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Convegno “ANATOCISMO IUS VARIANDI E USURA NEI RAPPORTI BANCARI Intervento del dott. Flavio Cusani, Tribunale di Benevento Roma, Centro Congressi dell’Università Sapienza”, 24 febbraio 2012 Il dott. Flavio Cusani, magistrato ordinario alla V valutazione, è ora Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale Ordinario di Benevento. E’ stato Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ariano Irpino e giudice della Sezione Civile del Tribunale di Benevento. Sue le ordinanze 21/10/1991 e 2/1/2001, con le quali il Tribunale di Benevento sollevò e ottenne la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 25 del primo decreto Salva Banche - D.Lgs. 1999/342 (Corte Costituzionale, sentenza n. 425 del 17/10/2000) e dell’art.1 comma 2 del secondo decreto Salva Banche - Decreto Legge 29/12/2000 n.394, convertito con modifiche nella Legge 28/2/2001 n.24 (Corte Costituzionale, sentenza n. 29 del 25/2/2002 n.29). E’ autore di pubblicazioni in materia bancaria e del libro “La relazione banca cliente alla luce della più recente normativa e giurisprudenza” edito da Direkta – Roma nel maggio 2011

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Convegno “ANATOCISMO IUS VARIANDI E USURA NEI RAPPORTI BANCARI”

Intervento del dott. Flavio Cusani, Tribunale di Benevento

Roma, Centro Congressi dell’Università “Sapienza”, 24 febbraio 2012

Il dott. Flavio Cusani, magistrato ordinario alla V valutazione, è ora Giudice per le indagini

preliminari presso il Tribunale Ordinario di Benevento. E’ stato Sostituto Procuratore della Repubblica

presso il Tribunale di Ariano Irpino e giudice della Sezione Civile del Tribunale di Benevento. Sue le

ordinanze 21/10/1991 e 2/1/2001, con le quali il Tribunale di Benevento sollevò e ottenne la dichiarazione di

parziale illegittimità costituzionale dell’art. 25 del primo decreto Salva Banche - D.Lgs. 1999/342 (Corte

Costituzionale, sentenza n. 425 del 17/10/2000) e dell’art.1 comma 2 del secondo decreto Salva Banche -

Decreto Legge 29/12/2000 n.394, convertito con modifiche nella Legge 28/2/2001 n.24 (Corte

Costituzionale, sentenza n. 29 del 25/2/2002 n.29).

E’ autore di pubblicazioni in materia bancaria e del libro “La relazione banca cliente alla luce della

più recente normativa e giurisprudenza” edito da Direkta – Roma nel maggio 2011

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Introduzione

I rapporti tra banca e cliente sono stati regolati fino ai primi anni novanta dalla normativa

generale del codice civile del 1942, rispecchiante una visione liberale dei rapporti economici,

ispirata all’assoluta preminenza del principio dell’autonomia contrattuale1.

L’ autonomia contrattuale, nella relazione banca-cliente, non era soggetta a particolari

limitazioni di forma e di contenuto e quei pochi limiti posti dalle norme in materia di obbligazioni e

contratti in generale e per alcuni contratti bancari in particolare, non avevano di fatto un’incisiva

applicazione per via di prassi interpretative e orientamenti giurisprudenziali molto indulgenti nei

confronti delle banche.

L’integrazione dell’Italia nella Comunità Economica Europea e poi nell’Unione Europea, ha

costretto il nostro paese a modernizzarsi nella regolamentazione dei rapporti economici adottando

modelli e principi già presenti in altri paesi europei, così affermandosi una maggiore tutela del

cliente delle banche e più in generale del contraente debole.

Si è passati da un sistema incentrato su pochi grandi istituti di credito di diritto pubblico che

svolgevano le funzioni di raccolta del risparmio ed esercizio del credito, alla privatizzazione del

sistema bancario, in cui le banche, strutturate come società per azioni, svolgono non più solo dette

tradizionali funzioni creditizie ma rendono una pluralità di servizi (c.d. banca universale) in un

regime di libera concorrenza e sottoposte al controllo di organismi statuali.

La legislazione speciale in materia bancaria, in gran parte di attuazione di normative

comunitarie, si è mossa in tre direzioni:

1) tutela della trasparenza contrattuale, finalizzata a garantire l’effettiva e reale

informazione e conoscenza delle condizioni contrattuali in campo creditizio;

2) tutela della libera concorrenza, finalizzata a evitare logiche e pratiche di cartello tra

banche;

3) tutela della giustizia contrattuale, intesa come imposizione di limiti al contenuto del

contratto al fine di evitare eccessivi squilibri tra le parti.

Ricordiamo i principali interventi normativi nella relazione banca-cliente:

- Legge 17/2/1992 n.154 – Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e

finanziari (c.d. legge sulla trasparenza bancaria), che ha imposto nei contratti bancari l’indicazione

specifica e in forma scritta di ogni prezzo e condizione contrattuale

- Decreto Legislativo 1/9/1993 n.385 – Testo unico delle leggi in materia bancaria e

creditizia (c.d. Tub), che ha al Titolo VI recepito in modo più rigoroso ed esteso la precedente

disciplina sulla trasparenza delle condizioni contrattuali

- Legge 7/3/1996 n.108 – Disposizioni in materia di usura, che ha modificato l’art. 644 c.p.

determinando il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari e stabilendo come determinare

il tasso di interesse usurario

- Decreto legislativo 4/8/1999 n.342 – Modifiche al decreto legislativo 1/9/1993 n. 385

recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, che ha legalizzato le clausole

preventive relative alla produzione di interessi sugli interessi nei contratti bancari

- Delibera CICR 9/2/2000 – Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi

scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria, che ha

stabilito appunto modalità e criteri dell’anatocismo bancario

Detta normativa ha dato impulso ad un atteggiamento giurisprudenziale più attento alla

tutela dei diritti del cliente, atteggiamento che si è manifestato a tutti i livelli (Corte Costituzionale,

giudici ordinari di legittimità e di merito) con decisioni che hanno indotto più volte il legislatore a

tentare di porre un freno agli effetti di questo orientamento.

1 L’art. 1322 codice civile così recita: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”.

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Non potendo, in questa sede, fare una dissertazione esaustiva del tema oggetto della presente

relazione, ritengo utile focalizzare l’attenzione su alcune questioni ancora dibattute, di rilievo

operativo, mettendo a frutto la mia diretta esperienza giudiziaria civile e penale.

1. Effetti della dichiarazione di incostituzionalità del terzo comma dell’art. 25 D.Lgs.

342/1999 in attuazione del quale fu emanato l’art. 7 della delibera CICR 9/2/2000

(disposizioni transitorie in ordine alle clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati

prima del 22/4/2000)

Sebbene non siano mancati precedenti in senso contrario2, l’atteggiamento della

giurisprudenza della Corte di Cassazione nei confronti delle banche è stato per molti anni assai

prudente. Ne sono il simbolo le decisioni emesse fino al 1998:

A) in tema di anatocismo bancario3, ritenuto legittimo per via del riconoscimento

dell’esistenza di usi normativi, in base ai quali la produzione degli interessi sugli interessi può

avvenire in deroga dei presupposti fissati dall’art. 1283 del codice civile4;

B) in tema di clausole di rinvio “uso piazza” e di commissione di massimo scoperto,

considerate per lungo tempo valide nonostante la nullità per indeterminatezza dell’oggetto rilevabile

di ufficio;

Il cambiamento di rotta della giurisprudenza della Corte di Cassazione (c.d. revirement), si è

avuto a partire dal 1999, anno in cui, nel volgere di pochi mesi, furono emanate tre sentenze in tema

di anatocismo bancario5, con le quali fu rivisto il tradizionale orientamento e sancita la nullità delle

clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su di un

uso negoziale (ex art. 1340 codice civile) e non su un uso normativo (ex artt. 1 e 8 delle preleggi al

codice civile) come esige l’art. 1283 dello stesso codice.

Le prime due sentenze del marzo 1999 indussero la lobby bancaria, con l’avallo della stessa

Banca d’Italia, a fare pressione sul legislatore per ottenere un intervento normativo volto a salvare

le banche dal pericolo di numerose richieste restitutorie dei clienti, intervento che si ebbe con il

D.Lgs. 4/8/1999 n.342, emanato sulla base di una legge delega dell’anno precedente (la legge

24/4/1998 n.128) che gli consentiva di apportare, entro il termine di un anno, disposizioni

integrative e correttive al Tub.

L’art. 25 del D.Lgs. 1999/342 intervenne sull’art. 120 Tub da una parte rendendo

ammissibile l’anatocismo bancario a condizioni di reciprocità e dall’altra prevedendo una disciplina

transitoria e di sanatoria per il passato6.

2 Cfr. Cass. Civ. 252/1965; 3479/1971; 1724/1977. 3 Cfr. Cass. Civ. 6631/1981; 7571/1992; 9227/1995; 3296/1997 4 L’art. 1283 c.c. così recita “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”. 5 Cfr. Cass. Civ. I 16/3/1999 n. 2374; Cass. Civ. III 30/3/1999 n. 3096; Cass. Civ. I 11/11/1999 n. 12507. 6 L’art. 25 commi 1, 2 e 3 del D.Lgs. 1999/342 intervenne sull’art. 120 T.U.B. modificandone rispettivamente con il comma 1 la rubrica ( da “Decorrenza delle valute” a “Decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi” ), aggiungendovi con il comma 2 un secondo comma che rende ammissibile l’anatocismo bancario a condizioni di reciprocità ( “Il CIRC stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori”) e infine prevedendo con il comma 3 una disciplina transitoria e di sanatoria per il passato (“Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata

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Dette disposizioni, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n.233 del 4/10/1999 entrarono in

vigore il 20/10/1999 e molti tribunali della Repubblica, primo tra tutti il Tribunale di Benevento7,

rimisero gli atti alla Corte Costituzionale eccependo l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 D.Lgs.

342/1999, tra l’altro, per violazione dell’art. 76 della Costituzione per eccesso di delega, non

essendovi nella legge delega alcun cenno alla capitalizzazione degli interessi e alla possibilità di far

dipendere dalle determinazioni del CICR la validità ed efficacia delle clausole anatocistiche

contenute nei contratti di conto corrente bancari.

Intanto, il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), in ottemperanza

dell’art. 25 del D.Lgs. 342/1999, emanava la delibera 9/2/2000, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale

n. 43 del 22/2/2000 ed entrata in vigore il 22/4/2000, precisamente il sessantesimo giorno

successivo dalla pubblicazione, come previsto dall’art. 8 della stessa delibera.

Detta delibera, in attuazione della legge, ha reso legittime le clausole anatocistiche

preventive nei contratti bancari alle seguenti condizioni

1) pari periodicità (medesima per banca e cliente) di capitalizzazione degli interessi creditori

e debitori;

2) indicazione, oltre che del TAN (tasso annuale nominale) degli interessi, anche del TAE

(tasso annuo effettivo), vale a dire l’effettivo tasso di interessi creditori e debitori che è conseguenza

dell’incidenza sul tasso annuale nominale della capitalizzazione degli interessi alle periodicità

previste in contratto8;

3) specifica approvazione per iscritto della clausola anatocistica da parte del cliente

Solo quando siano rispettate tutte le predette condizioni formali e sostanziali, non vi è nullità

delle clausole anatocistiche preventive stipulate dal 22/4/2000 in poi.

In attuazione del comma 3 dell’art. 25 D.Lgs. 342/1999, l’art. 7 della delibera CICR

9/2/20009 dettava infine disposizioni transitorie in ordine alle clausole anatocistiche contenute nei

delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”). Quest’ultimo comma 3 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 425 del 17/10/2000. 7 Trib. Benevento Ord. 21 ottobre 1999 8 Il tasso annuo nominale (TAN) è normalmente di qualche decimo di punto percentuale inferiore al tasso annuo effettivo (TAE), perché sul primo incide l’effetto della capitalizzazione per periodi inferiori l’anno, in genere per trimestre. Orbene, a volte i contratti di conto corrente bancario con apertura di credito, pur prevedendo la clausola di capitalizzazione degli interessi con pari periodicità trimestrali, indicano nel documento di sintesi delle condizioni economiche un tasso annuo effettivo creditore a favore del cliente che è pari al tasso annuo nominale, laddove il tasso annuo effettivo debitore a carico del cliente è indicato correttamente in qualche decimo di punto percentuale in più del tasso annuo nominale per effetto della capitalizzazione trimestrale (Cfr.; Trib. Grosseto decreto 2/7/2006 n. 1431 registro decreti ingiuntivi; Trib. Reggio Emilia ord. 7/1/2009 n. 7603/07). 9 Questo il testo, da considerarsi non più vigente, dell’art. 7 - titolato “Disposizioni transitorie” della delibera CICR 9/2/2000:“1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30 giugno 2000 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1° luglio.2. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile e, comunque, entro il 31 dicembre 2000. 3. Nel caso in

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contratti stipulati prima del 22/4/2000 (data di entrata in vigore della delibera), salvandone

l’efficacia e stabilendo che esse dovessero essere adeguate alle disposizioni della delibera entro il

30/6/2000 con decorrenza degli effetti dal successivo 1/7/2000, ma soprattutto sancendo la necessità

di un’approvazione specifica per iscritto della clientela, ove le nuove condizioni contrattuali

comportassero un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate. Solo ove non fossero

peggiorative se ne ammetteva un adeguamento generale entro il 30/6/2000 mediante pubblicazione

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, dovendosi però fornire notizia per iscritto alla

clientela delle nuove condizioni alla prima occasione utile e comunque entro il 31/12/2000.

Orbene, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 425 del 17/10/2000 dichiarava

l’illegittimità del terzo comma dell’art. 25 D.Lgs. 342/1999 sotto il profilo formale del contrasto

con l’art. 76 della Costituzione per eccesso di delega, non entrando nel merito delle altre questioni

sollevate dai giudici emittenti sull’anatocismo bancario. La Corte Costituzionale evitava inoltre di

utilizzare argomentazioni che potessero mettere in discussione la legittimità costituzionale

dell’intero D.Lgs. 342/1999.

La conseguenza della sentenza 425/2000 della Corte Costituzionale è stato il venir meno

della disposizione transitoria finalizzata a salvare la validità ed efficacia delle clausole anatocistiche

contenute nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della delibera CICR, con

conseguente permanere e rifiorire delle cause giudiziarie per la restituzione delle somme percepite

dalle banche con la capitalizzazione periodica degli interessi a debito dei clienti.

Chiaramente, venendo meno l’art. 25 comma 3 del D.Lgs. 342/1999 – atto di normazione

primaria - è venuto meno anche il fondamento legittimante l’art. 7 della Delibera CICR 9/2/2000 –

atto di normazione secondario - finalizzato ad attuarlo, le cui “Disposizioni transitorie” quindi

hanno perso ogni efficacia e possibilità di applicazione10

.

I restanti sette articoli della delibera, invece, continuano ad avere applicazione in quanto

emanati in attuazione dell’art. 25 comma 2 del D.Lgs. 342/1999, non coinvolto dalla declaratoria di

incostituzionalità11

.

Quindi l’anatocismo bancario sulla base di clausole preventive è divenuto legittimo a

decorrere dal 22/4/2000 e per essere efficace tra le parti è necessario che le clausole di

capitalizzazione, aventi il contenuto su indicato, siano state oggetto di approvazione specifica per

iscritto da parte del cliente, non bastando a tal fine che l’adeguamento in via generale delle nuove

clausole alla nuova normativa siano stato pubblicizzato sulla Gazzetta Ufficiale e/o comunicato per

iscritto alla clientela.

2. La validità dei rapporti di apertura di credito in conto corrente sorti senza forma

scritta:

A) la prova del rapporto per facta concludentia

Di particolare efficacia è la sanzione civile della nullità relativa nei casi in cui il contratto o

singole condizioni o clausole contrattuali non siano stati stipulati in forma scritta, o siano stati

stipulati per iscritto ma con un contenuto non specificato che rinvia agli usi o determina condizioni

più sfavorevoli di quelle pubblicizzate (art. 117 Tub) .

Il regime di tale nullità, come di tutte quelle previste nel titolo sesto (Trasparenza delle

condizioni contrattuali) è disciplinata dall’art.127 Tub come “nullità di protezione”, nel senso che:

a) le disposizioni sanzionate con nullità sono derogabili solo in senso più favorevole al cliente; b) le

nullità operano solo a vantaggio del cliente; c) la nullità è rilevabile anche di ufficio; ciò comporta

cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela.” 10 Cfr. Trib. Benevento del 6/8/2007 11 Cfr. Trib. Torino n. 6204/07 del 5/10/2007

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che il giudice può rilevare la nullità quando si traduce in un vantaggio per il cliente, secondo una

valutazione in concreto, che tenga conto anche del complesso delle domande e delle eccezioni fatte

valere in giudizio12

.

In tal modo si esclude che di tali disposizioni, e della conseguente inefficacia di contratti e

condizioni, possa avvantaggiarsi in particolari situazioni la banca, che a esse ha dato luogo.

Va evidenziato che ancora oggi non è raro trovarsi al cospetto di rapporti di conto corrente,

specie quelli di vecchia data, instaurati prima del 9/7/1992, data di entrata in vigore della Legge

17/2/1992 n.154 (c.d. legge sulla trasparenza bancaria), i quali non sono stati resi conformi alla

nuova normativa mediante pattuizioni scritte e che continuano dunque a svolgersi per “facta

concludentia”13

.

B) il rapporto contrattuale di fatto

Invero la giurisprudenza tende ad andare oltre, riconoscendo e tutelando tali rapporti

giuridici di fatto, anche quando non è possibile ritenere concluso un accordo contrattuale per facta

concludentia.

Infatti la tutela viene data basando il sorgere di contrapposte obbligazioni – modellate alla

stessa stregua di quelle previste per il contratto tipico corrispondente di cui difetta però la forma

costitutiva (per esempio: il contratto di apertura di credito in conto corrente ) - sul dato incontestato

del contatto sociale o fatto socialmente rilevante14

.

Quindi, in tali casi, il contratto regolare non si costituisce, ma l’ordinamento salva

determinate situazioni costituitesi sulla base della specifica attività tenuta dalle parti nell’ambito di

un rapporto di fatto adeguantesi a quello giuridico, consentendo la nascita di corrispondenti

obbligazioni, che pertanto non nascono da contratto ma da un fatto idoneo a produrle in conformità

dell’ordinamento giuridico (art. 1173 c.c.).

C) il contratto monofirma

Giova evidenziare che per contratto scritto s’intende il documento contenente le clausole

contrattuali e che risulta sottoscritto da entrambe le parti, le quali, firmandolo, perfezionano nella

prescritta forma scritta l’accordo contrattuale.

Sovente capita che i contratti scritti con cui le parti disciplinarono i rapporti bancari oggetto

di giudizio, non risultano sottoscritti dal legale rappresentante della banca, pur riportando la

sottoscrizione del cliente (cd. contratti monofirma).

Spesso ciò succede perché la banca che agisce o si difende in giudizio non è la banca che

ebbe a concludere il contratto con il cliente, la quale si è estinta per fusione in altra banca, o è stata

incorporata da altra banca o più semplicemente ha ceduto l’azienda o un ramo di azienda,

unitamente a tutti i rapporti in corso, ad altra banca.

In questi casi, la mera predisposizione unilaterale di un testo scritto di proposta contrattuale

privo di firma del proponente non può certamente valere come valida manifestazione del consenso

nella forma scritta stabilita dalla legge ad substantiam con l’art. 117 Tub.

12 Cfr. Pret. Bologna 4/1/1999 13 Cfr. Cass. 19941/2006, la quale ammette che, in presenza di date circostanze di fatto (ad esempio: la tolleranza continuativa da parte della banca di uno scoperto di conto) possa essere fornita la prova del rapporto di apertura di credito anche per facta concludentia. Cass. 14470/2005 esclude invece che detta prova possa essere fornita con la mera produzione della deliberazione interna relativa alla concessione del fido, registrata sul libro fidi, oppure possa essere desunta dalla tolleranza di fatto all’uso dell’affidamento, soprattutto quando dette circostanze non consentano neppure di determinare l’ammontare e le condizioni del fido asseritamente accordato. 14 Cfr. Cass. 2088/1967

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Né può trovare applicazione il principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di contratti

per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, il contraente che non abbia

materialmente sottoscritto l’atto negoziale può validamente perfezionarlo producendolo nel corso

del giudizio, al fine di farne valere gli effetti nei confronti dell’altro contraente15

.

La giurisprudenza, infatti, esclude che il perfezionamento del contratto possa avvenire con la

produzione in giudizio del contratto da parte non direttamente del soggetto che avrebbe dovuto

sottoscriverlo, ma di un terzo soggetto, quand’anche si tratti di un successore a titolo universale. E’

evidente che la volontà negoziale è propria esclusivamente del soggetto contraente e non può essere

espressa da altri16

.

Inoltre, anche in quei casi in cui la banca che agisce o si difende in giudizio è la stessa che

ha stipulato il contratto di conto corrente con il cliente, può capitare che il contratto bancario non

risulti sottoscritto dal legale rappresentante della banca dell’epoca in cui il contratto fu firmato dal

cliente, riportando semmai solo il visto del funzionario che istruì la pratica. Orbene gli avvocati più

esperti nelle cause bancarie di ripetizione di indebito in questo caso consigliano il cliente di

notificare alla banca una revoca della proposta contrattuale inerente il contratto non firmato dalla

banca, in tal modo impedendo che la banca possa successivamente perfezionare il contratto

facendolo firmare dal legale rappresentante in carica della banca o producendo il contratto in

giudizio.

E’ evidente che la mancanza di un valido contratto comporta il grande vantaggio per il

cliente di poter ottenere una ricostruzione contabile del rapporto di conto corrente senza

l’applicazione di quelle clausole a lui sfavorevoli che erano contenute nel contratto non

perfezionatosi ( clausole di interessi ultralegali, anatocistiche, C.M.S., giorni valuta, ecc. ).

3. La mancanza o indeterminatezza della clausola del saggio ultralegale di interesse e

l’applicazione del c.d. tasso sostitutivo bancario a decorrere dal 9/7/1992

Nei contratti bancari l’art. 117 comma 1, 3 e 4 del Decreto Legislativo 385/1993 – TUB, ma

già prima l’art. 3 della legge 154/1992 (c.d. legge sulla trasparenza bancaria) in vigore dal

9/7/1992, di cui il Tub ha sul punto recepito le disposizioni, conferma la forma scritta a pena di

nullità per “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati”, ma stabilisce che se c’è

un contratto stipulato nella forma scritta che non indica il tasso d’interesse, trova applicazione l’art.

117 comma 7 lett. a) Tub, che prevede un’ipotesi di inserzione automatica di una clausola legale in

sostituzione di quella contrattuale nulla (art. 1419 comma 2 c.c.). In tal caso, in luogo del tasso al

saggio legale d’interesse di cui all’art. 1284 c.c.(che continua ad applicarsi quando manca del tutto

il contratto scritto) si applica il c.d. tasso sostitutivo bancario consistente nel “tasso nominale

minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali emessi nei dodici mesi precedenti

la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive”, ove per

attive s’intendono quelle comportano la contabilizzazione di una somma a debito (cioè a carico) del

cliente e per passive quelle che comportano la contabilizzazione di una somma a credito (cioè a

favore) del cliente.

Detto tasso sostitutivo, secondo l’interpretazione letterale della disposizione, va individuato

una sola volta sulla base dei tassi rilevati nell’anno precedente la conclusione del contratto e va

applicato in quella misura per l’intera durata del rapporto, non essendovi spazio per diverse

15 Cfr. Cass. 1414/1999 16Cfr. Cass. 3810/2004; 5868/1994; 6234/1980. Applicando tale principio giuridico, il cliente che agisce giudizialmente per la ripetizione dell’indebito pagato a titolo di interesse ultralegale, di C.M.S., di spese e di ogni altra posta passiva che deve necessariamente avere la sua fonte in una valida pattuizione scritta, vedrà accolta la sua domanda perché la banca non avrà un efficace titolo contrattuale scritto da porre a fondamento della validità del suo operato.

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interpretazioni della norma, come quella che vorrebbe la variabilità annuale di detti tassi minimi e

massimi a seconda dell’andamento degli stessi nel tempo.

L’interpretazione letterale indurrebbe, nei rapporti bancari risalenti nel tempo,

all’applicazione degli alti tassi debitori dei buoni ordinari del Tesoro (bot) annuali vigenti negli

anni 1992-1995 anche ad anni (1996-2006) in cui la remunerazione del denaro scese ai livelli del 2-

3%. Ne deriverebbe una manifesta illogicità economica e giuridica, costringendo il debitore ad

accettare un tasso fisso molto elevato per tutta la durata del rapporto senza che egli abbia avuto

l’intenzione di stipulare un contratto a tasso fisso. Inoltre si andrebbe contro la tutela del cliente -

scopo invece primario della legge c.d. sulla trasparenza e del Tub - che si troverebbe a dover pagare

degli interessi superiori a quelli di mercato, non previsti in sede di stipula del contratto ed

addirittura superiori alle soglie usurarie, peraltro trasformando un contratto di durata , per sua

natura a condizioni variabili nel tempo, in un rapporto a tasso fisso, indipendentemente dalla

volontà del cliente.

Sembra pertanto preferibile la soluzione che prevede l’adeguamento periodico anno per

anno dell'interesse annuale dei Bot emessi nei dodici mesi precedenti, atteso che il riferimento

dell’art.117 Tub all’anno precedente induce a ritenere un implicito riferimento alla rilevanza del

mutamento annuale dei tassi nominali dei bot.

Ogni altra interpretazione, infatti, toglierebbe a detta disposizione sul tasso sostitutivo quella

funzione di tutela del contraente debole (il cliente) e di sanzione del contraente forte (la banca) nelle

ipotesi di inosservanza delle regole di trasparenza e chiarezza nella determinazioni delle condizioni

contrattuali17

.

Si può verificare l’ipotesi in cui la clausola d’interesse ha forma scritta ma ha un contenuto

che non indica il tasso d’interesse in modo da renderlo determinato o determinabile in base a criteri

precisi, obbiettivi ed univoci. In tal caso la clausola è nulla in base ai principi generali codicistici

(combinata previsione degli artt. 1418 comma 2 e 1346 c.c.) perché ha un oggetto che manca dei

requisiti essenziali della determinatezza o della determinabilità. Questa ipotesi va assimilata a

quella della mancata indicazione del tasso d’interesse di cui all’art. 117 comma 4 Tub, con

conseguente applicazione del tasso sostitutivo bancario di cui al comma 7 lett. a).

Si ricordi che l’applicazione del tasso sostitutivo era già previsto, prima del Tub, in maniera

identica e per le stesse ipotesi dall’art. 5 della L.154/1992, che ha acquistato efficacia trascorsi

centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, giusto il disposto dell’art. 11 comma 4.

Quindi, essendo stata pubblicata la legge sulla Gazzetta Ufficiale in data 24/2/1992, essa è entrata in

vigore in data 10/3/1992, per cui le norme sulla trasparenza di cui alla L.1992/154 hanno acquistato

efficacia dal 9/7/1992.

Ne deriva che nelle ipotesi di nullità della clausola d’interessi nei contratti stipulati

prima del 9/7/1992, trova applicazione il saggio degli interessi legali di cui all’art. 1284 c.c. e

non il suddetto saggio sostitutivo bancario.

17 Cfr. Corte Appello Brescia, sent. 23/5/2007 n. 370, che a favore di tale interpretazione osserva: “In caso contrario, si verificherebbe proprio l’effetto contrario voluto dal legislatore, in quanto, in tempi di inflazione decrescente, la banca finirebbe per percepire un tasso di interessi superiore a quello che otterrebbe normalmente, proprio perché le sarebbero dovuti gli interessi dei Bot risalenti nel tempo; … è vero che la legge sembra rinviare ad un tasso fisso ed immutabile e cioè a quello dei Bot emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, ma è anche vero che la suddetta disposizione trova una sua logica spiegazione solo nel caso in cui venga effettuata un’unica operazione, laddove, invece, si rivela incompatibile ed inapplicabile ad un rapporto di durata caratterizzato da una molteplicità di operazioni e, quindi, dalla variazione dei tassi di interesse” concludendo addirittura per un adeguamento periodico trimestrale al tasso nominale minimo dei Bot emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, in linea con la possibilità di variazione anche trimestre per trimestre del tasso di tali Bot ( “… per cui sullo scoperto di conto corrente alla banca deve essere corrisposto il tasso nominale minimo dei Bot emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto”).

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4. Le condizioni di forma e di contenuto della clausola di capitalizzazione degli interessi

stipulate dopo il 22/4/2000: in particolare l’indicazione del TAE

Come già in precedenza rilevato, la produzione degli interessi sugli interessi è divenuta

legittima in materia bancaria per effetto dell’ art. 25 D.Lgs. 342/1999 e della delibera CICR

9/2/2000, per cui le clausole anatocistiche preventive contenute nei contratti di conto corrente (art.

2) e nei mutui (art.3) stipulati dal 22/4/2000 in poi, data di entrata in vigore di detta legge, sono

valide ed efficaci purché in ogni singolo contratto:

1) sia stabilita per ambedue le parti la stessa periodicità del conteggio degli interessi

creditori e debitori;

2) sia specificata la durata del periodo trascorso il quale si procede a capitalizzazione degli

interessi

3) sia indicato sia il TAN (tasso annuale nominale) applicato agli interessi creditori e

debitori

4) sia indicato il TAE (tasso annuo effettivo), vale a dire l’effettivo tasso di interessi

creditori e debitori che è conseguenza dell’incidenza sul tasso annuale nominale della

capitalizzazione degli interessi alle periodicità previste in contratto;

5) vi sia la specifica approvazione per iscritto della clausola anatocistica da parte del cliente,

segnalando che sulla specificità dell’approvazione vale quanto elaborato dalla giurisprudenza per le

clausole vessatorie di cui all’art. 1341 comma 2 c.c..

Solo quando siano rispettate tutte le predette condizioni formali e sostanziali, non vi è nullità

delle clausole anatocistiche preventive stipulate dal 22/4/2000 in poi.

Le clausole di capitalizzazione degli interessi contenute nei contratti bancari stipulati

prima del 22/4/2000, qualunque sia la periodicità, sono invece sempre nulle per violazione di

norma imperativa (art. 1418 comma 1 c.c.).

Orbene, riguardo alle clausole anatocistiche stipulate dopo il 22/4/2000, va osservato che il

tasso annuo nominale (TAN) è normalmente di qualche decimo di punto percentuale inferiore al

tasso annuo effettivo (TAE), perché sul primo incide l’effetto della capitalizzazione per periodi

inferiori l’anno, in genere per trimestre.

A volte capita che i contratti di conto corrente bancario con apertura di credito stipulati

dopo il 22/4/2000, pur prevedendo la clausola di capitalizzazione degli interessi con pari periodicità

trimestrali, indicano nel documento di sintesi delle condizioni economiche un tasso annuo effettivo

creditore a favore del cliente che è pari al tasso annuo nominale, laddove il tasso annuo effettivo

debitore a carico del cliente è indicato correttamente in qualche decimo di punto percentuale in più

del tasso annuo nominale per effetto della capitalizzazione trimestrale.

Questa prassi non corretta è stata considerata in alcune decisioni di Tribunali alla stessa

stregua della mancanza di indicazione del TAE e sanzionata con l’inefficacia della clausola

anatocistica (Cfr.; Trib. Grosseto decreto 2/7/2006 n. 1431 registro decreti ingiuntivi; Trib. Reggio

Emilia ord. 7/1/2009 n. 7603/07).

5. Regime giuridico della clausola di commissione di massimo scoperto

In genere si commette l’errore metodologico di qualificare la commissione di massimo

scoperto sulla base della nozione a essa preconcettualmente attribuita, quando invece l’interprete

deve procedere in senso inverso, vale a dire esaminare come in contratto viene descritto il criterio di

calcolo della commissione di massimo scoperto e sulla base del contenuto in concreto della singola

clausola contrattuale stabilirne l’effettiva natura giuridica.

Ciò premesso, va evidenziato che la commissione di massimo scoperto ha perso del tutto la

sua originaria natura di provvigione di conto, da cui certamente deriva, per acquistare nella pratica

la natura giuridica di vero e proprio interesse aggiuntivo. Infatti, essa, essendo calcolata sulla

somma utilizzata dal cliente e solo se utilizzata, rappresenta, al pari degli interessi, il corrispettivo

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che riceve la banca per il credito effettivamente erogato, con la sola differenza che mentre gli

interessi vengono conteggiati in misura aritmetica in base alla quantità e al tempo di utilizzazione

delle somme prese in prestito, la commissione di massimo scoperto è conteggiata una sola volta in

misura percentuale sulla somma massima raggiunta dal debito nel periodo di riferimento

(solitamente il trimestre).

Ne deriva la sottoposizione della clausola di C.M.S. alla medesima disciplina prevista per la

clausola d’interessi.

Quale interesse aggiuntivo che si somma a quello come tale indicato in contratto, la C.M.S.

deve avere la forma scritta, non può essere modificata unilateralmente dalla banca se non in base ad

una clausola approvata specificamente dal cliente, non può essere indicata con il rinvio agli usi, non

può essere più sfavorevole per il cliente rispetto a quella pubblicizzata, va considerata non solo nel

calcolo del TAEG (tasso annuo effettivo globale ) ma anche del TEGM (tasso effettivo globale

medio)18

, non può essere capitalizzata se non alle condizioni di cui all’art. 1283 c.c. e a quelle della

delibera CICR 9/2/2000 (per le clausole di capitalizzazione della C.S.M. inserite nei contratti

stipulati dal 22/4/2000 in poi).

Il regime delle nullità delle clausole di C.M.S. è quindi lo stesso delle clausole degli

interessi, esclusa evidentemente la possibilità di applicazione del c.d. tasso sostitutivo.

Una ricorrente causa di nullità della clausola di C.M.S. è quella per cui la clausola ha forma

scritta, nel senso che è indicata la misura percentuale, ma nulla dice in ordine al criterio di calcolo.

In tal caso la clausola è nulla in base ai principi generali codicistici (combinata previsione degli artt.

1418 comma 2 e 1346 c.c.) perché ha un oggetto che manca dei requisiti essenziali della

determinatezza o della determinabilità. La conseguenza è che non va calcolata alcuna somma a

titolo di C.M.S. a danno del cliente

6. Lo ius variandi: la nullità della clausola di modifica unilaterale dei tassi, dei prezzi e

delle altre condizioni contrattuali

Gli artt. 117 comma 5 e 118 Tub - e in precedenza l’art. 4 comma 2 della L.1992/154 -

prevedono, limitatamente ai contratti bancari di durata, la possibilità di inserire in contratto la

clausola di modifica unilaterale dei tassi, dei prezzi e delle altre condizioni contrattuali anche in

senso sfavorevole al cliente.

18 Cfr. Cass. Pen. II 12028/2010 “Questo Collegio ritiene che il chiaro tenore letterale dell'art. 644 c.p., comma 4 (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all'erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l'onere, a cui l'intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente. Ciò comporta che, nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata. Tale interpretazione risulta avvalorata dalla normativa successivamente intervenuta in materia di contratti bancari. Al riguardo occorre richiamare il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis convertito con la L. 28 gennaio 2009, n. 2. Tale articolo al comma 1 disciplina le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto, ridimensionandone l'operatività. Al comma 2 precisa che: "gli interessi, le commissioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente (..) sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c., dell'art. 644 c.p. e della L. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3".

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Si tratta di una deroga al principio generale espresso all’art. 1372 c.c. secondo il quale il

contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto (o modificato) che per mutuo

consenso o per cause ammesse dalla legge.

La clausola è nulla se non rispetta i seguenti due fondamentali requisiti, rispettivamente di

forma e di sostanza:

- se non è stipulata in forma scritta. La mancanza di forma scritta è prevista ad substantiam e

determina la nullità della clausola (art. 117 comma 3 Tub);

- se non prevede che la possibilità di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali possa

essere esercitata solo in presenza di un giustificato motivo; in ogni caso, le variazioni dei tassi di

interesse che hanno il loro giustificato motivo in decisioni di politica economica ( si pensi

all’aumento del costo del denaro stabilito dalla Banca Centrale Europea ) devono riguardare

contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori e devono essere applicati con modalità da

non recare pregiudizio al cliente. In mancanza di tali presupposti contenutistici l’ordinamento non

attribuisce al contenuto della clausola una meritevolezza sociale tale da renderla tutelabile ai sensi

dell’art. 1322 c.c..

La clausola è inefficace nei confronti del cliente, se a lui sfavorevole (c.d. inefficacia

relativa – art. 118 comma 3 Tub):

- se non è approvata specificamente dal cliente, secondo la disciplina dell’art. 1341 comma

2 del codice civile;

La modifica contrattuale è inefficace:

- se non è comunicata al cliente con l’evidenziazione scritta che trattasi di “Proposta di

modifica unilaterale del contratto”;

- se non è comunicata al cliente con un preavviso minimo di trenta giorni.

Ove le modifiche unilaterali dei tassi, dei prezzi e delle altre condizioni contrattuali siano

state efficacemente comunicate al cliente, questi può recedere dal contratto, senza penalità e senza

spese di chiusura, entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione, altrimenti la modifica

si intende approvata.

Orbene, la norma, riguardo alle modalità di comunicazione della “Proposta di modifica

unilaterale” si limita a dire che la comunicazione può avvenire “in forma scritta o mediante altro

supporto durevole preventivamente accettato dal cliente” (art. 118 comma 2 Tub). Si ritiene che

detti “supporti durevoli” possano consistere in registrazioni di comunicazioni telefoniche, in

ricevute di documenti inviati via fax, in ricevute di mail inviate all’indirizzo di posta elettronica del

cliente. Condizione di efficacia di tali diverse modalità di comunicazione è che le stesse siano state

“preventivamente accettate dal cliente”, espressione che induce a ritenere la necessità di

un’accettazione scritta nei modi di qualsiasi altra clausola o condizione del contratto (art. 117

comma 3 Tub). Infatti, non sarebbe logico ammettere la comunicazione di rilevanti vicende

contrattuali con modalità diverse dal documento scritto, se la volontà di accettazione del cliente di

tali modalità non si sia manifestata con tranquillante certezza con un negozio scritto.

In giudizio la prova dell’avvenuta ricezione da parte del cliente della comunicazione di

modifica unilaterale delle condizioni contrattuali spetta alla banca. Se non la fornisce, la banca non

potrà far valere nei confronti del cliente il diverso contenuto contrattuale derivante dalla modifica

unilaterale.

7. La tutela del cliente dal c.d. recesso improvviso e arbitrario

La clausola di recesso discrezionale (c.d. recesso ad nutum) e l’obbligo di rientro immediato

nei contratti di apertura di credito sia a tempo indeterminato che a termine sono gli strumenti da

sempre utilizzati dalle banche per tenere in posizione di sudditanza contrattuale il cliente.

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L’art. 1845 del codice civile, che regola appunto il recesso dal contratto di apertura di

credito, contiene, infatti, una disciplina dispositiva del recesso, che fa salvo qualsiasi altro patto

contrario.

Ciò consente alle banche di inserire nei contratti di conto corrente e di apertura di credito,

sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato, clausole derogatorie alla disciplina di legge, la

quale prevede: a) per i contratti a termine, la necessità della giusta causa di recesso e della

concessione al cliente di un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme

utilizzate e dei relativi accessori; b) per i contratti a tempo indeterminato, la necessità di un

preavviso di almeno quindici giorni.

Ne deriva che sia nei contratti a termine sia nei contratti a tempo indeterminato la banca fa

approvare specificamente per iscritto ai clienti clausole che le consentono di recedere ad nutum dal

rapporto bancario e di richiedere all’accreditato il c.d. rientro immediato.

Orbene, pur non potendo considerare invalide e inefficaci dette clausole di recesso

discrezionale, la giurisprudenza di legittimità19

non ha mancato di sanzionare il c.d. recesso

improvviso e arbitrario, vale a dire il recesso esercitato in palese violazione dei principi di

correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. E’ il caso del recesso operato a fini

ricattatori e vendicativi, quando non sia sopravvenuta alcuna nuova circostanza che potesse

consigliare alla banca la revoca del fido e l’ordine di rientro immediato dallo scoperto. Si pensi ad

esempio al recesso operato nei confronti del cliente che non abbia voluto stipulare un nuovo o

diverso contratto, o che abbia convenuto in giudizio la banca, o che abbia contrattato con altre

banche concorrenti. Trattasi di ipotesi di chiaro abuso del diritto, che possono dar luogo anche a

richieste risarcitorie per i danni subiti dal cliente a seguito dell’ingiustificato recesso.

Solo per il cliente consumatore l’art 25 della legge 6/2/1996 n.52, aggiungendo al Titolo II

del Libro IV del codice civile il Capo XIV bis gli articoli dal 1469 bis al 1469 sexies, ha previsto

una tutela più incisiva nei confronti della banca.

Il recesso dal contratto bancario concluso con un consumatore, infatti, può avvenire

esclusivamente per giusta causa e con ragionevole preavviso nei contratti a tempo determinato

(argomentando ex art. 1469 bis comma 3 n.7 e 8 c.c. - ora art. 33 comma 2 lett. g) e h) del D.L.vo

6/9/2005 n. 206 - Codice del Consumo) ed esclusivamente con preavviso, salva l’esistenza di un

giustificato motivo, nei contratti a tempo indeterminato (argomentando ex art. 1469 bis comma 4

c.c.- ora art. 33 comma 3 del D.L.vo 6/9/2005 n. 206 - Codice del Consumo).

.

8. La richiesta di documentazione bancaria e la c.d. difesa passiva delle banche

La preventiva richiesta della documentazione alla banca si rende opportuna per tre

ragioni:

1) la prima è che il cliente, avendo a disposizione la documentazione relativa al rapporto

(contratti, comunicazioni di variazioni contrattuali, estratti conto, riassunti scalari, ecc.), tramite un

proprio consulente, potrà quantificare l’importo complessivo indebitamente percepito dalla banca e

quindi richiederlo in restituzione alla banca in via stragiudiziale o giudiziale, in quest’ultimo caso

con un atto di citazione estremamente determinato nel petitum, con la possibilità di ottenere dalla

banca una rapida definizione della questione tramite una transazione;

2) la seconda è che dal momento in cui la banca riceve la richiesta fatta dal cliente ai sensi

dell’art. 119 comma 4 Tub la stessa, per il generale principio di buona fede che presiede tutte le fasi

del contratto, è tenuta a conservare la documentazione e a tenerla a disposizione del cliente, senza il

limite della decennalità;;

19 Cfr Cass. 9321/2000

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3) la terza è che avendo fatto richiesta della documentazione bancaria in via stragiudiziale, e

non avendola ottenuta, il cliente sarà legittimato in un eventuale futuro giudizio, a fare richiesta al

giudice di ordinare ex art. 210 c.p.c. alla banca convenuta l’esibizione della documentazione

necessaria alla ricostruzione del rapporto di conto corrente.

Nel caso in cui la banca non ottemperi o in qualunque modo resista alla richiesta, optando

per una difesa passiva basata nel non fornire al cliente, né produrre in giudizio la documentazione

contabile, il cliente potrà scegliere tra varie strategie:

- agire in giudizio al fine di ottenere la consegna della documentazione con un ricorso

cautelare per sequestro giudiziario ex art. 670 n.2 c.p.c.

- più residualmente, attivare un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., se vi è il presupposto del

pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile (normalmente potranno farlo le imprese in

presenza di un concreto rischio di fallimento e i curatori fallimentari in relazione all’impossibilità

dell’adempimento dei loro compiti istituzionali finalizzati alla chiusura del fallimento);

- agire con un ricorso monitorio ex art. 633 e ss. c.p.c., atteso che si può ottenere un decreto

ingiuntivo anche per la consegna di cose determinate, tra le quali la giurisprudenza annovera anche i

documenti;

- agire con una domanda di risarcimento del danno, oltre che per la consegna della

documentazione, attraverso la via del giudizio ordinario di cognizione;

- presentare un’istanza alla banca ai sensi degli artt. 7 e 8 del Codice in materia di

protezione dei dati personali e poi agire dinanzi all’Autorità Garante della Privacy nell’ipotesi in cui

la banca pretenda il pagamento di oneri superiori a quelli stabiliti dalla legge per la riproduzione o

stampa dei dati richiesti20

;

- richiedere al giudice, in un instaurato giudizio di restituzione dell’indebito, di ordinare alla

banca ai sensi dell’art. 210 c.p.c. l’esibizione della documentazione, anche di quella riferita a dieci

anni prima dalla data di ricezione della richiesta stragiudiziale rimasta insoddisfatta.

Acquisita la documentazione relativa al rapporto di conto corrente bancario, di solito il

cliente avveduto si rivolge a un commercialista di fiducia per far ricostruire il rapporto bancario

alla luce dell’ espunzione dallo stesso di tutte le poste passive indebitamente contabilizzate. In tal

modo conoscerà l’entità complessiva della somma che potrà chiedere in restituzione alla banca,

indicandola in una richiesta di restituzione stragiudiziale o in una domanda giudiziale.

In particolare, nel caso in cui debba instaurare una controversia giudiziale, l’attore,

indicando in citazione la somma chiesta in restituzione e producendo in giudizio la relativa perizia

contabile di parte, metterà il giudice nella condizione di accogliere la domanda - anche senza

espletamento di c.t.u. contabile - segnatamente nell’ipotesi in cui la banca non si costituisca in

giudizio, o non ottemperi all’ordine di esibizione della documentazione ex art. 210 c.p.c. ( c.d.

difesa passiva )21

, o non contesti specificamente le risultanze della consulenza di parte prodotta

dall’attore.

9. L’insanabilità degli effetti di clausole bancarie nulle a mezzo di una dichiarazione di

riconoscimento del debito

L’azione di nullità di una clausola contrattuale in ragione di vizi di forma o di contenuto

della stessa, non può essere sanata ex post dal cliente per effetto del riconoscimento del debito che

in quella clausola ha la sua fonte, in quanto il fatto che il cliente abbia confermato l’ammontare del

20 Cfr. Garante della Privacy Newletter n.190 del 3-9/11/2003; n.209 del 5-25/4/2004; n. 246 del 21-27/2/2005; decisione del 3/7/2005. 21 Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 210 e 118 comma 2 c.p.c. “se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice può da questo rifiuto desumere argomenti di prova a norma dell’art. 116 secondo comma”

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suo debito verso la banca, non gli impedisce di contestare la validità delle clausole da cui il debito è

sorto.

Infatti, è stato più volte ribadito, che in tema di promesse unilaterali, la ricognizione di

debito non costituisce autonoma fonte di obbligazioni, ma ha soltanto l’effetto confermativo di un

preesistente rapporto fondamentale, venendo a operarsi, in forza dell’art. 1988 c.c., un’astrazione

meramente processuale della causa debendi per la quale il destinatario della promessa è dispensato

dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.

La conseguenza di tale principio è, per esempio, che il riconoscimento del debito operato dal

cliente nei confronti della banca, non gli impedisce di contestare la validità di una clausola bancaria

per la quale è prevista la forma scritta a pena di nullità (si pensi alle clausole di interessi ultralegali,

di commissione di massimo scoperto) o per il contenuto contrario a norme imperative (clausola

anatocistica, clausola di interessi usurari)22

.

10. Azione di ripetizione dell’indebito ed onere della prova

L’azione di ripetizione dell’indebito può essere promossa dal cliente anche in via autonoma,

senza una collegata domanda di nullità o di accertamento negativo della pattuizione bancaria.

In questo caso il cliente, agendo per la restituzione di quanto indebitamente pagato, può

limitarsi a provare l’avvenuto pagamento e ad allegare che esso sia avvenuto in tutto o in parte in

mancanza di una valida pattuizione23

. Così, ad esempio, il cliente che agisca per la restituzione di

quanto percepito dalla banca a titolo di interessi ultralegali, di anatocismo, di commissione di

massimo scoperto, di spese e di valute antergate o postergate, potrà limitarsi a produrre, o far

acquisire dal giudice ex art. 210 c.p.c., gli estratti conto bancari dai quali si desume la

contabilizzazione delle predette operazioni (e l’influenza delle stesse sul saldo finale pagato dal

cliente) e allegare che esse non sono giustificate né dalla legge né dal contratto.

Infatti, l’attore che agisce per la ripetizione dell’indebito, non ha l’onere di provare anche

l’esistenza del negozio giuridico per effetto del quale la somma fu pagata, a meno che non aggiunga

una specifica domanda attinente alle vicende del negozio stesso24

.

Una volta che il cliente abbia dedotto e provato pagamenti non dovuti, specificando i motivi

dell’inesistenza di valide cause giustificatrici, incomberà sulla banca provare che la

contabilizzazione di poste passive addebitate al cliente sia stata fatta sulla base di pattuizioni

conformi alla legge e produttive di effetti.

La banca non potrà invocare, per bloccare la domanda restitutoria, la decadenza del

correntista ex art. 1832 c.c. (richiamato dall’art. 1857 c.c.) dal diritto a impugnare le partite incluse

negli estratti conto, in quanto l’incontestabilità delle risultanze del conto, derivante dal mancato

tempestivo esercizio del mentovato diritto, non si riferisce alla validità ed efficacia dei rapporti da

cui i rispettivi accrediti ed addebiti derivano, né la mancata contestazione del conto comporta che il

debito formato su negozio nullo o annulabile, o comunque su situazione illecita, divenga perciò

nuovo e come tale incontestabile25

.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito come non vada confuso il contratto

costitutivo del relativo rapporto in conto corrente con la singola annotazione in conto che, in se e

per sé, influisce solo a livello quantitativo sul rapporto: infatti, l'approvazione del conto, anche per

mancata contestazione ai sensi dell’art. 1832 c.c. e 119 Tub degli estratti conto inviati al cliente

dalla banca, rende incontestabili, solo ed esclusivamente, le registrazioni a debito e credito nella

22Cfr. Cass. 1825972006; 22898/2005 23 In detta ipotesi l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo di pagamento rappresenta un mero antecedente logico della domanda di restituzione della somma corrisposta e non già l’oggetto di un’autonoma domanda giudiziale (Cfr. Cass. 2298/2007.) 24 Cfr. Cass. 4963/1978 25 Cfr. Trib. Benevento 11/10/2007, in tema di addebiti da attivazione di una seconda carta bancomat.

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loro realtà contabile, ma non anche la validità dei rapporti sostanziali, per cui sarà sempre possibile

agire per far valere la nullità di clausole del contratto di conto corrente bancario ed escluderne così

l’efficacia e i conseguenti addebiti passivi sul conto del correntista (cfr. Cass. Civ. I sent. 29/7/ 2009

n.17679, riferita alla nullità della clausola relativa agli interessi ultralegali).

11. Il decorso della prescrizione dopo la sentenza della Corte di Cassazione Sezioni

Unite n. 24418 del 2/12/2010

La Corte di Cassazione, con sentenza a Sezioni Unite n. 24418/10 del 2/12/2010, ha ribadito

da una parte che in presenza di una clausola anatocistica nulla non è ammessa alcuna forma di

capitalizzazione degli interessi e dall’altra che “ Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura

di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità

della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto

pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di

ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del

rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato

estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati “.

Tale decisione evidenzia come l’unitarietà del rapporto giuridico derivante dal contratto di

conto corrente bancario non è, di per sé solo, decisivo nel far individuare nella chiusura del conto il

momento di decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di restituzione di cui all’art. 2033

c.c., in quanto, come per qualsiasi altro rapporto di durata che implichi prestazioni di denaro

ripetute nel tempo (si pensi alla locazione, alla somministrazione, ecc.), l’unitarietà del rapporto

contrattuale non impedisce di qualificare come indebito ciascun singolo pagamento non dovuto per

carenza o nullità della causale e determinare il decorso della prescrizione del diritto alla restituzione

dalla data del pagamento non duvuto.

Allora, nel conto corrente bancario, perché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un

pagamento, occorre che vi sia stato un atto in concreto qualificabile come pagamento eseguito

indebitamente.

Orbene, durante il rapporto di apertura di credito in conto corrente bancario, l’annotazione in

conto di poste passive o attive non dovute o derivanti da negozi nulli comporta un incremento del

debito del correntista o una riduzione del credito di cui egli dispone, ma non rappresenta un

pagamento, non avendo finalità solutoria, atteso che l’apertura di credito si attua mediante la messa

a disposizione di una data somma di denaro che il correntista può utilizzare a più riprese e

ripristinare in tutto o in parte nel suo importo con versamenti, ferma la possibilità di ulteriori

prelevamenti entro il limite del credito accordatogli dalla banca.

Un pagamento potrà esservi invece quando si tratti di versamenti eseguiti su un conto

scoperto, vale a dire un conto al quale non accede alcun contratto di apertura di credito a favore del

correntista o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti

dell’accreditamento.

Tale distinzione tra atti ripristinatori della provvista e atti di pagamento eseguiti dal

correntista per estinguere un proprio debito verso la banca non è nuova nella giurisprudenza della

Corte di Cassazione, avendone questa fatta in precedenza applicazione in materia di revocatoria

fallimentare26

. Essa è quindi ripresa da S.U. 24418/10 al fine di stabilire quando sia configurabile

un pagamento in un conto corrente bancario con conseguente decorso dalla data di annotazione del

termine prescrizionale del diritto alla ripetizione dell’importo versato indebitamente.

Orbene, si ritiene che tale ineccepibile precisazione dell’orientamento della Corte di

Cassazione in tema di decorso della prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito nei rapporti

di conto corrente bancario, non muti sostanzialmente i termini delle questioni sulle quali

abitualmente si controverte nelle cause in materia di anatocismo. Ciò per tre ragioni:

26 Cfr. Cass. 5413/1982, 24588/2005; 23107/2007

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1) La prima ragione è che le cause più diffuse e dal valore più rilevante sono quelle relative

a rapporti di conto corrente di vecchia data, instaurati ancor prima dell’entrata in vigore della Legge

17/2/1992 n.154 (c.d. legge sulla trasparenza bancaria), che per prima impose nei contratti bancari

l’indicazione specifica e in forma scritta di ogni prezzo e condizione contrattuale.

In precedenza per i rapporti bancari non era richiesta la forma scritta a pena di nullità, per

cui gli stessi, anche quelli con aperture di credito, si instauravano con un accordo “di fatto” che

investiva anche la messa a disposizione in favore del correntista di ingenti importi di denaro, entro

il cui limite al cliente era consentita un’operatività continuativa con prelevamenti e versamenti,

senza che vi fosse un’esigibilità immediata da parte della banca dell’eventuale sua momentanea

posta creditoria risultante dalla contabilità.

Sovente tali rapporti bancari con aperture di credito in conto corrente hanno conservato la

natura di rapporti contrattuali di fatto anche dopo le innovazioni normative della legge sulla

trasparenza bancaria e del T.U.B., in quanto le banche hanno continuato a consentire al cliente a

certe costanti condizioni ( salvo il variare dei tassi di interesse in relazione al mutamento del costo

del denaro ) uno scoperto bancario in carenza di un contratto scritto di “affidamento di somme”.

Orbene non può dubitarsi che l’ordinamento giuridico riconosca e tuteli tali rapporti giuridici di

fatto basando il sorgere di contrapposte obbligazioni – modellate alla stessa stregua di quelle

previste per il contratto tipico corrispondente di cui difetta però la forma costitutiva ( per esempio: il

contratto di apertura di credito in conto corrente ) sul dato incontestato del contatto sociale o fatto

socialmente rilevante27

.

In tali casi il contratto regolare non si costituisce, ma l’ordinamento salva determinate

situazioni costituitesi sulla base della specifica attività tenuta dalle parti nell’ambito di un rapporto

di fatto adeguantesi a quello giuridico, consentendo la nascita di corrispondenti obbligazioni, che

pertanto non nascono da contratto ma da un fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento

giuridico ( art. 1173 c.c.).

2) La seconda ragione è che la distinzione tra atti ripristinatori della provvista messa a

disposizione dalla banca e atti solutori eseguiti dal correntista per estinguere un proprio debito verso

la banca richiede che sia preventivamente accertato se nel momento di esecuzione del versamento il

conto corrente fosse scoperto (ad esempio: un conto senza apertura di credito a favore del

correntista, o un conto passivo oltre i limiti dell’affidamento concesso dalla banca) oppure fosse

coperto, vale a dire in attivo per il cliente o in passivo ma non oltre i limiti del fido concesso dalla

banca.

Per compiere tale accertamento non ci si può affidare alla contabilità della banca e alle sue

periodiche risultanze finali, in quanto queste sono spesso solo apparenti e virtuali, controvertendosi

innanzi tutto sulla validità di clausole contrattuali e di prassi contabili applicate anche se contrarie e

norme imperative e inderogabili ( ad es. in tema di tassi di interessi, di anatocismo, di C.M.S., di

decorrenza delle valute ).

Occorre prima disporre una ricostruzione contabile del conto corrente bancario, depurandolo

dalle conseguenze contabili di clausole e prassi nulle e inefficaci, con le quali la banca ha

appesantito indebitamente il passivo e/o lo scoperto di conto corrente del cliente e solo dopo può

stabilirsi, in relazione al limite dell’affidamento accordato dalla banca, se i singoli versamenti

eseguiti abbiano avuto una reale ed effettiva natura solutoria (in presenza di uno scoperto ultrafido)

ovvero ripristinatoria (in presenza di un passivo intrafido).

3) La terza ragione è che il problema del decorso della prescrizione riguarda la sola azione di

ripetizione di cui all’art. 2033 codice civile, soggetta alla prescrizione ordinaria decennale di cui

all’art. 2946 c.c., ma non l’azione di nullità delle clausole del contratto di conto corrente, la quale è

imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c., per cui potrà sempre essere proposta e fatta valere una

domanda di accertamento in via principale o un’eccezione di nullità di clausole del contratto o di

operazioni eseguite in contrasto con norme imperative per eliderne gli effetti (secondo il noto

27 Cfr. Cass. 2088/1967

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brocardo “quod nullum est, nullum producit effectum”) e così ottenere che il giudice, in sede di

ricalcolo del saldo finale fatto valere a credito dalla banca, non tenga conto delle poste passive

contabilizzate sulla base di causali nulle ( ad esempio: una clausola anatocistica nulla per difetto di

forma e di contenuto, una clausola di commissione di massimo scoperto , oggi di affidamento, nulla

per indeterminazione e indeterminabilità dei criteri di calcolo, ecc. ).

Ciò vale anche per le cause di opposizione a decreto ingiuntivo e per gli stessi ricorsi per

ingiunzione delle banche, ove il giudice può sempre rilevare di ufficio la nullità di clausole

contrattuali, applicate nel conteggio del saldo finale, che siano in contrasto con norme imperative

inderogabili, conseguentemente rigettando il ricorso o chiedendo l’epurazione dal saldo creditorio

delle poste passive aventi origine in clausole nulle.

12. Il contenuto dell’art. 2 comma 61 del decreto legge 29/12/2010 N. 225 come

modificato con legge di conversione 26/2/2011 n.10 – Questioni di legittimità costituzionale

In data 26/2/2011 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 47 – Supplemento ordinario

n.53 la legge 26/2/2011 n.10 di conversione con modificazioni del decreto legge 29/12/2010 n. 225,

recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia

tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie” (c.d. Decreto Milleproroghe), la quale all’art. 1

comma 1, richiamando l’allegato “Modificazioni apportate in sede di conversione al decreto legge

29 dicembre 2010 n. 225” ha introdotto nell’ordinamento giuridico la seguente norma, prevista al

comma 61 della modifiche aggiunte da detto allegato all’art. 2 del decreto legge oggetto di

conversione. La norma così recita: “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente

l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti

dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si

fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di

conversione del presente decreto legge”.

La norma può essere oggetto di diverse interpretazioni:

Ciò posto, va preliminarmente evidenziato che quale che sia la soluzione interpretativa

scelta, il problema del decorso della prescrizione continuerebbe a riguardare la sola azione di

ripetizione di cui all’art. 2033 codice civile, soggetta alla prescrizione ordinaria decennale di cui

all’art. 2946 c.c., ma non l’azione di nullità delle clausole del contratto di conto corrente, la quale è

imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c.

Per cui potrà sempre essere proposta e fatta valere una domanda di accertamento in via

principale o un’eccezione di nullità di clausole del contratto o di operazioni eseguite in contrasto

con norme imperative per eliderne gli effetti e così ottenere che il giudice, in sede di ricalcolo del

saldo finale fatto valere a credito dalla banca, non tenga conto delle poste passive contabilizzate

sulla base di causali nulle (ad esempio: una clausola anatocistica nulla per difetto di forma e di

contenuto, una clausola di commissione di massimo scoperto , oggi di affidamento, nulla per

indeterminazione e indeterminabilità dei criteri di calcolo, ecc.).

Ciò vale anche per le cause di opposizione a decreto ingiuntivo e per gli stessi ricorsi per

ingiunzione delle banche, ove il giudice può sempre rilevare di ufficio la nullità di clausole

contrattuali, applicate nel conteggio del saldo finale, che siano in contrasto con norme imperative

inderogabili, conseguentemente rigettando il ricorso o chiedendo l’epurazione dal saldo creditorio

delle poste passive aventi origine in clausole nulle.

Secondo un primo orientamento interpretativo la norma sarebbe stata inserita

nell’ordinamento giuridico su pressione della lobby dei banchieri, che l’avrebbero fortemente voluta

per porre un argine al contenzioso presente e futuro in materia di rapporti bancari regolati in conto

corrente, segnatamente quello avente a oggetto le azioni di ripetizione da parte dei correntisti delle

somme indebitamente percepite sulla base di clausole anatocistiche e di commissione di massimo

scoperto nulle.

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Secondo tale teoria, per effetto del combinato disposto di tali due norme, il legislatore

avrebbe innovato l’ordinamento giuridico, disattendendo l’orientamento giurisprudenziale

culminato con la sentenza a Sezioni Unite n. 24418/10 del 2/12/2010 e disponendo che ogni diritto

che ha fonte in un rapporto bancario regolato in conto corrente e che è collegato a una o più delle

annotazioni che si eseguono nello svolgimento dello stesso sarebbe soggetto a un periodo

prescrizionale non più decorrente dalla data di chiusura del conto ma dalla data di ogni singola

annotazione; e, inoltre, che (se si è agito in giudizio domandando la restituzione degli importi

annotati indebitamente e per i quali non è maturata la prescrizione del diritto alla ripetizione) in

ogni caso non si fa luogo alla restituzione degli importi già versati.

Questa teoria, che rappresenta quella seguita da alcuni deputati e senatori che hanno chiesto

l’abolizione della norma in esame mediante un nuovo intervento legislativo correttivo, è quella che

in modo più eclatante fa confliggere la norma con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 (principi

di uguaglianza e di ragionevolezza), 24 e 102 (diritto di tutela dei propri diritti davanti agli organi

giurisdizionali ordinari), 41 e 47 (principi di libertà dell’iniziativa economica privata e di tutela del

risparmio), per i motivi espressi nell’ordinanza n. 2102/2007 in data 10/3/2011 con la quale il

Tribunale Ordinario di Benevento per primo ne ha promosso di ufficio questione di legittimità

costituzionale, seguito da altre ordinanze di vari giudici della Repubblica.

Un secondo orientamento interpretativo scinde nettamente l’art. 2 comma 61 in due

norme: la norma contenuta nella prima parte, di interpretazione autentica e intesa come dal

contenuto sostanzialmente ben poco innovativo ; e la norma contenuta nella seconda parte, letta

come una norma del tutto autonoma dalla prima e dall’inspiegabile contenuto innovativo.

Gli interpreti sostenitori di tale orientamento sminuiscono grandemente gli effetti della

prima parte della norma in esame sui rapporti bancari in conto corrente passati e futuri, nonché sul

contenzioso già pendente.

Secondo tale teoria la prima parte della norma (“ In ordine alle operazioni bancarie regolate

in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai

diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa “) va

interpretata cercando di penetrane la voluntas legis, intesa non come soggettiva intenzione del

legislatore, ma come effettivo significato della norma sotto il profilo logico e letterale.

Orbene, la norma come formulata con il riferimento “ai diritti nascenti dall’annotazione”

non inciderebbe minimamente sulla natura giuridica, sulla struttura e sulla disciplina normativa

delle operazioni bancarie in conto corrente come regolate dagli artt. 1852-1857 del codice civile e

come intese, descritte ed interpretate fino ad oggi dalla dottrina e dalla giurisprudenza, la quale

ultima continuerebbe ad essere applicabile senza alcuna modificazione28

.

In particolare il conto corrente bancario continuerebbe a essere soggetto alla prevalente

disciplina del mandato, per cui come nel mandato che preveda più prestazioni del mandatario, anche

il conto corrente bancario è un contratto unitario che, pur articolato in una pluralità di atti esecutivi,

28 Cfr. Corte Appello Ancona, ord. 13931/01 del 3/3/2011, secondo la quale, il disposto

dell’art. 2 comma 61 del D.L. 29/12/2010 N. 225 come modificato con legge di conversione 26/2/2011 n.10, “si riferisce ai diritti nascenti dall’annotazione, decorrendo dalla medesima annotazione il termine prescrizionale, diritti che deve ritenersi pertanto azionabili immediatamente, pena macroscopico sovvertimento del sistema, anche qualora, ed il dato fattuale depone in tal senso, non si abbia conoscenza dell’annotazione, operazione contabile meramente interna all’istituto di credito; diritti, e tanto assurge ad argomento dirimente, estranei alla fattispecie, qui esaminata, che non attiene a posizione derivante dall’annotazione, bensì al pagamento quale inteso dalla richiamata sentenza che ha proprio escluso che da detta operazione contabile nasca l’indebito; talché altra connotazione letterale avrebbe dovuto assumere la disposizione qualora avesse voluto ricondursi la decorrenza del termine prescrizionale afferente l’indebito alla sola annotazione, limitandosi invece il legislatore della “mille proroghe” a statuire sulla decorrenza, ancorandola alla medesima annotazione, che , in difetto di altra, e ben più incisiva novella, non abilita, di per sé sola, alla ripetizione dell’indebito”

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dà luogo ad un unico rapporto giuridico, per cui i vari prelievi ed accreditamenti non possono dar

luogo a singoli rapporti - costitutivi od estintivi – ma determinano solo variazioni quantitative

dell’unico originario rapporto; con la conseguenza che solo con il conto finale si stabiliscono

definitivamente i crediti ed i debiti delle parti tra di loro, per cui solo dalla chiusura finale del conto

decorre il termine decennale di prescrizione della domanda del correntista di restituzione delle

somme indebitamente trattenute dalla banca per interessi calcolati dalla banca senza valida

pattuizione29

.

Rimarrebbe valida anche la consolidata giurisprudenza che ha chiarito come non vada

confuso il contratto costitutivo del relativo rapporto in conto corrente con la singola annotazione in

conto che, in se e per sé, influisce solo a livello quantitativo sul rapporto: infatti, l'approvazione del

conto, anche per mancata contestazione ai sensi dell’art. 1832 c.c. e 119 Tub degli estratti conto

inviati al cliente dalla banca, rende incontestabili, solo ed esclusivamente, le registrazioni a debito e

credito nella loro realtà contabile, ma non anche la validità dei rapporti sostanziali, per cui sarà

sempre possibile agire per far valere la nullità di clausole del contratto di conto corrente bancario ed

escluderne così l’efficacia e i conseguenti addebiti passivi sul conto del correntista (cfr. Cass. Civ. I

sent. 29/7/ 2009 n.17679, riferita alla nullità della clausola relativa agli interessi ultralegali).

L'approvazione del conto conseguente alla mancata contestazione dell'estratto nel termine

contrattualmente previsto o nel termine di sessanta giorni di cui all’art. 119 del T.U. Bancario n.

385/93, senza necessità che da parte della banca venga sollevata alcuna eccezione di decadenza,

continuerebbe quindi a precludere solo le contestazioni in ordine alla conformità delle singole

annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell'estratto

conto, ma non anche la domanda di nullità ed inefficacia degli stessi, né l’esperibilità della

conseguenziale azione di ripetizione di quanto pagato indebitamente al momento della chiusura del

conto.

Secondo detta tesi interpretativa, con la previsione del decorso del termine di prescrizione

dei diritti nascenti, sia in capo alla banca che al correntista, dalle singole annotazioni in conto dal

giorno dell’annotazione si è inteso colmare un vuoto che poteva dare luogo ad incertezze, chiarendo

che ove le singole annotazioni siano state contestate contabilmente ( per esempio: l’esatto importo

di un assegno versato, di una somma bonificata, di una bolletta addebitata in conto, l’esatto importo

di un assegno o di una fattura di terzi addebitati in conto perché non riscossi, ecc. ) nel breve

termine decadenziale di sessanta giorni, il diritto ad agire nei confronti della controparte per la

rettifica dell’annotazione o comunque per l’accertamento dei vizi dell’annotazione che non siano

dipendenti dalla validità del rapporto obbligatorio che ha dato luogo all’annotazione della posta

attiva o passiva, si prescrive non dalla chiusura del conto ma da subito sin dal giorno della singola

annotazione.

Per tale teoria interpretativa, anche dopo l’entrata in vigore della prima parte della norma in

esame, tutti gli altri diritti che non possono essere esercitati sulla base dell’esecuzione della mera

annotazione in conto a essi attinenti, varrebbe il principio generale dell’art. 2935 c.c., non intaccato

dalla norma interpretativa, secondo cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il

diritto può essere fatto valere”. Si pensi, ad esempio, per la banca la possibilità di esigere il

pagamento dal correntista per le somme utilizzate oltre il limite del fido e per il cliente di agire per

la ripetizione delle somme pagate per il saldo finale passivo nei limiti in cui lo stesso è stato

costituito da poste aventi una causa in una clausola di commissione di massimo scoperto ( o oggi

commissione di affidamento ) nulla indeterminatezza ed indeterminabilità del criterio di calcolo.

Quindi, ancora oggi, secondo tale tesi interpretativa, alla data dell'annotazione si prescrivono

solo ed esclusivamente i diritti derivanti dalla mera appostazione contabile, ma non certo quelli

derivanti dalle nullità negoziali originarie o sopravvenute.

29 Cfr. Cass. 3701/1971; 2505/1976;10127/2005.

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Diversa è la posizione dei sostenitori di tale tesi riguardo alla seconda parte della norma in

esame e cioè quella che prevede che “In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già

versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”.

Si tratterebbe di norma “del tutto assurda ed incomprensibile, la quale, senza null’altro

aggiungere e precisare, determina che chi (anche una banca) per sua sventura si trovi ad aver

versato alla data del 27/2/2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 10/2011)

degli importi a credito in un rapporto regolato in conto corrente non può ottenerli “in ogni caso”

in restituzione dal suo debitore”. Tale norma “fa strage non solo delle principali regole giuridiche e

costituzionali sopra richiamate , ma anche dei più elementari canoni di logica e avvedutezza

richiesti nella regolamentazione normativa dei rapporti tra consociati”30

.

Orbene, a mio parere, prima di scegliere un indirizzo interpretativo che conduca a una

valutazione di illegittimità della norma per violazione di regole costituzionali, con conseguente

richiesta di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale perché l’annulli, occorre percorrere la

strada dell’interpretazione logico-sistematica, per verificare se il tenore letterale della norma ne

consenta interpretazioni conservative in linea con l’ordinamento vigente e con la Costituzione.

Seguendo questa strada, appare preferibile il secondo orientamento interpretativo sopra

illustrato. La prima parte della norma, infatti, non innova in alcun modo la natura giuridica, la

struttura e la disciplina normativa dei rapporti bancari in conto corrente, che continuano a essere

regolati dagli artt. 1852-1857 secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, ribadito in ultimo

da Sezioni Unite n. 24418/10, segnatamente riguardo al tempo del decorso della prescrizione

dell’azione di ripetizione dell’indebito.

In effetti il legislatore, prevedendo che “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto

corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti

nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa “ non ha

minimamente intaccato la disciplina dei conti correnti bancari, in quanto non ha legiferato

specificando quali siano “i diritti nascenti dall’annotazione in conto corrente”, che quindi

continuano ad essere quelli stessi che in base al diritto previgente, come elaborato dalla

giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.

Sulla base dell’invariata normativa sostanziale e della consolidata giurisprudenza tra i

“diritti nascenti dall’annotazione in conto” non rientrano di sicuro quei diritti che sorgono per le

parti del rapporto solo al momento della chiusura del conto e che quindi solo da quel momento

possono essere esercitati: come ad esempio il diritto di credito della banca o del correntista

derivante dall’elaborazione del saldo finale, che solo da quel momento diviene attuale e

immediatamente esigibile; o ancora il diritto di agire con l’azione di ripetizione per somme

appostate a debito nel corso del rapporto di conto corrente sulla base di clausole nulle per vizi di

forma o di sostanza.

Volendo azzardare una previsione, la Corte Costituzionale, con una sentenza interpretativa,

non valuterà illegittima tale norma, non collegando alla stessa alcuna sostanziale ed innovativa

modifica della disciplina già vigente in materia di prescrizione dei diritti da rapporti regolati in

conto corrente.

Riguardo alla seconda parte della norma (“In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di

importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto

legge”) non vi è altra alternativa che ritenerla una norma del tutto irragionevole e paradossale, la

quale senza motivo alcuno faculterebbe ciascuna delle parti del rapporto a non restituire le somme

di cui è debitore in virtù di importi versati a suo favore alla data del 27/2/2001.

La Corte Costituzionale non potrà fare altro che sopprimerla, accogliendo le istanze di

incostituzionalità dei giudici remittenti.

30 Tribunale Ordinario di Benevento, ord. n. 2102/2007 in data 10/3/2011, di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale

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13. La nullità della clausola di interessi usurari

1)Per i contratti stipulati prima del 24/3/1996 e non ancora esauriti:

a) in caso di usurarietà originaria (superamento del tasso soglia già al momento della stipula

del contratto) si applica la sanzione civilistica della riduzione degli interessi al saggio legale,

secondo la vecchia formulazione dell’art. 1815 comma 2 c.c., secondo il quale la clausola è nulla e

gli interessi sono dovuti solo nella misura legale31

.

b) in caso di usurarietà sopravvenuta (superamento del tasso soglia in un momento

successivo alla stipula del contratto) si ha comunque la riduzione degli interessi entro il limite del

tasso soglia usurario. Ciò in quanto, seppure la legge 108/1996 non può operare, per il generale

principio dell’irretroattività della legge, rispetto ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata

in vigore, resta però valido il principio, affermato dalla giurisprudenza32

, per il quale un contratto di

durata valido non può comunque generare nel corso del suo svolgimento effetti che siano vietati da

una norma imperativa.

Va evidenziato che l’usurarietà sopravvenuta che qui viene in considerazione è quella

determinata da fattori indipendenti dal contenuto del programma contrattuale; si pensi, ad esempio,

a uno straordinario e imprevedibile notevole ribasso del tasso ufficiale di sconto che induca un

conseguenziale proporzionale ribasso dei tassi medi praticati dalle banche. In tal caso l’ordinamento

non può ammettere il pagamento di interessi in misura superiore al tasso soglia trimestralmente

rilevato, essendo gli effetti del contratto regolati oltre che dalla volontà delle parti anche

dall’eteroregolamento imposto da principi di ordine pubblico (integrazione legale degli effetti

contrattuali – art. 1374 c.c. ) quale è appunto quello che vieta qualsiasi effetto usurario33

.

2)Per i contratti stipulati dal 24/3/1996, data di entrata in vigore della legge 7/3/1996 n.108,

in caso di usurarietà si applica sempre la sanzione civilistica della non debenza degli interessi,

prevista dal testo dell’art. 1815 comma 2 c.c. come modificato da detta L. 108/1996.

Per tali contratti si ha usurarietà sia che il superamento del tasso soglia sussista già al

momento della stipula del contratto (usurarietà originaria), sia che sopravvenga nel corso di

esecuzione del rapporto ma per fattori dipendenti dal contenuto contrattuale originario (si pensi al

superamento successivo del tasso soglia che avvenga per l’operatività del complesso delle clausole

contrattuali, i cui effetti concomitanti e concatenati abbiano fatto lievitare il tasso effettivo globale

iniziale)

Per i casi di usurarietà sopravvenuta determinata da fattori straordinari e imprevedibili

indipendenti dal contenuto del programma contrattuale, l’ordinamento non può comunque

ammettere il pagamento di interessi in misura superiore al tasso soglia usurario, essendo gli effetti

del contratto regolati oltre che dalla volontà delle parti anche dall’eteroregolamento imposto da

principi di ordine pubblico (integrazione legale degli effetti contrattuali – art. 1374 c.c. ) quale è

appunto quello dell’art. 644 c.p., nella parte in cui vieta l’usura pecuniaria legale34

; per cui in tali

31 La regola stabilita all’art. 1815 comma 2 c.c., vecchia e nuova formulazione, pur essendo prevista con riferimento al mutuo quale contratto tipico previsto e disciplinato agli artt. 1813/1822 del codice civile, è da sempre ritenuta da dottrina e giurisprudenza come una norma applicabile a qualsiasi negozio giuridico di finanziamento a titolo oneroso. 32 Cfr. Cass. Civ. III 2/2/2000 n.1126; Cass. Civ. I 2/4/2000 n.5286; Cass. Civ. I 17/11/2000 n.14899. 33 Nel caso in cui, invece, l’usurarietà sia solo apparentemente sopravvenuta, in quanto interviene sì in un momento successivo alla stipula del contratto, ma è stata causata ed è direttamente dipendente dal contenuto complessivo del programma contrattuale in quanto applicato nel tempo e senza l’incidenza di altri imprevedibili fattori, la sanzione applicabile sarà quella di cui all’art. 1815 comma 2 c.c. nel testo anteriore alla L.108/1996 (riduzione degli interessi al saggio legale di cui all’art. 1284 comma 1 c.c.) 34 cfr. giurisprudenza già citata alla nota n.21, che afferma principi giuridici fondamentali che continuano a trovare applicazione anche dopo l’introduzione della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1 comma 1 del D.L.394/2000 convertito in L. 24/2001

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casi, pur non potendosi applicare la sanzione della non debenza degli interessi, si avrà comunque la

riduzione degli interessi entro il limite del tasso soglia usurario.

14. La struttura del reato di usura alla luce della riforma di cui alla L.108/1996

Il delitto di usura è stato tradizionalmente ritenuto un reato istantaneo, che si consuma

anche con la sola semplice promessa o pattuizione di interessi o di altri vantaggi usurari35

, con

conseguente irrilevanza penale delle successive esose pretese richieste dall’agente alla vittima, in

quanto non rappresenterebbero altro che l’ulteriore realizzazione dell’illecito lucro36

.

Su tale tradizionale impostazione vanno oggi considerati gli effetti delle innovazioni di

disciplina introdotte con la legge 1996/108, che inducono a valutazioni diverse in ordine

all’individuazione dell’interesse giuridico protetto, alla struttura del reato, al momento consumativo

del reato, alla rilevanza della reiterazione del reato con condotte successive ed autonome alla sua

iniziale consumazione, al dolo e alla rilevanza dell’errore sul tasso soglia usurario.

L’art. 11 della legge 108/1996 ha infatti introdotto nel codice penale l’art. 644 ter

(Prescrizione del reato di usura) il quale dispone che “La prescrizione del reato di usura decorre

dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale”.

Tale norma, che ha l’evidente ragione di politica criminale di rendere più efficace la lotta

all’usura, ha la finalità di far decorrere la prescrizione del reato solo quando siano scomparsi

interamente i vincoli di soggezione economica tra l’usurato e l’usuraio. Tra questi soggetti, infatti,

la relazione usuraia si svolge generalmente per un lungo periodo (a volte senza fine) e si esaurisce

solo quando l’usurato, che nel corso del rapporto non ha avuto il coraggio di denunciare il reato,

avendo soddisfatto fino in fondo il debito usurario o essendosi in altro modo sottratto al giogo dello

strozzino, lo denuncia e testimonia contro di lui.

Con tale norma, peraltro, il legislatore ha voluto anche superare a piè pari il problema

dell’asserita liceità penale della riscossione delle somme, con le quali il cliente estingue il debito

usurario nella sua fase finale - che si eccepiva fossero imputabili alla restituzione (lecita) del

capitale prestato e non al pagamento (illecito) degli interessi corrispettivi usurari.

La nuova disciplina della prescrizione del delitto di usura, ha così indotto la più attenta

giurisprudenza a cogliere gli aspetti innovativi che da essa discendono sulla struttura di tale reato,

riportato tra quelli “a condotta frazionata” o “a consumazione prolungata”.

Secondo dette teorie i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto

usurario integrano, ove a essi corrisponda una condotta del creditore consistente nel “farseli dare”37

il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, non

potendo essere qualificati come semplici post factum non punibili della illecita pattuizione38

.

Orbene, è opinione prevalente che l’art. 1 del Decreto Legge 29/12/2000 n.394, convertito

con modifiche nella Legge 28/2/2001 n.24 – Interpretazione autentica della legge 7/3/1996 n.108

recante disposizioni in materia di usura, che ha stabilito che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644

c.p. e dell’art. 1815 comma 2 c.c. si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito

dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo,

indipendentemente dal momento del loro pagamento”, non abbia modificato né la struttura del

reato di usura, né la sanzione civile della non debenza degli intesssi nei prestiti usurari, atteso che la

sua portata innovativa, anche se sotto forma di norma intepretativa, è stata solo quella di stabilire

35 Cfr. Cass. Pen. II 19/12/1981 n.11260 36 Cfr. Cass. Pen. II 9/2/1985 n.1362 37 Il “farsi dare” di cui all’art. 644 c.p. non coincide con la semplice accettazione della corresponsione degli interessi usurari, ma implica una condotta attiva dell’usuraio, che raggiunga il risultato perseguito. Questa può consistere anche in un atto legale, come ad es. una richiesta stragiudiziale di pagamento o in una richiesta di provvedimento giudiziale. 38 Cfr. Cass. Pen. II 9/7/2007 n.26553; 879/2008 n.34910

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che le promesse e le pattuizioni sugli interessi, per essere definite usurarie, devono superare il tasso

soglia legislativo in vigore alla data delle stesse, “indipendentemente dal momento del loro

pagamento”.

Tale ultima espressione virgolettata, nel suo contenuto letterale e logico, non avrebbe altro

significato che sottolineare che, per l’applicazione della sanzione della non debenza degli interessi

di cui all’art. 1815 comma 2 c.c. e per la consumazione del reato di usura pecuniaria legale di cui

all’art. 644 c.p., basta che ci si faccia promettere interessi che superano il tasso soglia usurario

stabilito in quel momento dalla legge, senza che abbia rilevanza che in quello stesso momento,

o in un momento successivo, avvenga anche il pagamento degli interessi usurari.

Questa interpretazione è l’unica conforme al contenuto testuale del citato art. 1 e l’unica

ammissibile secondo una lettura costituzionalmente orientata e in armonia con il sistema delle

regole e dei principi giuridici in materia di mutuo e di usura.

Sarebbe, in particolare, paradossale leggerla nel senso che la dazione effettiva degli interessi

usurari convenuti costituisca un post factum non punibile, atteso che per come è strutturata la

fattispecie incriminatrice di cui all’art. 644 c.p. la condotta di riscossione degli interessi usurari

rientra a pieno titolo nel fatto lesivo penalmente rilevante; ciò indipendentemente dal fatto che sia

stata preceduta o meno dalla promessa o pattuizione usuraria o che sia stata posta in essere da un

soggetto terzo o dal medesimo soggetto stipulatore.

La riscossione di interessi usurari costituisce, dunque, sempre una condotta delittuosa, vuoi

che la si voglia ritenere come concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria

secondo lo schema della consumazione frazionata o prolungata di un reato unitariamente

considerato, sia che la si voglia ritenere come un nuovo ed autonomo reato, eventualmente legato

alle precedenti condotte di reato dal vincolo della continuazione di cui all’art. 81 cpv. c.p.

15. L’elemento oggettivo del reato e la valutazione dinamica del complesso delle

clausole contrattuali nell’usura bancaria

Nell’usura bancaria ci si trova sovente al cospetto di condotte dei direttori di banca che sono

formalmente, o solo apparentemente, osservanti del divieto di superamento del tasso soglia

usurario, in quanto al momento della stipula del contratto sia il tasso annuo nominale (TAN) sia il

tasso annuo effettivo globale (TAEG), risultanti dalle pattuizioni scritte collegate all’erogazione del

credito bancario, sono inferiori al tasso soglia usurario.

Spesso però capita che successivamente all’erogazione del credito, applicate e divenute

operative il complesso delle pattuizioni e delle clausole collegate all’operazione di finanziamento (

ad esempio: tutte le clausole applicate all’apertura di credito in conto corrente ) il TAEG cresca

spropositatamente finendo con il superare il tasso soglia usurario - a volte permanentemente, a volte

solo in alcuni trimestri – in concomitanza con l’abbassamento dei tassi medi rilevati dalla Banca

d’Italia e pubblicati trimestralmente dal Ministero dell’Economia.

Le clausole che, inserite in un contratto di finanziamento, determinano tale fenomeno,

incidendo sensibilmente sul costo globale del denaro praticato ai clienti, sono molte.

Solo a titolo esemplificativo, e per farne capire l’imponente potenziale effetto distorsivo, si

elencano le seguenti:

- le clausole di interesse che indicano un TAN che spesso, già in origine, è poco al di sotto

di quelli massimi mediamente praticati dagli operatori bancari;

- le clausole di commissione di massimo scoperto, normalmente prevista e conteggiata in

una misura percentuale sul debito massimo che il conto corrente effettivamente raggiunge anche per

un solo giorno nel periodo di riferimento (in genere il trimestre);

- le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, delle commissioni di

massimo scoperto e delle spese collegate all’erogazione del credito;

- le clausole di antergazione delle operazioni di addebito e di postergazione di quelle di

accredito, che, determinando per alcuni giorni rispettivamente l’aumento del picco del debito e la

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mancata riduzione del debito, influiscono anche sull’aumento degli oneri passivi derivanti dal

calcolo della commissione di massimo scoperto;

- le clausole di interessi di mora sulle rate scadute e non pagate già comprensive degli

interessi corrispettivi inserite nei mutui collegati al conto corrente con l’addebito delle rate;

- le clausole di addebito sul conto corrente bancario delle poste passive di altri contratti di

finanziamento collegati, le quali comportano che dai convenienti tassi di interesse semplice pattuiti

con il cliente per le più diverse operazioni di finanziamento, di sconto e di anticipazioni

commerciali, si passi ai più onerosi interessi passivi calcolati sul debito di conto corrente, sottoposto

peraltro all’effetto moltiplicatore della C.M.S. e della capitalizzazione trimestrale;

- le clausole che prevedono oneri assicurativi e spese sui finanziamenti (assicurazioni a

garanzia della restituzione delle somme finanziate, spese di istruzione e di incasso rate, ecc. )

- le clausole che prevedono l’applicazione degli interessi moratori, della commissione di

massimo scoperto e dell’anatocismo sul saldo passivo dei conti chiusi.

E’ allora evidente che per stabilire l’usurarietà originaria di un contratto bancario, lo stesso

non va valutato in modo statico, ma in modo dinamico, vale a dire nella sua originaria potenzialità

di generare corrispettivi usurari non solo sulla base degli interessi, delle commissioni e delle spese

pattuite, ma anche sulla base delle “remunerazioni a qualsiasi titolo” collegate all’erogazione del

credito, segnatamente di quelle che derivano da clausole che, pur non integrando formalmente un

corrispettivo del prestito bancario, producono comunque indirettamente dei vantaggi pecuniari

(esempio: le clausole di capitalizzazione, quelle di decorrenza postergata delle valute dei

versamenti, quelle che prevedono interessi o altri oneri di mora39

, ecc.).

Vanno, dunque, considerate tutte le clausole del contratto nella loro complessa e unitaria

concatenazione operativa, la quale, se spesso è ignota al cliente, peraltro incapace di coglierla nella

sua effettiva portata, è invece ben conosciuta dai banchieri, soprattutto nello sviluppo dinamico e

nell’entità dei guadagni che apporta alla banca.40

Tale criterio di valutazione dell’usurarietà originaria di un prestito bancario, imposto in

modo chiaro dall’art. 1 comma 4 L. 108/1996, è stato subito colto e seguito dai più avveduti

pubblici ministeri e giudici di merito, sia civili che penali, i quali non hanno esitato a disporre

consulenze tecniche contabili al fine di valutare il superamento del tasso soglia usurario.

Essi hanno dato ai consulenti tecnici di ufficio precise direttive in ordine alla necessità di

calcolare il tasso annuo globale effettivamente praticato in un rapporto di credito includendovi

qualsiasi tipo di remunerazione prevista in contratto in favore della banca in ragione

dell’utilizzazione del credito, da qualsiasi clausola derivasse, ivi compresa la commissione di

massimo scoperto, per anni ingiustificatamente rilevata a parte dalla Banca d’Italia nella

determinazione del TEGM.

39 Sul problema della rilevanza degli interessi e oneri di mora nel calcolo del TAEG e ai fini della verifica del superamento del tasso soglia usurario si rinvia a quanto sviluppato ivi nel paragrafo titolato “Gli interessi moratori” 40 Le clausole da prendere in considerazione sono tutte quelle che inserite nel contratto originario, o aggiunte successivamente, o modificate dalla banca in modo unilaterale e approvate tacitamente dal cliente a seguito di comunicazione, o che di fatto, pur non espressamente previste, hanno regolato costantemente il rapporto nel tempo (c.d. rapporto contrattuale di fatto) incidono sul costo del denaro preso in prestito dalla banca, indipendentemente dagli eventuali problemi di invalidità ed inefficacia giuridica delle stesse per violazione di norme inderogabili di legge. Infatti, l’eventuale possibilità che clausole o prassi applicative possano essere dichiarate nulle e improduttive di effetti in sede giudiziale, non toglie che le stesse, inserite o di fatto operative nel contratto, esistano e abbiano prodotto effetti tra le parti, tanto da esserne le conseguenze ufficializzate mediante il riporto nelle scritture contabili della banca ( si pensi che sulla base dell’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti, la banca può chiedere il decreto ingiuntivo – art. 50 Tub ).

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Giova evidenziare che il delitto di usura bancaria ex lege, presunta o oggettiva, oltre che

consumarsi al momento dell’originaria stipulazione del contratto di finanziamento, può

perfezionarsi anche successivamente mediante il sistema della modifica unilaterale delle condizioni

contrattuali di cui all’art. 118 Tub.

In forza delle clausole previste da detta norma di legge, le modifiche unilaterali dei tassi, dei

prezzi e delle altre condizioni contrattuali efficacemente comunicate al cliente si intendono da

questi approvate se entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione il cliente non recede

dal contratto.

Orbene, in tutte le ipotesi di approvazione tacita delle nuove condizioni contrattuali da parte

dei clienti, è come se tra la banca e i clienti si stipulassero delle nuove pattuizione, le quali, se

afferenti agli interessi, alle commissioni e a qualsiasi altra remunerazione collegata all’erogazione

del credito, possono determinare, da sole o unitamente alle altre clausole contrattuali, il

superamento del tasso soglia usuraio, realizzando in sé un’autonoma fattispecie di usura bancaria,

che reitera il reato eventualmente commesso con il superamento del tasso soglia al momento della

prima stipula del contratto bancario.

La migliore dottrina e giurisprudenza, quelle più sensibili alla reale dimensione del

fenomeno usura bancaria, sono andate oltre queste forme di usurarietà originaria, configurando il

reato di usura ogni qual volta nel corso di un rapporto di durata (ad es. apertura di credito in conto

corrente) vi sia stato il superamento del tasso soglia usuraio, anche se questo non sia dipeso dal

programma contrattuale pattuito, ma da eventi contingenti, quali una sensibile e rapida diminuzione

dei tassi effettivi globali medi a seguito dell’abbassamento non previsto del tasso ufficiale di sconto.

Si osserva, infatti, che le banche, per la legge sull’usura, sono tenute alla trasmissione

trimestrale alla Banca d’Italia delle condizioni praticate alla clientela per ogni tipologia di rapporto

bancario. A esse, inoltre, il Ministero dell’Economia e delle Finanze comunica preventivamente i

tassi effettivi globali medi in vigore per il successivo periodo di tre mesi.

Ciò pone le banche in condizioni di poter verificare trimestralmente che non sia superato il

tasso soglia usuraio nei rapporti di finanziamento da esse in concreto intrattenuti con i clienti e di

intervenire per renderli conformi a legge qualora si realizzi o stia per realizzarsi il superamento.

In pratica, con la legge 108 del 1996, sarebbe sorto in capo a tutti, ma segnatamente ai

banchieri quali operatori professionali, l’obbligo di non superare mai il tasso soglia usurario nelle

operazioni di prestito, atteso che con l’introduzione dell’usura ex lege o presunta, la funzione della

norma incriminatrice non sarebbe più connotata da un’oggettività giuridica solamente

individuale e patrimoniale, ma anche pubblicistica ed economica.

Il legislatore del 1996, riformulando la descrizione del reato di usura, non tutelerebbe più

solo la libertà morale e patrimoniale del cittadino o dell’imprenditore in difficoltà finanziaria,

tutelando il contraente debole in stato di bisogno e sanzionando l’ingiustizia sostanziale del

rapporto di credito, ma perseguirebbe, segnatamente con l’usura ex lege o presunta, un intento di

tutela dell’economia collettiva dalle distorsioni provocate dall’usura, mediante la salvaguardia della

correttezza del mercato del credito ed il calmieramento dei tassi di interesse praticabili sui prestiti

finanziari.

16. L’elemento psicologico nell’usura bancaria:

A) Ammissibilità del dolo eventuale o indiretto

Prima della riforma del 1996 la giurisprudenza configurava il dolo d’usura come il

consapevole approfittamento dello stato di bisogno, richiedendo quindi qualcosa di ulteriore rispetto

alla conoscenza da parte dell’agente dello stato di bisogno della vittima. Occorreva, cioè, una

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consapevole volontà di trarre profitto dalla situazione di bisogno in cui versava il soggetto passivo

del reato41

.

Fornire la prova del dolo d’usura non era quindi cosa semplice, atteso che a fronte della

prova degli elementi oggettivi del reato, si richiedeva la dimostrazione che l’agente conoscesse lo

stato di bisogno dell’usurato e che ne avesse intenzionalmente approfittato, con una volontà non

vaga ed approssimativa, ma certa e piena del collegamento diretto tra disagio economico del

soggetto passivo e natura usuraia della pretesa dell’agente42

.

La prova del dolo era resa ancor più difficoltosa dalla comune opinione

dell’inconfigurabilità del dolo eventuale nell’usura, ritenendo la giurisprudenza che il dolo d’usura,

per quanto sopra detto, non potesse che essere diretto43

.

Non era dunque concepibile un delitto di usura, in cui l’agente non avesse voluto profittare

dell’usurato, ma avesse agito rappresentandosi l’approfittamento usuraio come una conseguenza

probabile o solo possibile della propria condotta, senza volerla in concreto, ma accettando il rischio

del verificarsi dell’evento usurario.

Dopo la riforma del 1996, con l’introduzione dell’usura presunta o ex lege, il dolo

coincide più semplicemente con la coscienza e volontà di concludere un’operazione di credito

a condizioni tali da determinare il superamento del tasso soglia usurario stabilito dalla legge.

L’intenzione malvagia dell’usuraio e la volontà dell’abuso e dell’approfittamento, nell’usura

presunta o ex lege, passano in secondo ordine, non essendo più necessarie, assumendo importanza

decisiva la rappresentazione del probabile, o anche solo possibile, superamento del tasso soglia

usurario come evento voluto o accettato nell’eventualità che si verifichi.

B) normale inescusabilità ed irrilevanza dell’errore di fatto e dell’errore di diritto

Il calcolo dell’ammontare degli interessi usurari praticati in concreto in una data operazione,

non è stato mai ritenuto di difficoltà tali da rendere invocabile l’errore sul fatto scusabile ai sensi

dell’art. 43 comma 1 c.p., segnatamente per i soggetti che operano comunemente nel commercio44

.

Tanto più difficilmente il dolo potrà essere escluso quando ad agire è un banchiere, vale a

dire un professionista del credito, dotato di preparazione, mezzi ed organizzazione tali da rendere

inverosimile la mancata o inesatta conoscenza del tasso globale di interesse praticato in concreto in

una data operazione.

Né sarà possibile, per escludere il dolo, appellarsi all’errore scusabile ai sensi dell’art. 47

comma 3 c.p., in quanto la giurisprudenza considera l’ignoranza del contenuto dei decreti

ministeriali di fissazione della soglia usuraria alla pari dell’ignoranza della legge penale e

quindi non scusabile ai sensi dell’art. 5 c.p.45

.

D’altra parte, nell’ipotesi in cui il soggetto attivo svolga professionalmente una determinata

attività, non può addurre a sua discolpa l’ignoranza della legge penale e cioè la mancata o erronea

conoscenza della disciplina che regola la materia. E’ indispensabile che egli, per l’espletamento dei

compiti inerenti al suo mestiere, sia costantemente aggiornato sotto ogni aspetto circa

41 Cfr. Cass. 154436/1981 42 Cfr. Cass. 148410/1981 43 cfr. Cass. 162875/1983, che riteneva inammissibile il dolo eventuale nel delitto di usura veccia formulazione 44 Cfr. Cass. 36346/2003 45 Cfr. Cass. 12028/2010, per la quale “la norma di cui all’art. 644 c.p. si presenta come una norma penale parzialmente in bianco, in quanto per determinare il contenuto concreto del precetto penale è necessario fare riferimento ai risultati di una complessa procedura amministrativa. Se tale procedura non venisse portata a termine, con la pubblicazione trimestrale dei Decreti del Ministro del Tesoro ( attualmente dell’Economia e delle Finanze ) portanti la rilevazione dei tassi globali medi, il reato non sarebbe punibile per la mancanza di un elemento essenziale, integrativo della condotta, fatta salva l’ipotesi dell’abuso dello stato di bisogno”.

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l’organizzazione complessiva del suo lavoro. In essa rientra la conoscenza della legislazione,

specialmente quando questa sia vigente da tempo e ben nota alla generalità dei consociati.

Perciò chi opera in banca, difficilmente potrà invocare l’equivocità delle istruzioni e dei dati

forniti dalla Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e della Finanze in relazione al singoli tipo

di operazione bancaria, quando è la legge stessa a fornire in modo chiaro e preciso i criteri di

calcolo del TAEG e del TEGM.

C) Indulgenza della giurisprudenza nella valutazione del dolo

Va rilevato, comunque, che a fronte della semplificazione della struttura e della prova del

dolo nell’usura ex lege o presunta, continuano ad affermarsi orientamenti molto indulgenti riguardo

all’accertamento dell’elemento soggettivo dell’usura bancaria, essenzialmente riferiti a fattispecie

concrete verificatesi negli anni passati, che si fondano su argomenti quali:

a) la minima entità del superamento del tasso soglia rispetto alle somme movimentate nei

conti;

b) la episodicità dei superamenti stessi rispetto alla lunga durata del rapporto bancario;

c) la presenza di normativa secondaria di settore solo successivamente rivisitata dalla Banca

d’Italia;

d) la partecipazione di più soggetti, in fasi e con poteri diversi ( direttore generale, direttore

d’area, direttore di filiale ) alla determinazione delle condizioni contrattuali usurarie fatte

sottoscrivere al cliente;

e) la natura sopravvenuta dell’usura di tassi contenuti in origine entro i limiti di legge;

f) la pluralità e complessità del contenuto delle clausole contrattuali che hanno determinato

il superamento del tasso soglia.

Invero, alcuno di tali argomenti ha un valido fondamento giuridico se confrontato con la

configurazione che la riforma del 1996 ha voluto dare all’usura bancaria, tanto più se si considera

che il criterio seguito dal legislatore per la determinazione del tasso soglia usurario ( il tasso di

interesse mediamente praticato dagli operatori di settore aumentato di una certe percentuale ) dà

ampie garanzie in ordine alla non facilità di superamento per motivi contingenti ed imprevedibili46

.

D’altronde, la finalità perseguita dal legislatore con l’usura bancaria è stata quella di

favorire un’applicazione quasi automatica del reato, legata al superamento del tasso soglia e con un

dolo ridimensionato rispetto alla sua configurazione tradizionale, quasi a fare di tale delitto uno

strumento di garanzia della corretta erogazione del credito a tutela dei soggetti e delle categorie

sociali più esposte agli abusi del mercato bancario.

Ciò posto, alla luce dei suddetti argomenti e chiarimenti normativi, appare difficilmente

giustificabile un approccio indulgente e tendenzialmente innocentista di pubblici ministeri e giudici

nell’accertamento del dolo d’usura di amministratori delegati e direttori di banca, che finisce con

disapplicare di fatto il reato di usura bancaria. Sotto tale profilo assai criticata è la recente sentenza

Cass. Sez. Pen. II n. 46669 del 19/12/2011 che intravede la buona fede del dirigenti bancari

basandola sulle previgenti Istruzioni della Banca D’Italia e sul successivo intervento legislativo

chiarificatore in materia di includibilità della C.M.S. nella determinazione del T.E.G.M., laddove

tutto era chiaro e nulla doveva essere chiarito sin dal marzo 1996, alla luce della modifica del

delitto di usura con legge 108/96 ed in particolare con l’inserimento del comma 4 dell’art. 644 c.p.

(“Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni,

remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate

all’erogazione del credito”).

46 Addirittura si è temuto, all’epoca dell’entrata in vigore della legge 108/1996, che la scelta del legislatore di fissare così in alto il limite del tasso soglia usurario ( tasso medio più il 50%, ora tasso medio più il 25% più altri due punti percentuali) potesse spingere verso l’alto il costo del denaro con conseguenti effetti inflazionistici.

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17. Usura bancaria e confisca obbligatoria

Va infine ricordato che l’attuale testo dell’art. 644 c.p., come modificato dalla L. 108/1996,

prevede al comma sesto che in caso di condanna o di pronuncia di sentenza di

“patteggiamento” si applica sempre la misura di sicurezza patrimoniale della confisca non

solo dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, ma anche delle somme di

denaro, beni e utilità di cui il reo abbia la disponibilità, anche per interposta persona, “per un

importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi usurari”, fatti salvi i diritti della

persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni.

La riforma del 1996 ha affiancato, dunque, alla confisca speciale già prevista dall’art. 12

sexies del D.L. 876/1992 n.306 convertito in L.7/8/1992 n.356, una forma assai efficace di

“confisca per equivalente” con funzione eminentemente sanzionatoria, avente le finalità di

assicurare allo Stato l’acquisizione del patrimonio illecito, di isolare l’usuraio dal proprio

patrimonio e di non consentire più il reinvestimento di risorse in nuove operazioni usurarie.

Benevento, 21 febbraio 2012 Flavio Cusani