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ENTE DI FORMAZIONE MANUALE DI PSICOLOGIA - 1

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ENTE DI FORMAZIONE

MANUALE DI PSICOLOGIA - 1

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Prima edizione: settembre 2013

SOMMARIO

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l termine “psicologia”deriva dal greco psyché = spirito, anima e da logos = discorso, studio. Letteralmente la psicologia è quindi lo studio dello spirito o dell’anima. La psicologia è la scienza che studia il comportamento degli individui e i loro pro-cessi mentali. Tale studio riguarda le dinamiche interne dell’individuo, i rapporti che intercorrono tra quest’ultimo e l’ambiente, il comportamento umano ed i pocessi mentali che intercorrono tra gli stimoli sensoriali e le relative risposte. E’ importante sottolineare che la psicologia si differenzia dalla psichiatria, in quanto quest’ultima è una disciplina medica, focalizzata specificatamente sull’intervento sanitario in merito ai disturbi psicopatologici con psicofarmaci. Sono diverse le definizioni che attualmente vengono date alla psicologia: “scienza che descrive i fenomeni della vita affettiva e mentale (istinti, emozioni, sentimenti, percezione, memoria, volontà, intelligenza) e cerca di determinarne le condizioni (Diziona-rio Garzanti). Questa definizione riconosce lo stato di scienza autonoma della psicologia ma si tratta comunque di una definizione statica, che non tiene conto della complessità delle relazioni dell’uomo con la realtà. Una definizione che tenga conto della complessità della psicologia considera l’uomo come non separato dalla realtà, pertanto l’oggetto di studio diviene la conoscenza della relazione tra l’uomo e l’ambiente (fisico e sociale) che lo circonda (definizione dinamica).

Essendo una scienza giovane la psicologia è bersaglio di molti pregiudizi. Tra quelli più diffusi si può citare la convinzione che non sia necessaria una scienza psico-logica, ma che tutti, basandosi sul buon senso sulla propria esperienza, possano capire sé stessi e gli altri. Questo pregiudizio è particolarmente rischioso in ambito sanitario e in tutte quelle professioni che riguardano il rapporto con gli altri, per-ché porta a dare giudizi e consigli, a fare interventi superficiali basati sulla propria esperienza e non su un’analisi precisa della propria realtà e dei problemi della persona. In questo modo la propria esperienza diventa il metro di valutazione degli altri, con tutto quello che ciò comporta. Un’altra credenza errata è quella di chi nega alla psicologia un valore di scienza. Questa si basa su una concezione positivista della scienza, per la quale le vere scienze sono solo quelle biologiche e ignora che la psicologia è da più di un secolo una scienza che utilizza metodologie rigorose. Un pregiudizio contrario che si potrebbe definire spiritualista nega la possibilità di conoscere l’uomo. Questi pregiudizi sono stati facilitati da una dif-fusione superficiale della psicologia che aveva la presunzione di voler interpretare e risolvere ogni problema.

La storia della psicologia come disciplina a se stante viene generalmente fatta ini-ziare alla seconda metà dell’ Ottocento, quando l’indagine psicologica si aprì alle metodologie delle scienze naturali. Nel XX secolo si è andati incontro ad un fiorire di prospettive e visioni della psicologia assai diversificate fra loro, sia sul piano me-todologico sia sul piano teorico che hanno dato vita a diverse scuole psicologiche che si distinguono per la diversa importanza attribuita ai fattori ambientali e gene-tici che per le metodologie che utilizzano. Il merito di aver fondato la psicologia come disciplina accademica spetta al tedesco Wilhelm Wundt (1832 - 1920). Questi raccolse e scrisse una mole gigantesca di materiale riguardante la nascente disciplina e, grazie alla sua grande cultura, riuscì a dare alla materia una base con-cettuale e un assetto organico, a Lipsia fondò un suo laboratorio nel 1879 A questo laboratorio affluirono allievi e scienziati di tutto il mondo che compirono ricerche e studi sui tempi di reazione, l’attenzione, le associazioni mentali e la psicofisiolo-gia dei sensi. Per Wundt l’oggetto della psicologia doveva essere l’esperienza umana immediata, contrapposta all’esperienza mediata, che era invece oggetto delle scien-ze fisiche. Grazie a questa definizione, e all’uso di una metodologia rigorosa duran-te gli esperimenti, si strutturò definitivamente la psicologia intesa come disciplina scientifica ed accademica. Per il suo grande impegno e gli ingenti studi, Wundt è passato alla storia come il padre fondatore della psicologia. Negli anni ’20 gli studi di psicologia hanno riguardato soprattutto la percezione in collegamento con la fisiologia. L’interesse per i problemi percettivi e cognitivi ha trovato espressione

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nella scuola della Psicologia della Gestalt nata e sviluppatasi in Germania.Gli psicologi della Gestalt (= Forma) cercarono di dimostrare sperimentalmente la validità del criterio della “totalità” nello studio delle funzioni psichiche. Per essi, infatti, non era giusto dividere l’esperienza umana nelle sue componenti elementa-ri e occorreva, invece, considerare l’intero come fenomeno sovraordinato rispetto alla somma dei suoi componenti. In altre parole, per gli psicologi della Gestalt: “L’insieme è più della somma delle sue parti”. I gestaltisti studiarono in partico-lare la percezione, il punto centrale era, perciò, la convinzione che riuscendo a comprendere come si organizzano le nostre percezioni, si potesse anche compren-dere il modo in cui il soggetto organizza e struttura i propri pensieri. I principali esponenti furono Kolher, Wertheimer, Koffka e Lewin; quest’ultimo, in tempi più recenti applicò i principi della psicologia della Forma allo studio della personalità e dei processi dinamici (motivazione, conflitto).Agli inizi del XX secolo il comportamentismo (o behaviorismo) rivoluzionò i concetti della precedente psicologia, concentrando i suoi sforzi e studi non più sulla “coscienza”, bensì attorno al “comportamento”. Il nuovo e unico oggetto della psicologia divenne, perciò, il comportamento osservabile degli organismi vi-venti. Questo approccio nato negli Usa, e ad oggi ancora attivo, limita la sua ana-lisi al comportamento osservabile, concentrandosi sui processi di apprendimento (condizionamento operante, imitazione di modelli). Ha tra i suoi rappresentanti Watson, Skinner e Bandura. Il comportamentismo ha dato un contributo decisivo all’applicazione del metodo sperimentale in psicologia, rifiutando l’uso dell’intro-spezione. A partire dagli anni sessanta un nuovo orientamento iniziò a farsi largo in psicologia: il cognitivismo. Alle sue origini troviamo diverse matrici che si sono espresse fra gli anni cinquanta e ‘60, in buona parte nate all’interno dello stesso comportamentismo. La rapida ascesa del cognitivismo fu dovuta, innanzitutto, al fallimento dello stesso comportamentismo, che con le sue teorie semplicisti-che non era riuscito a spiegare i comportamenti umani complessi (lo schema del comportamentismo Stimolo- Risposta fu sostituito da quello S-O-R, dove O sta per “organismo” e rappresenta la mediazione fra lo stimolo e la risposta). A diffe-renza del comportamentismo, dove l’uomo è visto come un semplice insieme di comportamenti da osservare, il cognitivismo pone l’accento sull’attività pensante dell’uomo, visto come organismo attivo e non più passivo. In altre parole il sim-bolo “O” iniziò a rappresentare la “mente”, che per i cognitivisti divenne l’unico oggetto di studio.La psicoanalisi nacque in ambito psichiatrico nei primi decenni del Novecento, grazie all’opera innovatrice di Sigmund Freud (1856 – 1939) un medico viennese. Per essere più precisi, non nacque dai laboratori di ricerca, ma ebbe origine dalla pratica clinica, dal trattamento di pazienti con disturbi di natura psicologica. Si differenzia dalle altre teorie psicologiche per la sua attenzione specifica ai processi psichici inconsci, e perciò ai significati simbolici nascosti del comportamento.Freud ipotizzò che alla base dei disturbi mentali fosse riscontrabile un conflitto tra richieste psichiche contrarie. Nel corso delle sue successive formulazioni teoriche, Freud formulò tre ipotesi, una successiva all’altra, riguardo la possibile genesi del conflitto:

Il conflitto tra principio di piacere e principio di realtà, cioè tra la necessitàdi soddisfare il “piacere” interno e il necessario confronto con il mondo reale

Il conflitto tra pulsione sessuale e pulsione di autoconservazione (o dell’Io)

Il conflitto tra pulsione di vita e pulsione di morte

Come prassi terapeutica, quindi, la psicoanalisi pone tra gli obiettivi principali la risoluzione di tale conflitto, possibile attraverso l’indagine dell’inconscio del paziente. Principali metodi per affrontare tale indagine sarebbero l’analisi delle associazioni libere, degli atti mancanti e dei sogni. Attraverso essa sarebbe possibile accedere ai “contenuti rimossi dalla coscienza” che si suppone generino il conflitto. Successivamente furono elaborati altri concetti chiave come quello di transert,

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controtransfert, resistenza (e in generale meccanismi di difesa, tutti considerati fondamentali per un corretto processo terapeutico. A causa dell’utilizzo di queste metodologie la psicoanalisi è stata ripetutamente accusata di non aver un preciso statuto scientifico. Il dibattito su questo aspetto è ancora oggi aperto, e molti au-tori e correnti psicologiche rifiutano alla psicoanalisi la dignità di scienza.

Con adattamento non si intende un passivo adeguarsi alle circostanze ma si as-sume il significato di ricerca attiva di un equilibrio dinamico, che permette una sempre maggiore integrazione tra organismo e ambiente. In breve: gli animali più complessi ed evoluti si distinguono si distinguono da quelli più semplici proprio per la ricchezza e plasticità nel loro sistema di adattamento con la realtà. quan-to più l’organismo è semplice, tanto più il suo adattamento è rigido e instabile, perché incapace di tenere conto delle perturbazioni dell’ambiente. La vita psichi-ca nasce dallo scambio continuo con la realtà. L’uomo ha sviluppato al massimo grado la capacità di adattamento grazie alle funzioni psichiche superiori: non solo è in grado di percepire, imparare, ricordare ma anche di anticipare il proprio adat-tamento alla realtà grazie alla capacità di astrazione. L’affermazione della capacità adattativa dell’uomo può apparire in contrasto con la distruzione dell’ambiente da parte dello stesso. Questo fatto ci ricorda che la capacità adattativa dell’uomo non è illimitata.

La crescente differenziazione e integrazione delle funzioni bio- psicologiche comporta una progressiva minore rigidità di programmazione genetica. Nelle specie più complesse il comportamento non è più programmato a livello di istinto ma su processi di adattamento più flessibili. Si parla perciò di una “programmazione genetica modificabile”. Ciò significa che i comportamenti innati diventano sempre meno importanti, mentre prevale la formazione di nuovi schemi acquisiti attraverso l’esperienza. Parlando dell’uomo si può dire che il comportamento non è frutto del solo patrimonio genetico grazie alla plasticità dell’organizzazione psichica, allo stesso tempo il comportamento non deriva unicamente dall’esperienza. Il patrimonio genetico determina la gamma delle possibilità. Non ha senso quindi la polemica tra innatisti e ambientalisti quanto piuttosto sarebbe più utile considerare una visione più complessa che tenga in considerazione entrambi gli aspetti.

l termine individuo significa “indiviso, indivisibile”, a sottolineare la natura unitaria dell’uomo. Nella cultura occidentale, vi è stata e vi è, la tendenza a separare la realtà corporea dalla vita psichica. Da questa idea è nato il “riduzionismo”, la propensione a ridurre tutta l’attività psichica dell’uomo alla sua realtà biologica (in particolare al funzionamento del cervello). L’analisi delle strutture fisiche non è da sola sufficiente a spiegare la complessità del comportamento e delle diverse funzioni psichiche. Queste ultime sono legate all’insieme dei rapporti che l’individuo instaura con la realtà, i quali a loro volta modificano continuamente la struttura corporea. La psicologia si avvale perciò dei contributi delle neuroscienze, ma il suo oggetto di studio rimane diverso poiché si interessa non tanto alle condizioni fisiologiche ma alle caratteristiche di questa attività , in rapporto costante con l’esterno e con sé stessi.

Per quanto detto sopra non è ammissibile la dicotomia tra affettività e intelligenza, tra vita emotiva e razionalità. Questa divisione è una conseguenza della scissione dell’uomo in mente e corpo: le emozioni apparterebbero al corpo e l’intelligenza alla psiche. Occorre sempre ricordare che le diverse funzioni psichiche (emozioni, sentimenti, percezione, memoria, intelligenza) sono strettamente e inscindibilmente correlate nella vita quotidiana.

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L’attenzione comporta l’orientamento verso una determinata direzione, per un periodo di tempo variabile, ma limitato. È una selezione degli stimoli con la conseguente presenza nella coscienza solo di alcuni elementi particolari. Questa selezione dipende sia dall’individuo che dalla realtà: infatti l’attenzione , così come ogni altra attività psichica, realizza un rapporto dinamico tra l’uomo e la realtà circostante.L’individuo più o meno consapevolmente sceglie a che cosa prestare attenzione in base al livello di vigilanza e di attivazione, allo stato emotivo, all’interesse e alla motivazione. Anche la realtà con cui si interagisce è importante, infatti se offre per lungo tempo stimoli uguali, suscita assuefazione e scarsa attenzione, mentre la presenza di uno stimolo nuovo ed improvviso attira l’attenzione.Il concetto di attenzione comprende aspetti diversi e viene usato per spiegare situazioni e fenomeni differenti:

Attenzione selettiva: capacità di selezionare tra molte fonti di informazione

Attenzione divisa: capacità di prestare attenzione a più cose contemporaneamente

Attenzione sostenuta: capacità di mantenere l’attenzione in funzione del tempo

La percezione consiste in un’attività di organizzazione degli stimoli che provengono dalla realtà. Già i primi studi di neurofisiologia avevano evidenziato la complessità dei processi nervosi che mediano il passaggio dall’oggetto reale all’oggetto percepito, mettendo in discussione l’idea di una corrispondenza diretta tra i due. Determinante in questo campo sono stati gli studi della psicologia della Gestalt: ha dimostrato che la percezione non è la passiva riproduzione di una somma di stimoli, registrati così come la realtà li presenta. La percezione consiste invece in un processo attivo e complesso di organizzazione degli stimoli in un tutto. Questo processo di organizzazione avviene secondo precise leggi, che sono universali e legate alla natura neurofisiologica della specie umana. Gli oggetti non vengono percepiti isolatamente ma nei loro reciproci rapporti: la percezione di un elemento dipende strettamente dalla presenza di altri elementi nel campo percettivo.Gli psicologi della Gestalt ritengono che l’organizzazione percettiva avvenga secondo alcune leggi:

Vicinanza: vengono organizzati in unità gli stimoli più vicini.

Somiglianza: in presenza di stimoli diversi vengono organizzate in unità percettive gli stimoli simili.

Movimento: le parti che si muovono insieme vengono organizzate in unità

Chiusura: le parti che configurano forme chiuse sono percepite in modo unitario

Buona forma: si tendono a percepire oggetti armonici, equilibrati e ordinati.

Continuità di direzione: si impongono quelle unità percettive i cui margini offrono il minor numero di cambiamenti e di interruzioni.

L’uomo non costruisce un mondo percepito del tutto avulso dalla realtà, ma nemmeno si limita a registrare percettivamente gli stimoli della realtà così come

IL FUNZIONAMENTO PSICOLOGICO I

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si presentano. La percezione evidenzia come fin dalle attività apparentemente più semplici la vita psichica è frutto della relazione tra individuo e ambiente; in questa relazione l’uomo svolge un ruolo attivo di elaborazione delle informazione che la realtà invia. La complessità della percezione è acuita da altri elementi che agiscono nella nostra vita quotidiana. Infatti, sulla percezione, oltre ai fattori di organizzazione indicati, agisce in modo determinante l’esperienza precedente, che dà il quadro di riferimento in cui inserire lo stimolo. Di fronte ad uno stimolo nuovo, o poco chiaro, noi facciamo immediatamente riferimento alla nostra esperienza passata.

Poiché le funzioni psichiche non sono separate, ma costituiscono un tutt’uno nella persona, la percezione è resa ancora più complessa dalla potente influenza che su di essa esercita l’affettività. L’emotività fa concentrare l’attenzione su alcuni stimoli tralasciandone altri. Inoltre la percezione degli oggetti e delle persone non è mai neutra, ma è sempre legata alle funzioni emotive in cui essa avviene. In generale, si può affermare che l’affettività determini una deformazione di diverso grado dello stimolo, la quale è dovuta a fattori sia esterni che interni all’individuo.Fattori relativi allo stimolo:

Ambiguità e indeterminatezza: uno stimolo è tanto più facile da deformare quanto più è indeterminato, ambiguo, poco chiaro

Tempo di esposizione: quanto più il tempo di presentazione dello stimolo è limato nel tempo tanto più è facile che venga deformato

Per quanto riguarda lo stato emotivo di chi percepisce, la deformazione è tanto più marcata e inconsapevole quanto più l’emotività è forte. La deformazione ha diversi gradi di gravità e raggiunge il limite estremo nell’allucinazione, con la quale la persona non prende più in considerazione gli stimoli ambientali; si ha perciò una percezione in assenza di stimoli, o in presenza di stimoli che hanno poco o nulla a che fare con l’immagine percepita.

La memoria può essere definita la capacità di conservare traccia delle esperienze passate, che possono essere così utilizzate per il comportamento presente e per progettare quello futuro. La memoria è indispensabile per la vita psichica; senza di essa non sarebbe possibile un attivo adattamento all’ambiente, poiché ogni volta bisognerebbe ricominciare da capo ed ogni situazione sarebbe nuova.Nel processo di memorizzazione si possono distinguere tre fasi:

Fissazione: la condizione base per la fissazione è che si sia prestata attenzione ad uno stimolo e lo si sia percepito la fissazione, come ogni altra attività psichica, è legata sia alle caratteristiche dello stimolo che alle condizioni del soggetto. Per quanto riguarda il primo aspetto, sulla fissazione influiscono sia la novità dello stimolo che la sua ripetizione: quest’ultima facilita l’instaurarsi delle connessioni sinaptiche.

Per quanto riguarda la persona la fissazione è relativa al livello di stanchezza, all’interesse e allo stato emotivo. Le esperienze che hanno una netta tonalità affettiva, sia positiva che negativa, vengono fissate con maggiore facilità. Poiché la fissazione è legata alla percezione, vengono fissati maggiormente gli stimoli chiari, non ambigui, e quelli che sono percettivamente organizzati secondo le regole della Gestalt.

Ritenzione o Conservazione: è la fase in cui le tracce mnestiche , fissate a livello neurofisiologico, si sedimentano e vengono conservate. In questa fase i ricordi subiscono importanti modificazioni qualitative e quantitative. Molti ricordi vengono eliminati poco dopo la fissazione per un normale processo di oblio; si tratta in genere di stimoli poco rilevanti, che costituirebbero un inutile ingombro.

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I ricordi subiscono soprattutto modificazioni qualitative nel senso di una semplificazione e aggregazione: le tracce mnestiche più vecchie si stabilizzano in forma semplificata assimilandosi a quelle nuove, dando così luogo a strutture mnestiche diverse e complesse. Questi cambiamenti sono legati all’affettività. I ricordi spiacevoli vengono eliminati da quelle parti che causano sofferenza, mentre si conservano gli elementi più neutri. Per un normale meccanismo di difesa, vi è la tendenza generale a modificare i ricordi in senso positivo e in generale secondo l’utilità della persona.

In base al diverso grado di persistenza si distinguono tre tipi di memoria:

A breve termine: memoria immediata.

A medio termine: si riferisce ad alcune ore.

A lungo termine: riguarda i ricordi che permangono per mesi ed anni, talvolta per tutta la vita.

Rievocazione: consiste nel riportare alla coscienza i ricordi in modo spontaneo o volontario. La memoria è un’attività di organizzazione degli stimoli, non la semplice ritenzione di elementi separati, la rievocazione avviene attraverso il riemergere di un ricordo a partire da un elemento ad esso correlato, attraverso associazioni e collegamenti talvolta molto soggettivi. La rievocazione spontanea è legata allo stato emotivo del soggetto nel senso che una tonalità emotiva facilita il riemergere di ricordi fissati in uno stato emotivo simile. Nella rievocazione volontaria la persona coscientemente richiama alla memoria gli elementi che vuole ricordare, quanto più questi elementi sono fra loro collegati tanto più sarà facile la rievocazione.

Anche sulla rievocazione volontaria l’affettività esercita un’influenza determinante. Un eccesso di tensione può, per esempio, bloccare la rievocazione. Il fenomeno dell’amnesia può essere definito come l’incapacità di rievocare volontariamente un ricordo già fissato e ritenuto. La rimozione, un importante meccanismo inconscio di difesa, impedisce ai ricordi di riemergere alla coscienza, questi sono presenti come traccia mnestica ma un blocco inconscio impedisce loro di riemergere. Riescono a superare il controllo della coscienza solo quando questa è meno vigile, per esempio nel sonno, nei lapsus (errori verbali). Oltre alla rimozione, un altro meccanismo utilizzato è la repressione dei ricordi spiacevoli: si tratta di un fenomeno cosciente che consiste nel voler dimenticare un’esperienza negativa.

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Il condizionamento classico e il condizionamento operante

L’apprendimento può essere definito come la capacità di utilizzare l’esperienza passata per l’adattamento presente e futuro. La capacità di apprendimento è massima nell’età evolutiva, ma può rimanere alta anche in seguito, se adeguatamente esercitata. Infatti l’uomo, essere plastico e non rigidamente programmato dal punto vista genetico, è tra tutti gli animali quello maggiormente capace di apprendere. Questa funzione di fonda sulla capacità di memorizzare ma non coincide con questa che costituisce solo una condizione.

Apprendimento per condizionamento classico (I.Pavlov primi del Novecento)

Esistono nell’animale, e nell’uomo, dei riflessi fisiologici non condizionati: reazioni non apprese a determinati stimoli indispensabili per la sopravvivenza e l’adattamento (es. riflesso oculare, di salivazione). Se per un certo periodo di tempo si associa ad uno stimolo incondizionato un altro stimolo di per sé incapace di suscitare alcuna specifica reazione fisiologica, dopo un certo numero di ripetizioni quest’ultimo diventa capace da solo di suscitare la reazione originariamente conseguente allo stimolo incondizionato. Ad esempio se si presenta ad un cane della carne (stimolo incondizionato) si ottiene la salivazione (reazione incondizionata); se si associa per un certo periodo di tempo alla presentazione della carne il suono di un campanello (stimolo condizionato), si determina un apprendimento per condizionamento, attraverso il quale il solo suono del campanello è sufficiente per provocare la salivazione (reazione condizionata).

IL PROCESSO DI CONDIZIONAMENTO SI BASA SULLA RIPETIZIONE DELLA COPPIA DI STIMOLI, INCONDIZIONATO E

CONDIZIONATO.

Nell’uomo il condizionamento non avviene tanto attraverso l’associazione di stimoli sensoriali quanto più importanti sono gli stimoli che vengono dal linguaggio. A causa della natura sociale dell’uomo, e della specificità delle sue abilità cognitive, il sistema di comunicazione del linguaggio diventa prevalente. Ad esempio il ritirarsi della mano (reazione incondizionata) dalla fiamma (stimolo incondizionato). Se la madre pronuncia la parola “no” (stimolo condizionato) quando il bambino tocca la fiamma, in seguito basterà la semplice ripetizione del “no” per indurre il bambino a ritrarre la mano. Il meccanismo del condizionamento spiega gli apprendimenti umani più semplici, che guidano il nostro comportamento senza che ce ne rendiamo conto, essendosi ormai trasformati in automatismi inconsapevoli. È però insufficiente a spiegare la complessità dell’apprendimento dell’uomo, soprattutto relativamente ai comportamenti più attivi.

Apprendimento per condizionamento operante (B.Skinner ’60)

È stato studiato soprattutto dal comportamentismo nel quadro di un modello teorico associazionistico del tipo S-R (stimolo-risposta), per il quale ad una determinata risposta corrisponde uno stimolo specifico che l’ha provocata. Mentre nel condizionamento classico l’associazione si attua tra due stimoli, nel condizionamento operante l’associazione si realizza tra due risultati. Così un’attività che conduce ad un risultato positivo viene appresa, mentre una sequenza comportamentale che porta ad un risultato negativo viene abbandonata. Il risultato positivo costituisce un premio che agisce come rinforzo positivo; nel caso in cui l’obiettivo non venga raggiunto si può parlare di punizione, cioè di un rinforzo negativo che conduce la persona ad abbandonare quel comportamento. Si fonda su questo modello esplicativo l’apprendimento per tentativi ed errori: si impara qualcosa attraverso varie prove e si apprende la sequenza comportamentale che conduce a buon fine. Secondo i comportamentisti le più complesse regole sociali vengono apprese nell’infanzia per condizionamento perché soltanto quando il comportamento è adeguato esso viene ricompensato attraverso l’attenzione,

IL FUNZIONAMENTO PSICOLOGICO II

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l’affetto e l’approvazione dell’adulto. Sono riconducibili all’apprendimento per condizionamento operante molti apprendimenti, dagli automatismi a molte abilità motorie. Questo modello non è però in grado di spiegare gli apprendimenti più complessi e attivi. In particolare sfugge a questa interpretazione la funzione dinamica dall’insuccesso, che nell’uomo non comporta necessariamente l’abbandono del comportamento, ma può anzi essere uno stimolo all’azione e alla ricerca di soluzioni più elaborate e creative.

Apprendimento per imitazione

L’uomo ha fin dalla nascita la tendenza ad imitare i comportamenti che osserva, è soprattutto un processo di apprendimento molto importante nell’età evolutiva. L’imitazione è facilitata dall’identificazione, sia affettiva che cognitiva, con il modello e riguarda sia l’apprendimento di comportamenti semplici sia complessi e articolati.

Apprendimento per ristrutturazione del campo (insight o intuizione- Psicologia della Gestalt)

L’apprendimento per intuizione consiste nella riorganizzazione e ristrutturazione mentale dei dati presenti nel campo percettivo o cognitivo, la quale conduce a trovare la soluzione di un problema, non casualmente per tentativi ed errori ma grazie a una complessa attività cognitiva, in buona parte inconscia, nella quale vengono messi in rapporti i mezzi utili per raggiungere uno scopo, giungendo quasi improvvisamente ad una soluzione. L’apprendimento per ristrutturazione del campo era stato notato dagli psicologi della Gestalt nelle scimmie. Ad esempio veniva posta nella gabbia una banana, appesa troppo in alto per poter essere raggiunta, ed una serie di casse che singolarmente non erano sufficientemente alte per permettere di raggiungere la banana. Dopo una serie di tentativi inutili, l’animale trovava la soluzione; metteva le casse rovesciate le une sulle altre, riuscendo ad avere un base sufficientemente alta per afferrare la banana. L’intuizione comporta la capacità di coordinare mentalmente in modo diverso i vari elementi presenti nell’ambiente, riflettendo su quali combinazioni possono risultare utili. È resa possibile da una visione globale e distaccata del campo percettivo in cui i differenti elementi sono inseriti, e da una loro diversa combinazione che conduce ad un cambiamento nella organizzazione della struttura cognitiva. L’apprendimento per ristrutturazione del campo coinvolge tutta la persona, non solo nei suoi aspetti cognitivi, ma anche in quelli affettivi. Consente di spiegare apprendimenti più complessi che riguardano le attività più elaborate dell’uomo. Il linguaggio verbale è un importante strumento che facilita la ristrutturazione del campo. Attraverso la parola è possibile infatti esternare i vissuti e i contenuti interiori, riflettere su questi per trovare la soluzione migliore al problema. Per esempio ripetere a voce alta una lezione aiuta ad apprenderla meglio; per lo stesso motivo parlare di un problema con un amico aiuta spesso a risolverlo, indipendentemente dal fatto che l’amico abbia dato dei consigli.

Assimilazione e accomodamento

La capacità di modificare i propri schemi mentali di fronte a realtà nuove, per le quali le vecchie abitudini ed i vecchi apprendimenti non servono più, viene chiamata accomodamento. Nell’adattamento alla realtà l’accomodamento si accompagna ad un altro processo complementare: l’assimilazione. Quest’ultima consiste nell’assimilare la realtà agli schemi concettuali e comportamentali già acquisiti, cioè in concreto nell’usare modalità già note nell’affrontare anche i problemi nuovi (aggiornamento e riqualificazione permanente degli operatori).

IMITAZIONE E INTUIZIONE

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Attività cognitiva superiore

Le capacità cognitive umane sono caratterizzate dalla rappresentazione mentale che compare nel bambino all’incirca verso i 18-24 mesi. Grazie a questa capacità l’uomo è in grado di avere un’immagine mentale di oggetti e situazioni, anche quando questi sono assenti percettivamente. L’uomo non è solo capace di rappresentarsi simboli e segni ma anche, con un’acquisizione graduale che non è compiuta fino all’adolescenza, di lavorare mentalmente con questi segni e simboli, cioè di compiere operazioni mentali che sono sempre meno concrete e e sempre più astratte. Ne deriva la capacità di usare concetti, di operare su questi, di fare ragionamenti partendo da ipotesi teoriche e di dedurre conseguenze. Gli studi sulle capacità cognitive hanno sempre più evidenziato il carattere attivo dell’uomo, che pur essendo sottoposto a molti condizionamenti sia interni che esterni, è un essere non determinato, attivo elaboratore delle informazioni che gli provengono dall’ambiente.

Nella cultura europea era, ed è ancora, radicato il concetto che l’uomo agisca sempre in modo cosciente, volontario e razionale, e sia perciò sempre in grado di spiegare il perché delle sue azioni. L’affermazione della psicoanalisi sull’esistenza dell’inconscio, cioè di una parte della nostra psiche che pur dirigendo le nostre azioni non raggiunge il livello della coscienza, apparve perciò scandaloso. Oggi è comunemente accettato che larga parte dell’attività psichica non raggiunge il livello della coscienza. Se l’uomo fosse costretto ad impegnarsi in modo cosciente in tutte le attività, affettive e cognitive, che compie, ciò costituirebbe un tale ingombro ed un tale spreco di energie da rendere impossibile l’adattamento alla realtà. La coscienza può essere descritta come la capacità di riconoscere la propria presenza nella realtà, e le proprie relazioni con il mondo e con se stessi; la forma più alta è infatti nell’uomo l’autocoscienza, cioè la consapevolezza di sé. I rapporti tra coscienza ed inconscio sono complessi e dinamici e non sono necessariamente in contrapposizione; anzi essi sono normalmente rapporti di collaborazione allo scopo di migliorare l’adattamento alla realtà. L’inconscio può essere definito come l’insieme dinamico di ricordi organizzati e delle attività psichiche che non sono presenti alla coscienza, un insieme dinamico di ricordi che si modificano, si organizzano e si aggregano in rapporto alle esperienze della vita. Alcuni ricordi sono vicini alla coscienza e possono essere richiamati volontariamente; altri ricompaiono solo involontariamente. Molti altri ricordi sono del tutto inconsci e probabilmente è impossibile che riemergano, nonostante ciò essi contribuiscono a costituire i nostri atteggiamenti. Sono inconsci in primo luogo i comportamenti riflessi (per esempio ritrarre la mano in presenza di una fiamma), i comportamenti a maggiore componente innata e i comportamenti a base emotiva. Anche gli automatismi, anch’essi in larga parte inconsci, consentono un grande risparmio di energia psichica, e permettono di svolgere contemporaneamente altre attività. Molti automatismi sono costituiti che all’inizio, nella fase di apprendimento, erano coscienti e volontarie e che sono in seguito divenute inconsce ed automatiche attraverso la ripetizione.

Il sonno è indispensabile e necessario alla vita, la privazione prolungata di sonno induce gravi alterazioni sia di tipo biologico che psichico: per quanto riguarda quest’ultimo aspetto si ha una diminuzione dell’efficienza; deterioramento della memoria, depressione, aumento dell’irritabilità e, nei casi gravi, disturbi emotivi, percettivi, allucinazioni e stati deliranti. Il ritmo del sonno si modifica nel corso dello sviluppo e si stabilizza nell’età adulta secondo modalità che sono molto variabili e soggettive. Durante il sonno l’attività psichica non è annullata. Nel sonno si distinguono due fasi fondamentali: il sonno NREM (non sono presenti i movimenti rapidi degli occhi) e il sonno REM (caratterizzato da rapidi movimenti degli occhi). Il sonno NREM, o sonno profondo, è distinto da un generale rilassamento, respiro regolare, dalla presenza all’elettroencefalogramma di onde

COSCIENZA E INCONSCIO

SONNO E SOGNO

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lente di elevata ampiezza. Il sonno REM, o sonno paradosso, è caratterizzato da movimenti oculari, da variazioni nella tensione muscolare, da modificazioni nella frequenza cardiaca e respiratoria; l’elettroencefalogramma è simile a quello della situazione di veglia, con onde di bassa ampiezza e frequenza variabile. Il sogno compare nella fase del sonno REM. La funzione del sogno è ancora in buona parte sconosciuta, per quanto si ritiene che esso sia indispensabile all’equilibrio psichico durante la veglia. Si ritiene oggi che esso svolga una funzione determinante nell’organizzazione e nel consolidamento della memoria, in particolare nel passaggio dalla memoria a breve termine a quella a medio e a lungo termine. Nel sogno passato, presente e futuro si collegano in immagini simboliche, svincolate da leggi fisiche, in rapporto con le nostre emozioni e sentimenti più profondi e con l’insieme di sensazioni che durante lo stato di veglia non raggiungono, se non molto parzialmente il livello della coscienza.

Con il termine motivazione si intende la causa o il motivo di un’azione o di un comportamento. Alcune motivazioni sono radicate nella realtà biologica e nella programmazione genetica dell’individuo (es. conservazione di sé, la fame, la sessualità...), ma bisogna sempre ricordare che si parla di programmazione modificabile, la cui concreta realizzazione comportamentale presenta una grande variabilità individuale, legata all’esperienza e all’ambiente. Come conseguenza di una visione unitaria dell’individuo e dell’ambiente, considerati nella loro reciproca interazione, c’è stato un superamento del modello motivazionale energetico, o idraulico, caratteristico della psicoanalisi e di alcuni etologi.Nel modello energetico, comunemente detto della “pentola a pressione”, implica l’esistenza di una pulsione interna, di origine organica, la quale deve potersi scaricare periodicamente in un comportamento; senza questa valvola di sfogo il livello di energia nell’organismo aumenta con danni per l’organismo stesso. Gli stimoli ambientali rivestono un’importanza relativa e il loro potere scatenante è comunque condizionato dal livello raggiunto dalla spinta pulsionale interna. Riguardo all’aggressività, ad esempio, questo modello ritiene che il comportamento aggressivo si esprime a partire da una spinta motivazionale interna e che si debba esprimere nella vita quotidiana se si vogliono evitare esplosioni aggressive maggiori.Il modello energetico, per quanto ancora molto diffuso nella nostra cultura, è stato criticato negli ultimi anni e non è stato confermato dalle ricerche. E’ stato sempre più sostituito con il modello informazionale che ipotizza: un sistema comportamentale è attivato da un’informazione che proviene sia dall’interno che dall’esterno dell’organismo; il comportamento che si manifesta porta a variazioni delle condizioni ambientali sia interne che esterne; informazioni su queste variazioni arrivano al sistema nervoso centrale e grazie alla retroazione il sistema comportamentale viene disattivato. Si tratta di un modello sistemico che tiene conto sia dell’organismo che dell’ambiente nella loro reciproca interazione. Tornando all’esempio dell’aggressività, secondo questo modello l’aggressività è attivata non solo da informazioni che provengono dall’interno dell’organismo, ma anche da informazioni che provengono dall’ambiente esterno (stimoli aggressivi, modelli culturali che premiano l’aggressività...). Le motivazioni sono legate sia alla maturazione fisica e psicologica dell’individuo sia all’ambiente. Si modificano e si sviluppano nel corso dell’età evolutiva nel senso di una maggiore differenziazione e centralizzazione. Le motivazioni diventano sempre più numerose con lo sviluppo e sono legate sia allo sviluppo cognitivo che a quello affettivo e sociale. Parallelamente si ha una maggiore centralizzazione nel senso che alcune motivazioni acquistano maggiore una maggiore importanza rispetto ad altre.A. Maslow (1954) ha tentato una classificazione gerarchica delle motivazioni ritenendo che l’individuo possa passare al livello successivo solo quando ha soddisfatto i bisogni del livello precedente. La “scala di Maslow” va interpretata come un tentativo di descrivere le principali motivazioni nell’ambito della cultura occidentale e non va vista come un modello universale; la gerarchia motivazionale

IL FUNZIONAMENTO PSICOLOGICO III

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può infatti variare molto da individuo a individuo, in rapporto all’educazione, alla cultura...Dal punto di vista operativo di applicazione del concetto di motivazione in un’ottica di valutazione, il modello di Maslow permette di definire in maniera esaustiva le fasi di sviluppo proprie dei contenuti motivazionali, ma ne rende poco attendibile la misura.

Il termine “motivazione” può essere inteso come “l’insieme dei fattori che promuovono l’attività del soggetto, orientandola verso certe mete e consentendole di prolungarsi qualora tali mete non vengano raggiunte immediatamente, per poi fermarla al conseguimento dell’obiettivo” (Reuchlin, 1957).Preliminarmente va specificato come lo sport sia un’attività che viene praticata per libera scelta, la quale si viene a definire in tre momenti successivi: la scelta – caratterizzata dalla valutazione da parte del soggetto dei diversi elementi sia favorevoli che contrari alla pratica sportiva, prendendo in considerazione tutte le alternative possibili-, la decisione – di praticare un determinato sport a partire dalla suddetta valutazione- e l’attuazione – cioè la pratica concreta dello sport prescelto- (Giovannini, Savoia, 2002).Le persone possono intraprendere un’attività sportiva spinti da un insieme piuttosto ampio di ragioni, le quali sono state studiate in dettaglio attraverso un considerevole numero di ricerche, tra le quali particolarmente interessante risulta il lavoro di Gill, Gross e Huddleston (1983). In particolare attraverso analisi successive è stato possibile individuare otto fattori, rappresentativi delle categorie generali della motivazione allo sport:

popolari, di migliorare il proprio status, di fare qualcosa in cui si è capaci e ricevere premi

desiderio di scaricare le tensioni, di muoversi e di stare fuori casa

motivazione del soggetto, come le persone per lui significative e il piacere derivante dall’uso del materiale sportivo

Tra tutte le suddette motivazioni, quella che è apparsa maggiormente determinante è legata allo sviluppo e al miglioramento delle proprie abilità sportive; fermo restando che comunque l’acquisizione di questa competenza è necessario che avvenga in un contesto che tenga in considerazione anche le altre motivazioni (Cei, 1998), soprattutto al fine di evitare l’abbandono sportivo.

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L’emozione è un cambiamento improvviso e normalmente di breve durata, caratterizzato da forte contenuto affettivo e da una violenta e particolare attivazione a livello sia fisico che psichico, comporta una complessa serie di modificazioni somatiche e psicologiche, scatenate in modo rapidissimo. Storicamente il riconoscimento della funzione adattiva dell’emozione si deve a Darwin che attribuì all’emozione nell’animale la funzione indispensabile di rispondere nel modo più efficace e rapido a situazioni particolari di rapporto sociale ed a modificazioni verificatesi nell’ambiente di vita. Così la rabbia prepara il corpo a combattere nelle condizioni migliori (maggiore afflusso di sangue ai muscoli, attivazione respiratoria e cardiaca...) e mette in stato di allerta le funzioni psichiche (attenzione, percezione...). L’emozione nasce dalla relazione sociale ed è caratterizzata da un’eccitazione e attivazione rapidissime, allo scopo di reagire nel modo più veloce ed adeguato. Le informazioni che provengono dalla realtà sono valutate dall’individuo in base alla propria esperienza, da questa valutazione (cognitiva, affettiva e sociale) nasce la reazione emotiva. Ne deriva che stimoli a forte contenuto emotivo per una persona, o in una cultura, possono essere meno rilevanti per altre persone (es. paura dei cani).In linea generale l’emozione è caratterizzata da:

limbico e dell’ipotalamo, a partire dalle quali vengono coinvolte le altre strutture più evolute. In particolare il coinvolgimento della corteccia collega e integra le componenti emotive alle funzioni psichiche superiori proprie dell’uomo

(soprattutto modificazioni del tono dei muscoli involontari) e del sistema endocrino (es. produzione di adrenalina). Tali modificazioni neurovegetative e ormonali innescano una complessa serie di cambiamenti in tutto l’organismo

modalità espressive (es. il pallore segnala la paura) che comunicano ai nostri simili lo stato emotivo

piacevole o spiacevole, che si traduce in reazioni comportamentali attraverso l’integrazione con i sistemi cognitivi specifici dell’uomo

L’emozione nasce nel rapporto con la realtà, soprattutto sociale. L’individuo valuta lo stimolo, in base principalmente alle esperienze avute. Se lo stimolo è valutato come neutro o irrilevante non c’è alcuna risposta emotiva. L’emozione provoca reazioni fisiologiche a carico di tutto l’organismo, reazioni comportamentali (espressioni, azioni...) e reazioni psicologiche complesse. Queste reazioni sono tra loro strettamente collegate e hanno una retroazione sia sull’individuo che sull’ambiente, da questa informazione “di ritorno” dipende il perdurare dello stato emotivo o la sua disattivazione. Sono state individuate (anche se non tutti gli autori sono concordi) 8 emozioni fondamentali sulla base dell’intensità, funzione adattativa, espressività, vissuto e modificazioni fisiologiche: sorpresa, paura, tristezza, schifo, rabbia, gioia, accettazione. Queste emozioni possono presentare diversi gradi di intensità: così la paura può essere semplice apprensione o intensificarsi fino al panico. Dalla combinazione delle diverse emozioni di base deriva la ricchissima complessità dell’emotività umana (es. paura+sorpresa=spavento). Bisogna considerare anche le cosiddette “emozioni sociali”, come la vergogna o il senso di colpa, le quali sono così definite perché sono legate al processo di socializzazione, ed in particolare all’interiorizzazione delle norme. L’estrema complessità della vita sociale conduce qualche volta l’uomo a reprimere le emozioni da cui può derivare una situazione di conflittualità emotiva.

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Una condizione di attivazione emotiva relativa alla malattia e alla salute è spesso l’ansia. L’ansia è legata alla capacità cognitiva di rappresentarsi le esperienze passate e di prevedere quelle future; l’individuo può quindi provare paura non solo di fronte a una minaccia individuabile e riconoscibile, ma può essere in apprensione per un pericolo non ancora reale. L’ansia può essere definita come uno stato di tensione per un pericolo imminente, spesso vago, indefinito e di origine sconosciuta. L’ansia se limitata svolge una funzione positiva, è come un campanello d’allarme che mette all’erta la persona e aiuta ad affrontare meglio la realtà. per questo a bassi livelli di ansia corrisponde una focalizzazione dell’attenzione e della percezione con un miglioramento delle prestazioni. Elevati livelli di ansia compromettono le prestazioni riducendo il campo percettivo, la consapevolezza di sé e le interazioni con l’ambiente. Spesso le persone che presentano una malattia sono in preda all’ansia per diverse ragioni: la malattia si configura come una minaccia che pone

l’ansia è quindi, in parte, compito dell’operatore intervenire, tenendo conto della diversa gravità dello stato ansioso, favorendo la presa di coscienza e la gestione dell’ansia con strumenti adeguati quali la riflessione, il confronto... (quali sono gli strumenti che utilizzi nella tua pratica di massaggiatore?). Anche le emozioni che il paziente suscita nell’operatore non devono essere ignorate. La formazione, la professionalità permettono all’operatore di approfondire la conoscenza di sé e l’acquisizione di strumenti professionali di relazione.

ntegrazione emotiva significa capacità di non negare le proprie emozioni, ma di riconoscerle per tentare di capire che cosa le ha provocate e per utilizzarle al meglio nella vita quotidiana. Le emozioni non devono necessariamente essere represse o conflittuali, ma possono integrarsi con le abilità cognitive nell’elaborazione di meccanismi di difesa più adattivi. L’uomo è in grado di provare sentimenti che possono essere definiti come strutture dinamiche complesse nelle quali le componenti emozionali sono integrate ed elaborate a livello cognitivo. Sono caratterizzati dalla stabilità nel tempo, minore attivazione fisiologica. Benché vi siano differenze, non si può individuare una precisa linea di demarcazione tra emozione e sentimento ma si possono situare lungo un continuum che va dal massimo coinvolgimento fisico e psichico, di breve durata, fino ad una situazione di stabile orientamento affettivo, fortemente integrato a livello cognitivo.

Il termine frustrazione sta a designare la condizione in cui si trova una persona quando incontra un ostacolo che le impedisce, o le interrompe, un atto tendente al raggiungimento di un obiettivo importante. La persona desidera raggiungere un obiettivo (es. un risultato professionale) e aveva messo in atto tutta una serie di azioni volte allo scopo (preparazione scolastica, acquisizione di competenze...); insorge però un ostacolo che impedisce di raggiungere lo scopo e pone la persona in una condizione di tensione dolorosa che non può non esercitare una grande influenza sul comportamento. Non esiste una solo modalità tipica di reazione alla frustrazione, ma reazioni diverse, legate a variabili personali, ambientali e sociali, che devono essere considerate nella funzione che svolgono nel processo di riorganizzazione psichica che consegue alla frustrazione.Si possono distinguere alcune categorie principali di reazione:

Aggressività: è una tipologia di reazione molto frequente e forse la più immediata. Non sempre però l’aggressività è diretta contro ciò che ha provocato la frustrazione; a causa della censura sociale può rivolgersi contro altre persone che rappresentano un bersaglio più facile. L’aggressività reattiva alla frustrazione svolge una funzione di difesa di fronte ad una crisi personale che mette in discussione le nostre capacità. L’aggressività difensiva può svolgere una funzione positiva quando si incanala in una lotta costruttiva contro gli ostacoli.

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Regressione: consiste in una destrutturazione del comportamento con un ritorno a modalità più primitive. La regressione svolge una funzione difensiva attraverso un’inversione della linea dello sviluppo. Possono in concreto presentarsi comportamenti più infantili che il soggetto aveva manifestato nel passato. Questo ritorno a schemi precedenti di comportamento, con il ricorso a più primitive forme di relazione, ha un valore difensivo perché permette alla persona di tentare un equilibrio con la realtà utilizzando modalità di relazione già note e sperimentate. Se transitoria la regressione permette al soggetto di sottrarsi momentaneamente alla tensione unito ad un maggiore distacco dalla situazione, consente una migliore valutazione del problema.

Reazioni costruttive: la frustrazione può suscitare reazioni costruttive stimolando la creatività a reagire. Da questo punto di vista si può considerare la frustrazione come un’esperienza potenzialmente positiva: ne deriva che l’incontro con la frustrazione nell’età evolutiva, a patto che sia superabile e commisurata alle possibilità del bambino, è necessario al fine di sviluppare una personalità matura e capace di far fronte creativamente agli ostacoli. È necessario educare alla tolleranza alla frustrazione e alla mobilitazione di modalità costruttive di reazione.

Il conflitto può essere definito come la situazione psicologica in cui si viene a trovare una persona quando su di essa agiscono due forze – motivazioni, scopi, interessi – di tendenza opposta ma di uguale intensità. In linea generale si possono identificare tre tipi fondamentali di conflitto:

Conflitto tra due forze con valenza positiva: in questo caso la persona è attratta contemporaneamente da due obiettivi che rivestono per lei in ugual misura un valore positivo.

Conflitto tra due forze con valenza negativa: la persona si trova in balia di due alternative negative. La tendenza più immediata in questa situazione conflittuale è quella di uscire dal campo sia fisicamente che a livello fantastico. La fuga nell’irrealtà è frequente nel bambino , per il quale i confini tra il mondo reale e quello fantastico sono più labili e imprecisi; mentre per l’adulto può rappresentare solo una scappatoia solo temporanea e di fatto insoddisfacente.

Conflitto tra due forze con la valenza positiva e negativa: in questo caso la stessa situazione respinge ed attrae.

Il conflitto può essere conscio o inconscio: mentre in alcuni casi il soggetto è consapevole, se non del tutto almeno in parte, dell’esistenza di situazioni contrastanti che attraggono e respingono, in altri casi il conflitto è prevalentemente inconscio (ciò può accadere quando gli elementi in gioco sono vissuti come troppo pericolosi o inaffrontabili). Poiché il conflitto è determinato dall’azione di forze contrastanti di uguale intensità ma di direzione opposta è possibile risolverlo soltanto modificando l’intensità di una delle due valenze. Ad esempio attraverso l’informazione la persona può comprendere meglio le caratteristiche delle due alternative; oppure considerando le possibilità in un contesto più ampio; dilazionare nel tempo le due scelte in modo da raggiungerle entrambe. Per superare il conflitto è necessario che i termini da inconsapevoli diventino coscienti attraverso soprattutto la verbalizzazione.

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La comunicazione è un processo dinamico e circolare di scambio di informazioni e d’influenzamento fra due o più persone che avviene in un determinato contesto. È l’elemento essenziale attraverso il quale si realizza il rapporto sociale; si può dire che la comunicazione è il rapporto stesso. Analizzare un rapporto significa perciò analizzare la comunicazione che si stabilisce tra i componenti della relazione. Ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede due dimensioni distinte: da un lato il contenuto, ciò che le parole dicono, dall’altro la relazione, ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro (P. Watzlawick 1967).Il processo di comunicazione è solo apparentemente semplice: A invia un messaggio a B; B invia un messaggio ad A. in realtà questo modello associazionistico non è in grado di spiegare la complessità della comunicazione umana, ed è stato sostituito da un modello globale, sistemico, che prende in esame sia il contesto in cui avviene la comunicazione che il rapporto di circolarità che si stabilisce tra emittente e ricevente. Nella comunicazione distinguiamo perciò vari elementi: l’emittente (E) che invia il messaggio, il ricevente (R) che lo riceve; la retroazione (o feedback) cioè il messaggio di ritorno che il ricevente invia all’emittente, il quale influenza i messaggi di E e di R. ciò significa in concreto che il messaggio che l’emittente invia è strettamente legato alla retroazione che gli proviene dal ricevente, cioè al messaggio che questi, contemporaneamente o subito dopo, rinvia all’emittente. Questo complesso rapporto circolare avviene inoltre in un contesto. Il contesto (spazio e tempo) concorre in modo determinante ad attribuire un certo significato ad un messaggio (es. il cliente accetta di spogliarsi nello studio del massaggiatore). Negli scambi della vita quotidiana questo schema è reso ancor più complesso dal fatto che i due poli della relazione sono allo stesso tempo sia emittenti che riceventi di messaggi verbali e non verbali. La retroazione agisce sull’emittente ancora prima che questi invii il messaggio, sotto forma di previsioni circa l’effetto che il messaggio stesso avrà. Es.: il messaggio che il cliente invierà al massaggiatore, sia sul piano verbale che non verbale, dipende in primo luogo dalle aspettative che il cliente ha prima ancora di conoscere il massaggiatore (fiducia nella tecnica, nella struttura, nei massaggiatori in genere... ); inoltre il messaggio dipende dall’insieme dei messaggi non verbali che il massaggiatore invia al paziente prima ancora di parlare (atteggiamento, espressione, modo di vestire...) e dal contesto in cui avviene la comunicazione (arredamento dello studio, ordine o disordine, pulizia dei locali). La comunicazione va perciò vista sempre nell’insieme della relazione che si stabilisce tra due, o più persone, considerata come un complesso di elementi di interrelazione reciproca. Ne deriva che per comprendere la comunicazione è sempre necessario tenere presente sia il contesto in cui avviene, sia le aspettative che ognuno ha prima dell’incontro, sia la retroazione che si riceve.

Gli assiomi della comunicazione furono definiti da Paul Watzlawick e altri studiosi della Scuola di Palo Alto (California), allo scopo di identificare alcune proprietà della comunicazione, ed utilizzarle per diagnosticare alcune patologie.

1. E’impossibile non comunicare: qualsiasi interazione umana è una forma di comunicazione. Qualunque atteggiamento assunto da un individuo, diventa immediatamente portatore di significato per gli altri.

2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, ed il secondo classifica il primo: Ogni comunicazione comporta un aspetto di metacomunicazione che determina la relazione tra i comunicanti.

3. La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti: il modo di interpretare la comunicazione è in funzione della relazione tra i comunicanti. Poiché la comunicazione è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da una direzione all’altra e le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono scandite dalla punteggiatura, il modo di leggerla sarà determinato dal tipo di relazione che lega i comunicanti.

LA COMUNICAZIONE E LA RELAZIONE

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4. La comunicazione umana e’analogica e digitale. Il linguaggio numerico trasmette in modo efficace i contenuti ma non spiega la relazione, il linguaggio analogico trasmette la relazione ma in modo ambiguo. Quando gli esseri umani comunicano per immagini, ad esempio disegnando, la comunicazione è analogica. La comunicazione analogica si basa sulla somiglianza tra gli strumenti di supporto e le grandezze rappresentate: mantiene quindi un rapporto di analogia con i fenomeni e gli oggetti che designa e trasmette. Quando si comunica usando le parole, la comunicazione segue il modulo digitale. Questo perché le parole sono segni arbitrari che permettono una manipolazione secondo le regole della sintassi logica che li organizza.

5. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. Si dicono complementari gli scambi comunicativi in cui i comunicanti non sono

simmetrici gli scambi in cui gli interlocutori si considerano sullo stesso piano:

di classe, fratelli, amici).

La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo non concernenti il livello puramente semantico del messaggio, ossia il significato letterale delle parole che compongono il messaggio stesso. La comunicazione non verbale è strettamente legata alle emozioni: attraverso il messaggio non verbale si segnala il proprio stato emotivo che non sempre raggiunge i livelli di coscienza. È importante che l’operatore sappia cogliere la comunicazione non verbale, da una buona capacità di lettura derivano preziose informazioni sullo stato emotivo con cui si interagisce. Inoltre l’operatore dovrebbe essere il più possibile consapevole dei messaggi che egli stesso invia a livello non verbale: è su questi, molto di più che su quelli verbali, che si gioca la relazione con l’utente.

l sistema cinestesico comprende tutti gli atti comunicativi espressi dai movimenti del corpo. In primo luogo vanno considerati i movimenti oculari: il contatto visivo tra due persone ha una pluralità di significati, dal comunicare interesse al gesto di sfida. L’aspetto sociale ed il contesto influenzano anche questo aspetto: una persona, in una situazione di disagio, tenderà più facilmente del solito ad abbassare lo sguardo.

Altra componente del sistema cinestesico è la mimica facciale. Riguardo questo aspetto va considerato che non tutto ciò che viene comunicato tramite le espressioni del volto è sotto il nostro controllo (ad esempio l’arrossire o l’impallidire). La gran parte delle espressioni facciali sono, ad ogni modo, assolutamente volontarie ed adattabili a nostro piacimento alle circostanze. (Si possono analizzare i movimenti della bocca, del naso, della fronte, i cambiamenti del tono muscolare e i livelli di vascolarizzazione). Altro elemento fondamentale del sistema cinestesico sono i gesti, in primo luogo quelli compiuti con le mani. La gestualità manuale può essere una utile sottolineatura delle parole, e quindi rafforzarne il significato, ma anche fornire una chiave di lettura difforme dal significato del messaggio espresso verbalmente. Un elemento molto importante della gestualità è dato dai movimenti senza scopo, cioè non pertinenti all’azione che si sta compiendo e non finalizzati ad essa. Si tratta di attività di sostituzione che insorgono nelle situazioni di conflitto e di forte tensione: es. dondolare le gambe o il piede, attorcigliarsi i capelli, sbattere le palpebre, grattarsi la testa, il naso... nei casi più gravi possono diventare dei veri e propri comportamenti auto aggressivi (mangiarsi le unghie, rosicchiarsi le dita, strapparsi i capelli o i peli...). Le attività di sostituzione sono state interpretate come il tentativo di trovare uno sbocco in un’attività motoria

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alla tensione e all’immobilità generate da una situazione conflittuale. Altro componente del sistema cinestesico è la postura, termine con cui si intende l’atteggiamento globale assunto da tutto il corpo; è un altro importante messaggio non verbale su cui quotidianamente, e inconsciamente, ci basiamo per valutare le persone (camminare a testa alta, con le spalle curve, contrazione dei muscoli...).

L’aspetto prossemico della comunicazione analizza i messaggi inviati con l’occupazione dello spazio. Il modo nel quale le persone tendono a disporsi in una determinata situazione, apparentemente casuale, è in realtà codificato da regole ben precise. Ognuno di noi tende a suddividere lo spazio che ci circonda in quattro zone principali:

(da 0 a 50 centimetri)

(oltre i 4 m)

La zona intima è, come facilmente intuibile, quella con accesso più ristretto: di norma vengono accettati senza disagio al suo interno solo alcuni familiari stretti e il partner. Un ingresso di altre persone esterne a questo ristretto nucleo di “ammessi” all’interno della zona intima viene percepita come una invasione che provoca un disagio, variabile a seconda del soggetto.La zona personale è meno ristretta: vi sono ammessi familiari meno stretti, amici, colleghi. In questa zona si possono svolgere comunicazioni informali, il volume della voce può essere mantenuto basso e la distanza è comunque sufficientemente limitata da consentire di cogliere nel dettaglio espressioni e movimenti degli interlocutori.La zona sociale è quell’area in cui svolgiamo tutte le attività che prevedono interazione con persone sconosciute o poco conosciute. A questa distanza (come detto da 1 a 3 o 4 metri) è possibile cogliere interamente o quasi la figura dell’interlocutore, cosa che ci permette di controllarlo per capire meglio le sue intenzioni. È anche la zona nella quale si svolgono gli incontri di tipo formale, ad esempio un incontro di affari.La zona pubblica è quella delle occasioni ufficiali: un comizio, una conferenza, una lezione universitaria. In questo caso la distanza tra chi parla e chi ascolta è relativamente elevata e generalmente codificata. È caratterizzata da una forte asimmetria tra i partecipanti alla comunicazione: generalmente una sola persona parla, mentre tutte le altre ascoltano.

Nel rapporto operatore e paziente la distanza viene costantemente invasa, proprio perché la relazione riguarda il corpo dell’utente, che viene toccato e manipolato. Inoltre spesso non vi è neanche la

protezione degli abiti.

Il sistema paralinguistico è caratterizzato da diversi aspetti:Tono: viene influenzato da fattori fisiologici (età, costituzione fisica), e dal contesto: una persona di elevato livello sociale che si trova a parlare con una di livello sociale più basso tenderà ad avere un tono di voce più grave.Frequenza: anche in questo caso l’aspetto sociale ha una forte influenza; un sottoposto che si trova a parlare con un superiore tenderà ad avere una frequenza di voce più bassa rispetto al normale.Ritmo: dato ad un discorso conferisce maggiore o minore autorevolezza alle parole pronunciate: parlare ad un ritmo lento, inserendo delle pause tra una frase e l’altra, dà un tono di solennità a ciò che si dice; al contrario parlare ad un ritmo elevato attribuisce poca importanza alle parole pronunciate. Nell’analisi del ritmo nel sistema paralinguistico va considerata l’importanza delle pause, che vengono distrinte in pause vuote e pause piene. Le pause vuote rappresentano il silenzio tra una frase e l’altra, quelle piene le tipiche interiezioni (come “mmm”, “beh”) prive di significato verbale, inserite tra una frase e l’altra.

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Silenzio: rappresenta una forma di comunicazione nel sistema paralinguistico, e le sue caratteristiche possono essere fortemente ambivalenti: il silenzio tra due innamorati ha ovviamente un significato molto diverso rispetto al silenzio tra due persone che si ignorano. Ma anche in questo caso gli aspetti sociali e gerarchici hanno una parte fondamentale: un professore che parla alla classe o un ufficiale che si rivolge alle truppe parleranno nel generale silenzio, considerato una forma di rispetto per il ruolo ricoperto dalla persona che parla.

Quando una persona comunica con un’altra, il suo messaggio non è soltanto costituito da ciò che la persona letteralmente dice; a questo messaggio letterale si accompagna infatti un’altra comunicazione, detta “metacomunicazione” o “metamessaggio”, che può essere definita come un commento sulla natura del messaggio stesso, come una chiave di lettura per la sua interpretazione. La meta comunicazione può essere esplicita e verbale, e si accompagna in questi casi al messaggio con frasi di chiarificazione (es. “sto solo scherzando!!”). Nella maggior parte dei casi la meta comunicazione è di tipo non verbale; infatti il messaggio non verbale, proprio per la sua primitività e sincerità, è maggiormente in grado di esprimere il significato che si deve dare ad un messaggio verbale. Affinché la comunicazione sia chiara è necessaria che sia il più possibile congruente, cioè che ci sia accordo tra il messaggio e il meta messaggio. Può accadere che la comunicazione e la meta comunicazione non coincidano, cioè che le parole esprimano un messaggio e la comunicazione non verbale ne esprima un altro contrastante. In altri casi il messaggio verbale inviato viene disconfermato da una meta comunicazione anch’essa verbale. Talvolta i due messaggi incongruenti sono entrambi a livello non verbale. La comunicazione distorta genera in chi riceve il messaggio grande ansia e confusione, anche se non sempre cosciente. Al ricevente giungono due messaggi contrastanti e non sa a quale dei due rispondere, poiché qualunque suo comportamento è potenzialmente errato. La comunicazione distorta nasce da un conflitto interno irrisolto che impedisce, senza che l’emittente se ne renda conto, di esprimere un messaggio univoco. La persona non si esprime in modo chiaro poiché essa stessa è combattuta da emozioni, sentimenti, atteggiamenti diversi. È importante che l’operatore impari a riconoscere la comunicazione distorta e la meta comunicazione, per essere in grado di rispondere ai bisogni del cliente che non sono spesso quelli verbalmente espressi. Occorre abituarsi ad interrogarsi su quale sia il significato, cioè la meta comunicazione, che sta dietro il al messaggio letterale, superando la convinzione ingenua che i messaggi verbali esprimano in maniera trasparente ciò che la persona vuole.

Nella relazione massaggiatore cliente il fine ultimo non è dato dal mantenimento della relazione stessa (come avviene nei rapporti affettivi) ma è invece il maggiore miglioramento possibile e la maggiore autonomia possibile del paziente. Le modalità di comunicazione efficaci hanno perciò lo scopo di approfondire la relazione con l’obiettivo di facilitare la guarigione e il miglioramento.Di seguito verranno trattate delle “tecniche”di comunicazione terapeuticamente efficaci che non costituiscono una regola assoluta quanto piuttosto uno spunto per riflettere sul proprio stile comunicativo.ASCOLTARE. L’ascolto è la condizione di base per qualunque rapporto terapeutico. Si tratta di un processo attivo di attenzione all’altro, al quale viene dato sufficiente tempo e spazio per esprimersi. In concreto ciò significa che la persona deve trovare un ambiente accogliente dove potersi esprimere con calma, senza fretta e senza interferenze. Un buon ascolto implica una comunicazione congruente in cui la comunicazione non verbale sottolinea un atteggiamento di ascolto (dalla postura all’espressione del volto e alla disposizione nello spazio). Anche i silenzi sono importanti e vanno tollerati; essi sono una pausa in cui si aspetta che il paziente superi le proprie difficoltà e le resistenze ad esprimersi. Il messaggio che dovrebbe passare è “lei è una persona importante, il suo problema è importante ed io sono pronto a dedicarle del tempo”.

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RIAFFERMARE. Consiste nel ripetere ciò che si ritiene sia il pensiero principale che il cliente ha voluto esprimere. Permette al paziente di ribadire il suo messaggio ed eventualmente di chiarificarlo. “mi sembra di aver capito che...”

CHIARIFICAZIONE E VERIFICA CONSENSUALE. Attraverso la retroazione si chiede conferma del messaggio inviato. “intende dire che...” il messaggio che si vuole inviare al cliente è di approfondire ciò che sta dicendo.

FOCALIZZARE. È utile soprattutto quando il paziente tende ad essere elusivo o a sfuggire un argomento. Consiste nel riportare il discorso su un argomento che, dall’insieme del colloquio, si valuta sia importante per il paziente.

RIASSUMERE. Alla conclusione di un colloquio è utile riepilogare e puntualizzare gli aspetti più importanti emersi dall’incontro.

Le modalità di comunicazione inefficaci ostacolano la comunicazione e la comprensione del messaggio. Tra i più diffusi:

NON SAPER ASCOLTARE. Il non ascolto dà il messaggio negativo di disinteresse per il cliente e per il suo problema. Parlare mentre si fanno altre cose, parlare di argomenti importanti in fretta in un ambiente inadatto, manifestare espressioni del volto e posturali di noncuranza.

FORMULARE GIUDIZI. L’approvare e il disapprovare comunica un messaggio di superiorità dell’operatore oltre che di manipolazione.

DIRE FRASI DI INCORAGGIAMENTO. Si tratta di frasi banali che servono in realtà a rassicurare l’operatore sanitario, mentre di fatto negano i bisogni del paziente.

CAMBIARE ARGOMENTO. Di fatto cambiare argomento quando il cliente affronta un problema è un modo per negare il suo bisogno e per comunicare che non è lui a decidere di che cosa è importante parlare.

FRASI DI RIFIUTO. Comunicare il rifiuto di approfondire i problemi, sono frasi utili all’operatore per proteggersi dall’ansia.

Occorre essere il più possibile consapevoli dei molti fattori che possono ostacolare la comunicazione, al fin di rimuoverli. Tra i principali:

1. limitazioni della capacità del ricevente.

2. Presenza di fonti di distrazione sia interna (ansia, preoccupazioni...) che esterna (rumore, caldo...).

3. Interferenze inconsce (es. difficoltà per l’operatore a lavorare con certe categorie di clienti).

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Massaggiatore Capo Bagnino22

TESTO E IMMAGINI A CURA DI:Emilio Tirelli, Irene Rossi

HANNO COLLABORATO ALLA REALIZZAZIONE DEL MANUALE:Barbara Pinnetti

Il testo è frutto dell’esperienza e del lavoro della scuola Ecolife.

E’ VIETATA PER LEGGE LA RIPRODUZIONE TOTALE O PARZIALE DI 48(672�92/80(�,1�)272&$3,$�(�,1�48$/6,$6,�$/75$�)250$�E’ vietato riprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione, trasmettere e

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Ogni violazione sarà perseguita secondo le correnti leggi civili e penali.

Finito di stampare in settembre 2014.

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