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  • CARTE DI CONTROLLO Come utilizzarle in ambito riabilitativo

    TERAPIA OCCUPAZIONALE Nei pazienti che sono affetti da demenza

    CIBO E SOLUZIONIUtilizzo sala da pranzo e “collaborazioni”

    PROTOCOLLO DI LAVORO La diarrea acuta nell’anziano fragile

    INTEGRAZIONE POSSIBILE L’operatore nell’équipe assistenziale

    Protocollo clinico assistenziale per il management della diarrea acuta

    DIMISSIONE PROTETTABisogni, competenze e pianifi cazione

    TERAPIA E COMPETENZEOperatore socio-sanitario e somministrazione

    “THE MUST”Una guida per valutare la malnutrizione

    LAVORO DI CURAAnalisi della dimensione uomo-donna

    INDICE

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    SU QUESTO tema si è largamente di-scusso di “etica dell’organizzazione”, sot-tolineando come oggi l’intervento assi-stenziale implichi non soltanto istanzedi natura pratico-organizzativa, ma ancheteorica ed etica. Ciò nonostante, l’organizzazione delleprocedure di cura in ambito ospedalieroe riabilitativo rimane per molti aspettiancora carente. Infatti, soprattutto neiconfronti delle persone fragili anziane edementi, la prassi di controllare gli in-terventi assistenziali e di monitorare co-stantemente i risultati dei processi dicura appare per molti aspetti utopistica olontana dal realizzarsi. A tal fine sonostate proposte modalità di verifica deirisultati (e di controllo dei processi),alcune delle quali vengono di seguitodiscusse.

    LE CARTE DI MONITORAGGIO DEI PROCESSI DI CURALe carte di monitoraggio (CDM)“infermieristiche”Il cambiamento del modello di cura nell’at-tuale panorama sanitario (da un modellodi cura orientato al trattamento della ma-lattia acuta ad un modello fortementesbilanciato sul trattamento delle malattiecroniche) ha significativamente modificatole competenze progettuali e gestionalidelle figure dell’assistenza. Il profilodell’infermiere e l’introduzione di nuovefigure di supporto (quali gli operatori so-cio-sanitari, OSS) favoriscono il modellodella pianificazione e progettazione comecostruzione, tra i diversi attori dell’assi-stenza, del significato e del senso delleazioni da intraprendere. A questo scopoè fondamentale la comunicazione, la

    discussione ed il dialogo tra tutte le figuredell’assistenza (medico, infermiere, OSS,terapista della riabilitazione). Perché ciònon rimanga soltanto un obiettivo a cuitendere, ma diventi una conquista ac-quisita, è necessario identificare le prioritàdella cura, pianificare gli interventi esuddividere i compiti tra le figure dell’équi-pe. Oggi, per decreto regionale, in ogniunità di riabilitazione della RegioneLombardia, l’équipe ha il dovere di com-pilare entro 72 ore dall’ingresso in strut-tura il cosiddetto “Progetto RiabilitativoIndividualizzato” (PRI) con la finalitàesplicita di identificare gli obiettivi dellacura e la definizione dei compiti per ognimembro dell’équipe. È un percorso ne-cessario ma che spesso rischia di restaresoltanto una nobile dichiarazione di in-tenti. Non sempre, infatti, al PRI conse-gue un’analisi di monitoraggio/controllodelle procedure di assistenza effettiva-mente adottata. Ciò può essere dovutoad almeno due impedimenti: un primopuò essere legato alla difficoltà di strut-turare sempre ed in ogni gruppo l’abi-tudine a lavorare insieme; un secondo,ma non meno significativo, è legato allamancanza di strumenti specifici per ilcontrollo delle procedure. Si prenda adesempio il caso dell’idratazione: tutte lefigure usualmente concordano sulla ne-cessità di stimolare l’idratazione in unpaziente anziano a rischio di disidrata-zione o incapace di assumere autono-mamente i liquidi. Anche se è chiaro chidebba rilevare il rischio (medico e infer-miere) non sempre si è tempestivi nelmettere in atto le procedure di controllo.Bisogna, inoltre, affinare la capacità diorganizzare un programma di gestionedelle procedure assistenziali che pongasullo stesso piano, in termini di dignità dimansione, la somministrazione dei liquidicon altre procedure igienico-assistenzialispecifiche per ruolo professionale.Nella UO Riabilitazione Polifunzionale

    CARTE DI CONTROLLOCome utilizzarle in ambito riabilitativo

    IL DOCUMENTO “BIOETICA E RIABILITAZIONE”, RECENTEMENTE LICENZIATO DALCOMITATO NAZIONALE DI BIOETICA (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI,2006), SOTTOLINEA COME NON VI POSSA ESSERE UN INTERVENTO RIABILITATIVOCHE POSSA DEFINIRSI “ETICAMENTE APPROPRIATO” SENZA CHE GLI ATTORIDELLA CURA, MEDICI, INFERMIERI, OSA, OTA E FISIOTERAPISTI SI IMPEGNINO ACONTROLLARE LA CORRETTEZZA DEI PROCESSI ASSISTENZIALI ED A MISURAREGLI OUTCOMES DI SALUTE.

    > di G.BELLELLI *- M. PAGANI *- A.M. BRUNENGHI *- B.BERNARDINI **- S. DE MICHELI ***- M. TRABUCCHI ****

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    della casa di Cura “Ancelle della Carità”di Cremona, sono state approntate al-cune carte di monitoraggio (CDM). Laprima è stata approntata per l’idratazione:si tratta di uno strumento utilizzato dalpersonale di assistenza (infermieri, OTAe OSS) che consente di verificare inmomenti predefiniti della giornata (allafine di ogni turno) se l’introito è corrispon-dente alle attese del progetto assisten-ziale. Ogni figura coinvolta nel progetto diassistenza (e non soltanto una di queste)utilizza la CDM e verifica se il compito(“fare assumere un bicchiere di liquidi alpaziente”) è stato assolto correttamente.L’infermiere ha il ruolo di controllore/os-servatore del progetto assistenziale, edeventuali difficoltà nell’assunzione deiliquidi gli devono essere prontamentecomunicate. Un eventuale impedimentoal raggiungimento dell’obiettivo assi-stenziale viene ridiscusso (in tempi rapidi)nel progetto riabilitativo da tutti i compo-nenti dell’équipe. Un’altra CDM è stata

    approntata per i pazienti con patologierespiratorie croniche gravi (insufficienzerespiratorie); pazienti affetti da patologiedi questo tipo sono infatti sempre piùpresenti nei reparti di riabilitazione specia-listica e geriatrica, ed il bisogno di averea disposizione strumenti che permettanodi monitorare in modo preciso ed efficacele modalità di gestione degli ausili per larespirazione è molto sentito dall’équipe.La CDM da noi approntata (Fig. 1) per-mette:a) di precisare gli orari di somministra-zione di ogni singolo presidio (occhialini,maschera di Venturi, ventilazione mec-canica non invasiva) prescritto dal medicoper il paziente;b) di quantificare il monte-ore di eroga-zione di ogni singolo presidio nell’arcodelle 24 ore;c) di ridurre i margini di errori dell’infermie-re nell’erogazione della terapia prescrittae del medico nella sotto/sopravalutazionedel tempo “effettivo” di erogazione del

    presidio stesso (sulla CDM è possibilesegnalare se alcuni interventi program-mati non sono stati attuati per problemi disalute del/la paziente);d) di favorire la comunicazione tra il per-sonale operante su turni differenti in me-rito a quanto è stato pianificato per il sin-golo paziente.

    Le carte di monitoraggio (CDM)“riabilitative”Le CDM possono essere utilizzate nonsoltanto per controllare le procedure, maanche per controllare i risultati intermedidurante il percorso riabilitativo. Ciò èfondamentale per modularlo sulla basedei risultati acquisiti nel corso della de-genza e permette al terapista della riabi-litazione di partecipare più attivamente alprogetto stesso. Poiché si assume che lostato funzionale rappresenta un indica-tore grossolano ma molto sensibile dellecondizioni cliniche (ad un peggioramentofunzionale corrisponde quasi invariabil-mente in un soggetto anziano un peggio-ramento del quadro clinico), la CDM haanche un carattere anticipatorio in terminidi informazioni al clinico. Presso la UORiabilitazione Polifunzionale della casa diCura “Ancelle della Carità” di Cremonasono state approntate, sull’esperienzadi altre unità di riabilitazione (Cappadoniaet al., 2006) alcune CDM che sono statedefinite “patologia” o “disabilità” speci-fiche. Le CDM “patologia specifiche” so-no state predisposte per la frattura difemore, l’artroprotesi di anca e di ginoc-chio, per l’ictus cerebri e per i parkinso-nismi, mentre le CDM “disabilità speci-fiche” sono state predisposte per i disturbidell’equilibrio e della marcia, per le sin-dromi respiratorie (BPCO, insufficienzarespiratoria, etc) e lo scompenso cardia-co. Più specificamente, per la frattura difemore, l’artroprotesi di anca e di ginoc-chio, le CDM misurano con cadenza set-timanale i cambiamenti di punteggio in treitems del Barthel Index (trasferimenti,deambulazione, scale); per l’ictus cerebriviene valutata la variazione degli scorenella Motor Assessment Scale (MAS),mentre per i Parkinson-parkinsonismi siverificano i cambiamenti alla subscala 3°(motoria) della Unified Parkinson’s Di-sease Rating Scale. Per le CDM “disa-

    Fig. 1 > Esempio di carta di monitoraggio per pazienti con patologie respiratorie in corso di O2 terapia

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  • bilità specifiche” si registrano i cambia-menti funzionali con la scala di Tinetti(disturbi dell’equilibrio e della marcia)e/o con la 6-minutes walking test distance(6’WTD) (sindromi respiratorie e scom-penso cardiaco). Il terapista della riabi-litazione è tenuto a compilare settima-nalmente la CDM per ogni singolo pa-ziente, discutendo eventuali problemi(mancato miglioramento o marcato peg-gioramento) con il medico ed il fisiatranella riunione settimanale. I possibili van-taggi derivanti dall’uso delle CDM sipossono così riassumere:a) Permettono di monitorare nel tempo econ strumenti oggettivi l’andamento diogni singolo paziente dal punto di vistadelle prestazioni funzionali, superandol’attuale prevalente procedura decisionalefondata su aspetti burocratici (i “tetti” deitempi di degenza stabiliti dalla ASL);b) Facilitano il flusso delle informazioni trai componenti dell’equipe;c) Permettono di intercettare eventi clinici

    intercorrenti associati ad una perdita fun-zionale (ad esempio una perdita funzio-nale o un mancato miglioramento puòanticipare la comparsa di delirium);d) Permettono di ipotizzare il raggiun-gimento del massimo recupero possibileper il paziente in base alla mancata pro-gressione del recupero funzionale;e) Permettono di confrontare i risultatiottenuti su pazienti con medesime proble-matiche pur utilizzando tecniche riabi-litative differenti.

    DALLE CARTE DI MONITORAG-GIO ALLE CARTE DI CONTROLLO La teoriaSi potrebbe obiettare che, non sempre,ad una standardizzazione dei processi dicura corrispondono outcomes migliori. Inquesto senso, uno sforzo necessario èquello di sistematizzare non soltanto leprocedure (attraverso le CDM infermie-ristiche e riabilitative) ma anche le traiet-torie attese di recupero funzionale per

    ottenere valori di riferimento che consen-tano ai riabilitatori di svolgere il propriolavoro senza autoreferenzialità. Purtrop-po, ad oggi, la scienza della riabilitazionenon è stata ancora capace di fornire risul-tati convincenti in questo ambito. Più di unricercatore ha lamentato l’insufficienza ela limitatezza degli sforzi profusi, denun-ciando, come conseguenza di questaincapacità ad identificare parametri diriferimento, la totale autonomia di com-portamento da parte dei singoli riabilitatori(Marsden e Greenwood, 2005). Chiun-que lavori in reparti di riabilitazione sainfatti che la prognosi funzionale dei pa-zienti è basata il più delle volte su un mixdi informazioni clinico-funzionali (taloradesunte in modo approssimativo), espe-rienza dei singoli operatori e collabora-zione-motivazione percepita da partedell’équipe più che su dati circostanziati.Inoltre i tempi di trattamento dei singolipazienti sono non sempre determinatida variabili cliniche ma anche da variabiliorganizzative (ad esempio il numero e laformazione dei terapisti, la disponibilità el’allocazione delle palestre) (Hoenig et al.,1996). Asupporto di questa affermazione,sono stati recentemente pubblicati alcunilavori scientifici che dimostrano come ipazienti più compromessi per quantoconcerne lo stato di salute complessivo,o le performances cognitive, tendono arecuperare di meno dal punto di vistafunzionale, non soltanto perché non ingrado di tollerare carichi di lavoro impe-gnativi, ma anche perché, in assenza diprescrizioni specifiche, vengono di fattosottoposti ad un trattamento riabilitativomeno intensivo (Bellelli et al., 2002; Lenzeet al., 2004).Un tentativo di colmare le lacune in que-sto ambito, identificando curve ideali direcupero per pazienti (relativamente)omogenei in termini di caratteristiche cli-niche e funzionali, avrebbe indubbia-mente importanti ricadute sul piano clinicoe programmatorio-organizzativo. Si po-trebbe infatti definire già all’ammissionein reparto una prognosi funzionale attesa,le modalità di trattamento più appropriateed i tempi di degenza necessari per ipazienti; in caso di mancato recupero odi mancato rispetto dei tempi di recuperoprevisti, si potrebbero rimettere in discus-

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    Fig. 2 > Esempio di carta di monitoraggio per pazienti sottoposti ad intervento chirurgico dopo frattura di femore

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    sione il progetto riabilitativo ed i tratta-menti effettuati.L’idea di realizzare modelli grafici percontrollare la relazione tra procedure edoutcomes nacque nel Regno Unito.Walter A Shewhart ne fu il pioniere,implementando per primo dei sistemistandardizzati di controllo dei processimanifatturieri (Cappadonia et al., 2006;Mohammed et al., 2001), che portaronoun grande impulso ed un miglioramentocomplessivo della qualità dei prodottifino ad allora realizzati. Egli sviluppò unmetodo grafico conosciuto come carta dicontrollo (CDC) che consentiva di definireun target (valore normativo di riferimento)con il minimo di variazioni (scostamenti)possibili dalla media. Secondo questoschema, la qualità era definita comel’insieme dei processi finalizzati a raggiun-gere il target senza discostarsi dai limitidi confidenza (le variazioni possibili). Piùrecentemente, Flaherty e Kane hannointrodotto il concetto di “glidepaths” inambito geriatrico per indicare i confiniall’interno dei quali il medico deve sapersimuovere tendendo al target di riferimento(Flaherty et al., 2002; Kane, 2004). Iltermine “glidepath” è mutuato dall’aero-nautica ed indica, letteralmente, i segnaliluminosi e sonori che la torre di controlloutilizza per aiutare il pilota dell’aereo infase di atterraggio: essi rappresentanocertamente un grande aiuto per il pilotache, tuttavia, continua ad essere il prin-cipale responsabile dell’atterraggio man-tenendo il controllo del velivolo. Per simili-tudine, i segnali luminosi sul monitor rap-presentano, in ambito sanitario, i massimiscostamenti possibili dalla striscia tratteg-giata al centro che, a sua volta, è il targetdi riferimento.

    Dalla teoria alla pratica: qualeutilità per le CDC?Le CDC possono essere utilizzate in am-bito sanitario per numerosi scopi, tra iquali i più importanti sono legati al con-trollo dei macro-outcomes (come la mor-talità a 90 giorni per pazienti con fratturadi femore) o dell’efficacia delle proceduredi cura erogate (Todd et al., 1995). In que-sto senso le CDC consentono un bench-mark esterno (tra ospedali) ed interno(all’interno del singolo reparto) e potreb-

    bero costituire, almeno in teoria, un signi-ficativo avanzamento concettuale rispettoagli attuali sistemi di qualità (utilizzatinegli ospedali di alcune regioni italiane),che non vincolano il rispetto delle proce-dure al raggiungimento degli obiettivi.Qualora infatti, attraverso analisi matema-tiche, fosse possibile includere in un uni-co database le CDM riabilitative di un nu-mero consistente di pazienti provenientida più strutture, si potrebbero identificare“curve attese” di recupero funzionale,stabilire limiti di variabilità e, seconda-riamente, ipotizzare tariffe di pagamentodifferenziate in base ai risultati ottenuti.Quei reparti (e quegli ospedali) in gradodi mantenere il proprio livello qualitativonei limiti di confidenza attesi, e di avvi-cinarsi il più possibile al target di riferi-mento, potrebbero infatti ricevere contri-buti maggiori, a discapito di strutture (e/oreparti) inadempienti sotto questo profilo. Non è impossibile immaginare che unoscenario di questo tipo potrebbe confi-gurare una rincorsa alla qualità dei servizi,basata non più sul rispetto di standardstrutturali e procedurali ma sugli outco-mes.Presso l‘UO Riabilitazione Polifunzionale“Ancelle della Carità” di Cremona sonostati raccolti nell’anno 2006 le CDM ria-bilitative di 170 pazienti ricoverati perfrattura di femore nei due anni precedenti.Per ognuno di questi sono state misurate,con cadenza settimanale, le variazioni discore in 3 items motori del Barthel Index,oltre che altri parametri contenuti nellaCDM. Sulla base dell’andamento settimanale iterapisti hanno modulato il proprio inter-vento e sono stati rivisti i progetti riabili-tativi insieme al medico di reparto ed alfisiatra. Attualmente i dati sono utilizzatiper individuare le traiettorie di recuperoattese, per gruppi differenti alla baseline.

    Si ritiene che l’introduzione di metodo-logie oggettive di valutazione del pazienteda riabilitare rappresenti una svolta moltoincisiva nelle modalità di controllo dell’in-tervento riabilitativo. Ciò è ancora più valido nel paziente an-ziano nel quale la complessità clinicarende più difficile un giudizio empirico diefficacia dei trattamenti.

    BIBLIOGRAFIA- Bellelli G, Frisoni GB, Pagani M, MagnificoF, Trabucchi M. Does cognitive performance

    affect physical therapy regimen after hipfracture surgery? Aging Clin Exp Res. In

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    fracture of hip: the East Anglian audit. BMJ1995; 311(7011):1025.

    * UO Riabilitazione Polifunzionale Casa diCura Ancelle della Carità, Cremona - Gruppo

    di Ricerca Geriatrica, Brescia** Dipartimento di Gerontologia e Scienze

    Motorie, Ospedale Galliera, Genova*** UO Riabilitazione Polifunzionale Casa di

    Cura Ancelle della Carità, Cremona**** Università Tor Vergata, Roma - Gruppo

    di Ricerca Geriatrica, Brescia

  • FEB 08 ASSISTENZA ANZIANI 373737

    NEL MOMENTO in cui i familiari si ac-corgono che il loro caro non è più in gradodi svolgere le normali attività di vita quo-tidiana in modo adeguato o sicuro, soli-tamente tendono a sostituirsi a lui in tuttele attività. Il problema più spesso riportatodai familiari di un paziente con demenzaè infatti quello di dover fare tutto ciò cheprima faceva lui poiché ora “non riesce piùa farlo come prima”, “non lo fa tanto bene”,“non lo fa abbastanza velocemente”, “nonlo fa come lo faceva di solito”.L’intervento terapeutico dal punto di vistaoccupazionale considera come nodo cen-trale del proprio operare proprio questamancanza di agire che si manifesta neipazienti con demenza di Alzheimer. Per ilterapista occupazionale, l’agire umanoè alla base del benessere della persona,e tutto ciò che costituisce una limitazioneper lo stesso, comporta una disfunzioneoccupazionale che può essere risoltaesclusivamente attraverso la promozionedi attività particolarmente significative enelle quali vengono sperimentate le limi-tazioni più gravi. Il terapista dell’occupa-zione cerca pertanto di intervenire nonfocalizzandosi esclusivamente sulle fun-zioni deteriorate, ma soprattutto sullamancanza di motivazione ad agire che, seda una parte viene indotta dai familiari pergarantire la sicurezza del paziente o losvolgimento di attività fondamentali perl'organizzazione familiare, dall'altra vieneaggravata da un senso di inadeguatezzapercepito dal paziente stesso. Questo

    deriva dal fatto che il paziente sperimentaesperienze di insuccesso nell’agire, rap-presentate spesso dall'impedimento daparte dei familiari di svolgere un'attività,oppure dall'impossibilità reale di portarea termine un'attività cominciata.Dunque l'approccio occupazionale (Modelof Human Occupation) (Kielhofner et al.,2002) riconosce nella mancanza di moti-vazione ad agire e nella riduzione e o per-dita dell'autostima, lo specifico patologicodella demenza. L'intervento della terapiaoccupazionale è finalizzato afavorire un processo di ri-moti-vazione ed un aumento gra-duale dell’autostima del pa-ziente, al fine di favorire il mi-glioramento o il mantenimentodello stato funzionale e di in-dipendenza e di controllare idisturbi del comportamento.E’ importante inoltre non di-menticare che l’intervento oc-cupazionale viene sempresvolto in modalità ecologica,cioè con un’attenzione partico-lare all’ambiente in cui la per-sona svolge le attività. L’am-biente infatti, sia esso fisico,cioè costituito da spazi e og-getti, sia esso sociale, costi-tuito quindi da persone, è fon-damentale per lo svolgimentodi qualunque attività, poichépuò presentare ostacoli e bar-riere o al contrario facilitazioni

    e incoraggiamenti alla persona che a-gisce. Per queste ragioni le tecniche diadattamento ambientale sono molto effi-caci nel compensare la ridotta o, più spes-so, assente capacità di apprendimentoche sta alla base di qualunque processoriabilitativo. Il processo di ri-motivazioneaccompagna il paziente affetto da demen-za attraverso tre fasi verso “l’autonomiamotivazionale”, verso una condizionecioè, in cui lo svolgimento di una attivitàgenera e rafforza il senso di efficaciapersonale e di autostima a tal punto daspingere il paziente a svolgerla ancora. Ilprincipio che sottende questo approccioriabilitativo consiste nel credere che ilpaziente, ricominciando a sperimentaresituazioni di successo nell’esecuzionedelle attività scelte per l’intervento riabi-litativo, accrescerà la sua autostima e lasua motivazione ad agire, impiegandole sue energie quotidiane in attività per luisignificative, piuttosto che in comporta-

    TERAPIA OCCUPAZIONALENei pazienti che sono affetti da demenza

    LA CONOSCENZA DEI SINTOMI DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER OGGI È TALE DACONSENTIRE LA DETERMINAZIONE DEL LIVELLO DI GRAVITÀ DELLA PATOLOGIA.ESISTONO MOLTE CLASSIFICAZIONI AL RIGUARDO, GRAZIE ALLE QUALI ÈPOSSIBILE ATTRIBUIRE IL PAZIENTE AD UN LIVELLO PIUTTOSTO CHE AD UN AL-TRO A SECONDA DELLA SINTOMATOLOGIA MANIFESTATA. LA PERDITA DI ME-MORIA, I DEFICIT ATTENTIVI, IL VAGABONDAGGIO, LE MODIFICAZIONI DEL CA-RATTERE, I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO, LE DISINIBIZIONI, IL DISO-RIENTAMENTO TEMPORALE E SPAZIALE, SONO SOLO ALCUNE DELLE MANI-FESTAZIONI DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER.

    > di ALESSIA TAFANI *

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    menti a finalistici e spesso pericolosi. Il processo di ri-motivazione cominciacon la fase di esplorazione, che prevedela collocazione del paziente in un ambien-te che contenga elementi che possanosuscitare il suo interesse e che possanoincoraggiarlo attivamente ad esplorare ilmondo che lo circonda. Questo viene reso possibile da una previaraccolta di informazioni che il terapistadeve ottenere intervistando il paziente(ove possibile), i familiari, il caregiver e ilpersonale che lo assiste, grazie alla qualecollocherà nella stanza di terapia occu-pazionale una serie di elementi che do-vrebbero suscitare l’interesse del pa-ziente. L’esplorazione del mondo che ci circondaè fondamentale per la generazione dellamotivazione ad agire, dunque quanto piùl’ambiente è adeguatamente stimolanteed incoraggiante, tanto più facilmentenasce l’interesse a “fare”. I pazienti chehanno completamente perso la motiva-zione ad agire cominciano il loro percorsoproprio da questa fase, e possono essereconsiderati alla stregua di un artista in at-tesa dell’ispirazione per incominciareun’opera. L’attuazione di un interventoecologico offre al terapista occupazionalela possibilità di creare le condizioni affin-ché il paziente possa trovare il giusto ele-mento d’ispirazione, che generi in lui lamotivazione ad agire. Questo può ac-cadere con l’ausilio dei più disparati og-getti: una pianta con una foglia secca darimuovere, una macchinetta del caffè dapreparare, un giornale da sfogliare o unafoto da guardare; ciò che importa non èl’elemento che ha scatenato l’azione macome l’esperienza è stata vissuta. In que-sto senso il terapista occupazionale deveassicurarsi che al di là del reale risultatoprodotto dal paziente, questi sperimentiuna situazione di successo e di piace-volezza nello svolgimento dell’attività.A questo punto il paziente entra di dirittonella seconda fase del processo, la fasedella competenza, sicuramente più impe-gnativa, poiché se nella fase dell’esplora-zione il risultato non era un elemento de-terminante ed il paziente non era maisoggetto al giudizio del terapista, oraviene prestata maggiore attenzione alraggiungimento o meno dell’obbiettivo

    del compito e dell’attività; in un certo qualmodo la responsabilità del processo, chenella prima fase era completamente acarico del terapista, comincia ad essereequamente distribuita su entrambi gli at-tori dell’intervento terapeutico (terapista epaziente). Anche in questa fase è fondamentalel’intervento ecologico, che in questo casodeve fornire ed utilizzare una serie diaccorgimenti al fine di compensare so-prattutto i deficit cognitivi. Così una svegliaper richiamare l’attenzione su un datoevento, una sequenza di foto per ricordareo seguire il corretto ordine dell’attività, icolori e le illustrazioni per orientare neltempo e nello spazio, e tante altre strate-gie ecologiche da condividere anche coni familiari ed il caregiver, diventano fon-damentali per raggiungere il risultato e farsperimentare al paziente la sensazione diefficacia delle proprie azioni e di successonelle attività che svolge. In questa fasel’esplorazione è molto più attiva da partedel paziente e meno pilotata dal terapista.Per questo, mano a mano che il pazienteaccresce il senso di fiducia nelle azioniche compie e nei risultati che produce, èsempre più disposto a “mettersi in gioco”accettando o anche richiedendo di svol-gere attività più complesse, spesso colle-gate a ruoli molto forti rivestiti in passato. È esattamente in questo momento che ilpaziente può essere considerato nellaterza ed ultima fase del processo ri-moti-vazionale, la fase dell’autonomia. In que-sta fase si presuppone che il paziente siain grado di interessarsi spontaneamenteallo svolgimento di un’attività, ma ciò nonsignifica necessariamente che sia in gradodi svolgerla realmente in modo indipen-dente.In tutte le tre fasi del processo ri-motiva-zionale il terapista non deve mai perderedi vista le caratteristiche evolutive dellapatologia, e deve essere perfettamenteconsapevole del fatto che l’intervento ria-bilitativo non è volto al ripristino delle fun-zioni perdute ma delle attività e della par-tecipazione del paziente nella vita quoti-diana (OMS, 2002). Sarà quindi cura del terapista stabilire ilreale livello di autonomia funzionale delpaziente ed il conseguente livello di as-sistenza necessario in ognuna delle atti-

    vità svolte. Il processo di ri-motivazionenon avviene, infatti, senza considerare tut-te le questioni e le situazioni legate alla si-curezza del paziente e dei suoi cari; perquesto l’autonomia motivazionale noncorrisponde al concetto di indipendenza. Spesso le attività oggetto e mezzo dell’in-tervento con il paziente affetto daAlzheimer non possono essere svoltesenza una stretta supervisione o ancheassistenza da parte dei familiari o di uncaregiver, che sono parte attiva dell’in-tervento occupazionale. Nella nostra esperienza al Day Hospitaldel Centro di Medicina per l’Invecchia-mento del Policlinico Gemelli a Roma, ipazienti che sono stati inseriti in un pianodi intervento occupazionale che preve-desse il processo ri-motivazionale e chelo hanno terminato, hanno dimostrato diridurre i comportamenti aggressivi, di nor-malizzare il ritmo sonno-veglia e di dimi-nuire la tendenza al vagabondaggio; si èaltresì verificato in alcuni casi anche unmiglioramento del livello funzionale conconseguente riduzione della quantità diassistenza necessaria; infine i familiari ei caregiver hanno riferito una percezionedel carico assistenziale notevolmenteminore. Alla luce di tutto ciò possiamo considerarel’intervento terapeutico occupazionale unmezzo per aumentare il livello di qualitàdella vita del paziente e delle persone chevivono con lui.

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    * Coordinamento Corso di Laurea in TerapiaOccupazionale - Dipartimento di Scienze

    Geriatriche, Gerontologiche e Fisiatriche,Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

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    43MAR APR 08 ASSISTENZA ANZIANI

    I PROBLEMI nutrizionali degli anzianipossono essere prevenuti, controllati otrattati, ma i segnali di pericolo di malnu-trizione sono spesso sottovalutati. Lamalnutrizione, invece, è una realtà tutt’al-tro che trascurabile anche nei paesi piùevoluti, è presente soprattutto in ambitoistituzionale, ma non é infrequente anchenei soggetti a domicilio con "scarse"disponibilità economiche ed alimentari.In ospedale il bisogno di alimentazione èspesso poco considerato: la routine ospe-daliera che propone il cibo indipendente-mente dalle abitudini e dai ritmi dei rico-verati, la necessità di esami che richiedo-no il digiuno, l’erronea convinzione che inpochi giorni di ricovero non si possano ar-recare danni allo stato nutrizionale di unsoggetto, sono tutti aspetti che contribui-scono a sottostimare il fabbisogno di nu-trienti. In realtà molte situazioni che richie-dono il ricovero in un setting per acuti siassociano alla necessità di modificare laqualità e la quantità dei nutrienti nel breveo nel lungo periodo (Archibald, 2006).In uno studio condotto negli USAè emer-so che sono malnutriti il 20% degli anzianiche vivono al domicilio, il 40% di coloroche sono ricoverati nelle Case di Riposoe il 50% dei pazienti ospedalizzati (Steen,2000). In un altro studio gli autori utilizzando il Mi-ni Nutritional Assessment hanno identifi-cato in una popolazione di anziani ricove-rati in Casa di Riposo il 32% di pazientimalnutriti e il 43% di pazienti a rischio dimalnutrizione (Menecier 1999).La presenza di malnutrizione calorico-proteica incide in modo rilevante sia sugliaspetti clinici sia economici (Pallini, 1998).In particolare la malnutrizione si associa

    ad un maggior rischio di ospedalizza-zione, istituzionalizzazione e mortalità. Isoggetti anziani malnutriti hanno un mag-gior rischio di contrarre malattie infettive,le ferite guariscono più lentamente e ladurata della degenza è maggiore rispettoagli anziani con pari condizioni di salute,ma normonutriti (Reuben, 1995; Sullivan,1995; Wright, 2006). Affrontare possibilisoluzioni efficaci è certamente complessoe richiede il lavoro sinergico di ammini-stratori, clinici, manager. Tre interessanti articoli (Wright, 2006;Nijs, 2006; Simmons, 2005) offrono alcunisuggerimenti per la pratica, basati sull’e-videnza, di non impossibile attuazione an-che da parte degli infermieri e degli ope-

    ratori che operano nelle geriatrie e nellecase di riposo italiane. La sala da pranzoè indicata dai tre articoli come il luogo pri-vilegiato, sia in una geriatria per acutisia in casa di riposo, per interventi assi-stenziali finalizzati a migliorare l’apportonutrizionale, prevenire la perdita di fun-zione, favorire la socializzazione e realiz-zare l’integrazione tra infermieri, fisio-terpisti e operatori di supporto. Nell’articolo di Wright (Wright, 2006) ipazienti anziani ricoverati in una geriatriaper un evento acuto assumono più cibose mangiano in una sala da pranzo su-pervisionata da un operatore di supportoformato. Infermieri e fisioterapisti indivi-duano insieme i pazienti che, in relazio-ne alle condizioni cliniche e funzionali eal potenziale riabilitativo, possono trarrevantaggio dal recarsi in sala da pranzoper consumare il pasto. I due articoli di Nijs (2006) e di Simmons(2005) richiamano l’attenzione sugli

    CIBO E SOLUZIONIUtilizzo sala da pranzo e “collaborazioni”

    LA MALNUTRIZIONE, CHE NEI PAESI SVILUPPATI COLPISCE QUASI ESCLUSIVA-MENTE GLI ANZIANI, PUÒ DIPENDERE IN UNA CERTA PERCENTUALE DI SOGGETTIDA CAUSE ORGANICHE MA È LEGATA ALTRESÌ, E SPESSO IN MISURA ALQUANTOMAGGIORE, A FATTORI DI ORDINE PSICOLOGICO, SOCIALE E CULTURALE.

    > di ERMELLINA ZANETTI *

    TABELLA 1 > DESCRIZIONE DELLE CARATTERISTICHE CHE DEFINISCONO LO “STILE FAMIGLIA”

    Variabile Stile famiglia

    Allestimento del tavolo Tovaglia che copre il tavolo; bicchieri di vetro (no bicchieri di plastica); piattidi ceramica; posate al completo; tovaglioli; piccole composizioni floreali

    Servizi Pasto caldo servito sui piatti a tavola; menu a scelta tra (almeno 2opzioni possibili per pietanza)

    Personale di assistenza Il personale si siede ai tavoli e chiacchiera con i residenti; almeno uninfermiere o un volontario ad ogni tavolo; eventuali farmaci vengonodistribuiti prima dell’inizio del pasto; nessun cambio di personale durantel’ora del pasto; la sala da pranzo viene riordinata subito dopo il pasto, soloquando tutti hanno finito

    Residenti I residenti sono equamente distribuiti (circa 6 persone per ciascuntavolo); i residenti decidono quando farsi servire le vivande; la maggiorparte si serve da sola e l’infermiere o il compagno di tavolo dà un mano;si inizia a mangiare quando sono tutti seduti; prima di iniziare si fa unmomento di riflessione o di preghiera

    Indicazioni organizzative Non vengono svolte altre attività nel contempo (per esempio, pulizie, visitemediche); nella sala pranzo non possono entrare visitatori o operatorisanitari (tranne nei casi in cui è necessaria la presenza di qualcuno chedeve aiutarli a mangiare); in ogni caso essi devono essere già presentinella sala all’inizio del pasto e devono rimanere fino alla fine dell’ora dipranzo; non devono esserci carrelli dei farmaci e cartelle cliniche

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    MAR APR 08 ASSISTENZA ANZIANI

    aspetti più squisitamente alberghieri delleCase di Riposo: i due lavori dimostranocome piccole modifiche all’organizzazio-ne (adottare uno stile familiare, dedicareattenzione alla preparazione delle sale dapranzo) possano migliorare l’apporto dicibo nei soggetti a rischio di malnutrizione(Tabella 1). Anche in questi due lavori lacollaborazione tra infermieri (che valutanoi fattori di rischio, individuano i pazienti,pianificano l’assistenza in relazione all’in-tensità del bisogno e ne valutano l’effi-cacia) e gli operatori di supporto (chepredispongono la sala da pranzo, assi-stono gli ospiti secondo quanto stabilitodagli infermieri, registrano quanto il sog-getto ha mangiato) è fondamentale edefficace. Tutti gli articoli richiamano l’attenzione de-gli infermieri e gli operatorio a pensarel’assistenza utilizzando anche le poten-zialità fornite dall’ambiente e dall’organiz-

    zazione, che non devono essere subiti,ma possono essere ragionevolmentemodificati in funzione degli obiettivi as-sistenziali.

    nali e ricadute economiche. Atti del Conve-gno "Investire in nutrizione per le Aziende

    Sanitarie del nuovo millennio" Nutricia Servi-ce, 1998:7-11.

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    * Gruppo di Ricerca Geriatria, Brescia e AIOCC

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    - Pallini P, Saggioro A., Aspetti clinici nutrizio-

    VALUTARE PER COMPRENDERE I PROBLEMI DEL PAZIENTE ANZIANOCorsi di Formazione per Operatori dell’Assistenza (OSS, ASA)accreditati al programma regionale lombardo di EducazioneContinua in Medicina-Sviluppo Professionale Continuo

    Il Gruppo di Ricerca Geriatrica e l’Associazione Italiana Operatori Cure Continua-tive propongono alcuni incontri di formazione rivolti agli Operatori dell’Assistenzacon l’obiettivo di illustrare i principi, i metodi e gli strumenti della valutazione multi-dimensionale in relazione a specifici aspetti dell’assistenza con cui si confrontanotutti i giorni gli operatori. I docenti utilizzeranno prevalentemente una metodologiainterattiva, proponendo ai partecipanti di rileggere e riflettere situazioni assistenzialidi comune esperienza.

    20 marzo 2008 - Ore 14,30-18,30“VALUTARE E COMPRENDERE IL PAZIENTE ANZIANO: LA MALNUTRIZIONE”4 crediti per Operatori dell’Assistenza (in attesa conferma)14.30-15.30 La malnutrizione: causa di tanti problemi15.30-16.30 Quando il soggetto anziano è a rischio di malnutrizione?16.30-17.30 Approccio assistenziale in presenza di disfagia17.30-18.30 Discussione, valutazione del gradimento e

    dell’apprendimento e chiusura del corsoDestinatari: 30 Operatori dell’AssistenzaQuota di iscrizione: € 30.00 (IVA 20% compresa)

    17 aprile 2008 - Ore 14,30-18,30“VALUTARE E COMPRENDERE IL PAZIENTE ANZIANO: IL DOLORE”4 crediti per Operatori dell’Assistenza (in attesa conferma)14.30-15.30 Il dolore del corpo e della mente15.30-16.30 La valutazione del dolore: il paziente ha sempre ragione!16.30-17.30 Osservare per comprendere: la valutazione del dolore

    nei pazienti affetti da demenza17.30-18.30 Discussione, valutazione del gradimento e

    dell’apprendimento e chiusura del corsoDestinatari: 30 Operatori dell’AssistenzaQuota di iscrizione: € 30.00 (IVA 20% compresa)

    15 maggio 2008 - Ore 14,30-18,30“VALUTARE E COMPRENDERE IL PAZIENTE ANZIANO: I DISTURBI DELCOMPORTAMENTO”4 crediti per Operatori dell’Assistenza (in attesa conferma)14.30-15.30 Agitazione, aggressività, fuga: ecco i disturbi del

    comportamento15.30-16.30 Come riconoscere e comprendere i disturbi del

    comportamento16.30-17.30 Approccio all’anziano con disturbi del comportamento17.30-18.30 Discussione, valutazione del gradimento e

    dell’apprendimento e chiusura del corsoDestinatari: 30 Operatori dell’AssistenzaQuota di iscrizione: € 30.00 (IVA 20% compresa)

    LA QUOTA DI ISCRIZIONE COMPRENDE:

    • iscrizione al singolo corso, • dispensa e materiale didattico• certificazione della partecipazione e dei crediti acquisiti

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  • DIVENTA pertanto essenziale indivi-duare le aree di confine e definire in mo-do puntuale e preciso i tempi di interventoe le figure coinvolte. Ciò potrebbe favorire la crescita di com-petenze inter-professionali e la condi-visione delle procedure assistenziali inun’ottica di crescita della qualità assi-stenziale che è fondamentale in geriatriae riabilitazione. La creazione di un gruppo interdiscipli-nare per la definizione degli interventiassistenziali nei pazienti affetti da diarreaacuta ha avuto, nel nostro setting, questopreciso obiettivo, ed è stata un’occasioneper esplicitare e condividere un’area diconfine tra le diverse professioni del-l’équipe sanitaria. La diarrea acuta è un problema clinico

    comune nei paesi sviluppati ed una piagaepidemica nei paesi in via di sviluppo: sicalcola che essa sia responsabile nelmondo di circa due milioni di morti l’anno.Negli USAviene stimato che si verifichinotra i 211 e 375 milioni d’episodi di diarreaacuta l’anno (con un’incidenza di 1,4 epi-sodi per persona), con più di 900.000ospedalizzazioni e 6.000 morti (Lew et al.,1991).

    Nella popolazione anziana fragile puòavere anche conseguenze gravi: negliStati Uniti circa la metà delle morti perdiarrea avviene in persone con età su-periore ai 74 anni con una mortalità com-plessiva superiore di quasi 400 volte ri-spetto a quella dell’adulto (Bennet eGreenough, 1999).

    DiagnosiSi definisce diarrea l’emissione di feci dipeso superiore ai 250 g/24 ore, con unaumento della frequenza d’evacuazione(superiore a tre volte al giorno) e unariduzione della consistenza (feci liquide)(McQuaid, 2002). Viene definita acuta quando è d’insor-genza improvvisa e di durata minore didue settimane. Le cause della diarreanell’anziano possono essere molteplici(Tab. 1), ma solo in alcune situazioni e inalcuni pazienti è indicato un approfon-dimento diagnostico ed eziologico (co-procoltura, esami ematochimici).

    Essendo generalmente la diarrea unamanifestazione di breve durata ed a ri-soluzione spontanea, la valutazione ap-profondita ed eziologica è indicata soloper alcuni pazienti e per le forme mode-rate o gravi (Bennet e Greenough, 1999;McQuaid, 2002). Recenti studi clinici rac-comandano la valutazione medica in ca-so di:• febbre >37.8;• diarrea ematica;• dolore addominale;• 6 o più emissioni di feci liquide

    nelle 24 ore;• diarrea acquosa profusa

    e disidratazione;• pazienti “fragili”

    e/o immunocompromessi;

    In ogni caso, la valutazione iniziale deveescludere la presenza di fecalomi (Ben-net e Greenough, 1999; Beers e Berkow,2000). Le indagini di laboratorio di prima istanzacomprendono l’esame emocromocito-metrico con conta leucocitaria, gli elettrolitiserici, gli esami di funzionalità renale,alcuni parametri nutrizionali (albumine-mia, transferrinemia e colesterolemia),l’esame delle feci per la ricerca del san-gue occulto e globuli bianchi.

    PROTOCOLLO DI LAVOROLa diarrea acuta nell’anziano fragile

    LA GERIATRIA, E LA RIABILITAZIONE GERIATRICA IN PARTICOLARE, SONO UNCAMPO RICCO DI AREE DI CONFINE TRA LE DIVERSE COMPETENZE, AREE IN CUISI INCONTRANO E/O SI SCONTRANO FILOSOFIE E VISIONI APPARTENENTI AFIGURE PROFESSIONALI DIVERSE QUALI I MEDICI, I FISIOTERAPISTI, GLI INFER-MIERI, GLI OPERATORI SOCIO-SANITARI, ETC. SE NON DEFINITE CORRETTAMENTELE AREE DI COMPETENZA, I RAPPORTI TRA LE FIGURE PROFESSIONALI POSSONOFARSI ALQUANTO PROBLEMATICI, CREANDO DISSAPORI E SCONTRI ALL’INTERNODELL’ÉQUIPE.

    > AIOCC

    MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI40

    TABELLA 1 - CAUSE DI DIARREA DA CONSIDERARE NEL PAZIENTE ANZIANO (BENNET E GREENOUGH, 1999)

    Non infettive Infettive

    Iatrogenesi. Pseudodiarrea da fecalomi. Antibioticoterapia. Supplementi dietetici. Antiacidi e farmaciinibitori della secrezione acida gastrica, lassativi.Farmaci vari (digossina, chinidina, metildopa).

    Batteri: Campilobacter spp, Clostridium difficile,Clostridium perfrigens, Escherichia coli, Salmonella spp,Vibrio colera, Vibrio spp.

    Neoplasia: lesioni ostruttive, adenoma secretorio,tumori ormone secernenti.

    Virus: Adenovirus, Astrovirus, Calicivirus, coronavirus,agente Norwalk, Rotavirus.

    Malattie gastrointestinali: lesioni ostruttive,dismotilità con formazione di fecalomi, malattiainfiammatoria intestinale, malassorbimento.Aterosclerosi intestinale ed ischemia. Ipertensioneportale.

    Parassiti: Criptosporidium, Entameba istolitica, Guardia.

    Malattie sistemiche: diabete mellito, tireotossicosi,uremia.

  • 41

    La coprocoltura è indicata in pazienticon grave diarrea, febbre, sangue fecale,leucociti fecali, o nel caso di diarrea pro-lungata nel tempo (Bauer et al., 2001).

    TrattamentoLo scopo principale della terapia è ilmantenimento dell’equilibrio idroelet-trolitico, attraverso la reintroduzione delleperdite gastrointestinali con liquidi appro-priati per volume e composizione. Seb-bene apparentemente banale, si tratta inrealtà di un intervento estremamenteimportante dal punto di vista della salutedell’individuo. Un editoriale di Lancet (Lancet, 1978),pubblicato sul finire degli anni ‘80, haaffermato che la terapia reidratante oraleha rappresentato il più importante avan-zamento della medicina nell’ultimo ven-tennio, poiché un intervento di questo tipoè in grado, se effettuato correttamente, (inalcuni casi in combinazione con la ripresadell’alimentazione) di migliorare la pro-gnosi ed accorciare i tempi della malattia.Sono disponibili in commercio soluzionireidratanti già confezionate che possonoessere diluite con acqua ed utilizzatefacilmente.

    In realtà la soluzione reidratante puòessere confezionata artigianalmentecombinando un cucchiaino di sale (3.5 g),1 cucchiaino di bicarbonato di sodio (2.5g di Na HCO3), 8 cucchiaini di zucchero(40 g) e 40 ml di succo di arancia (1.5 gKCl) diluiti in 1 litro di acqua. La quantitàdi liquido da introdurre è stimata in 50-100ml/Kg/24 ore a seconda dello stato d’idra-tazione e delle perdite (Rose Burton,1995).Il modo più semplice per controllare chela soluzione reidratante sia assunta inquantità adeguate è quello di verificareche la diuresi si mantenga appropriata(una minzione ogni 3-4 ore) e che il pesospecifico delle urine sia minore di 1.015(Bennet e Greenough, 1999). La stabilitàdel peso corporeo può essere consi-derata come un grossolano indicatored’adeguatezza della terapia praticatanelle forme di diarrea prolungata.Gli agenti antidiarroici possono essereutilizzati come sintomatici in pazienti condiarrea lieve-moderata. Gli agenti oppia-

    cei aiutano a ridurre il numero e la liquiditàdelle scariche diarroiche, controllanol’urgenza fecale e forse ne riducono ladurata, ma sono sconsigliati nel pazientecon diarrea ematica, febbre elevata,segni di tossicità sistemica o in pazientiin cui si assista ad un peggioramentodelle condizioni cliniche nonostante laterapia. La loperamide è il farmaco preferito ad undosaggio iniziale di 4 mg, seguito da 2 mgda assumere dopo ogni scarica (mas-simo 16 mg/die). Una terapia antibioticaempirica può essere indicata dopo l’e-secuzione di coprocoltura o in caso didiarrea di gravità moderato-severa, nonacquisita in ospedale ed associata a feb-bre, tenesmo e/o feci ematiche. I farmacidi scelta nel trattamento antibiotico em-pirico sono i fluorochinolonici (ciproflo-xacina 500 mg; ofloxacina 400 mg onorfloxacina 400 mg due volte al giorno),o il trimetoprim-sulfametossazolo e ladoxiciclina 100 mg due volte al giorno(McQuaid, 2002).

    Protocollo di lavoro per un mana-gement multiprofessionale (medi-co-infermieristico) della diarreaacuta nell’anziano fragile: il per-ché di un impegno e lo sviluppodel protocolloLa potenziale pericolosità della diarreaacuta nella persona anziana e fragiledipende dalle conseguenze della disi-dratazione e delle alterazioni dell’equi-librio idroelettrolitico (Bennet e Green-ough, 1999, Beers e Berkow, 2000). I ri-schi della disidratazione sono maggiorinell’anziano per molteplici ragioni, tra lequali la riduzione del senso della sete,della capacità renale di concentrazionedelle urine, della riduzione dell’efficaciadel sistema renina-angiotensina-aldo-sterone e dell’ormone antidiuretico. Inoltrel’anziano è più esposto al rischio di scom-penso cardiaco, insufficienza renale, ef-fetti collaterali da farmaci o pratiche as-sistenziali incongrue (ad esempio la disi-dratazione da “mancata idratazione”). Ilquadro è ancora più complesso per lepersone disabili, a volte incapaci di comu-nicare o soddisfare le proprie necessitàe dipendenti da altri nel loro approvvi-gionamento idrico.

    Un ulteriore problema è la “malpratice”.Infatti il trattamento della diarrea è spessorappresentato da una terapia sintomatica(antidiarroici, fermenti lattici, disinfettantiintestinali) e dalla somministrazione diliquidi per os (the, acqua, “brodini”) oper via parenterale (in genere soluzionefisiologica o glucosata). In realtà, questo tipo di approccio non èappropriato non solo perché la diarrea èun meccanismo di difesa dell’organismoche permette l’eliminazione di tossine obatteri e, quindi, non sempre andrebbearrestata immediatamente (Bennet eGreenough, 1999), ma anche perché i li-quidi persi con la diarrea sono isosmolarie di composizione elettrolitica simile alsiero, molto diversi dalle soluzioni fisio-logiche o glucosate che usualmente ven-gono impegate (Rose Burton, 1995); allostesso modo il the ed il caffè, per la pre-senza di derivati xantinici, possono addi-rittura peggiorare il quadro clinico, au-mentando la peristalsi intestinale (RoseBurton, 1995), così come non vi sono suf-ficienti indicazioni, allo stato attuale, inmerito ad un utilizzo diffuso dei fermentilattici (Boyle et al., 2006; Miselli, 1997).Per tutti questi motivi, dopo una condi-visione delle varie problematiche tra tuttele figure dell’équipe, si è deciso di creareun gruppo di lavoro allargato a medici,infermieri e farmacista. La stesura di un protocollo di lavoro inte-grato è stato considerato un modelloparadigmatico di assistenza multiprofes-sionale, i cui elementi centrali sono statiindividuati nell’esplicitazione e nella con-divisione da parte di ogni figura del grup-po della corretta pratica assistenziale(che cosa fare), delle responsabilità (chifa che cosa) e delle modalità di controllo(come verificare l’efficacia dell’intervento).Gli obiettivi di fondo consistevano neldefinire le corrette modalità di gestionedella diarrea acuta, nell’uniformare i com-portamenti diagnostici ed assistenziali enel porre le basi per un’efficace comu-nicazione e coordinazione tra le variefigure.Il protocollo è stato realizzato in tre incon-tri a cadenza mensile. Ogni figura che hapartecipato all’incontro si è presentatadopo aver effettuato una revisione dellaletteratura più recente e dopo aver ana-

    MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI

    AIOCC

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    MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI

    lizzato attentamente le possibili carenzeorganizzative incontrate nella gestione delproblema “diarrea acuta” nella praticaquotidiana. L’incontro tra le diverse figureprofessionali ha permesso di integrare inun progetto comune sensibilità, esigenzee priorità differenti.

    Uno dei punti centrali che il protocollo havoluto mettere in risalto è la figura infer-mieristica come case-manager del pro-blema. Nelle prime righe del protocollo siafferma in modo esplicito che la gestionedel paziente con diarrea non complicataè compito e responsabilità dell’infermiere:è l’infermiere che stima le perdite, assi-cura un’adeguata assunzione della solu-zione reidratante e controlla tramite ilmonitoraggio dei parametri vitali l’efficaciadell’intervento. Solo in presenza di precise condizioni dirischio (i semafori rossi) viene coinvoltoil medico che procede ad un successivoapprofondimento diagnostico.

    La procedura così descritta è stata sche-matizzata in un protocollo costituito dauna serie di passi successivi:1) diagnosi accurata: l’infermiere esclu-de forme spurie di pseudoriarrea verifi-cando tramite l’esplorazione rettale chenon vi siano fecalomi;2) prima igiene ed identificazione dellapotenziale pericolosità del quadro clinico:viene praticata una corretta igiene intimae si rilevano i parametri vitali e possibilicondizioni di rischio (semafori rossi);3) management: l’infermiere decide,dopo aver escluso o rilevato condizioni dirischio, se deve essere coinvolto il mediconella gestione/terapia della diarrea;4) terapia: vengono reintegrate le per-dite secondo protocollo e sono monitoratii parametri vitali.

    ConclusioniLa stesura di questo protocollo di lavorosi è rivelata proficua dal punto di vistaoperativo ed anche utile per una crescitaprofessionale dei membri dell’équipe; lastesura del protocollo ha infatti obbligatoi partecipanti ad una metodologia di la-voro che costituisce la base del lavoro inéquipe. Il protocollo è stato realizzato infatti tra-

    mite una serie incontri preordinati, aiquali ogni membro del gruppo di lavoro siè presentato dopo aver studiato la lette-ratura più recente, aver definito le deter-minanti del proprio intervento, aver con-siderato le difficoltà e le esigenze dellealtre figure coinvolte nel progetto di assi-stenza e aver proposto un modello praticodi intervento. Gli elementi centrali di questo lavorosono stati l’esplicitazione e la condivisioneda parte di ogni figura dei seguenti quesiti:“che cosa fare, chi fa che cosa, come ve-rificare l’efficacia dell’intervento?”. Il protocollo ha definito in modo chiaro lecompetenze ed i limiti di ogni singolafigura dell’assistenza, mettendo in risaltol’infermiere come case-manager delproblema.

    Crediamo che l’esperienza positiva delladiscussione e del lavoro possa essereutilizzata come modello di collaborazionetra medici ed infermieri in cui “ ciò che ren-de produttivo il lavoro di collaborazione èciò che le persone hanno di differente,non ciò che hanno in comune”, e che pos-sa essere utilizzata per la revisione di altrepratiche clinico assistenziali comuni.

    A CURA DI MARCO PAGANI - UO Riabilitazione

    Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della

    Carità”, Cremona - Gruppo di Ricerca Geriatrica,

    Brescia

    SALVATORE SPECIALE - UO Riabilitazione

    Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della

    Carità”, Cremona - Gruppo di Ricerca Geriatrica,

    Brescia

    TIZIANA DOSI - UO Riabilitazione Polifunzionale

    Casa di Cura “Ancelle della Carità”, Cremona

    STEFANIA GUERRESCHI - UO Riabilitazione

    Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della

    Carità”, Cremona

    SUOR CARLAANTONIMI - UO Riabilitazione

    Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della

    Carità”, Cremona

    GIUSEPPE BELLELLI - UO Riabilitazione

    Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della

    Carità”, Cremona - Gruppo di Ricerca Geriatrica,

    Brescia

    MARCO TRABUCCHI - Gruppo di Ricerca

    Geriatrica, Brescia - Università Tor Vergata, Roma

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    2004; 350(1):38-47.

  • La diarrea è definita come “un aumento della frequenza di evacuazione, superiorea tre volte al giorno, o l’emissione di feci liquide”.

    La gestione della diarrea acuta è compito infermieristico. L’infermieredeve:1) Escludere, tramite esplorazione rettale, la presenza di pseudodiarrea secondariaa fecalomi.2) Eseguire successivamente igiene accurata.a) Se il paziente è continente alle feci: viene fornita crema protettiva allo zinco ediniziato monitoraggio delle caratteristiche e della frequenza della diarrea;b) Se il paziente è incontinente alle feci, dopo il lavaggio e l’applicazione della cremaprotettiva allo zinco, viene posizionato pannolone.3) Monitoraggio e controllo del paziente:3a. Rilevazione dei parametri vitaliA. Modificazione dello stato mentale (delirium); B. Pressione arteriosa; C. Frequenzacardiaca; D. Temperatura corporea; E. Frequenza Respiratoria; F. SO2 (Saturazionedi Ossigeno ematico).3b. Rilevazione e monitoraggio della diuresi (una diuresi accettabile corrisponde adalmeno 40 ml/ora);Se il paziente è continente alle urine monitorare la diuresi raccolta in vaso (consigliataverifica ogni almeno tre ore);Se il paziente è incontinente alle urine monitorare la diuresi mediante cateterismo (seil paziente è già portatore di catetere vescicale) o, in alternativa, pesare il pannolone(consigliata verifica almeno ogni tre ore).4) Valutazione specifica della diarrea: (volume delle feci emesse, presenza disangue, presenza di sintomi, frequenza).

    Devono essere identificate una serie di condizioni la cui presenza va intesa comepotenzialmente pericolosa e suggestiva di diarrea di tipo infiammatorio (semafororosso). In presenza di semaforo rosso il paziente deve essere valutato dall’équipe(infermiere, OSS/OTA, medico).

    Semafori rossi:- febbre (>37.8°);- emissione di sangue e/o coaguli misto a feci;- dolore addominale di intensità rilevante;- >6 scariche di feci non formate nelle 24 ore;- episodio singolo di diarrea di volume ed entità significative (oltre 1 litro);- fragilità biologica del paziente;- terapia antibiotica prolungata o sistema immunitario compromesso;- delirium ipocinetico o ipercinetico e/o marcato peggioramento delle condizioni clinichegenerali.

    In assenza di semafori rossi• Preparare e somministrare soluzione dicodral (50-100 ml /kg per os nelle 24 ore).• Calcolare bilancio idrico (monitoraggio introito/perdite).• Sospendere alimentazione per os (sono vietati anche the, caffè, succhi di frutta, o

    MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI44

    > AIOCC

    Protocollo clinico assistenziale per il management della diarrea acuta

  • altre bevande ad eccezione dell’acqua) per le prime 12 ore.• Monitorare la diuresi almeno ogni tre ore.• Monitorare parametri vitali almeno ogni sette ore: A. Modificazione dello stato mentale(delirium); B. Pressione arteriosa; C. Frequenza cardiaca; D. Temperatura corporea;E. Frequenza Respiratoria; F. SO2 (Saturazione di Ossigeno ematico).• A giudizio dell’infermiere, per il comfort del paziente e a fini puramente sintomatici(ma deve esserne considerata la potenziale pericolosità), può essere somministrataloperamide (lopemid, dissenten, imodium, diarstop, etc) 2 cp in un’unica sommini-strazione ed a seguire una compressa dopo ogni scarica. Superate le cinque com-presse il paziente deve essere valutato dal medico.• Se il paziente non assume la quantità prescritta di liquidi per os (almeno 2 litri ogni24 ore) l’infermiere deve chiamare il medico per iniziare terapia endovenosa conelettrolitica III endovena 40-50 ml/Kg /die (più le perdite).

    In presenza di semafori rossi1) Non somministrare farmaci antidiarroici;2) Chiamare il medico di riferimento (medico responsabile del reparto o, se assente,il medico di guardia). L’equipe deciderà in merito alla:- richiesta di esami ematochimici: (emocromo completo, elettroliti sierici, funzionalitàrenale, feci per sangue occulto, coprocoltura, compresa ricerca tossina clostridiumdifficilis);- somministrazione di terapia antibiotica orale (ad esempio ciprofloxacina 500 mg x2 die, ofloxacina 400 mg die o norfloxacina 400 mg x 2 die, trimetoprim-sulfame-tossazolo x 2 die, doxiciclina 100 mg x 2 die);3) Eliminare il pannolone e/o le feci secondo la procedura dei rifiuti ospedalieri speciali(tramite halipac).

    MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI 45

    AIOCC <

    PROCEDURA DI IGIENE INTIMA PER PAZIENTE CON DIARREA

    RISCHIO DELLA PROCEDURA: CONTAMINAZIONE FECALE DELLA VAGINA E DELL’URETRA

    1. Procurare tutto il materiale necessario per la procedura sistemandolo nei pressi del paziente (telo monouso,guanti monouso, manopole monouso, bricco con acqua tiepida, asciugamani, sacchetto nero per smaltirei rifiuti, ricambio di biancheria o pannolone).

    2. Se sono previsti accertamenti diagnostici sulle feci (es. coprocoltura, esame chimico fisico delle feci,SOF), preparare una provetta ed effettuare la procedura.

    3. Creare un ambiente adeguato (temperatura e privacy) ed informare il paziente in merito a ciò che ci siaccinge ad effettuare. È utile richiedere esplicitamente la collaborazione del paziente alla manovra.

    4. Rimuovere le feci con la manopola: si procede rimuovendo inizialmente il materiale fecale dallaregione vaginale (dall’avanti all’indietro) e solo successivamente dall’ano.

    5. Detergere accuratamente e lavare con acqua saponata, sciacquare ed asciugare per compressionee non mediante manovre di sfregamento.

    6. Applicare la crema protettiva all’ossido di zinco (ad esempio decortil).

    7. Rivestire il paziente.

    8. Eliminare il materiale utilizzando l’apposito sacco nero o halipac (vedi procedura semaforo rosso).

  • 3939LUG 08 ASSISTENZA ANZIANI

    AIOCC <

    LE scale di valutazione e gli indici assi-stenziali favoriscono: una lettura oggettivae confrontabile dei fenomeni assistenziali;una omogenea valutazione quali-quanti-tativa dell’assistenza; la comunicazioneo lo scambio di informazioni tra le diversediscipline (Silvestro, 2003).In particolare, quando si prende in consi-derazione il bisogno di assistenza dellapersona anziana si deve fare i conti conuna complessità la cui conoscenza èindispensabile per tutti i professionistiche partecipano all’intero percorso assi-stenziale; chi si occupa del paziente an-ziano non può prescindere da questacomplessità: solamente una strategiache si fondi sulla valutazione globale deibisogni può essere garanzia di un pianodi cura e assistenza finalizzato alla con-servazione della massima autonomiapersonale e sociale (Zanetti, 2003).

    La dimissione del paziente dall’ospedaleLa dimissione di un paziente, dall’ospe-dale al territorio, al domicilio, presso altrestrutture, ma anche nel passaggio daun reparto all’altro è un momento criticonel percorso di qualunque persona, per-ché si modificano i regimi di cura, cam-biano i contesti e gli operatori sanitari, l’in-tensità e la tipologia degli interventi (Bonoe Dutto, 2006). La preparazione del pa-ziente alla dimissione è quindi una re-sponsabilità assistenziale, oltre che undiritto del paziente e dei suoi familiari, chedevono essere coinvolti e accompagnati

    in tutto il percorso assistenziale. In par-ticolare, occorre porre una specifica atten-zione agli scambi informativi su di unostesso caso e non si può non fare riferi-mento alla modalità di valutazione dellapersona e dei suoi bisogni, valutazioneche viene inevitabilmente influenzata dalcontesto di riferimento. Ed il contesto diricovero ospedaliero e quello domiciliaresono talmente diversi da determinareenormi differenziazioni nella valutazioneeffettuata. Uno dei più grossi problemiche emerge nella comunicazione ospe-dale/territorio in merito alle dimissioniprotette, quindi alla continuità dell’assi-stenza, è proprio legato a questo aspettodi difficoltà nel cogliere l’intera comples-sità della persona, durante e dopo l’e-vento malattia. La valutazione della per-sona che viene fatta all’interno del con-testo ospedaliero è fortemente condi-zionata dai ruoli messi in atto durante ilricovero. Cioè, la struttura organizzativaospedale esercita una forte pressionesulla persona (orari, luoghi, abbigliamen-to…) che gli impedisce di esprimere leattività di vita, considerate da un punto divista assistenziale, come farebbe al do-micilio, tanto che alcune di queste attività“escono” dalla rilevazione ai fini del pro-cesso assistenziale1.A questo si deve aggiungere che la pre-visione di un progetto assistenziale adomicilio, eseguita prima della dimissioneanche dagli stessi operatori dell’assi-stenza territoriale e domiciliare, può incor-rere negli stessi errori di valutazione, se

    l’assistito non è già conosciuto dal servi-zio, proprio perché la persona osservatain ospedale, una volta reinserita nel suoambiente, “cambia” completamente.La continuità dell’assistenza, che iniziacon la corretta valutazione della personae della sua rete informale di cura, si puòperseguire attraverso modalità di ascoltoreciproco (tra operatori dell’ospedale e o-peratori del territorio), attraverso il supe-ramento del problema del contenimentodei tempi di ricovero che impone dimis-sioni precoci, se la persona o la famiglianon sono pronte per affrontare la situa-zione a domicilio. Ma ancora, attraversola definizione ed attuazione di percorsi dieducazione ed addestramento all’uso ditecnologie o metodiche assistenziali giàdurante il ricovero anche se i tempi sonostretti, attraverso lo sviluppo di modalitàdi comprensione e coinvolgimento deifamiliari durante il momento del ricovero,anche se oggigiorno i reparti ospedalieriosservano ancora gli orari di apertura aiparenti.

    La pianificazione della dimissioneLa pianificazione della dimissione è unintervento assistenziale che mira ad as-sicurare la continuità delle cure; consistein una serie di passaggi in cui dovrebberoessere analizzati i problemi della personaad uno ad uno. Per fare ciò è possibile uti-lizzare uno strumento di valutazione,l’indice di BRASS (Blaylock Risk Assess-ment Screening) (Blaylock e Cason,1992), che può essere adottato già dalmomento dell’ammissione in reparto eche consente di identificare i pazienti arischio di ospedalizzazione prolungata odi dimissione difficile.Pianificare la dimissione consente di at-tuare quei percorsi educativi di cui sopra,al fine di garantire l’adattamento allanuova condizione di malattia conside-rando che, con lo spostamento del fulcrodelle malattie da acute e infettive a cro-

    DIMISSIONE PROTETTABisogni, competenze e pianificazione

    LA CORRETTA PIANIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA COMPORTAUNA PUNTUALE RILEVAZIONE DEI BISOGNI ASSISTENZIALI EFFETTUATA ATTRA-VERSO UN’ACCURATA RACCOLTA DEI DATI. PER EVITARE CHE I DATI RACCOLTISIANO INFLUENZATI DA ELEMENTI SOGGETTIVI LEGATI ALL’ESPERIENZA ED AL-LA COMPETENZA DI OGNI INFERMIERE, CON CONSEGUENTE SCARSA EFFICIENZAORGANIZZATIVA CHE PRODUCE UNA BASSA STANDARDIZZAZIONE DELL’OR-GANIZZAZIONE DELL’ÈQUIPE PROFESSIONALE, È BENE RICORRERE ALL’UTILIZZODI SCALE VALIDATE SCIENTIFICAMENTE E INDICI ASSISTENZIALI.

    > di SILVIA MARCADELLI * - VITO PETRAIA* - VITA SAPONARO**

  • 41

    nico-degenerative (Ardirò, 1997), per di-minuire i prolungati periodi di ricovero èdiventato necessario ridefinire il rappor-to ammalato-operatori sanitari: quanto piùaumentano le cure a domicilio, le oppor-tunità di home-care, tanto più è indispen-sabile una collaborazione e cooperazioneattiva dei pazienti e dei suoi familiari chevolenti o nolenti sono coinvolti nel proces-so di cura e assistenza domiciliare.Particolare attenzione andrà posta neltempo di attivazione del processo educa-tivo poiché, ad esempio, non si può istrui-re un paziente (o un suo familiare) allagestione di una terapia insulinica (o anti-coagulante) il giorno prima della dimis-sione, ma è necessario iniziare subitodopo che il medico ha impostato la tera-pia utilizzando tutte le occasioni che sipresentano in modo organico ed efficace.

    L’indice di BRASSL’indice di BRASS fu sviluppato comeparte del sistema di pianificazione delladimissione soprattutto per i pazienti di etàsuperiore a 65 anni. Le autrici (Blaylocke Cason, 1992) nella revisione della lette-ratura, e nella loro esperienza nel campodell’assistenza in geriatria e gerontologia,hanno identificato i seguenti fattori: età,stato funzionale, stato cognitivo, supportosociale e condizioni di vita, numero di

    ricoveri pregressi/accessi al pronto soc-corso e numero di problemi clinici attivi.Esse hanno incluso anche: modello com-portamentale, mobilità, deficit sensorialie numero dei farmaci assunti perché,pur non essendo elementi dello statofunzionale o cognitivo, sono rilevanti pergli anziani. L’esperienza delle autrici sug-geriva che se il paziente doveva assu-mere un grande quantitativo di farmacic’era un’alta probabilità di non complianceal programma terapeutico.

    DescrizioneIl BRASS index è uno strumento utilizzatoper identificare i pazienti a rischio di o-spedalizzazione prolungata o di dimis-sione difficile. I dati vengono raccolticompilando la scala, intervistando i pa-renti o chi assiste il malato.L’indice di BRASS indaga 10 dimensioni(di cui si è detto sopra):• età;• situazione di vita;• supporto sociale;• stato funzionale;• stato cognitivo;• modello comportamentale;• deficit sensoriali;• ricoveri pregressi/accessi al pronto

    soccorso;• problemi clinici attivi;

    • numero di farmaci assunti.PopolazioneSoggetti ricoverati in ospedale.Modalità di somministrazioneEsaminatore: infermiere. Punteggio: la valutazione viene fatta inbase ad informazioni fornite da un fami-liare o persona che conosce bene il pa-ziente. Sono identificate 3 classi di rischio:basso (0-10) medio (11-19) alto (20-40).Durata: la scala è semplice, veloce (circa15 minuti) e richiede un addestramentominimo.ApplicazioneClinica: Valutazione dei pazienti almomento dell’ammissione in ospedale.LimitiIl BRASS index è di facile compilazionee fornisce buone indicazioni per la validitàpredittiva (specificità) in merito ai problemilegati alla dimissione del paziente: i pa-zienti ad alto rischio frequentemente nonvengono dimessi a domicilio (Mistiaen etal., 1999). Tuttavia dagli studi effettuati(Mistiaen et al., 1999; Chaboyer et al.,2002) l’indice risulta poco sensibile nell’i-dentificare quei pazienti che potrebberopresentare problemi dopo la dimissioneprobabilmente perché, effettuando larilevazione al momento dell’ammissionein ospedale, non vengono correttamenteidentificati quegli anziani che peggioranole loro condizioni a causa dell’ospe-dalizzazione, specie se prolungata.

    Note conclusiveLa BRASS, somministrata come partedell’assessment di ammissione del pa-ziente in ospedale, consente di identi-ficare coloro che sono a rischio di ospe-dalizzazione prolungata e di dimissionedifficile: in particolare i pazienti che avran-no bisogno dell’attivazione di servizi (orisorse assistenziali anche familiari) perl’assistenza extraospedaliera. Gli infer-mieri possono utilizzare le informazioniche la BRASS fornisce per pianificare in-terventi educativi da attuare durante il ri-covero e programmi assistenziali do-miciliari. Ulteriori studi sulla sua applica-zione sono necessari per meglio preci-sare i livelli di rischio, poiché il bilancia-mento tra specificità e sensibilità puòessere raggiunto scegliendo diversi livellidi cut-off nel punteggio dell’indice (Mi-

    LUG 08 ASSISTENZA ANZIANI

    AIOCC

  • > AIOCC

    42 LUG 08 ASSISTENZA ANZIANI

    stiaen et al., 1999). Gli aspetti di criticitàevidenziati possono essere limitati da ri-petute valutazioni durante l’ospedaliz-zazione, soprattutto se prolungata, pro-prio perché le persone anziane possonomodificare il loro stato funzionale nel cor-so del ricovero poiché “la valutazione,specialmente se rigorosa - anche quandosembra difficile o senza speranza - ègaranzia di rispetto per ogni singola per-sona e indicazione di ottimismo sulle po-tenzialità dell’anziano e sulle sue possi-bilità di rispondere in modo significativoa un progetto di care (Trabucchi, 2003)”.

    NOTE1Si veda, a tal proposito, Bassetti O., “La

    professione infermieristica oggi: le nuovepriorità”, Rosini Editrice, Firenze 2002, cap.

    3.

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    *Servizio Assistenza ASL 4, Matera *** Servizio Riabilitativo e Tecnico Sanitario e

    Sociale ASL 4, Matera

    BLAYLOCK RISK ASSESSMENT SCREENING (BRASS)

    Cerchiare ogni aspetto che viene rilevato

    Età (una sola opzione)0 = 55 anni o meno 1 = 56 – 64 anni2 = 65 – 79 anni3 = 80 anni e piùCondizioni di vita e supporto sociale (unasola opzione)0 = Vive col coniuge1 = Vive con la famiglia2 = Vive da solo con il sostegno della familiare3 = Vive da solo con il sostegno di amici/cono-scenti4 = Vive solo senza alcun sostegno5 = Assistenza domiciliare/residenzialeStato funzionale (ogni opzione valutata)0 = Autonomo (indipendente in ADL e IADL)Dipendente in:1 = Alimentazione/nutrizione1 = Igiene/abbigliamento1 = Andare in bagno1 = Spostamenti/mobilità1 = Incontinenza intestinale1 = Incontinenza urinaria1 = Preparazione del cibo1 = Responsabilità nell’uso di medicinali1 = Capacità di gestire il denaro1 = Fare acquisti1 = Utilizzo di mezzi di trasportoStato cognitivo (una sola opzione)0 = Orientato1 = Disorientato in alcune sfere* qualche volta2 = Disorientato in alcune sfere* sempre3 = Disorientato in tutte le sfere* qualche volta4 = Disorientato in tutte le sfere* sempre5 = Comatoso

    * sfere: spazio, tempo, luogo e sè

    Modello comportamentale (ogni opzione valutata)0 = Appropriato1 = Wandering1 = Agitato1 = Confuso1 = AltroMobilità (una sola opzione)0 = Deambula1 = Deambula con aiuto di ausili2 = Deambula con assistenza3 = Non deambulaDeficit sensoriali (una sola opzione)0 = Nessuno1 = Deficit visivi o uditivi2 = Deficit visivi e uditiviNumero di ricoveri pregressi/accessi al prontosoccorso (una sola opzione)0 = Nessuno negli ultimi 3 mesi1 = Uno negli ultimi 3 mesi2 = Due negli ultimi 3 mesi3 = Più di due negli ultimi 3 mesiNumero di problemi clinici attivi (una sola opzione)0 = Tre problemi clinici1 = Da tre a cinque problemi clinici2 = Più di cinque problemi cliniciNumero di farmaci assunti (una sola opzione)0 = Meno di tre farmaci1 = Da tre a cinque farmaci2 = Più di cinque farmaci

    PUNTEGGIO TOTALE ________________

    Punteggio Indice di rischio

    0-10 rischio basso Soggetti a basso rischio di problemi dopo la dimissione:non richiedono particolare impegno per l’organizzazionedella loro dimissione, la disabilità è molto limitata

    11-19 rischio medio Soggetti a medio rischio di problemi legati a situazionicliniche complesse che richiedono una pianificazionedella dimissione ma probabilmente senza rischio diistituzionalizzione

    maggiore o uguale a 20 alto rischio Soggetti ad alto rischio perché hanno problemi rilevantie che richiedono una continuità di cure probabilmentein strutture riabilitative o istituzioni

  • AIOCC <

    SONO ben note le ragioni di questaevoluzione della domanda: l’aumentodella speranza di vita, del quale bene-ficiano - in virtù dei progressi della medi-cina - anche persone affette da gravipatologie croniche; la capacità da partedei nuclei familiari di far fronte - grazie allemigliorate condizioni di reddito e soprat-tutto alla disponibilità di personale diassistenza privata a domicilio (le cosid-dette “badanti”) - a situazioni gravate daun minor livello di instabilità clinica (Guai-ta, 2001); le profonde trasformazioni chehanno investito l’ospedale, riducendonele capacità di garantire non solo una

    funzione “assistenziale”, talvolta impro-pria, storicamente esercitata nei confrontidegli anziani, ma spesso perfino la neces-saria stabilizzazione clinica (Capasso,1999; Savini, 1999). Una simile evoluzione della domanda e-ra in buona parte prevista dalla normativanazionale istitutiva delle Residenze Sani-tarie Assistenziali (D.P.C.M. del 22 dicem-bre 1989) quale presidio della rete dell’“Assistenza Geriatrica”, fortemente colle-gato con le strutture ospedaliere, ed è sta-ta affrontata in termini più concreti dallaRegione Lombardia, che ha sancito perqueste strutture residenziali l’obbligato-

    rietà di un’autonoma organizzazione sa-nitaria (D.G.R. n 7435 del 14 dicembre2001). Questo riconoscimento normativoe “culturale”, tuttavia, non ha impedito chele RSArestassero “ai margini” del sistemasanitario, con difficoltà crescenti non soloa reperire le figure sanitarie (data la gravecarenza di queste figure, in particolare de-gli infermieri, sul mercato del lavoro), maanche a garantire loro lo stesso riconosci-mento (economico e di status) della Sa-nità.I problemi posti alle RSAdall’aumento deibisogni sanitari non sono però solo di na-tura “quantitativa”, non sono cioè risolvibiligrazie al “parallelo” aumento delle presta-zioni sanitarie reso possibile dall’incre-mento numerico di figure professionaliche operano con modelli mutuati dallamedicina clinica. I bisogni specifici deglianziani “fragili” ospiti delle RSA - con illoro bagaglio di polipatologia, di disabilitàe di instabilità clinico e funzionale - postu-lano un nuovo modello di assistenza in-tegrata: un modello capace di promuo-vere autonomia e benessere coniugandola gestione delle attività della vita quoti-diana e la presa in carico complessivadella vita della persona all’interno dellaRSA (la care) che vede proprio nell’au-siliario socio-assistenziale -ASA- l’attoreprincipale con la gestione delle fluttuazionicliniche e delle riacutizzazioni delle ma-lattie croniche (le cure) (Senin, 1999).Il modello di assistenza che si è andatofaticosamente costruendo nelle nostrestrutture chiede agli infermieri - accantoed oltre le competenze tecniche - cre-scenti capacità di coordinamento e diguida del gruppo di lavoro e, al tempo,stesso presuppone una crescita com-plessiva delle competenze sanitarie ditutta l’équipe ed in particolare di queglioperatori - (gli ASA) - che ne costituisconola figura di base.In questo scenario si colloca l’istituzioneda parte del Ministero della Sanità, in

    TERAPIA E COMPETENZEOperatore socio-sanitario e somministrazione

    I SERVIZI SOCIO-SANITARI PER LA POPOLAZIONE ANZIANA, ED IN PARTICOLARELE RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI (RSA), SONO DAALCUNI ANNI CHIAMATIA FARSI CARICO DI UN’UTENZA CARATTERIZZATA NON SOLO DA UN’ETÀ SEMPREPIÙ AVANZATA E DA ELEVATI LIVELLI DI DISABILITÀ, MAANCHE DA UNA CRESCEN-TE COMPLESSITÀ ED INSTABILITÀ DELLE CONDIZIONI CLINICHE.

    > di MASSIMO PADERNO* - ERMELLINA ZANETTI **

    AGO SET 08 ASSISTENZA ANZIANI 37

  • > AIOCC

    AGO SET 08 ASSISTENZA ANZIANI38

    accordo con la Conferenza Stato-Regio-ni, della figura dell’Operatore Socio Sani-tario (OSS) (Conferenza Stato-Regioni,2001), e la possibilità di riconvertire aquesta nuova figura gli operatori di basedelle RSA, gli ausiliari socio-assistenziali.L’OSS ha rappresentato e rappresentaper le RSA un’opportunità - senz’altroparziale, non priva di limiti e di ambiguità,ma concreta - per affrontare una situa-zione particolarmente complessa. Analiz-zando la storia della figura dell’OperatoreSocio Sanitario possiamo considerareche era in origine pensata per uniformaresul territorio nazionale il profilo e laformazione degli operatori “di supporto”che nelle diverse Regioni avevano deno-minazioni (ASA, OSA, ADB, ADEST…),profili e percorsi formativi diversi. Subitodopo l’approvazione del profilo nelgennaio 2001 la concomitante carenza diinfermieri da un lato e i mutati bisognidegli utenti di alcuni servizi, in particolaredelle Residenze Sanitarie Assistenziali,hanno innescato un corto circuito forma-tivo che, in particolare in alcune Regioni(Lombardia e Veneto tra le prime), hamesso sul mercato con circa 200 ore diformazione teorico pratica (rispetto alle1200 previste dal profilo) i primi OSS ri-qualificando gli Ausiliari Socio Sanitariin servizio da almeno tre anni e che ave-vano ottenuto la qualifica di ASA con uncorso di almeno 600 ore teorico pratiche.La formazione degli OSS è successi-vamente proseguita su due binari, quellodella riqualifica degli ASA e quello rivoltoagli studenti che avevano terminata l’i-struzione di base obbligatoria. La forma-zione è stata affidata alle agenzie for-mative regionali (centri di formazioneprofessionali) che si convenzionavanocon le aziende ospedaliere e le aziendesanitarie locali per il tirocinio. La RegioneLombardia ha provveduto al monitoraggiodei percorsi formativi ed è emersa unasostanziale divergenza di contenuti, di orededicate alle diverse discipline e alladurata dei singoli tirocini. Il risultato èquello di un operatore che forse ha qual-che nozione in più, spesso troppo clinica,ma ancora troppo disomogenea e par-cellizzata è la sua formazione e spessole strutture che lo inseriscono con lecompetenze e le mansioni previste dal

    profilo devono prevedere un ulterioreperiodo di addestramento/inserimento(Zanetti, 2004). Nel 2003 la ConferenzaStato-Regioni ha definito l’istituzione di unpercorso di formazione complementareper l’OSS. In particolare, la maggioreformazione era finalizzata all’attribuzioneall’OSS della terapia farmacologia, su-scitando tra gli infermieri dubbi, perples-sità e resistenze. La delibera della Regione Lombardianumero VIII/ 005101 del 18 luglio 2007 haapportato alcune importanti novità rispettoal profilo dell’OSS e attribuisce all’OSSl’attività di somministrazione della terapiaenterale, superando il ruolo di sola colla-borazione previsto dalla normativa pre-cedente (D. R. G. Regione Lombardianumero VII 5428 del 06.07.2001).Questo cambiamento dovrà essere af-frontato e gestito in particolare dagli infer-mieri che avranno il compito sia di crearele condizioni organizzative, affinché gliOSS possano con sicurezza e compe-tenza somministrare la terapia entrale, siadi valutare la competenza dei singolioperatori. Gli infermieri, abituati a “lavorare da soli”,dovranno familiarizzare con il processo diattribuzione dei compiti, valutando, di si-tuazione in situazione, l’opportunità omeno di attribuire all’OSS la sommini-

    strazione della terapia enterale, in relazio-ne all’accertamento e alla definizione deibisogni assistenziali di ogni singolo utentea della pianificazione dell’assistenza dicui l’infermiere rimane l’unico responsa-bile. L’autonomia decisionale in merito aquali utenti l’OSS può somministrare i far-maci è, infatti, solo dell’infermiere. Lasomministrazione della terapia non richie-de solo abilità manuale, che potrebbe evi-denziare solo l’aspetto esecutivo, macomprende approfondite ed integrateconoscenze teoriche che coinvolgonoanche la sfera psicomotoria: coordina-mento, osservazione, comunicazione(Cantarelli, 1998).La somministrazione della terapia richie-de, infatti, la comprensione della prescri-zione, la conoscenza dei principali farma-ci in relazione alle loro modalità di som-ministrazione, preparazione e conserva-zione, la corretta preparazione e sommi-nistrazione (in particolare in presenza dipiù farmaci da somministrare allo stessoutente) e il controllo di eventuali effetticollaterali.Ciò configura la somministrazione dellaterapia come un’attività complessa che leparticolari condizioni di fragilità degli utentidi una RSA possono ulteriormente ren-dere complessa. La somministrazionedella terapia in queste strutture si

    TABELLA 1: UTILIZZO DI UNA PROCEDURA PER VALUTARE LE CAPACITÀ DELL'OSS NELLAPREPARAZIONE E SOMMINIST