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Maurizio Bianco
Ritorno alla democrazia
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“A mia madre, con affetto e ammirazione
per il suo grande amore”
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Maurizio Bianco
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Mi presento
Maurizio Bianco, classe 1956, di Albignasego (Padova), single, due figlie; riservato, ma
aperto al dialogo e all’amicizia sincera, comprensivo, cordiale, altruista. No fumo, no alcol.
Mi piace passeggiare, fare giri in bicicletta, inoltrarmi nella campagna padovana,
isolandomi per ascoltare la natura, il cinguettio degli uccelli, il vento tra gli alberi. Di
professione: disegnatore meccanico tecnico al tavolo, ora disegnatore CAD 2D, 3D
(programma Fusion 360), web design, grafico e designer. Il mio primo grande Amore: la
mia Famiglia. Il mio dovere: ho amato la mia famiglia, sono stato un buon marito e un
buon papà, ho educato bene i miei figli. L’ orgoglio: le mie figlie. Un Natale speciale: il
1998. Il bel compleanno d’ Amore e una Nuova Fede: 1994. Il compleanno con un regalo
speciale: 1996. Il compleanno amorevole con un bel ricordo musicale: 1997; con un bel
ricordo d’ Amore: 1998. La visita ad una città con la mia famiglia: Venezia, aprile 1994,
Ferrara, aprile 2011; Udine, Gorizia, dicembre 2011. La visita ad una città con mia moglie:
Venezia 1976, S. Marino, Assisi, Gubbio 1996, Milano 1999, Verona 2001, Treviso 2002,
Asolo (TV) 2002, Bolzano 2011. Una giornata sulla neve con la mia famiglia: Lavarone
(VI), gennaio 1996. Una giornata al mare d’inverno con la mia famiglia: febbraio 1996. Le
vacanze estive con la mia famiglia: Bardolino 1981, Lignano 1982, Asiago 1984; S.
Vincenzo, Firenze, Pisa 1985, Istria 1998. Un’ estate che non dimenticherò: 1976. Un’
estate di attesa: 1977. Un’ altra estate, di ancora attesa: 1987. La prima estate con la mia
famiglia: 1978. Un ultimo dell’ anno che non dimenticherò: 1975. Un Natale con un
accordo d’ Amore: 1976. Un anno di speranza: 1994. L’anno del cambiamento: 2000. Un
anno, ancora di cambiamento: 2005. Un Natale di speranza: 2005. Un anno ancora di
speranza: 2006. Rimettermi in gioco: 2008. Verso la responsabilità: 1970. La prova della
vita: 1972. L’ anno: 1974. La fine di un amore: 2018. Una visita personale ad una città:
Pordenone, Belluno, Cremona, Bologna, Mantova, Brescia. L’ entusiasmo: essere nonno
di due bellissime nipotine. Il tesoro più grande: aver amato i miei genitori poveri e da loro
aver imparato la loro modestia. Le qualità: creativo nel lavoro e ambizioso nella
professione; responsabile, preciso, puntuale. La presunzione: fare il primo passo. L’
attitudine: al lavoro. Il giudizio altrui: se è negativo, il contrario di quello che si dice. Il bene
prezioso: la libertà. La squadra: L’ Inter. Il diritto: la persona, le libertà della persona, il
diritto al lavoro. La dichiarazione: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’ Uomo del 10
dicembre 1948. La carta dei diritti: la Costituzione. La coscienza e il valore: pari diversità,
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pari diritti, pari dignità, pari voce. La Democrazia: accettare i Diversi e non far loro del
male. Le qualità morali: la Lealtà nei semplici rapporti tra le persone; la Responsabilità in
ogni nostra azione non morale. Lo stile di vita: semplice, moderato, modesto; si a qualsiasi
tipo di musica; un buon fumetto vecchio di una volta da Capitan Miki, Blek, Comandante
Mark, qualche Classico della Disney. Il libro per ragazzi delle elementari: “Cuore” di De
Amicis. Il mio primo regalo: un trenino elettrico. La mia prima moto: Lambretta Innocenti
125 del 1972. Il mio primo profumo: Brut. Il mio primo pacchetto di sigarette: le Roy. I primi
occhiali da sole: Ray – Ban. La mia prima auto: Mini Minor Cooper 1000 del 1968. Il mio
primo orologio: Jacques Girard Geneve . La mia prima bicicletta: una Torpado dell’Atala.
La mia prima penna: una Parker. Le canzoni: “Amore Nei Ricordi” della Bottega dell’Arte
(1976), “Fianco A Fianco” di Nek, “Dentro di Me Ti Scrivo” di Mango, “Sulla Terra Io E Lei”
di Cocciante. Il miglioramento: una fonte di energia pulita, ecologica e non inquinante in
zona; la famiglia con qualsiasi tutela, lavoro in primis, dignità, rafforzo, incoraggiamento,
riunione, valorizzazione, e alcune regole, in generale per migliorare. L’auto: il Volkswagen
Golf GTD del 1986; l’aereo: il Boeing; il film di Natale: La Vita E’ Meravigliosa di Frank
Capra del 1946. Il film di Natale per bambini: Mary Poppins del 1964; lo sport: l’atletica; la
moda: anni ’80; l’indumento di abbigliamento preferito: la camicia, la polo; lo stile: casual;
la moda dei miei tempi da giovane: il jeans; il tessuto: il tweed; l’arte: contemporanea; il
mobile: la credenza in legno naturale; gli anni della mia giovinezza: anni ’60 e ’80; la
nazione dopo l’Italia: la Nuova Zelanda; la città amica dopo Padova: Venezia; la città
tranquilla: Treviso; la città distinta: Verona; i bei tempi per me: anni ’80; il libro di
educazione civica alle superiori: “L’Uomo Sociale” del 1972. Le creazioni: il lexington mode
line, una linea di moda dai colori naturali; il lexington football, una squadra di calcio
dilettanti; il personaggio dei fumetti: Julia.
La mia vita
C’è una zona della Padova storica, che considero tra le più belle e suggestive della città,
ed è quella dove ho vissuto i miei migliori anni, gli anni della mia fanciullezza, i mitici anni
‘60. Percorreremo un itinerario che va da via San Fermo a via Bartolomeo Cristoforis
attraverso le caratteristiche vie medievali di Padova. Via S. Fermo, è una via che si snoda
da via Dante a Piazza Garibaldi, ed è divisa in due zone, una pedonabile con sbocco in
piazza Garibaldi fornita di negozi di moda, gioiellerie e servizi, l’ altra transitabile, con
sbocco in via Dante, fornita pure questa di negozi. In questo ultimo tratto di strada, sono
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nato io, il 26 giugno del 1956, al civico 47, ultimo piano, in una soffitta, adibita ad attico
con una bella terrazza al suo interno, da genitori modesti, che amo moltissimo per avermi
messo al mondo. Ci sarà pure una terza figura, che reputo essenziale e che ci seguirà per
molti anni: la mia nonna Ida, la mamma di mio padre. Il caseggiato, antico, posto di fronte
ad un grande magazzino di abbigliamento dal nome Oviesse (una volta si chiamava
Standa), ha nel suo sottoportico un bar, ritrovo di giovani e meno giovani inneggianti alla
moda dello spritz. In questa casa, io e i miei genitori e la mia nonna ci siamo rimasti fino al
1959, per poi trasferirci a Cremona per un anno e, poi di nuovo Padova in Corso Vittorio
Emanuele II in un piccolo appartamentino fino al 1961; poi, sempre in affitto in una casa in
Via Armistizio, in zona Paltana fino al 1962, quando nacque mia sorella. Il ricordo
essenziale rimane la via dove sono nato e la via dove ho vissuto i maggiori anni della mia
fanciullezza. Percorriamo, quindi via S. Fermo dal luogo dove sono nato in direzione di Via
Dante, una deviazione a destra ci fa oltrepassare la Porta di Ponte Molino, la porta della
prima città fortificata risalente al XI secolo, con il suo ponte e la sua Edicola Sacra posta al
centro dedicata alla Madonna del Carmine. Passiamo il ponte e oltrepassiamo la strada e,
tenendoci a destra scorgiamo all’ angolo un edificio ancora in piedi a monito di una certa
tirannide che dominò Padova nel 1200. In fondo notiamo la Chiesa del Carmine, dove da
bambino ero solito frequentarla, pure, ai giorni nostri e, dove nel 1963 presi la mia prima
S. Comunione. Una lunga via di sottoportici ci accoglie facendoci respirare l’ aria del
medioevo: ed è via Savonarola, una lunga via che finisce in una porta vecchia di entrata
della città fortificata, edificata al tempo della Repubblica di Venezia dalla quale prende il
suo nome, Porta Savonarola. Via Savonarola, un tempo era una vecchia via d’ ingresso
alla città, molto trafficata, ora è stata sostituita dall’attuale Corso Milano, ampia via
edificata intorno agli anni ‘60, con palazzi moderni, negozi e uffici. A metà della via
Savonarola scorgiamo Ponte San Leonardo, antico ponte di pietra risalente al 1468 che
oltrepassa il Piovego, un canale che divide in due la città realizzato dalla Repubblica di
Venezia al tempo della sua dominazione. Qui da bambino venivo spesso a giocare a
figurine di calciatori della Panini sul ponte, o a vedere dei ragazzi un po’ più vecchi di me
che pescavano. Di auto negli anni ‘60 non se ne vedevano molte, notavi solo biciclette e
tante persone a piedi. C’era una edicola nel crocevia del ponte e, che ora non c’è più,
dove mio padre mi comperava Capitan Miki e il Grande Blek, due eroi dei fumetti. Al di là
del ponte il famoso fornaio San Leonardo c’è ancora. Qui venivo, ogni mattina nel mio
percorso a scuola, per acquistare un pane fresco da aggiungere alla colazione preparata
dalla mamma per la mensa scolastica presso il Patronato del Santo, scuola elementare in
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zona Duomo che ho frequentato per tre anni. Da qui, prendiamo via Cristoforis, pure
questa, una via medievale che si inoltra verso la zona del ghetto ebraico, lasciandoci sulla
sinistra un caseggiato storico, il famoso Palazzo Savonarola del XV secolo, e restaurato
nel 1967. Il ghetto ebraico è una delle tante caratteristiche della città, come di altre città
italiane: era una zona riservata esclusivamente agli ebrei al tempo della loro persecuzione
durante il medioevo. Era una città dentro la città e la zona aveva pure come caratteristica
di avere il suo camposanto ebraico. Nel nostro caso padovano di camposanti ne abbiamo
addirittura due, tagliati in due da via Campagnola. All’angolo del Palazzo Savonarola, c’era
una volta una drogheria l’ “Antica Sagea”, e che ora non c’è più; la drogheria era un
caratteristico negozio molto in voga in quel tempo, di prodotti vari, con scaffalature di
legno, per collocarvi qualsiasi materiale e prodotto. Vi si poteva trovare colori per gli
imbianchini, grandi barattoli di caramelle, e prodotti per l’igiene della casa. Qui, venivo
spesso per acquistare 100 lire di cemento per mi serviva per realizzare le mie piccole case
in cemento che eseguivo nel giardino della mia abitazione. Percorriamo i sottoportici e
arriviamo in prossimità di una laterale: è via Campagnola, una via detto prima, che divide
due camposanti ebraici. In fondo alla via si scorge ancora la grande scuola elementare
“Cesarotti Arria” di via Isidoro Wiell, dove ho frequentato la prima e la quarta elementare.
Mentre per la seconda, la terza e la quinta frequenterò il Patronato del Santo, che ora non
c’è più, una scuola di preti in zona Duomo, dove fui vittima di violenza (un prete mi staccò
un orecchio durante l'ora di ricreazione alzandomi di peso); mio padre non lo denunciò! In
prossimità di questa laterale, vi erano dei negozi, che ora non ci sono più: una vecchia
latteria, posta all’angolo dove venivo spesso a prendere con 110 lire, il latte per la
mamma, in bottiglia con vetro da rendere, e cioè con la restituzione della bottiglia vuota. In
quel tempo il latte veniva confezionato su bottiglie di vetro che dovevi rendere al lattaio,
pena il pagamento della bottiglia di vetro. Mi ricordo che il lattaio vendeva pure il primo
yogurt in un barattolino di vetro, ma costava quanto il latte e la mia famiglia non poteva
permetterselo. Vicino all’attuale ristorante pizzeria ai “Ghiottoni”, che, – una volta era una
grande osteria, e dove venivo a vedere i nonni che giocavano a bocce -, c’era un fabbro
che forgiava col martello il ferro sull’incudine per le sue opere. Di fronte, sull’angolo del
caseggiato opposto vi si trovava una fontanella di acqua manovrata a mano, e che ora non
c’è più. Vicino, avevo realizzato la “mara” la postazione preferita dove io, e altri ragazzi ci
posizionavamo a turno, per giocare a nascondino. Fino ad alcuni anni fa, era di facile
identificazione, per via che avevo collocato, a quel tempo della malta che avevo trovato
vicino alla fontanella abbandonata da qualche muratore. La “mara”, era molto bassa, il che
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faceva presagire la mia piccola statura di un bambino di circa otto/nove anni. Da due anni
non è più identificata, per via che il caseggiato è stato ristrutturato, ma resterà un bel
ricordo. Ora non ci resta che percorrere Via Cristoforis che termina in via Beato Pellegrino.
La via prende il nome da Bartolomeo Cristoforis, un famoso padovano di clavicendali nato
nel 1655; il suo clavicendolo equivale tuttora al moderno piano forte che presentò nel
1709. E’ la via dove ho vissuto i miei splendidi anni, gli anni della fanciullezza, gli anni dei
Beatles, gli anni della cattolica Padova, gli anni dello sbarco sulla luna. Il mio ricordo va ad
carissimo amico di nome Ermes, un po’ più grande di me con cui passavo il tempo libero;
era un ragazzo orfano di padre, e aveva la passione per la bici; ogni volta che ci
incontravamo, per dimostrare la sua amicizia mi faceva salire sulla sua bici e, insieme
facevamo lunghi tragitti fino in centro. L’ atmosfera di questo luogo è quasi magica, e non
può passare inosservata; case vecchissime risalenti al medioevo con ancora le
caratteristiche di quei tempi; se i muri potessero parlare chissà quante cose potrebbero
dirci. Quanti drammi, quante miserie, di allora, come oggi. C’è un silenzio surreale, rotto
appena dal passaggio di una macchina o dal calpestio di qualche passante. Padova, oggi
è una città timorosa, come lo è il mondo senza più futuro. Ma per fortuna che c’è oggi un
cielo azzurro con un bel sole, pieno di luce che ci aiuta a vivere. E, siamo giunti al civico
dove per ben otto anni ho vissuto la mia fanciullezza. Un grande portone mi accoglie,
ancora di colore verde e il suo civico che non vuole cambiare. Qui, ho abitato assieme ai
miei genitori e alla mia nonna in questa casa dal 1962 al 1970, in affitto, al primo piano in
un appartamentino rivolto verso il camposanto ebraico. Il pavimento era di tavole di legno,
e avevamo solo un modesto bagno. Dividevo la mia camera con i miei genitori. In inverno
ci scaldavamo con una stufa a legna e a carbone posta nel corridoio. Avevamo un piccolo
giardino in comune con altri fittavoli, persone anziane e un piccolo orto dove mio padre mi
aveva costruito una altalena con cui giocare, e dove coltivava i suoi pomodori; e vicino
all’orto, in un piccolo spazio, il mio passatempo creativo preferito, la costruzione di piccole
casette in cemento (forse, perchè la mia aspirazione un giorno era quella di diventare un
architetto o un ingegnere). In questi otto anni passati in via Cristoforis ho avuto
l’accortezza di sentire parlare molto del Papa Buono Giovanni XXIII che ha lasciato un
segno profondo di Fede, poi veniva senz’altro il famoso sbarco sulla Luna nel luglio del
1969 e per finire le canzoni dei Beatles. I miei genitori, non andavano d’accordo, ma erano
speciali, e nonostante la loro modestia ci volevamo tutti bene. Li rimpiango tuttora per
l’amore dimostratomi in quel particolare momento della mia vita. In questi anni dal 1964 al
1970 frequenterò le colonie estive indette dal comune di Padova. Tre anni li passerò in
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colonia ad Asiago, e tre anni li passerò a Lavarone. Partirò sempre col primo turno a
giugno, passerò così l’estate tra i monti, nella tranquillità dei boschi, rafforzandomi nello
spirito e nel corpo. E' in questi anni, credo nel 1968, che rischio di morire soffocato per
colpa di un acino d'uva, mia madre mi salverà con la manovra di Heimlich. In questo
straordinario periodo passerò il mio tempo pure dai miei nonni a Mellaredo di Pianiga in
provincia di Venezia, i genitori della mamma, gente modesta e di fede. Ero povero, come
lo erano i miei genitori e la mia nonna Ida, che mi verrà a mancare nel 1967 lasciandoci un
grande vuoto, ma mi sentivo felice e ricco lo stesso di essere al mondo insieme a loro,
perché certamente aiutato, e, perché la vita in se stessa è già una ricchezza. Di questi
meravigliosi anni, – il finire degli anni ’60 e l’inizio degli anni ‘70 – è l’affettuoso
avvicinamento coi nonni, i genitori della mamma, che abitano a Mellaredo di Pianiga in
provincia di Venezia. La maggior parte del tempo, con loro, lo passo d’estate, appena finite
le scuole. Un vero toccasana per lo spirito che mi porta a gioire della quiete della
campagna, la magia della natura e il contatto con gli innumerevoli animali della campagna,
dalle galline, ai pulcini, ai conigli, alle mucche, per arrivare ai semplici uccelli di campagna,
che vengono a mangiare sul cortile e tutti con un bel canto. Ho un accostamento speciale
ed affettuoso con il nonno, Giuseppe detto “Bebi”, diminutivo di Giuseppe, reduce della
Prima Guerra Mondiale, Cavaliere di Vittorio Veneto, monarchico ancora convinto in tempo
di repubblica; ama molto il Presidente Saragat, socialdemocratico per il bene che fa a tutti.
Appena può mi racconta le sue avventure di guerra, e tra una avventura e l’altra mi
insegna molte cose, come coltivare l’ orto, per esempio, raccogliere i pomodori, o come
dare da mangiare alle galline. Buona è la sua polenta, calda e soffice che fa sulla cucina
economica a legna, quasi tutte sere, dove degustiamo, pure, della buona insalata dell’orto,
accompagnata da due uova, e, se va bene, – perché vi è la possibilità -, una buona fetta di
salame di casa. Pure la mia nonna Teresa detta “Resi” diminutivo di Teresa è buona; da
brava casalinga, appena può aiuta il mio nonno sui lavori dei campi. E’ molto credente,
prega sempre e dice spesso il Rosario. L’aiuto pure io, e d’accordo con lei corro sul ponte
a prendere il buon latte dal lattaio che passa ogni mattina con il suo carro di bidoni di latte,
trainato da un bel cavallo; stessa cosa si ripete pure col fornaio con il suo furgoncino, che
passa intorno alle 11,00 con il suo pane fragrante e profumato; e, appena posso, perché ci
sono pure i compiti della scuola, corro in bicicletta da “Viciato” (negozio di alimentari nel
crocevia del Cavin Maggiore con la “stradona”, la strada regionale) a farle una piccola
spesa alimentare che la nonna mi propone; oppure, vado fino a Pianiga in Farmacia a
prenderle le medicine facendo tutto il Cavin Maggiore in bicicletta. Il Cavin Maggiore è una
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lunga strada che va da Via Comara a Mellaredo fino a Pianiga. Un particolare della cucina
della nonna è il suo sugo di pomodoro per la pastasciutta che lo prepara verso le 11,00
cucinandolo per due ore a fuoco lento. I miei nonni, ora non ci sono più, e neppure la loro
casa, una casa modesta tutta immersa nel verde con due grandi alberi di noce sul ponte
fatto di terra, perchè loro, modesti com’erano non potevano permettersi un ponte di
cemento. I miei nonni erano speciali, buoni, belli e gli amavo. Gli amo tuttora con tutto il
mio cuore per il grande aiuto, semplice che mi hanno dato; amo quel bel periodo e amo
ancora quei luoghi che mi ricordano la mia infanzia. Quando vado al camposanto per un
fiore alla mamma, non disdico di offrire un fiore pure a loro. Nel 1970, mi trasferisco con i
miei genitori in zona Stanga, e precisamente in via Pietro Maroncelli , in una casa offertaci
dal comune di Padova, essendo i miei genitori modesti. Il quartiere detto comunemente
delle “Case minime”, così si chiama per i piccoli alloggi sorti nel Dopoguerra è rattristante.
Vi soggiornano gli "ultimi". E’ la prima strumentalizzazione (discriminazione,
ghettizzazione) di un sistema sociale non prodigo al benessere; e, qui conoscerò le prime
avvisaglie di una certa ostilità per il diverso. Finisco le medie e il mio desiderio è quello di
iniziare a lavorare per dare una mano alla famiglia. La mamma mi trova un posto come
barista in un bar del Mercato Ortofrutticolo in via Venezia, ma il lavoro è monotono e
noioso e rimango senza fare nulla. Vorrei cominciare a fare dei caffé alla macchina, ma
non mi insegnano, di chè sono costretto stare al banco e aspettare i clienti; ogni tanto per
passare il tempo lavo delle tazzine o dei bicchieri. Cambio lavoro, ed è sempre la mamma
a trovarmelo da conoscenze che ha con i negozianti dove è abituata a fare la spesa.
Comincio a lavorare da un meccanico situato vicino alla Fiera Campionaria che si
interessa della pulizia di carburatori ad iniezione di grossi motori a diesel di camion. Il mio
lavoro consisteva nella pulizia dei carburatori con la nafta e pennello che eseguo in
officina; ma a volte accompagno un meccanico nel luogo della ferma di un camion per
sostituire il carburatore. Sarò costretto a lasciare solo dopo tre giorni, per via che le
esalazioni petrolifere mi nuocciono alla salute e mi indebolivano. Alla fine sarà la mamma
che vorrà che inizi una scuola per imparare una professione. Lei voleva che facessi il
parrucchiere; mio padre l'arbitro. Io scelsi il disegno. E così tra le scuole superiori,
sceglierò l’ INAPLI, una scuola vicina, del luogo, ad indirizzo tecnico, regionale di appena
due anni per dare una mano ai miei genitori specialmente alla mamma, che insisterà per il
Marconi di Padova, una scuola statale di cinque anni, ma, vedendo il lungo periodo
sceglierò la regionale per non essergli di peso, e ad ogni modo, è stato meglio così: le
scuole statali, in quel periodo erano attraversate da violenze politiche non prodighe per
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l’educazione. Le scuole regionali, invece erano famose per dare formazione nel più breve
periodo a giovani che avevano desiderio di apprendere in fretta, per poter entrare subito
nel mondo del lavoro. Inizio nel 1972, e in questa scuola, malauguratamente, conosco il
fenomeno “bullismo” di oggi, di alcuni compagni prepotenti. Mi allontano da essi con altri
ragazzi che non tollerano la violenza facendo gruppo con loro, e ci rimarrò fino alla fine
della scuola. L’ anormalità era, che quei ragazzi venivano, in qualche modo lasciati fare,
senza che un superiore intervenisse alla loro prepotenza. Durante le vacanze invernali,
ma pure estive del 1972, per alcuni giorni ritorno dai miei nonni ed è proprio in questo
periodo che mi viene a mancare il mio caro nonno “Bepi”, lasciando sola la nonna “Resi” e
creando pure un grande vuoto nella modesta casa di campagna. Mi mancherà molto la
sua amicizia e pure la sua saggezza di uomo che ha molto sofferto. In questo periodo
aiuto la mamma con lavori saltuari che svolgo durante il periodo estivo come semplice
operaio, e alcuni lavori proseguiranno poi anche durante la scuola. E’ in questo periodo
che lavoro come semplice operaio durante le vacanze estive della scuola. Il primo anno
(1972) lo svolgo da Zorzi Sementi, un ex stabilimento di sementi e prodotti agricoli, in zona
Barozzi, alla Stanga. Qui faccio un po’ di tutto, dallo scaricare sacchi da camion e vagoni
ferroviari di sementi in grossi sacchi; al controllo delle sementi sui magazzini alti per la
lavorazione e il loro trattamento, fino allo inscatolamento delle confezioni sulle linee
meccaniche. E’ un lavoro che ti ripaga nonostante tutto, perché vieni pagato
settimanalmente, in contanti e su una busta. La mia paga era di 12.000 lire. Il secondo
anno (1973), come operaio in un piccolo stabilimento in zona Plebiscito come addetto alla
finitura di modelli in legno per la fonderia. Da aggiungersi pure come operaio pulitore
presso una ditta di servizi per la pulizia mattutina degli uffici presso l’ ex Opel e l’ ex Iveco
alla Stanga e altri lavori nel tempo libero presso l’ex CNR a Legnaro, nello stabilimento di
isolanti dei Fratelli Stimamiglio in Zona Industriale e in alcuni monolocali (per la pulizia di
fondo) nell’ edificio Hotel Biri. Infine tramite un passaparola troverò lavoro al sabato come
addetto alla pulizia in un condominio signorile della Stazione di Padova, presso alcune
famiglie importanti ed educate del condominio. Finirò la scuola superiore nel 1974 con un
ottimo risultato, uscendo con un diploma di disegnatore meccanico, e – nonostante le
varie promesse della scuola di avviare verso un lavoro i più bravi (l’ illusione di un lavoro
alla Saimp, nota industria padovana di quel tempo di macchine utensili che ci avevano
fatto conoscere dove cercavano disegnatori) – non verrò interpellato. Riuscirò nonostante
tutto a realizzarmi professionalmente, trovandomi personalmente un lavoro, non come
disegnatore meccanico, ma bensì come disegnatore tecnico presso uno noto studio
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tecnico di impianti di riscaldamento e trattamento dell’aria, lo “Studio Trapanese”, del Prof.
Trapanese, noto direttore universitario di ingegneria dell’Università di Padova, situato in
via Paruta, nel quartiere S. Rita, tralasciando a malincuore la meccanica, mia principale
aspirazione per una nuova conoscenza non del tutto trascurabile. Il lavoro, bensì diverso è
bello, soddisfacente e creativo, e mi porta a sperare nel futuro. Nel 1974 prendo la patente
per l'auto. In questo anno conoscerò mia moglie. Nel 1976 frequenteremo assieme un
corso per addetti alla programmazione. Mi sposerò nel 1977 nella chiesa degli Eremitani.
Nel 1977, dopo essermi sposato mi trasferisco con mia moglie in un piccolo
appartamentino in via Tiepolo, in zona Portello (Porta Portello), una vecchia e famosa
zona di Padova dal tempo della Serenissima abitata da barcaioli e commercianti (il
Piovego era navigabile fino a Venezia); ma, in seguito, pure di degrado e ghettizzazione
inizio ‘900. A settembre del 1977 nasce mia figlia. L’anno precedente ho sostenuto le mie
prime votazioni, e il mio partito, la social-democrazia di Saragat, ex presidente della
Repubblica è uscito “sconfitto”. L’appartamentino, trovato con molta difficoltà, è un
monolocale col bagno finestrato, e dove lo spazio è molto esiguo. Pago un affitto molto
alto, 90.000 lire, quasi uno stipendio di uno di noi (prendiamo in media 70/80.000 al mese
e lavoriamo tutti e due). Il vivere diventa un problema. Faccio domanda per una casa
popolare presso lo IACP di Padova, allegando pure un intervento dell’igiene pubblica, in
cui constata che l’ambiente è antigienico per una famiglia con figli. Arriverò tra gli “ultimi”
nella graduatoria con mio sommo stupore e, lascerò perdere. Mi do da fare con mia moglie
nella ricerca di un appartamento in affitto (in quegli anni il dramma degli alloggi che non si
trovano in affitto era elevato), “passando a tappeto” qualche zona di Padova vicina al
lavoro, suonando di casa in casa, di condominio in condominio, ma la ricerca risulterà
essere infruttuosa. Valuteremo pure la considerazione di comprare un appartamentino, ma
il prezzo esageratamente alto (si tratta di molti milioni, 80 per esserne precisi,
impegnerebbe un sacrificio enorme), ci farà desistere. Il condominio dove abitiamo, per la
maggiore è abitato da studenti che lo usano per lo studio e pure per il divertimento, e non
c’è nessuna famiglia come noi, ma nel contempo allacciamo delle buone amicizie con
alcune coppie di studenti che seguono la nostra linea, e, loro non sono per nulla
dispiaciuti. Qualche volta con l’ auto, e la mia famigliola facciamo visita alla nonna a
Mellaredo di Pianiga in provincia di Venezia che è rimasta sola: restiamo un pò a farle
compagnia e a parlare, e lei da buona bisnonna, gioca e parla con la mia bambina. Una
sera l’ho invitata per una pizza a Ponte di Brenta ed è stata talmente entusiasta (non
l’aveva mai mangiata) che l’ho riportata ancora una volta. E’ pure in questo periodo che
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vado spesso dai miei cari zii di Marghera, dalla sorella della mamma, persone
straordinarie e modeste pure loro. Il lavoro ci impegna tutti e due, specialmente per me
che seguo ancora nel tempo libero dei lavori di pulizia per una ditta di servizi. Poi, ci sono
le ore straordinarie presso lo studio per portare a termine la progettazione degli impianti
presso la Banca Cattolica del Veneto a Torri di Quartesolo, Vicenza. Inoltre nel tempo
libero mi avvicino al mio hobby preferito: la pittura ad olio, eseguendo alcuni quadri. Di
seguito, porto avanti una mia piccola attività libera di disegno grafico per una tipografia. E’
in questo periodo che aiuto pure degli studenti a lavorare per la ditta di pulizia, che
cercava della manodopera. Il mio aiuto andrà ad uno studente con cui avevo riallacciato
una simpatica amicizia, e, che me lo aveva chiesto, facendolo lavorare presso la ditta di
pulizie. Combinazione, sarà, che poi questo studente diverrà una persona importante a
Padova e, io lo cercherò nel 2001 in un frangente di ricerca di un lavoro, ma non sarò
contraccambiato. Aiuto mia moglie nella spesa di fine settimana, recandomi nelle piazze
per far provvista di pesce fresco, formaggi, e frutta. Altro particolare è l’aiuto giornaliero
alla moglie verso la mia primogenita. Al mattino, sono l’ultimo ad uscire per il lavoro, (mia
moglie si reca al lavoro per prima), rifocillo la figlia, la vesto, la cambio e la porto all’asilo,
quasi sempre in bicicletta (ho pure una Lambretta 125 che mi serve per i lunghi
spostamenti, come pure una Mini minor che lascio ferma per via che la benzina costa
parecchio) e, poi vado al lavoro. Il periodo in cui abitiamo non è del tutto favorevole. È il
periodo dominato da una certa politica eversiva, che in quella zona, – in modo
strumentale, e non certo voluto dalla maggioranza dei suoi abitanti – ha il suo evolversi.
Molti sono gli slogan contro il governo, ma pure le contestazioni, sfocianti spesso nelle
distruzioni e nella violenza. Il 7 aprile del 1977, la via dove abitiamo sarà devastata e
alcuni negozi dati alle fiamme. Scritte, eversive compariranno sui muri della zona
universitaria: una, in particolare all’indirizzo del Presidente A. Moro, mi toccherà per
l’assurdità della politica che sfocia nella violenza. Il 1978, è un anno avverso: mi verrà a
mancare a dicembre il mio datore di lavoro in un incidente aereo, facendo sorgere i primi
problemi di lavoro. Il 1978 è l’anno pure della “politica forte”, verso un “cambiamento” a
sinistra. A segnare il passo è la scomparsa dello statista A. Moro democristiano (maggio
1978), ad opera dell’estremismo di sinistra che mi tocca ancora una volta per l’arretratezza
civile a cui siamo arrivati. Ma, non tutto viene per nuocere: l’anno 1978 è pure il successo
di Lucio Battisti, il mio cantante preferito con l’ album e la sua canzone omonima “Una
Donna Per Amico” che ci risolleverà il morale. Nel 1978 rischierò di morire per lo scoppio
di un pneumatico della mia Lambretta 125; mi salverò per la mia prontezza a tenere in
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strada la moto. Nel frattempo cambio lavoro e, con una semplice risposta ad una
inserzione, inizio il mio nuovo lavoro alla Blowtherm, nota industria di caldaie padovana,
situata in via Guido Reni, e nel contempo mi automunisco con una Fiat 500, che prenderà
il posto della mia prima, una Mini minor del 1968. È il luglio del 1979, gli anni a seguire
saranno determinati da alcuni problemi, di salute di mia moglie che ci faranno, nel 1980,
cambiare definitivamente casa, trasferendoci a Maserà di Padova, paese di mia moglie, e
cambiando definitivamente la mia residenza. Qui ci resterò fino al 2005, – la vita di una
persona -. Gli anni ‘80 cominciano con la nuova casa, a Maserà di Padova, lasciatecela
dal papà di mia moglie per una nuova abitazione. E’ una casa modesta, un po’ vecchia,
risalente al 1963. Mi prodigo per la risistemazione, dalla riverniciatura degli interni,
all’isolamento, e all’applicazione di controfinestre. Tutto questo riordino mi impegna
parecchio tempo per i primi anni, tra il sabato e la domenica, senza dispiacermi, anzi, è
una motivazione bella e creativa che ti porta a conoscere molte tue attitudini nascoste.
Oltre alla casa ho il mio gran daffare con un pezzettino di terra sul davanti che ho
riordinato ad orto. Sono ben accolto da tutti i parenti di mia moglie che si stringono a me
con affetto. Mio suocero è un buon uomo e, appena può, nonostante la vecchiaia e una
malattia che lo ha reso un po’ inabile mi aiuta nell’orto e mi da buoni consigli come fossi un
suo figlio. Intanto il periodo sembra essere tranquillo per me e la mia piccola famigliola.
Cambio auto e prendo una Renaul 5 gtl. Mia moglie lavora assieme a me, e insieme
facciamo la strada per recarci tutte le mattine al lavoro a Padova, io in zona Arcella, mia
moglie in zona Scrovegni, dove svolge un lavoro di impiegata. Il mio lavoro di disegnatore
tecnico alla Blowtherm, nota industria di caldaie con uffici in via Guido Reni, sembra
proseguire tranquillo, per i primi due anni. C’è sempre un passaggio di categoria che però
fa fatica a giungere. E’ la promessa fattomi del datore nel 1979, appena assunto, che dopo
un anno o poco più sarei avanzato di carriera. Ma purtroppo, pure qui, sopraggiungerà l’
improvvisa scomparsa del datore e subentreranno alcuni problemi all’interno della
fabbrica, con una sospetta chiusura. Seguirà la politica che entrerà nella fabbrica con i
sindacati. Ad uno sciopero per delle problematiche interne non aderirò, preferendo
lavorare su esempio del mio capoufficio, (resterà pure lui al lavoro), un geometra, che si
era interessato della mia assunzione e pure del mio passaggio di categoria. In seguito le
cose peggioreranno in questa ditta e il mio avanzamento di carriera non si farà più sentire.
Quindi resterò, deluso, nonostante mi avessi prodigato nel lavoro, facendo moltissima
esperienza nel settore della carpenteria media leggera e pure dell’impiantistica,
dimostrando, più che certo, la mia buona volontà. Interessai pure il geometra, ma mi disse
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che non poteva più far nulla. Personale è la realizzazione, con la stesura di tutti i disegni di
una serie di quattro caldaie in acciaio a gasolio e a gas da 25.000, 35.000, 55.000 a
100.000 k/calorie che presentammo alla Fiera del Riscaldamento di Milano nel 1982, e di
cui fui partecipe dell’evento; e inoltre è personale la realizzazione di una caldaia a gas
murali da 22.000 k/calorie, presentata pure questa. E’ in quest’ambito che mi faccio avanti
ancora una volta perché mi venga riconosciuto il passaggio, ma vengo a mia volta, ancora
deluso. Delusione che mi porterà a maturare l’idea di trovarmi un altro lavoro. Credo,
questo è la realtà, che – oltre all’improvvisa scomparsa del datore di lavoro con la sua
promessa fattomi al momento dell’assunzione – la mia astensione allo sciopero, abbia
certamente influenzato la mia carriera futura. Mia moglie chiederà il part-time e non mi farà
più compagnia. Maturo l’idea di mettermi per conto mio nel gestire un negozio di cartoleria
edicola, un mio sogno personale legato alla mia attività di disegno e al mondo dei fumetti.
Questo sogno non si avvererà, ma si presenterà l’occasione di una edicola, da gestire con
un buon guadagno, promessomi. Lascerò quindi la Blowtherm nel 1983, lascito non certo
piacevole per me, ma neppure frenato dalla ditta, per questa nuova attività. Attività che si
presenterà in seguito deludente alle promesse fattomi (davanti all’edicola situata in
piazzetta Pedrocchi inizieranno dei lavori di fognatura per molti mesi), penalizzando così il
mio guadagno: lascerò pure questa attività per rientrare nella mia professione, ma con
occupazioni in seguito – sempre più precarie e deludenti, con regole sempre più difficili da
ricompensare e, cioè con una politica non certo favorevole che detta oramai i suoi metodi,
non certo lusinghieri per uno che è abituato a regole di civile convivenza. I primi anni ‘80
sono dominati dalle nostre innumerevoli vacanze che facciamo al mare o in montagna
sulla neve. Nel frattempo nel 1984 mi verrà a mancare la nonna “Resi”, altra persona
speciale, buona e amica. E’ un periodo della mia vita che non vorrei descrivere, perché è il
più toccato dagli avvenimenti. Si può dire che dopo aver lasciato la Blowtherm sono
cominciati i veri guai. Nel 1985, con l’aiuto di don Luigi, parroco di Maserà (che mi dirà di
ritornare da lui, se non mi troverò bene, ma si spegnerà, da lì a poco), su una mia
indicazione lavorativa troverò lavoro come disegnatore tecnico per stampi a
pressofusione, presso una ditta di Padova in zona industriale. L’inizio è negativo, in quanto
dovrò fermarmi oltre l’orario consentito (non c’è il classico marcatempo), lavorare pure il
sabato ed essere pagato ad insindacabile loro parere. Inoltre dovrò svolgere alcuni lavori
di segreteria da aprire il cancello, e rispondere al telefono. Lascerò nel 1986 per un lavoro
di rappresentanza, che sarà di breve durata perchè non darà il suo esito sperato e, con
l’occasione mi automunisco nuovamente con una Fiat Regata 70 super, metallizzata, una
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bella auto per quei tempi che mi permetterà di fare dei lunghi spostamenti per il lavoro, ma
pure con la mia famiglia, oramai numerosa con l’arrivo della seconda figlia nel 1987. C’è
l’evento del computer a fine degli anni ’80, che mi condiziona la ricerca della mia
professione, ma nonostante trovo tutto buone opportunità di lavorare come disegnatore
tecnico in libera professione. Di seguito, l’illusione di un aiuto da parte di una persona del
luogo, molto importante politicamente, per un lavoro che non manterrà la sua promessa mi
farà spendere alcuni soldini e mi getterà in un periodo di profondo sconforto. Ho la fortuna
di avere pure dei lavori saltuari nei servizi, trovatemeli da solo che mi aiutano nel vivere e
far vivere la mia famiglia e, assieme alla moglie che ha trovato pure lei un piccolo lavoro
come domestica, tiriamo avanti. E, in più c’è l’aiuto, pure, del caro suocero che ci aiuta nel
pagamento di qualche bolletta. Nel maggio del 1987, prende la comunione la mia
primogenita. La fine del 1987 e l’inizio del 1988 mi vede impegnato a casa, in libera
professione, ho un tavolo da disegno e inizio una proficua collaborazione con alcune ditte
che mi danno del lavoro a casa; inizio la collaborazione pure con uno studio che mi fa
lavorare a casa. Nel mese di giugno mi ammalerò, accuso delle vertigini e debolezza e
sarà così per alcuni mesi fino al 1989. Lascio la libera professione per motivi di salute e,
nel 1989 trovo lavoro, trovato da me, come dipendente presso la Safi industria di
carpenteria. E qui cominciano una serie di casualità, non certo piacevoli e l’inizio del mio
supplizio, se lo vogliamo chiamarlo così. Il licenziamento alla Safi, senza nessun motivo
apparente, mi lascerà oramai perplesso di fronte a una realtà sempre di più inspiegabile.
Gli anni ‘90 sono predominati dal computer, il disegno manuale verrà ben presto
computerizzato e io dovrò trovarmi una nuova opportunità di lavoro. Mi reco spesso al cpi
di Padova ma non trovo nessuna opportunità lavorativa. Nel 1991 rischio la morte, una
sera di marzo ho uno svenimento e cadendo, non batto la testa per fortuna, ma mi fratturo
la clavicola. Verrò operato all’ospedale di Padova e passerò 15 giorni di degenza e dovrò
restare ingessato un mese. Mi sarà dato l’opportunità dall’ufficio di collocamento di
Padova di lavorare due mesi presso il comune e tre mesi presso una scuola, il Belzoni
come collaboratore scolastico. Riceverò un benemerito dalla provincia per la mia
devozione al lavoro. Lavorerò poi, sempre su indicazione dell’ufficio di collocamento, come
commesso in un negozio di giocattoli per due mesi. Nel 1992 frequenterò un corso come
massaggiatore e addetto alla fangoterapia, e nel 1993 aderirò ad una selezione, assieme
a mia moglie di addetto all’assistenza di persone anziane. Mia moglie verrà assunta e io
arriverò al 50° posto, posizione sempre buona dalla quale poter attingere ancora
personale nel corso degli anni, ma purtroppo non verrò chiamato. Appena posso faccio
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visita ai miei genitori, che nel frattempo si sono separati; assidua è la visita alla mamma,
quasi tutte le settimane e, nel periodo estivo la porto al mare. Ho dei lavori saltuari nelle
pulizie trovatemi da solo, che mi aiutano a vivere, fino al 1994 in cui trovo una seria ditta
che mi assume, e, questo mi permetterà di andare finalmente in vacanza con la mia
famiglia dopo molti anni, e andremo a Isola Verde, a Sottomarina in un Residence con
piscina per le figlie. Ad agosto del 1994 mi verrà a mancare mio padre. A novembre del
1994 verrò assunto nella scuola con un concorso: assunto come assistente tecnico di
laboratorio al Gramsci di Padova, una scelta non condivisa, ma impostami dal
Provveditorato, che accetterò nonostante tutto perché c’è la mia primogenita che studia;
verrò adibito da subito a lavori inferiori e, senza indennità di premio incentivante che si dva
a fine anno. Nasceranno delle incomprensioni difficili da colmare col direttore
amministrativo, rese più difficili dall’indifferenza del sindacato autonomo e da qualche
intimidazioni, prepotenze e pure qualche minaccia, portandomi nel valutare un’uscita verso
un’altra scuola, nella speranza di un cambiamento. Il 30 maggio 1995, in seguito ad un
evento meteorologico, causato da imperizia umana, avrò la casa allagata con parecchi
milioni di danni, e non avrò nessun risarcimento. A maggio del 1996, insieme a mia moglie
farò visita nella terra di S. Francesco, visitando Assisi e Gubbio. Nel 1997 in merito ad
incentivi governativi cambierò l’auto e comprerò una Alfa romeo Twin Spark 1600. A
maggio del 1997 prenderà la comunione la mia secondogenita. Sempre in quell’anno per
allontanarmi da una situazione di oppressione e di persecuzione (il preside mi minacciò
pure di questo), mi allontanerò dal Gramsci mettendomi in malattia fino al 1998, quando, a
settembre entrerò nella nuova scuola il Marconi, che avevo scelto personalmente. Nel
1997, pure mia moglie si ammalerà gravemente, rischiando la propria vita: si salverà per
puro miracolo. Nella nuova scuola, non verrò preso in considerazione, verrò messo su un
angolo per la mia “impreparazione” di assistente tecnico, nulla di vero e, si arriverà ben
presto al mio licenziamento, che avverrà nel marzo del 1999 per una assenza
ingiustificata, secondo loro, ma più che giustificata perchè avevo chiesto delle ferie e una
apettativa non retribuita, negata, dal motivo che dovevo assistere la mamma ammalata.
Nessun sindacato mi aiuterà e nemmeno nessun uomo di destra a cui avevo chiesto aiuto.
Presenterò un esposto in procura sul mobbing delle due scuole con i loro presidi, ma sarà
archiviato; mi opporrò e il gip lo archivierà definitivamente, e, su questo fatto verrò
diffamato sul "il mattino di padova" quotidiano locale con tanto di nome e cognome, contro
la mia volontà di dare la notizia (dovevo dare il consenso). A una mia giusta replica e verità
"il mattino di padova", non intenderà pubblicare. Non si dovrà parlare male della scuola.
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Ricorrerò al giudice del lavoro per bocciare il mio licenziamento, ma verrà rigettato. L’anno
prima, il 1998 vede una parte dei mie risparmi volatilizzarsi per un improvviso “crollo” della
borsa russa, a livello nazionale e mondiale che non doveva esserci. Ero in vacanza ad
agosto nel 1998 in Croazia e non potevo far nulla per questo. Seguirà un ricorso alla
Consob, per la tutela dei risparmiatori in borsa, ma non ci sarà seguito, trovando il fatto più
che normale. Per sopperire alla mia inoccupazione professionale ed a un periodo di forte
disagio, impegnerò una parte dei miei ultimi risparmi nella ristrutturazione della mia casa di
via Roma a Maserà, impegnandomi personalmente per ben tre anni, dal 1999 fino al 2002
per l’organizzazione dei lavori, ed immedesimarmi pure io, nel lavoro, svolgendo qualsiasi
attività manuale, da muratore, a idraulico, elettricista, piastrellista, falegname a
imbianchino nel dipingere la casa internamente che esternamente (agosto 2002). Grazie a
questo supererò un brutto periodo della mia vita. In questi anni c’è il ricorso al
licenziamento della scuola che viene respinto dal giudice, nonostante le mie buone ragioni
e con una spesa di parecchi soldi in avvocati; c’è sempre mia moglie che mi segue e mi
assiste nelle varie udienze presso il tribunale e mi da consigli; una diffamazione sul
giornale locale, "il mattino di padova" nel 1999, senza apparente motivo, e senza giusta
replica (era un mio diritto), e da innocente mi lascia a terra per l’assurdità della questione,
denuncerò il giornale, ma verrà archiviato, non si dovrà parlare male della scuola; segue
una revisione della patente di guida (che non doveva esserci, perchè inesistente il fatto a
cui mi è stato attribuito) che mi impegnerà con una spesa pure qui di molti milioni di lire,
frutto dei miei risparmi per il ricorso al TAR del Veneto. Nel 2002 vincerò il ricorso e la
Motorizzazione mi devolverà 2.000,00 euro. Nel 2001 lavorerò presso una ditta di pulizie
di Voltabarozzo a Padova per alcuni mesi, nelle pulizie di fondo e presso degli uffici. A
giugno del 2001 mi verrà a mancare mio suocero che ci voleva un gran bene lasciando un
grande vuoto intorno a me e a mia moglie. E, quindi di seguito la morte improvvisa della
mamma, ad agosto senza una spiegazione (la troverò morta a casa sua, e non verrà
eseguita nessuna autopsia, nonostante la mia insistenza). Rischierò pure io di morire con
la moto per l’ incuria di un addetto in un controllo in officina che si era dimenticato di
chiudere il tappo dell’olio del sotto motore. Nel 2002 subisco un intervento di ernia
inguinale alla Casa di Cura di Abano Terme, e sempre nel 2002 per tre mesi, da giugno ad
agosto sarò massaggiatore presso una casa per anziani ad Este: lascerò l’incarico perché
si vorrà che mi metta per conto mio, aprendo una partita iva, e, questo non mi troverà
d’accordo, visto i miei precedenti e, insistendo più per una collaborazione, ma che mi verrà
negata. Sempre nel 2002 tinteggerò la mia casa, collaborando e aiutando un’ imbianchino
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modesto. Nel 2003, ad aprile vendo la mia Alfa e compro una Opel Corsa 1000, auto che
ho tuttora. Il 2003 è un anno bruttissimo, per via del gran caldo: ho un lavoro, che mi sono
trovato per conto mio, come addetto alle pulizie, alla Sirz, stabilimento siderurgico di
Terradura, vicino a Maserà. Comincio verso maggio; devo alzarmi presto al mattino per
essere lì alle 6, e mia moglie mi accompagna puntuale con la sua auto, per via, poi che
dovrà recarsi pure lei al lavoro, caricando la bicicletta nel bagagliaio, che mi servirà per il
ritorno a casa sul tardi mattino. E invece, di ritornare a casa preferirò andare fino ad Abano
all’ufficio di collocamento per vedere qualche opportunità di lavoro in merito alla mia
professione, e, poi, andare in biblioteca, lì vicino, per leggere i giornali e le inserzioni di
lavoro. Il ritorno sarà sempre intorno alle tredici, prendendo il pane da un fornaio e
dirigendomi, sempre in bicicletta verso Maserà, sotto il sole e il grande caldo di quell’anno.
A settembre cesserà la collaborazione, di chè mi troverò di nuovo disoccupato. A
novembre, vedendo nessuna occasione di lavoro, e per essere occupato, mi iscriverò ad
un corso di disegnatore Cad Cam presso la scuola provinciale Bensik di Padova. In questi
anni io e mia moglie porteremo la secondogenita in varie discoteche di Padova perché si
diverta e noi frequenteremo spesso il Santuario della Madonna della Salute a Monteortone
per la nostra consuetudine della S. Messa pomeridiana, perché ci aiuti. Il 2004, si apre con
la scuola al Bensik, che frequento e che esco a marzo con una buona votazione e una
nuova qualifica che porterò come sempre all’ufficio del lavoro. Per tre mesi mi iscrivo ad
un corso di yoga per trovare un pò di serenità. A giugno trovo lavoro per conto mio,
sempre come addetto alle pulizie: vado spesso all’ufficio di collocamento, per un lavoro
professionale, ma senza nessuna opportunità. Comincio al Porto, nuova cinema di Padova
per le pulizie di fondo e spero di rimanerci perché dimostro buona volontà nell’usare delle
particolari macchine per la pulizia di fondo e, invece dopo un mese verrò licenziato con
altre due italiani e rimarranno solo gli stranieri. Sempre in quest’anno, di comune accordo
con mia moglie, valuteremo la possibilità di un cambio di casa, frequentando spesso le
agenzie e visitando parecchie abitazioni. Nel 2004 andremo spesso al mare nel periodo
estivo a Isola Verde, giornalmente, e ci divertiremo. Nel 2004 andremo pure a Milano io e
mia moglie e la secondogenita per un provino presso una agenzia di modelle per lo
spettacolo e la pubblicità. Sul finire del 2004 venderemo la casa e a febbraio del 2005 con
la garanzia dei sei mesi per trovare una nuova occupazione andremo in affitto in una casa
singola ad Albignasego. Nello stesso periodo frequento un altro corso come disegnatore
cad –cam, uscendo a febbraio con una buona votazione. Nel 2005 cambierò
definitivamente casa, sperando in una nuova vita, prendendo locazione a Bertipaglia di
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Maserà. Siamo nel luglio del 2005. Dovrò accontentarmi di una porzione di bifamigliare del
luogo, al grezzo con 1000 mq di giardino, perchè il mercato, allora, offriva solo questa
opportunità (il mio desiderio era di una unifamiliare tranquilla con un pezzetto di terra,
immersa nel verde in qualche zona lontano da Padova, ma non vi era questa possibilità).
E, inaspettatamente nasceranno una serie di problemi. Dal “palo alla frasca”, come si dice.
L’impresario che non mi finisce la casa nei tempi prestabiliti creandoci grossi problemi di
abitabilità con tutti gli artigiani interpellati per la finitura. Nel compenso mi occuperò
personalmente della sua finitura che proseguirà ininterrottamente fino al 2007 con alcuni
miei interventi personali. Poi, inaspettatamente dopo l’acquisto (prima dell’acquisto era
tutto perfetto), arriva la maleducazione dei vicini di casa, che, da subito mettono su un
pollaio con tanto di galli, a confine, e ci toglierà la pace e la tanto agognata tranquillità,
arrivando pure a dei dissapori verbali, sempre dei vicini. Vedendo la situazione non
certamente bella, metteremo in vendita la casa da subito, ma con l’altra porzione
invenduta, ci creerà problemi di vendita, causati pure dal pollaio a confine. Il 2005,
nonostante i vari problemi è un anno di buoni propositi e di speranza: c’è la casa che mi
occupa nella sistemazione, ho il mio daffare che mi impegna assai, c'è il grande orto con i
suoi prodotti, e sono contento di svolgere questo lavoro in un periodo di inoccupazione.
Continuo, comunque ad andare all’ufficio del lavoro per un lavoro, che fa fatica ad arrivare,
nonostante sia in possesso di varie qualifiche professionali. Sul finire del 2005, arriva da
parte dell’ufficio del lavoro, con la partecipazione pure dell’assessorato al lavoro una
segnalazione per un lavoro presso un supermercato Ali’ di Padova come banconiere nel
reparto frutta e verdura. Sono contento e, personalmente mi reco presso gli uffici centrali
per la domanda di assunzione che la svolgo e nello stesso momento la invio tramite fax
all’assessorato, come promessa sua, per un suo interessamento. Siamo a metà del mese
di dicembre e, nella speranza finalmente di un lavoro, passerò con la mia famiglia un bel
S. Natale: saremo tutti felici, con uno sguardo all’anno nuovo porti finalmente un lavoro a
me, e tranquillità a noi tutti della famiglia. Ma, nel mese di gennaio, questa speranza andrà
delusa: recandomi all’ufficio del lavoro e pure dall’assessorato, che mi aveva garantito il
suo interessamento, mi diranno che non hanno potuto fare nulla per la mia assunzione.
Resterò senza parole. Nel 2006 scriverò al nuovo Presidente della Repubblica per
rientrare nella scuola e il mio bisogno di lavoro, ma, i mesi passeranno e non riceverò
nessuna risposta. Sempre nel 2006, recandomi all’ufficio del lavoro (ci andavo quasi tutti i
giorni), ci sarà l’ interessamento da parte di loro di comporre una graduatoria di nominativi,
da sottoporre a selezione, per l’assunzione di nove persone a tempo determinato come
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collaboratore scolastico, segnalata dai servizi scolastici del comune di Padova. Verrò
avviato anch’io alla selezione, ma, dopo alcuni giorni riceverò una lettera, dai servizi
scolastici di Padova che mi escluderanno facendomi capire di aver superato l’età
massima, stabilita in 46 anni. Nel 2006, mia figlia la più vecchia ci lascerà e andrà a
convivere col suo fidanzato, resterò con mia moglie e la figlia più giovane. Il 2007 è un
anno brutto: ho una ventina di multe da pagare, quasi 1.000,00 euro, prese in una ZTL di
Largo Europa nel maggio del 2006, dove ci passavo normalmente, credendola chiusa, poi
risulterà essere in funzione, per recarmi alla Stanga all'ufficio del lavoro. Le pagherò quasi
tutte, nonostante mi fossi opposto e mi fossi rivolto al giudice di pace con delle buone
ragioni e cioè la mia buona fede, nell'affermare il non funzionamento del varco. Nel 2007
mi daranno finalmente un’opportunità di lavoro (credo segnalato dall’ufficio del lavoro), e
inizierò a lavorare in archivio presso il catasto di Padova per due mesi per il cambio di
utenza. Poi non ci sarà più nulla. Nel maggio del 2008 mi metto in politica candidandomi
come sindaco di Maserà di Padova con una mia lista indipendente fuori dall’attuale
politica. Aprirò un blog per farmi conoscere e indicare le mie idee politiche Mi serviranno
delle firme per convalidare la lista, ma non ricevendo abbastanza firme, mi ritirerò dalla
candidatura. Ricorro nel gennaio del 2010 alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla
diffamazione sul giornale del 1999, ma, il ricorso, in seguito, dopo molti mesi verrà
respinto per un decreto fatto in corso di presentazione. C’ è pure una causa della mamma,
su legge 210/90, ancora pendente per un suo risarcimento, che resta sempre ferma.
Riprendo il ricorso della mamma, ancora fermo a novembre del 2011, ma questa volta
viene perso, oramai definitivamente, per la mancanza di una firma sulla ricevuta di ritorno
che attesta la sua convalida, e questo per l’incuria, diciamo così, della posta locale. Mia
mamma resterà senza giustizia. E' di questi tempi che andrò spesso con mia moglie
all'ufficio di collocamento per parlare col direttore perché mi segnali un lavoro. Non ci sarà
l'interessamento! E intanto, finalmente a marzo del 2011 cominciano i lavori nell’altra
porzione di bifamigliare, che pensiamo io e mia moglie sia stata venduta. Per molti mesi
subiremo un forte disagio di rumori a causa dei lavori e la nuova coppia non si farà
conoscere, né si scuserà. Ad agosto inizierà i lavori per il nuovo garage per le auto.
Incaricherò una ditta di carpenteria per farmi la struttura e verrà a montarcela. Io mi
occuperò della tinteggiatura e per la copertura e mia moglie mi aiuterà. Poi inizierò un
lavoro nella casa che mi occuperà da ottobre a dicembre del 2011. Trasformerò il garage
della bifamigliare in una camera da letto per me e per mia moglie, avevamo intenzione di
trasferirci giù al piano terra per essere più comodi. La isolerò con panelli isolanti e la
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tinteggerò. A novembre i nuovi vicini dell’altra porzione di bifamigliare daranno il colore alla
loro porzione, colorandola di rosso, in netto contrasto con la mia che è rimasta col colore
delle malte e cioè bianca. Mi arrabbierò moltissimo, perché non sarò informato di questo.
Secondo il mio punto di vista dovevano informarci della loro decisione e insieme scegliere
il colore per l’intera bifamigliare, un colore più consono, ma diverso dal rosso. E invece
non fu così questo per dire che il mondo era ostile e ognuno faceva quello che più le
pareva. Ero diventato scontroso con me stesso e con la famiglia, non sopportavo quella
prepotenza dei vicini senza che ci avessero interpellato. Non sopportavo il rosso, odiavo
tutto quello che era rosso, mi ricordavano la prepotenza della scuola di allora di come
aveva fatto con semplicità licenziandomi e rovinandomi la vita per sempre. Mi ricordava la
prepotenza del preside che era di sinistra, la scuola che era di sinistra e il periodo in cui
sono stato licenziato, il 15 marzo del 1999 con un governo di sinistra e la sinistra era il
indubbiamente il rosso. Imputavo alla sinistra la mia rovina lavorativa e la fine della mia
vita. Innalzerò delle croci bianche costruite da me in direzione dei vicini accusandoli di
essere amici di satana e nemici della nostra pace famigliare. Appenderò lenzuola celesti al
cancello. Scriverò frasi deliranti sui muri della lavanderia, del garage del cancello contro la
sinistra e la destra con i suoi leader. Scriverò sulla mia macchina "diritti" e "giustizia per
Maurizio Bianco". Costruirò una tomba nel giardino dove essere sepolto. Non sopporterò
le persone vestite di un colore rosso o nero. Non sapevo quello che facevo, mia moglie mi
lasciava fare, ma sicuramente ne era contrariata. Ero contro quei vicini e li consideravo dei
nemici. Durante la notte inveivo contro di loro ad alta voce. Sicuramente mi stavo
ammalando e il mio sistema nervoso era andato in tilt. Ero in crisi pure con mia moglie che
mi vedeva come uno sconosciuto. Mia moglie poteva perdonarmi, in quel frangente, era la
prima volta che mi comportavo così, ero certamente depresso e dovevo essere aiutato,
ma evidentemente non mi amava più! Una mattina facendo colazione vedrò mia figlia con
un pigiama-tuta con i risvolti della bandiera italiana, vedrò il colore rosso e mi arrabbierò
moltissimo accusandola di essere contro di me e a favore dei vicini. Mia moglie interverrà
dicendomi che si sarebbe allontanata da me per sempre. Il 22 aprile del 2012 mia moglie
abbandonerà il letto coniugale, andando a dormire nelle stanze al piano superiore; pure
mia figlia farà seguito. Con mia figlia ci sarà un po’ di dialogo, ma con mia moglie sarà
rottura definitiva. Tutto il mese di maggio rimarrò solo, sia nel mangiare, che nel dormire.
Le provviste ci saranno ancora e mi adatterò con esse. A fine maggio seguirà una piccola
apertura con mia moglie, per poi proseguire fino a giugno: parleremo assieme e
pranzeremo assieme e faremo pure all’amore. Sarà tutto bello, un sogno, credo, ma sarà
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Maurizio
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tutto di breve durata. A fine giugno di nuovo la rottura per una sciocchezza e, cioè che
avevo intenzione di appendere al muro una lastra di cemento fatta da me con la frase
“Casa di Dio e di Gesù”, si arrabbierà moltissimo e sarà definitiva rottura. Il 26 giugno,
giorno del mio compleanno dei miei 56 anni lo passerò in solitudine, con una visita in
cimitero da mia mamma e una visita a Venezia. Luglio sarà un brutto mese carico di
tensione, non da parte mia, ma di mia moglie e mia figlia che alzano la voce, mi offendono
pure e mi minacciano addirittura di volermi mandare via di casa. Mia moglie mi minaccia
pure col coltello procurandomi delle ematosi sul petto col manico del coltello. Non
reagisco. Avrei avuto modo di denunciare mia moglie, ma non lo farò. Dormo da solo al
piano terra e mangio pure da solo. Le provviste sono costretto mio malgrado a provvedere
personalmente, perché oramai non fanno più la spesa per la famiglia, ma per loro. Quindi
sono costretto a passare per il supermercato per provvedere coi soldi dei risparmi che ho.
Agosto del 2012 sarà un mese bruttissimo, perché mia moglie e mia figlia, mi lasceranno
solo per due settimane durante il periodo del ferragosto, e ancor più brutto perché mi
arriverà all’ 8 di agosto l’ avviso di una separazione di mia moglie da me. Sarà una doccia
fredda a cui cercherò di superare con grande sforzo di animo, ma sarà ancor più difficile
dall’incredulità, in quanto mia moglie chiede la separazione per motivi economici, in
quanto io non faccio nulla per cercare un lavoro. Assurdo! Ma come, mi chiedo, ma se ho
fatto di tutto per trovare un lavoro in tutti questi anni con qualifiche e super qualifiche, ma
non me lo hanno mai permesso, oppure non mi è stato mai offerto un lavoro! Per smaltire
la sofferenza e il rischio di un suicidio mi recherò ad Asiago al monte della croce bianca, li
pregherò e resterò in silenzio perché Dio mi aiuti. Cercherò il colloquio con mia moglie nei
mesi successivi per poter capire e trovare una spiegazione a tutto questo, ma mia moglie
resterà rigida ed irremovibile e alquanto nervosa e non ci sarà dialogo; era cambiata non
era più la donna che mi amava. Pure con mia figlia non ci sarà dialogo, ma solo una
piccola apertura ad inizio agosto, per poi ritornare alla tensione di sempre. Settembre e
ottobre passeranno sempre in tensione continua e con nessun dialogo con mia moglie e
mia figlia. Mi gireranno completamente le spalle e non capendo il perché, che fino a poco
tempo fa si parlava e ci si amava. Pretenderò da mia moglie che si rimanga, comunque,
amici per il bene delle figlie, ma non ci sarà approvazione. A novembre rimarrò solo, in
quanto se ne andranno pure di casa, con l’avviso di una lettera da parte del loro avvocato;
si porteranno via tutto, lasciandomi solo le cose essenziali per vivere. Mia moglie mi
lascerà dopo 38 anni di vita assieme. Dal 1 novembre pochissime sono state le volte che
le ho viste; le ho viste di sfuggita prima di Natale, poi basta; non so dove siano e dove
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Maurizio
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alloggiano. Prima di Natale mi è arrivato una comunicazione dall’avvocato che
intenderanno chiudere tutti i servizi, comprensivi di luce, acqua e gas. Io attualmente non
ho reddito e non ho lavoro. Ho chiesto un lavoro al sindaco del mio paese, portandogli il
mio curriculum, prima di Natale, ma non c’è stata risposta. Pure il parroco ho interessato
della mia situazione; mi aveva promesso che mi aiutava, di non essere solo, ed invece
non ho ricevuto nessun aiuto. Ho passato il S. Natale da solo, come il primo dell’anno e
non ho visto nessuno dei miei cari. L’unica persona con cui ho un piccolo dialogo e la figlia
più vecchia, per telefono, ma sempre in modo distaccato di poche parole. Un giorno mi
sono recato da mia figlia la mia primogenita per vedere le mie nipotine, ebbene mia moglie
c’era, ma non ha voluto vedermi. Questa situazione della separazione è illegale, perché
doveva essere un giudice che intimava che chi rimaneva nella propria dimora, è cioè la
persona più debole, nel caso mio, avrei avuto tutte le garanzie necessarie per vivere. E
invece non è così, sono abbandonato da tutti e sono solo. Ho preso di nuovo
appuntamento col sindaco del paese, è una brava persona ma è andato su certi particolari
che non mi sono piaciuti, ed in più non c’era riservatezza nel nostro colloquio. Per il lavoro
mi ha scaricato ai servizi sociali. Il 26 gennaio, giorno del compleanno di mia moglie le ho
recapitato un mazzo di rose rosse da mia figlia Deborah. La sera ho fatto altrettanto, io
personalmente, con una lettera. Non so se l’abbiano ricevute. Si fanno brutte affermazioni
sul conto di mia moglie, ma forse per demoralizzarmi e ferirmi, ma io ho pienamente
fiducia di mia moglie. Mia moglie è una santa donna perché mi è stata sempre vicina. Io
amo ancora mia moglie. Pure su di me corrono brutte voci, sono solo ipotesi di una
vecchia diffamazione sul giornale, ma io sono a posto, non ho fatto del male a nessuno e
non sono quello che mi dipingono, ho solo esposto delle mie idee. Credo che si abbia
voluto arrivare a questo per colpirmi in maniera più facile ora che sono solo. Spero di
sbagliarmi, ma non la vedo bella questa situazione. Sono solo e mi sento isolato, non ho
molti affetti, nemmeno amicizia. La mia famiglia non c’è più, ho solo la Deborah e le
nipotine, ma solo per pochissimo tempo ed ogni modo solo freddezza e discussioni un po’
accese sempre sulle solite cose oramai vecchie che fanno solo stare male. Vivo coi
risparmi di mia madre che avevo. Un giorno si è presentata mia moglie a casa per
chiedere dei soldi e l’oro suo. Si è comportata in modo aggressivo e violento come
sempre, offendendomi. Io ho lasciato dire e per non creare tensioni le ho dato 3.000,00
euro e una parte di oro. Sono stato male, dopo, che se ne era andata. Ho mandato un
messaggio alla Deborah per dare dei soldi pure a lei e alle mia nipotine. Mi ha risposto
freddamente che non le interessava. Mi sono recato alla domenica al Santuario di Padre
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Leopoldo, era tanto che non ci andavo, una bella S. Messa, una bella Omelia, ma non mi
è piaciuto alcuni discorsi del frate giovane. Sono andato da una psicologa a pagamento,
rideva dei miei problemi e mi ha fatto più male che bene. Ieri sono andato da un psicologo
dell’ULSS, una bella persona distinta, che invece di sostenermi sulla mia sofferenza mi ha
indicato che è meglio che mi munisca di un avvocato, quasi a presagire che il 14 febbraio
2013 mi è arrivato da tribunale di Padova, la separazione di mia moglie a cui devo
comparire. Sulla cassetta arrivano solo di queste lettere, non di lavoro o di qualche cosa
d’altro. In questi giorni ho avuto pure un ultimatum da parte di un operaio dell’acquedotto
che intendeva chiudere, perché mia moglie ha chiuso il contratto a suo nome. Di chè mi
sono recato negli uffici per il cambio di utenza. Ho l’impressione di vedere molte coppie
felici, che si baciano, intorno alla mia età, pure tra un papà e una figlia e questo mi ferisce
ancor di più. Eppure coppie che ci assomigliano. Pure il parroco non è certo a favore mio,
ieri sera, 20 febbraio mi sono recato all’appuntamento, come previsto, da lui, ebbene è
andato su particolari, che non mi sono piaciuti, come nel dire che mia moglie non tornerà
più, invece di darmi speranza, e poi, nel dire alla perpetua di preparargli da mangiare,
sapendo che sono solo. Voglio dire questo, ma se la cosa interessava dal punto di vista di
unire la famiglia, perché in tutti questi mesi non ci è venuto a trovare e si è dato daffare
per parlare con mia moglie? C’erano molti modi per arrivare a lei, attraverso parenti per
esempio. Ha detto che non aveva il suo numero di cellulare, se potevo darglielo per
mettersi in contatto con lei e fissare un incontro. Ma questo, non ritenni che fosse fatto, ho
riflettuto molto e non voglio darglielo per un rispetto verso mia moglie, che credo abbia
moltissimi problemi. Ho mandato io un messaggio a mia moglie e ho fissato
l’appuntamento dal parroco in canonica per l’8 di marzo festa della donna.
All’appuntamento mia moglie non è venuta. Pure col parroco del Santuario di Monteortone
le avevo accennato un incontro per poter parlare di mia moglie. Una volta le chiesi di poter
parlare e lui, freddamente mi disse che mi facessi vedere in seguito. Non lo vidi più e
quindi andai in canonica per diverse volte, dopo la S. Messa, ma non mi aprì mai la porta.
E’ tanto oramai che non vedo mia moglie e la Deborah pure. Non è una situazione bella,
perché di salute non stò bene. Non ho nessun psicologo che mi segua per via della
separazione e sono abbastanza giù. Pensavo nell’ultimo psicologo dell’ ULSS, ma mi ha
lasciato. Avrei bisogno che qualcuno mi facesse pure da mangiare a mezzogiorno,
semmai, ho chiesto aiuto presso una conoscente, che sono dei parenti di mia moglie, ma
è caduto nel vuoto, perché mi ha riferito di non trovare nessuna persona disposta a venire
nelle ore di pranzo. Ieri sera ho portato sempre da questa conoscente, che è la moglie di
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un meccanico, parente di mia moglie, la mia Opel corsa per una riparazione. C’era
dell’acqua che entrava nel motore, forse una guarnizione e il cambio della cinghia
dell’alternatore e la catena di distribuzione. Una bella cifra, 1.000,00 euro ma credo più
che onesta, conoscendoli. Nella separazione voluta da mia moglie, si è menzionato della
mia figlia Valentina e ai suoi problemi di salute (causati da me si fa seguito nel ricorso):
che non è vero! Mia figlia Valentina è sempre stata una brava ragazza e curava il suo
aspetto esteriore per non essere in sovrappeso. Poi, che sarebbero andate via, mia moglie
e mia figlia, per causa mia e che sono costrette a pagare un affitto. Ho risposto che io non
le ho mai mandate via, anzi volevo che restassero, mi avrebbero fatto compagnia. Che la
famiglia si è sgretolata per colpa mia: non è vero, sono stati degli eventi esterni che hanno
minato la stabilità della famiglia e questi li conosciamo: la mia mancanza di lavoro, di
solidarietà alle mie innumerevoli ingiustizie di questi anni. Che non ho accettato la
separazione consensuale: invece era stata accettata, perché io e mia moglie di comune
accordo avevamo messo in vendita la casa presso una agenzia del luogo, dove ci
impegnavamo con una firma a dividere ciò che era giusto. Credo che dovrò lasciare la
casa a mia moglie per via dei molti addebiti che mi incolpa. Non credo di trovarmi un
avvocato. Avrei diritto, forse al libero patrocinio, per mancanza di reddito, ma non intendo
usufruirne, ho la casa di proprietà e non voglio rogne dallo stato. Dovrei recarmi in
tribunale a Padova e io non me la sento di andarci: sanno tutti i miei trascorsi con il lavoro,
della scuola. Quindi non ci andrò, vedremo, cosa farò fino ad aprile nel presentare una
memoria di risposta e difesa; forse la farò io o interpellerò qualche avvocato in privato a
mie spese, ma sarà tempo inutile, perché pure questo avvocato non sarà dalla mia parte,
come tutti gli avvocati che interpellavo a suo tempo per il lavoro e per il mobbing nella
scuola. Quindi non saprò ancora cosa farò. Ad ogni modo ho voluto rispondere
all’avvocato di mia moglie, con un fax e una raccomandata, ciò che era giusto, sentendomi
ferito, e cioè che la nostra intenzione comune di separazione, c’era, e che tutte le accuse
che si fanno su di me sono tutte false. Perché arrivare a questo a gettare ancor più fango
su di me dopo il dispiacere della separazione e della lontananza. Una grande cattiveria, il
tutto per farmi del male ancor di più, e farmi perdere tempo in cose e problemi che non
riesco a gestire essendo solo. Mi sembra di essere tornato ai tempi della scuola quando
mi vessavano con lettere, minacce ed intimidazioni e atti falsi. Difendermi equivale a fare
resistenza contro qualcosa di troppo grande, come sempre, e quindi ancor di più stress,
nel cercarmi un avvocato e gestire la situazione, come con la scuola. Non so se vale la
pena fare tutto questo: Io non sono venale nel pretendere, chissà cosa; vorrei il giusto
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questo si, ma se le cose stanno così, che decidono loro, pure a favore di mia moglie, a me
mi va più che bene! A me mi basta poco, se avrò ancora vita e questo si vorrà: dei soldi
per poter vivere e un appartamentino, per il resto dei miei giorni. Ma mi devo difendere! Mi
arrendo all’inevitabile: il mio sogno era quello di ritornare alla vita famigliare di sempre con
mia moglie, la mia cara moglie che amo ancora e mia figlia Valentina che amo pure lei: ma
se questo è impossibile, facciano loro! Non sono più giovane come allora! Come pure con
il discorso della mia depressione che si è acuita ultimamente con la separazione, prima
c’era come sempre per problemi legati al lavoro, ora è più complessa, perché soffro di
vertigini. Secondo loro dovrei andare da uno specialista a farmi seguire, e che mi ordini dei
farmaci. Ma chi è che ha tutto questo tempo? Io non ne ho. E chi mi segue, essendo solo.
Avrei avuto bisogno di un sostegno psicologico, questo sì, ma non me lo danno. Con
l’ultima persona di un ULSS diverso da quello di appartenenza, perché quello di
appartenenza di Albignasego segue mia moglie, così mi ha riferito, è stata una persona
ben disposta nell’aiutarmi, come inizio, mi sembrava. Ho raccontato per ben tre ore di fila
tutta la mia vita e tutti gli ultimi particolari dalla scuola, alla mia mancanza di lavoro, ora a
questa separazione che non riesco a mandare giù (come fa una moglie lasciarti, se sei
mesi prima avevamo progettato una camera da letto al piano terra e che io con i suoi soldi
mi ero impegnato nel finirla, e poi la spesa non del tutto particolare per la costruzione di un
garage per le nostre auto, dove ci siamo impegnati assieme, lavorando per la sua
realizzazione, due delle tante supposizioni); questo psicologo per dirmi, invece, che devo
trovarmi un avvocato per difendere i miei diritti e che, poi trovato di interpellarlo; poi di
andare da uno specialista che mi ordini dei farmaci; quindi non quello che io desideravo, e
cioè il proseguire con una terapia di sostegno psicologica per capire molte cose sulla
rottura della famiglia, i particolari, le situazioni del perché essere giunti a questo. Capire se
la pressione che influiva su di me da fatti ed eventi esterni potesse influire sulla tranquillità
della famiglia. Questo sarebbe giusto che io potessi capire. Le telefonerò di nuovo a
questo psicologo, perché non può avermi sentito per tre ore, aver raccontato la mia vita e
ora abbandonarmi. Questo è scorretto per un principio di etica professionale, lui deve
seguirmi ancora. Se vado da un altro dovrò raccontare di nuovo la mia vita e questo, mi
pare, ferirsi ancor di più! Se sono oppresso, perché oramai vogliono che sia così, andare
da uno specialista vuol dire screditarmi ancor di più di come sono oramai, senza più
famiglia, senza più affetti e senza più lavoro. Aver colorato di rosso l’altra porzione di
bifamigliare vuol dire avermi messo in berlina. E perché questo? Perché ho criticato
vecchie ideologie totalitarie di sinistra, ma sempre di attualità che mi hanno lasciato a casa
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nel 1999 dal mondo della scuola. Era la verità! La scuola era di sinistra. Il governo che
governava in quel tempo era di sinistra. Perché tutto questo? Che colpa ho io? Una
punizione alle mie critiche? O perchè non ero schierato? Meglio una vendetta, come allora
nella scuola quando criticai il comportamento del preside di sinistra che impersonava la
scuola; quando me ne restai a casa per un anno in malattia per sottrarmi alle sue
angherie, e parlo del 1997. L’ostilità c’è senza dubbio, il colore rosso per esempio nella
casa; non è che sia contro il colore, ma sono contro il comportamento prepotente di questi
vicini. Ci fosse una spiegazione in tutto questo, ma il tutto ne è una comprova che ha
portato alla divisione della mia famiglia. Mia moglie se ne andata per questo motivo. Non
si sentiva libera, quindi il nostro menage famigliare di intimità e di amore era alla fine. Il
psicologo mi riferirà di non ricevermi più! Rinuncerò al libero patrocinio e mi troverò un
avvocato, pagandolo di propria tasca alcune centinaia di euro, per difendermi dagli
addebiti di mia moglie che forse pretende la casa di proprietà. Il 2013 è un anno di
solitudine di alti e bassi: passerò il mio tempo in viaggi con l’auto in varie città del veneto.
A maggio del 2013 ci sarà la prima udienza di separazione e preferirò non andarci. Ci sarà
mia moglie che al giudice rincaserà la dose di calunnie sul mio conto. Verso settembre la
mia depressione si farà sentire più forte del solito, accuserò vertigini e malessere
generale, quel male che avevo già manifestato nel lontano 1988 e che poi guarì. Decisi di
recarmi dal medico di famiglia, il quale mi consiglierà una visita psichiatrica presso il
centro di salute mentale di via Buzzacarini al Bassanello. Sarò contrariato e andrò alla
visita; spiegherò al medico la mia storia e tutto quello che mi era successo ultimamente,
dalla perdita del lavoro, alla separazione con mia moglie, la mia contrarietà coi vicini per
via del colore rosso, racconterò tutti i miei trascorsi di vita e dirò di stare male; alla fine il
medico mi consiglierà di prendere delle pastiglie alla mattina. Mi darà un altro
appuntamento e mi prescriverà i farmaci. Non sarò d’accordo nel prendere i farmaci e non
lo farò. Non andrò nemmeno all’appuntamento col medico. Mi asterrò completamente da
prendere tale iniziativa per due mesi circa. Non vedendomi per la visita per ben due volte,
il medico del centro psichiatrico attiverà un TSO. Il medico responsabile verrà a casa mia
col sindaco e due vigili e mi inviterà a seguirlo in ospedale. Non opporrò resistenza e verrò
portato all’ospedale; qui verrò ricoverato al reparto di psichiatria per una settimana. Mi
verrà somministrato i farmaci, mi verranno fatti degli accertamenti sanitari, mi verrà fatta
una tac del sistema nervoso; ma alla fine risulterò essere a posto. In ospedale non avrò
nessuno che mi venga a trovare, mia figlia più vecchia non verrà. Mando un Sms alla mia
figlia più vecchia perché mi venga a prendere, questa riterrà opportuno non accogliere tale
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invito. Ritornerò a casa in taxi da solo dall’ospedale con la cura da prendere, mi saranno
prescritti dei farmaci a cui dovrò attenermi, pena ritornare in ospedale. Dovrò regolarmente
andare agli appuntamenti col medico una volta al mese. Il S. Natale del 2013 lo passerò
da solo. I mesi passano e vivo coi risparmi che mi ha lasciato mia madre. Pago le bollette
regolarmente, faccio la spesa e vivo la mia vita in solitudine. Ho due gatte che mi fanno
compagnia, alla sera mi guardano mentre stò mangiando e alla notte dormono ai piedi del
letto. Non ho la tv, mia moglie se le portata via e io preferisco non comprarla. Mi muovo
poco, sono spesso a casa, il mio medico mi dice di sforzarmi di uscire, di fare una
passeggiata all’aria aperta o di muovermi in bicicletta; io invece preferisco muovermi in
auto e rimanere in casa. Medito spesso il suicidio, vorrei farla finita, ma non riesco a
prendere tale decisione. Mi dò alla fede, vado a messa alla domenica da padre Leopoldo a
S. Croce, e alla sera prego moltissimo. Vado spesso trovare la figlia più vecchia di venerdì
sempre verso le 18,30, ma questa non riterrà opportuno aprirmi. A Natale del 2013 mi
recherò da mia figlia per portare dei regali alle nipotine, qui troverò suo marito e mi dirà
che ha cambiato numero di cellulare e non intende darmelo. I primi tre mesi del 2014 sono
da incubo. Alla sera non prendendo sonno, sono preso dal panico e grido ad alta voce i
nomi di mia moglie e delle mie figlie che mi vengano a trovare. A giugno del 2014 vedendo
i miei disturbi continuare mi sarà dato la possibilità di fare un day-hospital per due mesi in
ospedale nel reparto di psichiatria, così per essere seguito dai medici, avere compagnia e
con la possibilità di muovermi. Durante il day-hospital verrò ricoverato un’altra volta; farò
10 giorni di degenza in ospedale durante il periodo del ferragosto. Ritornerò a casa con la
cura da prendere e passerò il mio tempo a casa. Il S. Natale del 2014 lo passerò in
solitaria come sempre. E, siamo ad agosto del 2015, qui durante il ferragosto nella mia
solitudine quotidiana sarò preso dal panico, i miei disturbi si accentueranno e starò male.
Chiamerò la croce verde e verrò di nuovo ricoverato in ospedale. Passerò dal pronto
soccorso, mi faranno degli accertamenti clinici e alla fine mi ricovereranno al reparto di
psichiatria. Passerò di nuovo il ferragosto in ospedale. Non avrò nessuno che mi venga a
trovare, e dopo 15 giorni ritornerò a casa con la cura da prendere, solo che questa volta
per le pastiglie mattutine dovrò recarmi ogni mattina al centro di salute mentale, perché
non si fidano che le prenda. E così ogni mattina mi recherò al centro per prendere le
pastiglie e farmi pure una iniezione, una volta ogni mese. Ad agosto farò visita a mia figlia
vecchia, la troverò indaffarata col marito a sistemare il giardino. Mi vedrà e mi aprirà il
cancello e finalmente dopo quattro anni che non ci vedevamo ci incontreremo e ci
abbracceremo. Li racconterò tutti i miei trascorsi e lei farà altrettanto. Finalmente faremo
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pace. Il S. Natale del 2015 lo passerò da solo. La casa, la bifamigliare è in vendita da
parecchio tempo, una agenzia del luogo l’ha a disposizione. Voglio andarmene da quella
casa, è stata la mia tomba per tre anni, ho troppi ricordi; è grande ed è difficile da pulire.
Sempre per ordine del centro di salute mentale mi verrà assegnato un amministratore di
sostegno dal tribunale di Padova che dovrà seguirmi nelle pratiche. Finalmente a marzo
del 2016 c’è un acquirente interessato a comprare la casa. L’agenzia mi dice che è
interessato. Si avvieranno le procedure, il cliente verrà spesso in visita nella casa per
organizzare la vendita. Intanto mi dò da fare per la ricerca di una nuova casa, e la trovo ad
Albignasego. Il 4 luglio del 2016 farò il trasloco nella nuova casa. Sempre nello giorno, di
pomeriggio ci sarà il rogito dal notaio, sarò presente io, l’amministratore di sostegno, la
mia ex moglie e gli acquirenti. Mi pagheranno con un assegno circolare, il prezzo
concordato della casa. Di fronte al notaio la somma verrà divisa, una parte da dare a mia
moglie e l’altra metà a me. La metà dei soldi spettanti a me prenderà possesso il mio
avvocato, l’amministratore di sostegno che li depositerà in banca aprendomi un conto
corrente a nome mio. Con il mobilio nella nuova casa e le utenze da aprire, per un periodo
di un mese alloggerò in un albergo della Guizza pagando 50 euro al giorno. Verso la fine
di agosto prenderò possesso della nuova abitazione. Ho un contratto di affitto di un anno e
mezzo; è una bella casa, una trifamigliare al piano terra con un giardino, con due camere,
un gran soggiorno con angolo cucina e il bagno. Pago 650 euro di affitto al mese. Sono
comodo ad Albignasego e alla città, cosichè i miei spostamenti li faccio più in bicicletta che
in auto. La mia salute sembra risentirne, sembra darmi un attimo di tregua, stò un po' più
meglio del solito, mi muovo di più, giro in bicicletta, mi dò da fare per una ricerca di un
lavoro, frequento un gruppo di persone presso il centro. Frequento la biblioteca di
Albignasego che mi da la possibilità di andare in internet e spedire qualche curriculum. A
novembre farò le pratiche per la revisione della patente di guida. A dicembre sarò in
commissione medica e tutto andrà bene, mi daranno la patente per un altro anno. Devo
convincermi che la revisione della patente è normale, prendo una pastiglia alla mattina,
sono seguito dal centro e sono un invalido civile. A Natale del 2016 come mia
consuetudine lo passerò in solitaria. A gennaio del 2017 faccio domanda di riammissione
in servizio nella scuola ai sensi dell’art. 516 del D.L.vo 16/4/94 n. 297 e dell’art. 132 del
D.p.r. 10/1/57, n. 3 da presentare entro il 15 di gennaio; farà seguito la risposta negativa,
di rigetto, da parte del provveditore. Il 2017 lo passo tranquillo nell’ambito della salute, sto
bene, mi muovo in bicicletta, uso pochissimo l’auto; il 2017 non ha particolari ricordi per
essere ricordato. Solo uno e, cioè che ho dovuto dare a mia moglie, d'accordo col mio
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avvocato 10.000,00 euro, (mia moglie ne voleva 30.000,00) quale risarcimento per le
spese di affitto che ha dovuto sostenere, quando è andata via. Darò inoltre 3.000,00 euro
per la parcella all'avvocato. A novembre farò di nuovo le pratiche per la revisione della
patente e a dicembre sarò chiamato in commissione e mi daranno la patente per un’ altro
anno. Per molte volte intervengo presso il centro per parlare con l'assistente sociale per
via che mi trovi un lavoro, ma non ci sarà seguito per via che il momento è delicato e non
c'è lavoro. Mi verrà dato l'opportunità di un lavoro alla mattina per tre volte alla settimana
in una cooperativa, prendendo 60 euro al mese. Sono più i soldi per la benzina che il
guadagno. Il S. Natale del 2017 lo passo da solo, faccio i regali alle nipotine; ma l’ultimo
dell’anno lo passerò da mia figlia Deborah. Sono contento di questa iniziativa da parte di
mia figlia, vuol dire che mi vuole bene ed è già qualcosa. A marzo del 2018 sarò alla
ricerca di una nuova casa, il contratto d’affitto scade a aprile e devo premunirmi per
tempo. Troverò tramite internet una casa sempre ad Albignasego: è una cucina, un bagno
e una camera con due terrazzini e un garage. Per me va bene e il prezzo è di 500 euro al
mese, un po' meno dell’altra. Trasloco il 10 maggio e prendo possesso della nuova casa.
Devo abituarmi a stare in appartamento, non ci sono mai stato, ho trascorso la mia vita in
case indipendenti e per me questa è una novità. Ad oggi, mentre sto scrivendo, sto
sopportando la maleducazione di quelli che mi abitano sopra: colpi sul pavimento,
spostamento di divani e di sedie; battimento di un tappeto sul poggiolo. Non c'è rispetto
per le persone altrui! La mia quotidianità è normale, mi sposto ancora con la bicicletta,
faccio la spesa in bicicletta, uso poco la macchina; mi reco tutte le mattine presso il centro
per la pastiglia, sono alla ricerca di un lavoro, frequento il cpi; ho 62 anni e dovrò lavorare
fino a 67 anni, altri cinque anni, quando andrò in pensione con la pensione di vecchiaia.
Se avessi continuato a lavorare nella scuola sarei andato in pensione adesso con 38 anni
di contributi. Alla domenica faccio le pulizie, una lavatrice, faccio il bagno e vado a Messa
dai padri cappuccini di S. Leopoldo. Il mio amministratore mi paga l’affitto, mi paga le
bollette e mi da 600 euro al mese per il vivere e, il tutto con i soldi che ho, finché ce ne
sono, poi non so cosa farò! Se non li avessi avuti, avrei fatto il barbone. Per fortuna che
sono arrivato a 62 anni, ringrazio il buon Dio di quello che mi ha dato, nonostante tutto mi
ha fatto vivere e dato forza. Ho da poco finito, qui a settembre del 2018 un corso di
disegno Cad 3D di 60 ore con l’ausilio dell’assegno per il lavoro che avevo diritto, essendo
disoccupato. Quando posso, vado in internet, guardo le offerte del lavoro del cpi e mi
iscrivo, ma non ho buoni risultati e credo per via dell’età. E' di questi giorno la visita col
medico curante del centro di igiene mentale per metterlo al corrente di interrompere la
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terapia della pastiglia mattiniera e della fiala ogni mese, di essere in grado di stare bene e
quindi di essere lasciato libero: farà seguito il suo consiglio di continuare con la cura.
Secondo il mio parere non vogliono lasciarmi andare via, per poter lavorare, se no, cosa
farebbero? A novembre avrò l’ ennesima revisione della patente e ancora soldi e tempo da
spendere. A mia figlia ho detto che non siamo immortali, e prima o dopo arriva sempre
l'ora: se mi dovesse succedere qualcosa, voglio un funerale semplice con il volo di una
colomba, essere cremato, le ceneri sparse sul mare, nessun loculo al camposanto per
ricordarmi; voglio essere dimenticato! La scuola (stato) mi ha proprio rovinato la vita e il
matrimonio per mancanza di lavoro! Non meritavo tutto questo, non ho mai fatto del male
a nessuno. Credo che la politica, questa brutta bestia, che io non ne facevo parte, voluta
dal preside bossing del Gramsci, abbia influenzato il lavoro nella scuola e sia uscita nella
società investendo la mia vita affettiva della mia famiglia e la mia personalità fino a
distruggerla. E, poi l'avvento del computer nel 1990 ha condizionato la mia carriera di
disegnatore al tavolo, cambiandola e costringendomi a trovare un'altra occupazione non
consona alle mie aspettative. Se avessi sempre lavorato come disegnatore al tavolo non
avrei conosciuto la disoccupazione, perché di lavoro come disegnatore avrei sempre
trovato. E, qui vorrei lanciare un messaggio e, se cioè, ci sia qualche anima buona che mi
segnali un lavoro, (potete scaricare il mio curriculum vitae), ho bisogno di lavorare non
solo fino a 67 anni come la legge Fornero prevede (discutibile, una volta si andava in
pensione a 60 anni), ma per stare bene di salute, un uomo ha bisogno di lavorare!; se
andassi in pensione adesso, il prossimo anno prenderei 1.300,00 euro al mese con 38
anni di contributi, se avessi continuato a lavorare nella scuola, ma siccome ne ho 18 di
contributi andrò a 67 anni. Sulla fede ho i miei dubbi, a volte sono fedele, a volte ho una
certa perplessità di come Dio permetta che un suo figlio abbia un mondo ostile senza
amore. Un frate mi ha detto che senza amore un uomo è come un fiore, appassisce. Sono
sei anni che sono senza amore da parte di una donna, forse dovrei cercarla. E’ di questi
giorni e, cioè da quando hanno compiuto gli anni le mie figlie, il 21 e il 27 di settembre, a
cui ho regalato una pianta, di programmare l’opportunità di un incontro con la figlia più
giovane che sono tre anni che non la vedo. Lei, ha riferito che sarebbe d’accordo per
l’incontro, di mattina. Sono contento che ciò avvenga, vedremo il da farsi nei prossimi
giorni. Ero rimasto d'accordo con la figlia più vecchia che mi fosse dato l'indirizzo della
figlia più giovane a cui recapitare la pianta, lei non ha ritenuto darmelo. Quindi non so
dove sia mia moglie e mia figlia. In questi giorni ho partecipato ad una selezione indetta
dal comune di Albignasego che cercavano 15 lavoratori disoccupati per lavori socialmente
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utili nel settore ausiliario (11) e amministrativo (4). Ho scelto l'amministrativo e sono
arrivato settimo nella graduatoria, quindi niente lavoro. L' 8 novembre presso il tribunale di
Padova, col mio avvocato ho sottoscritto il verbale di divorzio; non volevo firmare perchè
non volevo concedere il divorzio a mia moglie perchè si sposasse dopo tutto il male che mi
ha fatto. Il giudice mi ha riferito che se non avessi firmato, avrebbe concesso il divorzio a
mia moglie lo stesso, quindi ho firmato e, ora è finita e non ho più lacrime da versare.
Voglio lasciare tutto alle spalle, i brutti ricordi le sofferenze e ricominciare, senza rimpianti
e lacrime. Ho la coscienza a posto, ho fatto il mio dovere di marito e di padre di famiglia e,
credo di aver dato molto! Sono tranquillo, non ho usato violenza contro mia moglie! Prima
di Natale ho riavuto la patente per un altro anno, ma con alcune restrizioni. Il S. Natale l'ho
passato nella comunità di S. Egidio e l'ultimo dell'anno da solo. Il 3 gennaio mi sono recato
al Gramsci, la scuola dove ho subito il mobbing nel 1994 e con sorpresa sono venuto a
sapere da un bidello che il servizio fotocopie è stato spostato al piano terra, non più nel
laboratorio di Fisica!
Disoccupato cronico
Negato il lavoro
La disoccupazione di stato stazionario di una economia dipende dal tasso di separazione
dal lavoro e dal tasso di ottenimento di occupazione. Il processo di ricerca del lavoro e la
rigidità salariale sono due delle cause per cui il processo di reperimento del lavoro non è
istantaneo. Se la disoccupazione è di lunga durata è da classificarsi come disoccupazione
strutturale, io direi cronica. Se ci si pone l'obiettivo di abbassare il tasso naturale di
disoccupazione, la politica economica deve tendere a focalizzarsi sulla disoccupazione a
lungo termine, ossia quella a cui si riferisce la maggior parte della quantità di
disoccupazione. Possiamo anche distinguere fra disoccupazione volontaria e involontaria,
in base ad una semplice distinzione: quella volontaria è attribuita alla volontà del singolo
individuo, mentre quella involontaria esiste a causa delle condizioni socio-economiche
(come la struttura del mercato, l'intervento del governo, la mancanza di conoscenze) della
società nella quale si trova l'individuo. La disoccupazione involontaria include le persone
che sono state licenziate a causa della crisi economica, del fallimento della compagnia per
cui lavoravano, della sua riorganizzazione o da mobbing. La disoccupazione strutturale è
la mancanza di un impiego legata all'assenza di corrispondenza tra domanda e offerta di
lavoro. In altre parole, è la mancata corrispondenza tra abilità del lavoratore e richiesta del
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datore, oppure la differenza di posizione geografica; si verifica quando il mercato del
lavoro non riesce a fornire un lavoro a tutti i potenziali candidati in quanto non c'è un
accordo fra le competenze e le conoscenze richieste e quelle possedute da chi vuole
lavorare. Questo tipo di disoccupazione è difficile da separare in maniera empirica dalla
disoccupazione frizionale, ma dura molto di più di quest'ultima. Lo stimolo della domanda
globale non va a diminuire questo tipo di disoccupazione. La disoccupazione strutturale
può essere indotta ad aumentare da una disoccupazione ciclica persistente: se i lavoratori
sono fuori a lungo dal mercato del lavoro, le loro competenze diventano obsolete e inutili e
diventa per loro più difficile reinserirsi anche se in futuro l'economia dovesse risollevarsi.
Molta della cosiddetta disoccupazione cronica consistente nei lavoratori rimpiazzati da
macchine e computer. Alternativamente, la disoccupazione tecnologica si può anche
riferire al modo in cui una stabile crescita della produttività dei lavoratori implica che meno
lavoratori sono richiesti per produrre lo stesso livello di beni ogni anno. Il fatto che la
domanda globale possa essere aumentata per risolvere questo problema indica che
questo tipo di disoccupazione è, in realtà, ciclico. Se qualcuno mi avesse detto quando ero
giovane, - quando mi qualificai come disegnatore meccanico - che a 34 anni sarei rimasto
disoccupato per colpa di un computer che sarebbe stato in grado di disegnare e prendere
la tua creatività dalle tue mani, avrei intrapreso un altro lavoro. Mia madre voleva che
facessi il parruchiere e, indubbiamente aveva ragione, non avrei trovato nessuna difficoltà
lavorativa nel mio futuro, perchè di parrucchieri ne è pieno il mondo, lavorano tuttora e
portano a casa bei soldini. Non avrei conosciuto la disoccupazione e non avrei trovato una
scuola ostile che mi avrebbe licenziato, non avrei conosciuto il mobbing; non sarei rimasto
solo da mia moglie che mi avrebbe lasciato per così dire per problemi di lavoro. La mia
famiglia sarebbe ora integra, io avrei un bel lavoro, avrei avuto gli anni di contribuzione e
ora mi goderei una bella pensione con le mie nipotine. E, invece per colpa del computer
ho conosciuto la disoccupazione, perchè non ero in grado di lavorare "attaccato" ad un
computer, cliccando, e scervellandomi per capire il programma, invece di disegnare con le
proprie mani. Era più semplice, o no? Direi… Avevo avuto un dono dal creatore e, cioè di
essere creativo, di disegnare bene, e se il computer non ci fosse stato avrei lavorato
sempre, perchè di disegnatori le aziende li cercano sempre, tuttora, pure, oggi. Dopo la
scuola, non ho più trovato lavori seri, perchè inanzitutto stavo diventando vecchio; avevo
43 anni ed ero già vecchio per il mondo del lavoro, allora. Trovavi lavori saltuari nei servizi
a tempo determinato e provavi di nuovo il licenziamento. Mi avevo qualificato come web
designer (creazione di siti) e grafico pubblicitario, ma non ha servito a niente, perchè in
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realtà queste figure erano già obsolete o il mercato ne era già pieno, o meglio ancora
preferivano prendere un giovane, più svelto e dinamico, invece di un vecchio fariginoso
com' ero già considerato. E, poi diciamoci la verità, se ho conosciuto la disoccupazione
cronica e perchè non ho conosciuto un santo protettore che mi abbia dato un lavoro o
segnalato un lavoro. In Italia le cose funzionano così! Le raccomandazioni sono vecchie
come il mondo. E invece non conosco nessuno! E, quindi ti devi arragiare con i mezzi che
hai; inserzioni di lavoro, che sul giornale non ce ne sono! O in internet, mandi il tuo
curriculum e speri che ti chiamano. E intanto il tempo passa e ti ritrovi ormai sull'orlo di
una crisi di nervi per via che non trovi lavoro; ti ritrovi già vecchio, a 62 anni, chi ti vuole a
questa età? E allora rimarrai disoccupato fino a 67 anni quando andrai in pensione, e
intanto come vivi nel frattempo? Chiedo a qualcuno di autorevole. Il lavoro nella scuola era
una fonte di benessere, era un lavoro pubblico, mi sarei sistemato per il resto della vita;
essere entrato a 38 anni equivaleva aver fatto bingo, sarei rimasto fino a quando andavi in
pensione e nessuno ti avrebbe licenziato o lasciato casa. Pure i furbetti del cartellino non
vengono licenziati, rimangono al loro posto di lavoro (io li licenzierei e metterei i
disoccupati). Sono stato sfortunato, ho trovato un bossing di un preside che faceva quello
che voleva nella scuola in barba a regolamenti e leggi, perché era un politico; mi ha
minacciato di persecuzione se non facevo quello che voleva. Era un folle! E, io sono stato
la sua vittima prescelta, e mi ha perseguitato fino a lasciare la scuola. Era un politico di
sinistra, quindi mi ha rovinato la vita il comunismo, la sinistra; era un dipendente dello
stato, un funzionario e, quindi mi ha rovinato la vita lo stato, per cui lo definisco
responsabile della mia rovina! Poi c'è stata la crisi del 2008 fino ad oggi, con tutti i suoi
problemi, non riuscivo a trovare un lavoro, nonostante le mie riqualificazioni, mandavo
curriculum a destra e a sinistra e non ricevevo risposta. E, poi diciamolo senza essere
contro gli stranieri: cinque milioni di stranieri nel nostro territorio vuol dire aver portato via il
lavoro agli italiani. Per fortuna che c'era mia moglie che lavorava, ma poi abbiamo visto
com'è finita! Mi ha lasciato! Io mi domando come l' Italia, ottava potenza mondiale, o ricco
Nord-est (ma, lo è ancora?) possa permettere che un suo cittadino resti disoccupato
cronico per diversi anni senza dare la possibilità di un lavoro. Gli uffici del lavoro preposti
non funzionano, non danno più lavoro come una volta, ti devi arrangiare. E, allora cosa ci
stanno a fare questi uffici, se non danno lavoro?
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L'assunzione nella scuola
Ho incontrato un mobber (assassino)
Il ruolo della scuola, oggi più che mai, si gioca sul terreno della cittadinanza: cioè sulla
capacità della scuola di formare donne e uomini capaci di governare la propria esistenza.
Il che vuol dire: educare al rispetto delle regole, alla consapevolezza dei propri diritti, a
usare in contesti diversi dalla scuola i saperi e le conoscenze apprese a scuola. Formare
mentalità critiche, capaci di risolvere problemi, abituare al dubbio, all’imprevisto, alla
curiosità e nello stesso tempo a un pensiero razionale e scientifico: e compito prioritario
della scuola, tenuta a dare quei saperi, cosiddetti di “cittadinanza”, indispensabili per
vivere, lavorare, continuare a studiare. Per quanto riguarda il mio problema al Gramsci di
Padova, c'è stata sicuramente disattenzione per l'attività tecnico professionale degli allievi,
in quanto i laboratori destinatemi per l'istruzione venivano messi in secondo piano, o al più
inutilizzati. E qui vorrei soffermarmi per dare una giusta considerazione al ruolo dei
laboratori che sono strategici per la valorizzazione di una scuola moderna proiettata al
futuro. Gli allievi hanno bisogno di pratica per completare la conoscenza. Dunque, il
laboratorio rimane l'unico spazio creativo alle loro esigenze a compensazione della loro
professionalità del domani. Mettere in secondo piano la pratica e ridurre le ore di
laboratorio rimane un problema non certo da sottovalutare per la tipologia dell'istruzione e
per la sua valorizzazione. E ora vi spiego perchè certi conflitti, se non risolti sul nascere
portano all’inevitabile. Quello che è successo fin dall’inizio del mio dramma ne è un
esempio. Incoscienza, ignoranza, disattenzione, prepotenza, esaltazione di un preside
dettata dalla politica del momento?: forse. Ma, scomodo, lo ero, da quando misi piede in
quella scuola. Se non ero considerato la figura professionale destinata ai laboratori della
scuola, non facevano altro che indirizzarmi in un'altra scuola, o al più occuparmi in
mansioni analoghe o superiori, ma non certo inferiori e non saremmo arrivati a questo.
Molte volte avevo avanzato l'idea di essere occupato nelle segreteria della scuola, ma non
mi e stato permesso. Dunque, chi ha ragione? Non ci saranno riforme che tengano, nè
nella scuola; nè in qualsivoglia istituzione, finchè non si cambieranno certe mentalità. Un’
uomo non e mai quello che crede di essere, ne quello che egli crede di essere. Venni a
conoscenza di un concorso nazionale, e, in base ai miei titoli scolastici di "disegnatore
tecnico" (ho lavorato nel settore della progettazione termotecnica e industriale per
moltissimi anni), venni assunto nella scuola come “assistente tecnico” di laboratorio. Il
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Ministero dell’Istruzione, sempre in base ai miei titoli scolastici, mi designò l’area AR 01-08
(Fisica-Chimica) e, il Provveditore mi inviò al Gramsci di Padova, dove era studente la mia
primogenita. Ebbi un primo contatto con la scuola a carattere conoscitivo. Mi
domandarono se avevo esperienza di chimica. Io risposi di non averla, ma loro mi dissero
di non preoccuparmi, che mi avrebbero messo nelle condizioni di capire il mio nuovo
lavoro. Vi erano i libri, mi avevano fatto osservare, a cui potevo dedicarmi, quando avevo
del tempo libero, per capire le varie esperienze di laboratorio a cui dovevo applicarmi.
Presi possesso della scuola, e, definitivamente venni assunto il 22 novembre del 1994 con
un concorso pubblico senza conoscenze e raccomandazioni. Il giorno stesso mi
mostrarono i vari laboratori della scuola, quello di informatica, di stenografia e dattilografia,
poi fu la volta dei miei laboratori quello di Fisica (dove mi collocai) e quello di Chimica. Nel
laboratorio di Fisica feci la conoscenza cordiale col responsabile di laboratorio, e nel
laboratorio non vi era nulla che potesse presagire a un cambiamento nel futuro. Mentre il
laboratorio di Fisica era funzionale, il laboratorio di Chimica era rimasto inutilizzato da
parecchio tempo. Nei giorni che seguivano, contrariamente alle belle parole iniziali e ai
buoni propositi di incoraggiamento, fui mandato nella Biblioteca della scuola a fare il
“riordino” dei libri dati in prestito agli allievi, nonostante non ne fosse bisogno, visto che
c’era già qualcun’ altro che, - contrariato della mia presenza - già faceva questo lavoro.
Nel frattempo fervevano i lavori nel laboratorio di Fisica, e con stupore osservavo che
dentro il laboratorio venivano collocate alcune fotocopiatrici operanti con un bidello addetto
al servizio. Dopo quindici giorni, passati in Biblioteca, fui mandato a dicembre del 1994, su
espresso parere del preside, al Natta di Padova ad intraprendere la professione di
“assistente tecnico”. Ma non c’era nulla da intraprendere, perchè nella scuola dove fui
designato, gli addetti ai laboratori mi criticavano per la mia inopportuna presenza, perchè
non capivano cosa andassi a fare, dato che la professione di “assistente tecnico” era una
figura professionale semplice, di solo supporto all’insegnante senza molte specificità
professionali. Finalmente a fine dicembre del 1994 mi insedio nei laboratori: ma da subito,
- senza rendermi conto della nuova realtà professionale - , l’ Amministrazione della scuola
con il preside (venni a conoscenza che era un politico di sinistra, ex sindacalista del
comune di Cadoneghe, di Padova) e la segretaria, mi mettono davanti al fatto compiuto e,
cioè che oltre al lavoro di “assistente tecnico” devo pure svolgere il lavoro di “aiutante” nel
“servizio di fotocopie” dislocato dentro il laboratorio di Fisica e di “addetto alla
manutenzione” in generale della scuola. Cado dalle nuvole e faccio capire con le buone
maniere le mie mansioni di assistente tecnico. Ma non c’è ragione, il giorno stesso, mi
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incaricano con un' apposita scala di sostituire tutte le lampadine con lampadine di potenza
superiore e delle rispettive plafoniere a soffitto nell’aula insegnanti e del servizio insegnanti
posti al piano terra. Torno “umilmente” a far capire la mia qualifica e la pericolosità del
lavoro a cui vado incontro, essendo non del mestiere. Ma, ancora una volta non c’è
ragione che regga. Salgo per la scala, cambio le lampadine col pericolo di prendere la
corrente, mentre un bidello mi tiene la scala (un lavoro che poteva fare benissimo il
bidello). La mia qualifica di “assistente tecnico” e una figura qualificativa di supporto del
docente e non prevedeva che io svolgessi tali lavori (lavori che potevano fare benissimo i
bidelli), ma bensì che affiancassi il docente nei laboratori assegnatemi nelle preparazioni
delle esperienze didattiche e pure di essere presente alle varie lezioni. Impegnandomi in
lavori fuori del mio ordinario, stava a significare lo scarso rilievo dato ai laboratori
assegnatemi, o, oppure a lasciarli inattivi. E su questa anomalia di percorso nasceranno
pure dei giusti malumori, espressi dallo stesso insegnante, responsabile di Fisica durante
il mio periodo di occupazione al Gramsci, che non riusciva a capire il nesso di questa
situazione. E su questo motivo di completa confusione, avevo pure io avanzato di essere
impiegato in Amministrazione come impiegato o qualifica analoga e non inferiore; ma non
mi fu permesso. Con il servizio fotocopie situato dentro il laboratorio venivo dunque
coinvolto mio malgrado in tale compito e i motivi erano più che ovvi: il bidello addetto del
servizio, cercava il mio coinvolgimento, mi chiamava per un problema alla fotocopiatrice; a
volte si assentava per vari motivi, e le molte insegnanti che affluivano al servizio,
impazienti di avere le fotocopie, non vedendo nessuno, chiedevano a me di realizzarle.
Lasciavo cosi il mio impegno in laboratorio per trasferirmi per la maggior parte della
mattinata nel servizio fotocopie. Oltre al servizio delle fotocopie, in accordo con qualche
insegnante, dovevo rilegarle in un formato libro con un’ apposita spirale e occupandomi
pure della plastificazione della copertina; di conseguenza quando il lavoro era molto
impegnativo, e per dare una mano al bidello mi portavo appresso le fotocopie direttamente
in laboratorio per rilegarle. Poi come per un normale servizio fotocopie c’erano tutti gli
inconvenienti del caso; il cambio del toner, la pulizia e il carico della carta, che a volte
spettava a me. Ero a tutti gli effetti un bidello che un assistente, dove il mio principale
compito era quello di fare solamente fotocopie. Nonostante il mio impegno e l’accettare
tale situazione a dicembre del 1994 mi verrà negato il premio incentivante (un premio che
si da a fine anno a tutti i dipendenti per miglioramenti all’interno della scuola), non
comparendo fra tutti i lavoratori della scuola. Verrà dato il premio incentivante al bidello del
servizio fotocopie e assunto lo stesso giorno mio. Crescevano intanto i giusti malumori
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dell’insegnante responsabile di Fisica, che mi vedeva impegnato a fare le fotocopie o a
rilegarle direttamente in laboratorio. Questo mio comportamento, mi portava ad non
essere completamente a disposizione dell’insegnante, non riuscendo a preparare per
tempo le esperienze didattiche; a volte nemmeno essere presente in laboratorio per
seguire le lezioni. Da qui, allora l’avvertimento dell’insegnante perchè mi attenessi alla mia
qualifica professionale.
Solo, senza nessun aiuto
Ero nella più totale confusione e mal sopportavo questo andamento: e, giustamente,
allora, rifiutavo di essere coinvolto nel servizio, delegando il bidello addetto ad
occupandosene lui personalmente del suo lavoro; ma prontamente mi arrivava un “ordine
di servizio” firmato dalla presidenza, in cui mi obbligava ad eseguire le fotocopie o le
rilegature. E, inoltre pure il bidello con prepotenza, pretendeva che lo aiutassi, arrivò
addirittura a mettermi le mani addosso nel corridoio della scuola, perché ne ero
contrariato. Avvertita l' Amministrazione del fatto, non ci fu nessun interessamento. Avevo
avvertito il sindacato Snals, a cui ero iscritto dell’anomala situazione, ma il sindacato non
ritenne intervenire. Ero stranamente solo e mi trovavo tra l’incudine e il martello. Da una
parte dovevo attenermi al servizio fotocopie e ai vari lavori extra, e da una parte dovevo
attenermi ai laboratori, garantendone il suo giusto funzionamento didattico. Questo per
quanto riguarda il laboratorio di Fisica, ma avevo pure il laboratorio di Chimica con cui
dovevo occuparmi e seguire. Quando arrivai nel 1994, il laboratorio di Chimica era
inutilizzato da molto tempo, e con mia buona volontà, ritagliando i giusti spazi, fra tutti i
lavori cercavo di renderlo operativo il più possibile, dando cosi il suo giusto valore alla mia
professione. Feci una pulizia generale del laboratorio, lavando e riordinando tutta la
vetreria negli appositi armadi; mettendo in funzione le apparecchiature con due insegnanti
ben disposti a collaborare, inventariando, e mettendo in sicurezza tutte le sostanze
chimiche. Questa mia buona volontà, mal veniva assecondata dal preside che non vedeva
di buon occhio la situazione, neppure dalla segretaria e in seguito da alcune insegnanti di
Chimica, dalle quali, fui pure oggetto di discredito sul mio impegno professionale,
arrivando addirittura, a mia insaputa, all'invio di una lettera diffamatoria al Provveditore,
dove si indicava la mia incompetenza professionale (questa lettera diffamatoria fu poi
oggetto di denuncia da parte mia, ma venne archiviata dal Tribunale di Padova). Sempre
con le stesse insegnanti, altra nota dolente, fu il processo, se cosi lo possiamo chiamare,
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fattomi in presidenza nel maggio del 1997 dove venni accusato ingiustamente di non
attenermi alla mia professione di "assistente tecnico" e di non essere all'altezza del mio
compito. Questo fatto - cosi deplorevole - mi portò ad allontanarmi per sempre dalla scuola
e a mettermi in malattia. Il laboratorio di Chimica nel giro di due mesi, riprese a funzionare
normalmente. Come per il laboratorio di Fisica, pure qui, dovevo per tempo preparare le
esperienze didattiche per le lezioni in laboratorio, fare pulizia generale dopo le lezioni,
seguire le lezioni e ritagliare il tempo necessario con Fisica, con il servizio fotocopie e i
vari lavori extra che si presentavano inaspettatamente. Altro compito che
l’amministrazione scolastica mi aveva riferito era quello di "ricercare i professori" per le
varie aule e domandare se frequentavano i laboratori. Alla fine, su mia proposta si decise
di stilare un loro programma di frequentazione settimanale, già in uso in altre scuole,
senza che fossi io a cercarli. Il mio impegno era oltre il consentito, ma ciò nonostante
“rimaneva sempre insufficiente” per la scuola. I cosiddetti lavori extra, che facevo oltre al
normale lavoro di assistente o di addetto alle fotocopie, erano vaghi, ed ero costretto a
farli, su ordini di servizio o direttamente da ordini superiori del preside, di vice presidi, o
dalla segretaria amministrativa; o, direttamente da un bidello, che mi raggiungeva in
laboratorio e, che aveva ricevuto l’ordine verbale direttamente dal preside. Quando lasciai
il Gramsci per il Marconi nel 1998, questo anomalo atteggiamento che avevo subito non
l'ebbi da notare al Marconi: gli assistenti tecnici di quella scuola erano impegnati
solamente nei loro laboratori, a seguire il loro impegno e non in altre mansioni. Per questo,
mi dico spesso, e tuttora me lo ripeto, che non poteva essere normale un comportamento
cosi nei miei confronti al Gramsci. Questo era solo il solo presupposto (demansionamento)
perchè abbandonassi la scuola e il lavoro da subito. Perchè mai? Perchè fui assunto
senza raccomandazioni! Quando una persona non e accettata in un preambolo lavorativo,
oppure nella società, si cerca di renderli la vita difficile perchè se ne vada. Mettere un
"servizio fotocopie" nel laboratorio di Fisica non era consentito per legge: equivaleva come
a metterlo dentro un' aula didattica o dentro la stessa Amministrazione scolastica, o
presidenza. Non so se avrebbe fatto piacere all’insegnante, segretaria o lo stesso preside
dover lasciare il suo lavoro per fare delle fotocopie per tutta la mattinata al servizio delle
stesse insegnanti escludendo il suo dovere professionale. Di fronte a questa confusione
lavorativa (che nessuno, aveva, neppure l’altro assistente di Audio visivi, e lavoratori al
momento), dopo tre mesi di permanenza al Gramsci, avevo chiesto gentilmente di essere
impiegato in Amministrazione, o al più - dato che i laboratori "non venivano usufruiti" al
massimo (lo si voleva), - di essere spostato in un'altra scuola a compiere il mio lavoro
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come da qualifica. La proposta mi venne negata dalla presidenza! Non capii mai perchè il
servizio fotocopie, posto sempre al piano terra, cosi mi avevano accennato, comodo alla
sala insegnanti fosse stato traslocato al piano secondo dentro il laboratorio di Fisica con
tutti i problemi che ne sarebbero derivati. Il problema era evidente, ma era sottovalutato.
Io, chiedevo, se era possibile, una soluzione nel non dover svolgere questi lavori
dequalificanti, e una più maggiore attenzione alla mia dignità professionale: credo fosse un
mio diritto. Ero l’unico lavoratore in tutta la scuola a subire questo comportamento
vessatorio e non ne capivo il motivo. Non so cosa volessero da me? Non mi lasciavano in
pace! I bidelli facevano il loro normale lavoro, e pure un altro assistente seguiva il suo
normale lavoro di Audio visivi. A delle mie giuste spiegazioni c'era solo un muro di gomma
nei miei confronti. Il preside arrivò addirittura ad offendermi in presidenza dandomi dello
“stronzo”, o di appartenere ad un’ altro "schieramento politico" diverso dal suo se mi
rifiutavo di assecondare i suoi ordini (come fa un preside di una istituzione educativa a
comportarsi cosi, usando un linguaggio becero, da osteria? Domando! Questa e
sicuramente la scuola di oggi!? Parlo del 1996, non so oggi come sia, forse peggio!). Mi
minacciò addirittura di persecuzione se continuavo a comportarmi cosi. Ma io non ero di
nessun "schieramento politico", ero apolitico, chiedevo solamente di lavorare, di avere un
po’ di buon senso e di buona educazione. Il 10 ottobre del 1995, giuro di fronte alla
Costituzione il mio dovere al lavoro e i miei diritti; ma quel preside, così superbo e
dominante, in quella Costituzione non ci crederà e preferirà fare di testa sua, come se il
dovere, fosse solo mio, mentre di diritti non ne avevo. Io sono stato di parola: nonostante
tutto mi sono prodigato – anche se non mi aspettava di diritto – per far funzionare la
scuola, accettando pure i lavori dequalificanti. Ma quella scuola ingrata non è di mia
proprietà, dove viene lasciato tutto a me; qualcuno è in dovere di essere un superiore
responsabile, se non lo è, è un debole, ed e meglio che lasci la scuola. Cercherò un’ altra
volta il perchè di tutto questo, con un incontro, con quel "preside" dispotico per
domandargli "cos’è che non va con me!". Ma lui, freddamente, perchè "forte" del suo
governo comunista instaurato nella città, che nella nazione, mi risponderà che la "scuola è
sua", lui fa "quello che vuole", e "io non ho diritto a nulla!" Sono incredulo di fronte a così
tanta bassezza. Preso da quel vortice di follia, uscirò a fine lavoro alle ore 13,45 e, con la
mente annebbiata e l’anima scossa rischiando un’ incidente automobilistico appena fuori
dalla scuola. Mi salverò per puro miracolo. Nel giugno del 1996, il preside mi chiama in
presidenza, come di consuetudine, e mi apostrofa: "Ho bisogno che lei mi aggiusti la mia
finestra, e che mi cambi una presa elettrica... “Ho bisogno di un operaio specializzato che
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faccia tutto..." Aggiunsi umilmente: "Sono un assistente tecnico di laboratorio e non un
operaio, queste cose non le so fare… gradirei lavorare nei laboratori assegnatemi”. Mi
minacciò: "Se lei, si rifiuta, e continua con questo atteggiamento, io la perseguiterò!" E,
difatti mi perseguiterà fino a lasciare la scuola. L’assiduità di frequenza dei laboratori era
caratterizzata dai due principali docenti di Fisica. Ogni loro esperienza – su ordine loro
specifico – veniva accuratamente documentata con foto realizzate dal sottoscritto e con
appropriate documentazioni di relazioni grafiche redatte dagli stessi allievi e, da me
archiviate in un apposito archivio di laboratorio da consultare. Col professore di chimica
avvierò una costruttiva collaborazione. Con lui si appronterà un programma di messa in
efficienza di tutta la strumentazione di laboratorio, bloccata da mesi di inutilizzo. Sempre
con il professore si metterà in sicurezza tutte le sostanze chimiche pericolose, e si
affronterà un programma di sicurezza del lavoro. Per la costante collaborazione con i due
professori, gli stessi verranno chiamati in seguito a deporre in mio favore nella causa di
lavoro sostenendo il mio ottimo profitto, ma inaspettatamente, davanti al giudice,
sosterranno di "non ricordarsi" nell'avermi visto fare dei lavori inferiori, e, per quanto
riguarda l'ubicazione delle macchine fotocopiatrici, sosterranno che erano ubicate al piano
secondo, senza precisare il luogo (questo, risulterà tutto a mio svantaggio per il reintegro
d'urgenza nella scuola in base all'ex 700 c.p.c., "bocciato" per volere del giudice). Ci sarà,
inoltre una partecipata collaborazione con una docente annuale di chimica, che - oltre alla
sua costante presenza in laboratorio - mi aiutò a stilare l’inventario delle innumerevoli
sostanze chimiche e di quelle obsolete. Interessante ai fini didattici, – furono presenti tutte
le classi della scuola e altre dell’Istituto Cornaro - fu l’esperienza, del "pendolo di Focault"
nella primavera del 1996, una novità assoluta mai realizzata nell’ambito di quell’Istituto
scolastico, per la cui realizzazione ebbi l’incarico dal professore di Fisica di seguire la
realizzazione della costruzione dell’attrezzatura di sostegno del pendolo, nonchè la
stesura del materiale con i relativi costi; il loro acquisto, previa autorizzazione da parte
dell’Amministrazione scolastica; il trasporto con mezzo proprio e l’installazione sul vano
scale al secondo piano. Realizzai su indicazione dello stesso professore uno studio grafico
per l’inclinazione dei gradi e un sistema per la determinazione dei gradi durante lo
spostamento del pendolo. Il pendolo, alto circa 10 metri, veniva messo in funzione dal
basso, nell’atrio della scuola al piano terra, di fronte a moltissimi allievi per determinarne
l’oscillazione. Su disposizione del professore determinavo l’oscillazione fotografandola in
ogni suo spostamento. Poi, a fine oscillazione si osservava lo spostamento della Terra.
L’esperienza durò tutta la mattinata con la contentezza e l’interesse di tutti gli allievi, e
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pure di tutti gli insegnanti e amministrativi della scuola presenti all’evento che si
congratulavano per la bella esperienza didattica. Ci fu un fatto che suscitò una certa
perplessità, e credo anche indignazione da parte del mio superiore; i motivi erano più che
ovvi: stavo normalmente aiutandolo, quando mi si presenta un bidello dicendomi che devo
presentarmi dal preside. Lascio il mio impegno e corro in presidenza per capire il motivo. Il
preside, mi dice che devo fare, - subito - delle fotocopie e delle rilegature. Cado di nuovo
dalle nuvole, e, nonostante dica gentilmente di essere di aiuto al docente per una
esperienza, non ci sono "ma", che tengano; ed e in questo preambolo che vengo offeso
un’altra volta, additato come uno "stronzo", appartenente ad uno "schieramento opposto"
(... ma quale schieramento opposto? Dirò fra me e me, perchè non ero un "comunista"
come lo era lui? O, perchè non ero un "raccomandato", mandato da qualcuno per
usufruire di quel posto, com’è prassi? O perchè rifiutavo giustamente certi lavori
mortificanti che non mi spettavano da contratto? Dunque, da qui l' accanimento. O,
diciamolo fra noi: qual'è l' altra verità? Se fossi stato raccomandato, spalleggiato... sarei
stato lasciato in pace? Se fossi stato un “comunista” sarei stato ben accettato? Oppure...);
e, verrò in seguito pure "minacciato di persecuzione" se "non mi attengo" alle sue
disposizioni (follia). Acconsento, e abbandono nell'aiutare il professore perplesso, da solo,
nell’esperienza, per rivolgermi al bidello, presente nel servizio fotocopie, dentro il
laboratorio di Fisica, al secondo piano, per la realizzazione delle fotocopie "urgenti". Da
queste gratuite violenze, nasceranno i presupposti per allontanarmi definitivamente da
quella scuola violenta, e il mio allontanamento sarà più che giustificato dagli eventi e dalle
prove a cui ero quotidianamente sottoposto. Il mio impegno in un solo laboratorio, era
stimato in 250/300 ore all'anno scolastico di lezione effettiva. I laboratori erano due, quindi
il mio impegno era, presumo, di circa 600 ore all'anno di lezione effettiva. Questo per me,
non e avvenuto. Nel dicembre del 1996, in accordo con il sindacato presento una lettera
per chiedere spiegazione sul mancato premio incentivante di fine anno (per tre anni
consecutivi non ebbi il premio incentivante nonostante facessi lavori dequalificanti). Il
premio incentivante del 1996 era stato stilato in accordo col preside, qualora svolgessi
lavori extra, dequalificanti, che io avevo accettato, quindi mi aspettava di diritto. D’accordo
col sindacato stilai una lettera per chiedere spiegazione e la depositai nella segreteria
della scuola. Ma dopo la presentazione della lettera, il clima all’Istituto Gramsci si rese
sempre più teso. Sono malvisto e, su di me s’infittiscono i contrasti per rendermi la vita
ancora più difficile; in compenso, incurante di tutto ciò, svolgo le proprie mansioni di
assunzione, come da contratto: mi occupo dell’organizzazione, la sistemazione e il
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funzionamento dei laboratori di fisica e chimica, continuando l’ottimo rapporto instaurato
con i due professori maschi che frequentano i due laboratori; mentre le "insegnanti donne"
sono poco assidue nella frequentazione. Arriva la risposta alla lettera e, ancora una volta il
famoso "premio incentivante" verrà "rimandato" al prossimo anno con ancora vaghe
promesse. Ho capito che è un loro divertimento. Vorrei tornare a parlare con quel "preside"
che non definisco preside, e il mio cuor rimane ferito. In una prepotenza, il cuore e la
mente di un uomo sono tesi fino allo spasimo. Egli può giungere ad atti di eroismo o
sprofondare nell’abisso della viltà; ma io non sono nè l’uno, nè l’altro, voglio solo
allontanarmi da quella scuola che mi ha tradito, nonostante ci sia mia figlia che studia,
chiedendo un trasferimento al Marconi di Padova, sapendo che un "assistente tecnico" ha
chiesto di andare in pensione. Nel frattempo, mi metto a riposo, in malattia aspettando un
cambiamento degli eventi. Ma quegli eventi non arriveranno e su di me si ordineranno
delle congiure e si allestiranno i piani per togliermi di mezzo. A maggio del 1997, dopo una
breve malattia, ritornando a scuola, troverò i laboratori in completo disordine e una dura
ostilità. Mi prodigo lo stesso, riorganizzo i laboratori e mi do da fare per riallacciare i
rapporti con i docenti per la frequentazione degli stessi. Allorchè, dopo due giorni mi arriva
inaspettata una lettera di "convocazione" in presidenza, presente la segretaria, i docenti
donne che frequentano poco i laboratori, per affrontare una "nuova organizzazione del
lavoro nei laboratori e per parlare del futuro premio incentivante". Quella "convocazione" si
rileverà una trappola, a cui sarà difficile sottrarsi. Non si parlerà di organizzazione, ma di
sole calunnie nei miei confronti. Si metterà in discussione il mio operato di lavoratore; io,
che sono sempre stato prodigo, e, di avermi interessato pure della sicurezza del
laboratorio di chimica, segnalando malfunzionamenti, pericolosità e carenze (mia e stata
l'iniziativa assieme ai due insegnanti che frequentavano spesso il laboratorio di mettere in
sicurezza tutti i prodotti chimici pericolosi e prodigarmi per il funzionamento delle
apparecchiature bloccate da diversi anni); ma verrò messo sotto accusa, lo stesso, perchè
quelle insegnanti - in quel laboratorio - non erano intenzionate a frequentarlo. Sarà un
processo vero e proprio senza nessuna difesa, un colossale abuso.
Il mobber mi ha rovinato la vita
Dopo quel processo, mi allontanerò da quella scuola e, questa volta per sempre. In quel
stanzone, ubicato a presidenza, non esisteva un crocefisso: c'era solo il male assoluto. Il
preside mi assaliva con un tono di voce sprezzante e continuava ad insultarmi per farmi
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perdere la ragione. Era aggressivo, prepotente, arrogante, invadeva il mio spazio, non mi
dava spazio per replicare. Rincalzavano pure le insegnanti. Ero come frastornato da quel
vortice di follia e mi sentivo bloccato. Nessuno che mi difendeva. Mi sentivo in una
trappola, dove "premevano" perchè mi autoeliminassi. Resterò calmo e impassibile
davanti a tale orrore, uscirò dalla presidenza, e dalla scuola, e ritornerò a casa. Giurerò di
non tornare più in quella scuola e mi metterò in malattia. Lascerò lo Snals e mi avvicinerò
al nuovo sindacato che anche lui mi inviterà a mettermi in malattia e chiedere un
trasferimento in un’altra scuola. Un responsabile del settore scuola – messo al corrente
del dramma – si "prodiga per aiutarmi" ad un trasferimento in un’altra scuola; mi consiglia
di mettermi di nuovo in “malattia”, “ma mi avverte che il preside e conosciuto”. Suona
quasi come una intimidazione a non andare oltre. Ma perchè? Forse perché il preside è un
"cattivo"? Io, non credo ai cattivi, (perchè sono convinto che non c'è ne siano); devo solo
avviare il trasferimento di ufficio per via burocratica, e la soluzione sembra essere lì, a
portata di mano per farmi uscire da questa situazione. Ma non sarà cosi! Si arriva a giugno
del 1997 e, dopo le innumerevoli visite al sindacato per la sollecitudine a trovare una
soluzione urgente, il sindacato mi promette, oramai che il sospirato trasferimento verrà
avviato solamente per “via burocratica”. E’ lo stesso sindacato a compilarmi la domanda di
trasferimento in un altro plesso scolastico. C’è solo il tempo necessario perchè la pratica
venga formulata di ufficio e il trasferimento venga avviato. Dunque, tutto semplice? No. A
luglio del 1997 vengo chiamato dal Provveditorato per il trasferimento. Ci sono solo tre
scuole disposte ad aiutarmi: l’ Einstein di Piove di Sacco, il Meucci di Cittadella e beffa
della beffa, di nuovo il “Gramsci” di Padova. Sono allibito e mi sento preso in giro. Nella
domanda, e con il sindacato di appoggio avevo indicato “solo scuole di Padova”, ma non
sono state prese in considerazione. Perchè? Le scuse sono ovvie: non c’è posto per me. Il
trasferimento a Piove di Sacco o Cittadella rimane l’unica via per la “libertà” alla follia
dell’uomo, ma e un problema non certo da sottovalutare. E poi c’è di nuovo il “Gramsci” di
Padova che “mi salva” da quel trasferimento lontano. Dunque, prendere o lasciare! Torno
di nuovo al sindacato, che “mi invita” a scegliere Piove di Sacco, se voglio “salvarmi”, e
che non c’è nessun’ altra soluzione. Sono solo, quella promessa di aiuto del sindacato non
arriverà mai. Torno nei miei passi e decido di scrivere personalmente una lettera al
Provveditorato, il 28 agosto del 1997, indicando parecchie scuole di Padova che non
erano state nemmeno prese in considerazione. Non capivo il perchè! Il sindacato, a sua
volta – tanto solidale all’inizio – si era estraniato pure lui. Avevo deciso che non potevo
rimanere in “malattia”, dovevo scrivere al Provveditore perchè prendesse posizione sul
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mio dramma; e, quella lettera si rileverà fondamentale per risolvere il problema. Ma il
preside del Gramsci, “si opporrà duramente” al trasferimento voluto dal Provveditore e
"non lo me lo concederà". Ero in un incubo; ma, forse, si stavano divertendo sul dramma
di una persona sola che aveva tutti i suoi diritti di andarsene da quella scuola violenta. Un
preside che arriva ad avere lui l’ ultima parola, mentre un Provveditorato se ne sta zitto,
zitto e non prende la parola e non concede il trasferimento di ufficio, è già un segnale di
violenza e di prepotenza. Il sindacato informato, a sua volta della questione si rileverà
inesistente. Alquanto stanco, con problemi di salute (non dormivo la notte, ero pieno di
ansia), medito di lasciare la scuola, licenziandomi: non lo faccio, perchè questo paese e
questo Stato sono ancora uno “stato di diritto”, cosi dicono e, io ci credo. “Rimango in
malattia”, perchè sono costretto dagli eventi, non c’è altra soluzione fino al nuovo
trasferimento. Dovrò aspettare giugno del 1998 per avviare nuovamente “domanda di
trasferimento” per via burocratica. E, finalmente questa volta la mia domanda al Marconi di
Padova verrà accolta, e io mi insidierò nella nuova scuola. Durante la malattia subirò una
pressione esasperata dal “medico fiscale”, incaricato nel verificare l’autenticità
dell’assenza; una visita ogni settimana, estenuante, a cui verrò sottoposto con sempre più
accanimento. Avverto il sindacato del "pressing fiscale"; lo invito a prendere posizione
immediatamente, per farmi uscire da quella situazione e avviare il trasferimento o sono
costretto a licenziarmi; ma, questo non avviene, purtroppo, con un sindacato sempre di più
di parte, non certo dalla parte mia. A novembre del 1997, si allestiranno i piani per
togliermi di mezzo. A dicembre, il dramma: ad un' ennesima visita fiscale - “avviata e
coordinata” dal preside del Gramsci, e, nonostante sia un costo eccessivo per la scuola -,
il medico incaricato fa “richiesta di visita collegiale”. Non servono mezze scuse per
spingermi verso il baratro, non ci sono ma, per capire a che punto sia arrivata la congiura.
Domando al medico il perchè di tutto questo; insisto pure con lui perchè trovi una
soluzione, che mi liberi dalla follia dell'uomo; ma non ci sono parole... E' un complotto! Il
sindacato, in "combutta" perché amico del preside – oramai – "spinge" in quella direzione,
verso la mia distruzione. E' lo stesso responsabile del settore scuola (avviato a diventare,
poi preside) a dirmi, quasi ridendo...: "Sei in un imbuto, mio caro..., non hai altra via
d'uscita… "Invece di aiutarmi mi era contro! Perchè, cosa le avevo fatto! Sapendo di
essere oramai solo, e in mezzo a dei pazzi, sono avviato col cuore a pezzi, al "patibolo"- ;
chiederò almeno che mi sia dato un medico di fiducia per presiedere la visita (…). La
scuola, dovrebbe rappresentare il luogo privilegiato per acquisire conoscenze e
competenze, - oltre all’insegnamento dell’educazione civica – e, nella realtà, rappresenta
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anche e soprattutto il luogo privilegiato per educare al rispetto degli altri, all’assunzione di
comportamenti civili e democratici, e, che poi verranno avviati nella società civile, a una
convivenza pacifica in cui la dignità di ciascuno e di tutti deve essere salvaguardata e non
calpestata da atti di violenza. Se non e cosi, e lecito rompere il silenzio! Qualsiasi
atteggiamento, comportamento di prepotenza, prevaricazione, sopraffazione è
inaccettabile nella scuola, cosi come nella società. Dobbiamo avere la forza di gridare
forte quello che ci fa stare male. Queste violenze che io ho subito nella scuola, sono uscite
dai confini dell’illecito, dentro la società fino ai giorni nostri, con una violenza ancora più
forte, arrivando a rovinarmi la mia esistenza. La violenza genera violenza e distrugge le
comunità e la gente, questo ci hanno sempre insegnato. Provoca dolore, lacrime e
rancore: un rancore che a volte si tramanda di generazione in generazione, e che
stravolge e deforma la vita delle persone. E’ un fenomeno devastaste da cui non si esce
più, e che ci rovina l’esistenza. Essermi allontanato da quella scuola, dopo il “processo”,
stava ad indicare la mia salvezza, un allontanamento dalla violenza, un dovere, primo fra
tutto, verso se stessi e il bisogno di agire secondo coscienza: un bisogno più forte di
qualsiasi altra cosa, più forte del dovere e della stessa libertà e che io chiamo
semplicemente "libertà di coscienza". Cosa deve fare una società dove ogni regola di
convivenza viene continuamente disattesa e dove l’esempio, che viene dall’alto, allarga,
ogni giorno, il raggio di azione della "licenza di uccidere"? Deve avere il coraggio di
rompere con certi schemi, che sono i silenzi, le ipocrisie, le ingiustizie e le prevaricazioni.
Questa società, deve essere credibile, imparare a costruire rapporti di solidarietà, di
alleanza, di comprensione, di accettazione delle differenze. Solo, cosi, in una società in cui
"si sta bene" si creeranno i presupposti per un nuovo avvenire e la violenza non troverà
più terreno fertile. Ma, di questo non vedo speranze. Quel "preside" non poteva
comportarsi così. Vi erano altre maniere più consone, più democratiche per confrontarsi
civilmente, senza arrivare alla violenza vera e propria. Quel "preside" aveva toccato
oramai il fondo, con i suoi innumerevoli inganni e, come unica via di salvezza per lui era
quella di mettermi in ridicolo, umiliandomi per innalzare solo se stesso e la sua politica
violenta. Voleva abbassarmi per innalzare se stesso, ma non c’è riuscito. Ha dimostrato
solo inettitudine nel rivestire quel ruolo: no di educatore, ma bensì di diseducatore. Se nel
suo passato, fosse stato un professore, che io mi auguro lo fosse, non si sarebbe
comportato in questo modo. Ma lo era? Ci viene da domandarci spontaneamente, se
questo era il suo comportamento. Cosa c'entra la politica nella scuola? In un posto di
lavoro non deve entrare la politica e non si deve discriminare. Se quel "preside" si sentiva
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un "padreterno" da fare quello che più le piaceva infischiandosi delle leggi e dei
regolamenti perché era un politico di sinistra, in un contesto politico di sinistra sia
nazionale che mondiale, in un governo di sinistra, qualcuno al di sopra di lui doveva
impedirglielo. Ma la scuola cosa fa, perchè non succeda questi fatti? Un tale
atteggiamento doveva essere bandito dalla scuola. C'era discriminazione e vessazione e
cerano dei diritti calpestati. Qualcuno doveva intervenire per licenziare sul nascere tale
comportamento. E, parlo del sindacato che non ha fatto nulla fin dall'inizio del mio
dramma; parlo della procura che non ha fatto il suo corso sull'esposto presentato.
Nessuno e intervenuto, come a voler dimostrare solo complicità con la violenza. Ci viene
da domandarci come la società e la scuola possa aver scelto un tale atteggiamento? E, di
come l’orrore possa passare oramai per normalità. Il "gruppo" era concorde con quella
violenza come a voler dire: sono un vile, e mi schiero col carnefice per salvarmi. Un’altra
osservazione: la mancanza di punibilità! Un violento rimane tale e ne rafforza la sua
violenza se viene lasciato fare, senza che ci sia qualcuno che lo fermi. Quel "preside" non
e stato ascoltato dai suoi superiori e nemmeno fermato nei suoi bassi propositi. Il più delle
volte, la “prepotenza viene provocata per dei fini” e il “violento”, o l' "attore" e cosciente dei
motivi che lo spingono ad agire cosi: in questi casi siamo in presenza di chi “ostenta il suo
potere di comando” per pretendere sottomissione, obbedienza e ammirazione (imposte
quasi sempre con la paura). Sono rimasto solo in quel frangente, e rimasto spettatore
passivo subendo la “prepotenza” del “preside” e del gruppo; nessuno ha voluto prendere
la mia difesa, nessuna solidarietà; nessuno ha voluto contrastare il preside per rovesciare
contro di lui tutte le offese e tutte le accuse. Il tutto, si e svolto tra quattro mura e nel
silenzio della scuola, in un clima facile in cui la prepotenza trova il terreno fertile in cui
crescere e affermarsi (omertà). Solo aiutando le vittime potremmo migliorare questa
società; solo accettando le loro diversità e le loro opinioni potremmo finalmente liberarci da
vecchi stereotipi che ci imprigionano e che non ci danno tregua (…). Il mobbing proseguirà
pure nella nuova scuola, il Marconi di Padova dove prenderò possesso il 1 settembre del
1998; verrò dichiarato "impreparato" a svolgere il ruolo di assistente tecnico e farà seguito
una lettera del responsabile del laboratorio al preside che mi invita ad estraniarmi dal
svolgere qualsiasi attività didattica. Seguirà la visita collegiale attivata dal Gramsci a cui
dovrò sottostare e l'ostilità del preside. Presenterò un esposto in procura sull'attuale
situazione, ma in seguito verrà archiviato: mi allontanerò dalla scuola per mobbing, per il
mio stato di salute e per seguire la mamma ammalata il 19 gennaio del 1999 chiedendo
delle ferie e una aspettativa non retribuita, non concessa dal preside. Ad un incontro col
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provveditore, il preside e le parti, prevedendo una trappola fatta di sole calunnie nei miei
confronti, e non avendo nessun sindacato in mia difesa preferirò non aderire. Rimarrò a
casa per seguire la mamma ammalata. Verrò licenziato il 15 marzo del 1999, e dovrò
restituire due mensilità dal 19 gennaio al 15 marzo. Seguirà la mancata conciliazione
presso il Ministero del lavoro a settembre del 1999 e l'inizio del ricorso d'urgenza ex art.
700 per motivi economici del lavoratore: prima udienza 21/10/1999 e bocciatura del ricorso
nel 2004. Dal 1999 fino a oggi, 2018, pochissimi saranno i lavori e, lo saranno per lo più a
tempo determinato, nei servizi, con ancora un licenziamento.
Quel problema non risolto sul nascere
Il sindacato autonomo di Padova è il primo vero responsabile della mia “morte”. Non c’è
nessuna attenuante che lo salvi dalla sua indifferenza. Appena assunto nella scuola mi ero
iscritto per essere tutelato come tutti i lavoratori di questo mondo. Lo avevo scelto, perchè
di quel sindacato mi fidavo, e lui ne era parte integrante: rifuggivo dalla politica, non volevo
farne parte, e quel sindacato cosi autonomo ed indipendente mi conquistava. Ma invero
che non era così! La politica dominante "comunista" in quegli anni di “comunismo
nazionale” aveva il suo dogma principale: la conquista del potere e, quel sindacato cosi
autonomo ed indipendente alla fine cederà al potere politico, da lasciarmi nelle mani dei
miei carnefici. Ma andiamo al nocciolo del problema! Tutto ruota sulla mia dequalificazione
appena assunto; come mai lo Snals non e intervenuto subito al mio appello? Eppure,
essere intervenuti subito sul nascere del problema, avrebbe voluto dire fermare la
persecuzione che si stava instaurando per “gettarmi” fuori dalla scuola. E, invece si è
preferito sorvolare perchè reagisca e diventi un martire della follia dell’uomo. Ma se
guardiamo bene tutti e tre i sindacati – a cui di volta in volta mi ero iscritto nella scuola
durante il periodo del lavoro - hanno la loro responsabilità: uno sul discorso
dequalificazione e discriminazione (premio incentivante) sorvolato, due sul fattore
cosiddetto “trasferimento” di ufficio per “incompatibilità ambientale” sorvolato, ed infine il
tre sul licenziamento, sorvolato. Ma andiamo al fulcro del primo problema appena assunto:
la dequalificazione. Ero entrato nella scuola con la qualifica di “assistente tecnico” di
laboratorio. Per la scuola e una qualifica significativa di supporto all’area insegnanti, e che
si inquadra nella categoria degli impiegati. L’ art. 2 della legge 13-5-1985 n° 190, lo dice:
gli impiegati sono lavoratori che svolgono prestazioni non esclusivamente manuali, di
concetto o di ordine, e che godono di una certa autonomia e responsabilità, tanto maggiori
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quanto più e alta la qualifica o il livello. Le mansioni sono le prestazioni lavorative che il
lavoratore e concretamente chiamato a svolgere in seno alla qualifica. Il lavoratore deve
essere adibito alle mansioni per le quali e stato assunto (lo prevede l' Art. 2103 C.C., e
pure lo Statuto dei lavoratori 15/b), o a mansioni equivalenti, e non viceversa, e comunque
senza alcuna diminuzione di retribuzione. E’ esclusa pertanto l’adibizione del lavoratore a
mansioni inferiori: qualora ricevesse direttive in tal senso ha tutto il suo diritto nel rifiutarsi
di svolgerle, il che indica nel prestatore un fine “mobbizzante” che coincide col tentativo di
“stancare” il lavoratore per indurlo a dare le dimissioni. Può, invece, il lavoratore essere
adibito a mansioni superiori, questo si! (ciò che non e successo nel mio caso), ricevendo
la retribuzione corrispondente. Non può passare inosservata neppure la discriminazione
economica del premio incentivante, come prevede l' art. 16 dello Statuto che afferma: “E'
vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere
discriminatorio...” Perchè giudici e avvocati non ne hanno tenuto conto nella causa di
lavoro del 1999? Sono stato una vittima del “mobbing”! Sono troppe le coincidenze:
l’umiliazione, da subito nel mandarmi in altre scuole per “imparare” a fare l’assistente,
mentre sappiamo che la mia professione era solo di supporto al docente; la
dequalificazione, nell’insistenza a svolgere altri lavori, no di livello superiore, ma bensì di
livello inferiore, lasciando, se possibile il laboratorio di chimica chiuso e, poi la mancata
premiazione a fine anno col “premio incentivante” dato per legge a tutti i dipendenti. Ma
perchè usare queste maniere meschine per sbarazzarsi dell’inutile? Perchè di fronte ad
una legge (assunzione legalizzata) e quello di usare l’abuso e l’inganno, il cosiddetto
“mobbing” (politico o non), al fine di lasciarmi senza lavoro. Ma che cos’è il “mobbing”, se
vogliamo chiamarlo cosi, termine usato ai giorni nostri? Si ha “mobbing” quando il
prestatore di lavoro pone in essere una pluralità di comportamenti, inquadrabili in un
disegno unitario, che abbiano un effetto vessatorio nei confronti di un lavoratore. Per
aversi “mobbing”, quindi, non è sufficiente una singola azione (anche se grave ed
illegittima) da parte del datore di lavoro (in questo caso lo Stato, essendo il “preside” un
dipendente dello Stato), ma è necessario che egli ponga una pluralità di azioni dannose; e
qui ci sono tutte: l'insistenza del Provveditorato nel designarmi “quella scuola”, l’
umiliazione nell’andare in altre scuole per “imparare” la mia professione, la
dequalificazione della propria professione, la discriminazione ripetuta del “premio
incentivante” negato, la violenza psicologica. Ma se vogliamo essere sinceri, ho subito
pure un “mobbing politico”, credo che sia un’altra verità, più plausibile, essendo neutrale e
non di parte; si è voluto allontanare un “non appartenente alla politica del momento”, un
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“non comunista”, un non schierato - diciamolo - da una “scuola politica” com’era il
Gramsci, in un evento decisamente politico della città, della nazione e del mondo.
L’illusione del “nuovo”
A Maggio del 1998 avvio il procedimento per il trasferimento presso il Marconi di Padova.
Questa volta, il sospirato trasferimento avviato dal Provveditorato, mi verrà concesso, e
sarò pronto ad insediarmi a settembre del 1998; ma nubi sempre più minacciose
incombono sul mio futuro. E’ il primo di settembre di sole del 1998; un 1998 segnato da
forti tensioni nel governo di sinistra e con una opposizione inesistente. Una conflittualità
accentuata sul caso crack della Borsa, innescata dal crollo della Borsa Russa ad agosto, e
il malcontento degli investitori sui media - lavoratori per la maggiore, tra cui il sottoscritto -,
sempre più accentuato nell'avere delle spiegazioni plausibili dal governo, ciò che non si
avvera. C’è il terremoto dell'Umbria del 1997 con i suoi strascichi e i suoi lutti che
coinvolge il 1998. Prendo possesso della nuova realtà: una nuova scuola per poter
finalmente voltare pagina e dedicarmi con più impegno al nuovo lavoro. Non so cosa mi
aspetta, domando fra me e me. Sono ignaro dell’evento, e credo, di aver lasciato alle
spalle il dramma di anni di oppressione, di una politica “comunista” che non si addice,
l’ostilità, la violenza, la follia dell'uomo. Sono soddisfatto della nuova scuola, sono allegro,
spensierato perché ho fiducia che non ci sia più la politica, ma solo il lavoro, il merito, la
persona. Il Marconi è situato nell’immediato centro cittadino, a ridosso delle mura
cinquecentesche, in direzione dell'Ospedale cittadino - famoso nei primi anni della
contestazione giovanile, fine anni 60’, dove giovani studenti inneggianti alla sinistra
violenta, chiudevano a chiave i presidi e li costringevano a non uscire dalla scuola, se non
sotto ricatto di una promozione -, il Marconi è famoso, per aver dato istruzione a noti
politici locali insediatesi nella stanza dei bottoni. Mi avvicino emozionato ai laboratori posti
al piano terra dell’edificio; sono molti, dislocati in un lunghissimo corridoio: uno, in
particolare, prende la mia attenzione. E’ quello del responsabile dei laboratori che fa capo
al laboratorio di Macchine a fluido e Automazione. Lo trovo chiuso, e con pazienza,
aspetto che qualcuno si faccia vivo per darmi il benvenuto. Il tempo passa e non si fa vivo
nessuno. Faccio visita, in altri laboratori per presentarmi e stringere amicizia con altri
assistenti e raccogliere informazione sulla mancata apertura del laboratorio, ma nessuno,
con distacco e freddezza, sa darmi spiegazione. Quel primo giorno di lavoro passa, quasi
senza nessun riscontro. Lo stesso dicasi per il 2, 3 settembre: il laboratorio rimane chiuso.
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Sono costretto a passare così il mio tempo nel corridoio adiacente i laboratori senza che
nessuno si prodighi per informarmi. Faccio ancora capolino nei laboratori adiacenti per
raccogliere ancora una volta informazioni e per essere aiutato, ma non ci sarà nessun
impegno. Il giorno 3, la svolta: a tarda mattinata, vedendo la situazione ristagnare, prendo
l’iniziativa e mi rivolgo in presidenza posta al primo piano. Gradisco incontrare il preside
per un colloquio cordiale, e con quella scusante, presentarmi come il nuovo assistente
tecnico della scuola. Il preside, è presente, ma si rifiuta di ricevermi. Perplesso, chiedo,
gentilmente a un funzionario addetto alla segreteria, le chiavi del laboratorio per potervi
insediare. Il funzionario avvierà una breve consultazione con il preside, e finalmente
acconsentirà nel darmi le chiavi. Il giorno 4, dopo essermi insediato nel laboratorio,
passerò tutta la mattinata in solitaria, senza che nessuno si occupi di me. Spero molto,
che il preside della nuova scuola mi chiami per un incontro conoscitivo e cordiale. Ma
questa apertura rimarrà solo un'illusione. Finalmente, a tarda mattinata, mi fa visita il
responsabile del laboratorio: una breve chiacchierata, "amichevole", non sembra presagire
il dramma di un avvenimento dalle oscure trame che si ripresenterà da li a poco. Dopo
aver lasciato il laboratorio, il responsabile si ripresenta per farmi firmare un atto che mi
vede come un usurpatore di una professione non certo mia, allucinante! Sono sconcertato
da tale comportamento: non apprezzo firmare quell’atto che lo definisco un’ autoaccusa;
ma sono costretto sotto morbida minaccia. Siamo rientrati nella follia dell'uomo e l'illusione
del “nuovo” è svanito nel nulla. Per non creare ancora tensione, firmerò quell’atto, che mi
denigrerà e mi metterà in stato di accusa. E’ il primo segnale di una ostilità, che mi porterà
in seguito a ridimensionare la mia fiducia in quella scuola.
La follia dell’uomo
Tutti sanno, più o meno, per chi mi conosce - quando mi riferisco alla follia dell’uomo -, a
cosa intendo. Non è che sia passato molto tempo da allora, quando il totalitarismo del
nazismo, del fascismo e del comunismo del XX° secolo dominò la scena mondiale con i
suoi crimini. Sembrano lontani quei tempi, dirà qualcuno, ma molto vicini per chi usa
ancora la barbarie, come arma per colpire un suo fratello. C'è una frase del Vangelo in cui
è racchiuso tutto il suo significato: "Non fare agli altri, quello che non venga fatto a te".
Ogni nostra azione illecita è il risultato della nostra esperienza. Chi lo fa per negligenza,
imprudenza, imperizia e allora non c’è nessuna colpa. Ma c’ è chi lo fa in piena coscienza
con l’intenzione di arrecare un danno per il gusto di farlo; allora qui siamo di fronte a chi
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usa l’atto illecito solamente per far del male. Uscivo da una situazione non certo
lusinghiera quella del Gramsci, ma ero fiducioso della nuova scuola, nonostante subissi,
pure, - con una perdita considerevole di investimento in denaro -, il crack della Borsa
Russa ad agosto. Ma, come me, erano migliaia gli investitori, - lavoratori, in gran parte - a
venire defraudati dei loro risparmi. Non ne facevo un grande dramma, torno a ripeterlo, e
sulla nuova scuola, il Marconi avevo posto tutte le mie nuove speranze. Ma non fu così!
Sembrava, che si volesse concentrare tutti gli avvenimenti negativi del momento, per
eliminarmi del tutto con una mia reazione ai molti problemi. Quella dichiarazione così
assurda che non ero in grado di gestire il lavoro, che - definisco "atto responsabile" -,
presentatemi dal responsabile del laboratorio, così all’improvviso, mi indusse a ritenere, -
come di normale routine ero abituato -, ad una provocazione scellerata, di bassa cultura,
per togliermi di mezzo, subito, appena dopo quattro giorni di scuola: come a voler dire
"togliamoci il peso inutile, da subito, senza molti perché". Come pure, l’indifferenza dei tre
giorni, costretto a passeggiare sfaccendato nel corridoio della scuola senza che nessuno
si prodighi per la mia mancanza di lavoro. Non è consentito, questo! E, ancor più grave,
l’aver chiesto al secondo giorno, un appuntamento al preside, e, questi, di non ritenere di
ricevermi. Questo era già un bruttissimo segnale, che equivaleva a non essere accettati in
quella scuola. Ma dov'era finito il diritto al lavoro della nostra Costituzione? Ma cosa
sarebbe successo, se avessi rifiutato di firmare quell’atto, com'era presumibile? Avrei
aperto un conflitto, e io ne sarei stato il responsabile con conseguenze non certo piacevoli.
Ero senza sindacato in quel momento, ero solo e, quindi avrei avuto da subito un richiamo,
magari in presidenza per un comportamento fuori dalla norma. E, dunque sarei passato
dalla parte della ragione al torto. Meglio, così, dunque!: aver firmato, ha voluto dire
smorzare la tensione che in quel momento era altissima, non da parte mia, ma da chi
voleva che io cadessi in quel meschino gioco. Analizzando il contenuto dell’atto "firmato",
quello che ne esce è la dichiarazione nel dimostrare la mia “incapacità” lavorativa –
assurdo pensare questo –, e nel “non dover svolgere un qualsivoglia lavoro in quel
laboratorio”. Nulla di tutto questo, aggiungo io, semmai il contrario: Il bisogno di lavoro era
primario, e a quel responsabile avevo fatto notare la mia disponibilità, che la mia
esperienza al computer era più che sufficiente per la didattica (avevo fatto da poco un
corso di Cad in quella scuola), come pure la mia buona volontà nell’intraprendere nuove
esperienze lavorative, e prontissimo a collaborare, proficuamente, se necessario per il
bene della scuola. Queste le mie parole, ma fraintese per un fine ben preciso - che noi tutti
conosciamo -, dopo, che avevo pure, aggiunto che l’esperienza al Gramsci era di tutt’altro
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indirizzo, avendo seguito più precisamente la Fisica e la Chimica, e non l’Automazione di
Macchine a fluido liquido: ben disposto, comunque ad intraprendere nuove esperienze. Ma
le scusanti, erano ovvie, se l’obiettivo era la prepotenza e la provocazione. Ma il preside
era al corrente di questo?
Gennaio 1999, gennaio 2019
In queste righe racconto la mia odissea del lavoro e lo faccio con critica costruttiva; nello
stesso tempo lancio la mia “accusa” polemica all’”autorità scolastica” e “giudiziaria” per
avermi preso in giro e domando se questo è il loro normale comportamento di una
“autorità civile” di un “paese civile”? Chiedo giustizia, questo sì, per tutto il male
arrecatomi! E la chiederò finché avrò occhi aperti! Siamo al Marconi di Padova, famoso
istituto tecnico superiore di Padova. E’ il gennaio del 1999, e da alcuni mesi, lavoro presso
l’istituto tecnico, dopo il mio travagliato trasferimento dal Gramsci di Padova, scuola ostile,
con il suo preside, che non mi accetta. Pure qui troverò lo stesso clima; sono i fatti e le
prove evidenti dei documenti ad indicare la gran voglia di finirmi del tutto! Il Marconi è
“presumibilmente di centro/destra” - mi dico - con un preside di “centro/destra”, in netto
contrasto con la politica di “sinistra” del Gramsci, dovrei trovarmi a mio agio, ma invece
non è così! I miei nemici di qualunque “colore” appartengono, non si fermano: sono
instancabili, implacabili, insaziabili e, - nonostante la lettera del nuovo sindacato di
“destra”, per fermare l’ostilità e la violenza -, non si perdono d’animo, e attuano ancora nel
loro ozio quotidiano, infiniti inganni. Innumerevoli sono i richiami disciplinari da parte
dell’”amministrazione scolastica” su cose di poco conto; i continui richiami in presidenza
con minacce e lettere diffamatorie e calunniose nei miei confronti. In questo clima stanco
della “prepotenza di potere” vorrei lasciare definitivamente la scuola. Ma, è in questo
preambolo che giungerà inaspettato nel gennaio del 1999 il dramma della mamma che si
ammala, pressata pure lei dagli eventi. Sono sotto tensione, e domando al nuovo
sindacato, che sono iscritto da novembre del 1998, il da farsi: il sindacato “mi inviterà a
mettermi di nuovo in malattia”. Sapendo il mio trascorso precedente, rifiuto e chiedo se è
possibile prendere delle ferie. Il sindacato, mi rassicura che posso andare in ferie
tranquillamente, e mi promette una soluzione per un nuovo trasferimento. E’ il 19 gennaio
del 1999, rimango a casa a fianco dell’anziana madre e nel contempo spedisco la lettera
per il diritto alle ferie. Le ferie vengono rigettate. Mi rivolgo al sindacato che a sua volta mi
invita a fare una richiesta di “aspettativa non retribuita”, che verrà rigettata pure questa.
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Ritorno dal sindacato che lo vedo, stranamente, indifferente, e a peggiorare la situazione
si mette pure l’avvocato del sindacato che stranamente decide di “uscire dal sindacato” e
di lavorare presso il suo studio privato. Capisco la verità, che sono ancora una volta solo;
rimango vicino all’anziana madre lo stesso, e non voglio più tornare in quella scuola lager.
La mia dignità di uomo è ferita da questo ignobile trattamento disumano. Il tempo passa.
Sono già dieci i giorni che sono “assente” dalla scuola e la scuola “pretende”, tramite
lettera il mio rientro al lavoro, “urgentemente”. Mi rivolgo di nuovo al sindacato che lo vedo
evasivo e non interessato più al mio dramma. Decido di giocare l’ultima carta, personale,
quella di un trasferimento immediato di ufficio (mobilità legale in un altro ente, al pari di
qualifica). Scrivo la lettera e la spedisco alla scuola, ma pure questa si rivelerà un
ostruzionismo duro e puro da parte della scuola e, io sceglierò di restare vicino all’anziana
madre. E, di seguito la lunga cronologia dei fatti che mi porterà a sfiduciarmi sempre di più
e a mettere fine nel 2004 (“rigetto” della causa di lavoro) ad una lunga persecuzione fatta
di solitudine, inganni, tradimenti, doppio giochi e corruzione. Mi arriva una convocazione in
Provveditorato per essere sentito in mia difesa; prevedendo una trappola fatta di ingiurie e
calunnie, e senza nessun sindacato in mia difesa, preferirò non aderire. Il “decreto di
licenziamento”, mi giunge inaspettato, il 15/03/1999 - nonostante sia iscritto al sindacato -
ma retroattivo al 19 gennaio del 1999 (primo giorno di “assenza” dalla scuola), il che sono
costretto – sotto minaccia di confisca dei beni propri – a restituire al ministero del tesoro il
“maltolto” dei giorni che sono rimasto a casa (lo stipendio di fine gennaio, il mese di
febbraio e l’inizio di marzo che lo “stato benevolo”, mi ha concesso. Darò informazione del
mio dramma per far capire le mie giuste ragioni, ma i mezzi di informazione (media) mi
ignorano. E, di seguito, la mancata “conciliazione” presso il ministero del lavoro (settembre
1999); l’inizio del ricorso d'urgenza ex 700 (ricorso per motivi economici del lavoratore)
con udienza del 21/10/1999 e la deposizione dei testi a mio favore, il che mi prelude già la
vittoria (è il mio avvocato a dirlo, quello uscito dal sindacato...), e invece il tutto viene
rigettato (28/10/1999). La lunga “commedia” estenuante con una “udienza conciliante”
(17/12/1999) e la mia presentazione di due lettere di replica ad accuse infondate da parte
dell’amministrazione del provveditore. Il mio avvocato che lascia il posto ad un suo collega
il giorno stesso dell’udienza. La controparte, del provveditorato che “chiede tempo” per
visionare gli atti per controbattere. Il giudice che rinvia al 15/02/2000. E poi ancora la
presentazione di memoria il 20/01/2000 da parte del mio avvocato senza la mia
consultazione e l’autorizzazione (si chiedeva un “risarcimento” , mentre io insistevo per
rientrare nella scuola o in un altro ente). La revoca al mio avvocato e, di risposta un conto
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super salato per il lavoro svolto. Udienza del 15/02/2000 con revoca dell’avvocato di fronte
al giudice e fissazione nuova udienza per il 28/03/2000. Udienza del 28/03/2000 con
costituzione nuovo avvocato, e rinvio al 12/05/2000. Udienza del 12/05/2000 con mia
deposizione personale; il nuovo avvocato chiede termine per presentazione, nuovamente,
“nuova memoria istruttoria” con documentazione. Il giudice accetta e fissa termine per la
presentazione il 30/06/2000 e fissa nuova udienza per il 21/09/2000. Il mio nuovo
avvocato “chiede la revoca” perché “minacciata”. Presento – personalmente - entro il
termine prefissato del 30/06/2000 memoria istruttoria. Sono alla ricerca di un nuovo
avvocato, lo trovo, dopo “molti avvocati”, di “centro/destra” che “rifiutano”; e, seguiranno in
seguito nuove udienze, una in media ogni anno fino al 2004. Sfiduciato non presidierò più
le udienze, sarà il mio avvocato (centro/destra) a seguire l’”iter giudiziario” e tutto per un
fine già auspicato: la “bocciatura” del ricorso, avvenuta durante il governo di “centro-
destra” (11/06/2001 - 17/05/2006).
Non mi arrendo!
Un “iter burocratico” con un “vizio di forma”, doveva stravolgere la causa di lavoro tutto a
mio vantaggio; ma “quel giudice” non lo ritenne opportuno, e sorvolò – volutamente - per
far vincere il Ministero dell’Istruzione a danno del sottoscritto. Nella primavera del 2004, la
causa intentata, venne respinta “confermando il licenziamento”. “Bastava che quel giudice
ritenesse “inopportuno” il procedimento burocratico del “decreto di licenziamento”, che ora
sarei di nuovo a lavorare nella scuola. Ma invece il giudice “sorvolò” su quel “vizio di
forma” tanto apparente da non ingannare nessuno, prendendo la via del “confermato
licenziamento”. Il vizio di forma era evidente, sono i documenti a parlare, e quanto basta
per annullare il licenziamento: pure ora!; basta prendere in esame la prima adunanza del
consiglio di amministrazione provinciale del personale ATA del 9 marzo 1999 presso il
Provveditorato di Padova che “rinvia” ad un’altra riunione (data da definirsi) per vagliare
una possibile mobilità e non il provvedimento di decadenza. E invece, quasi all’improvviso,
il giorno seguente, il 10 marzo 1999, viene “decretato il licenziamento” al sottoscritto senza
nessuna attenuante e scusante e tutto all’improvviso e con “urgenza”. Perché tutta questa
fretta? Perché c’era qualcuno che poteva avanzare qualche aiuto al sottoscritto?
Diciamolo! Oppure c'è dell’altro? Avevo chiesto pure “l’aspettativa non retribuita” oltre alle
ferie. Che cos’è l’aspettativa non retribuita? E’ un’ assenza prolungata dal lavoro per motivi
famigliari senza indennità di stipendio, dunque nessuna spesa per lo Stato. Non ero
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riuscito, vuoi la sofferenza dell’anziana mamma e vuoi l’ostilità pressante della scuola ha
inviare il prezioso documento. Tale documento, in fase di istruttoria venne consegnato al
giudice, ma il giudice “sorvolò ancora una volta” e non lo ritenne “importante” ai fini della
causa, nonostante il certificato portasse la data (3/03/1999) antecedente il “decreto di
licenziamento” e pur sapendo che quel “mancato certificato” in fase di aspettativa “era
stato considerato l’inghippo per avviare il licenziamento in tronco”. Perché questo
comportamento? E perché il mio avvocato, non è intervenuto? Perché il giudice – ora –
“non lo ritenne importante” ai fini della causa per il reinserimento? Poi di sicuro c’è l'ex 700
(riammissione urgente del lavoratore per motivi economici, dicembre 1999) “bocciato” dal
giudice di prima udienza ..., perchè? Non avevo diritto di lavorare?... e, l'avvocato, che
dovrebbe tutelare i tuoi diritti, presente in quel momento, a cosa serve? E, un tribunale, a
cosa serve? Lo “Statuto dei lavoratori”, che allora c’era, è stato completamente stravolto,
come pure la Costituzione con il suo “licenziamento antisindacale” e inopportuno (il diritto
dei lavoratori a non subire "licenziamenti arbitrari" con le norme sui licenziamenti dettate
dalla legge 15 luglio 1966, n° 604 e giustificate dalla Corte Costituzionale e inoltre lo
Statuto dei lavoratori con la legge n° 300 del 1970 in materia di "licenziamenti
antisindacali" operabile pure nelle amministrazioni pubbliche, a prescindere dal numero
dei dipendenti (art. 55, comma 2, decr. Legisl. 3 febbraio 1993, n° 29), nonché apposite
norme per le controversie in materia di lavoro, ispirate a criteri di rapidità e di semplicità di
forma (L. 11 agosto 1977, n° 533 introdotta nel codice di procedura civile)! L'”iter” per la
"riammissione in servizio" è stato "bocciato" a dicembre del 1999, con la fine del governo
“comunista” (21/10/1998- 22/12/1999). Qualcuno a livello ministeriale, dovrebbe dare
risposte (ma forse non le darà mai!); prendere seriamente in mano il caso e riaprire dopo
venti anni la causa di lavoro sarebbe opportuno, considerata a tutti gli effetti “non
giustificata” e fuori decisamente da ogni regola civile, costituzionale e giudiziaria.
Diritti violati
Come la possiamo chiamare questa “Odissea” - chiamiamola così... (l’ Odissea di Ulisse fu
un atto di eroismo, per me non lo è stato) - di tutta questa "lungaggine", o “divertimento” di
“allungare i tempi”, nel non dare ragione al sottoscritto (erano tante le ragioni) con inghippi
di ogni genere e, quindi non dare per certo la vittoria? Buon tempo o sadismo? Tutti e due,
a mio avviso. Ma prendiamo il secondo come esempio: sadismo è una perversione
deviante il cui soddisfacimento è legato alla sofferenza (fisica o psicologica, … per me lo è
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stato!), o all’umiliazione; spesso il sadismo è dovuto ad esperienze legate a complessi di
inferiorità: il sadico torturando la sua vittima si libera dai suoi complessi. Queste decisioni,
per quel che può sembrare sono venute dall'alto: dunque il potere ha bisogno di liberarsi
da certi complessi, perchè è inferiore? Certamente si. Ma qui, certamente c’è dell’altro: il
voler “non riconoscere” alcuni diritti fondamentali dell’uomo e voler stravolgere il senso
vero del diritto costituzionale e, poi viene senz’altro il “principio vero della legalità”
calpestato. Prendiamo per esempio il diritto al lavoro, l’art. 1 della Costituzione: “l’ Italia è
una repubblica democratica fondata sul lavoro”; tutto normale quindi? Decisamente no. Mi
viene alla memoria un discorso dell’allora Presidente della repubblica Scalfaro, in un 1
maggio del 1997 tutto particolare con nubi minacciose che si addensavano all'orizzonte,
diceva: “…Dobbiamo garantire il lavoro che è un diritto della Costituzione…, se non
garantiamo il lavoro neghiamo la dignità alla persona. Ogni uomo ha bisogno di dignità per
vivere…”. Rabbrividisce questo piccolo stralcio del suo discorso, ma nello stesso tempo ci
invita a riflettere: negare il lavoro è come imbrattarsi le mani di sangue innocente, un
cinismo crudele e malvagio che prima o poi – è la storia ad insegnarcelo – travolgerà chi lo
ha intrapreso. Non servono le parole o le spiegazioni in fatto di diritto, chiunque è capace
di intraprendere che solo l’ “abnegazione del diritto” sia stato il fondamento principale del
mio dramma. Il sistema di uno “Stato moderno” è quello di garantire il rispetto di tali diritti
riconoscendoli come “valori superlegislativi” al di sopra degli interessi di classe, al di sopra
del materialismo dei consociati, al di sopra delle ideologie, al di sopra delle combinazioni
dei partiti politici, al di sopra delle diversità, al di sopra della “licenza” dei singoli,
permessa, intesa come tirannia nella restrizione delle libertà altrui è, dunque giustificata
con la volontà di “uccidere”. L’ Italia, quello “Stato moderno” auspicato, intrapreso con
grande difficoltà sembra aver invertito la rotta. Quei diritti universali, duramente
conquistati, “fondamentali, essenziali, insopprimibili, imprescindibili, irrinunciabili, eterni,
sacri” devono porsi al di sopra dell’uomo e devono qualificarsi “inviolabili”, come lo
prevede l’art. 2 della Costituzione. E, naturalmente viene di seguito il “principio della
legalità” (venuta a mancare nella causa di lavoro e in altri procedimenti giudiziari),
essenziale e primario in un concetto “sociale moderno”: che cos’è? E’ il cardine fisso dello
“Stato moderno” a cui si fa fede nella Costituzione e dove sono indicati i punti fissi del
modello di vita sociale da intraprendere, per i singoli cittadini e per l’organizzazione
statale, da cui lo stesso legislatore non può decampare, pena la credibilità dello Stato:
ricordiamo lo “stato di diritto”, come diritto di tutela delle posizioni personali (bene collettivo
personale) e come forma di “coordinamento sociale” per promuovere le migliori condizioni
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di vita per la collettività. Quando viene a mancare questo “stato di diritto” del singolo, il
tutto si ripercuote sull’intero sistema collettivo. Il “bene comune” tanto enfatizzato di questi
tempi, si persegue solamente con il contemperamento di tali funzioni positive che fanno
dello Stato uno “Stato moderno” e, a cui va aggiunto la tutela delle libertà fondamentali ed
indispensabile dei diritti e la promozione del bene concreto che ognuno esercita in se
stesso (in altre parole, la tutela primaria dei valori fondamentali inseparabili del “diritto e
della giustizia”). Tutto questo mi è venuto a mancare: sia lo “stato di diritto” e pure della
“giustizia”. Quello “Stato di diritto” - così evidente - racchiuso e sancito nella nostra
Costituzione del 1948, nei Diritti universali dell'Uomo del 1948, della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo del 1950 e nella Costituzione Europea del 29 ottobre del 2004. Ho
ragione io, quindi, quando chiedo la verità!
Siamo tutti responsabili
Tutti potevamo fare qualcosa, ma non lo si è fatto. L’ ex 700 “respinto” per “inadeguata
giustificazione”; verrò licenziato il 10 marzo del 1999, con un decreto, Prot. N°
38/riservato/Cl, firmato E.R., Provveditore di Padova. A nulla sono valse le richieste di ferie
inoltrate al preside della scuola Marconi e, neppure la richiesta di una aspettativa non
retribuita, che - allo Stato non sarebbe costato nulla - e, neppure la mobilità per
andarmene dalla scuola nella speranza di approdare in un’altro ente. Niente di tutto
questo!: il sottoscritto lo si voleva eliminare come da copione. E, così, lo si è fatto,
incuranti del danno che si arrecava ad una persona; senza un briciolo di scrupolo, nè di
rimorso, ma con un peso che resterà insopportabile nella storia di questo paese. Molto si
poteva fare, ma non lo si è fatto per trovare un accordo e per darmi dignità: il cinismo
deplorevole e scellerato deve venire prima della ragione, prima del bene prezioso che è la
vita di un uomo. Tutti siamo responsabili, nessuno è escluso, e non serviranno due o tre
generazioni per purgare tutto il male arrecato. Si poteva fare qualcosa..., ma si è preferito
stare fermi, volgendo lo sguardo altrove..., infischiandosene... Io, mi chiedo, come si fa ad
uccidere una persona..? Presenterò un ricorso, come da prassi al Ministero del Lavoro nel
luglio del 1999, un “iter burocratico”, snervante che approderà al nulla. Il Provveditorato
resterà caustico nelle sue decisioni. Poi sarà la volta dell’impugnazione vera e propria
davanti al Tribunale di Padova con l’ex 700 c.p.c. Ma c’è qualcosa che non quadra: tutti i
licenziamenti del pubblico impiego, che avvenivano prima del mio licenziamento (1999),
seguivano il normale iter di ricorso al TAR del Veneto (la via più semplice e meno
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dispendiosa per un lavoratore). Ora, da poco tempo, da alcuni mesi, questo
provvedimento, con un apposita legge regionale è passato alle competenze del giudice
ordinario locale della città. Vediamo, intanto cosa dice l’ ex art. 700 c.p.c. : "Il ricorso ex
art. 700 c.p.c. è rivolto ad ottenere un provvedimento d'urgenza atipico che salvaguardi,
nel tempo occorrente per giungere ad una decisione di merito, il diritto del ricorrente che è
minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile. I presupposti per il ricorso ex art.
700 c.p.c. sono, naturalmente, la sussistenza del "periculum in mora" e del "fumus boni
iuris" e l'insussistenza di provvedimenti cautelari tipici applicabili alla fattispecie oggetto del
ricorso. L'art. 700 c.p.c. stabilisce, infatti, che “fuori dei casi regolati nelle precedenti
sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente
per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio
imminente e irreparabile, può richiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza
che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti
della decisione sul merito”. Al ricorso ex art. 700 c.p.c. si applicano le disposizioni di cui
agli art. 669 c.p.c. e ss. previste per tutte le misure cautelari. La domanda va presentata al
giudice competente anche per il merito mentre, in corso di causa, la competenza
appartiene al giudice cui è stato assegnato il procedimento. Da questo, possiamo deludere
quindi, che la costante giurisprudenza di legittimità e di merito dell’articolo, è al fine di
evitare il rischio che la tutela cautelare assuma una funzione surrogatoria, nei confronti del
processo del lavoro, per sua natura rapido; ritiene, altresì, che sia necessario un
accertamento puntuale e preciso circa la sussistenza dei requisiti essenziali, cui è
subordinato il ricorso alla tutela d'urgenza. In merito a un licenziamento per giustificato
motivo, oggettivo, è onere del ricorrente fornire la prova in ordine alla situazione di
"vulnus" alla vita familiare e di relazione temibile nell'arco della durata del giudizio
ordinario. Inoltre è preferibile perchè più conforme alla ratio dell'art. 700 c.p.c.,
l'orientamento secondo cui deve escludersi che in caso di licenziamento illegittimo il
"periculum in mora" sussista in “re ipsa”. Il ricorso intrapreso verrà depositato in
cancelleria del Tribunale di Padova il 30/09/1999 e avviato con una prima udienza il
21/10/1999 davanti al Giudice del Lavoro con R.G. N° 11483/1999. Il breve procedimento
avrà tre udienze, ma non si toccherà il tema principale del "periculum in mora" e di
"vulnus" alla vita familiare, e, al ricorrente non sarà dato di fornire la prova in ordine alla
situazione della sua vita familiare: verranno sentiti dei testi (i principali professori di
laboratorio, con cui io collaboravo attivamente); parleranno proficuamente del profitto, ma
non "indicheranno" se io svolgevo lavori inferiori. In seguito alle ricorrenti udienze,
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verranno depositati altrettanti documenti integrativi comprovanti l’"assenza dalla scuola", la
richiesta di ferie e di aspettativa non retribuita inoltrate alla scuola e rigettate dal dirigente,
per il diritto ad assistere la mamma ammalata (allegando pure il certificato del medico,
datato 03/03/1999, in cui si fa fede, che la mamma è gravemente ammalata e ha bisogno
di continua assistenza da parte del figlio) e, di altre memorie integrative a favore del
procedimento e della causa, e per ultimo, il bisogno estremo di lavoro come richiama l'art.
1 della Costituzione. Ma nonostante tutto il bene possibile, il 27/10/1999, il ricorso verrà
normalmente "respinto" per una "inadeguata giustificazione" all’assenza, firmato U. G.,
Giudice del Lavoro del Tribunale di Padova.
Libertà di perseguitare
La persecuzione in Italia non è mai stata presa come un reato vero e proprio, come a voler
dire - "libertà di perseguitare" - , eppure c’è una legge del codice penale che la richiama,
vecchia di un secolo ed è il "reato di molestia", ma, non viene applicato. Il sottoscritto
poteva essere tutelato da questa legge, ma si è lasciato fare per uccidermi ancor di più.
Ma cosa ho fatto di male per essere punito così duramente? Ho portato avanti le mie
ragioni questo sì, ma non ho fatto nulla di male, eppure sono stato perseguitato; perché
“diverso”, perché “giusto”. I miei persecutori dei vendicativi, uomini portati alla vendetta per
affronti di poco conto, uomini spesso frustrati, imbecilli e dominati dal male. In quelle due
scuole c’era la pazzia, c’era la malvagità: non c’era Dio! Quel preside politico di sinistra del
Gramsci era un inetto nel portare avanti la sua carica di responsabile in quella scuola, ma
lo si lasciava al suo posto. Tutti sapevano della sua stupidità e della sua idiozia che
aleggiava, ma nessuno (istituzioni scolastiche comprese) interveniva e, il silenzio era
d’obbligo. Erano tutti della "stessa pasta", "tutti comunisti". In quel clima di omertà vivevo
l’inferno sulla terra. Chiedevo aiuto, "rimanevo a casa", ma nessuno interveniva; venivo
lasciato solo nelle mani dei miei carnefici per eliminarmi definitivamente. Presumevo la
mia eliminazione, ma pretendevo almeno un minimo di giustizia di tutto il male che il
"potere imbecille” mi aveva procurato, ma soprattutto la verità. Era un mio diritto
sacrosanto! Un dovere, che questo potere, prima o poi dovrà elargire, pure ora a distanza
di anni se non vorrà essere perseguitato a sua volta dai rimorsi. Avevo presentato, la
denuncia al Tribunale di Padova che includeva la violenza e la minaccia nei miei confronti,
c'erano tutti i presupposti del reato: ma quella denuncia, non ha avuto seguito e il tutto è
stato archiviato. Il reato di "minaccia" - vorrei ricordare -, (Art. 612. – Chiunque minaccia
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ad altri un ingiusto danno (…)), deve considerarsi “reato formale di pericolo” e, come tale,
non postula l’intimidazione effettiva del soggetto passivo, essendo sufficiente che il male
minacciato (la "minaccia di persecuzione" al sottoscritto fatta dal preside del Gramsci), - in
relazione alle concrete circostanze di fatto -, sia tale potenzialmente da incutere timore, e
da incidere nella sfera di libertà psichica del soggetto passivo.- Sez. 5 sent. 3234 del 25-3-
82 (ud. 1-12-81) rv. 152957. Anche le frasi intimidatorie pronunciate in forma condizionata
integrano il delitto di minaccia (…). - Sez. 2 sent. 3338 del 3-5-73 (ud. 20-1-73) rv. 124001.
La gravita della minaccia, rilevante ai sensi dell’art. 612 comma secondo C.P., va
accertata con riferimento all’“entità del turbamento psichico” causato al soggetto passivo
dall’atto intimidatorio, turbamento che si desume sia dall’entità del male minacciato, sia
dall’insieme delle circostanze concrete, nelle quali la minaccia è fatta e dalle condizioni
particolari in cui si trovino l’autore del delitto e la persona offesa. – Sez. 5 sent.1451 del
15-2-82 (ud. 9-12-81) rv. 152226. La gravità è ancora più grave quando il proposito
delittuoso si avvera: la mia persecuzione è stata messa in atto nel tempo fino al
licenziamento e, oltre, nella società civile con gli anni che seguirono, con l’abnegazione
del diritto al lavoro. Il delitto di "minaccia", a volte, si integra col delitto di "violenza privata"
(Art. 610 . – Chiunque, con violenza o minaccia, costringe gli altri a fare, tollerare od
omettere qualche cosa (vedi il mio svolgimento a lavori inferiori) è punito (…).; quando
l’autore con la violenza o la minaccia, lede il diritto del soggetto passivo di
autodeterminarsi liberamente costringendolo a fare, tollerare od omettere qualcosa. Al
contrario della minaccia, che ha natura formale, la violenza privata è un reato di danno, nel
quale la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui, e, l’evento
lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l’ha subita. Nel mio caso,
solo lo svolgere – sotto minaccia di persecuzione – un lavoro che non si desidera fare o
tollerare è indice di violenza. Quel preside violento doveva essere punito dall'autorità per il
suo atteggiamento delittuoso. Ma l'autorità ha preferito il contrario: uccidere il più debole,
quello dalle mille ragioni; perchè lo stato non può macchiarsi di un delitto! E, inoltre,
l'"abuso di ufficio" così eloquente nella “revisione” della patente di guida: un iter
angosciante a cui sono stato sottoposto per ben tre lunghi anni, ricorrendo al TAR, con
una spesa non certo indifferente di milioni di lire, perché il Tribunale di Padova "non ne
aveva riscontrato l’abuso". In tema di abuso di ufficio, nella formulazione dell'art. 323 C.P.,
introdotta dalla legge 14 luglio 1997, n° 234, l'uso dell'avverbio "intenzionalmente", ha
portato ha procurare un ingiusto danno (...) - Sez. 6 sent. 42839 del 18-12-2002 (ud. 22-
11-2002) rv. 222860. Dunque, l'intenzionalità e l’abuso era evidente, - come dimostrerà
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pure il TAR, più avanti – ma quel magistrato senza un briciolo di scrupolo non aveva
evidenziato l’illecito.
Odio senza fine
Neppure Marx, il “borghese”, del socialismo “scientifico” venne così odiato e maltrattato
come lo sono stato io; e, neppure diffamato a mezzo stampa. A lui gli venne garantito
qualsiasi diritto, pure la libertà. Dopo l’episodio della "provocazione" in laboratorio al
Marconi, la situazione precipita e si infittiscono le ostilità, senza che io mi renda conto, di
così tanto odio. Verrò ancora sottoposto a gratuite provocazioni in laboratorio da parte del
responsabile, arrivando persino ad “interrogarmi” (dandomi il voto 0- -) su argomentazioni
che esulavano completamente dalla mia professionalità. Riuscirò a sottrarmi, dimostrando
ancora una volta la mia superiorità. Mi arriva inaspettato ad ottobre un “atto
amministrativo”, tramite la presidenza della scuola, proveniente dal Gramsci per
sottopormi ancora una volta a “visita collegiale”. Sapendo il trascorso della prima “visita
collegiale” che mi portò alla “revisione” della patente, mi asterrò da tale “visita”. Finalmente
a metà novembre del 1998, ho l’incontro tanto atteso con il preside (che si rileverà solo
ostilità), e che mi consegna un altro “atto” proveniente dal Gramsci e sul quale devo
"giustificare" la mancata visita. Remore della precedente “visita collegiale” che mi potò
inspiegabilmente alla “revisione” della patente, (abuso di ufficio) spiegai il perché del mio
rifiuto nel giustificare una tale “visita”, aggiungendo, che non so, di cosa trattasi. Quel mio
atteggiamento "inasprisce" il preside, che sotto morbida minaccia mi fa capire che mi sto
“mettendo in una brutta situazione”. Intuisco di non essere gradito e metto al corrente il
nuovo sindacato di “destra”, che prontamente mi stila una lettera da consegnare alla
scuola, per “intimarla” a fermare i suoi “propositi” (27/11/1998). Ma neppure quella lettera
sarà determinante a fermare tali propositi. Tramite l’avvocato del sindacato, che – uscirà,
inspiegabilmente da li a poco dal sindacato per mettersi in proprio -, si stilerà un piccolo
esposto dagli avvenimenti incerti e lo si presenterà in tribunale a Padova (3/12/1998). Ma
neppure con quel esposto - il tribunale interverrà - fermando il proposito. Si arriva così agli
ultimi giri di boa di un dramma che si consuma velocemente nel silenzio di una società che
fa finta di non vedere e di non sentire, e, dove le vittime rimangono vittime. Sono di nuovo
solo, senza nessuna protezione, sono destinato ad essere “eliminato” dalla follia dell’uomo
e nel silenzio più totale. A gennaio del 1999 subirò ancora soprusi, con l’avvio di un
inaspettato procedimento di “sanzione disciplinare” dagli oscuri contorni; dovrò comparire
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di fronte ad una “commissione” in Provveditorato che mi giudicherà: ma, sapendo di
essere solo, non comparirò. E, di seguito, subirò ancora una volta un altro fatto grave di
provocazione in laboratorio, a cui, ancora una volta fortunatamente mi sottrarrò. Intanto
l’anziana mamma si ammala gravemente: corro da lei, e chiedo delle ferie per starle
vicino, ma come si sa, quelle ferie, mi verranno negate. In seguito, - a licenziamento
avvenuto -, e con un governo di “sinistra” - che dovrebbe tutelare i lavoratori, ma non lo fa
per chi si definisce un “liberal-democratico”-, scoprirò il così, di tanto odio: una lettera
spedita prima di settembre del 1998, prima del mio insediamento nella nuova scuola, il
preside del Gramsci scriveva al preside del Marconi per diffamarmi e calunniarmi. Non
capivo il nesso di tutto questo odio. La politica violenta del Gramsci si era trasferita al
Marconi, come a voler dire “tutte le scuole sono uguali”. Ma, io non ne ero convinto. Il
Marconi aveva seguito “quella politica”, a suo insindacabile giudizio, solo ed
esclusivamente per “salvare” la scuola in generale, ma più precisamente il Gramsci e il
suo preside. Non riuscivo a capire il perché, di come il preside del Marconi, che io stimavo,
si fosse attenuto alla malignità del preside del Gramsci. Non so, cosa animasse nei loro
cuori in quel momento, e cosa gli spingesse ad agire così, da offuscare la loro ragione.
Forse, dico, forse, dovevo andarmene dalla scuola, "sottomettermi" (o adattarmi) alle loro
angherie?; strisciare come un verme, umiliarmi, senza un briciolo di dignità: solo così
potevo salvarmi e avere diritto al lavoro? No, non ne ero convinto, perché, arrivati a questi
punti, volevano solo che io reagissi in male modo, per liberarsi, e, quel loro
comportamento voleva dimostrare solo vendetta! E, lo si è dimostrato pure in seguito, con
l'articolo diffamatorio sul giornale, dopo la denuncia, in cui si ammetteva che ero io che
"non mi trovavo a mio agio" nella scuola, mentre nella realtà "erano loro" che avevano
preparato l'"accoglienza" perchè "non mi trovassi a mio agio"; e, poi qui vorrei precisare
per chi mi segue i fatti svolti, e che l'articolo diffamatorio con tanto di nome e cognome
preferisce "non dimostrare": il titolo dell'articolo -“Si sente perseguitato e denuncia tutti”-,
offensivo, in cui si allude che mi “sentissi perseguitato”, mentre nella realtà lo ero, e,
questo è dimostrato dalle prove di molestie (codice penale); l'ambiente difficile in cui
operavo, c'era, ed era dimostrato dalle prove specifiche che trovavano più che riscontro
dai fatti che ero una persona scomoda, da subito; le "visite specialistiche" erano "solo
una", e "non varie" come si scrive nell’articolo; l'abuso di ufficio "era solo del medico"
incaricato di autentificare l'assenza per malattia, e che sottoscrisse invece, al - momento
della giustificazione - un atto falso, non dovuto; il preside e i due insegnanti, era plausibile
che ci fossero, in quanto erano stati menzionati nell'esposto, per il loro anomalo
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comportamento, e "non denunciati" come si allude, ma, chiamati a specificare i fatti: la
procura doveva "solo accertare", se ci fosse o no, l'illecito. Io, Maurizio Bianco, l'odiato
democratico, "non ho mai chiesto l'archiviazione del procedimento" come si dice
nell’articolo, e, - lo sottolineo ancora -, ma ho chiesto la "continuazione del procedimento",
e, dunque, che si sentisse il preside del Gramsci, politico di “sinistra”, quale maggiore
responsabile dell'accanimento “politico” nei miei confronti, appena assunto: ma il
procedimento, che doveva fare seguito su raccomandazione dello stesso giudice, è stato
archiviato (?). In seguito - a licenziamento avvenuto -, presenterò un Esposto in tribunale a
Padova. Ci sarà un “piccolo e fantomatico” “dibattimento processuale” con presenti “solo” il
preside del Marconi e non il preside del Gramsci. Il fatto, verrà pubblicato sul “mattino di
padova” con false allusioni alla verità, diffamandomi (spiegazione riportata sopra).
Presenterò la giusta denuncia in tribunale, per “diffamazione a mezzo stampa”, ma la
giusta denuncia, verrà archiviata. E’ una pagina nerissima di questa Italia che ci
sconvolge, ci umilia, e che ci dovrebbe tutti far riflettere; ma vorrei aprire pure io una mia
parentesi personale su questa triste vicenda: il sottoscritto che “prende il largo” dalla
"politica comunista" ostile del Gramsci, per poi “approdare” al Marconi, nella speranza di
una “libertà” e di una salvezza, e, invece trova una politica belligerante ostile di "destra"
(un “fascismo” con analogie “comuniste”) che mi ostacola ancor di più, e, nello stesso
tempo, asseconda la politica comunista (?). Cosa sta succedendo? Non è una novità, o di
essere dei geni, per capire tale atteggiamento. Siamo di fronte ad un “autoritarismo”, o
“potere trasversale”, dove l’odiato “democratico liberale” è il capro espiatorio dei nostri
pensieri. Certe vocazioni autoritarie e illiberali sono così nette e così irresistibili che fanno
cadere in tentazioni antropologiche; - si direbbe che esista una specie umana, refrattaria,
ostica alla libertà, una specie impastata di genialità, arbitrio, esaltazione, megalomania,
sovversivismo misto a conservatorismo, insofferenza psicologica e fisica per gli avversari
-, che accorre e si associa fra tutti i partiti autoritari, comunisti, fascisti o nazisti che siano.
Il male come ingiustizia
Per anni ci hanno fatto credere che il male era fuori dai confini di questo stato, e che non
avrebbe intaccato il nostro "sistema" per nessun motivo, essendo il nostro paese
"democratico" “liberale” e "credente": e, invece ci sbagliavamo. Nel silenzio, "imposto" dal
"sistema" il male faceva pure qui le sue vittime e nessuno sapeva; nessuno doveva
sapere, pena la credibilità di questo paese. Le vittime venivano, dunque zittite ed
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imbavagliate perché non dovessero parlare. E così, mentre infuriavano le varie guerre
fuori dai nostri confini e si scendeva nelle piazze ad inneggiare alla “Pace” fra gli uomini,
molti uomini del nostro paese venivano violentati psicologicamente e a loro veniva negato
qualsiasi diritto internazionale. E perché questo? Perché quegli uomini avevano altre
opinioni. E, allora ci viene da dire: quanto ipocriti siamo, nel comportarci in questo modo
subdolo e vigliacco. Quanto ridicoli siamo nel far vedere le cose diversamente da come
sono e, con l’ausilio dei media di potere, nascondere i misfatti! Dovremmo vergognarci di
questo, e batterci il petto per quanto deboli siamo. L’ingiustizia, il disordine sociale, gli
scontri, l’arbitrio, la violenza l’avevamo dentro in casa e nessuno si prodigava per
sconfiggere il male. Il nostro era solo egoismo ed “esaltazione politica”: fare bella figura
con il mondo intero, esaltandone i diritti umani, mentre dentro di noi eravamo solo sterili
uomini, esaltati, spietati, senza nessun rimorso per i nostri fratelli. Quanta ipocrisia, quanta
falsità aleggiava in questo paese da non riuscire a liberarsene! Ma come fa l’essere
umano ad arrivare a così tanta crudeltà da non dare una spiegazione di tutto questo suo
odio. Da dove proviene tutta questa ferocia? Non è necessario andare fuori o l’oltre essere
umano o il ricercare forze oscure; non sarebbe altro che un comodo alibi per
deresponsabilizzarci del male che abbiamo commesso. Il male passa attraverso la nostra
coscienza e il nostro io, nasce in ambienti malsani dove si è optato la causa del male; si
sceglie la libertà per spadroneggiare e nello stesso tempo la si nega al proprio fratello per
colpirlo; nasce in un preambolo di mancata fede verso un Dio che ci ha insegnato a non
uccidere e a non disprezzare il proprio fratello. Il male ha sempre un volto e un nome: il
volto e il nome di uomini e donne che liberamente lo scelgono.
Lo Stato "non" responsabile
Non c’è che di essere allegri per quello che succedeva nel silenzio di un "sistema" che non
conosceva oramai nessun mistero. Io trattato come un oggetto, girato e rigirato come un
giocattolo di divertimento nelle mani di comuni "malintenzionati" pieni di odio e rancore
personale, e nessuno interveniva. Ci sono le leggi per un paese che si definisce ancora
democratico e civile, ma lo è veramente? O questo paese è un paese di frontiera oramai,
un “far-west” dove è solo la legge del più forte a prevalere; queste leggi - che ci sono - non
vengono esercitate e neppure applicate. Perché? E qui insisto ancora! Perché per certi
cittadini queste leggi non vengono applicate? Qualcuno di autorevole dovrebbe dare una
spiegazione e non far finta di nulla come sempre. Ma andiamo per ordine e prendiamo per
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esempio la Costituzione con l’ art. 28 che dice:"I funzionari e i dipendenti dello Stato e
degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e
amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità civile
si estende allo Stato e agli enti pubblici". Qui – per chi conosce il mio dramma -, di
presupposti ce ne sono fin troppi per estendere allo Stato la responsabilità di tutto. Il
funzionario è un dipendente dello stato e il preside lo è tuttora, quindi la responsabilità è
del dipendente che a sua volta si estende allo Stato. Non c’è che da sbizzarrirsi nel dedalo
dei diritti che con me sono stati tutti violati. Prendiamo per esempio il Provveditore che
"non concede" il trasferimento urgente, o si "astiene" ad un mio accorato "appello di aiuto"
(diritto all’integrità fisica con l'invio di una lettera). Quell’”appello di aiuto”, così semplice e
rifiutato, è divenuto un calvario per me! Una "burocrazia" alienante "ad hoc" ha allungato i
tempi; una "presa di posizione" di un "preside" superbo, accecato dalla "vendetta
personale" ne ha ostruito il normale procedimento, e poi le calunnie e le diffamazioni
gratuite con tanto di prova cartacea, inviate al Provveditore e al preside del Marconi per
mettermi in ombra, prima dell’insediamento nella nuova scuola. Qui c’è di più e di tutto per
mettere in stato di accusa lo stesso Stato di cui gli stessi dipendenti "rei" ne fanno parte.
Nella mia lunga autobiografia accuso che sono stati fin troppi gli elementi perchè lo Stato
non possa essere responsabile di quello che ha fatto. Ma cos’è una Amministrazione
pubblica di uno Stato civile per un comune cittadino? L’ Amministrazione, come
espressione organizzata della comunità, stabilisce le “regole di comportamento” - sempre
democratiche - esercitando la "funzione normativa" (stabilisce le regole del
comportamento), e le applica risolvendo le controversie, nell’esercizio della funzione
giurisdizionale (applica le regole) con compiti miranti al benessere individuale e collettivo.
Nessun Stato potrebbe a questo - senza mancare a compiti essenziali - a mettere in serio
pericolo la sua stessa esistenza e credibilità. E, comunque nello svolgimento della sua
attività ed in particolare nel compimento degli atti giuridici che essa richiede, la pubblica
Amministrazione deve seguire le "regole del diritto" e, se non ha tale scopo, favorire il
raggiungimento di determinati fini di "interesse pubblico". Ne è la comprova del principio
della legalità della pubblica Amministrazione sottoposta come tutti i soggetti alla legge (e,
più in generale alle norme giuridiche) , ma principalmente - è nella legge che
l’Amministrazione trova i fini della propria azione e i poteri giuridici che essa può esercitare
- e che essa "non può esercitare nessun potere" al di fuori di quelli che la legge le
attribuisce. E ancora: nella sua opera di governo e di promozione della vita sociale e
collettiva, lo Stato pone in essere una varia e multiforme attività che sono le "funzioni dello
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Stato", atte a risolvere le controversie tra i soggetti fisici e giuridici. Ma il vero male di
questo Stato è la stessa Costituzione non garantita. Mi spiego: un comune cittadino non
può appellarsi, in seno alla "Corte costituzionale" se, nella malaugurata sorte un diritto
costituzionale le viene negato dallo stesso Stato. Il sottoscritto ne è la comprova con i suoi
molti articoli costituzionali violati. Ora prendiamo come esempio l’"atto illegale" dei "noti"
nei miei confronti con le loro assurde diffamazioni per iscritto inviate al Provveditorato e al
preside del Marconi. Prima di tutto, di fronte a delle calunnie gratuite è difficile prendere
per oro colato il tutto, senza la controparte presente che si difenda; e, andare a fondo del
problema sarebbe stato più che opportuno senza giudicare ne condannare. Ma torniamo
all’"atto illegale" o all’"illecito" vero e proprio: un’altra parte molto importante dell’attività
statale consiste nel garantire che i "rapporti sociali" e i "conflitti di interessi" che,
inevitabilmente si producono tra i soggetti, si svolgono secondo le "leggi" emanate dal
Parlamento. Si tratta di assicurare che la vita sociale si svolga secondo "giustizia", con
l’applicazione delle leggi e dove a giudicare ci siano dei "giudici imparziali ed indipendenti"
come prevede la "norma giuridica". E cioè un giudice estraneo alla controversia e nel
quale non deve prevalere nessun interesse di parte (giudice terzo rispetto alla
controversia). Le denunce per diffamazione dei "noti" sono state “archiviate” per "volere"
decisionale del Tribunale, e lo Stato, quindi si è reso "non responsabile". In tema di
diffamazione, - vorrei ricordare - viene commesso mediante scritti (Art. 595 C.P. -
Chiunque (…) comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione (…).), sussiste il
requisito della comunicazione con più persone, - necessario per integrare il reato - anche
quando le espressioni offensive siano comunicate ad una sola persona, ma destinate ad
essere riferite almeno ad un’altra persona, che ne abbia effettiva comunicazione (…). –
Sez. 5 sent. 31728 del 21-7-2004 (ud. 16-6-2004) rv. 229331. Nel mio caso c’erano tutti i
presupposti che il reato di diffamazione nei confronti dei miei nemici, venisse applicato: la
sola persona, a cui si fa riferimento è il Provveditorato, a cui le lettere, - quelle del preside
del Gramsci e quella del responsabile della scuola del sindacato (amico del preside del
Gramsci) - , sono state indirizzate per calunniarmi, ma destinate ad essere, a sua volta,
riferite ad un’altra persona (Ufficio del personale per la protocollazzione e la soluzione del
caso). In tema di calunnia, sempre evidenziata nelle lettere (Art. 368 C.P. – Istanza (…)
diretta ad un’ Autorità per incolpare taluno di un reato che egli sa di essere innocente (…)),
per l’affermazione della responsabilità dell’imputato, occorre acquisire la prova certa che
costui (il preside) abbia accusato la vittima, pur essendo ”consapevole della sua
innocenza” (…). Sez. 6 sent. 7495 del 24-6-98 (ud. 4-5-989 rv. 211246. In questo caso, vi
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erano molti testimoni (i professori che lavoravano e collaboravano con me - assiduamente
-) che potevano affermare il contrario e che hanno depositato in udienza nel processo del
lavoro. E, qui di seguito altri esempi: Commette più reati di calunnia chi, sia pure mediante
un’unica soluzione, attribuisce ad altra persona, sapendola innocente, una pluralità di reati
(…) Sez. 6 sent. 7495 del 24-6-98 (ud. 4-5-98) rv. 211246. La calunnia è un reato
istantaneo la cui consumazione si esaurisce colla comunicazione all’autorità di una falsa
comunicazione, determinando così la possibilità di inizio dell’azione penale a carico di
persona innocente (…) Sez. 6 sent. 2880 del 6-3-98 (ud. 23-1-98) rv. 210384".
Concludendo: la diffamazione sul giornale e le lettere di diffamazioni e calunnie contro di
me con tanto di prova cartacea, non sono state per niente "recepite" dal tribunale di
Padova.
Dov’era la destra?
Certo, parlare di diritti calpestati, violati o negati in un paese dove i diritti sono esaltati
all’inverosimile, ce ne vuole. Eppure è successo, proprio con il “centro/sinistra, o sinistra”
al potere in quelli anni; con quella “sinistra” che dei diritti si è fatta l’alfiere per la loro
difesa. Ma che, a quanto pare per certe persone non era consentito. Questo fa supporre
che i diritti, che io chiamo semplicemente, ancora una volta “diritti ad personam” erano
negati a chi, in qualche modo, si era permesso di uscire dal “loro contesto” per
abbracciare una certa “libertà” o “indipendenza decisionale”. Il mio dramma ha fatto capire
che il potere – se voleva – sapeva essere unito nel contrastare un loro “nemico” offrendo
nessuna tregua e nessuna speranza; sapeva ascoltare e dare ragione ai suoi dipendenti. Il
preside del Gramsci, il vero responsabile del mio dramma – anche se ha peccato di
superbia – è stato difeso e ascoltato: lui semplicemente avrà riferito ai suoi superiori che
“non era vero quello che faceva” (poverino). E come un bambino, seppur trovato con "le
mani nella marmellata", è stato ascoltato, lodato e graziato, perché un preside è sempre
un preside; come sono stati ascoltati, lodati e graziati tutti gli altri miei persecutori.
Nessuno ha voluto andare a fondo del problema, come a voler dire "troppo rischio per la
propria persona" (per fortuna, dicono, che l' Italia è un paese democratico). Il “centro-
destra-destra” era inesistente nel difendermi - era d'"accordo" con i comunisti; - uniti -
hanno tralasciato il mio dramma e, insieme hanno optato per la mia "eliminazione". La
"ragione di stato" – cinica, spietata e incivile - doveva venire prima del "misfatto"; le vittime
designate "dovevano rimanere tali" e "non venire ascoltate" per nessuna ragione al
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mondo, anche se avevano ragione. Si arrivava al complotto per non dare ragione; si
corrompevano giudici, avvocati, dipendenti pubblici per non pagare il danno. I "media di
potere" dovevano ignorare le vittime designate e il silenzio era d'obbligo. La mia mamma
anziana, pure lei, una tra le innumerevoli vittime della "prepotenza di potere", aveva
ceduto alla pressione ostile verso suo figlio, morta senza giustizia. E, dunque preside o
non preside, diritti o non diritti, la mia “eliminazione” era già stata "programmata" con due
mesi di anticipo, alla notizia da Roma della mia assunzione (agosto 1994). Padova era
diventata comunista da poco e io non ero, evidentemente "un loro uomo" adatto ad entrare
nel pubblico impiego (riservato esclusivamente ai soli comunisti), come non ero un
"comunista" a tutti gli effetti e non volevo che lo fossi, mi ritenevo apolitico! Per niente, alla
scelta della scuola il provveditorato aveva insistito (riuscendoci) che io andassi in quella
“scuola politica dal nome decisamente politico” (Gramsci di Padova) contro il mio volere, il
che sarebbe stato auspicabile "il conflitto", aperto dalla scuola sulla mia diversità politica e
discriminazione appena assunto (volere decisionale perchè lasciassi la scuola da subito).
Quel preside del Gramsci, ora con una pensione d'oro che "depreda" le casse
pensionistiche a danno di altri lavoratori, - noto come vero responsabile - non è stato
ascoltato dal giudice, appunto, perchè sarebbe uscita la verità e la scuola sarebbe stata
talmente malconcia da suscitare un' indignazione popolare, già nel 1999. E allora è meglio
tenere nascosto il tutto, censurare, colpire il più piccolo, finirlo, "ucciderlo" nel silenzio. Con
questo loro comportamento mi avevano dato ragione su tutto il male che avevano
commesso. Da vigliacchi hanno ritenuto che fosse così! Se avessero avuto ragione si
sarebbero confrontati apertamente e invece la migliore cosa è “uccidere” piuttosto che
perdere la faccia e pagare il giusto danno. Questo è il rispetto dello stato italiano verso i
suoi cittadini? Se Padova non mi voleva nella pubblica amministrazione non faceva altro
che dirmelo e non saremmo arrivati a questo. Roma mi aveva scelto, perchè in quel
preambolo c'era un governo tecnico nella nazione e voleva che io lavorassi come cittadino
di questo paese, ma "Padova con la sua politica comunista" ha preferito eliminarmi da
subito perchè non ero considerato uno dei "loro". La politica violenta ha avuto il suo
dogma importante. Se i comunisti sono stati dei "malfattori" nei miei confronti, "malfattori"
sono stati pure i finti liberali, i finti moderati, i finti democratici, i finti credenti che si
definirono di centro-destra o destra - ipocriti e molluschi - perchè talmente vili e
assecondati al comunismo da definirsi comunisti a tutti gli effetti pure loro, da lasciarmi
solo al mio bisogno di aiuto e, inoltre, non ancora sazi hanno messo pure loro il
divertimento e il piacere. La politica “comunista” terrorista del Gramsci, ha voluto uscire,
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per colpirmi pure nella società con la diffamazione sul giornale e la negazione del lavoro e,
non ancora sazi hanno voluto prendersi il mondo per non lasciare spazio al sottoscritto.
Una “giustizia” che non fa giustizia
L’avevano messa sulla politica. Ero definito un "avversario politico" – pazzesco - , per
questo mi volevano fuori di scena. Il “comunismo” era oramai una dura realtà in quelli anni,
così come il mio ricordo di quei giorni e il mio bisogno di giustizia. I media erano al servizio
dell'attuale politica: libertà di informazione o libertà di uccidere? Rivivo quelli anni dove mi
vidi sul "mattino di padova", un quotidiano locale di Padova. Era la politica ostile del
consociativismo che andava contro chi si opponeva ad esso; chi non desiderava questa
politica veniva isolato e pure screditato. Ero un uomo controcorrente, lo sapevano tutti,
libertino, anticonformista, indipendente, quindi ostile! Era il 17 novembre del 1999, quando
appresi della notizia leggendo il giornale in biblioteca del mio paese, dove mi recavo
spesso per la consultazione dei quotidiani; vidi il mio nome e cognome sul giornale, nella
cronaca di Padova - "Si sente perseguitato e denuncia tutti" -, questo era il titolo che
echeggiava in bella mostra a caratteri cubitali. Lessi, e con indignazione capì che
quell’articolo era riferito al giorno prima, all’udienza di consiglio, indetta dal giudice per le
indagini preliminari, presso il tribunale di Padova, su un mio esposto presentato in procura;
l’udienza doveva concentrarsi nel sentire i principali indagati: senza dubbio il preside del
Gramsci primo vero responsabile, ma pure il preside del Marconi dove ero stato licenziato;
poi alcuni medici di una commissione medica su assenza per malattia, in cui, con un
abuso di ufficio avevano attivato la “revisione” della patente. L’ articolo, ovviamente risultò
a mio sfavore e completamente distorto dalla realtà; mi sentivo gratuitamente diffamato in
un loro giornale con accuse infondate, senza essere stato interpellato e con nessun diritto
di replica. Presi in mano il telefono e telefonai al “mattino di padova”, per avere
spiegazioni. Dall’altro capo, una persona scortese mi disse che avevano fatto il loro
“lavoro” e nulla di più. “Quale “lavoro””, replicai seccato, “quello di diffamare le persone
oneste, senza sentire la loro opinione in loro difesa?” “Gradirei essere sentito pure io”,
ribattei. “Se ha qualcosa da replicare”, sbottò l’interlocutore, “scriva una lettera”, e fece
cadere la linea. Non esitai un attimo e scrissi una lettera per affermare le mie ragioni,
fiducioso che qualche giornalista del “mattino di padova” si facesse sentire. E invece nulla
di tutto questo. Scrissi pure al “gazzettino di padova” una lunga lettera di replica.
Passarono i giorni, sul gazzettino non vidi nulla, ma con sorpresa vidi la mia replica sul
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“mattino di Padova”, sulle "lettere dei lettori", anzichè vederla sulla cronaca della città.
Rimasi sbalordito dal cinismo che si stava instaurando nei miei confronti, ma non fui per
nulla sorpreso. Capii che erano tutti d’accordo: la mia verità nuoceva al sistema, e non
potevo che aspettarmi altri abusi e altre vendette. Quella replica e il silenzio stampa che
ne seguì in seguito mi fece ancor di più reagire: per calmare le acque bastava che un
giornalista sentisse le mie ragioni e le pubblicasse, credo che fosse stato più che
giustificabile, era un mio diritto, non chiedevo altro. Ma non fu così! Mi recai
personalmente nella sede del “mattino di padova” per spiegare ad una giornalista le mie
ragioni, che erano un mio diritto. In un primo momento, acconsentirono: alla giornalista
spiegai il tutto con una intervista, la quale annotò, ma alla fine, si alzò dicendomi che non
l'avrebbe pubblicata, lasciandomi di sasso. Mi invitò ad andarmene dalla sede del
giornale. Io, senza dire una parola acconsentii. Ero pronto a denunciarli, questa volta, se
non pubblicavano le mie ragioni. Ma il tempo passò e la pubblicazione non uscì. Il 16
febbraio del 2000 a tre mesi dall’accaduto, mi presentai in caserma dai carabinieri di Prato
della Valle per presentare formale denuncia al giornale per diffamazione e violazione pure
della legge sulla privacy; ritenevo il loro comportamento offensivo, in quanto non si erano
astenuti alle sole iniziali del nome, e inoltre non era stato avviato un diritto di replica.
Domandai ai carabinieri se vi erano gli estremi della denuncia, loro mi indicarono che non
vi era “nessuna” irregolarità…(?). Io insistetti…, loro acconsentirono: manoscrissi la
denuncia indicando, l’illecito e allegando una copia del giornale. I carabinieri mi
rilasciarono una loro ricevuta in duplice copia, attestando la denuncia fatta e firmai.
Passarono i giorni, al che, venni chiamato dalla polizia giudiziaria del tribunale per
"informazioni" sul caso (?). Mi chiesero se mi sentivo altamente offeso da quel
comportamento (?). “Si”, li risposi, “credo che non ci sia nessuna giustificazione a quello
che è successo; non mi hanno dato il diritto di replica, dunque mi ritengo ancora di più
offeso. Se ci fosse stata la replica non avrei avviato la denuncia”. “Intende proseguire le
indagini”, mi domandarono nuovamente? “Credo di si…”, risposi incredulo a quella
domanda! Firmai un altro atto e mi lasciarono andare. L’iter burocratico si perse nel
silenzio dei mesi che ne seguì; ero fiducioso che il giudice avrebbe recepito l’illecito. Ma
invece, dopo alcuni mesi da quel fatto, mi giunse comunicazione dal tribunale che il caso
era stato “archiviato”. Il giudice, ravvisa che non c’era nulla di così grave ed evidente da
offendere la dignità di una persona: così scrisse sull’atto dell’archiviazione. Ma vediamo
cosa chiesi sull’esposto presentato in procura e l’iter che ne seguì. Dopo il licenziamento
avvenuto al Marconi nel gennaio del 1999, avevo presentato un esposto con fatti e
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avvenimenti intercorsi dalla prima assunzione avvenuta il 24 novembre del 1994 al
Gramsci di Padova fino al Marconi di Padova. Nell’esposto indicavo al giudice delle
indagini preliminari gli eventuali illeciti a cui ero stato sottoposto nelle due scuole - molte
decine a mio avviso -, con documenti e pure registrazioni. Chiedevo che venissero
ascoltati i principali indiziati della persecuzione: primo fra tutti il preside del Gramsci, in cui
indicavo come principale responsabile dei fatti, poi il preside del Marconi e via via altri
personaggi tra cui degli insegnanti, un rappresentante di un sindacato e alcuni medici di
una fittizia commissione medica messa in piedi appositamente per attivare la “revisione”
della patente su un abuso. L’esposto dopo una attenta valutazione, venne archiviato dal
PM, ravvisando che non c’era “nulla” di penale (?). Al che, mi opposi al giudice per le
indagini preliminari; e questi, attivò il giudizio solo esclusivamente sul preside del Marconi
senza tenere presente del principale accusato, e cioè il preside del Gramsci e di altri
personaggi. La mattina del 16 novembre del 1999, mi presentai in tribunale a Padova,
accompagnato dal mio avvocato per partecipare all’udienza. Fui sorpreso nel vedere il
"solo imputato" (?), il preside del Marconi accompagnato da tre avvocati, tra cui l'avvocato
presidente dell'ordine degli avvocati, e, non il preside del Gramsci. Chiesi spiegazione al
mio avvocato e feci capire l’anormalità del procedimento. Questi mi disse di non
allarmarmi più di tanto (?), e che avrebbe chiesto un rinvio del procedimento. Venni messo
a sedere vicino al preside del Marconi e ai suoi tre legali, i quali presero subito la parola e,
con una ampia arringa, mi accusarono di assurdità fuori da ogni logica. Volli interrompere
e prendere la parola, ma venni "zittito" dal mio avvocato che lo guardai come per dire: “Ma
cosa fa?…cosa sta succedendo?”. Questi mi disse di stare "nuovamente calmo". "E chi si
muove, fate tutto voi?", li risposi calmo, facendole capire l’assurdità del comportamento e
di ribattere subito a quelle accuse. Questi se ne stò zitta (?). Pure il pubblico ministero
incalzò su quelle "accuse" rivolte a me e invitò il giudice ad “archiviare” il procedimento.
Chiesi, allora di prendere io la parola, visto il silenzio del mio avvocato, ma il giudice mi
zittì immediatamente. Dopo mezz’ora di dibattito, senza una giustificata difesa a mio
favore, il giudice “sciolse” l’udienza per deliberare, e fummo invitati ad uscire dall’aula;
fuori nel corridoio criticai il mio avvocato del suo strano comportamento. Questi mi
minacciò di rimettere il mandato e mi invitò a chiedere di archiviare pure io il
procedimento. “Perché?”, sbottai indignato. “Io non lo archivio: il vero responsabile, è il
preside del Gramsci che non è stato invitato dal giudice, come mai?”, domandai. “Cosa
c’entra lui?”, mi rispose. “C’entra moltissimo”, replicai, “e’ lui il vero responsabile della mia
persecuzione con le sue minacce e i suoi illeciti, gradirei che lei – essendo il mio avvocato
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– insistesse col giudice per chiamarlo a deporre”. Non ci fu nessuna risposta e ritornammo
in aula. Giunti in aula, il pubblico ministero insistette per l’archiviazione, pure gli avvocati
della controparte. Io fui decisamente contrariato: mi opposi e insistetti col mio avvocato di
prendere la parola e indicare una nuova udienza per far comparire il preside del Gramsci.
"Timidamente" il mio avvocato chiese la parola e domandò se era possibile avere un’altra
udienza per ascoltare il preside del Gramsci. Il giudice accolse la richiesta e indicò un’altra
udienza con data da definire. L’udienza fu chiusa… Il proseguimento di questa storia mi
riporta alla mattina del 17 novembre 1999, quando appresi della notizia sul giornale
(riportato sopra). Quella "fittizia" udienza del pubblico ministero per sentire il preside del
Gramsci non fu mai avviata, e il tutto venne definitivamente “archiviato”. Riassumendo…?
Ero in un incubo… Non avevo avuto giustizia… Volevano volutamente finirmi..., farmi
uscire di scena, screditarmi di nuovo per innalzare loro stessi sul male che mi avevano
fatto, ma io non volevo chiudere così: scrissi al garante della privacy, in quel tempo ma
non ebbi nessuna risposta. Presentai regolare denuncia all’autorità competente per
diffamazione a mezzo stampa ma non ebbe seguito. Replicai a quelle menzogne sul loro
giornale, e pure sul gazzettino che credevo fuori da quella logica, ma non mi diedero
spazio. I giornali erano politici e consociativi, come pure il tribunale di Padova?; non
lamentiamoci se poi i cittadini si allontanano dalle istituzioni. Dunque fu un complotto..?
Sono i fatti a parlare... C’ erano tutti i presupposti per salvare il preside del Gramsci, il suo
“bullismo istituzionale”, e la loro meschina politica; fu una farsa bella e buona impostata a
tavolino per denigrarmi col mondo intero con la diffamazione attraverso il loro giornale, e
perché reagissi in malo modo, magari togliendomi la vita; c'erano le prove cartacee che
evidenziavano l' illecito, ma loro avevano preferito diversamente; il preside del Gramsci
non è stato chiamato a giudizio per non comparire nel giornale, ma è stato chiamato il
preside del Marconi con tre noti avvocati difensori e la scuola a favore. Il pubblico
ministero era dalla loro parte e l’archiviazione era risaputa?; dunque fu solamente una
macchinazione! Mi rivolsi al capo Procuratore con una lettera perchè riaprisse i
procedimenti, ma non ci fu esito. Un tribunale che arriva ad archiviare un fatto penale con
tanto di prove cartacee documentate e registrazioni ha dell’impossibile, eppure è
successo. Se avessi avuto un bravo avvocato mi sarei opposto a quella archiviazione;
avrei preteso i danni da quei signori, avrei preteso i danni dal giornale e dallo stato che
rappresenta, e ora sarei in una isola del Pacifico. Ma dove lo trovi, oggi, un avvocato che ti
difenda, dove il sistema è tutto politico e corrotto? Dunque il giornale è rimasto impunito?
Certo, è rimasto impunito e rimarrà impunito! Mi aspettavo, almeno delle scuse da quel
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giornale, ma non sono arrivate. Il giornale rappresenta lo stato perché è sovvenzionato
dallo stato: ed è giusto che rimanga impunito per non pagarmi il giusto danno causato da
quell'illecito di diffamazione; nessun giudice e nessun avvocato mi darà ragione su questo,
perchè non vorranno andare contro lo stato che si è macchiato di illeciti; loro confondano
la libertà di espressione o di informazione con la libertà di offendere, senza che gli altri
abbiano la possibilità di difendersi.… se non è dittatura… tutto questo…, cos’è? Questo
paese aveva toccato il fondo… Il danno sull'immagine che i miei persecutori dovevano
elargirmi non aveva prezzo. Solo dal giornale pretendevo il minimo per il danno di
immagine. Sarà un debito che il giornale e lo stato con esso, si porterà con sè per
sempre... La vita di una persona è sacra e questi “malfattori” politici, o non politici non
avevano nessun diritto di fare del male al proprio prossimo. Siate maledetti per questo!
Non potevano fare tutto ciò! Quell’impunità ha permesso al preside del Gramsci di
proseguire nel suo lavoro di bullo, di andare in pensione tranquillamente e di rimanere
come politico nelle file dei comunisti, e pure, oggi di candidarsi come sindaco; nonostante,
poi in seguito in un’altra occasione, si sia macchiato di un fatto di rilevanza penale
comprovando quello che dicevo che era un violento. Se la “giustizia” avesse avuto il suo
iter normale, ora starei lavorando o sarei andato in pensione a 62 anni con 38 anni di
contributi. Se questi signori sono stati "graziati" per una “ragione” di stato, sarà lo stesso
stato ad indennizzarmi... Sono sbalordito..., non meritavo tutto questo male!
“Libertà di parola” con licenza di uccidere
(23/01/2019) Fa riflettere il ricordo della mia diffamazione attraverso i media del locale
giornale “mattino di padova” nel 1999 e le mie libertà individuali violate; la storia di un
uomo trattato come un delinquente comune. Il giusto riconoscimento del danno di
immagine - che devolgerò in beneficenza alle vittime della violenza mediatica dell'attuale
regime con "licenza di uccidere" - non è stato accolto. Siamo diventati insensibili ad ogni
forma di comportamento eccessivo. Per trionfare, il male deve farsi passare per qualcosa
di diverso, di più accettabile, capace di offuscare la verità. Le civiltà non declinano, si
arrendano. Non crollano di colpo, si sgretolano a poco a poco. Non avete mai per caso
letto titoli di questo genere: “donna pestata a sangue e fatta sanguinare". Oppure: “coniugi
pestati a sangue dai ladri e uccisi a sangue freddo…”fulminato nel podere da un malore”
Quanto si sono divertiti, i giornalisti "dipendenti governativi, sudditi e molluschi" a
insegnare il diritto alla più totale libertà di parola! Oppure, ad offuscare tale diritto con
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menzogne e censure varie. E ancor più a mettere sotto accusa non i pervertimenti della
libertà di parola, che immiseriscono la vita e avvelenano i valori, ma i “ricchi di spirito,
sudditi già condannati”, o le "vittime innocenti, gli eroi - immolati - dalle strategie
mediatiche di potere". Ora è arrivato il momento, per i difensori della libertà d’espressione,
di guardarsi attorno e di capire che sono stati imbrogliati e ingannati e, che la causa che
stanno difendendo è fasulla. Si, perché qui il problema non è la censura; la parte lesa
sono le “libertà civili individuali”, non più garantite e difese come mai prima nella storia. Ho
subito un danno ingiusto, sono i fatti, gli "atti responsabili" della mia inopportuna
diffamazione sulla stampa. Il “diritto di cronaca” in ambito penale, come ogni diritto - ai fini
della sua configurabilità -, deve rimanere nei suoi stessi "limiti", che consentono di
precisarne il contenuto e di determinarne l’ambito di esercizio. Molti sono i limiti, secondo il
costante insegnamento delle varie Corti di Giustizia: dalla verità del fatto narrato, la notizia
pubblicata sia vera o seriamente accertata e non arbitraria; dalla loro pertinenza, ossia
dall’oggettivo interesse che i fatti rivestono per l’opinione pubblica; dalla correttezza con
cui gli stessi vengono riferiti (cosiddetta continenza), essendo estranei all’interesse
sociale, che giustifica la discriminante in parola ogni inutile eccesso e ogni aggressione
dell’interesse morale della persona; non deve assumere toni gravemente lesivi dell’altrui
dignità morale e professionale quando si trascenda in attacchi personali diretti a colpire la
persona. L’ intento diffamatorio (Art.595 C.P.), è pure raggiunto, nel caso, in cui l’articolo
pubblicato non abbia di per sé un contenuto diffamatorio, ma sia il complesso
dell’informazione, per le modalità di presentazione e, soprattutto per i titoli che
l’accompagnano, ad attribuire alla informazione un contenuto offensivo dell’altrui
reputazione, e, del fatto lesivo non può essere chiamato a rispondere l’autore dell’articolo,
ma la stessa redazione del giornale, che in "equipe" hanno provveduto alla pubblicazione,
stabilendone essa, come appunto avviene di norma e, cioè la collocazione della pagina, il
risultato da dare alla notizia, la formulazione di titoli e sottotitoli ed ogni altro particolare
(…). – Sez. 5 sent. 1478 del 12-2-92 (ud. 27-11-919 rv. 189092). Il sottoscritto non è stato
interpellato dal giornale per replicare (fatto gravissimo); ho affermato con mia lettera che la
notizia non accerta seriamente le verità (altro fatto grave). Mi sono sentito leso nella mia
dignità. Non sono stato avvisato che era in corso la notizia. Non si sono attenuti alle sole
iniziali del nome e cognome. Ho subito un attacco personale di ritorsione. Dunque dov'è
stà la verità? Ho sentito il dovere di denunciare tale atteggiamento, scorretto e dannoso
per la mia immagine professionale ai carabinieri (diritto di querela Art. 120 C.P.). Ma quel
diritto di querela "non ha avuto" il supporto necessario per essere preso in considerazione;
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"Io, Maurizio Bianco, non ho nessunissimo diritto", e, quella denuncia che ho dovuto fare
di mio pugno, senza l’aiuto di nessuno, non ha avuto un suo seguito. Questo, era già un
piccolo segnale, che quella "querela" era destinata all'archiviazione. C'erano tutti i
presupposti per accertare il danno ingiusto e punire il giornale reo: c'è n'erano fin troppi,
direi! Ma il giornale è rimasto impunito. Ho fatto il mio dovere, denunciando il fatto illecito
all'autorità competente. Ma il tutto, è stato archiviato dalla Magistratura di parte politica e
dal potere in generale.
La legge del più forte
(24/01/2019) Qui la questione sul tappeto è la decenza, il decoro, il rispetto degli altri,
valori importanti per ogni società civile; la mia diffamazione del 1999 era già un primo
segnale. Quello che sta accadendo, porta a ritenere che “la libertà di espressione” o altre
libertà abbiano perso i contatti con le proprie regole e i propri valori. Qui siamo di fronte ad
un libero arbitrio: la diffamazione senza la possibilità di replica è un libero attacco
all'autostima di una persona umana per renderla una nullità! Questo giornale, di limitata
tiratura, non poteva fare questo, ma lo ha fatto per un fattore solo ed esclusivamente di
vendetta e perchè rappresentava il potere cinico e spietato di questo paese. Avevo tutto il
diritto di replicare, ma loro, non me l’ hanno permesso. A loro era consentito di tutto: di
diffamarti gratuitamente da innocente tramite i loro media, di toglierti il lavoro, la tua
dignità, di non garantirti il lavoro, di negarti qualsiasi diritto, e, pure di ucciderti. E, tu, non
hai nessunissimo diritto, anzi, se cerchi di pretenderlo questo tuo diritto, ti annullano, vedi
la denuncia presentata ed archiviata dalla magistratura. Sarebbero questi i diritti dell'Italia
Costituzionale? Fanno prima a dire che i diritti per certe persone non esistono. No, non
potevano fare questo, perchè un uomo ha delle opinioni diverse! Perchè ci sono dei diritti
internazionali che vanno rispettati. Se non li si rispetta, siamo nella barbarie. Sono piccoli
segnali per qualcuno, ma è su questi segnali che l’umanità si gioca il prossimo futuro.
Quella diffamazione a mezzo stampa, fatta solo di falsità, me la sono portata dentro per
molti anni. Per colpa di questa diffamazione non ho più potuto trovare lavoro e su di me si
sono aperti moltissimi pregiudizi. Pretendevo il giusto danno, ma non me lo hanno dato!
Hanno voluto infangarmi volutamente per uccidermi dentro! Vigliacchi e malfattori, il male
travolgerà chi lo ha ideato. Siamo diventati insensibili a ogni forma di comportamento
eccessivo e, nel nome della “libertà opportunista” (io posso, tu no), veniamo costretti con
l’inganno ad accettare l’idea che l’eccesso, la trasgressione, l'arbitrio, siano “il prezzo che
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dobbiamo pagare”. Altro che diritti, in cui vogliono farci credere. Ipocriti! Arrendersi al
minimo comune denominatore non significa libertà, ma abnegazione nel lasciarci
sopraffare da chi vuole calpestare la nostra dignità. Libertà non è solo dire e fare quel che
ci piace, ma anche assumerci la responsabilità per il bene del mondo. E’ esercitare il diritto
di non sopportare la violenza – sotto qualunque forma – che ci opprime. Perché non c’è
libertà quando non c’è rispetto per la dignità umana. Il vero segno del “male che avanza”
non è tanto questo urlare che pure ci gela il sangue nelle vene, quanto “i sussurri di
disapprovazione tanto flebili da diventare accettazione”. Per trionfare il male deve farsi
passare per qualcosa di diverso, di più accettabile, capace di offuscare la verità. Così
quando sentiamo notizie di violenza o intolleranza (dove vince chi è più forte o chi insulta
di più, favorendo così, l’insorgere dell’aggressione nella società), o di notizie che alla fine
non hanno nessun fondamento, solo menzogne, perché nate e finite lì solo per riempire le
pagine dei giornali, ci accorgiamo che “la libertà di parola” è divenuta “spazzatura”, o
"propaganda politica" (non è niente di vero, è tutta propaganda, si dice). E, se il sistema ci
dice - alla luce dei valori che le si consideri – "reali", allora la “falsità non esiste”. E quindi
giungiamo alla conclusione che non siamo abbastanza intelligenti per distinguere tra ciò
che è bene e ciò che è spazzatura. E, stupidamente, invece di condannare “sosterremmo”
coloro che sono già al successo, o sono dei delinquenti incalliti e intoccabili..., - vuoi
perchè c’è l’ ha imposto il sistema, vuoi perché chi “insulta o agisce male è più forte” -! Ma
può succedere che se arriveremo a ignorare tutto ciò, da “bravi sudditi condizionati” di cui
siamo, queste cose scompariranno da sole. Dovremmo mettercela tutta, per cambiare gli
avvenimenti, ma se avremo costanza ci riusciremo. Certi ordini sociali e certe leggi del
sistema sono stati creati appunto per proteggere i cittadini dalle sordide influenze che
avviliscono la vita. Quasi tutte le norme a difesa dei diritti civili fanno proprio questo:
cercare di tenere vivi i valori per tenere unito un popolo e a distinguere tra “libertà o
licenza", tra “io posso, tu non puoi””. Ma il tutto questo risulta essere solo chiacchere,
fantascienza e utopia in un paese dove vige solo la legge del più forte. Le civiltà non
declinano, si arrendono. Non crollano di colpo, si sgretolano a poco a poco. In una società
dove tutto è permesso, pure la “legge del più forte”, lo è veramente. E oggi ne vediamo le
conseguenze! Noi possiamo ridere e scrivere pezzi pieni di spirito sui tentativi di impedire
questa disintegrazione, possiamo criticare il sistema per il male che ci arreca, o prendere
in giro coloro che cercano di salvarsi dai loro peggiori “istinti primordiali” senza riuscirci.
Una cosa, comunque è certa: quel loro giogo durerà poco!
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L’ingiustizia, un virus che distrugge la società
(25/01/2019) Il sottoscritto che trova “ingiustizie fatte a tavolino”, nonostante le prove, in
una giustizia "maleodorante e imputridita" dall’infiltrazione “politica faziosa”, e che non
trova paragoni in altri paesi civili europei. Incorro in un "mio" gravissimo “reato” tutto
italiano di “neutralità politica”, che mi porta ad essere "colpevole", definito come un
“anticomunista” e un “antifascista”. Le prove sono tante: l’esposto archiviato, il ricorso del
lavoro negato, le varie denunce per molestie e diffamazioni varie ad alcuni noti (politici e
non), archiviate; la diffamazione del giornale archiviata, l’esposto del ricorso della patente
su “falso incidente”, archiviato. Così politici, magistratura, avvocati e giornali mi hanno
attribuito di tutto e di peggio per non pagarmi il conto dei danni. Violenze “inesistenti”,
diffamazioni facili, senza rischi giudiziari, giacché il giornale querelato e molti altri
personaggi escono assolti, e con la messa in piega, più belli e corteggiati di prima. Ho
voluto esporre le mie ragioni, ma sono stato zittito, anzi sono stato “marchiato” come un
dissidente, perseguitato dall’industria della menzogna e da una incessante campagna
denigratrice, quasi a ripercorrere un diritto egoistico di "libertà di azione"... Siamo pure qui
di fronte a una licenza di uccidere? Dov’è l’indipendenza della magistratura, dei magistrati
e degli avvocati? Mi chiedo, cercando di dare una spiegazione alle mie ingiustizie. La
magistratura con tutto quello che le ruota attorno ha “infiltrazioni politiche”. Per ogni atto e
intervento politico, i magistrati replicavano, allora (parlo del 2003) esprimendo opinioni e
perplessità, per ogni dichiarazione espressa dal politico noto e gridavano al complotto e
rivendicavano allora la loro “indipendenza”. Ammoniva Pietro Calamandei, giurista e
avvocato insigne, che il giudice non deve essere solo indipendente e autonomo, ma anche
apparire tale, perché nessuno possa sospettare che la sua decisione sia stata influenzata
da fattori estranei alla controversia in esame, da pregiudizi, interessi di parte, e aggiungo
io di sospetta corruzione. Se i giudici si indignano col politico, devono a sua volta farsi un
“mea culpa” sul sistema. La loro indipendenza deve proseguire oltre i nomi eccellenti, il
politico d’eccezione confrontandosi pure con il normale cittadino: “la legge è uguale per
tutti” si legge nelle camere giudiziarie e non per il solo politico noto. O, il comune cittadino
non ha di queste preferenze e a lui spetta "la legge non è uguale per tutti"!? L’ anomalia
tutta italiana dimostra che i magistrati "dovrebbero" essere indipendenti e apolitici, ma il
paradosso dimostra che fanno parte di associazioni e di schieramenti e aree politiche. Lo
stesso dicasi per gli avvocati. Questo fa supporre che una parte della magistratura (quasi
tutta) con i suoi giudici non si fa scrupolo di intervenire nel giudizio dei cittadini e, pure
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direttamente nel dibattito politico, scavalcando e intralciando anche il percorso
parlamentare. Quel giudice, che seguì l'iter ex 700, per la mia riammissione in servizio,
non si prodigò per dare una mano ad un lavoratore, non seguì la legge, ma seguì l'istinto
di uomo e della sua debolezza. A cosa serve la Costituzione e lo stesso statuto dei
lavoratori, se per "certe persone" non viene applicato? E, allora c'è da chiedersi, che il
tutto è utopia e che "La legge non è uguale per tutti". L’anomalia della giustizia è cronica e
si vuole che rimanga così: sono di questo parere. Si ricorderanno i vari lavori per una
giustizia civile orientata al progresso con l’allora governo di “centro-destra” nel 2004, che
si propugnava di rivedere la separazione delle carriere dei magistrati e un nuovo processo
civile e penale con l’allora ministro della Lega, Castelli. Poi la sinistra che doveva
riprendere in mano i lavori... Che fine hanno fatto quei lavori? Dimenticati in qualche
credenzone impolverato per "volere del potere". Non ditemi, allora che si vuole che la
giustizia voglia migliorare..., perchè è il contrario!; anzi qui c’è il presupposto che si voglia
prendere il giro il cittadino, creare l’ingiustizia per non dare nulla ai cittadini. Perché?
Perché è giusto che il popolo viva nell’ingiustizia e oppresso: perché non si ama il popolo,
lo si detesta. Se è questo il servizio al cittadino, il grande “carrozzone” facinoroso e
politicante della giustizia può pure chiudere, e coi soldi risparmiati creiamo fabbriche,
lavoro, aumentiamo le pensioni, accorciamo l'età della pensione.... Un 1% del bilancio
dello stato alla giustizia è misera cosa. Ma non è in quanto la percentuale del bilancio a
fare della giustizia l’alfiere della perfezione: servono le coscienze di chi vi opera all’interno,
servono le riforme, subito, urgenti. La politica deve uscirne. Se qualche magistrato ha
fallito perché ha peccato di corruzione, o perché non sente in cuor suo la professione,
lasciamolo a casa!; e sarà tutto di guadagnato. La giustizia è l’aria, di cui ha bisogno, per
vivere la libertà. Quando si crea l’ingiustizia si distrugge una parte di noi stessi e si pone
nello stato sociale il virus che prima o poi lo distrugge.
Se Dio decide per me
(27/01/2019) Scrivevo nel lontano 2010 in occasione della giornata della memoria: “La
cosa semplice è che davvero amiamo il proprio prossimo come noi stessi, facciamo agli
altri quel che facciamo a noi stessi. Siamo tolleranti con gli altri quando lo siamo con noi
stessi. Perdoniamo gli altri quando perdoniamo noi stessi. Siamo prepotenti ed arroganti
quando lo siamo con noi stessi. Siamo violenti quando siamo violenti con noi stessi.
Uccidiamo quando uccidiamo noi stessi. Non l’amore per se stessi, ma l’odio contro se
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stessi è alla radice dei mali che affliggono il mondo. C’è un versetto del Vangelo dove stà
tutto il suo significato “Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché
non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia
chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3.20). Nella mia vita non ho mai
conosciuto un “sistema” che sia arrivato a così tanta malvagità e crudeltà: un sistema
concepito a tavolino, studiato e strutturato appositamente per spersonalizzare la persona,
umiliarla, distruggerla, renderla una nullità. Un’ anticamera del nazismo oramai prossimo.
Questo stato rappresentato da questi malvagi, col suo comportamento si è macchiato pure
lui. Credo, che non possa più sussistere la fiducia, ma solo compassione. La barbarie di
quei “noti” usciti “graziati”, fa presupporre che sia stato sempre così, ignoranza e una
frustrazione interiore dello spirito; direi che denota un male profondo e segnali di istinti
primordiali difficili da debellare. Quei “noti” sono dei malvagi nazisti per essersi comportati
così: punto e basta! Non servono mezzi giri di parola. Sono stati nella condizione di farlo
perché le leggi (che ci sono) per loro non esistono e neppure i diritti costituzionali. L' art.3
della Costituzione lo dice, ma quei malvagi, evidentemente non lo conoscevano "Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politiche e di condizioni personali sciali".
Erano degli uomini "considerati maturi", non dei bambini, rappresentanti di un’
amministrazione statale, dunque responsabili di quello che stavano facendo. Se avessero
avuto un attimo di esitazione o di scrupolo non sarebbero arrivati a questo. Loro miravano
a qualcosa di assurdo: la distruzione della persona per vendetta perché ho reagito e ho
messo le mie ragioni. Hanno trovato il “fango tenero”, questo sì! Come si dice: hanno
trovato la possibilità di fare del male volutamente, perchè gli è consentito su alcune
persone e, perché mi hanno trovato solo, indifeso e loro ne hanno approfittato per
scaricare tutto il loro odio represso e la loro follia. Sono state delle persone vigliacche,
dopotutto, forti solo con i più deboli! Il "complotto" esordito ai miei danni era un modo
perché mi “togliessi di torno”. C’ è una legge del Parlamento molto importante che è
l’”istigazione al suicidio” (Art. 580 C.P.), dovuta alla persecuzione, penalmente rilevabile e
punibile con il carcere, ma in un “regime comunista”, dove il tribunale è arrogato al regime,
questo reato non è rilevabile. Quei “noti” miravano a questo, ma non ci sono riusciti. "Gli
stolti si accordano per fare il male, tra i giusti regna la benevolenza"(Prv 14.9). "L’
individualismo esasperato verso il male, del secolo scorso, portò all’immane tragedia del
nazismo. L’uomo scelse il male per una "volontà di potenza", rifiutando Dio e le sue leggi".
La "coscienza individuale" è la consapevolezza che l’uomo, - individuo - ha di se stesso e
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delle proprie azioni. Oppure, conoscenza dei valori morali o questione morale: sentimento
del bene verso il male; fare il bene e fuggire il male; sensibilità a certi fatti, a certi problemi;
far tacere scrupoli o rimorsi; l’onesta, compiere un dovere; fare appello al proprio senso
morale, per decidere, aiutare, agire. Oppure, ancora la libertà di scelta, con la facoltà di
pensare se mettere in atto questa consapevolezza. Nel "cristianesimo–libero-cattolico" è la
contrapposizione tra lo spirito e la carne, e vale ancor più a indicare l’interiorità dell’uomo,
come luogo della Verità e della Vita. E, più precisamente, la coscienza è la legge che è
dentro di noi, che è subordinata alle nostre azioni: i rimproveri della coscienza, sono senza
effetto quando essa non è considerata come la rappresentante di Dio, il quale, ha sua
volta, ha posto pure un Tribunale dentro di noi e, dal quale, nel giorno del Giudizio, non
potremo fuggire. Vi è inoltre la coscienza civica legata ad una responsabilità morale che
consiste nel far rispettare le leggi di un paese e di osservarle: chi è sleale verso il suo
prossimo commette un’ azione immorale che prima o poi si ripercuoterà sull’intera società,
portandola ben presto all’imbarbarimento. Oggi, ne vediamo gli infausti avvenimenti. Il
male che ho subito per le mie libere opinioni, non fa che ritenere che l’uomo di oggi ha
scelto il "relativismo" e, cioè il rifiuto di Dio; della sua parola e delle sue leggi universali che
portano a comportamenti univoci; e, di conseguenza, la mancanza di religione, fattore
importante, che porta a situazioni, o fatti che suscitano indignazione, o, peggio ancora, a
comportamenti inusuali di uomini senza scrupoli: un connubio negativo che animò l’uomo
del XX° secolo, verso le dittature. Altro fattore negativo sono quelli che "accettano la
religione" solo per un fattore di comodo, politico-attuale (politica attuale), ma la loro
egoistica ragione fa credere che Dio non esista, o che Dio possa dar loro la libertà di fare
ciò che vogliono; allora questi sono ciechi e hanno scelto il male. Poi c’è la razionalità, in
quanto esseri umani e figli di Dio, ci porta a differenziarci dagli altri esseri viventi; dunque
abbiamo la ragione che ci distingue, l’intelligenza che ci fa scegliere quale comportamento
adottare e, quindi, siamo capaci di conoscere il bene e di avvertirne l’imperativo (fare);
così come di conoscere il male e di avvertirne l’imperativo (non fare). Dunque, siamo
coscienti del male che facciamo. Il "relativismo" dell’attuale società moderna, ma più
semplicemente la nostra estrema superiorità, nel ritenerci al di sopra degli altri in modo
assoluto, porta a legittimare certe norme morali, diverse dal loro principio. L’ individualismo
esasperato, per esempio, - in una società dove il Potere Generale è esclusivo solo degli
atei o dei laici, o di una Chiesa che "non riconosce i cattolici" – nega i diritti che
giustificano la mancanza di libertà, di democrazia, di convivenza in un tessuto sociale
civile; favorisce la discriminazione del diverso, del gruppo nuovo, emergente politico,
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religioso; la violenza che genera violenza; la mancanza di mete appaganti; il metterci l’uno
contro l’altro per poterci di più dominare; l’essere costretti ad andarsene dal proprio paese;
l’essere non liberi nelle nostre azioni, accettare qualsiasi sopruso e abnegazione: questo
fa ritenere che le conoscenze sono state tutte sconfitte, e ci troviamo immersi nella più
totale confusione. E’ un segno che non siamo progrediti, ma abbiamo scelto il male. La
politica e divenuta funzionale solo per la conquista del potere assoluto, meglio definito
strapotere per eliminare i democratici, i liberali, i neutrali. Cambierà? Nessuno può dirlo.
L’unica certezza e che ci hanno rubato il futuro per noi, per i nostri figli e per le generazioni
che verranno. Il male si e impadronito del mondo da offuscare le coscienze e la ragione.
L’ira di Dio questa volta sarà tremenda e nessun uomo fuggirà alla sua punizione. I
comunisti (con i “comunisti di destra”) con il loro regime controllano oramai tutto il sistema,
banche, assicurazioni, istituzioni, giornali, media, televisioni, pure l’economia: ai cattolici
liberali sono riservati i peggiori posti di lavoro, i più umili e i meno sicuri. Noi moderati
liberali cattolici siamo ghettizzati, oppressi, siamo gli ultimi ad essere assunti e i primi ad
essere licenziati. Viviamo in miseria, disoccupati e nel pubblico impiego sono i comunisti a
lavorare. Non abbiamo giustizia (la mia causa di lavoro e stata una farsa, il giudice che
“non fa luce” sul perchè della mia discriminazione appena assunto, ne è la comprova), e
come vendetta rimaniamo senza giustizia, veniamo diffamati nei loro giornali (senza diritto
di replica) e soggetti ad abusi di ogni genere. Se denunciamo il maltrattamento non
veniamo ascoltati. Se diamo informazione non usciamo nei loro giornali. Se ci uccidono,
infangheranno le prove. Pure nella politica in generale dello stato e nella amministrazione
di una città i comunisti comandano, essendo in minoranza politica, e la chiesa e le finte
opposizioni stanno a guardare, semmai a divertirsi, quasi a godere del loro scellerata
“indifferenza consociativa”. Ditemi voi, se questa non e follia? Ditemi voi, se un moderato
liberale deve rimanere a casa disoccupato (punito) “da ben oltre dieci anni”, perchè “non
ho accettato e non vuole accettare di diventare comunista o, di accettare la loro politica”...
(questi dieci anni di vita, chi mi la da indietro???...). E quando dico comunista, dico tutta la
classe politica compreso il centro, il centro/destra o destra, che si fanno la bocca di
“essere dei liberali”, o sono per la libertà – ipocriti e bugiardi - ! Gli uomini di “quel potere”
che hanno voluto vendicarsi con me, - parlo del ’99, a licenziamento avvenuto, - li
considero “nazisti sanguinari” col cervello bruciato dalla droga facile: la loro sete di
vendetta e stata l’unica loro rivalsa per non essermi sottomesso alle loro angherie. Ma
tuttora la storia non cambia. Pure ora questo regime lo considero nazista per la sua
politica di povertà nel lasciare senza lavoro e di allungare le pensioni perchè la gente
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muoia prima. C’era (c'è) la politica “comunista”, dominante, da portare a compimento fino
ai giorni nostri, e, ci sono riusciti. Il “terrorismo” degli anni di piombo e continuato nelle
menti malate di uomini senza scrupoli, e si e posto al comando, un male difficile da
estirpare. Quella scuola era dominata dal male, dalla politica eversiva, come lo era l'Italia
e, io rappresentavo solo una “mosca bianca”. In quelle persone il criterio decisionale
“costitutivo dalla politica” era determinato concettualmente dai termini “amico/nemico”, e
non esisteva la moderazione. Io costituivo una minaccia, - nel senso che contrastavo col
loro supremo interesse - a “rimanere in esistenza”, nel dire la verità a “mantenere la mia
propria indipendenza”, ragione, “integrità territoriale”, la “propria fisionomia culturale”, “la
mia libertà” e a perseguire “il mio destino collettivo”: questo ha costituito da subito
l’inimicizia e l’ ostilità di menti malate. Ultimamente mi ritengo un “perseguitato politico” se
non avrò giustizia di tutto il male recatomi, non fa nulla! Lascio a Dio che decida per me!”
Il mobber definito dai media aggressivo e manesco
Il ricordo più doloroso per me, è senza dubbio la notizia apparsa sul quotidiano il
Gazzettino, il 10 giugno 2005 che fa riferimento al preside dell’Ist. Tecnico Gramsci di
Padova, in pensione, consigliere della sinistra in comune a Cadoneghe, e ultimamente
pure candidato sindaco nelle elezioni del 2009 per Cadoneghe (da fonti giornalistiche),
che lo vide "coinvolto in un fatto di rilevanza penale". Appresi della notizia leggendo il
giornale dove si indicava che il preside veniva considerato come un uomo "aggressivo e
manesco" coinvolto in una lite con pugni tra antagonisti politici. Perplesso, mi domandai se
il tutto era uno scherzo, perché non mi sembrava vero che un uomo considerato di regime,
venisse ridicolizzato così dai suoi media; era senza dubbio una notizia da prendere con le
pinze, ma poi mi ripresi e riflettei: senz’altro non aveva più nessuno che lo coprisse e non
lavorava più nella scuola. La mia mente ritornava al mio dramma, alla denuncia che feci e
alla violenza che subii per colpa di quell’uomo; mi feci alcune domande e andarono al
magistrato che archiviò la mia denuncia per violenza, presentata al tribunale di Padova nei
suoi confronti: quindi, avevo ragione io quando denunciai la violenza? Ma come mai,
quando denunciai "non venni ascoltato" dal PM e neppure in consiglio di giudizio il preside
"non venne ascoltato" dal PM e neppure dal giudice, e il tutto venne archiviato,
lasciandomi nelle mani dei miei persecutori e della loro inaudita violenza – per vendetta –
fino ai giorni nostri? Queste sono le domande che più mi riecheggiano nella mente, pure
tuttora; ma dopotutto sono domande rivolte al vento, perché su di me era stato tutto
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deciso, fin dall’inizio: nella scuola non dovevo entrare, perché non ero “comunista”,
oppure, rimanerci ma sottomettermi alle loro angherie per un fine ben preciso. Quel fine è
stato sicuramente il mio licenziamento! Per me, questa notizia era una prova più che
tangibile che non mentivo quando denunciai i fatti; ma quel magistrato, la giustizia e pure
la scuola non mi stettero a sentire. Come mai? Fattore politico? Censura! Dittatura del
silenzio! Il bavaglio sulla verità! La scuola, il preside? Se sono questi i presupposti ho
ragione io sui miei maltrattamenti! Eppure, civilmente, sarebbe stato opportuno sentire la
"verità dei fatti" alla luce del sole, sentire tutte e due le campane (il preside e il
sottoscritto), con un pubblico che ascolta in sede processuale, con i media imparziali, un
PM benevolo dalla parte della verità, senza troppe censure, e chiarire per cambiare il
futuro degli eventi, e non arrivare alla bassezza, alle congiure e, il sottoscritto, ora
lavorerebbe. Ma le ragioni della scuola e dello stato vengono prima, anche se sono
senz’altro ingiuste e se c’è di mezzo la vita di un uomo; pure la politica “comunista”
dominante, aveva il suo imput arrogante e prepotente in quel momento, e tutto a mio
danno che pagai come fosse un affronto da lavare col sangue, quel mio coraggio
democratico di dissenso, critico di uomo libero, nel denunciare i miei diritti negati, i miei
maltrattamenti per ritorsione, con il mio ingiusto licenziamento; e, quindi "giudicato e
condannato" senza attenuanti, come "esempio", da punire politicamente ed
inesorabilmente, con durezza e ferocia dalla “dittatura del silenzio”. Alla sinistra vorrei dire
tuttora: “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
La Padova violenta fine anni ‘90
I ricordi di una Padova non certo civile fine anni '90 e in piena dittatura comunista riemerge
nella mia memoria. La violenza e la prepotenza era all'ordine del giorno nel governo della
città, divulgata attraverso i media. Uomini sempre più soli, venivano isolati dal regime. La
rinuncia a non voler riconoscere la diversità delle idee, era il dogma principale. In quegli
anni subivo in silenzio la prepotenza del regime sulla mia persona e venivo allontanato
dalla scuola per le mie idee democratiche e civili. Il sistema interpretativo delle istituzioni
padovane della fine degli anni ‘90, in un contesto sociale, era di relazione primitiva e di
mancanza di ascolto. Prendevo spesso il quotidiano in quegli anni di prigionia forzata del
‘98 (ero a casa in malattia), voluta non certo da me, ma dal regime comunista, in cui allora
chiedevo un trasferimento di lavoro dentro l’istituzione scuola; il giornale che mi
interessava era senz’altro il gazzettino di Padova che lo consideravo fuori dalla linea
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comunista del momento e gli articoli puntuali della Slepoj, nota psicologa padovana erano
informativi ed alquanto interessanti. Padova era sotto il tallone comunista; la massa, la
popolazione di Padova era sotto dittatura; pure nella nazione c’era il comunismo. Perchè
comunismo, dirà qualcuno? Semplice, perchè c’era la sinistra che governava il paese e la
città, una sinistra decisamente estremista, cinica, e, l’ opposizione non c’era. Le “residue
forze” di “opposizione” erano senz’altro la ricca popolazione di Padova e a loro di certo
“non ne importava un bel niente” della dittatura che il ceto medio-basso stava subendo. La
popolazione “ricca”, in quel preambolo di “destra” era una striminzita parte – senz’altro -
ma la più tutelata dall’arroganza comunista; gli altri, quelli che si consideravano di
appartenere a queste ipotetiche “forze liberali”, certo i più modesti, lavoratori per la
maggiore erano degli illusi; pensavano di essere tutelati, ma venivano abbandonati,
perchè certamente non ricchi o, naturalmente “troppo sociali, troppo lavoratori”. Quelli, i
più tosti che non volevano saperne di diventare comunisti, e cioè i veri liberali, o gli
indipendentisti come il sottoscritto e molti altri ancora, venivano invece puniti nell'omertà di
regime (dove nessuno doveva sapere), maltrattati e perseguitati dal comunismo, con il
silenzio–assenso delle fittizie opposizioni (la “presunta” maggioranza di opposizione di
centro-destra), che in quel momento era senz’altro assente, o, addirittura dava la
sensazione di essere “complice” col comunismo. E, lo era! Perchè assente o complice?
Questo non lo si saprà mai..., ma forse per lasciare ampio spazio di manovra al
comunismo che si andava formano nella nazione e nel mondo. Pure la chiesa era
concorde al cambiamento. Le sporadiche bagarre che sorgevano in consiglio comunale di
quell’epoca, erano senz’altro opera di “taluni” veri “oppositori”, i cosidetti “cani sciolti” o
“elementi liberi”, che volevano “opporsi” alla prepotenza comunista della giunta, ma non
avevano seguito, perchè venivano subito “zittiti e azzerati”. Credo che fosse una
sceneggiata bel e buona per confondere le idee e dove erano in realtà tutti d'accordo. Era
un modo come un altro per far capire che c’era antagonismo politico, demagogia, poi finita
la bagarre scendevano tutti al bar a bersi uno spritz. E i media ne erano complici. Ma
mettiamo che ci fosse qualcosa di vero, che ci fossero veramente questi “antagonisti” che
non sapremo mai, perchè non eravamo testimoni, succedeva che spesso in consiglio –
come riportato dalle cronache locali – si arrivava a vie di fatto molto dolenti e a frasi non
consone per quel periodo; un duro realismo che metteva in evidenza l’aggressività, ma lo
stesso 113. Mentre il sottoscritto subiva la prepotenza e la violenza comunista nel non
avere un trasferimento di lavoro in un’altra scuola, e più tardi pure il licenziamento, nel
comune patavino succedeva di tutto, come riportato nel psicodramma della Slepoj di quel
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periodo scritto sul gazzettino locale. La Slepoj, - donna che ho sempre ammirato per le
sue argomentazioni - in uno dei suoi tanti articoli, elencava come l’aggressività nel non
riconoscere l’altro porta al fallimento di qualsiasi forma di comunicazione. Scriveva in un
articolo del 14 giugno del 1998: “L’aggressività predominante e proprio nel non ritenere
necessarie le ragioni dell’altro, quelle diverse da ciò che personalmente riteniamo sia il
luogo della verità e della ragione. La politica o le sue ragioni non possano mai essere la
manifestazione palese del narcisismo o dell’individualismo. Fuggire, nascondersi, non
comunicare, non spiegare, chiudersi nell’onnipotenza di possedere la verità sono tutte
forme di negazione del riconoscimento (qui si riferiva a qualcuno molto in alto della
politica). La violenza presuppone sempre la struttura di un meccanismo chiuso, non adulto
(idem). Lo schiaffo, il pugno chiudono velocemente la possibilità di vedere e sono il
presupposto della rottura con l’ipotesi costruttiva (idem). Esiste la violenza espressa, ma
pure quella psicologica, quella più sottile del silenzio, della rinuncia, della negazione, del
sottrarsi al confronto; quest’ultimi sono comportamenti classici e caratteristici della politica
e del dinamismo democratico”. All’interlocutore, leggendo queste righe di questo articolo,
non restava altro che capire, di come la giunta di sinistra con il suo “capo” fosse chiusa e
decisamente caustica, ed arrivare alle mani non era un segno di civiltà per la città. La
stessa chiusura che succedeva a me all'interno della scuola con il preside. Era lo stesso
clima, la stessa linea politica, la stessa intolleranza, la stessa chiusura verso l'altro
intrapresa dal preside comunista del Gramsci. L’ editoriale della Slepoj, poteva servirmi per
far capire il mio bisogno di aiuto. Ma nessuno, in quel momento mi stava ascoltando e
aiutando ad uscire dal dramma. Diciamolo sinceramente, eravamo di fronte a uomini della
stessa pasta, della stessa ideologia, quella del ’68, dell'estremismo, un comunismo erede
degli anni di piombo, del comunismo sovietico, della stessa scuola e della stessa linea
politica, dura, cinica, violenta, intollerante che del suo prossimo non ne volevano
assolutamente sapere, anzi lo detestava se si definiva un “non comunista” o un “non
concorde” alla loro linea politica. E l’opposizione non c’era, o faceva finta di non esserci, o
se c'era il tutto si trasformava in un ipotetico “ring”, ma il tutto era montato “ad hoc” per noi
sudditi, oramai senza più dignità. Ero già considerato un "uomo ostile" al regime
comunista che da poco si era instaurato nella città. I comunisti, avevano un piano ben
prestabilito: "eliminare già da subito" gli “eventuali nemici” che avrebbero in qualche modo
offuscato il loro cinico potere appena avviato nel "portare il comunismo nel mondo".
Quando si farà la storia di questi anni, se la censura lo permetterà, si capirà che il “male
era entrato nella città” e che “i nemici” erano le persone modeste, credenti, moderate,
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oneste, anticomuniste, antifasciste, libere, indipendenti da schedare o da eliminare subito.
Il potere comunista, che aveva preso il potere con un “golpe” sulla scusa di "tangentopoli"
(1992), era erede degli anni di piombo e non poteva certo accerchiarsi di persone per
bene, ma solo dei suoi simili”. Mi viene in mente la stessa politica di Stalin che adottò con
il suo regime comunista: neutralizzare e terrorizzare "i nemici del comunismo" perché non
debbano opporsi, reagire o ribellarsi, ma arrivare pure alla loro “eliminazione” vera e
propria perché non ci sia più l’ ostacolo per il proprio fine (lo stesso che succedeva fine
anni ‘90 a Padova, dove i diritti verso queste persone erano negati e calpestati). Ma non
solo: creare un modello di vita alienante, pure una lunga frustrazione per mancanza di
lavoro e di mete appaganti perché subentri l’aggressività distruttiva e autodistruttiva!
Quante sono le vittime di questa epurazione "passata sotto silenzio" con la complicità del
"centro-destra" e della "chiesa filo-marxista" degli ultimi 10 anni? Moltissime! Persone
come il sottoscritto dovrebbero esserne mille per cambiare veramente la storia; cambiarla
con la forza della verità e della fede, divulgando al mondo intero e denunciando al di là di
ogni blindatura che il regime vuole innalzare, perché nessuna menzogna - che il regime
voleva allora - duri per sempre, ma esca allo scoperto, subito! Il potere idiota della dittatura
comunista, che governava questo paese era di “terrorizzare” per fermare ogni proposito,
“punire” per rieducare, “perseguitare” (molestare) senza che la vittima possa denunciare,
“non dare informazione” della sua persecuzione, “imbavagliare”, “uccidere senza essere
perseguibili”. Una Padova, governata dalla sinistra, avvolta da una spirale di follia senza
senso. Una “colossale vendetta” e il principale riferimento al caso, di una bassezza infinita.
Capire per riflettere di come questa “società bellona”, - come se la dipinge spesso - sia
invece al di fuori della realtà.
Il male dentro i pensieri
Quegli uomini diretti o indiretti, con quale diritto potevano fare questo? Nessuno! Eppure lo
hanno fatto. Come a voler dire: nessun diritto umano, nessun diritto costituzionale, nessun
codice penale, nessun codice di procedura penale, nessuna legge di Dio, ma bensì la
legge dell’uomo che vuole mettersi sopra di Dio e prenderne il suo posto. No, non
potevano fare questo! Primo, perchè la persona ha i suoi diritti. Secondo, perché la vita è
sacra. Hanno invaso il mio spazio, la mia libertà, hanno schiacciato la mia anima.
Nemmeno le mie preghiere di scongiuro hanno avuto il modo di ammorbidire i loro cuori
malvagi nel fermare il folle proposito. Hanno voluto proseguire nella loro opera distruttiva,
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perché non soddisfatti, nella loro azione di maltrattamento e, perché c’era un fine
delittuoso nel portare a compimento. E, poi l’inganno oltre agli abusi, l’ingiustizia, come
fossi un oggetto nelle loro mani da girare e rigirare a loro piacimento; nessuna scusa del
male che avevano commesso. Potevo uccidermi, a loro non interessava un bel niente; ero
un padre di famiglia, rimanevo senza occupazione, senza giustizia e avrei sofferto per
questo gettandomi nello sconforto della depressione: chi mi avrebbe guarito? A loro non le
interessava un bel niente! E, difatti rimarrò dopo la scuola senza lavoro per venti anni fino
ad arrivare ai giorni nostri: dovrò andare in pensione a 67 anni! Mi avrei aspettato delle
scuse, in questi anni dai miei carnefici di tutto il male che avevano commesso, questo sì,
ma non sono mai arrivate. Quel comportamento violento mi segnò la vita, e mi fece
perdere la fiducia che avevo della vita. Non avrei più trovato la fiducia in questa società
che si stava avviando verso il male, ma ero pronto a combattere contro il male. “Allora Dio
pagherà ciascuno secondo le proprie azioni. Darà vita eterna a quelli che cercano gloria,
onore e immortalità facendo continuamente il bene; manifesterà invece la sua collera e la
sua indignazione contro quelli che sono egoisti e non seguono la verità, ma ubbidiscono a
tutto ciò che è ingiusto” (Rm 2,6). Questa società intrinseca di male non era così come la
conoscevo: vi erano magistrati che avevano dato un contributo forte alla parola "Giustizia";
uomini dell’ordine che avevano speso la vita per il prossimo; le leggi erano contemplate;
scienziati che avevano permesso all’umanità di avanzare nelle conoscenze, medici
prodigio nel sconfiggere il male del corpo; uomini, donne, forti di un altruismo nel garantire
i diritti umani: tutti questi uomini credenti avevano un unico obiettivo: la perseveranza per
giungere alla salvezza definitiva. Ma il male aveva preso di nuovo il sopravvento, ancora,
con inaudita violenza. L’uomo dominato dal male, crede al contrario, alla rovescia, si sente
forte solo del male che fa, applaude al male che gli uomini fanno e da loro gloria più di
quanta ne dia a Dio e alla sua onnipotenza; perché non ha timore di Lui, ma si sente sopra
di Lui. Per 2000 anni ci siamo persi in pensieri iniqui, tralasciando i pensieri positivi e le
parole di Dio. Tutto questo quanto potrà durare? “Di fatto, l’ira di Dio si manifesta dal cielo
contro tutti gli uomini, perché lo hanno rifiutato e hanno commesso ogni specie di
ingiustizia soffocando la verità”. (Rm 1,18). Dice William James: “...La più grande scoperta
della nostra generazione consiste nella facoltà che ha l’individuo di trasformare la propria
vita, cambiando i pensieri: perché i nostri pensieri determinano il nostro destino. Possiamo
sciogliere il groviglio, aprire la valvola, liberarci dalle tensioni…” Ma, tutto questo non lo
facciamo, restiamo ancora prigionieri di stereotipi o ordini ricevuti dall’infanzia, e nulla
mettiamo per modificare la situazione e cambiare gli eventi. Ci rapportiamo con gli altri a
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seconda dell’immagine che abbiamo di noi stessi e la nostra vita non può mutare. Siate
maledetti uomini malvagi per tutto il male che avete commesso!
La politica di fronte alla fede
Scrissi il 18 maggio del 2009: “L’ indifferenza di una chiesa verso talune persone. La
discriminazione politica, la loro persecuzione, e la fede nel portare avanti la loro verità. Il
bavaglio e la censura ai fatti, nella dittatura del silenzio. Sembra impossibile che nel paese
del cattolicesimo com’è l’Italia, succedono cose imprevedibili di cattolici lasciati a se stessi,
ai loro problemi, dagli stessi cattolici che professano l’amore e l’aiuto caritevole nelle
chiese: dunque non lamentiamoci che le chiese siano vuote e che i preti scioperino perché
reclamano fedeli, come è successo giorni fa in provincia di Treviso. Ma è la verità! E’ può
succedere di tutto in questo paese oramai alla fine, pure che un cattolico, venga lasciato
alla sua persecuzione di fede, nell’indifferenza generale e sia lasciato morire come è
successo col nostro Signore. Quello che fa più ascolto sono gli scandali, come il prete
ribelle che voleva prendere donna, di Monterosso in provincia di Padova nel 2009 dove
televisioni e spazi nei giornali erano a lui dedicati, mentre un perseguitato per la sua fede
libera, non aveva spazio allora, e neppure ora lo ha. La curia "non interveniva", e lui si
divertiva; senz’altro era protetto dalla politica laica che lo invogliava a fare e dava le
direttive. Non era certo solo; era sicuramente spalleggiato da una chiesa che voleva
disorientare, in quel momento i molti problemi dei cattolici perseguitati dai laici o atei con
altri problemi più superficiali, che gli stessi cattolici non dovevano sapere. Vi porto di
seguito qui un esempio di indifferenza della chiesa cattolica verso un cattolico, che
chiedeva aiuto in un momento delicato della sua vita lavorativa e che non lo ebbe. E’ la
mia storia e della mia lunga autobiografia, dove descrivo questo delicato frangente di
"indifferenza della chiesa", essendo cattolico, in un momento particolare della mia vita,
quando decisi di chiedere delle ferie al Marconi di Padova, luogo di lavoro, per assistere la
mamma ammalata. Era il febbraio del 1999, mi rivolsi a qualcuno, quando ormai fu troppo
tardi, e cioè quando "mi invitarono" a ritornare al lavoro nella scuola in condizioni di forte
stress dopo anni di persecuzione, violenze psicologiche, minacce, infamie e abusi, e dopo
avermi negato le ferie e l’aspettativa non retribuita per assistere la mamma ammalata.
Allora, ricordo, chiesi aiuto al parroco della mia parrocchia di Maserà di Padova, dove
risiedevo, Don Giorgio che mi conosceva da molti anni e conosceva pure la famiglia di mia
moglie che era nativa del luogo. Fu una grossa delusione: non mosse un dito per aiutarmi!
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Ricordo, rimase in un angolo della stanza ad ascoltare il mio bisogno di aiuto, che le avevo
descritto, e cioè la titubanza nel ritornare nella scuola dopo le violenze e le malefatte
subite. Le avevo fatto notare che volevo il suo intervento nel mediare il problema e di
intervenire presso il provveditorato di Padova. Ma tutto questo non avvenne. Mentre
raccontavo il mio problema - io seduto al tavolo in mezzo alla stanza - non riuscivo a
capire il perché di quel comportamento di ascolto e di silenzio di quel prete con gli occhi
rivolti al soffitto, seduto in un angolo della stanza curvo su se stesso. Mi sembrava il
comportamento di una persona schiva, assente, che non le interessasse nulla di me. Mi
dava l’impressione che fosse già stato messo al corrente, perché lo vedevo premunito nei
miei riguardi, non per nulla sbalordito, ma solo indifferente. Era una mia impressione; ma
non mi sbagliai di molto, perché da lì a poco si alzò, e mi disse: "Non posso fare nulla per
lei!" Come…? Risposi attonito! Mi parve un sogno il suo comportamento e il mondo mi
crollò addosso. Insistetti a lungo nel non credere a quello che mi stava dicendo; sottolineai
il mio bisogno primario di lavoro, essendo padre di famiglia, ma era come parlare col
muro. Mi invitò ad uscire, e me ne andai a malincuore e, per la prima volta mi sentì
veramente solo. Anche quel prete aveva obbedito. Avevo capito che pure la chiesa non ti
avrebbe aiutato, benché tu fossi cattolico. Era ed è la chiesa dei potenti, di chi non vuole
mettersi in mezzo nel difendere un poveraccio, ma schierarsi pure lei con il più forte. E’ la
chiesa politica che ha voluto abbracciare l’ideologia comunista che governava la città e il
paese. Non servì a nulla far capire che i miei persecutori erano dei laici o atei, - che non
erano certo dei cattolici se si comportavano in quel modo -, ma erano senz’altro degli
uomini senza scrupoli e senza rimorsi. Quel prete si definì un mollusco, non degno di
rivestire quel ruolo!” Ed è quello che succede tuttora, non c’è la politica oggigiorno ma solo
un bisogno di lavoro. Ora 62 enne, solo, senza lavoro a gennaio del 2019 avevo chiesto al
parroco della mia parrocchia di Albignasego la possibilità di un lavoro. Ma il parroco
seccato mi rispose di non averlo. Poi mi chiese il mio numero di telefono perché voleva
venire a benedire la mia abitazione. E’ passato un mese e non l’ho ancora visto.
Mio padre fu lasciato solo
(12/06/2009) Il ricordo è imperniato nella Padova degli anni ’90, con l’arrivo al potere dei
“comunisti” col un loro sindaco “comunista”, ed è considerato un piccolo frammento di tutta
l’ immensa storia, offuscata dalla malvagità cinica della dittatura comunista. Ricordo così la
scomparsa di mio padre avvenuta nel lontano 1994 e lancio il mio j’ accuse alle istituzioni
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locali, che mio padre fu lasciato solo, per avere indietro la casa comunale e perchè non
desse più fastidio. Ero entrato nella scuola nel novembre 1994, ricordo, nella mia lunga e
appassionata autobiografia, e da pochi mesi i comunisti - per la prima volta nella storia
della città – avevano preso il potere della città dopo un’era incontrastata di democrazia
(cristiana). Si può dire, che gli anni del dopoguerra, quello dei miei genitori, siano stati
caratterizzati come gli anni dello sviluppo e del benessere sociale. Uomini provati, che
uscivano da una guerra, erano decisamente diversi dagli uomini che avrei incontrato nel
mio cammino fino ai giorni nostri. Erano persone per bene, umili e buone, che ti avrebbero
aiutato. Si respirava in quegli anni aria di chiesa, di gran cattolicesimo e la gente si voleva
bene. Io ero nato e vissuto in quel contesto. La mia educazione era decisamente diversa
dagli attuali uomini al potere che li considero dei malvagi. Questi uomini erano nati prima e
in un altro contesto, non certo favorevole per il loro sviluppo intellettuale. Il mio contesto
era diverso: ero cresciuto nel rispetto della persona e a scuola mi avevano insegnato che
gli uomini avevano dei diritti e che la democrazia in un paese è un bene prezioso. Ma per
me, questo non è stato! Padova, era diventata comunista da pochi mesi con le votazioni
nell’aprile del 1994, ma era già comunista dal 1972, e poi, più ufficiale dal 1992, quando
un sindaco comunista prese il posto di un sindaco democristiano nel periodo di
tangentopoli. Io, sarei entrato da lì a poco nella scuola, nel novembre dello stesso anno. Il
sindaco comunista, sarà l’uomo che guiderà la città per 17 anni, quanto la mia storia e la
mia oppressione, e, la influenzerà sulla mente di uomini perversi. Il compito del
comunismo è quello di neutralizzare tutti i nemici del comunismo, da subito, senza andare
molto per il sottile. Ma andiamo per ordine: mio padre viveva solo e ogni tanto le facevo
visita, era autosufficiente; a luglio del 1994, quattro mesi prima di entrare nella scuola, si
ammala per disturbi respiratori (ischemia) e viene ricoverato in ospedale, che già, ho il
primo "contatto" del comune di Padova con l’assistente sociale che "pretende" a tutti i costi
che io porti mio padre a casa mia, e lo accudisca alle sue dimissioni, senza darmi altra
scelta. Poteva riferire se avevo problemi pure io nell’accudire mio padre, ma insistette che
dovevo accudirlo! Mio padre era molto povero e aveva già la sua casa, una casa del
comune ceduta dalla mamma e che le aveva dato il precedente sindaco democristiano nel
1970. I miei si erano divisi da alcuni anni e mia madre era andata a vivere per conto suo in
una piccola casa di proprietà. Dunque, mio padre aveva già la sua abitazione e non capivo
il nesso di questo comportamento del comune, perché quel sindaco “comunista” voleva a
tutti i costi che io mi portassi casa mio padre, dopo che lo avevano dimesso, non era un
disabile. Il punto era, che volevano indietro quella casa comunale avuta con grandi
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difficoltà e sacrifici da parte della mamma. Volevano a tutti i costi che mi prendessi cura di
mio padre, e se non avevo la possibilità di accudirlo, che pagassi una persona disponibile
a seguirlo, magari una badante. E, se pure questo era impossibile – dato che in quel
momento ero disoccupato involontario – che fosse mia moglie che lavorava come
domestica part-time a pagare le spese. Mio padre mori da li a poco, la sera stessa
all’improvviso, lasciandomi nel dolore, ma risollevandomi da mille preoccupazioni. Fui
avvisato dall'ospedale del decesso, ma non mi fecero vedere il corpo. Feci visita al corpo
solamente in obitorio il giorno dopo. Il suo corpo venne abbandonato nell’obitorio
dell'ospedale per due settimane, e non vedendo il comune adoperarsi per la sepoltura, mi
prodigai, io, personalmente per il funerale facendo debito. Mi minacciarono indietro le
chiavi dell’appartamento e pure la sua pulizia con annessa imbiancatura. Cosa che io feci,
liberandolo e portando le chiavi in comune. Mio padre era molto povero, aveva una
pensione minima: perché dava così fastidio quell’uomo, e perché proprio il figlio
disoccupato doveva sobbarcarsi questo immenso dramma. Dov’era la solidarietà e l’aiuto
delle istituzioni, in quel momento per le persone indigenti che il comune di sinistra andava
enfatizzando? Io, non so di come sia morto mio padre: non ho nessun certificato che
attesti le cause della sua morte. Perchè mio padre fu lasciato solo? Perchè si è voluto
espropriargli la casa e non ridarla a mia madre? Perchè non fu aiutato dal comune.
L’ingiustizia della mamma
L'odissea di una “ingiustizia” voluta
(28/11/2009) Un'altro dramma sul dramma è il mancato indennizzo all’anziana mamma in
base alla legge 210/1992 del 25 febbraio 1992 con tutti gli accorgimenti di legge (la legge
esce prima dell'inizio di tangentopoli). Scrivo la cronologia dei fatti, non dimenticando
alcuni miei accorgimenti personali. La mamma venne ricoverata d’urgenza all’Ospedale di
Padova per emorragia duodenale il 2/12/1979. Le verranno somministrate tre sacche di
sangue (25/522 – 25/528 – 25/339). Il 17/06/1991, in base a degli accertamenti diagnostici
le verrà riscontrata positività all’HCV. Il 18/09/1995 la mamma fa domanda di indennizzo ai
sensi della legge nazionale 25 febbraio 1992 n°210, la quale legge, dice: “Art. 3.1. I
soggetti interessati ad ottenere l’indennizzo presentano domanda al Ministero della Sanità
entro il termine perentorio di "tre anni nel caso di vaccinazioni o di dieci anni nei casi di
infezioni da HIV". I termini decorrono dal momento in cui, sulla base della documentazione
di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno”. Le verrà
assegnato in seguito dal Ministero della Sanità il numero di Protocollo 590Copyright 2019 - Maurizio Bianco, foto e manoscritti sono di proprietà http://mauriziobianco.blogspot.com
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U.S.L210/26152. Con una nota del 30/05/1997, Prot. n° 252/L l’U.L.S.S. n°16 Ospedale S.
Antonio di Padova avvia la “fase istruttoria”, richiedendo la documentazione riguardante il
“primo accertamento di positività”. Nel frattempo vi è una "modifica" inaspettata della
legge: il 4 aprile 1997 viene emanato un decreto-legge al vaglio delle camere con
"modifica" del comma più importante che va a modificare solo ed esclusivamente il comma
1 dell’articolo 3 in fatto di specificità virale e, dice: “(…) entro il termine di tre anni nel caso
di vaccinazioni o di epatiti HCV post-trasfusionali o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV.
(…).” Da come si nota nel termine dei tre anni è stato aggiunto pure l’epatite, che prima
non c’era, dunque tutto a svantaggio della mamma. Il 28 luglio del 1997 il decreto-legge è
definitivamente legge con l' approvazione del parlamento unito. I firmatari della legge sono
Prodi, primo ministro; Bindi, ministro della salute e Scalfaro presidente della repubblica. Il
7/11/1997 l’U.L.S.S. n°16 con altra nota Prot. N° 968/L ci avverte che la fase “Istruttoria” si
è conclusa e prosegue con la Commissione Medica Militare di Padova, per l’espressione
del parere di cui l’art. 4 della legge 210/92. Il 13/03/1998 con una nota Prot. N° 1816/ML/V-
2/CMO 2° Sez. l’ Ospedale Militare di Padova fa sapere all’U.L.S.S. n° 16 – Ospedale S.
Antonio – Dirigenza medica – Padova di “rivedere” la fase “istruttoria” per un corretto
esame dei termini di presentazione della domanda. Questo, fa supporre che la
Commissione Militare sia già a conoscenza della modifica effettuata sulla legge. A questo
punto, è facile capire, che si è voluto allungare i tempi. In questa fase la mamma aveva già
diritto di percepire un assegno di 50.000.000 di lire come prevede la legge, e iniziare la
pratica della pensione. Il 30/06/1998 con nota Prot. N° 194/L l’U.L.S.S. n° 16, l’ Ospedale
S. Antonio fa sapere che l’ Ospedale Militare di Padova ha comunicato in data 09/04/1998
che la domanda è “intempestiva”. La mamma fa ricorso per il riesame della pratica, in
quanto la domanda non è intempestiva (la prima legge 210/92 del 25 febbraio prevede 10
anni da quando si è venuti a conoscenza del danno causati dal contagio da HIV, quindi
anche per il contagio post-trasfusionale da epatiti). Il ricorso viene accettato e la mamma
verrà avviata alla visita presso l’ Ospedale Militare di Padova il 04/11/1998. Con nota
D.P.S./Ufficio XV/CMO/26261/1384 del 20/09/2000, il Ministero della Sanità di Roma fa
sapere che, in base alla visita effettuata presso la Commissione Medica Militare di Padova
fa sapere il seguente giudizio: “Si esiste nesso casuale tra la trasfusione e l’infermità:
“INFEZIONE DA HCV CON POSITIVITA’ HCV-RNA”, ASCRIVIBILE ALLA 8° CATEGORIA
della tabella A, allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n° 834”. La medesima Commissione
ha altresì espresso il seguente giudizio sulla tempestività della domanda: “la domanda
NON è stata presentata nei termini di legge”. Quindi nessun provvedimento di
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liquidazione. Nella lettera verrà allegato pure l’esito dell’Ospedale militare di Padova che
indica il “nesso casuale tra vaccinazione per trasfusione – somministrazione di derivati”,
ma domanda “non è stata presentata nei termini di legge”. Verrà pure allegato alla lettera
una copia inerente una richiesta di informazione da parte della Commissione militare
concerne le sacche all’AVIS di Padova, il quale risponderà che due unità trasfusionali “non
classificate” contraddistinte coi numeri "7735" e "7743" (?) sono risultate "negative" (le
sacche somministrate alla mamma avevano altri numeri, per esempio 25/522...) ai test agli
esami previsti dalla normativa, ma un donatore contattato per ripetere gli esami, non si è
presentato. La mamma si rivolge allora ad una associazione, il TEP di Padova per fare
ricorso amministrativo contro il parere (24 ottobre 2000). Da questa data non ci sarà più
nessuna comunicazione di risposta. Il 25/08/2001 troverò la mamma morta, una morte
avvolta ancora nel "mistero", ma non è un "mistero", non ci sarà una adeguata prassi di
legge sulla morte della mamma e non verrà eseguita l'autopsia. Come erede, assieme a
mia sorella, chiedo l’ assegno “una tantum” di 150.000.000 di lire, spettante per legge ai
sensi dell’art. 1 comma 3 a persona "deceduta a causa della patologia". La pratica verrà
formalizzata all’U.L.S.S. n° 16 di Padova, Ufficio Indennizzi con Prot. N° 18903 del
21/11/2001. Il 12/02/2002 con nota Prot. N° 88/L, l’U.L.S.S. n°16 di Padova, Presidio
Ospedaliero S. Antonio mi fa sapere che la pratica di “Richiesta di assegno una tantum” ha
concluso la fase istruttoria ed è stata inviata alla Commissione Medica Ospedaliera di
Verona, per l’espressione del parere di cui all’art. 1 della legge 210/92. Il 09/04/2002 con
nota Prot. N° 55/02/ML/V/CMO/2° la Commissione Medica Ospedaliera distaccata di
Verona “mi invita” a visita medico collegiale per il 16/10/2002 alle ore 9.00 per essere
"sottoposto alla visita richiesta". Si richiede di essere assistito da un medico di fiducia,
nessuna cartella clinica, biopsia “solo se già eseguita”, ricevuta di ritorno della
raccomandata di ritorno con la quale sono stati richiesti i benefici della legge 210/92.
Interpello il TEP, l’ associazione a cui la mamma aveva fatto riferimento prima della morte.
Il TEP sembra volermi aiutare, poi rifiuta categoricamente di assistermi. Il 16/10/2002 ore
9.00 sarò impossibilitato ad andarci e non presiederò la visita collegiale. Il 28/02/2003 con
nota Prot. N°108/L L’ ULSS n°16 di Padova Presidio Ospedaliero S. Antonio fa sapere di
aver ricevuto verbale di risposta da parte della Commissione Medico Ospedaliera
distaccata di Verona e, per la notifica, mi comunicano di recarmi presso L’ Azienda ULSS
n°16 “Ufficio Indennizzi ex Legge 210/92” Via degli Scrovegni 14 – 35131 Padova (tel.
049/8214014). Il 25/03/2003 mi reco presso l’ Azienda ULSS n° 16 “Ufficio Indennizzi ex
legge 219/1992 di Via degli Scrovegni, 14 per avere visione dell’atto della Commissione
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Medica di Verona. Mi verrà presentata una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, il
quale "dichiarerò" (sono costretto) di aver preso visione del verbale N°676 del 01/02/2003
della Commissione Medica di Verona che la mamma è morta per arresto cardiocircolatorio
e "non esiste il nesso casuale tra la trasfusione e l’infermità"; inoltre "dichiarerò" di aver
avuto la delega pure dalla sorella. "Sarò costretto", ancora una volta, a firmare e mi verrà
data copia della dichiarazione e copia del verbale della Commissione Medica di Verona. A
quella "dichiarazione" - è sottolineato - che potrò fare ricorso nei termini di legge (ma non
lo farò, per l' anomalia dell'operazione!). Il 20/10/09 mi recherò all’ULSS N° 16 di Padova
“Ufficio Indennizzi” per richiedere copia completa della pratica della mamma. Con stupore,
vengo a sapere che Il TEP il 05/02/2003 aveva ricevuto, a suo tempo, senza farmelo
sapere la risposta alla domanda di ricorso inoltrata dalla mamma il 25/10/2000 al Ministero
della Sanità. Il ricorso del Ministero rigetta completamente la domanda, perchè i donatori
delle sacche sono, a dir loro, "sani e ancora vivi". Il 20/11/2009 invio raccomandata per
avviare ricorso amministrativo alla risposta al Ministero della Sanità di Roma per oppormi
al rigetto e avere più documentazione che attesti che i donatori siano "sani e vivi", come
loro alludono. Riceverò la ricevuta della raccomandata senza firma e senza timbro postale.
Invierò di nuovo la raccomandata, e, questa volta riceverò la ricevuta con il "solo timbro
postale". Mi arrenderò all’inevitabile e la mamma non avrà giustizia!
La legge è una legge
In riferimento alla legge 210/1992, nel sistema delle fonti dello Stato italiano i regolamenti
sono, in generale, atti normativi subordinati alla legge. La “subordinazione” del
regolamento alla legge comporta che “le norme regolamentari non possono essere
contrastanti con norme di legge”. Se di fatto lo sono, esse vanno perciò qualificate come
“illegittime”. Ma il vincolo della legge è ancora più forte, perché il potere di fare regolamenti
esiste solo, se, e quando una legge lo prevede. Il vincolo del potere regolamentare alla
legge è una espressione del “principio di legalità di uno potere sovrano. C’è un altro tema
fondamentale sulle “disposizioni sulla legge in generale” art. 11 “L’ efficacia della legge nel
tempo. – La legge non dispone che per l’ avvenire: essa non ha effetto retroattivo (25
Cost., 2 c.p.). Dunque la legge 238 del 25 luglio 1997 "non ha potere retroattivo". Il decreto
legge non richiede una preventiva delega da parte del parlamento, ma può essere
adottato dal Governo, di sua iniziativa e sotto la sua responsabilità, soltanto ”in casi
straordinari di necessità e di urgenza” (art. 77 Cost.), quando le camere non hanno tempo
di intervenire. Una parentesi: i decreti legge venivano adottati durante il regime fascista
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per opprimere gli oppositori. Una volta varato il decreto legge viene firmato dal Presidente
della Repubblica e dal Capo del Governo. Esso entra in vigore il giorno stesso della sua
pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale”, ma è fatto d’obbligo al Governo di presentarlo
immediatamente alla camere affinché queste, entro i sessanta giorni, lo convertono in
legge. Nel caso in cui non intervenga la conversione in legge, il decreto legge decade
perdendo efficacia fin dalla sua emanazione: come se non fosse stato posto in essere. Ma
può succedere che un decreto legge sia stato presentato ben nove volte dal Governo
annullando di fatto il termine perentorio dei sessanta giorni, facendo del decreto uno
strumento legislativo dotato di efficacia non più temporanea, ma legislativa. Per porre un
freno a tale abuso, una sentenza della Corte costituzionale ne ha dichiarato l’illegittimità
della reiterazione dei decreti legge cui sia stata negata la conversione (sent. N° 302 del
1988), legge N° 400/1988. Essa, oltre a stabilire il divieto di rinnovare con decreto legge le
disposizioni dei precedenti decreti a cui sia stata negata la conversione, ha stabilito di
indicare le materie sottratte alla decretazione di urgenza (approvazioni di bilanci,
autorizzazioni, ratifiche, ecc.). Una volta che il decreto legge sia stato approvato dalle due
camere, questo è inviato, a cura del presidente del ramo del Parlamento che ha approvato
per ultimo, al Capo dello Stato che dovrà promulgare. L’intervento del presidente è dettato
da motivi di garanzia, sia di costituzionalità, sia di opportunità (merito). Ove dubiti di
qualcosa il Capo dello stato rinvia la legge alle camere perché venga riesaminata,
allegando un suo messaggio in cui specifica la perplessità. Se le camere riapprovano lo
stesso testo, al Capo dello Stato non resta che promulgare lo stesso. La promulgazione
deve avvenire entro un mese dal giorno in cui la legge è stata approvata dalla camera che
ha votato per ultima. Una volta promulgata, la legge è subito inserita nella “Raccolta
Ufficiale delle leggi” e pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” a cura del ministro di Grazia e
Giustizia (detto anche Guardasigilli), dopo che questi vi abbia apposto il suo visto (con cui
attesta la regolarità formale del documento) e il “gran sigillo dello Stato” (che accerta
l’autenticità delle legge). La pubblicazione serve a far conoscere a tutti la legge, che, 15
giorni dopo (salvo che la legge stessa non stabilisca un termine inferiore), entrerà in vigore
e dovrà essere osservata da tutti i cittadini senza eccezione. Dunque, a rigor di logica, un
decreto-legge che sostituisca una legge, o in parte, non si addice alla correttezza della
democrazia (se c'è?). I regolamenti parlano chiaro. Non ci doveva essere questo decreto,
punto e basta! Ma lo si fa, perchè non esistono regole, in materia, che paventino un
ordinamento della questione e il tutto viene lasciato al caso e allo Strapotere del Governo
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in carica. Solo una questione politica è evidente, come segnale, per aggirare la stessa
legge.
Decreti legge per colpire i "non comunisti"
C’è un problema nella politica in generale da moltissimi anni a questa parte, credo
dall'inizio della Seconda Repubblica (inizio di tangentopoli) : sono i rapporti fra le
istituzioni, e, in particolare tra quello fra Governo e Parlamento, ma anche quelli con la
Presidenza della Repubblica e la Costituzione stessa che non godono di buon auspicio,
anzi. Sono i dati a rilevarlo, di alcune fonti insospettabili, che indicano di come la maggior
parte delle leggi portano la firma del Governo e della metà siano conversioni di decreti
legge. Il ricorso al decreto legge avviene solamente in caso di calamità ed urgenza, ma
l’eccezione non può diventare una regola fissa per chi ci governa. I decreti legge venivano
esercitati con maggior insistenza sotto la dittatura fascista per opprimere ancor di più il
popolo. Il rischio - ma non è più rischio, oramai, - è che si trasformi il tutto per governare
più prepotentemente, senza molti fastidi con un Parlamento quasi inesistente e ridotto più
a "notaio" che espressione del popolo, dove una maggioranza "bulgara", - meglio definita
comunista - , assicura il Potere, e certe volte lo "Strapotere" dell’Esecutivo che io chiamo
semplicemente dittatura. Ci sono molte cose che non vanno: il Presidente, - in un contesto
legale di legge (proposta) - "costretto" ad accettare la superbia della camera, perché la
stessa “non vuole” cambiare quel messaggio da lui allegato e il suo punto di vista per
modificare la legge incostituzionale. E, inoltre, sappiamo che il percorso del decreto legge
alle camere, "risulta" invece molto più snello, una volta che il decreto è stato firmato dal
Presidente e dal Capo del Governo, e avviato alla pubblicazione. Come è naturale, che il
decreto venga immediatamente bocciato dal Presidente quando vi è incostituzionalità. Ma
a volte, questo non succede e, qui sappiamo, che entrano in gioco altre componenti, e
cioè "la politica maggioritaria delle istituzioni" del momento, a danno di quell'ala moderata,
liberale e democratica. Ma questa non è democrazia! Con il decreto legge sul
cambiamento della legge 210/92, vi era una questione politica mirante al sottoscritto, con
un' unico obiettivo: non evidenziare il giusto danno per non indennizzare. In quel
preambolo vi era un Governo di sinistra che mirava a stravolgere la stessa legge a sfavore
di molti cittadini contagiati, con i loro cari, e che non abbracciavano una politica comunista
dominante. Nessuno in quell'istante, pure le opposizioni (centro, centro/destra, destra)
hanno voluto replicare contro, con qualche emendamento, come a voler dire: va beneCopyright 2019 - Maurizio Bianco, foto e manoscritti sono di proprietà http://mauriziobianco.blogspot.com
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così! E, lo stesso Presidente di allora, firmatario, "non ha rilevato nessuna
incostituzionalità nella legge". Mentre sappiamo che vi era incostituzionalità, dal momento
che non si tutelavano più i cittadini contagiati prima della legge 238/97, dunque li si
discriminava. La questione più importante, - se dovremmo vedere la sentenza della Corte
Costituzionale sui decreti -, a questa legge la 238/97, - che ha preso il posto della 210/92
(diciamo che sia così, ma non ne sono convinto) -, "non sarebbero" state apportate le
famose “materie sottratte”, ma solamente “indicate” (per l'anno in corso, il 1997) alla
decretazione di urgenza per quanto riguarda gli indennizzi da evolvere ai danneggiati. Un’
altro punto, ancora importante è la pubblicazione del decreto legge che porta la data del
5/4/1997, e la conversione in legge 238/97 che porta la data del 27/07/1997: se facciamo i
conti, abbiamo 105 giorni perché la legge venga osservata dai cittadini. In questo caso, - a
meno di qualche emendamento (che non si sa, se ci sia stato, ma ho i miei dubbi) - la
legge 238/97 “avrebbe sforato” di 7 giorni il suo percorso naturale. Qualcuno mi spieghi. E
poi, c’è la stessa Costituzione – da rivedere certamente - che da la possibilità, oggi di
decretare senza molti problemi, senza scindere l’urgenza dalla prepotenza. Di carne sul
fuoco, c’è ne abbastanza, per avere dei seri dubbi sulla veridicità della legge 238/97: se
questo è il presupposto, la legge 210/92 è la più veritiera, e rimane tale, e, la mamma ha
tutto il suo diritto a pretendere il giusto danno. La Carta era stata concepita e redatta da
una generazione politica del tutto figlia del suo tempo,- liberale, democratica, cattolica,
antifascista e anticomunista per la maggiore - ora scomparsa, e dove le regole
democratiche erano condivise con tutti, pure con gli anticomunisti, e il ricorso al “decreto
legge” rimaneva solo un optional nell’urgenza, lontano anni luce dal cinismo deplorevole".
La morte misteriosa della mamma
(23/07/2009) Il ricordo doloroso che riemerge, dopo quello del padre è la morte
dell’anziana mamma avvenuta il 24 agosto del 2001, in una circostanza agghiacciante,
anomala e ancora misteriosa. Non vorrei mai parlarne, per non riaprire una profonda ferita,
ma la realtà mi inchioda su quei mille perché, nell’esser rimasto "spettatore impotente" di
fronte a quegli avvenimenti, e dai quali, non ho mai avuto, ancora, una esauriente risposta
dalle autorità competenti. Il sangue non è acqua: un triste presagio lo avevo intuito a metà
mattina non sentendo nessuna risposta alla mia telefonata in quel giorno caldo di agosto,
indirizzata all’anziana madre. Poi la sua insistenza presso un’amica della mamma
anziana, abitante nello stesso condominio che la invito ad andare a bussare alla sua porta;
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e la stessa che ritelefona dopo poco, dicendo che non "risponde nessuno", anzi, le pare di
vederla distesa sul letto che "dorme" e che non risponde ai suoi continui richiami (il
monolocale è posto al piano terra con annesso terrazzino, il che è fattibile vedere
all’interno dello stesso). E, quindi, col cuore in gola, mi precipito con l’auto in direzione di
Padova, zona Stanga, in via Maroncelli al civico 4; una lunga corsa di 20 chilometri contro
il tempo, e l’agghiacciante scoperta intorno alle 13,00 della mamma morta. Cosa è
successo in quelle ore antecedenti la morte della mamma? - mi domando ancora -. Perché
quella luce accesa in bagno? Perché quella tapparella alzata sul davanzale? La sparizione
delle medicine che prendeva; lo strano ordine; la mancata autopsia; la postura anomala
del cadavere sul letto con quelle mani inchiodate, rigide in "rigor mortis" in prossimità del
collo e un fazzoletto tra le mani; i "mancati rilievi" della polizia scientifica
nell’appartamento; il "mancato intervento" del magistrato di turno, che doveva arrivare?
Domande ancora senza nessuna risposta da parte degli inquirenti, giunti sul posto; anzi –
aggiungo - nemmeno la cortesia di consegnarmi copia del verbale dei "rilievi" di polizia
scientifica che hanno esaminato il cadavere". "Infarto", "morta presumibilmente la mattina
stessa molto presto..." è stato il responso e, su quello è caduto tutto! Ma ho posto delle
domande agli inquirenti…, pure a me stesso; speravo di trovare delle risposte, ma non
sono stato esaudito. Perché? Io cittadino di serie B? Si, senz’altro! Che fosse un’ uomo
ostile in quel momento, era risaputo; che fosse "odiato senza una ragione" lo sapevano
pure i sassi. Ero uscito dal licenziamento politico e tutto era a mio danno perché avevo
"criticato democraticamente" la politica “comunista” della scuola e della città di Padova, io
che di politica non ne volevo sapere; avevo inoltrato causa di lavoro per rientrare al lavoro
e la lungaggine era asfissiante; mi ero rivolto alla giustizia: avevo presentato vari esposti
verso i miei "molestatori politici", alcuni "archiviati" e alcuni risolti su "farse pre-impostate",
meglio definite "congiure di palazzo"; la mamma aspettava, ancora l’indennizzo (che non
arrivava) in base a una legge dello stato 210/1992, sul sangue infetto e “poteva comparire”
come test nella mia causa di lavoro ancora pendente (avevo chiesto di assentarmi dalla
scuola chiedendo delle ferie per assisterla). Ero uscito miracolosamente da un strano
incidente motociclistico; ero uscito pure da AN per il disinteresse nei miei riguardi; il ricorso
al TAR sull’abuso di ufficio della patente su falso incidente, era "ancora aperto" con un
dissanguamento di soldi in atto da parte di "avvocati-in-combutta-vampiro". C’era la causa
di lavoro ancora aperta… c’era la diffamazione sul giornale! Ero "un’ uomo in trincea per le
mie valide ragioni". Avevo, dunque, il mondo contro, ma non per questo avevo il diritto di
"non" essere ascoltato. Ma perché inascoltato, io che ero iscritto ad AN e mi definivo un
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liberale? Perché di "liberale" non c’era più nulla, e il sistema era decisamente marcio!
Sapevo che la mamma non attraversava un bel periodo dopo averla informata
involontariamente della mia persecuzione; ma io, da buon figliolo, la rincuoravo spesso, e
lei, a sua volta mi raccontava dei suoi enormi e "inaspettati problemi" che non erano pochi,
anzi…: come quel problema, che la "stavano prendendo in giro", così alludeva, sulla
"mancata accettazione" di una "domanda di aiuto economico" inoltrata all’assistente
sociale di quartiere (l’ anziana mamma aveva una pensione minima e tanti problemi
economici); le raccontava che non riusciva a capire il nesso di quel comportamento – che
le facevano fare dei "viaggi a vuoto" per il buon esito della domanda -, lei che era solita
usare la bicicletta, sotto il sole di quell’estate calda del 2001, oltrepassando pure un
cavalcavia ferroviario, quello di Borgomagno con una forte pendenza, sia in andata che al
ritorno; lei che era, dopotutto malata di cuore. Quale deplorevole cinismo! Luci e ombre di
una morte, quella dell’anziana mamma che coinvolge tutti, e che tutti siamo responsabili.
C’è un assassino che resta impunito? Forse, fatto stà che "non si è voluto fare chiarezza
su nulla", e il tutto per lasciare le cose come stanno. Quel fatto "fu censurato" dai media di
regime per nascondere la verità! Perchè? Forse, perchè potevo diventare "troppo
popolare" e il regime questo non lo avrebbe permesso! Non si è voluto fare luce su niente!
Qualcuno ha una responsabilità, e sarà un peso enorme che si porterà dentro per tutta la
vita! Ero molto legato all’anziana mamma, ancora giovane, appena 72 enne e, con ancora
molto da dare! Ero un cittadino di questo paese, e avevo bisogno di sapere la verità, era
un mio diritto!
Un “delitto” imperfetto?
(23/07/2009) Sull’anziana madre non c’è stata trascuratezza, ma proposito, e, su
"qualcuno" pesa una tremenda responsabilità. In un paese civile compito di una seria
investigazione svolta dalla polizia giudiziaria è quello di accertare - se un reato è stato
commesso – nel trovare dei responsabili. Le prime operazioni che gli inquirenti devono
compiere dopo che è stato commesso un reato o si è verificato un evento anomalo in
relazione al quale possono ipotizzarsi delle responsabilità penali (morte sospetta, delitto,
infortunio domestico, suicidio, ecc.), riguardano la ricerca e la documentazione, sui luoghi
del presumile reato, di tutte quelle tracce o prove che possono essere utili per la
ricostruzione del fatto delittuoso e di conseguenza l’accertamento delle responsabilità. Il
momento più importante di queste operazioni - dalla cui accuratezza, l’esperienza insegna
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che dipende molto spesso l’esito del successivo procedimento penale, - è costituito dal
sopralluogo effettuato dalla polizia giudiziaria. A questa la legge affida il compito di
prendere, anche di propria iniziativa, notizia dell’evento, assicurarne le prove e raccogliere
quant’altro possa servire per l’applicazione delle norme penali (Art. 219 C.P.P.); nonché
quello di curare che il corpo e le tracce del reato siano conservati e che lo stato delle cose
non sia mutato prima dell’intervento dell’autorità giudiziaria (Art. 222 C.P.P.). All’esito del
sopralluogo, gli organi di polizia redigono un' accurata "relazione" contenente la
descrizione, quanto più precisa e minuziosa possibile, dell’ambiente in cui si è svolto il
fatto (eventuale reato), delle prove, tracce, orme di scarpe, arnesi da scasso, sparizioni di
oggetti, finestre lasciate aperte, anomalie come la luce accesa o la caduta di oggetti, di
tutti gli elementi che si ritiene possano avere attinenza col fatto su cui si indaga. Verranno
pure sentiti dei testimoni, se ci sono. A illustrazione e completamento della "relazione" essi
curano l’esecuzione di una serie di rilievi fotografici, i quali, per l’efficacia e obiettiva
documentazione che in qualunque momento offrono agli osservatori (giudici, avvocati,
testimoni), risultano spesso molto più utili di qualsiasi testo scritto. Le riprese fotografiche
nel corso del sopralluogo sono eseguite, di norma, da personale specializzato dei vari
corpi di polizia, spesso appartenenti ai Gabinetti regionali di polizia scientifica esistenti
presso ogni Questura. Esse comprendono una o più vedute generali dei luoghi e una serie
di vedute particolareggiate degli oggetti che possono avere interesse ai fini delle indagini
(posizione del cadavere, la sua postura, macchie di sangue, segni o echimosi sulla pelle,
oggetti anomali sul cadavere, orme, tracce, bossoli esplosi, ecc.). Ovviamente, le
fotografie sono scattate senza che alcunché sia stato prima toccato o spostato per non
inquinare le prove. Le immagini sono riprese da varie angolazioni, che saranno poi
indicate nelle didascalie delle singole foto. Se occorre far rilevare le dimensioni di qualche
particolare, si provvede a collocare, accanto all’oggetto da fotografare una striscetta
metrica. Ultimato il sopralluogo, le indagini continuano nei vari laboratori di polizia, molto
ben attrezzati ed efficienti. In essi si esaminano le foto accuratamente e si provvede a
documentare fotograficamente le prove già raccolte sul posto del reato, o a effettuare le
opportune indagini fotografiche su sostanze, impronte digitali ed oggetti già eventualmente
reperiti. In particolare, la fotografia trova largo impiego per la realizzazione di prove di
confronto tra le prove già rilevate durante i sopralluoghi e quelle già in possesso della
polizia o da questa sperimentalmente create utilizzando strumenti ritenuti sospetti. Un’altra
tecnica ampiamente utilizzata nei laboratori di polizia è quella della microfotografia.
Immagini riprese al microscopio, con ingrandimenti talvolta dell’ordine anche di diverse
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centinaia di volte, consentono spesso, infatti, di accertare – e provare – segni sulla pelle o
echimosi, o la natura e l’origine di piccolissime particelle di materiali (macchie di sangue
rappreso, granelli di sabbia, frammenti di capelli, di tessuti, ecc.) rinvenute, per esempio,
nelle pieghe, negli indumenti, negli oggetti, sotto le unghie, nelle cavità nasali del
cadavere. I risultati che se ne ottengono, aiutano a stabilire quale sia stato il luogo, ove è
stato commesso il reato, quali le modalità della sua realizzazione, quale il comportamento
della vittima prima di essere uccisa. Del pari, largo impiego trova nelle investigazioni
criminalistiche la fotografia a raggi infrarossi e ultravioletti. La prima delle due tecniche di
ripresa, per le peculiari caratteristiche delle radiazioni che sfrutta (i raggi infrarossi hanno,
tra l’altro, buona capacità di produrre, al loro passaggio cambiamenti di colore in diverse
sostanze), consente di mettere in rilievo macchie particolarmente di sangue, o altre
anomalie su stoffe e fibre tessili. Poi, invero, dopo tutte le verifiche di legge, spetta al
magistrato l'ultima parola e dare il nulla osta per la sepoltura.
Un boomerang il loro male
(23/07/2009) Il male deve farsi passare per qualcosa di diverso, di più accettabile, capace
di offuscare la verità. Le civiltà non declinano, si arrendano. Non crollano di colpo, si
sgretolano a poco a poco. Il Volto del Signore è contro i malfattori per cancellarne dalla
terra il loro volto. La responsabilità di tutti noi, non è di volgere lo sguardo altrove, ma di
contribuire in tutti i modi a dar vita all’unica regola democratica che ci è rimasta davvero in
noi: la nostra coscienza. Certo, che una prassi così scrupolosa, come ho spiegato sopra,
doveva essere il top per un paese progredito e civile: ma qui in Italia, le persone non
valgono nulla, e di paese civile non c’è neppure l’ombra. Ho dimenticato una cosa
importante: il movente di questo “delitto”. Chi può aver voluto la morte di mia madre? Molti,
a mio avviso. "Una parte dello stato schierato col male", prima di tutto, che non ha voluto
elargire il giusto danno su quella legge statale sul sangue infetto, la 210/1992; la mamma
ne aveva diritto, ma nel 1997 con una apposita legge di "modifica" la n° 238 (25/07/1997),
ne ha stravolto il significato, bloccando il procedimento. Mia madre poteva comparire nella
causa di lavoro ed essere ascoltata dal giudice a mio favore, quando chiesi le ferie -
negate - per accudire la mamma ammalata. Uccisa la mamma, negato pure l’indennizzo
con un risparmio notevole di parecchi milioni di lire per lo stato, che "servirà" la politica
gaudente: ma, ciò nonostante, la loro sete di vendetta di questi malafattori è proseguita
oltre il consentito e hanno infangato pure la sua memoria. E, ancora molti altri - i miei
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nemici, particolarmente -, che in quel momento erano moltissimi e che complottavano per
eliminarmi: volevano farmela pagare per un’ affronto di poco conto, scegliendo di colpire
una innocente, mia madre, che aveva solo la colpa di essere dalla parte di suo figlio. Se
aspettavano una mia reazione, sono stati disillusi, ma quei criminali ci avrebbero sperato
fino all’ultimo, per finirmi del tutto. Tornando al procedimento di polizia giudiziaria, che
“non” c’è stato, il dramma della morte di mia madre mi aveva sicuramente sconvolto. La
prima reazione che ho avuto quando l’ho vista morta è stata quella di dire: "Me l’ hanno
uccisa!" Non credo che si siano rispettati i procedimenti di legge! Ci sono state molte
lacune che non sono state prese in considerazione e chiarite: il fazzoletto per esempio,
che stringeva tra le mani la mamma, perché lo stringeva e che fine ha fatto? La luce
accesa in bagno, le medicine che prendeva sparite, la porta finestra sul davanzale aperta,
la sabbia sul pavimento, lo strano ordine. E, inoltre la prassi delle fotografie e dei rilievi:
sono stato invitato ad uscire dall’appartamentino, mentre alcune persone esaminavano il
cadavere. Non so se abbiano fatto delle foto, questo lo escludo. Non c’è stato nessun
interessamento ai miei molti perchè da parte degli inquirenti su cosa possa aver provocato
la morte della mamma. Infarto mi è stato riferito, ma tutti moriamo d’infarto e, su questo è
calato il sipario! Appena ho scoperto il cadavere di mia madre, ho chiamato subito la
polizia, e, la stessa, invece di eseguire le indagini, mi invita a chiamare il 118, inquinando
così le prove. Doveva arrivare un magistrato dal tribunale ma non è arrivato. La
"relazione", non credo sia stata verbalizzata, perché se fosse, mi avrebbero dato una
copia, che io non ho e, non ho, ancora, a distanza di 8 anni. C’è stata una "relazione" da
parte dei due agenti di polizia chiamati sul posto, che mi hanno interrogato a lungo
sull’accaduto, i quali mi hanno rilasciato copia. Vi era, inoltre una testimone, che io avevo
fatto presente, l’amica di mia madre che io avevo interpellato telefonicamente e che aveva
notato mia madre distesa a letto attraverso il terrazzino, ma non è stata sentita dagli
inquirenti. Il procedimento è stato del tutto superficiale senza prendere le dovute
osservazioni. Mi avevano garantito l’autopsia, ma non è stata eseguita. Di mia madre non
so niente, non so come sia morta, e la notizia della sua morte è stata volutamente
censurata dalla stampa. L’ assassino è ancora libero? Certo! Potrebbe essere stato
benissimo un mio nemico, di questo folle regime. Potrebbe essere stata uccisa in vari
modi: le medicine che prendeva; come le prendeva? E quali erano queste medicine, che
sono sparite dall'abitazione? Potrebbe essere stata soffocata con un sacchetto, oppure
strangolata, oppure uccisa con un colpo contundente alla testa, e, naturalmente in altri
modi...; faccio io alcune mie ipotesi personali per sapere come è stata uccisa la mamma;
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ma non è giusto! Dovrebbero essere stati gli stessi inquirenti a fare luce su questo fatto e
dirmi di come è stata uccisa... e, no infarto (troppo facile). Fare l'autopsia era d'obbligo di
fronte a molti dubbi del momento. Che dire di questa ennesima follia? Siamo di fronte ad
uno "stato totalitario" che non gli importa niente dei suoi cittadini che vengono uccisi; di
fronte alla morte ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B; che non si vergogna di
avere le mani sporche di sangue: fonda le sue radici nel male ed è pronto ad uccidere per
colpire chi si estranea alla sua follia criminale. Voglio la verità finchè avrò vita sulla morte
di mia madre! E' un mio diritto! Se non l'avrò, vi maledirò malfattori criminali per il male che
avete commesso, finché avrò vita e sarà Dio a darvi la giusta punizione. "Quando la fine
verrà, chi rimarrà in vita? I retti sono quelli che risiederanno sulla terra. Riguardo ai
malvagi, saranno stroncati dalla medesima terra". (Prv 2:21,22).
Un crack ad hoc
(09/07/2009) Congiure e complotti “comunisti” col benestare del “centro-destra”: "punire" in
modo tranquillo semplici cittadini risparmiatori, moderati, liberali, colpevoli di non essersi
sottomessi al comunismo. Il crack della borsa avvenuto nell’agosto del 1998 fu un evento
rilevante nella storia della borsa italiana, poiché segnò il primo crollo dal dopoguerra.
Successe nella tarda primavera, durante il primo governo “comunista” del paese
(15/05/1996 – 22/12/1999) in una concomitanza favorevole sia per l’economia, sia per lo
sviluppo interno. I vari politici alla guida del governo “comunista”, - che governava in quel
momento - indicarono favorevole l’opportunità di un nuovo investimento – oltre a quello dei
Bot - quello della borsa, ed invitarono tutti i cittadini risparmiatori ad investire fiduciosi in
titoli azionari. Fu Prodi, il premier "anticomunista" che diede l’ok (su ordine di qualcuno,
molto più in alto), ma poi, per le critiche sopraggiunte all’operazione da parte di molti
cittadini, pure comunisti che avevano visto i loro risparmi eclissarsi, venne "silurato"
nell’ottobre del 1998 dai vertici comunisti. Tutti i cittadini presero la parola al balzo e,
fiduciosi investirono massicciamente in borsa. Pure il sottoscritto. Fu una moda nuova di
investimento del momento che prese tutti dal più ricco al più povero; ma nessuno, però
avrebbe immaginato che le cose sarebbero cambiate da li a poco. Proprio durante la
pausa estiva, in pieno agosto con gli italiani in vacanza, ci fu la mazzata. La Borsa russa
crollò e perse il 20% in un giorno, il 10 agosto 1998, iniziando una discesa che appariva
senza fine. Questo evento fece sentire i suoi effetti su tutti i mercati internazionali: l'indice
della nostra Borsa, il Mib iniziò una veloce discesa che lo avrebbe portato a perdere oltre il
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30% in due mesi, lo stesso accadde all'indice tedesco Dax, mentre il Cac francese
avrebbe finito per perdere quasi il 40% nello stesso periodo di tempo. Il crollo però fu forte
anche sui mercati americani: l'indice Dow Jones Industrial il 30 agosto 1998 segnò uno dei
record storici negativi perdendo 512 punti, scendendo cioè da 8051 a 7539 punti, oltre il
6% in un giorno. Gli economisti di quel periodo si divisero tra coloro che affermavano che
la crisi russa si sarebbe risolta senza grosse influenze sulla economia mondiale e coloro
che invece parlavano di inizio di depressione globale. Avevano ragione i primi: la
situazione in Russia dopo il 1998 cominciò a migliorare e dopo la discesa continua gli
indicatori di produttività dal 1999 tornarono a salire. Il paese riprese sviluppare un buon
livello di esportazioni con un saldo positivo nella bilancia commerciale del paese. Le borse
europee e americane dopo aver segnato un forte minimo a ottobre 1998 iniziarono a
riprendersi - pure la Borsa di Milano - e nel gennaio 1999 erano tornate quasi al livello di
agosto. La forte discesa era stata quindi recuperata, ma così non fu per migliaia di
risparmiatori che avevano deciso di andarsene. Osservavo gli italiani, nonostante fossero
nei luoghi di villeggiatura, incollati davanti al televisore per sapere gli ultimi dati della
borsa", ricordo così quei tempi, quando ero villeggiante in Croazia con la famiglia. Molti
volevano lasciare le vacanze per tornarsene a casa e ritirare i risparmi; io li invitavo a
desistere, nonostante fossi pure io preoccupato per i miei risparmi. Il crollo della borsa
russa prese tutti di sorpresa, perché fu inaspettato per quel periodo. Ci fu certamente il
rammarico verso un governo di sinistra che aveva prima illuso per poi disilluso. Nei giorni
avvenire ci fu il panico, molti risparmiatori corsero a prelevare i risparmi investiti nella
borsa perdendo così il loro valore effettivo. Molti risparmiatori che avevano creduto in quel
governo di sinistra che li aveva incoraggiati si sentirono traditi e abbandonati. L’
opposizione politica restò in silenzio manifestando segni di complicità. Un intervento
governativo “comunista” in collaborazione con altri paesi europei, per interrompere la falla
non ci fu. Neppure associazioni governative di tutela del cittadino o del consumatore
intervennero nella drammaticità del momento. Furono i poveri, gente comune, a rimetterci,
che corsero preoccupati a ritirare i loro pochi risparmi; pagarono senza dubbio lavoratori,
inoccupati, disoccupati, precari, pensionati, liberi professionisti, pure commercianti e
piccoli imprenditori, che in quel momento avevano solo creduto nel governo di sinistra.
Pure io pagai! In quel periodo, ero in ferie e aspettavo come una liberazione il
trasferimento al Marconi, - scuola di Padova - a settembre, dopo l'odissea del Gramsci. Il
regime comunista, instaurò il crack della borsa per rubarmi in modo tranquillo i miei
risparmi, frutto di lavoro sudato (20.000.000 delle vecchie lire); fu una vendetta
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organizzata dall'alto, pure internazionale tra comunisti e con l’appoggio delle opposizioni
traditrici, che non colpì solamente il sottoscritto, ma milioni di utenti sprovveduti, cittadini,
gente comune, e senza nessuna colpa. Mi recai come al solito in banca "La S. Paolo" di
Torino ubicata ad Albignasego (Padova) per chiedere indietro il mio denaro. Un impiegato
mi invitò a lasciarlo lì nonostante la perdita spiegandomi che la borsa sarebbe risalita.
Acconsentii, ma la borsa precipitò di nuovo nel giro di due giorni. Ritornai in banca, ma
questa volta ero deciso a voler indietro il denaro.
Un "affaire" di basso profilo
(09/07/2009) Il crollo della borsa del 1998, fu un dato inaspettato per tutti in quel tempo.
Mai qualcuno avrebbe profetizzato un tale crisi che avrebbe investito tutti i mercati del
mondo e messo sul lastrico migliaia di risparmiatori. Eppure successe! Fu il primo della
storia, dal famoso crollo del 1929. Chi non si ricorda questa famosa data per l’economia
mondiale di quel tempo. Ci vollero ben quindici anni per risollevare l’economia statunitense
che terminò nel 1945. Tutto cominciò il 24 ottobre del 1929, quando la Borsa di New York,
capitale della finanza mondiale, crollò improvvisamente trascinando l’economia americana
e del mondo in una crisi di proporzioni incalcolabili. A differenza del 1998, la crisi del 1929
fu una crisi di "sovrapproduzione", esplosa per il fatto che il mercato americano non
riusciva ad assorbire i beni prodotti dal settore industriale. Le merci si accumulavano nei
magazzini, i prezzi cominciarono a scendere e i proprietari delle azioni, presi dal panico,
iniziarono a svenderle, pur di ricavare del denaro. I titoli di Borsa crollarono e decine di
migliaia di risparmiatori furono messi sul lastrico. Cinquemila banche fallirono, migliaia di
fabbriche chiusero, gli Stati Uniti presero in cinque anni metà della loro ricchezza e i
disoccupati raggiunsero nel 1933 la cifra di tredici milioni. La Borsa – il cui nome deriva da
una famiglia fiamminga di mercanti (i Van der Burse) – serve ad incontrare coloro che
domandano di acquistare e coloro che offrono di vendere. La Borsa valori è la più
importante. In questo mercato si comprano e si vendono azioni, obbligazioni, titoli pubblici
e valute. Dal loro incontro dipendono le quantità scambiate e i prezzi, detti corsi. Il crollo
dell’agosto 1998, fu decisamente diverso. Li, in Russia non sussistevano di questi
problemi, perché in un regime – definito ancora comunista - la sovrapproduzione non
rientrava o non rientra in quel preambolo di legge di mercato libero e democratico. Li,
sicuramente ci furono altre componenti che intervennero per far crollare la Borsa di
Mosca. Componenti che tuttora sono all’oscuro, e che difficilmente emergeranno per fare
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chiarezza di quella situazione. Certo che una domanda nasce spontanea. Come fa una
Borsa rimanere aperta, quando in Italia la Borsa era chiusa per ferie estive? La verità o, le
verità non la si saprà mai. Pure è certo, che per un comune cittadino, un po’ sprovveduto,
ma con una minima percezione della situazione non può che notare che solo una vendita
eccessiva di titoli ha portato al crollo della Borsa di Mosca. Posso avanzare pure una
ipotesi maligna: i “comunisti” italiani, in quel tempo potrebbero aver investito
massicciamente in quella Borsa (non è la prima volta che i “comunisti” collaborano con i
mercati finanziari di questo paese), poi con un contrordine, potrebbero aver venduto,
guadagnandoci, naturalmente, e mettendo sul lastrico migliaia di risparmiatori. Altre
ipotesi, potrebbero essere stati degli "accordi finanziari", ma questo non lo si saprà mai!
Credere in una crisi russa di quel tempo è superfluo per il buon andamento economico di
allora. Non è chiaro, dunque il comportamento dell’autorità “comunista” di casa nostra, in
quel frangente del 1998 di "spingere" tutti i risparmiatori ad investire nella Borsa (e
nessuno non lo ha mai spiegato il perché?), svincolandoli da altri investimenti più sicuri,
ma meno rischiosi quali i Bot; per poi "rapinarli legalmente" dei loro risparmi di lavoro
sudato. Se questa operazione è frutto di un "basso profitto" impostato dall’alto, i "comunisti
caporioni" e i loro "tesserati" in accordo con il "ceto alto" non ne sarebbero stati interessati"
per "non rimetterci le penne", ma ne sarebbero stati al di fuori, perchè "avvisati
preventivamente". Sicuramente, a rimetterci in tutta questa triste storia sono stati i più
poveracci (il ceto medio-basso) – tra cui molti apolitici e neutrali fuori da certi schemi e
manovalanze - che illusi dal "profitto facile" divulgato attraverso i media di regime – erano
corsi in banca a sottoscrivere, prevalentemente in azioni (ad alto rischio), e incalzati pure
dall’insistenza degli stessi impiegati di Banca ad avere fiducia. Il sottoscritto, ne è stato
inconsapevole vittima di questo "affaire", ma non solo lui, altri risparmiatori d’Italia e del
mondo ne sono stati vittima. C’ è il sospetto che questa operazione sia stata messa in
piedi, esclusivamente per colpire Maurizio Bianco (neutrale), dipendente pubblico che in
quel particolare momento si trovava a "riposo forzato" (un sistema non certo civile, per chi
conosce la mia storia per allontanarsi dalla violenza della scuola). La follia dell’uomo, a
livello di autorità può spingersi oltre misura e non conoscere nessun limite. Non importa
chi si colpisce (tutto il mondo) pur di arrivare alla vendetta per un singolo.
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Maurizio
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I geni del male
(09/07/2009) Assurdo pensare che sia stato così, ma se fosse vero saremmo alla follia
della pazzia, vera e propria: ma credo, che qualcosa di pur vero c’è! Basta pensare
all’autorità di tutela dei risparmiatori il Codecons che non è nemmeno intervenuto per
arginare la falla. E poi la propria Banca che non interviene, e, nemmeno l’Arca, il gruppo
finanziario di sottoscrizione a cui avevo aderito (nonostante avessi scritto una nota di
sollecito per delle spiegazioni e per una tutela che risultò alla fine inadempiente). I
risparmiatori furono abbandonati e nessun organo governativo comunista intervenne a
favore della povera gente. Fuori dubbio che quel particolare momento segnò l’inizio di una
crisi mondiale da portarne le conseguenze fino ai giorni nostri, con altre crisi che ne
seguirono, - a dieci anni esatti - come quella appunto del 2008. Su questa crisi si sono
fatte molte ipotesi: il credito facile, il non ritorno del credito, la colpa dell’America, il super
euro, il caro petrolio, ma nessuna di queste ha dato una spiegazione plausibile. Troppo
facile dire è colpa dell'America col caso "Lethman". Non ci si crede! Fatto stà che pure qui
è subentrato il panico e le vendite sono state "troppo eccessive" da far crollare i mercati.
Risultato, una crisi ancora più profonda da cui non si riesce ad uscirne. Se è vero che con
la crisi del '29 ci sono voluti quindici anni per risalire la china, questa volta ci vorranno
venti anni! Ma arriviamo al punto della crisi: quanto c’è di razionale nel comportamento di
reazione della media dei cittadini investiti dalla crisi e, quanto c’è di "manovrato"? Di
razionale nei cittadini poco, perché i cittadini subiscono passivamente fenomeni che non
sono in grado di pilotare e gestire, e nella media si reagisce d’istinto, arroccandosi a difesa
e con poca fiducia nelle banche e al futuro. Di "manovrato" c’è molto e c’è sicuramente chi
ci ha fatto sopra un sacco di soldi, coi soldi della povera gente". Quella crisi iniziata nel
2008 è giunta fino a noi ha portato conseguenze inaspettate: crollo repentino del PIL,
deficit e ancora disoccupazione!
Fatalità o qualcos’altro?
(22/07/2009) Un "errore umano” del meccanico che si “dimentica” di chiudere
ermeticamente il tappo dell’olio. Questa fu la "giustificazione" del capo officina al
sottoscritto per l’accaduto, intenzionato a licenziare in tronco il "reo dipendente". Un altro
episodio grave, fra molti, di un "uomo in trincea", è senz’altro questo "strano incidente
motociclistico" avvenuto in un pomeriggio di sole di mezza estate del 2001. Ero alla guida
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del mio scooter Burgman 125 e lungo il tragitto mi salvo per miracolo. Molte sono le
battaglie per cui vale la pena ancora vivere: c’è la causa di lavoro (vincente), ancora
pendente presso il tribunale di Padova; il ricorso al TAR per l’abuso di ufficio per la patente
di guida (vincente), le denunce verso alcuni nomi noti (vincente)... Ma c'è un dilemma: ho
"criticato democraticamente" la politica “comunista” di Padova e, quindi sono malvisto!
Sono iscritto ad AN, e spero ancora nell'amicizia e nella solidarietà degli uomini; credo
fermamente nei diritti dell'uomo, nella libertà, e credo che riavrò presto il mio lavoro e la
mia dignità di uomo. Ero andato a ritirare la moto in un concessionario autorizzato lungo la
strada adriatica Padova-Monselice, in località Mandriola, per il normale tagliando di
rodaggio (la moto aveva solamente tre mesi di vita) e mi accingevo a ritornare a casa.
Ebbi un cambiamento di programma nel ritorno, inaspettato, che qualcuno di “superiore”
mi suggerì: invece di ritornare a casa per l’adriatica, che - normalmente avrei fatto in
direzione Maserà -, dove abitavo, un lungo rettilineo dove si può correre, decisi di dirigermi
in direzione di Padova, verso la zona Guizza per un giro in città. Quel percorso fu
previdenziale, in quanto l’andatura verso Padova, zona ospedali, era moderata per via dei
molti semafori lungo il tragitto. Arrivai in prossimità del semaforo dell’ospedale civile di
Padova, quando, all’improvviso vidi una copiosa uscita di olio provenire da sotto la moto
ed investire la parte posteriore e la ruota. Allarmato, frenai subito, ma la moto, non rispose
ai comandi. Insistetti a lungo, mettendo persino i piedi per terra e riducendo a sua volta il
gas. La bassa velocità per via dei semafori e del traffico fu previdenziale, perché la moto si
fermò in tempo, in corrispondenza dell’incrocio riuscendo ad oltrepassarlo incolume e a
schivare un’ auto che proveniva dal senso laterale. Quel cambio di tragitto e quella voce
dentro mi salvò la vita!
L’ennesima ingiustizia
(18/03/2011) “Irricevibile” il mio ricorso individuale sulla “diffamazione sul giornale”,
del “mattino di padova”, presentato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e delle
Libertà fondamentali. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
fondamentali è stata istituita nel 1959, a seguito della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo firmata a Roma nel 1950. La Convenzione entra in vigore nel 1953,
e nel 1955 si ha il diritto al ricorso individuale. Ispirandosi alla Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata nel 1948 dall’Assemblea generale delle
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Nazioni Unite, ha l’ambizione di una maggiore efficacia e concretezza. La Corte dei
Diritti dell’Uomo ha sede a Strasburgo ed è formata da tanti giudici quanti sono gli
Stati che fanno parte della Convezione Europea dei Diritti dell'Uomo, eletti
dall'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa; tre sono i candidati proposti
da ogni Stato per un mandato di 6 anni. I giudici eleggono tra loro un Presidente e
due Vicepresidenti, con mandato triennale e rieleggibili. La Corte si divide in quattro
sezioni, composte, tenendo conto dell'equilibrio geografico e dei sistemi giuridici
degli Stati componenti. All'interno di ogni sezione sono formati, per un periodo di
dodici mesi, dei comitati formati da tre giudici, che hanno il compito di esaminare in
via preliminare i ricorsi sottoposti alla Corte. Il ricorso viene sottoposto ad una
Commissione per un esame di ricevibilità, la quale decide nell’arco di poco tempo.
Se è favorevole, l’iter ha un percorso medio lungo, ma il tutto viene deciso nell’arco
di tre mesi con il tentativo di componimento amichevole con la controparte, in seno
alla violazione del diritto. Con l'introduzione del protocollo n. 14, art. 27 con data 1
giugno 2010, nella Corte, viene istituita la figura di un “giudice unico”, il quale può
dichiarare irricevibile e cancellare dal ruolo un ricorso in base all'art. 34, quando la
decisione può essere adottata senza ulteriore esame; la decisione del “giudice
unico” è definitiva. Il ricorso può essere individuale o di Stato e prende in causa uno
stato. Il mio ricorso, individuale, è stato presentato alla Corte il 14 gennaio 2010, e l’
8 marzo, una lettera mi indicava che era al vaglio della Corte (presuppongo della
Commissione), indicando che era cura della stessa Corte informarmi
tempestivamente della decisione; in seguito non c’è stata nessuna informazione, se
non il 24 febbraio del 2011, che con una lettera, mi si indicava che il ricorso è stato
considerato “irricevibile” dal “giudice unico”. Il mio ricorso, all’esame dei fatti era
stato dichiarato ricevibile, ed era al vaglio della Corte (Commissione) per le
informazioni di merito; i tempi rientravano nell’iter, e il proseguo era il tentativo di
compimento amichevole con la controparte in violazione del diritto, il tutto nell’arco
di tre mesi con una relazione pubblicata sul caso; la norma avvenuta in corso
d’opera (a giugno 2010) ha cambiato l’iter naturale. La questione è superflua,
perché un provvedimento in corso d’opera può cambiare l’iter a “vantaggio” o
“svantaggio” del ricorrente (e questo lo si vede pure per una legge), fatto sta che il
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provvedimento sopraggiunto è avvenuto a giugno, ben oltre i tre mesi. Ma, il caso,
al di là di ogni fattore burocratico, se vagliato singolarmente e profondamente può
essere inammissibile dalla cancellazione per un fattore di vizio, e, eloquente, pure,
se il ricorrente abbia sofferto un significativo “svantaggio” nel compimento della sua
vita sociale di relazione, come nel mio caso. Siamo di fronte all’ennesima ingiustizia
dove l’odiato “oppositore” non deve avere ragione su tutto il male che gli è stato
commesso. Spiacevole, quindi è il non offrire giustizia, in quanto me medesimo
oltre a perdere l’indennizzo riparatore (più che giustificato dal reato di diffamazione)
del danno, perde pure la buona fiducia posta in essere, - essenziale - per la buona
riuscita di una società civile e degli stessi Diritti Universali dell’Uomo, duramente
conquistati.
Io, democratico liberale, discriminato
(20/06/2010) L' Italia degli anni 2000 è della discriminazione politica estremista. Chi non si
attiene a questa politica, resta senza lavoro. Promesse ed illusioni negli uffici del lavoro
verso comuni cittadini dissidenti o oppositori. La politica in primo piano, sempre,
comunque e ovunque. Dopo il licenziamento politico avvenuto nel 1999, trovavo
difficoltoso l’inserimento nel mondo del lavoro. In quegli anni si sentiva dire, dagli organi
preposti, che per rientrare nel mondo del lavoro ci si doveva per forza riqualificare alle
nuove esigenze di mercato, usare il computer principalmente e conoscere i molti
programmi applicativi. Era un modo, a detta di molte persone politiche del momento, di
trovare molte e variegate occupazioni, ma era anche un modo per illudere i molti
disgraziati vittime della dittatura comunista. Pure il presidente della provincia di Padova,
allora, di “centro-destra”, sensibilizzava l’argomento facendo molti spot pubblicitari sulla
radio, sulla televisione locale e sui giornali affermando che gli uffici preposti erano li ad
accogliere le domande di lavoro di gente senza lavoro riqualificata e darle tutto il sostegno
necessario. Ma non si dava lavoro! C’erano pure gli uffici preposti, i CPI, che favorivano
questa riqualificazione per poter accedere alla loro banca dati e incrociare cosi domanda e
offerta da parte delle aziende. Io ero già riqualificato, con quattro corsi europei con esito
positivo, ma nonostante ciò, non trovavo lavoro. Puntualmente per circa due anni ho
frequentato quegli uffici della provincia di Padova; ho avuto molti incontri, tra cui quello con
l'assessore al lavoro del “centro-destra”, con il quale mi aveva segnalato un lavoro presso
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un supermercato, ben intenzionato ad assumermi; e, lui, mi confida che farà di tutto per
aiutarmi; e invece subentrerà l’assoluta indifferenza. E, molto sovente, quasi
settimanalmente, mi recavo dal direttore del CPI, pure con mia moglie, ma pure qui la
prassi era sempre la stessa: vaghe promesse, solo illusioni, di lavoro neppure l' ombra. La
Provincia di Padova e sempre stata di “centro-destra” in questi lunghi anni e questi uomini
rappresentavano la “destra”, o “destra liberale”, erano dunque “antagonisti” al comunismo,
erano uomini “liberi”, si fa per dire..., ma lo erano veramente? O erano a tutti gli effetti
comunisti pure loro, fatti della stessa pasta, incuranti dei problemi dei liberali e non
disposti a dare aiuto come un ufficio del lavoro dovrebbe dare. Ma comunque, detto
questo, cosa c'entrava la politica nel bisogno di lavoro di un cittadino qualunque che
chiedeva di essere aiutato, e di fronte ad un diritto preconsolidato costituzionale dello
Stato? Oppure della stessa legge Biagi. Era una prassi di facciata, secondo il mio punto di
vista e ci si divertiva pure; c'era la politica in primo piano, sempre e comunque, e - dato il
mio trascorso burrascoso “contro” la politica “comunista” della città, - dove pagai con il
licenziamento (la mia naturale critica e nulla di più) - non avevo nessun diritto al lavoro,
dovevo rimanere disoccupato “punito” e “segnato per sempre”, pure dalle stesse “forze
liberali”, che di liberale non avevano nulla. I pochi lavori che riusci a trovarmi in seguito per
proprio conto, nel corso di quegli anni fino al 2010, - anno in cui lasciai andare qualsiasi
ricerca - , erano lavori umili con cui mi sarei adattato, ma la dittatura cinica influenzerà il
percorso e cercherà di farmeli perdere tutti quanti con ancora licenziamenti!
Un “nemico” subdolo: l'indifferenza
I “comunisti” sono a destra? Si, lo sono, per l’indifferenza che hanno e, che definisco
comunisti neri o fascisti rossi per lo stesso comportamento dei comunisti. Avevo chiesto
aiuto alla “destra” liberale, risultato: una silenziosa indifferenza! Il “comunismo” era oramai
una dura realtà nel paese. Assunto nella scuola nel 1994 in pieno governo Berlusconi,
subirò le prime avvisaglie di mobbing (dequalificazione) da parte del preside politico
comunista nella primavera del 1995 con l’instaurarsi del comunismo, e via via sempre di
più mobbing negli anni 1996, 1997 col comunismo nella nazione e nella città di Padova.
Gli anni 1998 e 1999 sono tra i più efferati in fatto di regime. Ero stato licenziato da pochi
mesi nel gennaio del 1999 in pieno regime comunista sia nella nazione che nella città, e,
nonostante fossi iscritto all’UGL (sindacato di destra), affrontavo con pazienza la follia
dell’uomo. C’era l’abuso sulla “revisione” della patente messo in piedi e che mi costringeva
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a non usare l’auto (l’esposto presentato in Procura per l’abuso sulla patente era stato
archiviato, senza molti problemi, e di conseguenza ero stato costretto a ricorrere al TAR,
con l’esborso non indifferente di migliaia di lire per l’avvocato “uscito stranamente dal
sindacato UGL”, ma, che in lui trovavo fiducia). Vi era pure un analogo esposto per
molestie, violenza e clima di odio e di terrore contro i presidi delle due scuole Gramsci e
Marconi di Padova, dove avevo prestato servizio, “stava seguendo l’iter dell’archiviazione”
(?). La diffamazione sul giornale senza il mio consenso. Il crack economico del 1998
senza salvataggio da parte dell'autorità comunista, che aveva messo in ginocchio migliaia
di risparmiatori, tra cui il sottoscritto. D’Alema veniva incoronato premier ad ottobre del
1998, e lasciava lo scettro ad aprile del 2000 dopo la fine della mia causa di lavoro. A
marzo del 1999 mi veniva freddamente “decretato il licenziamento”. Inizio a luglio del 1999
con il mio avvocato, ci sarà la fase “conciliatrice del licenziamento” presso il Ministero del
Lavoro di Padova per riavere il lavoro, ma la “farsa commovente predecisionale del
provveditorato prenderà il sopravento” e la conciliazione verrà bocciata! Nel giugno del
1999, con le votazioni politiche locali, “riemerge la destra” con l’ elezione del sindaco dopo
anni di duro comunismo. Ma è il comunismo che domina la scena. C’è la vittoria tanto
attesa della libertà e della democrazia, ma sarà solo a parole, perchè i tentacoli della
dittatura comunista continuerà indomabile per sempre, fino ai giorni nostri, nascondendosi
sotto il velo del silenzio e della normalità, imposto dal regime. Ad inizio giugno del 1999,
dopo il licenziamento scrivo tre lettere indirizzate una, a Berlusconi, leader di opposizione
(7/06/1999, lettera di quattro pagine direttamente ad Arcore), una a Fini, presidente AN
(analoga l’8/06/1999 direttamente a AN di Roma) per essere aiutato, e una a Cetica
presidente del sindacato UGL di Roma per metterlo al corrente del poco interessamento
del sindacato di Padova e dello strano comportamento avuto dall'avvocato “uscito
stranamente dal sindacato” e che tuttora mi affido, come unico interlocutore, pagandolo
ovviamente. Non avrò nessuna risposta! Scriverò più avanti, nel 2000 un’altra toccante
lettera, essendo iscritto ad AN di Padova, direttamente al segretario: ma pure questa volta
non ci sarà l’interessamento! Nel 2004 uscirò da AN, essendo la mia causa di lavoro persa
(la causa era proseguita per un ipotetico indennizzo che non ci sarà).
Il “comunismo” domina la scena politica
(15/08/2010) Nonostante ci fosse la parvenza di un “governo liberale”, la città di Padova
era ancora dominata da forze oscure, dal comunismo precisamente, che dettava ancora
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gli ordini. Il “governo liberale” di centrodestra o destra era solo una finzione per gli illusi
che ancora ci credevano. Tanti sono i ricordi che mi riemergono nella mia mente, che mai
ha voluto cedere per un solo istante al cinico regime comunista “plasmato” di finta
democrazia liberale o di finta socialità; uno fra questi è il ricordo di quel lontano 2000,
dicembre per l’esattezza, in prossimità del S. Natale, quando scrissi una profonda e
toccante lettera all’allora sindaco di Padova del “centro-destra” Giustina Destro, -
insediatosi nel 1999, dopo un governo della città dell'era triste di Zanonato, e che la
invitavo a prendere posizione sul mio dramma di “disoccupato politico” involontario a
causa del comunismo, ma dalla quale, non ebbi il tanto atteso sostegno. Scrissi una
lettera perchè credevo in quell’ideale alto che e la democrazia e la libertà, ma quelle
parole caddero nel vuoto. Nonostante ci fosse la parvenza di una forza liberale al potere
della città, dominava ancora il comunismo, che nell’ombra, dettava gli ordini contro i suoi
nemici per eliminarli del tutto, e le forze politiche liberali non facevano altro che sottostare
e obbedire (forze politiche liberali con un occhio benevolo solo al ceto alto, poco propense
al bisogno di aiuto dei liberali moderati medi, e destinate a non essere coinvolte). Non sarà
questo l'unico fatto nei miei confronti, altri fatti seguiranno in seguito, per determinare che
il comunismo era oramai una dura realtà nella scena politica nazionale, ma, sopratutto
padovana. Un cinico potere, quello comunista cominciato all’indomani del 1972 fino ai
giorni nostri, e che indomito comandava e dominava su tutto, e, che sfociò nel mio
licenziamento, avvenuto nel gennaio del 1999.
Il mobbing “politico” ha influenzato la mia vita
(21/08/2010) I miei diritti violati e calpestati: Vangelo; Art. 2,3,4,5,7,10,12,19 della
Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, approvata dall'ONU, il 10/12/1948. Art.
1,2,3,4,13,14,15,16,21,22,24,28 della Costituzione Italiana approvata l’1/01/1948.
Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali
approvata a Roma il 4/11/1950. Diritti del Codice penale e civile. Statuto dei lavoratori del
20/05/1970. Protocollo n°12 alla Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e
delle Libertà Fondamentali approvato a Roma il 4/11/2000. La Costituzione Europea
firmata a Roma il 29/10/2004, con il presidente della Commissione Europea Romano
Prodi. Trattato di Lisbona per la Costituzione Europea, approvato il 1/12/2009
(approvazione dell’Italia da parte del Parlamento il 31 luglio 2008, promulgato dal
presidente della Repubblica il 2 agosto 2008 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
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Repubblica Italiana - Serie Generale n. 185 dell'8 agosto 2008 (Supplemento Ordinario n.
188). Per dirla con le parole di Gibran (Kahlin Gibran, 1833-1931, il Profeta), io del lavoro
ho sempre nutrito e maturato la seguente concezione, ispirata e finalizzata
all’autorealizzazione individuale nel breve periodo di transito su questa terra: “Sempre vi e
stato detto che il lavoro e una maledizione e la fatica una sventura. Ma io vi dico che
quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra, che vi fu dato in
sorte quando il sogno stesso ebbe origine. Vivendo delle vostre fatiche, voi amate in verità
la vita. E amare la vita attraverso la fatica e comprenderne il segreto più profondo. Il
lavoro e amore rivelato. E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, e
meglio per voi lasciarlo e, seduti alla porta del tempio, accettare l'elemosina di chi lavora
con gioia. Poichè se cuocete il pane con indifferenza, voi cuocete un pane amaro, che non
potrà sfamare l'uomo del tutto. E se spremete l'uva controvoglia, la vostra riluttanza
distillerà veleno nel vino. E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto,
renderete l'uomo sordo alle voci del giorno e della notte”. Partendo da questi
convincimenti, si potrà facilmente sin d’ora immaginare quanto doloroso sia stato per me il
“mobbing” se ancora vogliamo chiamarlo cosi, nel gergo anglosassone o moderno che sia
– denominazione uscita stranamente nel periodo del primo governo comunista (1996 –
2000, di cui le cronache ne parlavano a pieni titoli nei giornali), come sistema di
eliminazione degli avversari politici, democratici liberali – e, di come sia uscito dal contesto
lavorativo influenzando la mia vita di tutti i giorni, il sociale, gli affetti della mia famiglia o
degli amici. Io la chiamerei semplicemente persecuzione di uno stato oppressivo, meglio
denominato come dittatura verso un proprio cittadino. Sulla mia oppressione, la dittatura
ha avuto l’idea di mettere in evidenza dei cambiamenti, che andavano, semplicemente a
discapito della mia persona, non curando evidentemente il danno che avrebbe causato a
migliaia di cittadini di questo paese e pure del mondo. C’è stata una “evoluzione della
dittatura”, se vogliamo chiamarla cosi. Una dittatura silenziosa, cominciata in sordina, nella
scuola, per esempio, per poi propagarsi nella vita sociale di tutti i giorni, investendo la città
e la nazione, per poi propagarsi fino all’infinito, pure a livello mondiale. Perchè tutto
questo, dirà qualcuno? Semplice, la dittatura (l’attuale politica) deve avere ragione su
tutto, e non avere torto, costi quel che costi e non si ferma per nessun motivo al mondo.
La legge del mobbing dorme ancora in un polveroso cassetto del parlamento e nessun
partito politico ha voglia di farla uscire. Semplicemente e solo prepotenza ed arroganza, il
che vuol dimostrare, senza mezzi termini che non mi sto sbagliando in fatto di dittatura.
Questa dittatura, non so che colore abbia, ma ho la netta sensazione che non sia incolore,
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ma sia rossa: rossa comunista! Ed e molto facile capire il perchè di questo! Una volta che
la sinistra ha iniziato ad andare al potere, si e dimenticata dei diritti che per molti anni
aveva lottato. Una volta al potere, i diritti, che proprio la sinistra aveva enfatizzato, non li
ha più messi in pratica. Si guardi per esempio allo Statuto dei lavoratori, a cui faccio
accenno sopra, tanto reclamizzato, allora, - parlo del 1970 con un governo democristiano,
dalle organizzazioni sindacali per dare dignità al lavoratore e per portare la democrazia nei
posti di lavoro, concessogli dal presidente del Consiglio di allora Rumor, con tanto di belli
articoli sulla salvaguardia della dignità - , ma, ora, non più messo in pratica, anzi si da la
sensazione che non sia mai esistito. E, poi una seria politica sul welfare verso le categorie
disagiate, i poveri, mai messa in pratica col governo D’Alema. Basterebbe come iniziativa
per un welfare serio, di estendere un minimo salariale per i lavoratori, per esempio 1000
euro al mese sotto i quali è impossibile lavorare. La sinistra al potere, della Costituzione e
dello Statuto dei lavoratori non ne vuole più parlare. Posso affermare, quindi, che la
sinistra, e quando dico sinistra, parlo del “centro-sinistra” ha dimenticato di essere sinistra
in difesa dei più deboli. Una volta raggiunto il vertice del potere ha pensato più a se
stessa, ai suoi interessi, dimenticandosi di chi per moltissimi anni – i lavoratori appunto –
si sono prodigati perchè la sinistra andasse al potere. Una volta al potere la sinistra
(comunismo) e divenuta arrogante e prepotente verso i lavoratori che criticavano il loro
anomalo comportamento, di qui l’accanimento e l’eliminazione degli oppositori dalle
fabbriche e dai posti di lavoro. Il marxismo ha finito di esistere nel momento che il
movimento della sinistra si e seduto al comando, perchè non vi era più niente per cui
lottare. Il comando della sinistra era, ed ancor oggi di dimostrare che non vi e nessun
motivo di protestare, ma di obbedire; e, se vogliamo metterla sul più duro, quello di servire.
10 anni di “dittatura comunista”
(13/09/2010) Nel 1994 nasceva la mia persecuzione e finiva nel 2004 con la bocciatura
della causa di lavoro e dell’archiviazione della denuncia verso i miei persecutori; rimaneva
la mia disoccupazione e un futuro incerto. La rabbia e la follia di uno stato oppressivo
verso il suo popolo per il fallimento della sua politica sociale autodistruttiva, è un teorema
evidente. Sembra un paradosso che in una società “democratica” possa succedere ancora
questo: per aver difeso i miei diritti di lavoratore nella scuola, sia stato licenziato subendo
persecuzione nel lavoro e fuori nell'ambito lavorativo con discriminazioni, vessazioni,
minacce, calunnie, diffamazioni, abusi, ingiustizie varie, e violenza. Va bene licenziato, ma
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poi basta! E, invece si e voluto andare oltre il consentito. Questo fa ritenere che dietro la
maschera della “democrazia”, si nasconda un cinico potere, pronto pure ad ucciderti. L'
Ocse nel dicembre del 2007 aveva accusato l'Italia per lo stato di abbandono della scuola,
risultando la peggiore in tutta Europa. Ma questo non mi ripagò del male che lo stato
italiano mi inflisse per aver denunciato uomini e sistema di impreparazione e di lassismo
generale. Non mi vergogno di definirmi un dissidente liberale e democratico contro il
sistema oppressivo di questo paese che definisco semplicemente “dittatura”. Sono stato
maltrattato da uomini della politica in generale, e lo sono tuttora con la negazione al
lavoro. Una persecuzione politica, meglio definito complotto di tutte le forze politiche di
sinistra, destra, di centro, di estrema destra e di estrema sinistra, contro chi si estranea dal
branco e critica il loro operato antidemocratico e antiliberale, antisociale. Io ne sono stato
la vittima! Il coraggio, prima di tutto di fronte alla viltà, e, inoltre il coraggio per aver difeso
la libertà, la democrazia, la mia vera fede cattolica, i miei diritti di lavoratore, di altri
lavoratori e per aver difeso, sopratutto la Costituzione di questo paese. Quale colpa sto
pagando? La colpa di essere un uomo libero, non-comunista, non-fascista, indipendente,
democratico, cattolico, dalla parte dei più deboli, onesto fuori del branco, e decisamente
fuori da questa “dittatura”. Di non essermi sottoposto a delle angherie in cui cercavano di
sminuire la mia dignità. Di aver difeso ad oltranza e con i denti stretti la mia dignità di
uomo, i miei diritti di lavoratore, la mia fede cattolica libera, ma sopratutto i diritti e le libertà
di una persona umana. Di non aver ceduto per un solo istante ad un sistema oppressivo
che voleva solo toglierti di mezzo definitivamente per innalzare i carnefici dai loro soprusi.
Di aver affrontato a muso duro uomini di potere senza scrupoli di qualsiasi schieramento.
Ho tenuto duro dalla forza della libertà e dalla fede in Dio e pure dall'amore della mia
famiglia e dei miei figli, perchè nessun uomo debba arbitrariamente accollarsi il diritto di
sovrastare sulla dignità altrui, calpestandola!
Quel male in mezzo a noi
Il 27 gennaio del ’45 fini l’olocausto: sei milioni di ebrei sterminati dalla furia della follia. Il
27 gennaio di ogni anno questo fatto viene ricordato, ma metterlo in pratica rimane un
baluardo. Un orrore da ricordare sempre perchè il rischio e sempre alto come allora
quando c’è di mezzo la discriminazione. La nostra vita e fatta di lotta per il potere,
supremazia della ragione, espansione come sopravvivenza, ma pure di stupida follia. La
Shoah fu un evento unico. In un certo senso, l’archetipo nella storia e nell’uomo. Il
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comunismo altro male, iniziato nel 1917 è ancora vivo, ancora oggi ed è dominato dal
terrore, dalla persecuzione. Il male non e qualcosa che viene da fuori o dal passato; è in
mezzo a noi e dentro di noi con il volto più normale, con lo sguardo più banale, spesso
ironico. E’ la doppia faccia dell’ipocrisia che nasconde invece l’aggressività, il rancore,
l’odio, la supremazia verso la persona diversa nella fede, nella politica, nella razza, la più
intelligente, la più debole, la più umile, la più indifesa e sola che non sa difendersi e che
non può contare su nessuno. Ecco allora nascere la vittima designata, la vittima prescelta
dove sfogare la propria rabbia. Fino alla sua eliminazione. E’ la persecuzione dunque, la
follia dell’uomo di ogni tempo che non trova ragioni. Il rischio e sempre alto adesso come
allora. Basta opporsi al male per divenire subito vittima del carnefice di turno. La tua anima
viene schiacciata e i tuoi diritti calpestati fino ad non avere più voce e ti lasci andare e
sopraffare da questo evento innaturale. E’ questa la memoria di qualsiasi uomo oppresso.
Giustizia “politica”
(28/09/2010) La giustizia è una delle tante virtù morali per la quale si giudica rettamente e
si riconosce il diritto altrui, dando a ciascuno ciò che gli è dovuto; per estensione, è equità,
rettitudine, conformità alle leggi del giusto, imparzialità. Si usa, spesso, - nelle
conversazioni fra uomini - , il termine “è giusto!”, o “è ingiusto!”: e, questo, è per dare un
senso finalizzato ad un giudizio, mai una via di mezzo. Il fattore giustizia, è un’ “utopia
dell’oggi” ed è definito come un “concetto strettamente razionalistico”, inteso come di
obbedienza ai dati della ragione. Nonostante ci siano migliaia di regolamenti, leggi, codici,
statuti, costituzioni, una “ingiustizia” prevale, creando di conseguenza una società sterile e
incontrollabile. E’, di questo, lo spunto della politica dominante, rarefatta alle sue leggi e,
non prodiga al richiamo della giustizia di tutti gli uomini, ma solo di una certa fascia.
Secondo giustizia, è secondo la legge ed è la risposta civile al mondo civile delle leggi, il
modo conforme alla giustizia, nel modo voluto, richiesto da tutti, e cioè nell’offrire giustizia,
il suo giusto apprezzamento, riconoscendo con capacità ed equilibrio nell’ascoltare le
ragioni di qualsiasi individuo, - a prescindere dal colore ideologico - , e ciò che gli spetta.
Inoltre la parola giustizia è una percezione che accomuna tutti gli uomini, come diritto
predominante verso la libertà (negare la giustizia è negare la libertà) e, come ricchezza
interiore dell'io nella ricerca verso la verità. Quello che emerge è senza dubbio la
corruzione nei Palazzi del potere. Il mio ricordo va ai procedimenti penali "archiviati" nel
1999 e al proseguo delle molestie e di altri fatti penali, perchè quei giudici "non ritennero
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impegnarsi". La diffamazione gratuita attraverso i media fu archiviata. Pure la mia causa di
lavoro fu persa, ma sopratutto per un fattore politico e per non riconoscere il giusto danno.
Quei giudici, sono ancora al loro posto di lavoro, pure oggi, mentre sto scrivendo, siamo
nel 2010, escono normalmente nei giornali di regime con l'immagine distorta di giudici
"responsabili ed infaticabili", mentre nella realtà non lo sono, e nonostante i vari governi
che si sono succeduti in questi anni, l'ingiustizia rimane. Ma dietro quella maschera cosa
c'è? Cosa si nasconde? Come si sentono di non aver riconosciuto il dramma ad un
cittadino italiano? Com'è la loro coscienza, ora? Ma sopratutto, questo Stato, piccolo
piccolo che permette tutto questo, come si sente ora, che chiede con le votazioni
prossime, ancora fiducia ai loro cittadini, senza aver dato nulla in cambio. Io mi
vergognerei! La giustizia locale ha bisogno di indipendenza e libertà nel dare risposte e
giustizia "uguale per tutti" i cittadini di Padova, senza l’ombra della corruzione o degli
ordini telefonici, questo è il mio punto di vista. La giustizia locale deve uscire dalla politica.
Riconoscere ed indennizzare il danno ai cittadini, vera democrazia sociale della città e del
paese. 2.100.000 di euro, è il danno alla mia persona e alla mia immagine che la
"giustizia" di Padova ha preferito non riconoscermi e che ora chiedo alla stato, quale
colpevole, e perchè, tale danno mi venga riconosciuto, soldi che verranno devoluti in
beneficenza. Nella giustizia veneta della Serenissima, senza andare molto lontano, il
giudice che sbagliava o ometteva un giusto danno, veniva estromesso e messo al
“bando”, dal suo incarico di pubblico amministratore; dichiarato corrotto, era costretto ad
indennizzare la vittima del suo errore e, udite, innalzato a suo danno, una “lapide o
colonna di infamia” posta nel Palazzo Ducale a Venezia a ricordo dei posteri l’ “ardua
sentenza”, per aver sorvolato sul dramma. Oggi, tutto questo non avviene, per ben ovvi
motivi che ben conosciamo. I giudici della nostra cara giustizia “democratica”,
filocomunista sono liberi di fare tutto quello che vogliono, se gli ordini vengono impostati
dall’alto, e sono pure tutelati. Può fare il giudice chiunque, se questa è la prassi. Se
sbagliano non pagano, rimangono al loro posto di lavoro, incuranti del danno causato, con
qualunque governo, che sia di destra, o di sinistra, o di centro, e la vittima è costretta a
rimanere nell’ingiustizia senza essere stata corrisposta del danno di detta "giustizia". E
tutto perché il sistema è decisamente politico, e tu, cittadino libero non vali niente. Qui a
Padova la "giustizia" non è di tutti, ma dei soliti noti, e cioè dei comunisti o chi per essi; i
fascisti sono diventati dei neri comunisti, e, non solo a Padova, oramai in tutta Italia. Una
vera riforma della giustizia con qualsiasi colore governativo non è mai stata varata,
appunto per lasciare tutto com’è, e perché fa comodo così. Quei giudici che nel lontano
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1999, ritennero archiviare il tutto, si macchiarono di un atroce delitto, perchè furono
complici del misfatto e lasciarono consapevolmente un uomo in mano ai suoi persecutori e
ad altri fatti penali che ne seguirono. Nel 2002, la causa sulla revisione della patente
presso il TAR venne vinta dopo quattro anni di estenuante calvario. Nel 2002, la causa di
lavoro venne persa, nonostante fossi iscritto ad AN (centro-destra), e nel 2004 venne
archiviato il procedimento penale nei confronti del preside del Gramsci, vero responsabile,
che come i giudici, incurante del misfatto rimase al suo posto di lavoro.
Eccesso di potere
(04/10/2010) L’ “abuso di ufficio” cosi eloquente nella “revisione” della patente di guida ne
è la comprova. E, inoltre come accennato, pure per il licenziamento (riporto la stessa
dicitura), ci troviamo di fronte ad una arroganza, il cosidetto ”eccesso di potere” in
violazione di una legge, che può stravolgere un qualsivoglia, normale procedimento
amministrativo e decretarne l'annullamento; poi ci sono i suoi “vizi”, i vizi della
“motivazione” che possono annullare il provvedimento, appunto, quelli in cui spiegano le
ragioni di interesse pubblico che hanno guidato la scelta; oppure vizi che hanno “disparità
di trattamento”, e cioè quando vengono presi provvedimenti diversi in situazioni uguali;
l'ingiustificata violazione della prassi amministrativa (cioè di ciò che di solito fa
l'amministrazione); il travisamento dei fatti (cioè l'aver considerato esistenti fatti inesistenti,
come nel mio caso), la cosiddetta ingiusta manifestazione (cioè un provvedimento
aberrante, esagerato, cervellotico); e, poi la cosa più semplice: l'”annullamento di ufficio”
dell'atto, e cioè quando l'amministrazione si avvede di un procedimento illegittimo,
provvede da se ad annullarlo (avevo cercato il direttore della Motorizzazione per annullare
il provvedimento, ma a fatto finta di niente…); ed infine i “vizi di merito” e, cioè i “difetti” veri
e propri che colpiscono l'atto nella sua opportunità: ma su queste questioni nessun
sindacato, avvocato o giudice ha ritenuto intervenire. Ma torniamo ancora all'abuso vero e
proprio. L’ abuso di ufficio (art. 323 C.P.) e un reato del pubblico ufficiale (impiegato
pubblico), che per recare ad altri un danno o per procurargli uno svantaggio, abusa dei
poteri inerenti alle sue funzioni. Prima dell'abuso (dicembre 1997, a cui vengo sottoposto
alla visita della commissione collegiale), la dittatura comunista aveva impostato bene la
sua congiura: cambiare il testo con una modifica appropriata, per “mitigare” il fatto
delittuoso, vero incubo di tutti gli amministratori e funzionari pubblici (L. 16 luglio 1997, n.
234). Ma, ciò nonostante sono incorso, lo stesso in questo danno che mi ha procurato la
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“revisione” della patente su un “incidente automobilistico”, cosi ha dichiarato l’impiegato
attivando il procedimento su falso documento; un iter angosciante a cui verrò sottoposto
per ben tre lunghi anni, ricorrendo al TAR, con una spesa non certo indifferente di milioni
di lire, perchè il Tribunale di Padova “non aveva riscontrato l’ abuso”. In tema di abuso di
ufficio, nella formulazione dell'art. 323 C.P., introdotta dalla legge 14 luglio 1997, n° 234,
l'uso dell'avverbio "intenzionalmente", ha portato ha procurare un ingiusto danno (...) -
Sez. 6 sent. 42839 del 18-12-2002 (ud. 22-11-2002) rv. 222860. Dunque, c'era
l'intenzionalità e l’abuso della “revisione” era evidente, - come dimostrerà pure il TAR, più
avanti come “eccesso di potere”, ma quel magistrato del tribunale di Padova senza un
briciolo di scrupolo non aveva evidenziato l’illecito, lasciandomi alla mercè della vendetta.
Società “marxista”
(06/03/2019) La società, nell’antica Grecia è per Aristotele, - inerente all’uomo, in quanto
animale socievole - una sorta di contratto sociale, il passaggio dalla forma di natura di per
se primitiva alla forma di integrazione con il proprio simile. L’integrazione con il proprio
simile è il primo abbozzo di democrazia, e ne indica la sua necessità come l’aria, l’acqua,
la terra. Nella sociologia moderna, la società, indica, quindi, l’esistenza di una serie di
legami fra gli uomini fondata su elementi consapevoli, intelligenti, culturali e di buona
armonia, che in senso generale, può abbracciare l’intera umanità. In seno a questo, risulta
difficile la ricerca di giustizia in una società tutta orientata verso l’ingiustizia (realtà di oggi);
dove il tutto è il contrario di tutto (si punisce il giusto, si punisce la naturalezza, si punisce
la lealtà). Il richiamo dell’attenzione attraverso i simboli, vuol dimostrare questa anomalia,
e pone in essere questa realtà, in quanto il sottoscritto ne è stato provato con il
disconoscimento dei suoi diritti, perché di ideale libero e sincero. L’attenzione è dei
simboli, dove la “storia della comunicazione”, pone in essi il suo implement, al di la di ogni
barriera ideologica. Il primo rapporto sociale dell’uomo lo si ha nella propria famiglia di
origine con le interazioni stabilite dal neonato con la propria madre per soddisfare i propri
bisogni elementari, quali la nutrizione e la protezione; da qui le sue aspettative con il
mondo esterno. Qui c’è dal sbizzarrirsi sull’interpretazione del ruolo madre-bambino ed è
sorprendente indicare il suo significato eloquente. Su queste basi si giunge, quasi ad
anticipare il comportamento dell’uomo nei confronti dell’altro uomo, e, su questo, a
determinare la distinzione, nel creare una condotta prevalente con le sue conseguenze
sociali. Non manco di certo il mio punto critico verso la filosofia “marxista”, nemica del
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nostro tempo, nel determinare solo e solamente la “questione economica”, fattore di
rapporto e di socializzazione della società moderna; da qui il processo verso la libera
individuazione e alla struttura produttiva, dove prioritario è il “capo politico”. Non sono
d’accordo! La questione, sopratutto economica, legata principalmente alla politica, rimane
“questione”, ed è solo un pretestuoso alibi di allontanare l’uomo dal suo obiettivo
principale, che realizzato, renderà l’uomo finalmente libero, di concretizzarsi
individualmente nella sua completa armonia con il Creato. La continuazione è di tale
obiettivo. Il superamento verso il traguardo nel processo di attuazione del riconoscimento
intellettivo.
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