosa c'è di sbagliato in ciò per cuiÛaõkaråcårya dovrebbe venir condannato?

Jaiva-dharma

Vaiß∫ava dåsa allora proseguì: "Ti prego, tieni presenteche Råmånuja, Madhva, Viß∫usvåmî e Nimbåditya eranotutti bråhma∫a, e che ognuno di loro aveva migliaia di di-scepoli bråhma∫a. Nel Bengala il nostro Ûrî CaitanyaMahåprabhu era un bråhma∫a Vedico, il nostro Nityånan-da Prabhu era un bråhma∫a Rå∂hîya ed il nostro AdvaitaPrabhu era un bråhma∫a Varendra. I nostri gosvåmî emahåjana erano quasi tutti bråhma∫a. Migliaia di bråh-ma∫a che si trovano all'apice del lignaggio bråhma∫a si so-no rifugiati nel Vaiß∫ava dharma e stanno propagando nelmondo questa religione immacolata. Come puoi quindi di-re che i bråhma∫a di alta classe non hanno riguardo per ilVaiß∫ava dharma?

"Noi sappiamo che quei bråhma∫a che onorano il Vai-snava dharma sono tutti di alta classe. Ma ve ne sono alcu-ni che, pur nati in famiglie bråhma∫a, sono macchiati daglierrori provenienti dalla degradazione del lignaggio familia-re, da compagnie disdicevoli e da falsa educazione, essi so-no perciò ostili al Vaiß∫ava dharma. Con il loro comporta-mento testimoniano solamente la loro sfortuna e la lorocondizione caduta. Tutto ciò non evidenzia il loro brahma-nesimo. Va specialmente notato che, secondo gli Ωåstra, inKali-yuga il numero di bråhma∫a veri è estremamente ri-dotto e questi pochi sono Vaiß∫ava. Quando un bråhma∫ariceve il gåyatrî-mantra Vaiß∫ava, che è considerato la ma-dre dei Veda, diventa un Vaiß∫ava iniziato. Tuttavia conta-minati da Kali-yuga, alcuni di questi bråhma∫a accettanoun'iniziazione non Vedica e abbandonano il Vaiß∫avismo.Quindi, solo in considerazione del fatto che il numero dibråhma∫a Vaiß∫ava è molto piccolo, non dovresti confezio-nare una conclusione contraria ai principi degli Ωåstra."

Nyåyaratna chiese: "Perchè sono così tante le persone dibassa classe che abbracciano il Vaiß∫ava dharma?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Non c'è nulla su cui dubitare al

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dici potrebbero sembrare riscontrabili fievoli traccemåyåvåda ma, se vengono esaminati i mantra precedenti equelli successivi, quella interpretazione sarà refutata all'i-stante."

Nyåyaratna disse: "Fratello mio, io non ho studiato nè leUpanißad nè il Vedånta-sütra. Quando nascono discussionisul nyåya-Ωåstra, sono però sempre pronto a discutere qual-siasi argomento venga affrontato. Utilizzando la logica pos-so trasformare una pentola di terracotta in un pezzo di stof-fa e un pezzo di stoffa in una pentola di terracotta. Ho let-to un pò la Gîtå ma non l'ho approfondita molto, perciò nonposso dire nulla al proposito. Invece vorrei chiederti anco-ra qualcosa su di un altro argomento. Tu sei uno studiosoerudito, ti prego, spiegami in modo appropriato perchè iVaiß∫ava non hanno fede nelle rimanenze del cibo offertoai deva ed alle devî, nonostante abbiate una grande fede nelviß∫u-prasåda."

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Io non sono uno studioso; sonoun grande sciocco. Devi sapere che qualsiasi cosa io dica èsolamente l'espressione della misericordia del mio Guru-deva, Paramahaµsa Båbåjî MahåΩaya. Gli Ωåstra sono unoceano sterminato; nessuno è in grado di conoscerli appie-no. Il mio Gurudeva ha mescolato l'oceano degli Ωåstra eme ne ha consegnato l'essenza. Io ho accettato quell'es-senza come conclusione di tutti gli Ωåstra.

"La risposta alla tua domanda è che i Vaiß∫ava non man-cano di rispetto al prasåda dei deva e delle devî. Ûrî Krishnaè il Supremo controllore di tutti i controllori, perciò Lui sol-tanto è conosciuto col nome di ParameΩvara. Tutti i deva ele devî sono Suoi devoti incaricati di amministrare gli affaridell'universo. I Vaiß∫ava non possono mai mancare di ri-spetto al prasåda dei devoti. Onorando le rimanenze di ci-bo dei devoti, si ottiene Ωuddha-bhakti. La polvere dei pie-di dei devoti, l'acqua nettarea che ha bagnato i piedi dei de-

Jaiva-dharma

"Buddhadeva è un'incarnazione di Bhagavån che ha for-mulato e predicato una dottrina contraria a quella dei Ve-da, ma i discendenti degli Aryani lo hanno per questo con-dannato? Se qualcuno sostiene che queste attività di ÛrîBhagavån e di Mahådeva sono da condannare perchè in-giuste, noi rispondiamo che il Supremo Signore, protettoredell'universo, ed il Suo rappresentante Ûrî Mahådeva, sonoonniscienti e colmi di ogni augurabile bene. Il Signore eMahådeva non possono mai macchiarsi di ingiustizia. E' so-lamente per l'incapacità di comprendere il significatoprofondo delle Loro attività che le persone ignoranti e dal-la mentalità ristretta Li accusano.

"Il Signore e le Sue azioni sono al di là delle facoltà del-la ragione umana. Perciò le persone intelligenti non do-vrebbero mai pensare: 'Il Signore non avrebbe dovuto far-lo; sarebbe stato meglio se Lui avesse agito così.' Solamen-te il Signore Supremo, Colui che dirige tutte le entità vi-venti, conosce il perchè è necessario imprigionare gli ateicon la dottrina dell'illusione. A noi non è dato comprende-re lo scopo del Signore quando manifesta le jiîe nel mo-mento della creazione e quando distrugge le loro forme nelmomento della distruzione cosmica. E' tutto un lîlå di Bha-gavån. Coloro che con dedizione sono devoti del Signore,sperimentano una grande gioia nell'ascoltare la narrazionedei Suoi passatempi. Essi non amano impegnarsi in discus-sioni intellettuali su tali questioni."

Nyåyaratna disse: "Ho capito; ma perchè sostenete chela dottrina måyåvåda è contraria ai Veda, al Vedånta ed al-la Gîtå?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Se tu hai davvero esaminato at-tentamente le Upanißad ed il Vedånta-sütra, puoi dirmi qua-li mantra e quali sütra convalidano la filosofia måyåvåda?Spiegando il loro vero significato, ti proverò che non con-validano affatto la filosofia måyåvåda. In alcuni mantra Ve-

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chè vi opponete all'uccisione degli animali nei sacrifici, pra-tica che è consentita dagli Ωåstra?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Non è nell'intenzione degli Ωåstraincoraggiare l'uccisione degli animali. I Veda dicono: 'nåhimsyåt sarvå∫i bhütåni', non si dovrebbe commettere vio-lenza verso nessuna entità vivente. Questa affermazioneproibisce la violenza anche verso gli animali. Finchè la na-tura umana sarà condizionata dalla passione e dall'igno-ranza, gli esseri umani saranno spontaneamente attratti dalcontatto, anche illecito, con il sesso opposto, dal mangiarecarne e assumere droghe, e non chiedono ai Veda di sanci-re queste azioni.

"Scopo dei Veda non è quello di promuovere questo ge-nere di attività ma di frenarle. Fino a quando l'essere uma-no non sarà situato nella virtù e non in grado di trattenersinaturalmente dall'uccidere gli animali, dalle attività sessualie dal fare uso di intossicanti, i Veda prescrivono vari mezzicoi quali controllare queste tendenze, perciò sanzionano ce-rimonie specifiche per congiungersi con il sesso opposto al-l'interno del matrimonio, per uccidere animali con riti sa-crificali e bere vino nel corso di particolari cerimonie. At-traverso queste pratiche le basse tendenze presenti in un in-dividuo gradualmente svaniranno ed alla fine egli sarà ingrado di tralasciarle del tutto. Questo è il vero scopo dei Ve-da. I Veda non ingiungono l'uccisione degli animali; la lorovera intenzione viene manifestata in questi versi dello Ûrî-mad-Bhågavatam (11.5.11):

loke vyavåyåmißa-madya-sevånîtyåstu jantor na hi tatra codanå

vyavasthitis teßu vivåha-yajñasurå-grahair åΩu niv®ttir i߆å

'In questo mondo le persone hanno una naturale ten-

Jaiva-dharma

voti e il cibo nettareo che ha toccato le loro labbra, sono itre tipi di prasåda che elargiscono il massimo beneficio, so-no la medicina che guarisce dalla malattia dell'esistenza ma-teriale.

"Il fatto è che quando i måyåvådî adorano i devatå e of-frono loro del cibo, i devatå non lo accettano perchè coloroche li adorano sono contaminati dalla dottrina dell'illusio-ne. Negli Ωåstra si trovano ampie evidenze di ciò, e se vuoite le posso citare. Gli adoratori dei deva sono per la mag-gior parte måyåvådî. Accettare il prasåda dei deva offertoda queste persone, risulterebbe deleterio per la propriabhakti ed offensivo verso bhakti-devî mentre, se un puroVaiß∫ava offre il prasåda di Krishna ai deva e alle devî, essilo accetteranno con grande amore ed inizieranno a danzare.Quando poi un Vaiß∫ava gusterà quel prasåda, potrà speri-mentare una straordinaria felicità.

"Un altro aspetto da prendere in considerazione è che leprescrizioni degli Ωåstra sono onnipotenti. Gli yoga-Ωåstraingiungono ai praticanti del sistema yoga di non accettare ilprasåda dei devatå. Questo non significa che i praticantidello yoga mancano di rispetto al prasåda dei devatå, sem-plicemente indica ai praticanti dello yoga-sådhana che nonprendere quel prasåda favorisce il raggiungimento dellaconcentrazione durante la meditazione. Similmente, nelsådhana della bhakti, se un devoto accetta il prasåda di unqualsiasi deva che non sia il Signore, l'oggetto della sua ado-razione, non potrà ottenere una devozione esclusiva per ilsuo Signore. Perciò è un errore pensare che i Vaiß∫ava so-no contrari al mangiare il prasåda di altri deva. Devi sape-re che questo loro comportamento rappresenta solamenteun tentativo volto ad ottenere la perfezione nel consegui-mento delle loro rispettive mete, seguendo le raccomanda-zioni degli Ωåstra."

"Capisco" disse Nyåyaratna "questo è chiaro. Però per-

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'A dispetto della naturale inclinazione dell'essere uma-no nell'indulgere nelle attività sessuali, nel mangiare carnee nell'usare intossicanti, astenersi da queste attività condu-ce a risultati benefici.'

Nayåyaratna disse: "Va bene, ma perchè i Vaiß∫ava sonocontrari alla cerimonia di Ωraddhå e ad altre attività che sipropongono di ripagare il debito verso gli antenati?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Le persone intente a svolgere idoveri obbligatori, compiono la cerimonia Ωraddhå secon-do quanto stabilito nella divisione del karma-ka∫∂a conte-nuta nei Veda. I Vaiß∫ava non hanno obiezioni al riguardo.Gli Ωåstra tuttavia dichiarano (Ûrîmad-Bhågavatam 11.5.41):

deva®ßi-bhütåpta-n®∫åµ pit®∫åµna kiõkaro nåyam ®∫î ca råjan

sarvåtmanå ya˙ Ωara∫aµ Ωara∫yaµgato mukundaµ parih®tya kartam

'O Re, un essere umano che ha abbandonato la falsa con-cezione dell'indipendenza dal Signore e si è rifugiato com-pletamente in Bhagavån Ûrî Mukunda, il rifugio supremo,non è più legato da debiti verso i deva, i saggi, le entità vi-venti, i componenti della famiglia, l'umanità e gli antenati.Non è più subordinato a tutte queste persone nè obbligatoa render loro servizio.'

"Di conseguenza, l'ingiunzione a celebrare la cerimoniaΩraddhå ed altre attività del karma-kå∫∂a, volte a ripagarei debiti che si hanno verso gli ascendenti, non è rivolta ai de-voti che si sono rifugiati nel Signore. Essi sono obbligati adadorare Bhagavån, ad offrire bhågavat-prasåda ai progeni-tori e ad onorare il bhågavat-prasåda con i loro amici e pa-renti."

Jaiva-dharma

denza ad intossicarsi, a consumar carne ed a godere ses-sualmente. Le scritture non possono approvare l'impegnoin queste attività, quindi sono state date delle disposizioniparticolari che permettono l'associazione con il sesso op-posto tramite il matrimonio, mangiare carne dopo il com-pimento di sacrifici, e bere vino con il rituale conosciuto co-me sautråma∫î-yajña. Scopo di queste ingiunzioni è quellodi frenare le tendenze licenziose della gente comune e di ri-portarle ad un comportamento morale. Scopo intrinsecodei Veda nel dare queste disposizioni è quello di allontana-re definitivamente la gente da queste attività.'

"A questo proposito la conclusione Vaiß∫ava è che, seuna persona la cui natura è governata dalla passione e dal-l'ignoranza uccide gli animali, non c'è nessuna obiezione.Ma una persona di natura virtuosa non deve farlo: causaredolore ad altre entità viventi è una propensione animalesca.Ûrî Nårada ha spiegato nello Ûrîmad-Bhågavatam (1.13.47):

ahaståni sa-hastånåm apadåni catuß-padåmphalgüni tatra mahatåµ jîvo jîvasya jîvanam

'Le entità viventi prive di mani sono preda di quelle conle mani. Le forme di vita che sono prive di gambe sono ci-bo per quelle a quattro gambe. Le creature minuscole rap-presentano la sussistenza di quelle più grandi. In questomodo ogni entità vivente diventa mezzo di sostentamentoper un'altra entità vivente.'

"Anche il verdetto della Manu-sm®ti (5.56) è molto chia-ro:

na måµsa-bhakßa∫e doße na madye na ca maithuneprav®ttir eΩå bhütånåµ niv®ttis tu mahå-phalå

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CAPITOLO UNDICIReligione eterna e idolatria

Sulla sponda occidentale del fiume Bhågîrathî, nel di-stretto di Koladvîpa situato nella regione di Navadvîpa sor-geva un famoso villaggio di nome Kulîya Påhårpura. Aitempi di Ûrîman Mahåprabhu, in quel villaggio viveva unVaiß∫ava influente e molto rispettato di nome Ûrî Mådhavadåsa Ca††opådhyåya, conosciuto anche come ChakauriCa††opådhyåya. Costui aveva un figlio di nome Ûrîla VaµΩî-vadanånada Êhåkura. Per misericordia di Ûrî CaitanyaMahåprabhu, Ûrî VaµΩîvadanånanda godeva di un forte po-tere e di autorevolezza. Tutti lo consideravano un'incarna-zione del flauto di Krishna e quindi gli si rivolgevano chia-mandolo VaµΩîvadanånanda Prabhu. Egli era rinomatoper essere uno speciale recipiente della misericordia di ma-dre Ûrî Viß∫upriyå.

Dopo la scomparsa di Ûrî Priyåjî, VaµΩî Prabhu trasferìla Divinità da lei adorata da Ûrîdhåma-Måyåpura a KulîyaPåhårpura. Dopo qualche tempo l'adorazione della Divi-nità fu proseguita dai discendenti di VaµΩî Prabhu tuttavia,quando i suoi discendenti ottennero la misericordia di ÛrîJåh∫avå Måtå e si trasferirono da Kulîya Påhårpura a Ûrîpå†Båghanåpårå, l'adorazione della Divinità di Kulîya-gråmapassò agli Sivåiti di Målañcha.

Kulîya-gråma è sulla sponda opposta del Gange rispettoa Pråcîna Navadvîpa. Vi erano pochissimi insediamenti nel-l'area di Kulîya-gråma, tra cui Cinå∂å∫gå e pochi altri co-nosciuti. A Cinå∂å∫gå viveva un devoto mercante che unavolta preparò un festival spirituale nel tempio di Kulîya

Jaiva-dharma

Nyåyaratna chiese: "A che punto si hanno i requisiti e l'i-doneità ad agire in questo modo?"

Vaiß∫ava dåsa rispose: "Dal momento in cui si risvegliala fede nell'hari-kathå e nell'Harinåma si è legittimati adagire in questo modo, questa è prerogativa di un Vaiß∫ava.Nello Ûrîmad-Bhågavatam (11.20.9) sta scritto:

tåvat karmå∫i kurvîta na nirvidyeta yåvatåmat-kathå Ωrava∫ådau-vå Ωraddhå yåvan na jåyate

'Finchè una persona non ha risvegliato il distacco dalleattività interessate e dai risultati di queste attività (come adesempio meritare i pianeti celesti), oppure finchè non ha ri-svegliato fede nell'ascolto e nel canto della Mia lîlå-kathå,sarà obbligato ad impegnarsi nel karma seguendo regole eproibizioni insite in questa via.'

Trasformato dalle parole di Vaiß∫ava dåsa, Nyåyaratnadisse: "Sono deliziato dalle tue spiegazioni. Constatando latua erudizione e la tua sottile capacità di discriminazione,ora mi ritengo soddisfatto e la mia fede nel Vaiß∫ava dhar-ma si è risvegliata. Fratello, Harihara, non serve discutereulteriormente. Tra i pa∫∂ita questi Vaiß∫ava sono grandi in-segnanti. Straordinariamente esperti nell'estrarre le con-clusioni di tutti gli Ωåstra. Noi possiamo dire qualsiasi cosaper salvare la nostra occupazione ma, senza nessun dubbio,mai è apparso nella terra del Bengala e nell'India tutta, unostudioso famoso ed esaltante Vaiß∫ava come Nimåi Pa∫∂ita.Andiamo, è ora di attraversare il Gange; il giorno sta finen-do e sarà difficile attraversarlo al buio."

Nyåyaratna e il suo gruppo di insegnanti partirono escla-mando: "Haribol! Haribol!"

I Vaiß∫ava danzarono cantando: "Jaya Ûacînandana!"

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Undicesimo CapitoloJaiva-dharma

Påhårpura. Molti bråhma∫a-pa∫∂ita e Vaiß∫ava, che vive-vano entro le trentadue miglia della circonferenza di Na-vadvîpa, furono invitati al festival. Il giorno della festa iVaiß∫ava giunsero da ogni direzione. Vennero molti emi-nenti Vaiß∫ava, ognuno accompagnato da un seguito: ÛrîAnanta dåsa venne da Ûrî N®sîµha-pallî, Goråcånda dåsaBåbåjî da Ûrî Måyåpura, Ûrî Nåråya∫a dåsa Båbåjî arrivò daÛrî Bilva-pußkari∫î, il rinomato Narahari dåsa da Ûrî Mo-dadruma, Ûrî Paramahaµsa Båbåjî e Ûrî Vaiß∫ava dåsa daÛrî Godruma e Ûrî Ûacînandana dåsa da Ûrî Samudragarh.

La fronte dei Vaiß∫ava era decorata con il tilaka vertica-le, a simboleggiare che i loro corpi erano templi di Ûrî Hari.Essi portavano il tulasî-målå al collo e i loro corpi splende-vano poichè erano segnati dalle lettere dei nomi di Ûrî Gau-ra e Nityånanda. Tutti tenevano un harinåma-målå in ma-no. Alcuni cantavano a gran voce il mahåmantra: HareKrishna Hare Krishna, Krishna Krishna Hare Hare, HareRåma Hare Råma, Råma Råma Hare Hare. Altri erano ar-rivati facendo saõkîrtana accompagnati da m®danghe e ka-ratåla e cantavano: 'saõkîrtana måjhe nåce gora vinodiyå',l'affascinante Ûrî Gauracandra danza nel mezzo del saõkîr-tana. Ven'erano che danzavano in continuazione cantando:'sri k®ß∫a caitanya prabhu nityånanda Ωrî advaita gadådharaΩrî våsådi gaura bhakta-v®nda.'

Molti devoti mostravano sintomi d'estasi espressi da tor-renti di lacrime e peli ritti. C'era chi gridava con fervore:'Gaura-kiΩora! Quando ci concederai la visione dei Tuoipassatempi di Navadvîpa?' Alcuni Vaiß∫ava, accompagna-ti da m®danga e altri strumenti, cantavano il Santo Nomecamminando. Le donne di Kulîya, devote di Ûrî Gauraõga,si stupivano osservando le emozioni spirituali manifestatedai Vaiß∫ava.

Così facendo i Vaiß∫ava arrivarono al nå†ya-ma∫∂ira, lasala del kîrtana adiacente all'altare delle Divinità, dove Ûrî-

man Mahåprabhu era solito fare il saõkîrtana e danzare. Làfurono accolti dal mercante che aveva finanziato la festa.Egli portava una stoffa attorno al collo in segno di sotto-missione e mostrava grande umiltà prostrandosi ai piedi deiVaiß∫ava. Quando i Vaiß∫ava furono tutti seduti nel nå†ya-ma∫∂ira, gli Sivåiti del tempio portarono ghirlande di fiori,già offerte al Signore, e le misero al collo dei Vaiß∫ava. Fu-rono poi recitati melodiosamente i versi poetici del libro 'ÛrîCaitanya-maõgala'. Dopo aver ascoltato i dolci passatempidi Ûrî Caitanyadeva i Vaiß∫ava iniziarono a manifestare va-ri tipi di såttvika-bhåva.

Mentre i Vaiß∫ava erano così assorti nella felicità dell'a-more divino, un portiere entrò e si rivolse alle autorità deltempio dicendo: "Il capo Mullah (studioso religioso Musul-mano) di Såtsaikå Paraganå si è seduto fuori dalla sala del-le assemblee insieme ai suoi seguaci desiderando parlarecon qualche pa∫∂ita Vaiß∫ava." Le autorità del tempioinformarono i pa∫∂ita-båbåjî dell'arrivo del Mullah e delsuo desiderio di parlare con loro. Non appena i Vaiß∫avaudirono la notizia, il sentimento di tutta l'assemblea sioscurò poichè il flusso del råsa trascendentale venne inter-rotto.

Krishna dåsa Båbåjî MahåΩaya di Ûrî Madhyadvîpa chie-se alle autorità del tempio: "Qual è l'intenzione del MullahSahib?" Conoscendo lo scopo del Mullah essi risposero:"Vuole discutere di alcune questioni spirituali con i pa∫∂itaVaiß∫ava." E aggiunsero che il Mullah era il più rinomatodegli studiosi Musulmani. Sebbene fosse sempre dedito apromuovere la sua religione, non era però nemico o batta-gliero verso le altre religioni. Era rispettato moltissimo dal-l'Imperatore di Delhi. Le autorità chiesero umilmente cheuno o due Vaiß∫ava pa∫∂ita si facessero avanti per discute-re gli Ωåstra con lui al fine di dimostrare l'elevatezza del sa-cro Vaiß∫ava dharma.

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Undicesimo Capitolo

società Induista i deva e le devî vengono adorati fin dai tem-pi antichi. Noi leggiamo nel nostro Qur'ån-sharîf che Allahè uno, non due. Egli non ha forma. Se si costruisce una Suaimmagine e la si adora, ciò viene considerato come un'offe-sa. Poichè nutro dei dubbi riguardo questa conclusione hointerrogato molti bråhma∫a-pa∫∂ita nella speranza di chia-rirli. Costoro mi hanno risposto che, sebbene sia vero cheAllah è privo di forma, non è possibile concepire qualcosache non abbia una forma. Perciò si deve prima di tutto co-struire una forma immaginaria di Allah, poi meditare su diEssa e infine adorarla.

"Io non mi sento soddisfatto da questa risposta perchècreare una forma immaginaria di Allah è opera di Satan esi chiama bhüt. E' assolutamente proibito adorare questobhüt. Ben lungi dal dar piacere ad Allah, questa adorazio-ne ci rende solamente soggetti al Suo castigo. Abbiamosentito dire che il vostro precettore originario, Ûrî Cai-tanyadeva, rettificò il dharma Induista da tutti i suoi errori.Ma si constata che all'interno della Sua sampradåya è stataistituita una clausola per compiere la bhüt-parsat, l'adora-zione di forme materiali. Vogliamo sapere da voi perchè,pur essendo i Vaiß∫ava molto esperti sulle conclusioni degliΩåstra, non abbiano ancora abbandonato l'adorazine di for-me materiali."

I pa∫∂ita Vaiß∫ava, interiormente divertiti dalla doman-da del Mullah, esternarono: "Pa∫∂ita GoråcåndaMahåΩaya, ti preghiamo rispondi appropriatamente alla do-manda del Mullah."

Pa∫∂ita Goråcånda con grazia disse: "Come ordinate"ed iniziò a rispondere: "Colui che tu chiami Allah, noi Lochiamiamo Bhagavån. Il Signore Supremo è uno, pur es-sendo indicato con nomi differenti nel Qur'ån, nei Purå∫a ein altre lingue di altri paesi. La prima considerazione da fa-re è che il nome che esprime tutte le caratteristiche del Si-

Jaiva-dharma

Percependo l'opportunità di propagare il Vaiß∫ava dhar-ma, alcuni Vaiß∫ava si sentirono ispirati a parlare con il Mul-lah Såhib. Fu perciò deciso che Goråcånda dåsa Pa∫∂itaBåbåjî di Ûrî Måyåpura, Vaiß∫ava dåsa Pa∫∂ita Båbåjî di ÛrîGodruma, Premadåsa Båbåjî di Jahnu-nagara e Kali-påva-na dåsa Båbåjî di Campaha††a avrebbero discusso con ilMullah Såhib. Tutti gli altri Vaiß∫ava avrebbero potuto se-guire il dibattito dopo aver terminato la recitazione del ÛrîCaitanya-maõgala. Sentiti i nomi, i quattro pa∫∂ita presceltiesclamarono: "Jaya Nityånanda!" e si spostarono nel gran-de cortile esterno del tempio.

Il Mullah ed i suoi compagni erano già seduti nel cortilesotto la fresca e piacevole ombra di un grande baniano.Quando videro i Vaiß∫ava avvicinarsi, il Mullah ed il suogruppo si alzarono per accoglierli cordialmente. I Vaiß∫ava,consci che tutte le entità viventi sono servitrici di Krishna,offrirono da∫∂avat al Signore Vasudeva situato nel cuoredel Mullah e dei suoi compagni e poi si sedettero.

La scena era straordinaria: cinquanta studiosi Musulma-ni, ben vestiti e con le barbe bianche, erano seduti da un la-to mentre alcuni stalloni solennemente decorati stavanodietro a loro. Dall'altro lato, quattro Vaiß∫ava dall'aspettodivino sedevano esprimendo umiltà. Molti Hindu arriva-rono in grande anticipo e si sedettero vicino ai Vaiß∫ava co-me molte altre persone che si erano già sedute lì attorno.

Pa∫∂ita Goråcånda fu il primo a parlare. Egli chiese:"Grandi anime, perchè avete convocato delle persone insi-gnificanti come noi?"

Mullah Badr ud-Dîn Såhib umilmente rispose: "Salåm(per favore, accettate i nostri omaggi). Siamo venuti da voiper porre alcune questioni."

Pa∫∂ita Goråcånda disse: "Che conoscenza possiamoavere per poter rispondere alle vostre erudite domande?"

Badr ud-Dîn Såhib si fece avanti e disse: "Fratelli, nella

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Undicesimo Capitolo

mo), perciò i Suoi passatempi sono ricolmi di dolcezza. Laquarta caratteristica di Bhagavån è che Egli possiede tuttala saundarya (bellezza). Tutte le entità viventi potenziateda una visione spirituale Lo vedono come il più affascinan-te. La quinta caratteristica del Signore è che Egli è l'incar-nazione di ogni conoscenza, aΩeßa-jñåna. Ciò indica che èpuro, completo, onnisciente e trascende la materia monda-na. La Sua forma è l'incarnazione stessa della coscienza esi trova al di là degli elementi materiali (bhüt). La sesta ca-ratteristica di Bhagavån è che, sebbene sia maestro di tuttele entità viventi, Egli ne è al contempo distante ed indipen-dente. Queste le sei caratteristiche che si riscontrano inBhagavån.

"Bhagavån Si manifesta in due maniere caratteristiche:come aiΩvarya-prakaΩa (la forma maestosa), e comemådhurya-prakaΩa (la forma di dolcezza). La Sua forma didolcezza è estremamente cara alle jîve ed è la personalitàdal nome Krishna o Caitanya, il Signore del nostro cuore.Quando tu fai riferimento all'adorazione di qualche formaimmaginaria del Signore come bhüt-parast, adorazione diuna forma materiale, ciò non è in contraddizione col nostropunto di vista. Adorare in piena coscienza l'eterna formadella Divinità del Signore, è il dharma dei Vaiß∫ava; perciòbhüt-parast (idolatria) non fa parte della nostra dottrina."

Pa∫∂ita Goråcånda continuò: "L'adorazione della Divi-nità da parte dei Vaiß∫ava non è idolatria. L'adorazionedella Divinità non può essere proibita semplicemente per-chè alcuni libri vietano l'idolatria; tutto dipende dalla qua-lità della fede che chi adora ha nel cuore. Più il cuore è ingrado di trascendere l'influenza della materia, più si è qua-lificati ad adorare la pura forma della Divinità. Tu sei ilMullah Såhib, il capo degli studiosi Musulmani; il tuo cuorepuò liberarsi dall'influenza della materia, ma che dire deituoi discepoli che non sono eruditi come te? I loro cuori so-

Jaiva-dharma

gnore Supremo deve avere la precedenza sugli altri. E' perquesta ragione che noi diamo molta importanza al nomeBhagavån piuttosto che a nomi come Allah, Brahman e Pa-ramåtmå. La parola Allah si riferisce a quell'essere che nonha superiori. Noi non consideriamo il contrassegno b®hatt-va (grandezza o supremazia), la caratteristica più elevatache il Signore possiede. Quella che merita il nostro massi-mo riguardo è invece la caratteristica nella quale si riscontrail più alto grado di camatkåritå (meraviglia).

"Quando ci riferiamo a qualcosa di eccezionalmentegrande, ne traiamo un certo tipo di meraviglia. Tuttavia an-che l'antipode della grandezza, cioè l'infinitesimale, tra-smette a sua volta un altro tipo di meraviglia. Il nome Allahesprime grandezza ma non esprime infinitesimalità. Perciòla parola Allah non tocca il limite massimo di camatkåritå.Viceversa la parola Bhagavån implica ogni immaginabile ti-po di meraviglia.

"La samagra-aiΩvarya (l'opulenza completa), è la princi-pale caratteristica di Bhagavån. Essa si riferisce al limitemassimo sia della grandezza che dell'infinitesimalità. Sar-va-Ωaktimattå (l'onnipotenza), è la seconda caratteristica diBhagavån. Ciò che è al di là dell'intelletto umano si trovasotto la giurisdizione dell'inconcepibile potenza del Signo-re, conosciuta come acintya-Ωakti. Attraverso questaacintya-Ωakti, Bhagavån è simultaneamente såkåra (con unaforma) e niråkåra (privo di forma).

“Pensare che il Signore non possa avere una forma si-gnifica rifiutare la Sua acintya-Ωakti. E' per mezzo di que-sta potenza che Bhagavån manifesta ai devoti la Sua formaeterna ed i Suoi passatempi. Poichè Allah, Brahmå, oppu-re Paramåtmå, sono solamente niråkåra, essi sono privi dispeciale meraviglia.

"La terza caratteristica di Bhagavån è che Egli è sempremaõgalamaya (di buon auspicio), e yaΩa-pür∫a (famosissi-

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Undicesimo Capitolo

sti di terra, acqua, fuoco o altri elementi. Nello Ûrîmad-Bhågavatam (10.84.13) sta scritto:

yasyåtma-buddhi˙ ku∫ape tri-dhåtukesva-dhî˙ kalatrådißu bhauma ijya-dhî˙

yat tîrtha-buddhi˙ salile na karhicijjaneßv abhijñeßu sa eva go-khara˙

'Colui che crede che questo corpo, composto da elemen-ti come muco, bile ed aria, sia il sè, che pensa alla moglie, aifigli ed agli altri cimponenti della famiglia come suoi, cheguarda un'immagine terrena come ad una cosa degna diadorazione o che accetta l'acqua di un fiume come luogo dipellegrinaggio, ma non considera i devoti, esperti nella Ve-rità Assoluta, cari come il suo stesso sè e non stabilisce conloro una relazione intima, nè crede che sono adorabili o insè stessi luoghi santi di pellegrinaggio, dev'essere conside-rato come un asino tra le mucche.'

"Nella Gîtå (9.25) è affermato:

bhütåni yånti bhütejyå

'Coloro che adorano la materia tornano alla materia.'

"Da queste e da molte altre asserzioni, si può capire chel'adorazione della materia non ha fondamento negli Ωåstra.Vi è un punto importante da esaminare. Gli esseri umani sicollocano a differenti livelli di qualificazione secondo la lo-ro conoscenza e la loro purezza. Solamente coloro che com-prendono Ωuddha-cinmaya-bhåva, l'esistenza spirituale pu-ra, sono qualificati ad adorare la forma cinmaya della Divi-nità. Il grado di primitività a questo riguardo determina il li-mite della propria comprensione.

Jaiva-dharma

no liberi da pensieri materiali?"Più si è presi da pensieri materiali più si è implicati nel-

l'adorazione della materia. Anche se si proclama che il Si-gnore è privo di forma, il cuore rimane occluso da pensierimateriali. E' molto difficile che la gente comune riesca adadorare la forma pura della Divinità, perchè questa adora-zione presuppone una qualifica che è strettamente perso-nale. In altre parole, solamente colui che si è elevato oltrela materia può trascendere i pensieri sulle forme materiali.Ti chiedo sinceramente di prendere in attenta considera-zione questo punto."

Il Mullah Såhib rispose: "Ci ho già pensato con cura e so-no giunto alla conclusione che i sei tipi di camatkåritå (me-raviglia), che tu attribuisci al termine Bhagavån sono glistessi descritti nel Qur'ån-sharîf con riferimento al termineAllah. Non c'è altro da aggiungere per quanto riguarda ilsignificato della parola Allah: Allah è Bhagavån."

"Molto bene" disse Goråcånda. "Se è così, allora deviaccettare anche la bellezza e l'opulenza dell'Essere Supre-mo. Si deve ammettere perciò che Egli possiede una formasplendida nel mondo spirituale, un mondo distinto da quel-lo fatto di materia. Questa è la nostra forma sublime dellaDivinità."

Il Mullah disse: "E' scritto nel nostro Qur'ån che l'EntitàSuprema possiede una forma divina che è onnisciente; quin-di siamo obbligati ad accettare questo fatto tuttavia, quan-do viene costruita un'immagine di quella forma spirituale,essa è una forma materiale; questo è ciò che chiamiamobhüt. L'adorazione di bhüt non è l'adorazione dell'EssereSupremo. Ti prego, dimmi cosa ne pensi."

Goråcånda rispose: "Negli Ωåstra Vaiß∫ava vi è una clau-sola per l'adorazione della forma spirituale della Divinità diBhagavån. Per i devoti di alto livello, non sono state forni-te prescrizioni per l'adorazione di oggetti materiali compo-

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Undicesimo Capitolo

“Il devoto però non percepisce direttamente la Divinitàcome forma spirituale del Signore completamente coscien-te, come avviene per i devoti più avanzati. Per chi si trova allivello più basso, la Divinità viene concepita all'inizio comeja∂amaya (materiale), ma nel corso del tempo la Divinità simanifesterà all'intelligenza purificata dall'amore spiritua-le, nella Sua forma spirituale pura. Di conseguenza, la for-ma della Divinità del Signore deve essere adorata da tutte lecategorie di devoti. Mentre non è necessario adorare unaforma immaginaria, è molto favorevole adorare la formaeterna della Divinità del Signore.

"Nelle sampradåye Vaiß∫ava è stata data, per le personeche si trovano nei tre livelli di qualificazione, l'ingiunzionead adorare la Divinità. Non vi è errore in questo perchè, so-lamente con questa combinazione, ci potrà essere per la jî-va un graduale affermarsi di fattori di buon augurio. Ciò èconfermato dallo Ûrîmad-Bhågavatam (11.14.26):

yathå yathåtmå parimrjyate 'saumat-pu∫ya-gåthå-Ωrava∫åbhidhånai˙

tathå tathå paΩyati vastu sükßmaµcakßur yathaivåñjana-samprayuktam

'Uddhava, come gli occhi trattati con un balsamo tera-peutico possono vedere oggetti minuscoli, così il cuore, pu-lito dalla contaminazione materiale con l'ascolto e la narra-zione delle Mie supreme attività pure, è in grado di vederela Mia forma sottile trascendentale che si trova al di là del-la materia.'

"La jîvåtmå in questo mondo è coperta dalla mente ma-teriale. In questo stato l'atma non è in grado di conoscere sèstessa o di rendere servizio al Paramåtmå. Compiendo lasådhana-bhakti, che consiste nell'ascolto, nel canto e in al-

Jaiva-dharma

"Coloro che si trovano al livello più basso di qualifica-zione non possono comprendere cinmaya-bhåva" continuòGoråcånda. "Anche quando meditano sul Signore, la for-ma che essi immaginano è materiale. Costruire una formacomposta da elementi fisici e poi considerarla la forma delSignore, è esattamente uguale a meditare con la mente sudi una forma materiale. Perciò è appropriato per una per-sona che si trova a questo livello di qualificazione adorarela Divinità.

“Quando le jîve sviluppano la tendenza a servire il Si-gnore, si scoraggiano se non possono vedere la forma dellaDivinità. Praticamente parlando, se non ci fosse l'adora-zione della Divinità, ciò sarebbe molto sfavorevole per lepersone comuni. Nelle religioni dove non vi è adorazionedella Divinità, le persone che si trovano ad un basso livellodi qualifiche spirituali sono molto materialiste e dimentichedi Dio. Perciò l'adorazione della Divinità è alla base dellareligione per tutta l'umanità.

"La forma del Signore Supremo si rivela ai mahåjana tra-mite la trance di jñåna-yoga. I mahåjana meditano nel lorocuore purificato dalla bhakti su quella forma trascendenta-le pura. Dopo continue meditazioni, quando il cuore sischiude al mondo materiale, il riflesso della forma trascen-dentale del Signore (che si sprigiona dal cuore del devoto),viene ritratto in questo mondo. La forma divina del Signo-re, riflessa in questo modo dai mahåjana, diviene la formadella Divinità.

"Questa forma è sempre cinmaya, spirituale e coscienteper coloro che si trovano nel punto più elevato di qualifica-zione. Per chi si trova ad un livello intermedio, la Divinitàè manomaya, arricchita di percezioni e di coscienza. Ciò si-gnifica che il devoto intermedio pensa che la Divinità sia co-sciente dei suoi pensieri e delle sue preghiere e che accetti ilsuo sentimento di adorazione.

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Undicesimo Capitolo

Quando diciamo che il Brahman è onnipervadente, comepuò la nostra mente capirlo nel vero senso? Saremo co-stretti a pensare facendo un paragone con l'onnipervaden-za del cielo. Come può la mente andare oltre questa consi-derazione? Quindi anche la nostra concezione di Brahmanè limitata allo spazio materiale.

"Se si affermasse: 'Sto meditando sul Brahman,' la no-stra percezione del Brahman sarà limitata al tempo mate-riale. Quando la meditazione è conclusa, cessa anche la per-cezione del Brahman.

“Il tempo e lo spazio sono fenomeni materiali. Se lamente nelle sue meditazioni non è al di là dell'influenza ditempo e spazio, come può percepire un oggetto che si tro-va oltre la materia? Anche rifiutando il concetto che laforma della Divinità possa essere costituita da elementi ma-teriali come terra ed acqua, si immagierà pur sempre il Si-gnore situato nello spazio; ma questa è adorazione di mate-ria.

"Non esiste oggetto materiale che possa aiutare a rag-giungere l'oggetto trascendentale. La sola cosa che lo ren-de possibile è il risveglio di îΩvara-bhåva, l'inclinazione peril Signore. Questa propensione si trova all'interno dellajîvåtmå. Cantando il Santo Nome del Signore, recitando iSuoi passatempi, ispirata dalla contemplazione della Divi-nità, l'inclinazione si rafforzerà e si trasformerà in bhakti.La forma spirituale del Signore si può sperimentare sola-mente con la pura bhakti, non col jñåna e neppure con ilkarma."

"La materia è distinta da Dio" disse il Mullah Såhib. "Sidice che Satan abbia introdotto l'adorazione della materiaper tenere prigioniere le entità viventi nel mondo materia-le. Perciò penso sia meglio non adorare oggetti materiali."

Goråcåndra rispose: "Il Signore Supremo è l'Uno senzasecondi; non ha rivali. Tutto ciò che si trova in questo mon-

Jaiva-dharma

tre pratiche devozionali, l'åtmå gradualmente sviluppa ilpotere spirituale. Man mano che esso aumenta, i legamimateriali si allentano. Più questi si allentano, più la naturaintrinseca dell'anima si potenzia, e così la percezione diret-ta del sè e del Signore, come l'impegno diretto nelle attivitàspirituali, gradualmente si elevano."

Goråcånda continuò spiegando: "Alcuni pensano che cisi dovrebbe sforzare per realizzare la Verità Assoluta rifiu-tando tutto ciò che non è vero. Questo si chiama coltivareuna conoscenza arida.

“Che potere deve avere un'anima condizionata per po-ter rinunciare agli oggetti che non sono in sè reali? Può unprigioniero confinato in una cella liberarsi semplicementedesiderandolo? Il suo obiettivo dovrebbe essere quello disradicare l'offesa che lo ha condotto in quello stato di pri-gionia. La jîvåtmå è un'eterna servitrice del Signore; que-sta dimenticanza è la sua colpa principale; per questo essaè prigioniera di måyå ed è costretta a dolore e felicità ma-teriali, a rinascere e a morire.

"Se la mente in qualche modo inclina verso il Signore al-lora, con il darΩana regolare della Divinità ed ascoltando lelîlå-kathå (narrazioni dei passatempi del Signore), l'animaricupera gradualmente il potere della sua natura originale.Più l'anima acquisisce questo potere, più diventa compe-tente a percepire direttamente lo spirito. Servire la Divinitàed ascoltare e cantare le glorie del Signore, sono gli unicistrumenti di progresso per le persone che si trovano sul gra-dino più basso di qualificazione. E' per questa ragione chei mahåjana hanno stabilito il servizio alla Divinità."

"Meditare con la mente su di una forma del Signore nonè superiore al costruire una Sua forma composta da ele-menti materiali?" Chiese Mullah Såhib.

Goråcånda rispose: "E' la stessa cosa. La mente segue lamateria; qualsiasi cosa essa pensi è anch'essa materiale.

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Undicesimo Capitolo

sone iniziano ad adorare la Divinità da neofiti. Più il lorosentimento devozionale si sviluppa, tramite l'associazionecon i puri devoti, più realizzano la natura spirituale e co-sciente della Divinità, e di conseguenza essi si immergononell'oceano di prema.

"La conclusione inevitabile è che sat-saõga è la radice diogni cosa. Quando ci si associa con i devoti del Signore, chesono pienamente situati in coscienza di Dio, si risveglia cin-maya bhågavad-bhåva, un affetto trascendentale verso il Si-gnore. Più questo affetto aumenta, più l'idea materiale del-la Divinità svanisce. La graduale intensificazione di questacoscienza è il risultato di una grande fortuna; viceversa i se-guaci di religioni non Aryane in genere si oppongono all'a-dorazione della Divinità.

“Considera questo: quanti tra di loro hanno ottenuto larealizzazione spirituale nell'amore per Dio? Essi perdonoil loro tempo discutendo di argomenti inutili e astiosi.Quando mai hanno sperimentato la vera devozione perBhagavån?"

Mullab Såhib disse: "Non c'è contraddizione se si prati-ca internamente il bhajan di Bhagavån con sentimento diamore mentre esternamente ci si impegna nell'adorazionedella Divinità. Tuttavia, se si adora un cane, un gatto, unserpente o un debosciato, come può venir considerata ado-razione di Bhagavån? Il nostro riverito profeta, Paigamba-ra Såhib, ha condannato con forza questa adorazione di og-getti materiali."

Goråcånda rispose: "Tutti gli esseri umani sono grati aDio. Non importa quanti peccati abbiano commesso. In al-cune occasioni essi diventano coscienti che Dio è l'obiettivosupremo. Rafforzati da questo credo, essi si inchinano da-vanti a creazioni straordinarie di questo mondo. Motivatidalla gratitudine per Dio, le persone ignoranti naturalmen-te offrono rispetti al sole, ai fiumi, alle montagne o ad enor-

Jaiva-dharma

do è creato da Lui e si trova sotto il Suo controllo. PerciòEgli può essere soddisfatto da qualsiasi oggetto quando vie-ne usato per la Sua adorazione. Non esiste nessun oggettoin questo mondo che possa far nascere in Lui del malanimoperchè Lui è colmo di auspiciosità quindi, se esiste una per-sona come Satan, non ha il potere di opporsi al volere diDio. Anche se Satan esistesse, sarebbe una jîva particolaresotto il controllo di Dio ma, secondo me, non è possibile cheesista un'entità vivente tanto gigantesca, nulla può esser fat-to in questo mondo contro il volere del Signore, nè esisteuna qualche entità vivente indipendente da Lui.

"A questo punto potresti chiedere: 'Qual è l'origine delpeccato?' La mia risposta è che le jîve sono servitrici diBhagavån. Realizzare questo si definisce vidyå, mentre ilnon averne coscienza si definisce avidyå. Tutte le jîve che,per una ragione o per l'altra, si rifugiano nell'avidyå, pian-tano nel proprio cuore il seme di tutti i peccati.

“Nel cuore di quelle jîve che sono eterne compagne delSignore non vi è il seme del peccato. Invece di immaginareil mito straordinario di Satan, si dovrebbe capire bene que-sta verità dell'avidyå. Perciò, se si adora il Signore presen-te all'interno degli elementi materiali, non c'è offesa.

“Adorare la Divinità è essenziale per chi ha bassa quali-ficazione spirituale ed è particolarmente auspicioso per co-loro che hanno una qualificazione spirituale elevata. E' unsemplice dogma pensare che l'adorazione della Divinitànon sia una cosa buona. Non vi è logica nè evidenze dellescritture che supportino questa ipotesi."

Mullah Såhib rispose: "L'inclinazione verso Dio non puòessere stimolata dall'adorazione della Divinità perchè lamente di chi adora resta sempre confinata nella materia."

Goråcånda rispose: "Possiamo comprendere la mancan-za contenuta nella tua teoria studiando le itihåsa, le antichestorie di coloro che sono diventati grandi devoti. Molte per-

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Undicesimo CapitoloJaiva-dharma

mi animali. Essi esprimono il proprio cuore davanti a que-ste cose e dimostrano la loro sottomissione.

“Anche se vi è una grande differenza tra la cinmaya bhå-gavad-bhakti e questa adorazione di oggetti materiali, il sen-timento di gratitudine verso Dio e di reverenza verso gli og-getti materiali, produce gradualmente un effetto positivo,perciò, se si esamina la situazione in modo logico, non si puòascrivere nessun errore a queste persone.

"La meditazione sull'aspetto privo di forma ed onniper-vadente del Signore ed offrire namaz (un tipo di preghieraMusulmana) o altri tipi di preghiere verso questo aspettoimpersonale del Signore, sono anch'essi privi di Ωuddha-cin-maya-bhåva, puro amore spirituale.

“Se fosse questo il caso come potrebbero questi metodiessere differenti dall'adorazione di un gatto? Secondo noiil risveglio dell'affetto per Dio e la contemplazione dell'af-fetto per Dio attraverso ogni mezzo possibile, è essenziale.Se le persone che si trovano in un qualsiasi livello di adora-zione vengono ridicolizzate o condannate, la porta che con-duce la jîva ad una graduale elevazione, verrebbe definiti-vamente sbarrata. Coloro che diventano settari, cadendonelle spire del dogmatismo, sono privi di liberalità e muni-ficenza. Come conseguenza, essi ridicolizzano e condanna-no quelli che non adorano alla stessa loro maniera. Questoè un grave errore da parte loro."

Il Mullah chiese: "Allora dobbiamo concludere che tut-to è Dio e che, qualsiasi cosa si adori equivale ad adorareDio? Così anche adorare oggetti peccaminosi sembrerebbeun'adorazione di Dio, e anche adorando con una tendenzapeccaminosa sarebbe come adorare Dio. E Dio sarebbecompiaciuto da questi modi di adorazione?"

"Noi non affermiamo che tutto è Dio" rispose Goråcån-da. " Dio è distinto da queste cose. Tutto viene creato daDio e si trova sotto il Suo controllo, quindi tutto ha una re-

lazione con Dio. Per effetto di questo legame che intercor-re con ogni cosa, si potrebbe riflettere sulla presenza di Dioin ogni cosa. Riflettendo sulla presenza di Dio in ogni co-sa, gradualmente si diventa capaci di gustare o di sperimen-tare la presenza della Suprema Entità Trascendentale e co-sciente. Ciò viene espresso nel sütra: 'jijñåsåsvådanåvadhi',la riflessione si conclude in esperienza.

"Voi siete tutti dei pa∫∂ita eruditi. Se considerate la que-stione con generosità, capirete. Noi siamo Vaiß∫ava; total-mente disinteressati alle cose materiali; non abbiamo nes-sun desiderio di impegnarci in lunghe discussioni fuorvian-ti. Se gentilmente ce lo permettete, ora potremo ascoltarei racconti musicati del Ûrî Caitanya-maõgala."

Non era chiaro a quale conclusione fosse giunto il MullahSåhib dopo questa discussione. Dopo un breve silenzio eglidisse: "Sono contento di aver ascoltato il vostro punto di vi-sta. Tornerò un altro giorno a porre ulteriori domande.Ora è tardi e vorrei tornare a casa." Il Mullah Såhib ed isuoi compagni salirono a cavallo e si diressero verso Såt-såika Paraganå.

I båbåjî invocarono gioiosamente a gran voce il nome diÛrî Hari ed entrarono nel tempio ad ascoltare la recitazio-ne del Ûrî Caitanya-maõgala.

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CAPITOLO DODICILa Religione eterna e i mezzi per raggiun-

gere un obiettivo specifico

Ûrî Navadvîpa-ma∫∂ala è la località più elevata tra i luo-ghi sacri del mondo. Come Ûrî V®ndåvana, Ûrî Navadvîpasi estende in una circonferenza di sedici kroΩa (trentaduemiglia) ed ha la forma di un fiore di loto ad otto petali. Ilverticillo di quel fiore è Ûrî Antardvîpa ed al suo centro vi èÛrî Måyåpura. A nord di Ûrî Måyåpura è situata Ûrî Sîman-tadvîpa, dove si erge un tempio dedicato a Ûrî SîmantinîDevî. A nord di questo tempio vi è il villaggio di Bilva-pußkari∫î e a sud il villaggio di Bråhma∫a-pußkari∫î. L'in-tera area è comunemente chiamata Simuliyå. In pratica ilvillaggio di Simuliyå è localizzato nella parte settentrionaledi Ûrî Navadvîpa.

Ai tempi di Ûrî Mahåprabhu, Simuliyå era stata la resi-denza di molti eruditi pa∫∂ita. Anche il padre di Ûacîdevî,Ûrî Nîlåmbara Cakravartî MahåΩaya, aveva vissuto in que-sto villaggio. Ora, non lontano dal luogo dove sorge anco-ra la casa di Nîlåmbara Cakravartî, vive VrajanåthBha††åcårya, un bråhma∫a Vedico. Fin da bambinoVrajanåtha era un brillante studente. Aveva studiato in unascuola di Sanscrito a Bilva-pußkari∫î ed in breve tempo eradiventato un incomparabile studioso del nyåya-Ωåstra, lascienza della logica. Tutti i rinomati studiosi di Bilva-pußka-ri∫î, di Bråhma∫a-pußkari∫î, di Måyåpura, di Godruma, diMadhyadvîpa, di Amraghå†å, di Samudragarh, di Kuliyå, diPürvasthalî e di altri luoghi rimanevano sconcertati e inti-moriti dalla sua logica ingegnosa e innovativa.

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Dodicesimo Capitolo

za dei lampi. Con l'aiuto di un vino sacrificale, Cu∂åma∫iraccolse tutta l'energia del suo sistema nervoso e gridò:"Madre, ti prego, non aspettare oltre!"

Allora una voce proveniente dal cielo disse: "Non preoc-cuparti. Vrajanåtha Nyåya-pañcånana non parlerà più alungo del nyåya-Ωåstra. In pochi giorni abbandonerà del tut-to il dibattito e rimarrà silenzioso. Lui non è più un tuo ri-vale. Ora tranquillizzati e torna a casa."

Con questa profezia Cu∂åma∫i si sentì soddisfatto; offrìripetutamente da∫∂avat-pra∫åma a Mahådeva, capo dei de-va e autore del tantra, e poi tornò a casa.

Vrajanåtha Nyåya-pañcånana era diventato un dig-vijayîpa∫∂ita (chi ha conquistato con la sua erudizione tutte lequattro direzioni) a soli ventun anni. Aveva studiato giornoe notte i libri del famoso logico Ûrî GaõgeΩopådhyåya, ilquale aveva inaugurato un nuovo sistema di logica cono-sciuto come navya-nyåya. Poichè aveva rilevato molti er-rori nel Raghunåtha Ûiromani Dîdhiti, un celebrato com-mentario sulla Tattva-cintåma∫i scritto da GaõgeΩopådyåya,Vrajanåtha aveva iniziato a scrivere un suo commentario.Anche se non aveva mai pensato al godimento materiale, laparola paramårtha, realtà spirituale, non era mai veramen-te entrata nelle sue orecchie.

Il chiodo fisso della sua vita era rimasto quello di avvia-re dibattiti logici utilizzando la terminologia e i concetti delnyåya, come ad esempio avaccheda (la proprietà caratteri-stica per cui una cosa viene distinta da tutte le altre) vya-vaccheda (identificare una cosa per esclusione), gha†a e pa†a(una pentola di terracotta e un pezzo di stoffa). Mentre dor-miva, sognava, mangiava o si muoveva, il suo cuore era zep-po di pensieri che riguardavano la natura degli oggetti, lanatura del tempo e le peculiarità dell'acqua e della terra.

Una sera, mentre stava seduto sulla riva del Gange, con-templando le sedici categorie proposte da Gautama nel suo

Jaiva-dharma

Ogni qualvolta vi era una riunione di pa∫∂ita, VrajanåthaNyåya-pañcånana, come un leone che attacca un'orda dielefanti, placava l'assemblea infiammata ergendo una bar-riera di argomentazioni senza precedenti. Tra questipa∫∂ita vi era un logico dal cuore crudele di nomeNaiyåyika Cu∂åmai, il quale si era sentito profondamentemortificato per le ferite infertegli dalle frecce acuminatedella logica di Vrajanåtha. Egli era determinato ad uccide-re Vrajanåtha Nyåya-pañcånana attraverso le pratiche oc-culte contenute nel tantra-Ωåstra, con le quali si può provo-care la morte di una persona per mezzo di incantesimi mi-stici. Con questo scopo nella mente, egli si recò nel crema-torio di Rudradvîpa e prese a recitare giorno e notte i man-tra della morte.

Era la terribile notte di luna nuova; tutte le direzioni era-no pervase da oscurità fitta. A mezzanotte NaiyåyikaCu∂åma∫i si sedette nel mezzo del crematorio e chiamò agran voce la sua adorabile divinità: "Madre, tu sei la sola di-vinità adorabile in Kali-yuga. Ho sentito dire che ti com-piaci anche semplicemente all'ascolto di pochi mantra, e chefacilmente concedi le tue benedizioni ai tuoi adoratori. Deadal viso terrificante, da molti giorni questo tuo servitore si èenormemente sforzato nel recitare i tuoi mantra. Ti prego,sii misericordiosa con me, anche una volta soltanto! Madre,anche se sono afflitto da molte mancanze, tu mi sei comun-que madre, quindi ti prego, scusami per tutti i miei timori eappari qui oggi, davanti a me!"

Gridando ripetutamente in modo penoso, NyåyaCu∂åma∫i offrì oblazioni nel fuoco mentre pronunciava unmantra contro Vrajanåtha Nyåya-pañcånana. Il potere diquel mantra fu stupefacente! All'istante il cielo si coprì conuna massa di dense nuvole scure. Un vento feroce iniziò asoffiare e assordanti tuoni ruggivano nell'aria. Fantasmi ri-pugnanti e spiriti maligni si intravedevano nell'intermitten-

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Nyåya-pañcånana concepì per Lui una fede incrollabile.Vrajanåtha iniziò a dire: "Nimåi Pa∫∂ita, se fossi nato al

Tuo tempo, è inimmaginabile quanto avrei potuto impara-re da Te. Nimåi Pa∫∂ita, Ti prego, entra nel mio cuore, an-che solamente una volta. Tu sei veramente Pür∫a-Brahma,come avrebbero altrimenti potuto essere concepite dallatua intelligenza queste straordinarie argomentazioni logi-che? Tu sei indubbiamente Gaura-Hari perchè, creandoqueste straordinarie argomentazioni hai distrutto l'oscuritàdell'ignoranza. L'oscurità dell'ignoranza è nera. Diven-tando gaura (dalla carnagione dorata), Tu hai rimosso que-ste tenebre. Tu sei Hari perchè puoi rapire le menti delmondo intero. Tu hai rubato il mio cuore con il candore del-la Tua logica."

Ripetendo queste cose, Vrajanåtha divenne un po' fre-netico e gridava: "O Nimåi Pa∫∂ita! O Gaura-Hari! Ti pre-go, sii misericordioso con me! Quando riuscirò a creare del-le argomentazioni logiche come le Tue? Se Tu sarai mise-ricordioso con me, non si può neppur immaginare che gran-de studioso del nyåya-Ωåstra potrei diventare."

Vrajanåtha pensava tra sè: "Mi par di capire che, comelo sono io, anche coloro che adorano Gaura-Hari sono af-fascinati dall'erudizione di Nimåi Pa∫∂ita sul nyåya-Ωåstra.Devo andare da loro e vedere se hanno qualche libro sulnyåya-Ωåstra scritto da Gaura-Hari."

Così pensando, Vrajanåtha sviluppò desiderio di asso-ciarsi con i devoti di Gauraõga. Pronunciando costante-mente i puri nomi di Bhagavån come Nimåi Pa∫∂ita e Gau-ra-Hari, e desiderando associarsi con i devoti di Gaura,Vrajanåtha acquisì delle straordinarie suk®ti che stavano oraportando i loro frutti.

Un giorno, mentre pranzava in compagnia di sua nonnapaterna Vrajanåtha le chiese: "Tu hai mai visto Gaura-Ha-ri?" Al nome di Ûrî Gauraõga, la nonna di Vrajanåtha si ri-

Jaiva-dharma

sistema di logica, uno studente novello del nyåya-Ωåstra loavvicinò e gli disse: "Nyåya-pañcånana MahåΩaya, conosciNimåi Pa∫∂ita e la sua refutazione logica della teoria ato-mica della creazione?"

Nyåya-pañcånana ruggì come un leone: "Chi è NimåiPa∫∂ita? Stai parlando del figlio di Jagannåtha MiΩra? Par-lami delle sue argomentazioni."

Lo studente allora disse: "Poco tempo fa a Navadvîpa vi-veva una grande personalità di nome Nimåi Pa∫∂ita. Egliha messo a punto molte argomentazioni logiche innovativerelativamente al nyåya-Ωåstra ed ha poi messo in imbarazzoRaghunåtha Ûiromani. Ai tempi di Nimåi Pa∫∂ita non vierano studiosi che lo eguagliassero nella padronanza delnyåya-Ωåstra ma, pur essendo molto dedito al nyåya-Ωåstra,lo considerava alquanto insignificante. E non solo il nyåya-Ωåstra ma anche l'intero mondo materiale lui consideravafutile. Perciò adottò la vita del mendicante errante nell'or-dine di rinuncia e viaggiò di luogo in luogo propagando ilcanto dell'Harinåma. I Vaiß∫ava di oggi Lo consideranoDio, la Persona Suprema, Pür∫a-Brahma, e Lo adorano conil Ûrî Gaura-Hari mantra. Nyåya-pañcånana MahåΩaya, al-meno una volta devi dare un'occhiata ai Suoi argomenti dia-lettici."

Sentito questo elogio della logica di Nimåi Pa∫∂ita,Vrajanåtha Nyåya-pañcånana si incuriosì ed ebbe desideriodi conoscere le sue argomentazioni. Con non poche diffi-coltà riuscì a raccogliere, da varie fonti, alcune di queste ar-gomentazioni. La natura umana è tale che quando si svi-luppa fede in una particolare tematica, ci sarà una naturaleattenzione a chi insegna quella materia. Inoltre, per variealtre ragioni, la gente comune non sviluppa facilmente fedenelle personalità elevate quando sono ancora vive, mentrehanno la tendenza a sviluppare grande fede nei mahåjanascomparsi. Studiando le tesi logiche di Nimåi Pa∫∂ita,

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cordò della sua infanzia e disse: "Chissà se potrò mai vede-re ancora l'incantevole e dolce forma di Gauraõga! Puòqualcuno che ha visto quella seducente forma impegnare lapropria mente nelle cose di tutti i giorni? Quando Lui, as-sorto in trance estatica, cantava l'Harinåma-kîrtana, gli uc-celli, gli animali, gli alberi e i cespugli di Navadvîpa diven-tavano del tutto silenziosi e immobili, storditi come intossi-cati da prema. Persino ora, mentre sono assorta in questipensieri, un flusso inarrestabile di lacrime fluisce dai mieiocchi e mi bagna il petto."

Vrajanåtha chiese ancora: "Conosci qualche storia dellasua vita?"

La nonna rispose: "Sicuro. Una volta Ûrî Gauraõga sirecò a casa di Suo zio materno accompagnato da Sua madreÛacî. Le anziane della nostra casa Lo cibavano con Ωåkån-na (riso e spinaci). Lui apprezzava molto il Ωåka (vegetale)e lo mangiava con grande gusto."

In quel medesimo istante la nonna di Vrajanåtha gli mi-se del Ωåka nel piatto. Vedendo ciò e gustando la profondapace di quel momento, Vrajanåtha si sentì colmo di gioia econsiderò: "Questo è l'amato Ωåka del logico NimåiPa∫∂ita." Quindi lo mangiò con il massimo riguardo.

Anche se era privo della conoscenza trascendentale cheriguarda la realtà assoluta, Vrajanåtha fu estremamente af-fascinato dalla brillante erudizione di Nimåi Pa∫∂ita. Laprofondità del suo interesse non poteva essere stimata; per-sino il nome Nimåi era nettare per le sue orecchie. Quandoi mendicanti venivano a chiedere del cibo ed esclamavano:"Jaya Ûacînandana!", lui li accoglieva calorosamente e li sa-ziava. A volte si recava a Måyåpura dove ascoltava i båbåjîcantare i nomi di Gauraõga. Egli poneva ai båbåjî moltedomande sulle attività trionfali di Gauraõga nel campo del-lo studio e della conoscenza.

Dopo alcuni mesi di impegno in queste attività,

Vrajanåtha non era più lo stesso. Mentre prima apprezza-va il nome Nimåi solamente in relazione all'erudizione diNimåi nel nyåya, ora questo nome veniva da lui apprezzatoin ogni aspetto. Vrajanåtha perse ogni interesse per lo stu-dio e l'insegnamento del nyåya. Non provava più attrazio-ne per gli argomenti e i dibattiti aridi. Nimåi 'il logico' nonaveva più spazio nel suo cuore: Nimåi 'il devoto' aveva usur-pato tutta l'autorità nel regno del suo cuore.

Quando Vrajanåtha sentiva il suono della m®danga e deikaratåla, il suo cuore danzava. Quando vedeva i puri devo-ti, offriva mentalmente pra∫åma. Egli mostrava una gran-de devozione per Ûrî Navadvîpa, rispettandola in quantoluogo di nascita di Ûrî Gaurangadeva. Come risultato,Vrajanåtha divenne raffinato e cortese. Quando i pa∫∂itarivali si accorsero che Nyåya-pañcånana era diventato dicuore tenero, si compiacquero perchè capirono che non liavrebbe più incalzati con i furibondi attacchi della sua per-fida logica simile a frecce acuminate. Naiyåyika Cü∂åmaniera giunto alla conclusione che la sua i߆adevatå (Divinitàadorata) aveva neutralizzato Vrajanåtha. Ora NaiyåyikaCü∂åmani non aveva più ostacoli nel dibattito logico.

Un giorno, mentre stava seduto in un luogo solitario sul-la riva del fiume Bhågîrathî, Vrajanåtha pensò tra sè: "Seuno come Nimåi, tanto profondo studioso del nyåya-Ωåstra,ha rinunciato alla logica ed intrapreso la via della bhakti, co-sa ci sarebbe di sbagliato se anch'io lo facessi? Per moltotempo sono stato ossessionato da nyåya, non mi sono maiapplicato alla bhakti e non potevo sopportare neppure il no-me di Nimåi. Ero così immerso nel nyåya-Ωåstra da non tro-vare il tempo neppure per mangiare, bere e dormire.

“Ora però vedo le cose sotto un'altra luce. Non mi sof-fermo più sui temi del nyåya-Ωåstra, mentre ricordo sempreil nome di Gauraõga. Ma anche se la danza devozionaleestatica dei Vaiß∫ava seduce la mia mente, io rimango un

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pariva all'orizzonte ed i suoi raggi danzavano tra le cime de-gli alberi, Vrajanåtha si incamminò verso Ûrî Måyåpura.Una brezza gentile soffiava da sud. Gli uccelli volavano inogni direzione per poi tornare ai loro nidi. Una manciata distelle gradualmente compariva nel cielo. Vrajanåtha arrivòa Ûrîvåsa-aõgana quando i Vaiß∫ava avevano già iniziato ilsandhyå-åratî per adorare Bhagavån e stavano cantando inmodo dolce e melodioso. Vrajanåtha si sedette sopra unapiattaforma, all'ombra di un albero bakula, nel luogo de-nominato Khola-bhåõga-dåõgå. Mentre ascoltava l'åratî-kîrtana di Gaura-Hari, il suo cuore si intenerì. Alla fine del-l'åratî-kîrtana i Vaiß∫ava si unirono a lui sulla piattaforma.

Poi, mentre cantavano "Jaya Ûacînandana, Jaya Nityå-nanda, Jaya Rüpa-Sanåtana, Jaya Dåsa Gosvåmî," arrivòl'anziano Raghunåtha dåsa Båbåjî MahåΩaya, e anche lui sisedette sulla piattaforma. Come lui, anche tutti gli altri sialzarono e gli offrirono da∫∂avat-pra∫åma. In quel mo-mento anche Vrajanåhta si sentì spinto a prostrarsi inpra∫åma. Quando l'anziano Båbåjî MahåΩaya vide lasplendida bellezza del viso di Vrajanåtha, lo abbracciò, loinvitò a sedersi vicino a lui e gli chiese: "Chi sei figliolo?"

Vrajanåtha rispose: "Sono un'anima assetata di verità edesideroso di ricevere istruzioni da te."

Un Vaiß∫ava seduto vicino riconobbe Vrajanåtha e in-tervenne dicendo: "Il suo nome è Vrajanåtha Nyåya-pañcå-nana. Non c'è nessuno studioso di nyåya che lo eguagli intutta Navadvîpa. Ora ha sviluppato fede in Ûacînandana."

Sentito della vasta erudizione di Vrajanåtha, l'anzianoBåbåjî disse cortesemente: "Caro figliolo, tu sei un grandeerudito; io sono uno sciocco ed un'anima disgraziata. Tu seiun residente del santo dhama del nostro Ûacînandana, eperciò noi siamo oggetto della tua misericordia. Come pos-siamo istruirti? Ti prego, dividi con noi alcuni racconti pu-rificatori del tuo Gauraõga e rappacifica i nostri cuori ar-

Jaiva-dharma

bråhma∫a Vedico, nato in una famiglia prestigiosa e moltorispettata. Anche se credo veramente che il comportamen-to e la condotta dei Vaiß∫ava sia eccellente, penso non siaappropriato che io adotti esternamente i loro modi. Saràmeglio che io coltivi la gaura-bhakti internamente.

"Vi sono molti Vaiß∫ava a Ûrî Måyåpura, nella zona diKhola-bhåõga-dåõgå, la località dove il Chånd Kåzi ruppela m®danga per fermare il saõkîrtana, e pure a Vairågî-dåõgå, il luogo dell'ascetismo Vaiß∫ava. Quando vedo i lo-ro visi radiosi mi sento felice e purificato nel cuore. Ma tratutti questi devoti, Ûrî Raghunåtha dåsa Båbåjî MahåΩayaha completamente accattivato la mia mente. Quando lo ve-do," pensò Vrajanåtha, "il mio cuore viene invaso dalla fe-de. Vorrei vivere vicino a lui ed imparare i bhakti-Ωåstra.Nei Veda (B®had-åra∫yaka Upanißad 4.5.6) sta scritto:

åtmå vå are dra߆avya˙ Ωrotavyo mantavyo nididhyåsi-tavya˙

'Si dovrebbe leggere, ascoltare, pensare e meditare sullaSuprema Verità Assoluta.'

"In questo mantra" riflettè Vrajanåtha, "la parola man-tavya significa pensare, considerare o esaminare, essere am-messi o assunti, approvare o sanzionare, oppure venir chia-mati in causa. Anche se questo termine suggerisce di ac-quisire la brahma-jñåna attraverso lo studio del nyåya-Ωåstra, la parola Ωrotavya (ascoltare o imparare da un inse-gnante) implica necessariamente l'esistenza di qualcosa dipiù grande. Ho trascorso la maggior parte della mia vita inargomentazioni e dibattiti inutili. Ora desidero dedicarmiai piedi di Ûrî Gaura-Hari. Per me sarà quindi meglio, dopoil tramonto del sole, recarmi a prendere il darsana di Ûrî Ra-ghunåtha dåsa Båbåjî MahåΩaya."

Sul finire del giorno, mentre il sole rapidamente scom-

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e perciò aveva ascoltato ogni giorno da lui la narrazione deipassatempi di Ûrî Caitanyadeva. Raghunåtha dåsa Båbåjîdiscuteva regolarmente con K®ß∫adåsa Kaviråja MahåΩaya,delle verità filosofiche e, ogni qualvolta sorgeva un dubbio,lo risolveva domandando a Ûrî Dåsa Gosvåmî. Dopo cheRaghunåtha dåsa Gosvåmî e K®ß∫adåsa Kaviråja Gosvåmîlasciarono questo mondo, Ûrî Raghunåtha dåsa Båbåjî ar-rivò a Ûrî Måyåpura e divenne il principale pa∫∂ita-båbåjîdi Ûrî Gaura-maõdala. Assorti nell'amore divino, lui e Pre-ma dåsa Paramahaµsa Båbåjî MahåΩaya di Ûrî Godruma,parlavano spesso del Signore Hari.

Raghunåtha dåsa Båbåjî fu deliziato dalla domanda diVrajanåtha e rispose: "Nyåya-pañcånana MahåΩaya, chiun-que faccia domande sul sådhya e sul sådhana dopo aver stu-diato il nyåya-Ωåstra, è certamente benedetto in questomondo perchè lo scopo principale del nyåya-Ωåstra è quellodi stilare verità assiomatiche attraverso un'analisi logica.Coloro che, studiando il nyåya-Ωåstra, hanno imparato so-lamente a come impegnarsi in argomentazioni e dibattitiaridi, hanno solo perso il loro tempo. Bisogna dire che, lostudio da loro fatto della logica (nyåya) ha prodotto sola-mente un risultato illogico (anyåya-phala); il loro impegnoè stato futile e le loro vite sono state spese invano.

"La tattva o verità che si ottiene compiendo una praticaspecifica, si chiama sådhya" disse Båbåjî MahåΩaya. "Imezzi adottati per ottenere quel risultato si chiamanosådhana. A seconda delle attitudini e delle qualificazioniindividuali, le jîve prigioniere di måyå, percepiscono svariatioggetti come lo scopo ultimo della vita, quando in realtà viè un solo scopo supremo e non molti.

"A seconda delle tendenze e delle qualifiche," continuòBåbåjî MahåΩaya "gli obiettivi sono tre: bhukti (godimen-to materiale), mukti (liberazione) e bhakti (servizio devo-zionale). Chi è intrappolato nelle attività materiali e di-

Jaiva-dharma

denti."Mentre Båbåjî MahaåΩaya e Vrajanåtha si conoscevano

reciprocamente, i Vaiß∫ava gradualmente si allontanaronotornando ai rispettivi servizi e lasciando Vrajanåtha a par-lare da solo con il Båbåjî.

Vrajanåtha disse: "Båbåjî MahåΩaya, io sono nato in unafamiglia di bråhma∫a e, come risultato, sono molto orgo-glioso della mia erudizione. A causa del mio orgoglio perla nascita elevata e per l'erudizione, penso di poter stringe-re la Terra nella mia mano. Non ho idea su come onorare isådhu e le grandi personalità. Non so dire per quale fortu-na si sia risvegliata in me fede nel tuo carattere e nel tuocomportamento. Vorrei chiederti alcune cose; ti prego, ri-spondi alle mie domande; sono venuto da te con quest'uni-ca intenzione."

Vrajanåtha implorò Båbåjî MahåΩaya: "Ti prego, istrui-scimi! Qual è il sådhya della jîva (lo scopo ultimo della vi-ta) e che cos'è il sådhana (il mezzo per raggiungere quelloscopo)? Mentre studiavo il nyåya-Ωåstra, sono giunto allaconclusione che la jîva è eternamente separata dal Signoree che la misericordia del Signore è, per la jîva, il solo modoper ottenere la mukti. Ho capito che il metodo specifico conil quale si ottiene la misericordia del Signore è chiamatosådhana e che il risultato ottenuto attraverso il sådhana èdenominato sådhya. Ho sondato molte volte il nyåya-Ωåstracercando la risposta a questa domanda: 'Cosa sono il sådha-na ed il sådhya?' Ma il nyåya-Ωåstra è totalmente silenziososu questo punto. Non è stato in grado di fornirmi la rispo-sta. Ti prego, dimmi quali sono le tue conclusioni riguardoil sådhya ed il sådhana."

Ûrî Raghunåtha dåsa Båbåjî, un discepolo di Ûrî Ra-ghunåtha dåsa Gosvåmî, non era solo uno studioso eruditoma anche un'anima realizzata. Egli aveva vissuto a lungo alRådhå-ku∫∂a, rifugiato ai piedi di loto di Ûrî Dåsa Gosvåmî

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Dodicesimo Capitolo

mente grossolano. La regola dunque è la seguente: più ele-vato è il pianeta e più sottili sono i sensi e gli oggetti dei sen-si. Questa è l'unica differenza che esiste tra queste realtà; aparte ciò, in tutti questi pianeti la felicità consiste semplice-mente nel piacere dei sensi. Non v'è altra felicità all'infuo-ri di questa. La cit-sukha (felicità spirituale), è assente datutti questi pianeti, perciò la felicità che si trova in quei luo-ghi è relativa al corpo sottile, che consiste in mente, intelli-genza ed ego, ed è semplicemente una cid-abhåsa, solo unasembianza di coscienza pura. Il godimento di questi tipi dipiacere si chiama bhukti. Le jîve intrappolate nel ciclo delkarma, agiscono per soddisfare il loro desiderio di bhuktiperciò a tal fine praticano un sådhana adeguato. Nell'Yajur-Veda (2.5.5) sta scritto:

svarga-kåmo 'Ωvamedhaµ yajeta

'Chi desidera raggiungere i pianeti celesti deve compie-re l'aΩvamedha-yajña.'

"Gli Ωåstra descrivono svariati tipi di sådhana utili ad ot-tenere la bhukti, come ad esempio l'agni߆oma (un partico-lare tipo di sacrificio del fuoco), il vißvadeva-bali (oblazioniofferte ad una classe di devatå), i߆åpürta (scavare pozzi, co-struire templi e fare in genere opere benefiche per il prossi-mo) e darΩa-paur∫amåsî (cerimonie compiute durante igiorni di luna nuova e di luna piena). Per chi è incline al go-dimento materiale, la bhukti è il sådhya-vastu, il fine da rag-giungere.

"Alcune persone, oppresse dalle miserie dell'esistenzamateriale, considerano indegni i quattordici sistemi plane-tari in cui dimorano tutti i godimenti materiali. Perciò essidesiderano uscire dal ciclo del karma. Dal loro punto di vi-sta, la mukti è l'unico sådhya-vastu, considerando la bhukti

Jaiva-dharma

stratto dal desiderio di piacere materiale, considera la bhuk-ti come fine. Gli Ωåstra vengono paragonati ad una kå-madhenu, una mucca che soddisfa i desideri, perchè qual-siasi oggetto un essere umano desideri, lo può ottenere conessa. Gli Ωåstra che trattano del karma-kå∫∂a spiegano cheil godimento materiale è il fine di coloro che sono eleggibi-li per impegnarsi nelle azioni interessate. I vari piaceri ma-teriali che si possono trarre da questo mondo materiale, so-no stati delineati in quel comparto di Ωåstra che tratta delkarma-kå∫∂a. La jîva, avendo accettato un corpo materia-le, in questo mondo si sente particolarmente attratta dal go-dimento sensuale. Il mondo materiale è il luogo in cui il go-dimento dei sensi è facilitato. Il piacere che si prova trami-te i sensi, dal momento della nascita fino alla morte, si chia-ma aihika-sukha (il godimento pertinente a questa vita).

"Il piacere sensuale che si prova nella condizione rag-giunta dopo la morte si chiama åmutrika-sukha (godimen-to pertinente della vita successiva). Questo åmutrika-sukhaè di svariati tipi: risiedere a Svarga (i pianeti celesti) o a In-draloka (il pianeta di Indra) e osservare le ragazze apsaråche danzano per il popolo celeste; bere il nettare dell'im-mortalità; odorare i bellissimi fiori dei giardini nandana-kå-nana; contemplare la bellezza di Indrapuri e dei suoi giar-dini; ascoltare le melodiose canzoni dei gandharva e starein compagnia delle fanciulle celestiali chiamate vidyådharî;sono tutti svargîya-sukha ovvero piaceri della sfera cele-stiale.

"Più elevati di Indraloka sono i pianeti Maharloka, Ja-naloka, Tapoloka e, per ultimo, Brahmåloka, il pianeta piùelevato di tutto l'universo materiale. Gli Ωåstra descrivonoi piaceri svargîya di Maharloka e di Janaloka come menonumerosi di quelli che si trovano a Indraloka, e ancora piùrari sono quelli di Tapoloka e Brahmåloka. In contrasto, ilpiacere sensuale di Bhüloka, il pianeta Terra, è estrema-

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lamente fino al livello del nirvå∫a o annullamento del sè in-dividuale; ma poichè la jîva è eterna, questo annullamentorisulta impossibile. Come è confermato nella ÛvetåΩvataraUpanißad (6.13):

nityo nityånåµ cetanaΩ cetanånåm

'Il Signore è l'eterno Essere Supremo di tutte le entità vi-venti anch'esse eterne ed è la Coscienza Suprema di tutte leentità coscienti.'

"Con questo ed altri mantra Vedici, viene accertata l'e-ternità della jîva. Il nirvå∫a, annientamento dell'esistenzaindividuale, è impossibile per l'entità vivente. Colui checrede nell'esistenza individuale della jîva dopo il raggiungi-mento della mukti, non accetta la bhukti e la mukti come fi-ni ultimi, ma li considera semplicemente dei fini marginali.

"Ogni sforzo contiene in sè il fine e i mezzi per raggiun-gerlo. Il risultato che una persona desidera ottenere si chia-ma sådhya e la pratica che essa adotta per raggiungerlo sichiama sådhana. Se rifletti bene vedrai che, per tutte le en-tità viventi, il fine ed i mezzi sono come anelli di una cate-na. Quello che oggi è il fine, successivamente diventerà ilmezzo per conseguire il fine successivo. Lungo questa ca-tena di cause ed effetti, alla fine si raggiunge l'anello termi-nale della catena. L'esito finale è lo scopo ultimo e più ele-vato, che non diventa mezzo per nient'altro, poichè non esi-ste fine ulteriore. Percorrendo tutti gli anelli di questa ca-tena di sådhya e di sådhana, si giunge all'anello finale, labhakti. Perciò la bhakti è il sådhya più elevato; essa è ilnitya-siddha-bhåva della jîva, lo stadio eterno di perfezio-ne.

"Ogni azione della vita umana è un anello della catenadel sådhana-sådhya, la catena di causa ed effetto. Molti

Jaiva-dharma

come una prigione. Queste persone dicono: 'Lasciamo checoloro che non hanno ancora tralasciato la tendenza al go-dimento materiale seguano il karma-kå∫∂a e realizzino illoro fine, cioè la bhukti. Ma nella Gîtå (9.21) sta scritto:

kßî∫e pu∫ye martya-lokaµ viΩanti

'Quando i loro crediti pii saranno esauriti, essi torneran-no sui pianeti dei mortali.'

"Partendo da questo verso, gli aspiranti alla mukti asse-riscono: 'E' stabilito inequivocabilmente che la bhukti nonè eterna; al contrario, è temporanea. Ciò che è soggetto adecadere è materiale, non spirituale. Si deve praticare ilsådhana solamente per un fine eterno. Poichè la mukti èeterna, è sicuramente il sådhya della jîva. La mukti si puòottenere con il sådhana-catu߆aya, i quattro tipi di sådhana:nitya-anitya-vastu viveka (capacità di discriminare tra og-getti temporanei ed eterni), iha-amutra-phala-bhoga virå-ga (rinuncia a godere dei frutti sia di questa vita che dellaprossima) Ωama-damådi ßa†-gu∫a (sviluppare le sei qualità,come ad esempio il controllo della mente e dei sensi) e infi-ne mumukßå (coltivare il desiderio di liberazione). Quindiquesto sådhana-catu߆aya è il vero sådhana.'

"Questa è la prospettiva di coloro che guardano allamukti come al fine da raggiungere. Questo tipo di analisidel sådhya e del sådhana è omologato negli Ωåstra come jñå-na-kå∫∂a. Gli Ωåstra sono come una mucca kåmadhenu: of-frono alle entità viventi svariate situazioni, conformi al li-vello di qualificazione da esse ottenuto. Se, nel raggiunge-re la mukti, (che generalmente comporta l'annullamentodell'ego individuale) la jîva mantiene la sua esistenza e lasua identità, allora la mukti non si può considerare il tra-guardo finale. In effetti la jîva può raggiungere la mukti so-

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re delle esortazioni a ricercare la mukti, significa forse che lamukti non è stata indicata in nessuna parte dei Veda? Al-cuni ®ßi che propongono la via del karma sostengono che,per chi è incompetente, è stata prescritta la rinuncia mentreper chi è competente è stato prescritto il karma. Tutte que-ste prescrizioni sono per le persone che si trovano ai livelliinferiori di avanzamento spirituale e sono utili per consoli-dare in loro la fede nella posizione in cui si trovano.

"Non è favorevole per la jîva tralasciare i doveri per iquali è responsabile. Adempiendovi con fede assoluta e ri-tenendoli adatti al proprio livello, la jîva facilmente otterràl'accesso al livello successivo e più elevato di qualificazio-ne. Di conseguenza, le prescrizioni dei Veda che promuo-vono questo tipo di fede non sono state condannate. Se ve-nissero condannate saremmo soggetti a cadere. In questomondo tutte le jîve che si sono elevate lo hanno fatto osser-vando con rigore i doveri per i quali erano qualificate.

"Là dove viene discussa l'eccellenza del karma, sarà ilkarma ad essere quello maggiormente apprezzato. Sotto lagiurisdizione del karma, non viene sostenuta la preminenzadel jñåna, anche se jñåna è superiore al karma perchè con-duce alla mukti. Similmente, dove si discute dell'eccellenzadel jñåna, troveremo che tutti i mantra, come quelli che tuhai citato, elogiano la mukti.

“Proprio come la qualificazione per jñåna è superiore aquella per karma, così la qualificazione per bhakti è supe-riore a quella per jñåna. Elogiando la liberazione imperso-nale, i mantra come 'tat tvam asi' e 'ahaµ brahmåsmi', ali-mentano la fede, in coloro che ricercano la liberazione, nelseguire la via per la quale essi sono qualificati. Perciò non èsbagliato in tal caso stabilire la supremazia di jñåna. Tutta-via sia il jñåna che il suo fine, la mukti, non sono il supremosådhana e sådhya. Secondo le conclusioni finali dei mantraVedici, è stato decretato che la bhakti è il sådhana e che pre-

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anelli uniti assieme formano una parte di questa catena dicausa ed effetto, conosciuta come karma. Oltre questa, sitrova una serie di anelli che forma un'altra parte conosciu-ta come jñåna. Quando questa termina inizia quella dellabhakti. Il fine ultimo della catena del karma è la bhukti; il fi-ne ultimo della catena del jñåna è la mukti e il fine ultimodella catena della bhakti è prema-bhakti. Se si riflette sullanatura della condizione perfetta della jîva, si arriverà a con-cludere che la bhakti è sia il sådhana che il sådhya mentre ilkarma ed il jñåna non sono il sådhya ed il sådhana finali masolamente degli stadi intermedi."

Vrajanåtha chiese: "Nelle Upanißad vi sono molte affer-mazioni importanti che non sanciscono la supremazia dellabhakti o che essa sia il fine ultimo. Nella B®had-åra∫yakaUpanißad (4.5.15 e 2.4.24) sta scritto: 'kena kaµ paΩyet', chisi deve guardare? A chi ci si deve volgere? E con qualimezzi? Inoltre, sempre nella B®had-åra∫yaka Upanißad(1.4.10) è affermato: 'ahaµ brahmåsmi', io sono Brahman.E nella Aitreya Upanißad (3.1.3) sta scritto: 'prajñånaµbrahma', la coscienza è il Brahman. Nella Chåndogya Upa-nißad (6.8.7) infine sta scritto: 'tat tvam asi Ωvetaketo', O Ûve-taketu tu sei quel Brahman. Se consideriamo tutte questeaffermazioni, cosa c'è di sbagliato nel ritenere la mukti sco-po supremo?"

Båbåjî MahåΩaya pazientemente rispose: "Ho già spie-gato che ci sono diversi tipi di sådhya secondo le differentiinclinazioni. Finchè si desidera la bhukti, non si può accet-tare la validità della mukti. Molto è stato scritto negli Ωåstraper le persone di quel livello. Per esempio nell'ApastambaÛrauta-sütra (2.1.1) sta scritto: 'akßayaµ ha vai cåturmåsya-yåjina˙', coloro che seguono il voto di cåturmåsya ottengo-no la residenza perpetua sui pianeti celesti.

"Perciò, figliolo, significa forse che la mukti è spregevo-le? Poichè i karmi non sono capaci di trovare nelle scrittu-

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raggiungere la liberazione. Perciò devi essere uno yogî, unapersona situata in unione divina con Me. Tra tutti gli yogî,colui che è attratto da Me da ferma fede e che Mi adora co-stantemente con tutto il suo cuore, Io lo considero come ilmigliore di tutti.'

"Nella ÛvetåΩvatara Upanißad (6.23) sta scritto:

yasya deve parå bhaktir yathå deve tathå gurautasyaite kathitå hy arthå˙ prakåΩante mahåtmana˙

'Tutte le spiegazioni più intime dei Veda vengono rivela-te a quella grande anima che ha parå-bhakti per Bhagavåne la cui devozione verso il suo gurudeva è identica alla de-vozione che ha per il Signore.'

"Nella Gopåla-tåpanî Upanißad (Pürva-vibhåga 15) stascritto:

bhaktir asya bhajanaµ tad ihåmutropådhinairasyenaivåmußmin manasa˙ kalpanam

etad eva ca naißkarmyam

'La bhakti praticata per il piacere di Ûrî Krishna è cono-sciuta come bhajana. Quando una persona abbandona ognidesiderio di godere sia di questo mondo che del prossimo ededica la sua mente a Krishna sviluppando un senso di unitàpiena con Lui perchè generata da un intenso senso di pre-ma, ciò è definito bhajana. Questo bhajana libererà da tut-te le azioni e dai loro frutti.'

Nella B®had-åra∫yaka Upanißad (1.4.8) è detto:

åtmånam eva priyam upåsîta

Jaiva-dharma

ma-bhakti è il sådhya.""Nelle principali affermazioni dei Veda, quelle cono-

sciute come mahåvåkhya, danno indicazioni sui fini margi-nali e sui mezzi per conseguirli?" Chiese Vrajanåtha.

"Le affermazioni Vediche citate prima non sono state de-finite mahåvåkya in nessun luogo dei Veda" rispose Båbåjî,"e neppure sono state definite superiori ad altre afferma-zioni. Per stabilire la preminenza della loro dottrina, sonostati i jñånåcårya (i precettori del jñåna) a proclamare que-ste affermazioni mahåvåkya. In realtà pra∫ava (oµ) è l'u-nica mahåvåkya; tutte le altre affermazioni Vediche sonoprådeΩika, cioè valide solamente in relazione ad un partico-lare aspetto della conoscenza Vedica.

"Non è sbagliato riferirsi a tutte le affermazioni dei Vedacome mahåvåkya tuttavia, se si estrae una particolare af-fermazione dei Veda indicandola come mahåvåkya e si eti-chettano le altre come affermazioni ordinarie, ci si macchiadi dogmatismo e si commette un'offesa verso i Veda neiquali, a volte viene elogiato il karma-kå∫∂a ed a volte lamukti. Ciò significa che i Veda descrivono molti fini secon-dari ed i mezzi per ottenerli. Ma in ultima analisi, la con-clusione dei Veda è che solamente la bhakti è sia sådhanache sådhya.

"I Veda sono come una mucca, e Ûrî Nanda-nandana èColui che la munge. Ti prego, ascolta come Egli ha spiega-to nella Gîtå (6.46-47) il fine ultimo dei Veda:

tapasvibhyo 'dhiko yogî jñånibhyo 'pi mato 'dhika˙karmibhyas cådhiko yogî tasmåd yogî bhavårjuna

yoginåm api sarveßåµ mad-gatenåntaråtmanåΩraddhåvån bhajate yo måµ sa me yuktatamo mata˙

'O Arjuna, lo yogî è superiore a ogni altro asceta, ai fau-tori del karma e a chi coltiva la conoscenza impersonale per

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'Si deve adorare l'Anima Suprema, Ûrî Krishna, come ilpiù caro oggetto del proprio affetto.'

"E nella B®had-åra∫yaka Upanißad (4.5.6) viene scrittoanche:

åtmå va are dra߆avya˙ Ωrotavyomantavyo nididhyåsitavya˙

'Maitreya, si dovrebbe guardare, ascoltare, pensare emeditare sulla Suprema Verità Assoluta, il Paramåtmå.'

"Studiando a fondo queste affermazioni dei Veda, risul-ta chiaro che la bhakti è la migliore forma di sådhana," con-cluse Båbåjî.

"Nella sezione dei Veda dedicata al karma-kå∫∂a" disseVrajanåtha, "vi sono delle ingiunzioni per praticare con fe-de la bhakti per il Signore, Colui che concede i risultati diogni azione. Anche nella sezione del jñåna-kå∫∂a trovia-mo prescritto di praticare la bhakti per la soddisfazione diHari attraverso i quattro tipi di sådhana definiti sådhana-catu߆aya. Se la bhakti è il mezzo per ottenere bhukti e muk-ti, allora come è possibile affermare che essa è anchesådhya, il fine? Quando la bhakti, che è il mezzo, producecome suo effetto la bhukti e la mukti, in quel momento ces-sa di essere tale. Questo è il principio generale. Ti pregoguidami alla giusta comprensione di questo argomento."

Båbåjî Mahåråja disse: "E' vero che, praticando i sådha-na della bhakti all'interno del karma-kå∫∂a, si ottiene il pia-cere materiale e che, praticandoli all'interno del jñåna-kå∫∂a si ottiene la mukti ma, se non si soddisfa il SupremoSignore, non si giungerà a nessun risultato perchè il Signo-re Supremo viene soddisfatto solamente con la bhakti. Il Si-gnore è la riserva di tutte le potenze; qualsiasi potenza ri-scontrabile nella jîva e nella materia inerte è solamente una

parte infinitesimale di quella del Signore. Il karma ed il jñå-na non possono dar soddisfazione al Signore. Da essi sitraggono dei risultati solo perchè coadiuvati da bhågavad-bhakti e non in modo indipendente. Per questa ragione sideve convenire che ci dovrebbe essere almeno una sem-bianza di bhakti sia nel karma che nel jñåna. Ma la bhakti ri-scontrabile nel karma e nel jñåna non è Ωuddha-bhakti; èsemplicemente bhakti-åbhåsa, una sembianza di devozioneche comunque è lo strumento che conduce ai risultati diquelle ricerche.

"Bhakti-åbhåsa è di due tipi: Ωuddha-bhakti-abhåsa (unasembianza di pura bhakti) e viddha-bhakti-abhåsa (unasembianza di bhakti mista). Descriverò la Ωuddha-bhaktiabhåsa più tardi; sappi intanto che la viddha-bhakti-abhåsaè di tre tipi: karma-viddha-bhakti-abhåsa (una sembianzadi bhakti mista ad azioni interessate), jñåna-viddha-bhakti-abhåsa (una sembianza di bhakti mista a conoscenza moni-sta) e karma-jñåna-ubhaya-viddha-bhakti-abhåsa (unasembianza di bhakti mista sia ad azioni interessate che a co-noscenza monista).

"Nella celebrazione di un sacrificio si potrebbe dire: 'In-dra, Püßana (il deva del Sole), vi prego, siate misericordiosie concedetemi i risultati di questo yajña.' Tutte le attivitàche mostrano una sembianza di bhakti mista a questo desi-derio sono definite karma-viddha-bhakti-abhåsa. Animemagnanime fanno riferimento alla karma-viddha-bhakti-abhåsa come se si trattasse di karma-miΩra-bhakti (devo-zione mista ad azioni interessate). Altri l'hanno definita co-me åropa-siddhå-bhakti (attività che rientrano in quelle conindiretti sintomi di bhakti).

"Si potrebbe anche esprimere questa attitudine: 'Yadhu-nandana, sono venuto da Te per paura dell'esistenza mate-riale. Canto il Tuo nome, Hare Krishna, giorno e notte. Tiprego, concedimi la liberazione. Signore Supremo, Tu sei

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Båbåjî MahåΩaya rispose: "Ûrîman Mahåprabhu non hascritto nessun libro di Suo pugno, ma i Suoi seguaci hannoscritto molti libri dietro Suo ordine. Mahåprabhu perso-nalmente ha dato alle jîve otto istruzioni in forma di afori-smi che si chiamano Ûikßå߆aka. Esse sono come una colla-na di gioielli per i devoti. In questi otto versi Egli ha im-partito in modo conciso e profondo le istruzioni dei Veda,del Vedånta, delle Upanißad e dei Purå∫a. Sulle basi di que-ste istruzioni i devoti hanno redatto dieci principi fonda-mentali conosciuti come daΩa-müla. In questi daΩa-müla so-no stati succintamente descritti sia il sådhya che il sådhana,con riferimento a sambandha, abhideya e prayojana. Primadi tutto devi capire questi."

"Come desideri" disse Vrajanåtha. "Verrò da te doma-ni sera per essere istruito sui daΩa-müla. Tu sei il mio Ωikßå-guru (guru istruttore)."

Vrajanåtha allora offrì da∫∂avat-pra∫åma a BåbåjîMahåΩaya ed il Båbåjî lo abbracciò con grande affetto di-cendogli: "Figliolo, tu hai purificato il lignaggio brahmini-co. Mi farà molto piacere se domani sera tornerai ancorada me."

Jaiva-dharma

Brahman. Sono caduto nella trappola di måyå, ti prego, li-berami da questo legame e concedimi di immergermi in Te.'Questi sentimenti sono jñåna-viddha-bhakti-abhåsa. Alcu-ne anime magnanime l'hanno definita come jñåna-miΩra-bhakti (devozione mista alla conoscenza monista) oppureåropa-siddhå-bhakti. Queste forme miste di devozione dif-feriscono dalla Ωuddha-bhakti.

"Nella Gîtå (6.47) è scritto: 'Ωraddhåvån bhajate yo måµsa me yuktatamo mata˙', Io considero colui che Mi adoracon fede come il migliore degli yogî. La bhakti cui il Signo-re si riferisce in questa affermazione è Ωuddha-bhakti. Que-sta Ωuddha-bhakti è il nostro sådhana, quando si perfezionadiventa prema. Il karma ed il jñåna sono rispettivamente imezzi per ottenere la bhukti e la mukti. Non sono mezzi at-traverso i quali la jîva può conseguire la sua nitya-siddhå-bhåva (posizione costituzionale eterna di amore divino)."

Ascoltando tutte queste verità conclusive, quel giorno aVrajanåtha non riuscì di porre altre domande. In effetti eglisi mise a riflettere: "L'esame e la discussione relative a tut-te queste sottili verità filosofiche è superiore alle analisi dia-lettiche del nyåya-Ωåstra. Båbåjî MahåΩaya ha una vastaerudizione su tali questioni. Gradualmente acquisirò co-noscenza ponendogli domande su questi temi. Ora devotornare a casa perchè si è fatto tardi."

Così pensando disse: "Båbåjî MahåΩaya, oggi ho ricevu-to da te una conoscenza considerevole e di alto livello. Vor-rei tornare da te e, di volta in volta, ricevere ulteriori istru-zioni di questo tipo. Tu sei uno studioso profondamenterealizzato e sei anche un grande maestro, ti prego, sii mise-ricordioso con me. Poichè si è fatto tardi permettimi dichiederti soltanto un'altra cosa. Dopo la tua risposta me netornerò a casa. Ûrî Ûacînandana Gauraõga ha scritto qual-che libro in cui si possano trovare le Sue istruzioni? Se loha fatto, sarei ansioso di leggerlo."

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Andare oltre Vaiku∫thaAndare oltre Vaiku∫tha

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