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Contrordine Guareschi! Guareschi nel mondo della comunicazione 1

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Contrordine Guareschi!Guareschi nel mondo della comunicazione

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Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori

Contrordine Guareschi!Guareschi nel mondo della comunicazione

Enrico MannucciClaudio Carabba

Luca Clerici e Bruno FalcettoRoberto Chiarini

Erik BalzarettiMichele Serra

“Obbedienza cieca pronta e assoluta - Contrordine, compagni! La frase pubblicatasull’Unità: ‘Ogni sezione mandi nei centri d’agitazione un compagno bene infornato contiene un erroredi stampa, e pertanto va letta: ‘…un compagno beneinfornato’.”«Candido» maggio 1954

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Il volume raccoglie i contributi del convegno omonimo organizzatodalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori,in collaborazione con RegioneLombardia e Rizzoli Rcs Libri,presso la Sala Napoleonicadell’Università degli Studi di Milano nel marzo 2000.Tutte le illustrazioni del volumesono tratte dal fondo Minardi-Candido, acquistato dalla RegioneLombardia e depositato presso la Fondazione Arnoldo e AlbertoMondadori, dove, catalogato e inventariato, è a disposizionedegli studiosi. Si ringraziano la Regione Lombardia e Carlotta e Alberto Guareschi per averautorizzato la riproduzione.Il volume è stato realizzato graziealla collaborazione di TommasoGorni, Anna Maria Grossi, FilippoVerzotto, Caterina Zodda.

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FondazioneArnoldo e Alberto Mondadorivia Riccione 820156 MilanoTelefono 0239273061Fax [email protected]

© Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2003

Sommario

Contrordine, GuareschiEnrico Mannucci

Il giovane Guareschi (Storia di Giovannino)Claudio Carabba

Uno scrittore di nome GuareschiLuca Clerici e Bruno Falcetto

La storia d’Italia vista dal «Candido»Roberto Chiarini

Giovannino Guareschi:tra immagini e immaginariErik Balzaretti

Neanche un prete per chiacchierareMichele Serra

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In copertina

“Riforma scolastica Durante l’intervallo un bambinodella seconda B ha cantato ‘Fischia il sasso’. Allora è venuta la celere a cercare il sasso e siccome non l’ha trovato ha denunciato tutta la classe per apologia del passato regime e per detenzione abusiva di armi.”“Guareschi and daughter”,«Candido» 2 marzo 1952

In quarta di copertina

“Vita scolastica 1952 Stamattina una bambina della seconda B ha messo unapuntina da disegno sulla sedia della maestra e allora è venuta la celere e ne ha arrestate quindici per attentato alla libertàdi insegnamento.”«Candido» 24 febbraio 1952

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Titolo facile, direte voi, usando un inter-calare del nostro autore. Obiezione vera, ve-rissima, ma anche formula assolutamente ef-ficace, funzionale al convegno che abbiamoorganizzato.

Perché il «contrordine» va in molte dire-zioni, non solo, e non soprattutto, rispetto al-l’ordine immobile del pianeta guareschiano.È un contrordine multiplo, in un certo senso:riguarda storici e critici, destra e sinistra,mondo dei giornali e accademia.

Fermiamoci un attimo a riassumere leetichette che abitualmente si ritagliano ad-dosso a Giovannino. Un isolato, naïf, selvag-gio, criptofascista a volte neanche tanto crip-tato, rozzo e letterariamente insignificante,nonché un cocciuto ingenuo rovinatosi in unpasticcio politico-spionistico di cui non af-ferrava i termini. Infine, peccato più grave ditutti, un autore di successo sensazionale, po-polarissimo: insomma un antesignano dellapeggiore, e più seguita, Tv-spazzatura.

Un quadro desolante, e senza eccezioni.Rarissimo trovare il suo nome nelle storieletterarie del Novecento (anche se, di recente,uno studioso inglese ha visto in Guareschi

l’unico scrittore nazional-popolare italiano,se ne cercherebbe inutilmente traccia neisaggi di Alberto Asor Rosa) e marginalissimoil suo ruolo nelle ricostruzioni delle vicendegiornalistiche. Termini più o meno sprezzan-ti nei suoi confronti accomunano interventidi differente peso: da Valerio Castronovo eNicolaTranfaglia a Mario Sechi e Maria Lau-ra Rodotà, per citare esempi recenti.

Del resto si può tornare anche a tempipiù lontani: Anna Radius lo trascura nellasua galleria di personaggi del giornalismo acavallo della guerra e Mario Missiroli, da di-rettore del «Corriere della sera», boicottava isuoi successi in libreria con tanta pervicaciache – a quel che tramandano le leggende fa-miliari – Guareschi, una volta, voleva partireda Busseto per Milano, armato di doppietta,a regolare definitivamente il conto. E già quil’elenco delle correzioni – dei contrordini – èlungo. Intanto, toglierlo dall’isolamento.Alcuni interventi del convegno (Carabba eClerici-Falcetto, ad esempio) puntano pro-prio a sottolineare affinità e legami diGuareschi con aspetti importanti della cultu-ra del secolo, a partire dalle radici letterarie

Contrordine, GuareschiEnrico Mannucci

“Obbedienza cieca pronta assoluta - Contrordine compagni! La frase pubblicatasull’Unità: ‘Bisogna spiegare ai lavoratori il significato delle manacce governative’ contiene un errore di stampa e pertanto va letto. ‘... Il significato delleminacce governative’. ”«Candido» 28 marzo 1954

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ra facile del binomio Peppone-don Camillocome un’anticipazione del compromessostorico. Semmai, ci si ritrova la vena polemi-ca contro la modernità metropolitana con isuoi odî che non prevedono pietà, mentre lacampagna – la Bassa Padana, nella fattispe-cie, e, in generale, il piccolo mondo antico – ècapace di stemperare tutto. Qui la vena pole-mica trova linfa da parti numerose e diverse,ma la politica si incrocia sempre con un ele-mento nostalgico pre-politico. La democra-zia neonata e disastrata dalla sconfitta inclinainevitabilmente al compromesso interessato,di basso livello, tendenzialmente corrotto. Leposte repubblicane che non funzionano – untema carissimo al «Candido» – cozza con lamitologia dei «treni in orario». Ma forse sisbaglierebbe a ridurre tutto all’apologia di«Muss», come avrebbe detto Malaparte.

Piuttosto – ed è uno degli aspetti toccatidalla relazione di Chiarini – c’è l’ansiosa,quasi dolorosa, missione di non cancellarearee della nazione, in quel momento ridotteal silenzio. Se una cosa non si può imputare aGuareschi è di non essere mai stato forte coideboli e l’opposto coi forti. Così – in una lo-gica che si potrebbe anche definire, forzandotermini storiografici d’attualità, pre-revisio-nista – c’è l’attenzione ai settori davverosconfitti dell’Italia sconfitta la quale però, ri-costruendosi, non vuole ritenersi tale.Accantoniamo un attimo le ragioni profonde

– etica, politica e geo-politica, comprensibilie no – che calano un velo sul dramma degliistriani, degli «insabbiati» delle ex-colonie,dei brevi eroi di una guerra sbagliata. AGuareschi tutto ciò, a fior di pelle, non va giù.Darà spazio, energie e disinteressato impe-gno perché quei dimenticati trovino unasponda, un appoggio. A costo di bollare ilpaese che rinasce incapace di recuperarli conl’infamante appellativo di «Italia provviso-ria». Ma la parabola politica non si esauriscequi. È un fatto che, su questo piano, i guai e idispiaceri maggiori per Giovannino venneroda chi con lui aveva avuto momenti di gran-de ed efficacissima sintonia, la Dc e Alcide DeGasperi. C’è pur sempre un corposo elemen-to di verità nella leggenda dei voti spostati nel1948 dallo slogan guareschiano su Dio chenell’urna ti vede mentre Stalin e Togliatti no.Ora, non è questa la sede per riaprire la dia-triba sulle famose lettere di De Gasperi favo-revoli al bombardamento di Roma che furo-no giudicate apocrife e che portaronoGuareschi un anno in galera. Autorevoli te-stimoni del tempo – come Indro Montanelli– garantiscono la versione sancita dai tribu-nali. È vero anche che l’intero episodio – e,soprattutto, i complessi retroscena – nonhanno ancora avuto una ricostruzione pie-namente convincente.

È una vicenda, d’altronde, che certificaassolutamente il fatto che l’ostracismo anti-

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nel surrealismo umoristico che animò«Bertoldo» e il gruppo cresciuto lì (e in cuiGuareschi ebbe tanta parte).

Ma non si trascura neppure la rilevanza el’influenza, dal punto di vista prettamentegiornalistico-editoriale, dell’opera guare-schiana. Ovvero, l’elaborazione di formuleche verranno riprese infinite volte (i tormen-toni, il collage, il coinvolgimento dei lettori,la posta, i falsi più veri del vero ecc.) a riprovache chi li inventa non è un estroso ma insi-gnificante solista (d’altronde, il ruolo inizialedi Guareschi nel solito «Bertoldo» era pro-prio quello di uomo d’ordine redazionale...).

Accanto al titolo, infatti, va consideratoanche il sottotitolo: Guareschi nel mondo del-la comunicazione. Lo notava, commentandol’acquisizione del fondo Minardi che offrespunto al convegno, l’assessore regionaleMarzio Tremaglia, convinto promotore diquest’iniziativa: «Era un personaggio multi-mediale ante litteram. Scriveva, disegnava,creava libri e riviste, ci sapeva fare anche coifilm. Il nostro è un doveroso risarcimento,anche perché, dal punto di vista istituzionale,nei confronti di Guareschi c’è stato disinte-resse, se non ostracismo». E qui si tocca unaltro spunto di revisione.Alla base del conve-gno non ci sono disegni di sdoganamento,recupero curiale o abbracci ecumenici comeda qualche parte si è voluto scorgere. In real-tà, l’unica maniera per affrontare anche gli

aspetti politici della figura guareschiana è in-serirli in un contesto dove la figura del nostroautore diventa il prototipo per tre tipi di pre-giudizi molto italiani e molto tipici della cul-tura nel secondo dopoguerra: contro l’umo-rismo, contro la narrativa popolare e i suoicanoni, contro l’intellettuale (e sottolineia-mo il termine: quindi niente affatto rozzo) didestra. Ragionando solo sull’ultimo elemen-to, come in genere è successo almeno perquanto riguarda Guareschi, si opera una mu-tilazione illegittima e, soprattutto, deviante.È un approccio, certo, indotto da Giovanni-no medesimo. Ad esempio quando scrive:«Qualcuno si ostina a voler trovare che“Candido”ha vaghe tendenze destrorse il chenon è vero per niente in quanto “Candido” èdi destra nel modo più deciso e inequivoca-bile. Può, quindi, essere letto tranquillamen-te anche da chi è orientato a sinistra, perché,essendo privo di ogni mimetizzazione e pre-sentandosi con la sua vera faccia, “Candido”non gioca sull’equivoco, non usa armi ambi-gue o opportunistiche e non tende tranelli allettore». Ma è un approccio limitato e limi-tante (e ai giochi di mascheramento predilet-ti da Guareschi avremo modo di fare un ac-cenno fra poco).

Analizzare tutto ciò è un altro dei propo-siti di questo convegno, e senza occulti dise-gni per innalzare nuove bandiere sul nostroautore. Evitabile, ad esempio, ci pare la lettu-

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privati e pubbliche vicende. Chi ha vissuto ilmondo dei giornali difficilmente non avver-tirà un brivido scorrendo la lettera impres-sionante che il nostro autore scrive ai Rizzolial momento di abbandonare la direzione di«Candido» e che fa parte del fondo ora ac-quisito dalla Regione e depositato allaFondazione Arnoldo e Alberto Mondadori:«Milano, scomparso “Candido”, è ora com-pletamente liberata e conquista l’ambito ti-tolo di “Capitale del conformismo italiano”.Come sono lontani i tempi meravigliosi del46-47-48, quando “Candido” – e questo ègrande e indimenticabile merito di AngeloRizzoli e del figlio Andrea – diceva ciò chenessuno osava dire. Ora “Candido” tace, ep-pure i tempi sono peggiori di quelli di allora eGianni Granzotto si appresta a innalzare sulpennone di via Civitavecchia la bandieragialla del conformismo romano [il riferi-mento va al progetto rizzoliano di un quoti-diano popolare che non vedrà mai la luce,ndr]. Qualcosa di molto importante è rima-sto nel palazzo di piazza Carlo Erba [la sedeprecedente della Rizzoli, ndr]: qualcosa chenon è stato possibile trasferire nel palazzonedi via Civitavecchia. Forse si tratta solo deimiei, dei suoi, dei nostri anni migliori...».Certo, allora, Giovannino Guareschi è scrit-tore programmaticamente semplice – «Ilmondo in duecento parole...» – ma ha avutouna carriera e un destino letterario enorme-

mente sfaccettati e complicati. Un percorsocreativo, appunto, che attraversa quasi tutti icampi della comunicazione moderna (daigiornali al cinema, dalle vignette di satira allarivista, dalla propaganda alla radio), spessorinnovandoli o trasformandoli. Una primacrescita che fa riferimento ai filoni profondidello Strapaese nazionale, che si incrocia,poi, con i circoli metropolitani influenzatidalle avanguardie del Novecento, che ritor-na, dopo, alle tappe iniziali rivisitate in chiaveassolutamente personale. Per di più, caratte-re forte e sanguigno, non ha mancato di ecci-tare analoghe passioni in chi l’ha interpretatoo raccontato: a rischio, talvolta, di eccessiagiografici, amarcord nostalgici, letture ba-nalmente attualizzate. Al di là di una vita vis-suta in prima linea, però, obiettivo di questoconvegno è affrontare il personaggio e la suamultiforme opera con un impianto criticopiù approfondito, esplorando radici e in-fluenze, sapienze tecniche ed evoluzioni nel-lo stile, alternanza di registri e intuizioni an-ticipatrici. Insomma, definire – almeno conuna prima approssimazione – i campi di ri-cerca e lo stato degli studi su quello che restalo scrittore italiano più letto nel Novecento.

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guareschiano non si può etichettare a un’u-nica parte politica. Riguarda l’Italia – la so-cietà, la politica, la cultura – nel suo comples-so e, quindi, in una lettura critica di tutta laparabola del nostro autore, non si può ridur-re a logiche di fazione. Ma torniamo ancorauna volta al titolo. Il «contrordine» vale an-che rispetto ad alcune etichette – maschere, sipotrebbe quasi dire – maneggiate da Guare-schi medesimo. Il gioco, a volte spericolato,con le contraddizioni non lo intimidì mai. Cene sono di banali, da pignoli certosini: il si-gnificato di un termine entrato nel vocabola-rio politico del dopoguerra come «trinari-ciuti» qual è? La terza narice serve ad aspiraremeglio gli ordini dal partito o a far uscire ilfumo dal cervello? Ce ne sono altre più pro-fonde, come il rapporto tra la provincia (ine-vitabilmente si pensa all’epopea maccarianadello Strapaese) e la metropoli: Guareschicanta la Bassa ma trova successo e fortuna aMilano (e qui, scorrendo nel tempo, viene dapensare ad analogie con le storie di GiancarloFusco e Luciano Bianciardi).

Si è detto Guareschi nel mondo della co-municazione, quindi padrone di messaggi esuggestioni. Un’abilità assoluta, applicata a360 gradi. Anche nei ritagli di tempo recupe-rati in periodi di frenetica attività giornalisti-co-letteraria. Giovannino aveva uno studiopieno di cose costruite da sé: bric à brac da-daisti se non fosse stato che il piacere massi-

mo era privato. Era dotato di una capacità diplasmare non solo le cose ma anche le parolee le immagini. Una capacità che veniva dalontano. «In un certo senso – ha osservatoOreste Del Buono – è un involontario donodel Fascismo. Quando il regime eliminò lasatira politica, ci si dovette concentrare suquella di costume. Guareschi si formò inquell’ambiente, al “Bertoldo”. E lì, ogni paro-la veniva studiata, sviscerata, prima di scri-verla. Poi letta con altrettanta attenzione, allaricerca di tutti i significati possibili». Da qui,quello che Del Buono definisce «un procede-re da artista»: «La capacità di rendere moltoimportanti anche gli aspetti minimi, fissan-do lì il senso di una nazione, un momentoche però è destinato a durare». Attenzione,allora, a certe letture che esaltano in lui lasemplicità come valore assoluto, quella delcardinale Biffi, ad esempio, che trova analo-gie con la spontaneità genuina e quasi rozzadel cristianesimo primitivo. Nelle scritte suimuri, anche i baschi dell’Eta mettono in glo-ria i poveri di spirito...

Piuttosto, è giusto portare l’attenzione suuna categoria ambigua e difficile da maneg-giare come quella della nostalgia. Spesso vie-ne demonizzata radicalmente, ma l’animoumano la conosce troppo bene per annichi-lirla del tutto. Guareschi la esplora anche do-lorosamente, incrociando – come sempre ac-cade quando di nostalgia si parla – destini

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«Io a quei tempi ero un povero ragazzo enon scrivevo ancora sui giornali». Non senzadivertite varianti («Allora io ero un poveroragazzo, un’ingenua creatura di Dio, e fatica-vo a spiccicar due parole...»), GiovanninoGuareschi presenta così il personaggio nar-rante de Il destino si chiama Clotilde, comico ebrillante romanzo di formazione, nonché av-venturosa ipotesi di un’autobiografia assolu-tamente immaginaria. Siamo nel 1942, e aquesto punto della sua vita Guareschi (classe1908) ha superato i trent’anni, ha già unabrillante carriera alle spalle e una devastanteesperienza (la guerra e la prigionia nel lagertedesco) davanti a sé. Quando, finito il con-flitto mondiale, tornerà a casa, lo scrittorenon sarà più lo stesso. L’aspro disincanto e laconsapevole amarezza lo renderanno un nar-ratore più bravo e maturo (il Mondo piccolo didon Camillo, successo chiave) e un giornali-sta assai originale, bellicoso e discusso (il fe-roce anticomunismo e le battaglie incrociatedi «Candido»). È insomma negli anni trava-gliati e duri del dopoguerra che Guareschi di-venta Guareschi, un nome da amare odiarecancellare rivalutare, a seconda delle oscilla-

zioni del tempo e della prospettiva con cui siguarda. Eppure resta la sensazione che, senzal’apprendistato nella grande scuola dell’umo-rismo anni Trenta, non ci sarebbero mai statiné don Camillo né il sindaco Peppone. Valedunque la pena, non solo per puntigliosa cu-riosità biografica, di cominciare dall’inizio.

I primi articoli di Giovanni (Giovanninoo meglio Nino per gli amici) escono sulla«Voce di Parma. Settimanale fascista del lu-nedì» nel 1929. L’anno prima il ragazzo, che ènato a Fontanelle, nella Bassa lombarda e neva fiero, ha superato la maturità classica e hal’intenzione di fare lo scrittore; il gusto dellebelle lettere gli è presumibilmente venutodalla mamma, la signora Lina, severa e ama-tissima maestra di scuola; e il piacere di rac-contare l’ha appreso durante le lunghe veglienella campagna di Fontanelle con nonnaFilomena (ribattezzata «nonna Giuseppina»nelle future storie familiari).

Secondo Alessandro Gnocchi, uno deisuoi biografi più minuziosi, Nino però mo-stra subito anche una forte vena di polemista.Con lo pseudonimo di «Michelaccio» pubbli-ca racconti, cronache, rubriche di costume e

Il giovane Guareschi (Storia di Giovannino)Claudio Carabba

“Obbedienza cieca, pronta, assoluta - Contrordine compagni! La frase pubblicata dall’Unità:‘Bisogna eliminare, nel trattamento dei lavoratori difabbrica, ogni ‘distinzione di cesso’, contiene un erroredi stampa, e pertanto va letta: ‘distinzione di sesso’.”«Candido» 19 giugno 1960

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to numero fossero previste anche le vignette)e naturalmente a trasferirsi a Milano, parteci-pando a tutte le «sedute» della redazione, apartire dal primo settembre del 1936.

Intanto, dal 14 luglio di quell’anno, «Ber-toldo» aveva cominciato le pubblicazioni.L’editoriale del numero di apertura, una ful-minante parodia delle pigrizie e dei luoghicomuni del giornalismo, indica quale sarà lostile del bisettimanale: un umorismo surrea-le, lucidamente discosto dalla retorica impe-rante, ma neppure dichiaratamente di fron-da. Né pedantemente fascista, né tanto menoantifascista, ha ben sintetizzato Oreste DelBuono in C’è poco da ridere,2 una breve ma il-luminante storia della satira in Italia, dal-l’«Asino» a «Linus». Piena di talenti indisci-plinati, la redazione aspetta, con speranza otimore, l’arrivo di Guareschi, annunciato co-me un lavoratore instancabile dal pugno diferro. L’editore e i giornalisti litigano per ilmancato rispetto dell’orario e per le eccessivepause al caffè. Così «il Commenda» affida alburbero Giovannino l’incarico di mettere inriga tutti, fantasiosi direttori compresi. Laprima missione è convincere i redattori a fir-mare il cartellino. Guareschi annuisce e dà ilbuon esempio andando all’orologio. Ma in-vece della sua firma, scrive una parola sola,«culo». Il vecchio Rizzoli se ne va dalla stanzascuotendo la testa, il nuovo arrivato è entratonel gruppo. Al di là della intolleranza alla bu-

rocrazia, però, Nino si confermerà davveroun eccezionale organizzatore, capace di«estorcere» ai più distratti disegni e pezzettimancanti, e aggiungendo cose sue, quandoera utile o necessario. Così «Bertoldo» vive lasua breve stagione di gloria, dalla spensiera-tezza un po’ astratta delle prime annate allavena più cupa del periodo di guerra (l’ultimonumero esce nel fatale settembre del 1943),quando la catastrofe è incombente e l’umori-smo inevitabilmente amaro. I testi scritti so-no integrati dalle vignette. Guareschi, in gar-bata opposizione alle «signorine grandi fir-me» che impazzano nei giornali dell’epoca,inventa la serie delle «Vedovone», grasse, gof-fe, indesiderabili, spose e madri di un’Italialontana dalle carinerie da «grandi magazzini»e dai «telefoni bianchi» trionfanti. Nel com-plesso, col senno di poi, si può considerare«Bertoldo» come una sorta di laboratorio incui crescono alcuni dei maggiori narratori,non banalmente umoristici (oltre a Guare-schi, dovrebbero entrare nelle storie letterariealmeno Marotta, Mosca e Carletto Manzoni)del nostro Novecento. Eppure proprio l’otti-ma qualità della formazione ha provocato avolte stroncature furenti. Il più violento nel li-quidare quell’esperienza è stato lo storicoUgo Alfassio Grimaldi in un saggio, Dieci giu-gno 1940. Il giorno della follia,3 dedicato all’in-gresso in guerra dell’Italia. «Il “Bertoldo” –nota Grimaldi – era il giornale più intelligen-

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xilografie, buttate giù con estro irruente, tuttededicate ai fatti minimi della vita di Parma.Cose che i notabili della città non gradivanoper niente. Ma è in questo periodo di appren-distato e di educazione culturale (dal 1929 al1935 più o meno) che Guareschi, lavorandoper i giornali del luogo e scrivendo le primenovelle (Silvania, dolce terra segna il suo de-butto narrativo nel giugno del 1929), fa ami-cizia con amici e colleghi destinati a diventareimportanti (Attilio Bertolucci, Egisto Corra-di, Pietrino Bianchi, Alessando Minardi) especialmente si fa notare da un vivace giova-notto di Luzzara, di sei anni più grande di lui,Cesare Zavattini.

La svolta decisiva, la conquista di Milano,avvenne nel 1936, con la fondazione di «Ber-toldo», il giornale umoristico che proprioZavattini aveva pensato per primo e AngeloRizzoli editò, dopo molte incertezze, e nonsenza furenti litigi. Nel decennio Trenta, il pe-riodo del massimo consenso al regime fasci-sta, i giornali umoristici (non di satira politi-ca, per carità) andavano benissimo. Nel 1935la rivista egemone era il «Marc’Aurelio»; cosìAngelo Rizzoli, detto «il Commenda», e suofiglio Andrea decidono di entrare alla grandenel settore. Zavattini, che è appunto l’espertoincaricato di mettere a fuoco il progetto, è en-tusiasta: «Faremo un giornale e la gente farà apugni per comprarlo». Sulla movimentataformazione della squadra di «Bertoldo» ha

scritto pagine molto informate e divertentiuno dei protagonisti dell’impresa, CarlettoManzoni, padre del sublime Signor Vene-randa, nell’introduzione a una ben curata an-tologia «postuma».1 Le prime discussioni sor-gono già per la scelta del nome. Zavattini pen-sa a una testata bisettimanale «Va là che vaiben», ma poi litiga con i Rizzoli e se ne vasbattendo la porta. Si cerca un altro titolo. Ilnuovo tandem di direttori, formato daGiovanni Mosca e Vittorio Metz, su propostadi Mario Brancacci, pensa di chiamare la rivi-sta «Benissimo». L’editore pare d’accordo, maa sorpresa cambia tutto e sceglie finalmente«Bertoldo». Dopo un iniziale sgomento, i re-dattori si adeguano. Alla prima riunione delgiornale, ancora non apparso in edicola, ci so-no oltre a Mosca e a Metz, Rino Albertarelli,Mario Bazzi, Mario Brancacci, Angelo Frat-tini, Dino Falconi, Giuseppe Marotta, Mar-cello Marchesi, Giaci Mondaini, WalterMolino, Ferdinando Palermo e naturalmenteCarletto Manzoni.

Manca Guareschi che sta facendo il servi-zio militare (sottotenente) sull’Appenninoemiliano. Ma su consiglio di Zavattini, Ninoera già stato messo da qualche mese sottocontratto. Dopo un piacevole pranzo in unatrattoria all’ombra di una pergola, il sottote-nente aveva firmato. Per un compenso men-sile di 700 lire il futuro redattore si impegnavaa fare 27 pezzi al mese (si presume che nell’al-

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lui, che da tenente del regio esercito italiano,bloccato nella caserma di Alessandria da unattacco di ulcera, non getta via la divisa, ma sirifiuta di giurare fedeltà all’ex alleato tedesco.Così finisce in un campo di concentramento,prima in Polonia e poi in Germania, dove re-sterà sino al settembre del 1945. L’esperienza,che lo segnerà in profondo, è raccontata dal-l’autore in Favola di Natale e più estesamentenel vibrante Diario clandestino, una riflessio-ne dolorosa ma ben temperata da un’intelli-gente autoironia. Nella meditata introduzio-ne, Giovannino propone la sua personale sin-tesi degli eventi troppo gravi che sono passatisulla sua testa: «Io, insomma, come milioni emilioni di persone come me, migliori di me epeggiori di me, mi trovai invischiato in questaguerra in qualità di italiano alleato dei tede-schi all’inizio e in qualità di italiano prigio-niero dei tedeschi alla fine. Gli angloamerica-ni nel 1943 mi bombardarono la casa e nel1945 mi vennero a liberare dalla prigionia emi regalarono del latte condensato e della mi-

nestra in scatola. Per quello che mi riguarda,la storia è tutta qui».

La sbigottita ira dell’uomo qualunque(non necessariamente qualunquista) umilia-to e offeso, troverà, come si è già accennato,concreto sbocco nelle crociate giornalistichedi «Candido». Ma il narratore, in qualchemodo maturato dalle delusioni e dalla cono-scenza diretta del dolore, inventerà la sua sagapiù celebre, l’eterna sfida fra don Camillo ePeppone. Le storie di questo indimenticato«mondo piccolo» non formano un presepiodi cartapesta com’è sembrato a qualcuno, nésono un’astuta anticipazione del compro-messo storico come è parso ad altri, ma tutteinsieme, almeno nei primi libri, costruisconol’epopea, comica e accorata, di una stagioneperduta. Restare là, sugli argini della Bassa,era bello e istruttivo, ma l’età dell’innocenza– Guareschi, col suo candido pessimismo losapeva bene – era finita, per sempre.

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te d’Italia»; e poi parte all’attacco: «Sotto lavernice intellettuale i giovani Mosca, Gua-reschi (& C.) erano incapaci di un gestoumano, di un qualsiasi impegno, di un ri-schio anche minimo; dotati di notevole in-telligenza, la usarono cinicamente; e fu il ci-nismo, questa nefasta virtù, che trasmiseroagli italiani». Sul giudizio, più ingiusto chesevero, di Grimaldi (applicando un similemetro, massima parte della cultura italianadella prima metà del secolo scorso, andrebbegettata al macero) pesò forse l’approdo sullasponda destra del paese, di molti dei prota-gonisti di «Bertoldo». Ma distinguere le ope-re e i periodi è lo sforzo che si chiede a un cri-tico (letterario o storico). Come lettore, tan-to per chiarire, provo ancora forte imbarazzosfogliando le antiche collezioni di «Candi-do». Le irriverenti invenzioni e i geniali «tor-mentoni» (l’ormai leggendario «Contror-dine compagni») sono appesantiti da unaspecie di avvelenato rancore; la vena anar-chica perde a poco a poco lucidità e si tra-sforma in rabbia reazionaria. Ma è innega-bile che il Guareschi giornalista mostri unaardita propensione a correre i suoi rischi (si-no alla galera, come si sa) e a pagare di per-sona (insomma il contrario di un cauto cini-smo). E in ogni caso il Guareschi narratore,nelle opere più riuscite, fa altro, costruiscecandide novelle in cui si tracciano liberevie di fuga o al contrario in cui si riflettono

le tensioni e le contraddizioni del tempo.Le prime opere di Giovannino escono nei

giorni della guerra. La scoperta di Milano(1941) segna l’inizio di un ciclo da diario fa-miliare (in cui la moglie, ribattezzata Mar-gherita, e i figli Carlotta e Albertino hanno unruolo determinante) un po’ tenero e un po’sarcastico, che l’autore continuerà, con diver-si risultati, per tutta la vita. Si salta al fantasti-co surreale col gradevole Il marito in collegio(1942) e specialmente con l’irresistibile Il de-stino si chiama Clotilde. In non casuale sinto-nia con altri narratori ampiamente onoratidalla critica accademica (Achille Campanile eRaymond Queneau) Guareschi lavora sulcorpo del romanzo popolare e d’appendice,rinnovandolo con gag stravolgenti. La strut-tura avventurosa (il lungo viaggio attorno almondo del gentiluomo Filimario Dublè e isuoi sventurati amici perseguitati dalla bizzo-sa signorina Clotilde Troll) è spezzata da con-tinue digressioni sulle tribolazioni dell’ionarrante («Ero un povero ragazzo, un pescio-lino uncinato dalla lenza del destino...»). Frapiacevoli invenzioni e divertiti colpi di scena,alcuni passi (il dialogo col cavallo della pam-pa argentina, la terribile notte del banditoChico...) sfiorano il capolavoro.

Non è dato sapere se Guareschi avrebbecontinuato su questo sentiero, più aereo e leg-gero, senza gli eventi di guerra. L’8 settembredel 1943, drammatico per tutti, è tragico per

1. Cfr. Carlo Manzoni, Gli anni verdi del Bertoldo. Un po’diario, un po’ antologia di sette anni di umorismo,Milano, Rizzoli, 1964.

2. Bari, De Donato, 1976.

3. Roma-Bari, Laterza, 1974.

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L’esilio di Guareschi dagli studi, pur-troppo, non è un caso isolato. La valutazionedella sua opera ha seguito il destino della let-teratura di genere, della paraletteratura, del-la letteratura di massa. Un destino scanditoin tre fasi. Dapprima, un lungo periodo ditotale disinteresse sulla base di un aprioristi-co misconoscimento di letterarietà: un’in-differenza subita da moltissimi altri testi e dainteri generi (rosa, giallo, fantascienza). Inseguito, l’attenzione critica si rivolge alla let-teratura di massa ma concentrandosi suisuoi aspetti seriali: la ripetitività (e dunquescelte espressive prevedibili), il carattereconsolatorio, la rimozione dei conflitti. Nelsaggio Le lacrime del Corsaro Nero, UmbertoEco stila un prontuario della scrittura disuccesso: una trama che «risolvendo i nodi,si consola e ci consola»; «caratteri prefabbri-cati, tanto più accettabili e graditi quantopiù noti, in ogni caso vergini di ogni pene-trazione psicologica, come lo sono i perso-naggi delle favole»; uno stile fatto di «solu-zioni precostituite» e «iterazioni continue».1

In realtà, dietro questo tipo di interpretazio-ne della paraletteratura s’intravede un’idea

novecentesco-avanguardistica della scrittu-ra, per la quale i valori che contano di più so-no l’innovazione, l’originalità, il disorienta-mento del lettore. Emerge così finalmentealla coscienza critica un continente librario alungo invisibile, anche se quest’approcciotende a semplificare troppo l’effettiva fisio-nomia di testi certo non sofisticati, ma nep-pure sprovvisti di una loro ricchezza.

Con gli studi di Vittorio Spinazzola e leindagini del Successo letterario (1985)2 si af-faccia una nuova prospettiva. Il testo para-letterario è riconosciuto come un oggetto distudio degno della stessa attenzione e stru-mentazione critica utilizzata abitualmenteper i prodotti della cosiddetta letteratura al-ta-colta, ma a questo riconoscimento si uni-sce lo sforzo di analizzare i testi consideran-doli nella loro irripetibile individualità. Laprima ricognizione critica approfondita enon prevenuta dell’opera di Guareschi silegge proprio in questo volume,3 insieme auna serie di contributi dedicati ad altri auto-ri premiati dal grande pubblico: BrunellaGasperini, Paolo Villaggio, Liala, Fruttero eLucentini, Scerbanenco, Montanelli, Biagi,

Uno scrittore di nome GuareschiLuca Clerici e Bruno Falcetto

“Obbedienza cieca, pronta, assoluta- Contrordine compagni! La frase pubblicata sull’Unità ‘Non bisogna dimenticare di far propaganda anche tra le suole sfruttando la loro ingenuità’ contiene un errore di stampa e pertanto va letta: ‘non bisognadimenticare di far propaganda tra le suore…’.”«Candido» 14 giugno 1953

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stente. Eppure, negli anni Cinquanta, non cifu in Europa e forse nel mondo scrittore ita-liano popolare come lui. Se poi parliamodella notorietà mondiale dei suoi personaggidon Camillo e Peppone, il solo confrontopossibile è quello con Pinocchio, benché lefiabe di don Camillo siano state tradotte an-che in giapponese e Pinocchio no. Rispetto adon Camillo e Peppone, Renzo e Lucia sonosoltanto insegne di ristoranti lacustri».4 An-cora nel 1991, in una delle più importanti ediffuse storie della letteratura italiana,Giulio Ferroni dedica a Guareschi solo po-che e sbrigative righe: «Il duro scontro in at-to nel paese e nel mondo trova però talvoltanella vita della provincia esiti di respiro mol-to limitato, orizzonti ristretti e meschini (dicui forniscono un’immagine rivelatrice, an-che se di scarso valore letterario, i facili ro-manzi su Don Camillo di Giovanni Guare-schi)».5 Nonostante l’apprezzamento mani-festato da scrittori come Tondelli, Baricco,Serra,6 la tradizione critica resta occasionalee sporadica.

In effetti, la storia della ricezione dei libridi Guareschi è sempre stata segnata da unaforte discrepanza tra le opinioni dei colti e ilgiudizio del pubblico. Proprio dai lettori piùaffezionati la sua opera ha ricevuto un’atten-zione crescente. A partire dalla famiglia e daun gruppo di fan sparsi per il mondo chehanno promosso una serie di iniziative per

conservare la memoria dello scrittore e dif-fondere la conoscenza dei suoi testi. Si pensialla meritoria attività del «Club dei Venti-tré», animato dagli infaticabili figli Alberto eCarlotta, e ai siti web dedicati allo scrittore.Il sito del Club (www.giovanninoguare-schi.com; 14.333 accessi al 31 luglio 2001) èinfatti il centro di una piccola rete che necomprende altri, in Italia, Inghilterra, India eGermania.

Affidare la riflessione sull’opera di Gua-reschi solo alla grande famiglia dei lettori ap-passionati rischia però di non rendere deltutto giustizia alla sua letteratura. La scarsadistanza critica e l’eccesso di entusiasmo pos-sono generare scherzi prospettici, indurre al-la facile apologia. Così, invece del Guareschigeniale giornalista, ecco il «Dante dellaBassa» e il grande filosofo, originale maestrodi vita (parola di Alessandro Gnocchi).7 Ma lacritica amatoriale ha dovuto anche assumersil’onere della curatela e della pubblicazionedell’opera dello scrittore.

In un primo tempo alcuni titoli postumisono stati costruiti con un recupero e un«montaggio» di testi non sempre trasparen-te, corredati di apparati un po’ approssima-tivi. A volte non sono stati descritti i criteridi selezione dei testi antologizzati (Mondocandido 1946-1948),8 oppure gli inediti pub-blicati non risultano ben identificabili (iDocumenti 1900 del Breviario di don Camil-

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Rocco e Antonia, Oriana Fallaci e Granzotto.Si tratta di una prospettiva che discende dauna diversa concezione del mondo dei testi,visto come un sistema articolato e dinamico.In una società moderna, le opere letterarie sidispongono infatti su diversi livelli a secon-da della tipologia di lettori ai quali lo scritto-re intende rivolgersi, e dunque in relazionealle diverse strategie espressive messe in atto.Si va dalla letteratura sperimentale, di altaricerca espressiva, indirizzata a pochi lettoriesperti, fino alle opere popolari destinate aun pubblico provvisto di una modesta com-petenza letteraria (il rosa e il fumetto).

Quanto al valore estetico, sarebbe troppofacile se corrispondesse meccanicamente al-la posizione dell’opera nel sistema letterario:esistono opere sperimentali «brutte» e testipopolari «belli». Proprio come i racconti diMondo piccolo.

La prima mossa da compiere per un’e-quilibrata considerazione critica dell’operadi Guareschi consiste nel ricondurla al suocontesto più proprio, il giornalismo. In unasocietà letteraria stratificata come quella chegià andava configurandosi negli anni Trentae Quaranta, il giornalismo è stato un luogodi intersezione produttiva in cui si sono spe-rimentate varie forme di contaminazione frariflessione, narrazione e cronaca. Ma ancheun laboratorio in cui il linguaggio scritto equello iconico (dalla vignetta all’immagine

fotografica) hanno interagito funzional-mente. È da qui che Guareschi è partito perstilizzare nei suoi racconti gli antagonismiche percorrevano la mentalità collettiva, lavita politica e sociale del presente.

La tradizione specifica sullo sfondo dellaquale va riportata l’esperienza di Mondo pic-colo è quella della critica di costume, e inparticolare del giornalismo umoristico-sati-rico, nei suoi due versanti, vignettistico enarrativo (si pensi ad autori come GiovanniMosca, Carlo Manzoni, Marcello Marchesi,Anton Germano Rossi). Ma studiare per af-finità e per contrasto il lavoro narrativo diGuareschi sullo sfondo delle altre esperienzedell’umorismo degli anni Trenta e Quarantaè un compito che attende ancora di esseresvolto.

Nonostante la crescita di attenzione per iprodotti della cultura di massa, ancora oggisono troppo pochi gli studiosi professionistiche si sono dedicati con rigore all’opera diGuareschi. Tanto più tenendo presente unprincipio di carattere oggettivo: vendere mi-lioni di copie ed essere tradotto in tutto ilmondo non è di per sé un segno di valore let-terario, ma certo è il segnale indiscutibile diun «caso» degno di essere analizzato per lasua eccezionalità. La situazione non è moltocambiata da quando nel 1977 Gian FrancoVenè scriveva: «Per i professionisti della cul-tura Giovanni Guareschi è un autore inesi-

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interessi della collettività, l’azione invece ac-comuna pienamente il sindaco e il parroco:Peppone porge all’oratore liberale il propriofazzoletto rosso per ripulirsi dal pomodoroche gli è stato tirato in faccia: «BravoPeppone! – Urlò una voce tonante da una fi-nestra del primo piano di una casa vicina. –Non ho bisogno dell’approvazione del clero–, rispose fierissimo Peppone, mentre donCamillo si mordeva la lingua arrabbiatissimodi essersi lasciato scappare il grido».12 Morale:della dignità umana non si discute. In certeoccasioni emerge dunque un sistema di valoricondiviso senza riserve da entrambi i perso-naggi, quello rappresentato nel modo più altoe nobile dalla figura del Cristo. Alla politicacontingente (verso la quale Guareschi nonmostra nessuna simpatia) subentrano valorietici assoluti come l’onestà, la sincerità, laspontaneità, la capacità di amare, il senso delbene collettivo, il rispetto per i deboli e unareligiosità istintiva, radicata nella coscienza ditutti: «Don Camillo, chi insegna il nuoto aipesciolini? È istinto. La coscienza non si inse-gna, la coscienza è istinto, don Camillo»,13 di-ce il Cristo. Alla dialettica dei tre protagonistisi accompagna una loro sostanziale organici-tà, tanto che si potrebbe parlare di un perso-naggio unico «tripartito», una specie di trini-tà pragmatica in cui la dimensione mentale,di riflessione e di testimonianza interiore, ri-mane affidata al Crocefisso.

«Il piccolo mondo del Mondo piccolo»14 èuno spazio particolare, concreto e astratto,localizzato e insieme emblematico. È ancheun luogo dell’infanzia con il quale Guareschiriprende contatto, nella fase di incubazionedella sua saga, grazie a «un bellissimo repor-tage» (il giudizio è di Tondelli) intitolato Ungiretto in bicicletta e lungo 1.200 chilometri,apparso sul «Corriere della sera» a partiredal luglio del 1941. Mondo piccolo è in unazona ben identificata della Bassa (lo dimo-strano i frequentissimi toponimi), ma insie-me in uno spazio stilizzato come una quintateatrale: la parrocchia, il comune, la sede delpartito, le abitazioni dei protagonisti. Il va-lore emblematico di questo spazio geografi-co deriva da alcuni caratteri antropologici emorali che identificano in generale la men-talità e gli abitanti di «questa fetta» del«Paese del melodramma»: un’ipersensibilitàfacilmente eccitabile, una tendenza alla rea-zione violenta e parossistica, una religiositàradicata e a volte superstiziosa, una grandedeterminazione personale, una certa fanta-sia. Tutti elementi del carattere e della men-talità condivisi in vario modo dalla folla deipersonaggi che fanno corona ai tre protago-nisti. Il popolo di Mondo piccolo viene rap-presentato secondo i criteri di una psicolo-gia comportamentistica: nessuna concessio-ne all’introspezione psicologica, invece as-soluta centralità dei gesti e delle azioni, come

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lo),9 o ancora i sussidi bio-bibliografici sonodisomogenei e non esaurienti, come nel casodell’elenco delle fonti e della bibliografia es-senziale di Chi sogna nuovi gerani?10 In qual-che occasione poi, la presentazione editoria-le attribuisce a Guareschi la paternità di untesto in effetti assemblato da altri (l’autobio-grafia, inserita nella collana delle opere).

Nel 1998 escono come sempre pressoRizzoli i tre volumi di Tutto don Camillo.Mondo piccolo,11 due di racconti e il terzo diapparati. È un evento importante nella sto-ria testuale di Guareschi, una svolta signifi-cativa. Si tratta di un interessante e singolareesempio di «edizione critica» per non spe-cialisti. Alberto e Carlotta Guareschi pubbli-cano un Don Camillo integrale, riprendendoun’idea del padre: «Ho intenzione di fareuna raccolta completa dei racconti, una spe-cie di “Tutto don Camillo”». Nel terzo volu-me i curatori non solo esplicitano corretta-mente i criteri di edizione, ma per ogni testoforniscono le varianti e una notevole quanti-tà di informazioni. Qualche dubbio invecepuò suscitare la decisione di riprodurre iracconti nella loro versione in rivista, anchedove esiste una lezione successiva modifica-ta dall’autore per la pubblicazione nei quat-tro libri di don Camillo che tutti conoscono.Le note e i diversi indici (Il borgo virtuale:piazza, canonica ecc.; Il Mondo piccolo vir-tuale: da Territori e confini al Viaggio in

Russia; un indice tematico complessivo) co-stituiscono insieme un corredo critico e unaspecie di vademecum per il piccolo mondodi Mondo piccolo, con tanto di icone che di-stinguono il tipo di notizie fornite: le forbiciindicano le varianti, la mucca gli animali do-mestici presenti nel racconto, la casa le abita-zioni dei personaggi, una mano con l’indicepuntato i temi ricorrenti. Un terzo volumepensato insomma quasi come un GiovanniGuareschi Companion, una guida per il lettoreappassionato all’autore e al mondo dei suoilibri, come quelle dedicate nella cultura an-glosassone a scrittori di culto come StephenKing o J.R.R. Tolkien.

Per individuare la formula vincente diMondo piccolo conviene soffermarsi innanzitutto su tre aspetti fondamentali del testo, ipersonaggi, lo spazio e il linguaggio.

Al centro della saga di Mondo piccolo so-no, si sa, tre figure: don Camillo, Peppone e ilCristo. A un primo livello, i loro rapporti so-no antagonistici o, per meglio dire, fraPeppone e don Camillo c’è un conflitto co-stante e il Cristo svolge la funzione di «aiutan-te critico» del parroco. È il piano su cui si ma-nifesta l’immancabile brio dei racconti, la vi-vacità di questa piccola comédie humaine pa-dana; ed è anche il piano della contesa politicadi tutti i giorni. A un secondo livello, quandocioè entrano in gioco valori fondamentali o

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«mondo artificiale» semplice ma organico earticolato, un mondo possibile che conferi-sce ai suoi abitanti e alle loro storie un’evi-denza e una memorabilità peculiari. Lo spa-zio, da teatro della vicenda, diventa così unasorta di «protagonista» aggiunto di sfondo,uno degli elementi forti dell’identità del te-sto e della riconoscibilità del suo autore. Laseconda invenzione è quella del personaggio«tripartito» Peppone-don Camillo-Cristo,originale rivisitazione del topos dei «gemellirivali» di ascendenza classica, ma anchestrumento efficace per alludere alle tensionipolitiche e ideologiche che percorrevanol’Italia del secondo dopoguerra opponendo idue grandi partiti di massa, Dc e Pci.

Riletto oggi, il ciclo di Mondo piccolocontinua a convincere appunto per l’origi-nalità dell’impostazione letteraria, non cer-to per gli aspetti contenutistici, per il mes-saggio ideologico. Più delle idee gridate, piùdelle preoccupazioni politiche e morali, piùdelle intenzioni didattiche, colpiscono l’effi-cacia della scrittura di Guareschi e alcunecontraddizioni produttive della sua figuraintellettuale, a partire proprio da quella frala moderna spregiudicatezza comunicativa ela critica ipertradizionalista al progresso. Perla varietà dei generi non solo letterari prati-cati, si potrebbe considerare Guareschi co-me un vero e proprio «operatore» della co-municazione, un lavoratore della parola con

un’idea di scrittura intesa come «professio-ne», come servizio rivolto a un pubblico te-nuto sempre ben presente. Segno di indub-bia modernità è anche la presenza nella suanarrativa – quanto mai attenta ai meccani-smi della stilizzazione e della serialità – delmodello fumettistico e vignettistico.

Per una più corretta collocazione dell’o-pera di Guareschi è significativo infine il suotacito rapporto con il neorealismo: da unaprospettiva ideologicamente diversa e su unaltro livello del sistema letterario egli affron-ta alcune questioni decisive anche per gliscrittori neorealisti: l’attenzione per unarealtà locale, con il radicamento dell’inven-zione narrativa in una delle tante Italie di cuiè fatta la nuova nazione; l’elaborazione diuno strumento comunicativo adatto a collo-quiare con un pubblico rinnovato, extralet-terario (un’aspirazione realizzata solo moltoparzialmente dagli scrittori del neoreali-smo); un’idea di impegno letterario che diavoce alle epocali esperienze della collettivitànel dopoguerra.

La lunga fedeltà del pubblico e l’assiduitàdell’impegno editoriale dei figli hanno ga-rantito all’opera di Guareschi una felice so-pravvivenza nell’affollato orizzonte librariocontemporaneo. Così, tramontate le ferocipolemiche di carattere politico degli anniQuaranta e Cinquanta, superato l’aprioristi-

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indicatori degli stati d’animo e della qualitàdelle relazioni individuali (di amicizia, diostilità, di sospetto e così via).

Un mondo immaginario con questi ca-ratteri strutturali, concepito all’insegna del-l’essenzialità, richiede scelte di linguaggioadeguate: «L’umorismo è semplificazione»,scrive Guareschi in Italia provvisoria.15

Un’altra affermazione è diventata giusta-mente celebre: «Io, nel mio vocabolario,avrò sì e no duecento parole […] quindiniente letteratura o altra mercanzia del ge-nere».16 Che cosa c’è di vero in questa affer-mazione? In effetti, il progetto di disinvolta estilizzata mimesi di un parlato popolare-contadino ostentatamente antiletterariomesso in opera da Guareschi in Mondo pic-colo prevede un lessico davvero ristretto, incui spiccano alcune parole chiave ricorrenti:«roba», «maledetto», «porco», «dannato»(con l’eloquente prevalenza di un registroumile). Lo stile «della Bassa» mostra poi al-tre caratteristiche specifiche: un diffuso im-piego degli alterati (diminutivi, vezzeggiati-vi, accrescitivi, dispregiativi), la centralitàdel verbo come parte del discorso dinamicache sintetizza in sé una somma di determi-nazioni (oltre al significato, l’indicazionedella persona, del tempo, del modo di porge-re). Poche le figure retoriche, soprattuttoparagoni e similitudini (rare le metafore).Guareschi ricorre a un materiale semantico

usurato (paragoni spenti e diffusi nel lin-guaggio quotidiano, tipo: «solo come un ca-ne»;17 «arrancare come un ossesso»18) oppu-re riferito alla campagna e alla natura, prota-goniste di questo universo narrativo («venedel collo»; «pali di gaggia»).19 E poi una sin-tassi spezzata fatta di brevi frasi, legate so-prattutto da nessi coordinanti, dialoghi co-stituiti da veloci sequenze di battute, un to-no perentorio e asseverativo del narratore.

Fra i primi presupposti della poetica diGuareschi c’è la ricerca della più ampia co-municatività possibile, del dialogo con unpubblico molto largo, non quello dei tradi-zionali lettori di libri, ma quello ben piùesteso dei lettori di giornale. Per raggiungerelo scopo egli utilizza una serie di tecnichetutte ispirate a un principio di «efficace po-vertà»: Mondo piccolo è una costruzione ot-tenuta grazie all’abile fusione di materialipoveri combinati con limpida forza inventi-va e notevole organicità funzionale.

Guareschi decide di porsi dei vincoliespressivi piuttosto rigidi: estrema brevitàdel racconto (sempre di poche pagine), tea-tro unitario dell’azione, ferreo (e sintetico)assunto antipsicologistico, vocabolario diduecento parole.

Lavorando con questa grammatica ele-mentare, Guareschi elabora due notevoli in-venzioni icastiche. Mondo piccolo è un

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10. Giovanni Guareschi, Chi sogna nuovi gerani?, Milano,Rizzoli, 1993.

11. Giovanni Guareschi, Tutto don Camillo. Mondo picco-lo, a cura di Carlotta e Alberto Guareschi, Milano, Rizzoli,1998, voll. 3.

12. Giovanni Guareschi, Mondo piccolo. Don Camillo,Milano, Rizzoli, 1980, p. 190.

13. Giovanni Guareschi, Mondo piccolo. Gente così,Milano, Rizzoli, 1981, p. 121.

14. Giovanni Guareschi, Mondo piccolo. Don Camillo, cit.,p. 9.

15. Giovanni Guareschi, Italia provvisoria. Album del do-poguerra, Milano, Rizzoli, 1983, p. 31.

16. Giovanni Guareschi, Mondo piccolo. Don Camillo, cit.,p. 5.

17. Giovanni Guareschi, Mondo piccolo. Don Camillo e ilsuo gregge, Milano, Rizzoli, 1981, p. 76.

18. Giovanni Guareschi, Mondo piccolo. Don Camillo, cit.,p. 55.

19. Giovanni Guareschi, Mondo piccolo. Don Camillo, cit.,pp. 55 e 134.

20. Fulvio Panzeri, Senza rete. Conversazioni sulla “nuo-va” narrativa italiana, Ancona, PeQuod, 1999, p. 129.

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co silenzio critico su un non-scrittore, purfra alcune prese di posizione eccessivamenteapologetiche, sembra giunto il momentoper una considerazione finalmente equili-brata del «fenomeno Guareschi». Le paroledel trentenne Guido Conti, finalista alCampiello nel 1999 con I cieli di vetro, sannoessere insieme appassionate e critiche:«Nell’arte artigianale del narrare, che è

1. Umberto Eco, Le lacrime del Corsaro Nero (1971), in Ilsuperuomo di massa, Milano, Cooperativa Scrittori, 1976,pp. 13-24.

2. Il successo letterario, a c. di Vittorio Spinazzola, Milano,Unicopli, 1985.

3. Luca Clerici, Bruno Falcetto, Il mondo in duecento paro-le di Guareschi, in Il successo letterario, cit., pp. 71-96.Alcune delle osservazioni che seguono hanno origine inquesto articolo.

4. Gian Franco Venè, Don Camillo, Peppone e il compro-messo storico, Milano, SugarCo 1977, pp. 22-23.

5. Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana. IlNovecento, Milano, Einaudi scuola, 1991, p. 364.

6. Cfr. Pier Vittorio Tondelli, Navigazioni in bicicletta(1990), in Un weekend post moderno. Cronache dagli anniottanta,Milano,Bompiani,1990,pp.502-506;AlessandroBaricco, Guareschi, petardi d’autore sotto le poltrone deicritici, in «La Stampa», 17 giugno 1993, p. 20; MicheleSerra, E tutto ritornerà terra, introduzione a GiovanninoGuareschi, Don Camillo, supplemento a «Cuore», n. 186,27 agosto 1994, pp. 3-6.

7. Alessandro Gnocchi, Giovannino Guareschi. Una storiaitaliana, Milano, Rizzoli, 1998, p. 34.

8. Giovanni Guareschi, Mondo candido 1946-1948,Milano, Rizzoli, 1991.

9. Giovanni Guareschi, Il breviario di don Camillo,Milano, Rizzoli, 1994.

un’arte molto difficile e simile a quella delfalegname, mi sento vicino a Guareschi perle sue qualità narrative. Lui era un narratorevero, che scriveva novelle in sei cartelle mapoi sbagliava i finali per volerci mettere sem-pre la morale, anche se questo nulla toglie al-la sua grande capacità narrativa».20

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La storia entra sempre nel repertorio ar-gomentativo di un pubblicista politico.

Cambia solo, a seconda dei casi, lo spesso-re della riflessione storiografica. Questa puòessere episodica e strumentale al discorso po-litico o viceversa assurgere a pensiero formal-mente organizzato e compiuto. In Guareschiè scontato l’interesse prevalente per la politi-ca. Non si vuol dire con ciò che nei suoi scritti,e segnatamente sul suo foglio di battaglia– «Candido» –, latiti la storia. Si vuol solo af-fermare che è fatica inutile cercare nei suoi in-terventi giornalistici, e nemmeno nelle sueopere di più largo respiro,una considerazioneampia, argomentata, organica della «politicaal passato». Abbiamo anzi un andamento ac-celerato dal disinteresse più pieno all’interes-se dominante, mano a mano che si passa daltempo lontano al tempo presente. Insomma,nessuna considerazione d’insieme e nemme-no un giudizio minimamente svolto in ma-niera approfondita, ma solo massime o, addi-rittura, battute tra il polemico, il lapidario, ilsarcastico e il paradossale. «Lo storico obietti-vo che voglia fare oggettivamente della storiaonesta dovrebbe limitarsi a scrivere “In un

mondo di pazzi, i più pazzi furono vinti daipiù pazzi”» – questo è, inutile dirlo, in formaepigraficamente sarcastica, il succo della sto-ria per Guareschi. Altro che storicismo finali-stico. L’insensatezza pare essere la vera e unicacifra della storia. Si capisce a questo punto an-che perché il direttore di «Candido» riservicosì poche energie alla riflessione sul passatoe, tanto meno, si avventuri a organizzare unpensiero coerente su ciò che coerente – e sen-sato – non può essere. Nessuna trattazionedistesa sulla storia in generale ma pochissimeconsiderazioni anche sulla storia recente.

Il Fascismo. Il giudizio sul «regime» è ne-gativo, e questo non sorprende per chi, tral’altro, fascista non è mai stato. Quel che me-rita attenzione è la motivazione della sua con-danna. Il Fascismo non è rifiutato tanto sullabase dei valori da esso incarnati ma, assai più,per il fatto che esso rappresenta il trionfo del-la politica: la politica elevata a levatrice del-l’«uomo nuovo», una politica senza freni néargini e, per di più, accompagnata dalla mas-sificazione dell’individuo. Il Fascismo comeetà delle «folle disciplinate», del «partito mac-china» che rende gli uomini «pecore»: arche-

La storia d’Italia vista dal «Candido»Roberto Chiarini

“Obbedienza cieca, pronta, assoluta - Contrordine compagni! La frase pubblicata sull’Unità:‘Bisogna fare opera di rieducazione dei compagniinsetti’, contiene un errore di stampa e pertanto va letta: ‘Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni inetti’.”«Candido» 31 gennaio 1954

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né ladri né briganti, purché graditi al Duce»,in epoca repubblicana «tutti gli uomini poli-tici, mentre i più pavidi si dividono le nostrespoglie, creano le loro conventicole».

Della politica democratica Guareschi bol-la in particolare l’inclinazione pedagogica, lavocazione all’indottrinamento, la concessio-ne all’intolleranza spinta spesso sino alla per-secuzione e anche ad atti di vera e propriaviolenza. Lo chiama «il fascismo dell’antifa-scismo». Anche questo, come il precedente,chiede l’«obbedienza pronta, cieca, assoluta».Cambia solo che prima «la dittatura» eraesercitata da un solo partito e che dopo la li-berazione i partiti sono molti; ciò non impe-disce che di regime si tratti, il «regime dei par-titi di massa».

Nulla ci viene dalla storia così come nullaci può venire dalla politica. Lo scetticismosulla costruttività dell’agire politico è assolu-to. Molto più che dalla storia è dalla geografiache si possono derivare utili ammaestramen-ti. Più che dai tanti discorsi dei politici, si puòimparare dal semplice ciclo della vita dell’a-mato Po. Gli uomini – sembra ammonircil’autore di Mondo piccolo – possono prodi-garsi fin che vogliono per correggere, modifi-care, stravolgere il corso del grande fiume,possono anche litigare tra loro fino a straziar-si, ma esso prima o poi si incarica di cancella-re tutto il loro gran da fare con una delle sueinarrestabili piene e gli uomini tornano pic-

coli, anche se, lungi dal trarne una lezione sul-la irrimediabile futilità delle loro passioni po-litiche, continueranno a litigare per un com-pito appunto inutile.

Nulla ci insegna la storia, tanto meno essaci trasmette valori. Parimenti di nessun aiutoci può essere la politica. I Valori al maiuscolosono prodotti, sono esercitabili, sono da ulti-mo destinati a trovare il loro pieno corona-mento fuori e contro la politica. Sono, in unaparola, eminentemente meta-storici e meta-politici. Siamo insomma in presenza dell’elo-gio dell’impoliticità. Decidete voi se il suo siaun pensiero reazionario nostalgico di unmondo scomparso sotto l’urto della moder-nità in cammino, come hanno sostenuto isuoi critici ai tempi d’oro di «Candido», opiuttosto una provocazione post-moderna,tutta proiettata su un futuro post-ideologico,negli anni Cinquanta di là da venire.

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tipo, in una parola,del male assoluto della po-litica, il totalitarismo. «Il regime fascista altronon era che l’edizione latina del totalitarismorusso» non esita a sentenziare Guareschi. Ungiudizio netto che è anche un precetto politi-co: «Un autentico democratico» argomenta«deve essere per forza fiero avversario di ogniforza di dittatura».

La Resistenza. Lungi dall’ergersi comeesperienza esaltante di un «popolo in lotta»per il proprio riscatto, la Resistenza è presen-tata più prosaicamente come un impasto divissuti contrastanti. In essa si ritrovano lasoddisfazione per l’avvenuta liberazione dal-l’oppressione totalitaria e insieme la soffe-renza per le ferite subite, nonché la prostra-zione per l’umiliazione inflitta alla patria eallo stato a seguito dal tradimento delle al-leanze e della guerra civile intervenuta. All’i-taliano fascista l’inventore di «Candido» nonha un anti-italiano antifascista da contrap-porre, ma solo un’umanità sofferente ben fis-sata nell’immagine del «mondo piccolo» dalui celebrato in tanti affreschi. Nessun mitoda agitare, tutt’al più l’anti-mito del rifiutodella politica.

La Liberazione. Né l’8 settembre né il 25aprile meritano di essere ricordati, l’uno co-me fine di un incubo e l’altro come alba di unnuovo inizio. Semplicemente, per Guareschi,con l’armistizio «cessano le ostilità fra gliItaliani e gli angloamericani e iniziano le osti-

lità fra gli Italiani e gli Italiani» in un quadrod’insieme che vede subentrare «le vecchiemummie della politica» che «pettegolano dipolitica al sud, mentre al nord i giovani avve-lenati dalla politica si scannano al piano e almonte». Con la liberazione poi, «la gente»non fa che continuare a litigare «per mettersid’accordo su chi ha vinto e su chi ha perso, suchi aveva torto e su chi aveva ragione». La po-litica resta, come si vede, sempre declinata alnegativo. L’unico metro di giudizio valido pergiudicare anche la dimensione collettiva re-sta, sempre e solo, l’etica privata.

La Repubblica. Lungi dal riconoscere ilnuovo regime come la premessa, e la promes-sa, di una convivenza democratica avviata,sotto la guida dei partiti dell’arco costituzio-nale, verso la conquista di mete sempre piùavanzate di progresso civile e di libertà politi-ca, Guareschi declassa la «Repubblica, natadalla Resistenza» – per riprendere la formulatanto celebrata dai nuovi governanti – in«Repubblica busterellare italiana». Anche inquesto caso il metro di giudizio adottato nonè politico, ma – per così dire – privato, qualepuò essere adottato dal cosiddetto «uomodella strada», il quale non giudica sulla basedei valori sbandierati dai partiti ma dei fattiche cadono dentro la sua ristretta cerchia del-le esperienze vissute. Fascismo o Repubblica,la politica resta sempre uguale a se stessa. «Altempo dei fascisti […] non mancavano certo

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L’avventura artistica e professionale diGuareschi è sempre stata considerata dallacritica, sia letteraria, cinematografica e arti-stica, uno strumento funzionale all’afferma-zione della personalità umana e delle idee diun protagonista assoluto della vita politico-sociale dell’Italia del dopoguerra.

Solo negli ultimi anni si è trovata la sere-nità per affrontare il «moloch» Guareschi,cercando di limitarne, quando possibile, gliimpatti di ordine politico (la venerazione diun popolo di incrollabili quanto onesti se-guaci e una discreta parte della critica pocopropensa a valutare positivamente il successopopolare di un uomo non arruolato a sini-stra) per concentrarsi finalmente sulle opere,non già per trovare riscontri per l’una o l’altracausa bensì per investigare sulle ragioni pri-me di un successo ottenuto grazie alle grandiabilità sviluppate nell’ambito della narrazio-ne e della narrazione visiva.

Questo Guareschi comunicatore a tuttocampo, scrittore e illustratore, vignettista esatirico, soggettista cinematografico e cartel-lonista politico, si discosta dalla grande mag-gioranza degli artisti, anche i più eclettici co-

me Sergio Tofano, che occupavano la scenaartistico-narrativa tra illustrazione, letteratu-ra, teatro e cinema sino alla metà del secoloscorso, per marcare fortemente la transizionetra la rappresentazione dell’immagine di unasocietà a una società dell’immagine, dellospettacolo, della rappresentazione, dominatadalla comunicazione.

Guareschi incarna questa transizione cul-turale italiana più di molti altri suoi contem-poranei; una transizione, si badi bene, cheinizia sulle pagine dei periodici umoristico-satirici degli anni Trenta, passa attraverso ilteatro leggero, il cinema tra neorealismo ecommedia all’italiana per chiudersi conCarosello negli anni Sessanta, dove gli intreccitra commedia e tragedia, passato e futuro, cit-tà e campagna, il singolo e la massa sociale sifanno strettissimi. Emergono figure di riferi-mento fortemente ideologiche e assoluta-mente individualiste come Mino Maccari,Ennio Flaiano, Leo Longanesi, Cesare Zavat-tini e, appunto, Guareschi. D’altro canto sial’esperienza neorealista, sia il teatro leggero eil varietà, sia l’avvento del media televisivo,per strade diverse ma confluenti, traghettano

Giovannino Guareschi: tra immagini e immaginariErik Balzaretti

“Obbedienza cieca, pronta, assoluta - Contrordine compagni! La frase pubblicata sull’Unità:‘Gli attivisti devono dedicare la gita al partito’contiene un errore di stampa e per tanto va letta:‘Gli attivisti devono dedicare la vita al Partito!’”«Candido» 14 marzo 1954

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lizzato si direbbe ora: questo avviene primaattraverso l’esperienza surrealista e destruttu-rante di «Bertoldo» per approdare, dopo lascelta nobile della prigionia, a un dopoguerradominato da continui e più che realistici slan-ci anticomunisti costruiti attorno a un perio-dico propriamente satirico ed erede dellagrande tradizione europea dell’antagonismodisegnato quale si dimostrerà «Candido». Siequilibra infine nella saga di don Camillo ePeppone, in maggior misura attraverso le ver-sioni cinematografiche che non già attraversoi racconti di Mondo piccolo.

In questo senso emerge la grande capacitàdi Guareschi di scegliere di volta in volta glistrumenti, preferibilmente iconico-visivi, chesi evidenziano con forza innanzitutto nellascrittura, figlia di un immaginario scenogra-fico e tipologico mutuato dalla tradizione po-polare e dalle scene dell’altrettanto popolareteatro dialettale, da utilizzarsi con maggioreefficacia per incidere nella percezione e nellevalutazioni dell’opinione pubblica frastorna-ta dalla guerra e dal dopoguerra.

Può sembrare assurdo ma, in questa pro-spettiva, diviene di relativa importanza stabi-lire se in Guareschi queste capacità fosserosempre istintuali oppure a volte frutto di unastrategia finalizzata: risulta, infatti, chiara l’o-smosi tra l’idea e l’immagine di essa che l’au-tore riesce a rendere dove la scelta tecnica ègià parte della traduzione visiva.

D’altro canto è noto che quando vennerichiesto a Guareschi, illustratore e umori-sta, di rappresentare su «Bertoldo» immagi-ni di signorine poco vestite e di forme ab-bondanti, alla moda di Mameli Barbara sul«Marc’Aurelio» e poi di Boccasile con «LeSignorine Grandi Firme», dopo i primi mo-desti tentavi, egli rispose con l’indimenticabi-le serie di vignette, realizzate con stile espres-sionista e caricaturale, dedicate alle racchissi-me, enormi Vedovone. Questo a dimostrazio-ne che le sue corde non «vedevano» giovaniragazze discinte, ma tremende megere, viragodi quella piccola borghesia che trovava nelleangherie della moglie – in versione iperreali-sta – nei confronti del piccolo marito un to-pos classico della commedia popolare e dia-lettale. Qui, in realtà, non si intravede quellasatira di costume tollerata dal regime fascistacon cui si è spesso liquidata l’esperienza di«Bertoldo», del quale Guareschi sarà colonnae caporedattore da poco dopo la nascita nel1936 sino al 1943, ma un tentativo, ai tempiveramente rivoluzionario dal punto di vistamediale, di spettacolarizzare rimodernando,con stile dada-surreal-espressionista, la quo-tidianità più oleografica e più significativa dalpunto di vista del riconoscimento sociale. Unpasso avanti al popolaresco «Marc’Aurelio» eun passo indietro a Novello, vero padre dellaspettacolarizzazione delle miserie umane del-la borghesia italiana del Ventennio e incredi-

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l’italiano medio verso un continuo gioco dispecchi dove la fantasia del reale rinsalda ilrapporto tra realtà del moderno e tradizionepopolare, che non solo non collidono mapartecipano alla formazione di una societàcostantemente bisognosa di rappresentarsi.La formula vincente, se si pensa al successoletterario ma principalmente visivo e cine-matografico, di Guareschi si trova in un reali-smo fantastico dominato dai valori della tra-dizione più popolare e di comunità e percor-so da una forte corrente di ambivalenza posi-tiva e negativa nei confronti dei cambiamen-ti sociali provocati dalle spinte della societàindustrializzata. In questa dinamica, a parti-re dalla metà degli anni Trenta, complici leleggi sulla stampa del 1925, sino agli anniSessanta, il ruolo degli specialisti della comu-nicazione viene amplificato e stravolto: dauna vocazione suddivisa tra impegno sociale(la satira politica illustrata, strumento cheGuareschi utilizzerà con spietatezza dalle pa-gine di «Candido») e assoluto disimpegno(l’umorismo più becero dei periodici illu-strati normalizzati dal regime) si approda auna satira di costume costantemente in feed-back con la società reale.

Il vero padre di questa lucida ma forte-mente spettacolarizzata tendenza non puònon essere Giuseppe Novello, il quale neglianni Trenta, attraverso le sue illustrazioni altratto, inaugura in Italia proprio una satira di

costume non più genericamente indirizzataalle mode, all’esteriorità degli atteggiamentisociali bensì indirizzata agli aspetti più pro-fondi e moralmente discutibili dell’essere so-ciale borghese, fornendone un ritratto reali-stico ma al tempo assolutamente fantastico edi enorme impatto sull’immaginario socialeche ne sarebbe seguito. La messa in piazzadelle anime oltre che dei corpi diventa subitoteatro e poi cinema, perché la formula è appli-cabile anche alle classi sociali popolari che ri-cercano una loro rappresentanza e una lororappresentazione nell’ambito della comuni-cazione prima e nella società poi. Su questo ilmovimento neorealista lavorerà molto, sban-dando tra l’idea della commedia, poi divenu-ta un vero e proprio genere, e quella della tra-gedia che la guerra impone per un lungo pe-riodo. Lo stesso teatro dialettale, spesso poidivenuto nazionale, lavora su questo versan-te: si pensi a Pirandello, ai De Filippo e al ge-novese Govi. In questo ambito Guareschi, investe di tormentato soggettista e sceneggiato-re, produrrà, forse suo malgrado, un vero eproprio capolavoro attraverso l’esperienza ci-nematografica della tragicommedia con fina-le ottimista dei duellanti di Mondo piccolo:don Camillo e Peppone.

La vicenda umana di Guareschi, mai di-sgiunta dalla vicenda artistica e professionale,si esplicita nei dettami del Mondo piccolo, evi-dentemente verso un mondo grande, globa-

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ciuti» nella serie Obbedienza cieca pronta as-soluta. Sarà per l’asprezza della battaglia poli-tica, prima anticomunista poi antidemocri-stiana e antistatalista, ma «Candido» apparel’operazione più razionale e tutto sommatotradizionale di Guareschi: la «vecchia» satirabarricadera di tradizione risorgimentale, tut-ta proiettata a colpire più che un regime tuttociò che può potenzialmente snaturare le re-gole morali e la sopravvivenza del Mondo pic-colo. Per difenderlo Guareschi si inventerà an-che comunicatore politico e cartellonista-illustratore per le elezioni politiche del 1948;qui utilizzerà un segno di grande impatto vi-sivo e grande forza espressiva, in sintonia conla veemenza dei contenuti: una versione su-per popolare ed estremamente efficace dellapropaganda nazi-fascista di un Boccasile.

«Candido» diventerà per alcuni anni unpunto di riferimento politico di grande im-portanza in Italia, grazie all’enorme successodi vendite, facendo di Guareschi un vero eproprio opinion leader. Le travagliate vicissi-tudini e gli infortuni quasi naturali per ungiornale così fortemente polemico, pagati daGuareschi sempre personalmente al limitedel martirio, favorirono il concretizzarsi an-che dell’esperienza cinematografica, ancoraprodotta da Rizzoli, basata sui racconti ospi-tati sul periodico milanese. Prima della con-troversa avventura della serie di Don Camillo,nel 1950, Guareschi firmerà il soggetto per un

film dal titolo Gente così, dedicato alla figuradi don Alessandro Parenti, parroco di Tre-palle in Valtellina, conosciuto qualche annoprima, il prototipo morale dell’uomo e del re-ligioso proveniente dalla città, capace di ca-larsi nella realtà di una piccola comunità finoa divenirne un punto di riferimento. Il filmnon ebbe successo, forse a causa del troppoverismo e della relativa notorietà del regista,Fernando Cerchio, e degli attori protagonisti,Vivi Gioi, Camillo Pilotto e Adriano Rimoldi;l’idea di un religioso saldo nei principi mamoderno e anticonformista si trovava solonelle pagine di G. K. Chesterton. La rappre-sentazione teatrale, ancor prima che cinema-tografica, del dopoguerra italiano che si svol-ge a Brescello, nella Bassa, non racconta dellaguerra, se non marginalmente, né della rico-struzione morale e civile del Paese, ma si con-centra su una quotidianità scandita dalla tra-dizione, messa in pericolo non dagli uominima dall’ideologia che porta all’estremismo.Non una parola sulle ragioni alla base di taleideologia, perché il «mondo piccolo» è l’uni-co mondo possibile che valga la pena di salva-re. Sicuramente questa visione incontrò i fa-vori di buona parte del pubblico ideologizza-to e non, anche grazie alle figure principaliche costituivano da sole i problemi e le solu-zioni, chiudendo con l’umano buon senso lediatribe, concordando sui valori più profondie fondanti, pietre angolari della vita comuni-

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bilmente compagno di Guareschi nei giornidella prigionia nel lager di Beniaminovo.

Con questa particolare sensibilità Guare-schi, insieme a Giovanni Mosca e a CarloManzoni, sarà l’anima di «Bertoldo», con leVedovone, gli Stati piccolissimi e i Soldati dicarillon. Di fustigare comportamenti e costu-mi non se ne parla affatto, proprio perché nonsi vuole fustigare assolutamente nessuno,nemmeno il famoso «tigrotto di Gallarate».Levignette di Guareschi, proprio come le avven-ture dell’opera di G. C. Croce, ricercano unamorale semplice ma fondante, quella moralepopolare che esige sempre un finale dove,nonostante l’apparente confusione, le cose sirimettano a posto, all’interno di un sistemasociale che si autoregola, rinnovandosi nellatradizione.

Dal punto di vista squisitamente tecnicogià si intravede, fra tratti sostenuti, volti forte-mente caricati, l’uso inquietante dei colori,collages, interventi grafici su fotografia echiaroscuri esili alla Dubout, la naturale in-clinazione alla costruzione scenica della vi-gnetta, con inquadrature ancora inusuali perl’umorismo disegnato e la messa in atto di at-mosfere volutamente, per contrasto, carichedi pathos. Il segno di Guareschi illustratorenon risulta mai monocorde ma sembra mo-dellarsi, di volta in volta, giocando sempresulla regola del contrasto. Sia su «Bertoldo»sia, ad esempio, nelle illustrazioni datate 1950

per La favola di Natale, scritta durante l’inter-namento a Sandbostel e pubblicata nel 1945,Guareschi rovescia le regole classiche dellarappresentazione iconografica: realizza consegno espressionista e caricaturale vignettedal contenuto molto leggero o, viceversa, al-leggerisce, attraverso uno stile che salda il tar-do decò con le prime italianissime versionidel «Topolino» mondadoriano di AngeloBioletto, i temi tragici della prigionia, come alsolito narrati privilegiando il sentimento ela speranza all’effettiva drammaticità deglieventi. L’atmosfera di La vita è bella, il film diCerami e Benigni, vincitore di un Oscar, ri-corda molto l’opera di Guareschi, quasi a vo-ler dimostrare che quel realismo fantasticocontinua ad avere una grande presa sul pub-blico.

Segno e contenuto ritrovano una forteomogeneità sulle pagine del battagliero«Candido», organo personalissimo di Gua-reschi, nato nel 1945, e a cui collaboraronobuona parte dei vecchi sodali di «Bertoldo»,ma con spirito assai diverso. Guareschi domi-na il giornale, ancora edito da Rizzoli, sia sulversante letterario con rubriche e racconti,vedi Mondo piccolo, sia e soprattutto sul ver-sante visivo, realizzando copertine, vignette eillustrazioni interne con uno stile volutamen-te satirico. Il segno è appesantito sino al limi-te della sgradevolezza, ma senza rinunciare ainvenzioni sublimi quale quella dei «trinari-

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gliando le sue caustiche e aggressive illustra-zioni satiriche, forse non ci si imbatte in unospecchio fedele della realtà del lungo dopo-guerra italiano, ma sicuramente, ancora unavolta, ci si trova dinanzi a come vorremmofosse stata. Per questo si è parlato di una fortecomponente di comunicazione, di una scel-ta, di un taglio di prospettiva che privilegias-se una forte conflittualità solo superficiale,pacificata da un’unità sostanziale, patriotti-ca. Non a caso Guareschi visse nel mito mo-narchico-risorgimentale e avversò l’indeci-frabile e democratica Repubblica borghese.

Guareschi ci ha raccontato un’Italia che nonc’era più, e forse non c’era mai stata, metten-do in scena lo spettacolo della gente, quellagente che non era già più un popolo, rappre-sentandola e convincendola di essere, in fon-do, meglio di quello che credeva. Un neorea-lismo fantastico dove la rappresentazionedella società, i suoi strumenti mediali e i suoiinterpreti più aggressivi sono i veri protago-nisti non solo della Storia ma anche, e soprat-tutto, delle sue immagini e del suo immagi-nario.

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taria. Le figure di Fernandel e Gino Cervi ri-sultano la vera chiave del successo assai piùche le claudicanti soluzioni e adattamenti divari registi: Julien Duvivier,per Don Camillo eIl ritorno di Don Camillo, rispettivamente del1952 e del 1953, Carmine Gallone, con DonCamillo e l’Onorevole Peppone del 1955 e DonCamillo Monsignore... ma non troppo del1961,e Luigi Comencini, con Il compagno donCamillo del 1965, ultimo film girato conGuareschi in vita e interpretato dalla famosacoppia di attori. La scelta degli attori princi-pali e dei rispettivi physique du rôle fu solo laprima di una lunga serie di incomprensionitra il soggettista e i professionisti della mac-china da presa. Guareschi si sentì sempre tra-dito dai registi, dagli sceneggiatori ma soprat-tutto dalla produzione: la Cineriz dell’im-mancabile Commendator Rizzoli. Guareschinon amava essere interpretato, e pensava a uncinema specchio fedele della scrittura: unasorta di illustrazione in movimento. Infatti, letraduzioni grafiche del don Camillo, prima ein assenza della visione del film, appaiono ri-baltate nella caratterizzazione dei personaggi.Guareschi sposava l’opinione che i contrasti,anche quelli a fine umoristico, dovessero es-sere forti perché emergessero i valori e i disva-lori. In questo senso i film realizzati dai suoisoggetti, e poi anche dal lavoro di sceneggia-tore, sono tecnicamente più poveri della me-dia del cinema italiano tra dopoguerra e

boom economico. Ma il lavoro di conteni-mento e di alleggerimento del claustrofobicoGuareschi, che nasceva dall’equivoco dell’an-ticomunismo militante e dalla paura del bot-teghino, ci rende intatta l’ossatura di una pic-cola Italia capace di sopravvivere alla «grandeStoria» opponendole valori forti fatti in casa,talmente forti da favorire un incontro, unaconvivenza possibile tra cristiani e socialisti,in quanto figli della stessa comunità e soprat-tutto in quanto uomini. Il pubblico che videallora questi film si vide rappresentato e viderappresentare un mondo proprio comeavrebbe voluto che fosse realmente: una bra-va persona con i propri difetti, aperta alla vitae al futuro, in un mondo senza ingiustizie go-vernato dal buon senso e dal buon Dio.Ancora una volta emergono i sentimenti po-polari di Guareschi, quando non diventa essostesso vittima del suo gioco preferito, ovveroquel visto da destra e visto da sinistra, nato su«Candido», che non permette di scindere laparodia dalla reale radicalità delle idee.Come nel caso di La rabbia, documentario indue parti, girato nel 1963 e curato da Pasolinie Guareschi, dove i due autori, forse perchépresero troppo sul serio la richiesta di rap-presentare a modo loro la storia allora con-temporanea, si propongono come antidotoal veleno della politica lontana dal popolo edelle ideologie totalizzanti. Rivedendo le pel-licole tratte dai racconti di Guareschi e sfo-

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Spero di non essere stato invitato qui inrappresentanza della sinistra. Non ne ho la ti-tolarità. Rappresento a malapena me stesso.Non ho ricevuto e tanto meno richiesto, in ta-le senso, alcun mandato ufficiale. Né mi risul-ta esistere, quand’anche fosse esistito in pas-sato, un Sant’Uffizio del culturalmente cor-retto.

Non posso né desidero essere l’esecutoreo anche solo il testimone di una riabilitazionepostuma che rischia di avere la freddezza diun atto notarile. Riabilitazione, poi, è una pa-rola che mi fa venire in mente più la fisiotera-pia che la cultura.

Spero di essere stato invitato qui solo co-me lettore di uno scrittore.

Come lettore di Giovannino Guareschi.Quando si legge un libro, si legge un libro.

Ci si consegna a un testo, non a un contesto:anche se è solo il contesto, ahimè, quello cheormai schiude le porte ai dibattiti sui giornalie spesso perfino all’attenzione dei critici, chepure soprattutto del testo dovrebbero averecura. Non è cambiato molto, in questo senso,dai tempi in cui Guareschi veniva bollato co-me «scrittore mai nato» perché era anticomu-

nista. Oggi rischia di venire consacrato scrit-tore ri-nato soltanto perché la sinistra intel-lettuale e accademica lo spregiava, e saremmodaccapo. Protagonista dell’intera vicendacontinuerebbe a essere non la scrittura diGuareschi, ma la disputa politica sulle suespoglie.

Quando si legge un libro, sempre che lo sivoglia davvero leggere, ci si deve aprire a quel-le parole e a quella storia. È necessario farlocon l’ingenuità necessaria – che non sarà maipari all’ingenuità totale e spesso dolorosa dichi scrive, ma può almeno tentare di ricom-pensarla. Ho avuto la fortuna di poter leggereGuareschi con il massimo dell’ingenuità con-sentita. Perché non ero ancora diventato di si-nistra. Di più, non ero ancora diventato pro-prio niente. Avevo undici anni.

Devo l’incontro con Mondo piccolo a miononno, Guido Errante. Alla sua libreria benmunita. E alla mia noia estiva.

Avevo appena finito il mio ultimo Salgari,probabilmente uno degli stiracchiati romanziesotici della vecchiaia, e non sapevo come am-mazzare il tempo, il lungo tempo di una va-

Neanche un prete per chiacchierareMichele Serra

“Obbedienza cieca, pronta, assoluta - Contrordine compagni! La frase pubblicata sull’Unità:‘In ogni paese bisogna organizzare una grande fettadell’Unità’, contiene un errore e pertanto va letta:‘In ogni paese bisogna organizzare una grande festadell’unità’.”«Candido» 14 ottobre 1951

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averne poi autorevole e altissima conferma daRabelais e Sterne, che l’umorismo può com-prendere e descrivere la vita umana con lastessa efficacia dello stile tragico. Con più pu-dore, però.

Tenevo per don Camillo perché nessunbuon lettore di avventure può permettersi didisobbedire all’autore, e all’ordine dramma-tico che egli ha stabilito: questo è l’eroe, questoil suo avversario.

Ma Guareschi sapeva dare ai suoi «catti-vi» la patina coinvolgente dell’umanità. Unaco-umanità così ben tratteggiata, all’inter-no del comune campo di battaglia e di vita,che le sconfitte di Peppone mi diedero penatanto quanto la sventura dei troiani. O ladisfatta degli apache.

Da grande, ovviamente, fu un’altra storia.La conoscenza più smaliziata di Guareschi,però, non è mai riuscita a sovrapporsi del tut-to alla forte impronta epico-avventurosa dellalettura fatta da ragazzo, quando nulla sapevo ecapivo di politica e tanto meno di letteratura.

Ho riletto, prima di venire qui, l’introdu-zione a Mondo piccolo che scrissi nel 1994,quando decisi di ripubblicare il libro come al-legato a «Cuore».

Mi ha fatto felice scoprire che la mia ri-flessione adulta non si è sovrapposta controppa malagrazia al felice ricordo del mioGuareschi da spiaggia. Da quelle suggestioni

antiche, di lettore vergine, ho recuperato e ri-adattato l’idea che la tanto vituperata «facili-tà» di Guareschi non fosse faciloneria di scrit-tura, ma urgenza di narrare, di raccontarestorie. Se Guareschi non fu di certo uno scrit-tore letterato, fu però uno scrittore potente,proprio nel senso, oggi quasi perduto, del do-minio della narrazione come sola, autenticavia per la conquista emotiva del lettore.

Quanto alla mia primitiva simpatia perPeppone, posso confermare la piena corre-sponsabilità di Guareschi. Il vero pericolo,perGuareschi, non era e non poteva essere inter-no al «mondo piccolo». Era fuori di esso.

Se è indiscutibile che il vero buono è donCamillo, il vero cattivo non è Peppone. Sonogli uomini che arrivano dalla città a scompa-ginare i ritmi e i valori della campagna, dellafamiglia patriarcale, del tempo circolare, eter-no e ripetitivo, che regola le stagioni e fa cre-scere, insieme al grano, anche i pali di gaggìada calarsi sul groppone.

Il populista Guareschi si servì dell’ideolo-gia di Peppone per sbugiardarla, ma contavamolto su Peppone. Per il solo fatto di essereun uomo della Bassa, il compagno sindacoBottazzi non poteva davvero tradire l’ethnose i suoi valori antichi.

Credo che Guareschi, se fosse sopravvis-suto ai suoi tempi trascinandosi fino ai nostri,sarebbe in questo senso annichilito dall’ango-

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canza estiva in Liguria. Tutto molto azzurro, eneanche un prete per chiacchierare…

La televisione, allora, aveva un solo canaleche apriva le trasmissioni alle cinque del po-meriggio. Erano i meravigliosi tempi bui delmonopolio, che univa alla prepotenza di farcivedere solo quello che voleva lui, anche la de-licatezza di non farci vedere proprio nulla permoltissime ore al giorno. Gliene siamo anco-ra grati.

Il nonno, dopo avere studiato per un belpezzo che cosa potesse essere adatto a un ra-gazzino, estrasse dalla libreria due volumi.Rilegati in tela verde scuro, come quasi tutti isuoi libri. Erano Mondo piccolo di Guareschi eLessico famigliare di Natalia Ginzburg.Vicinidi scaffale per via dell’ordine alfabetico, vici-nissimi nella mia memoria perché furono imiei due primi libri «veri». Lontanissimi pergenere, stile letterario e autore. Uno scrittoredi destra, una scrittrice di sinistra. Un celebremarginale del mondo letterario e un’inquilinadi rango di casa Einaudi. Un contadino rea-zionario e una borghese comunista. Ma tuttoquesto, per fortuna, lo seppi parecchio tempodopo.Mio nonno si guardò bene dal rendermiedotto della sua istintiva par condicio e mi la-sciò solo, in santa pace, con i due libri.

Fu così che passai direttamente da Salgaria Guareschi, da Sandokan a don Camillo.Passaggio che risultò naturalissimo: da un li-bro d’avventure a un altro. Dalla Malesia con

le sue tigri alla Bassa con le sue zanzare. Dalkriss da infilare a tradimento nel cuore, al pa-lo di gaggìa da calare sul groppone. Armi di-verse per selvaggi diversi. Familiarizzai conpopolazioni sconosciute, nomi mai sentiti:dopo i cingalesi, incontrai i comunisti.Probabilmente da grande diventai comunistaperché non potevo diventare cingalese.

I preti li conoscevo già. Ma mi erano noticome una schiatta esangue, che parlava a bas-sa voce e aveva una stretta di mano debole efredda. Don Camillo ribaltò il mio immagi-nario curiale. Che idea geniale fare di un preteun uomo d’azione, una specie di supereroepiù intrigante di Richelieu, più curioso diPadre Brown, più manesco del frate Tuckdi Sherwood, più animoso dei Templari diWalter Scott. Con tanto di ultrapoteri confe-ritigli direttamente dal suo nume.

Dei comunisti, invece, non sapevo nulla.Mi piacque parecchio la parola. Produceva unsuono acuminato e affascinante, lo stesso checominciavo a sentire echeggiare nelle conver-sazioni dei grandi. In attesa di saperne di più,mi adattai a considerarli alla stregua di unabanda, la banda rivale di quella di donCamillo. Dopo gli achei e i troiani, i cristiani ei mori, i cow-boys e gli indiani, ora mi venivaregalato un nuovo antagonismo avventuroso,quello tra preti e comunisti.

Divorai il libro e mi divertii, appunto, co-me un ragazzino. Scoprii, molto prima di

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scia. Penso alle biotecnologie, al mercato dei-ficato, al virtuale come sbocco estremo dellosnaturamento, come tradimento definitivodell’onestà materiale del lavoro, della fatica,del campare la vita.

Scriveva Guareschi nella sua prefazionealla prima edizione rizzoliana di Don Camil-lo: «Gli uomini cercano di correggere la geo-grafia bucando le montagne e deviando i fiu-mi e, così facendo, si illudono di dare un corsodiverso alla storia. Ma non modificano un belniente, perché un bel giorno tutto andrà a ca-tafascio. E le acque ingoieranno i ponti, eromperanno le dighe, e riempiranno le mi-niere. Crolleranno le case e i palazzi e le cata-pecchie, e l’erba crescerà sulle macerie e tuttoritornerà terra».

Se è vero che l’amore per il territorio, ilsuo fiume, i suoi alberi, la sua gente, è il verospirito che ha abitato la vita e la penna diGiovannino Guareschi, forse è il caso di mo-dificare sostanzialmente il contesto nel qualeoggi usiamo discutere di lui (e di molto altro).Il dualismo destra/sinistra descrive a malape-na, e con continue e reciproche invasioni dicampo, il vero grande scontro di valori e disentimenti che ha segnato il secondo Nove-cento italiano: quello fra Tradizione e Mo-dernità. Tanto che, ripubblicando il Mondopiccolo nel 1994, mi permisi di tirare in balloun altro grande e diversissimo populista rea-zionario come Pasolini.

L’accostamento sarà magari stravagante oblasfemo, ma il gioco delle similitudini e deicontrasti è sempre utile quando serve a scom-paginare le nostre pigre certezze in fatto dischieramenti ideologici ed etichettature poli-tiche. Alla stessa stregua, non vedrei male unostudio o una tesi di laurea che contrapponessel’antiborghese Guareschi al borghese Longa-nesi, tanto per dire quante destre l’Italia abbiaavuto, e quanto differenti tra loro.

Poiché mi ero riproposto di non parlareaffatto di destra e sinistra, e invece almeno unpoco l’ho fatto, concludo arretrando, e pa-gando il mio secondo debito con GiovanninoGuareschi, dopo quello di avermi iniziato allalettura. Per suo merito e in sua memoria, hotrascorso una bella e commovente giornata aRoncole di Busseto, parlando di lui con i suoidue figli. Chi non è mai stato a Roncole diBusseto, specie in un pomeriggio canicolaredi piena estate, in quel silenzio immobile, si èperso uno spicchio d’Italia decisivo, minu-scolo e intenso quanto Venezia o Firenze oRoma sono immense e spettacolari.

Parlammo sotto la pergola piantata, moltianni fa, da Giovannino. A pochi metri dallacasa natale di Giuseppe Verdi. La terra profu-mava, e per qualche ora ebbi la fragile certez-za che non è affatto necessario che tutto ritor-ni terra, perché in realtà niente ha mai smes-so, neppure per un attimo, di essere terra.

La Fondazione Arnoldo e AlbertoMondadori è un centro studi per la storia e la cultura editoriale che da anni opera in strettacollaborazione con le autorità che si occupano della salvaguardiadella memoria del lavoro editoriale.Gli archivi editoriali, infatti,a metà strada fra archivi letterari e archivi d’impresa, rappresentano uno straordinario patrimonio non solo per ricercatori di storiadella letteratura, storici d’impresa,sociologi, semiologi, biblioteconomi,studiosi di storia della grafica e dell’illustrazione.Tra i principali fondi conservatipresso la Fondazione, ricordiamol’archivio storico della ArnoldoMondadori Editore e del gruppoSaggiatore, il fondo Linder,la collezione Minardi,il fondo Bottai, il fondo Testori,il fondo Manzini, il fondoMazzucchetti.

Questo volume è stato stampato per conto della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadoripresso Galli Thierry nel luglio 2003