Contro l’uguaglianza, contro il privilegio.Il giovane Guizot e i suoi critici (1820-1821)

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Alberto Clerici Contro l’uguaglianza, contro il privilegio. Il giovane Guizot e i suoi critici (1820-1821) Callicle. […] Infatti, io credo che in questo consista il giusto secondo natura: che chi è migliore e più assennato comandi ed abbia di più di quelli che sono meno capaci. Platone, Gorgia, 490a 1. Premessa A lungo considerato dalla storiografia come un mero intermezzo tra la Grande Rivoluzione e il Quarantotto, 1 il periodo della Restaurazione in Francia rappresenta in realtà una sorprendente fabbrica di idee e proposte politiche, un momento del tutto particolare caratterizzato da un vivace cli- ma culturale favorito dalla Carta octroyée del 1814 e dominato dalla perce- zione di una rinascita degli spiriti dopo un periodo d’inattività forzata. Lo confessava nel 1818 il giovane Guizot: Noi abbiamo vissuto un periodo nel quale la minima opinione era espressa in modo celato, e il pensiero, ancora prima di generarsi, perdeva ogni vigore mascherandosi. Ne è scaturita un’abitudine all’indecisione e al tergiversare, che dai libri si è trasferita sullo spirito degli autori e persino dei lettori. Non si esprimevano che pensieri dimezzati, che nessuno osava pronunciare se non dopo averli mutilati. 2 1. Cfr. Répenser la Restauration, a cura di J.-Y. Mollier, M. Reid, J.-C. Yon, Nouveau Monde, Paris 2005; M. Price, The Perilous Crown. France between Revolutions 1814- 1848, Macmillan, London 2007. 2. F. Guizot, recensione a De la Monarchie Française depuis la seconde restauration jusqu’à la fin de la session de 1816 […] par M. le comte de Montlosier, in «Archives phi- losophiques, politiques et littéraires», III (1818), pp. 385-386.

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Alberto Clerici

Contro l’uguaglianza, contro il privilegio. Il giovane Guizot e i suoi critici (1820-1821)

Callicle. […] Infatti, io credo che in questoconsista il giusto secondo natura:

che chi è migliore e più assennato comandi ed abbia di più di quelli che sono meno capaci.

Platone, Gorgia, 490a

1. Premessa

A lungo considerato dalla storiografia come un mero intermezzo tra la Grande Rivoluzione e il Quarantotto,1 il periodo della Restaurazione in Francia rappresenta in realtà una sorprendente fabbrica di idee e proposte politiche, un momento del tutto particolare caratterizzato da un vivace cli-ma culturale favorito dalla Carta octroyée del 1814 e dominato dalla perce-zione di una rinascita degli spiriti dopo un periodo d’inattività forzata. Lo confessava nel 1818 il giovane Guizot:

Noi abbiamo vissuto un periodo nel quale la minima opinione era espressa in modo celato, e il pensiero, ancora prima di generarsi, perdeva ogni vigore mascherandosi. Ne è scaturita un’abitudine all’indecisione e al tergiversare, che dai libri si è trasferita sullo spirito degli autori e persino dei lettori. Non si esprimevano che pensieri dimezzati, che nessuno osava pronunciare se non dopo averli mutilati.2

1. Cfr. Répenser la Restauration, a cura di J.-Y. Mollier, M. Reid, J.-C. Yon, Nouveau Monde, Paris 2005; M. Price, The Perilous Crown. France between Revolutions 1814-1848, Macmillan, London 2007.

2. F. Guizot, recensione a De la Monarchie Française depuis la seconde restauration jusqu’à la fin de la session de 1816 […] par M. le comte de Montlosier, in «Archives phi-losophiques, politiques et littéraires», III (1818), pp. 385-386.

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Dal punto di vista politico, al di là della riuscita, più o meno solida, del «compromesso» o – per dirla ancora con Guizot – della «transazione»3 rappresentata dalla monarchia costituzionale di Luigi XVIII, restavano aperte molte delle questioni e dei problemi sollevati dall’Ottantanove, quel “grande evento” che neanche Napoleone Bonaparte aveva saputo domare.4 Proprio a Guizot, e più in generale ai dottrinari,5 sarebbe spettato l’arduo compito di delineare una via d’uscita dai dilemmi della Rivoluzione, teo-rizzando una “terza via” tra l’opzione monarchico-conservatrice à la Cha-teaubriand e quella propriamente liberale simboleggiata dal pensiero di Benjamin Constant. Lo studio del vivace dibattito sprigionato dalle prime opere filosofico-politiche “mature” di Guizot, in particolare il Du gouver-nement de la France depuis la Restauration et du ministère actuel (1820) e il Des moyens de gouvernement et d’opposition dans l’état actuel de la France (1821), cui si affianca la più o meno coeva stesura del manoscritto a lungo inedito Philosophie politique,6 ci restituisce il senso del polariz-zato orizzonte politico di quella stagione, evidenziando, a nostro avviso nitidamente, come agli occhi dei suoi oppositori royalistes, nel 1820-21, Guizot potesse apparire come un pericoloso discendente dei giacobini, o comunque un “figlio della Rivoluzione”.7

3. Il termine compare in un manoscritto inedito di Guizot, un commento articolo per articolo alla Charte del 1814, conservato alle Archives Nationales di Parigi (Fonds Guizot, 42 AP/297, qui fol. 25). In una prospettiva simile si situa anche il De la doctrine politique qui peut réunir les partis en France di Constant, che esce nel dicembre 1816 e si conclude con un appello a tutte le classi a ricercare un «accordo leale e durevole» (Delaunay, Paris 1816, p. 10).

4. Valga per tutte la testimonianza rilasciata da uno dei doctrinaires, Charles de Ré-musat, in Mémoires de ma vie, a cura di Ch.H. Pouthas, vol. I, Plon, Paris 1958, p. 203: «Ed eccoci là, dopo diciotto anni, ancora allo stesso punto, incapaci di veder chiaro l’avvenire, né di confidare nel presente».

5. Su questo termine cfr. P. Cella Ristaino, Il termine doctrinaire nella pubblicistica dell’Ottocento, in «Il pensiero politico», 2 (1992), pp. 287-297.

6. F. Guizot, Philosophie politique: de la souveraineté, in Id., Histoire de la civilisa-tion en Europe, a cura di P. Rosanvallon, Hachette, Paris 1985, pp. 319-389; trad. it. Della sovranità, a cura di M. Mancini, Editoriale Scientifica, Napoli 1998. Hanno discusso questo manoscritto M. Griffo, Sovranità e governo limitato in François Guizot, in «Il pensiero po-litico», 1 (2001), pp. 95-104 e R. Pozzi, Guizot e la critica al principio della maggioranza numerica, in La democrazia tra libertà e tirannide della maggioranza nell’Ottocento, a cura di G.M. Bravo, Olschki, Firenze 2004, pp. 259-264.

7. O. Tort, La polémique royaliste suscitée par les écrits de Guizot pendant la Restau-ration, in François Guizot 1787-1874. Passé-Présent, Harmattan, Paris 2010, pp. 69-82.

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Parlare di Guizot come di un sovversivo parrà strano, specie a coloro che sono oggi abituati a vedere in lui il “liberale conservatore” nemico del suffragio universale e della sovranità popolare, il «borghese rigido (étroit), anglomane, detestato da Michelet»,8 il feroce reazionario messo alla ber-lina da Marx nel Manifesto del partito comunista.9 Che il liberalismo dot-trinario abbia poi un qualcosa di “elitista” lo sappiamo, già Pareto aveva assegnato a Guizot la patente di profeta dell’elitismo,10 e tale giudizio (non senza una vena polemica) è stato ribadito recentemente da Lucien Jaume11 e Olivia Leboyer,12 e tuttavia va allora contestualizzato, spiegato il perché la sua proposta politica fosse agli inizi tacciata di radicalismo. Essenzial-mente, si tratta di una questione di “punti di vista”, che necessita pertanto di un approccio “contestualista” per essere chiarita. Intendo dire che come nel 1848, dal punto di vista di un Marx, appariva lecito considerare Gui-zot un oligarca nemico del “nuovo che avanza”, così nel 1821 egli era il “nuovo che avanzava”, la «France nouvelle» che, per l’appunto, spaven-tava gli ancor forti difensori del sistema socio-politico pre-rivoluzionario (e l’assassinio del duca di Berry lo avrebbe dimostrato). Del resto, al di là della semplicistica interpretazione di quell’invito ad «arricchirsi» rivolto alla «nuova Francia» emersa dalla Rivoluzione, la ricerca storica ha oramai restituito un’immagine più complessa e problematica del teorico della civi-lisation, figura niente affatto rigida e sbiadita, ma anzi caratterizzata dallo sforzo costante di unire teoria e prassi, ideale e reale, riflessione “alta” e impegno politico contingente.13

8. F. Furet, Préface, in François Guizot et la culture politique de son temps, a cura di M. Valensise, Gallimard-Le Seuil, Paris 1991, p. 8.

9. K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, Introduzione di E. Sangui-neti, Meltemi, Roma 1998, p. 26: «Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del co-munismo. Tutte le potenze della vecchia Europa, il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi, si sono alleati in una santa caccia spietata contro questo spettro».

10. V. Pareto, Les systèmes socialistes, Droz, Genève 1978, p. 53. 11. L. Jaume, L’individu effacé, ou le paradoxe du libéralisme français, Fayard, Paris

1997, pp. 120-169, che parla anche di «autoritarismo» dei dottrinari, diverso però dall’au-toritarismo di matrice controrivoluzionaria.

12. O. Leboyer, Ėlite et libéralisme, Éditions du CNRS, Paris 2012. 13. Per aver raggiunto le più alte vette sia nel pensiero che nell’azione, Rosanvallon

pone Guizot persino sopra Constant e Tocqueville: cfr. P. Rosanvallon, Introduction a F. Guizot, Histoire de la civilisation en Europe, a cura di P. Rosanvallon, Hachette, Paris 1985, pp. 16-17.

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Nel presente contributo cercherò di esporre brevemente la posizione juste milieu di Guizot, tra critica del privilegio e critica della sovranità po-polare, soffermandomi poi su alcuni scritti apparsi in risposta ai suoi lavori del biennio menzionato, per evidenziare, sul problema dell’uguaglianza, una incomunicabilità di fondo tra le parti contendenti, caratterizzata da un parziale difetto di comprensione nei confronti del vocabolario e delle tesi dei doctrinaires, ma non senza alcuni rilievi pungenti e profetici da parte dei royalistes.14

2. Fondamenta

Il pensiero politico della corrente dottrinaria, di cui Guizot è unani-memente riconosciuto come l’espressione più significativa, poggia, come è noto, su alcuni elementi sostanziali: l’anti-contrattualismo, il rifiuto dell’assolutismo (sia monarchico che democratico), la sovranità della ra-gione, il governo “delle capacità”. Gli obiettivi che tale corrente portava avanti sono ben riassunti da Rosanvallon: «terminare la Rivoluzione, co-struire un governo rappresentativo stabile, creare un regime garante del-le libertà fondate sulla Ragione».15 Per un breve ma significativo lasso di tempo, in effetti, Guizot e i suoi sodali ottennero in Francia dei risultati assai significativi, forse anche più di quelli raggiunti dai liberali “puri”.16 In

14. Questo contributo si concentra sulla ricezione degli scritti di Guizot da parte della destra ultras. La sola reazione di parte liberale che si è rinvenuta è B. Laroche, Lettres de M. Grégoire, ancien évêque de Blois, adressées l’une à tous les journalistes, l’autre à M. de Richelieu, précédées et suivies des considérations sur l’ouvrage de M. Guizot, intitulé: “Du gouvernement de la France depuis la Restauration, etc.”, Chez tous les marchands de nouveautés, Paris 1820.

15. P. Rosanvallon, Le moment Guizot, Gallimard, Paris 1985, p. 26. 16. P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 2, L’età delle rivoluzioni,

Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 244-245, sottolinea come i dottrinari, a differenza di Constant e dei liberali “puri”, furono capaci di edificare una teoria del governo e dell’ordine accanto ad una teoria della libertà, evitando di pensare la sovranità esclusivamente in termini “ne-gativi”, riuscendo pertanto nell’intento di creare un “liberalismo di governo”. È questa, in generale, la tesi sia di Rosanvallon, Le moment Guizot, che di A. Craiutu, Liberalism under siege. The Political Thought of the French Doctrinaires, Lanham, Lexington 2003. Cfr. anche le considerazioni di S. Chignola, Il tempo rovesciato. La Restaurazione e il governo della democrazia, il Mulino, Bologna 2011, pp. 70-74, e J. Jennings, Revolution and the Republic. A History of Political Thought in France since the Eighteenth Century, Oxford University Press, Oxford 2011, pp. 169-180.

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questa sede, mi concentrerò esclusivamente sulla nozione di uguaglianza nel giovane Guizot e nei suoi critici, partendo dal riconoscimento di alcune fondamenta essenziali del suo pensiero, prima fra tutte la prospettiva anti-contrattualista che Guizot condivide con gran parte del liberalismo france-se del primo Ottocento17 e che lo porta nella direzione dello storicismo di matrice liberale.18

Nell’Histoire des origines du gouvernement représentatif en Europe egli afferma:

Rousseau pretende di mostrare gli uomini già riuniti in società, ma senza regola, e intenti a crearsene una, come se la società non presupponesse una regola che la faccia esistere. Se non v’è regola non ci può essere società; non vi sono che individui raggruppati e tenuti assieme dalla forza. Questa ipotesi di un contratto primitivo, sola fonte legittima della legge sociale, riposa dun-que sull’ipotesi di un fatto necessariamente falso e impossibile.19

Alla base di questa critica sta il rifiuto della cesura giusnaturalistica tra un prima (lo stato di natura) e un dopo (lo Stato civile) nelle relazioni tra gli individui, e la convinzione che la società non possa essere separata dal governo,20 o meglio, che la politica non possa avere la presunzione di gene-rare da sola i comportamenti sociali, perché la politica nasce e si sviluppa essa stessa già all’interno di una complessa serie di rapporti e di strutture preesistenti, che costituiscono appunto la società. Inoltre, pretendere di fon-dare la sovranità sulla pura volontà, senza riferimento a criteri di moralità e ragione (che Guizot sottrae all’arbitrio umano) significherebbe, in ultima

17. Rosanvallon, Le moment Guizot, pp. 45-46 e 77, dove si afferma che quasi tutti gli scrittori del primo Ottocento sono «funzionalmente anti-rousseauisti».

18. Secondo E. de Waresquiel, L’Histoire à rebrousse-poil. Les élites, la Restauration, la Révolution, Fayard, Paris 2005, p. 38, è la storia la chiave di lettura più adatta per com-prendere il discorso sulle élites nell’intero periodo della Restaurazione. Sull’importanza della storia e della cultura storica nella formazione del giovane Guizot cfr. M.C. O’Connor, The Historical Thought of François Guizot, The Catholic University of America Press, Washington 1955; R. Pozzi, Introduzione a F. Guizot, Storia della Civiltà in Francia, Utet, Torino 1974, pp. 9-64; Ead., La nascita di un “historien”. François Guizot negli anni 1807-1812, in «Il pensiero politico», X (1977), pp. 41-69. A. Coco, François Guizot, Guida, Napoli 1983, pp. 11-60.

19. F. Guizot, Histoire des origines du gouvernement représentatif en Europe (1822), Didier, Paris 1851, t. I, p. 87.

20. Su questo aspetto cfr. Rosanvallon, Le moment Guizot, pp. 35-43. Per la sua in-sistenza sul sociale, Jaume parla di «primato del sociologico sul politico» in tutto il movi-mento dottrinario. Cfr. Jaume, L’individu effacé, p. 149.

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analisi, legittimare l’assolutismo e il dispotismo.21 Per comprendere appieno tale prospettiva, dobbiamo riferirci a un altro tratto essenziale del quadro filosofico-politico di Guizot, che è il protestantesimo. La prima giovinezza passata a Ginevra e la frequentazione di casa Stapfer lasciarono una traccia indelebile sulla sua personalità, una traccia destinata a emergere sempre più col trascorrere degli anni.22 È infatti sul piano teologico che, in Guizot, va ricercata l’origine più profonda non solo dell’ «orizzonte difettivo e fallibile» delle cose umane,23 ma anche di quel principio trascendente che rende possi-bile la «sovranità della ragione»,24 sottratta ad ogni tipo di arbitrio in terra.25 In altre parole, per i dottrinari non esistono verità garantite; la ragione non è mai posseduta perfettamente da un individuo o da un gruppo ristretto, ma è sparsa nella società, e il governo rappresentativo ha lo scopo di collezionare tali “frammenti” di verità disseminati nel tessuto sociale. Pertanto, la «sovra-nità della ragione, della giustizia, del diritto» ha un fondamento che va oltre singole volontà individuali,26 la cui somma (maggioranza) non necessaria-mente si identifica con la realizzazione dell’interesse generale.27

21. Craiutu, Liberalism under siege, pp. 129-133. 22. Sulla relazione, progressivamente sempre più conflittuale (fino alla rottura defini-

tiva), tra Guizot e il pastore ed ex ministro elvetico Stapfer, cfr. Ch. Pouthas, La jeunesse de Guizot (1787-1814), Alcan, Paris 1936, pp. 170-199.

23. Guizot, Philosophie politique, in Histoire de la civilisation en Europe, p. 325: «Essendo l’uomo, per sua natura, imperfetto e soggetto agli errori, nessun potere infallibile e perfetto, e pertanto nessun potere investito della sovranità di diritto, può mai cadere nelle mani dell’uomo, o scaturire dagli uomini».

24. Chignola, Il tempo rovesciato, pp. 84-94; Griffo, Sovranità e governo limitato, p. 98, sostiene che Guizot fornisce della sovranità «una definizione etico-religiosa di chiara ascendenza calvinista».

25. Scrive Guizot: «a Dio solo appartiene […] quella sovranità unica ed inalienabile che non ha che una legge, la legge che abbraccia tutte le cose e le regola secondo un disegno eterno». Cfr. Guizot, Della sovranità, p. 39.

26. Id., Philosophie politique, p. 367 : «Considerato isolatamente e in se stesso, l’indi-viduo non dispone […] di se stesso arbitrariamente e secondo la sua volontà. La sua volontà non è affatto il suo sovrano legittimo. Non è essa che crea e impone all’uomo quelle leggi obbligatorie di cui egli non potrebbe negare l’esistenza. Egli le riceve più dall’alto. Esse gli vengono da una sfera superiore a quella della libertà, da una sfera in cui la libertà non esiste, in cui il dibattito si leva non tra quel che vuole o non vuole l’uomo, ma tra quel che è vero o falso, giusto o ingiusto, conforme o contrario alla ragione».

27. Id., Histoire des origines du gouvernement représentatif, t. II, pp. 149-150: «Esi-ste in ogni società una certa somma di idee giuste. Questa somma di idee giuste è dispersa negli individui che compongono la società e ripartita in modo diseguale tra loro […]. Il problema è di raccogliere ovunque i frammenti sparsi e incompleti di questo potere, di

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La conseguenza, sotto il profilo antropologico, è un atteggiamento fortemente realistico riguardo l’uomo e la politica.28 A ben vedere, inoltre, dietro alla critica che Guizot muove sia alla monarchia di diritto divino che alla democrazia popolare sta la complessità dell’animo umano, diviso tra due aspirazioni parimenti legittime: il desiderio di distinguerci da coloro che riteniamo inferiori a noi, e il bisogno di essere trattati in maniera ugua-le a coloro che si ritengono nostri superiori.29 In altre parole, l’uguaglianza e la disuguaglianza appaiono entrambi attributi connaturati all’uomo, «na-turali e indistruttibili», e ciò ha una immediata ricaduta sulla concezione della politica.

Tali riflessioni contribuiscono a chiarire il giudizio di Guizot sulla Ri-voluzione francese.30 Un “problema”, quello rappresentato dal decennio rivoluzionario (con l’appendice napoleonica) che naturalmente egli con-divideva con quasi tutti i giovani e meno giovani liberali dell’età della Restaurazione. Figlio di un federalista ghigliottinato durante il Terrore, ed educato, come detto, nella Svizzera calvinista, Guizot aveva precocemente sviluppato un’indelebile avversione verso ogni forma di governo definita secondo valori “assoluti”, o la cui legittimità fosse ritenuta auto-evidente. Al contrario dei reazionari, però, non rigettava in toto l’esperienza rivo-luzionaria francese, considerata anzi una tappa essenziale del processo di civilizzazione dell’Occidente,31 ma ne biasimava – al pari di molti suoi contemporanei – gli eccessi e le perversioni avutesi dopo il fallimento della

concentrarli e di costituirli in governo. In altri termini, si tratta di scoprire tutti gli elementi di potere legittimo disseminati nella società e di organizzarli in potere di fatto, vale a dire di concentrarli, di realizzare la ragione pubblica, la morale pubblica e di chiamarle al potere. Ciò che si chiama rappresentanza non è altro che il modo di arrivare a questo risultato. Non è affatto una macchina aritmetica destinata a raccogliere e a contare le volontà individuali. È una procedura naturale per estrarre dal seno della società la ragione pubblica, che sola ha il diritto di governare».

28. Ibidem, t. I, pp. 101-102: «Tale è tuttavia la condizione delle cose umane che esse esigono, in ultima analisi, l’intervento di un potere che manifesti la regola del governo, la legge, e che la imponga e la faccia rispettare […]. Tale è l’effetto corruttore del dispotismo che esso distrugge, presto o tardi, in coloro che l’esercitano ed in quelli che lo subiscono, financo il sentimento della sua illegittimità. Chiunque è sovrano da solo non ha che un pas-so da fare per credersi infallibile».

29. Ibidem, t. II, pp. 300-306. 30. R. Pozzi, François Guizot, in L’albero della rivoluzione. Le interpretazioni della Ri-

voluzione francese, a cura di B. Bongiovanni, L. Guerci, Einaudi, Torino 1989, pp. 254-258. 31. Guizot, recensione a De la monarchie française, p. 397. «In quanto distruttiva, la

Rivoluzione è terminata; in quanto fondatrice, essa inizia ora» (corsivi nell’originale).

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Costituente, condannando il Terrore come prodotto dell’artificialismo poli-tico e della pretesa onnipotenza volontaristica del legislatore.32

In uno dei suoi primi scritti politici, il Du gouvernement représentatif et de l’état actuel de la France (1816), Guizot distingue due tipi di rivo-luzione: quella che si fa per la libertà e la giustizia, e quella che si fa per il potere. La Rivoluzione francese, a suo dire, cominciò con il piede giusto, come lotta per raggiungere quello stato morale e civile che la civiltà del tempo esigeva; ma ben presto divenne semplice lotta per il potere, o me-glio si tradusse nello scontro, e nella vittoria, del Terzo Stato sulla nobiltà e sul clero, per poi trasformarsi in lotta «dei poveri contro i ricchi, della plebaglia contro la borghesia, della canaglia contro le persone oneste».33 Due anni più tardi, recensendo Montlosier, chiariva:

La rivoluzione conteneva in sé principi buoni e cattivi; quelli cattivi hanno pre-valso nei suoi governi, Buonaparte li ha combattuti, e questa è stata la sua forza; ma si è messo a combattere anche quelli buoni, e questa è stata la sua debolez-za; il suo successo è venuto dall’aver ben compreso una parte delle necessità dei suoi tempi; la sua caduta, dal non aver riconosciuto l’altra parte.34

Il programma politico liberale, condiviso dai dottrinari, prevedeva dunque la non facile individuazione di una posizione intermedia tra reazio-nari e rivoluzionari. I dottrinari però, a differenza di Constant, adottavano una prospettiva decisamente anti-individualistica,35 rifiutando l’idea di una contrapposizione netta tra individuo e Stato, in favore di una visione orga-nicistica della relazioni umane, di tipo tuttavia assai diverso dalla società cetuale d’antico regime, immobile e fondata sul sangue e i titoli nobiliari.36

32. Rosanvallon, Le moment Guizot, p. 44.33. F. Guizot, Du gouvernement représentatif et de l’état actuel de la France, Mara-

dan, Paris 1816, pp. 2-3. 34. Id., recensione a De la monarchie française, p. 397. 35. Tale anti-individualismo ha portato a Guizot anche severi giudizi, sintomo del-

la difficoltà di intendere correttamente il rapporto individuo-società dei dottrinari. Per un esempio si veda E. Faguet, Politiques et moralistes du dix-neuvième siècle, 1ere sèrie, Le-cène, Paris 1891, p. 335.

36. Secondo C. Lefort, Introduction a F. Guizot, Des moyens de gouvernement et d’op-position dans l’état actuel de la France, Belin, Paris 2009, p. 21, il messaggio di Guizot se-gna una rottura con l’immagine organicistica dell’antico regime, non essendo più a servizio della monarchia, né indicando più una gerarchia naturale dei corpi o l’unità invisibile di una comunità incarnata in un Dio immortale, e neanche (si può aggiungere) il Leviatano forma-to dagli individui-atomi di cui parlava Hobbes. Costa, parlando di «oggettivo rispecchiarsi

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Tale prospettiva non implicava il ricorso alla cesura con il passato, ma l’accettazione di questo come necessaria premessa del suo superamento.37 Guardando indietro alla sua vita, nel 1858 Guizot scriverà:

sono stato allo stesso tempo liberale e antirivoluzionario, devoto ai principi fondamentali della nuova società francese, e animato, per la vecchia Francia, da un rispetto affettuoso.38

Uscire definitivamente dalla Rivoluzione significò per i dottrinari in-traprendere una revisione generale e profonda delle tradizionali categorie con le quali veniva pensato il concetto di sovranità. Come è noto, essi giunsero al recupero e alla rielaborazione della nozione di «sovranità della ragione»39 proprio a partire dalla critica sia dell’assolutismo monarchico che della democrazia fondata sulla «tirannia del numero». Punto nodale di questo sforzo teorico è il riconoscimento di una nuova aristocrazia politi-ca, quella dei cittadini «capaci»,40 espressione del ceto medio e definita da Guizot come «nuova Francia».

La strategia del juste milieu è ben riconoscibile già negli scritti del 1816: la prefazione e le Notes alla traduzione francese dell’ Über Souveränität di Johann Peter Friedrich Ancillon,41 e il già citato Du gouvernement représen-tatif et de l’état actuel de la France. In quest’ultimo libello, che si inserisce

della società nell’ordine politico», evidenzia invece un’affinità d’impostazione tra Guizot e Burke (Costa, Civitas, p. 247 e nota). Sul rapporto tra Constant e Guizot le posizioni sono divergenti. In una lettera del 1821 a Pauline de Meulan, sua prima moglie, Guizot definisce Constant «il più lungimirante (clairvoyant) e il più impotente tra gli uomini». Cfr. Lettres de M. Guizot a sa famille et a ses amis, Hachette, Paris 1884, p. 35.

37. F. Guizot, Des moyens de gouvernement et d’opposition dans l’état actuel de la France, Ladvocat, Paris 1821, p. 357: «Il Settecento, la Rivoluzione, le loro idee, la loro prassi, tutto ciò ha fatto il suo corso e ha prodotto il suo risultato. Noi dobbiamo riceverne l’eredità, ma per fecondarla di nuovo, non per raccogliere ciò che ancora ne resta».

38. F. Guizot, Mémoires pour servir à l’histoire de mon temps, Levy, Paris 1858, vol. I, p. 315.

39. Sulle origini di questo concetto, rintracciabili già nel XVIII secolo, cfr. Craiutu, Liberalism under siege, p. 128.

40. Rosanvallon, Le moment Guizot, pp. 95-140; M. Ferrari, Prospettive del dibattito su “aristocrazia” e “democrazia” nella restaurazione francese, in Studi politici in onore di Luigi Firpo, a cura di S. Rota Ghibaudi, F. Barcia, Franco Angeli, Milano 1990, vol. III, pp. 111-136; ma soprattutto Leboyer, Ėlite et libéralisme, pp. 127-201.

41. P. Cella Ristaino, Cenni su democrazia, rappresentanza e “partito di governo” nel pensiero giovanile di Guizot: le note alla traduzione di “Über Souveränität und Staatsverfas-sung” di F. Ancillon (1816), in Studi politici in onore di Luigi Firpo, vol. III, pp. 137-154.

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all’interno del dibattito sul governo rappresentativo generato dalla Charte del 1814,42 Guizot difende il principio dell’uguaglianza giuridica (non sociale o economica), scagliandosi contro la nozione di privilegio.43 Nelle note critiche al lavoro di Ancillon, invece, prende di mira la «chimera» della sovranità po-polare e il suo pernicioso corollario, il mandato illimitato, che a suo dire, du-rante la Rivoluzione, avrebbe generato in Francia «la tirannia più spaventosa di cui la storia offre esempio».44 È però solo con le opere più “mature” del 1820-1821 che Guizot si consacra definitivamente come teorico e pubblicista di razza. A questi contributi, pertanto, rivolgeremo ora la nostra attenzione.

3. Contro il privilegio, contro l’uguaglianza

L’assassinio del duca di Berry nel febbraio 1820 provocò la caduta del governo Decazes e del sogno di una “Restaurazione liberale”. Fu per Gui-

42. P. Rosanvallon, Les Doctrinaires et la question du gouvernement représentatif, in The French Revolution and the creation of modern political culture, a cura di K.M. Baker, Pergamon Press, Oxford 1989, vol. 3, pp. 411-431; M. Ferrari, Dibattiti sui “partis” e dinamiche della rappresentanza all’epoca della “Chambre Introuvable” (1815-1816), in La rappresentanza tra due rivoluzioni (1789-1848), a cura di C. Carini, Centro Editoriale Toscano, Firenze 2000, pp. 175-218. Ad animare la polemica fu soprattutto la pubblica-zione de La Monarchie selon la Charte di Chateaubriand (1815) e Du Ministère dans le gouvernement représentatif del barone di Vitrolles (1815).

43. Guizot, Du gouvernement représentatif, p. 69: «Noi vediamo in Francia una sola categoria di interessi morali che possa volere una rivoluzione; sono gli interessi dell’orgoglio che ferisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge […] insomma, tutti quegli interessi che si riconducono alla memoria dei privilegi». Per la decisa rivendicazione dei poteri del governo sulle Camere, la brochure di Guizot fu definita «ultra-ministérielle». Cfr. Le Cen-seur Européen, par MM. Comte et Dunoyer, Au bureau du Censeur, Paris 1817, t. I, p. 376.

44. F. Guizot, Note I, in F. Ancillon, De la souveraineté et des formes de gouvernement, essai destiné à la rectification de quelques principes politiques, Lenormand, Paris 1816, pp. 129-130: «Non è questo il luogo in cui esaminare e combattere la dottrina della sovranità del popolo […]. Ci limiteremo a dire che essa è stata durante la nostra rivoluzione la base fonda-mentale a cui sono state costrette ad adattarsi tutte le idee, tutte le espressioni e tutte le istituzioni politiche. Da questa dottrina si è concluso che il potere elettivo sia l’unico potere legittimo; che il popolo investa della sua sovranità i funzionari che elegge; che i suoi rappresentanti rappresen-tino necessariamente le sue opinioni e i suoi interessi, e di conseguenza le sue volontà; che esso possa conferire un mandato illimitato così come dei mandati speciali; che, durante la durata del mandato, il mandatario riunisca nella sua persona tutti i poteri, tutte le qualità del mandante, ecc. Poco a poco la sovranità del popolo è passata tutta intera nella classe dei mandatari del popolo e la Francia si è trovata sottoposta alla più spaventosa tirannia di cui la storia offra l’esempio».

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zot la prima vera sconfitta politica, che lo gettò per un istante in uno stato di profondo sconforto. L’asse politico si spostò verso la destra ultrarealista.45 I doctrinaires, attaccati da quest’ultima ma anche da sinistra, finirono iso-lati e vennero allontanati dalle posizioni di governo che ricoprivano.46 Fu così che Guizot tornò all’insegnamento universitario (iniziato nel 1812 e abbandonato nel 1814) e, sebbene egli avesse confessato di non volere più occuparsi di politica attiva e militante, tuttavia le sue lezioni sulla storia del governo rappresentativo in Europa sono invece la manifestazione di un altro modo di incidere sulla società, fors’anche più fertile rispetto alla par-tecipazione alle cariche governative, e certamente altrettanto “sgradito”, a giudicare dalle riserve espresse dalla curia romana nei confronti dei corsi di Guizot e Cousin.47 Ma sopratutto, tra il 1820 e il 1821, dalle file dell’op-posizione, Guizot diede alle stampe alcuni solidi e violenti pamphlets, cui la propaganda ultras rispose ben presto e con altrettanto vigore.

Il 12 settembre 1820 le trecento pagine manoscritte del Du gouver-nement de la France depuis la Restauration et du ministère actuel erano pronte, e Guizot le mostrò a Royer-Collard, Barante, de Broglie, e Constant. Tutti loro, nonostante il titolo anodino, ne riconobbero la durezza e la pro-fondità. L’opera apparve in ottobre, in piena campagna elettorale, ed ebbe un immediato riscontro, attestato dalle quattro edizioni avutesi in soli due mesi.48 Alla terza tiratura Guizot aggiunse una fondamentale premessa per replicare ad alcuni critici nel frattempo scesi in campo. Il Du gouvernement de la France è un focoso attacco al tentativo della destra conservatrice di reintrodurre in Francia l’ancien régime. Riguardo allo stile, nei Mémoi-res Guizot ammetterà di essere stato dominato dall’impulso e dalla rabbia dell’oppositore. Fu in ogni caso un grande successo editoriale, testimonia-

45. Waresquiel, L’Histoire à rebrousse-poil, pp. 60-63. 46. In quel momento, Guizot era membro del Consiglio di Stato. Conviene ricordare

che egli era ancora troppo giovane per sedere in parlamento (fu eletto per la prima volta nel collegio normanno del Calvados nel 1830).

47. M. Fioravanti, Un giurista romano a Parigi. Bartolomeo Lasagni dalla Roma napoleonica alla Francia della Restaurazione, in La giustizia dello Stato pontificio in età moderna, a cura di M.R. Di Simone, Viella, Roma 2011, pp. 223-237, segnala un documen-to depositato presso l’Archivio Segreto Vaticano (ASV, AES, Francia, fasc. 249, pos. 357), contenente il resoconto di un incontro avvenuto nel 1828 tra re Carlo X e l’arcivescovo di Genova Lambruschini, nunzio pontificio a Parigi, nel quale il prelato avrebbe manifestato al monarca forti preoccupazioni per i contenuti delle lezioni di Cousin e Guizot.

48. Per un totale di 7.000 copie, più 2.000 di Supplément. Cfr. Tort, La polémique royaliste, p. 75.

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to anche dalla duchessa de Broglie, per la quale il testo avrebbe contenuto persino «alcune concessioni alla sinistra».49

Guizot presenta la Rivoluzione, e in generale tutta la storia di Francia dal medioevo in poi, come una lotta fra «due popoli».50 Riprendendo l’an-tica polemica storiografica settecentesca sull’incontro-scontro tra Franchi e Galli, ma rielaborandola fino ad anticipare la “lotta di classe” marxista,51 con registro metaforico52 Guizot vuole evidenziare l’esistenza di “due France”, una nouvelle e una ancienne, definite ora il «popolo della Charte» e il «po-polo del privilegio». Quest’ultimo, da vinto dopo l’Ottantanove, è riuscito a tornare vincitore, e di nuovo si sarebbe installato nel cuore del paese. Dal punto di vista concettuale, il conflitto di cui parla Guizot si traduce nella in-conciliabilità tra uguaglianza e privilegio; dal punto di vista sociale, invece, la contrapposizione è tra ceto medio e aristocrazia d’antico regime.53 Sullo sfondo, l’eterna battaglia tra «due teorie dell’organizzazione sociale, delle quali una riposa sul principio della classificazione degli uomini secondo i loro ranghi, e dunque sul privilegio, l’altra su quello dell’uguaglianza tra gli uomini che possiedono una determinata capacità, e dunque sul diritto».54 Il linguaggio di questo testo, scritto da un Guizot poco più che trentenne, ap-pare assai lontano dal conservatorismo degli ultimi anni, ad esempio quando con parole chiare e fiducia nel progresso condanna i controrivoluzionari:

Tutte le volte che le idee nuove cercano un sostegno nella morale, unica garan-zia di durata, e ogni volta che i principi della libertà si realizzano all’interno di leggi regolari, la controrivoluzione raddoppia la sua inquietudine e i suoi sforzi per impedire che l’ordine nuovo eriga un edificio solido sulle rovine.55

Nella premessa alla terza edizione del Du gouvernement de la France, pur arrivando a definire la Rivoluzione come lotta «terribile ma legittima»

49. G. de Broglie, Guizot, Perrin, Paris 2002, pp. 80-81. 50. Guizot, Du gouvernement de la France, p. 1: «La rivoluzione è stata una guerra,

una vera guerra […] tra due popoli stranieri. Da tredici secoli in Francia ve ne sono due, un popolo vincitore e un popolo vinto. La nostra storia è la storia di questa lotta».

51. La polemica era stata riaperta sia dal De la Monarchie française di Montlosier (1814), sia da uno scritto di Chateaubriand apparso su «Le Conservateur» nel 1819, citato dallo stesso Guizot nell’Avant-propos alla terza edizione del Du gouvernement de la France.

52. Pozzi, Introduzione a Guizot, Storia della Civiltà in Francia, p. 25. 53. Guizot, Du gouvernement de la France, p. 22: «La questione si pone tra l’ugua-

glianza e il privilegio, la classe media e l’antica aristocrazia». 54. Ibidem, p. 87. 55. Ibidem, p. 171.

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del diritto contro il privilegio,56 Guizot non si lascia però suggestionare dal fascino della sovranità popolare. A dire il vero, in effetti, in tutte le opere del 1820-21 la critica alla “tirannia del numero” è ben più sviluppata e condotta con assai più argomenti rispetto a quella della monarchia d’antico regime.57 Il punto di partenza lo aveva espresso all’inizio del settimo capi-tolo, intitolato «de la legitimité»:

Io non credo né al diritto divino, né alla sovranità popolare […]. Io credo alla sovranità della ragione, della giustizia, del diritto […] poiché la ragione, la verità, la giustizia, non sono mai complete e infallibili. Nessun uomo, nes-suna assemblea di uomini le possiede e non può possederle senza difetti e senza limiti […]. Quando un uomo ha preteso essere l’immagine di Dio sulla terra e ha reclamato a tale titolo l’obbedienza passiva, ha fondato la tirannide. Quando un popolo si è contato per testa, e ha proclamato l’onnipotenza del numero, ha fondato ugualmente la tirannide. Delle due usurpazioni, la prima è la più insolente, la seconda la più brutale.58

Nella citata premessa alla terza edizione Guizot sviluppa poi alcune belle considerazioni sulle vicende umane e sulla storia come frutto delle azioni dell’uomo.59 Citando Montaigne, egli crede di poter trovare, sia nel-la natura dell’individuo, che in ogni evento del passato, una qualche unità, una certa direzione precisa, spesso nascosta sotto l’apparente e talvolta sconfortante complessità del tutto. Ogni avvenimento ha dunque, per lui, un significato profondo, che va ricercato attentamente dallo storico. Si può parlare, a tal proposito, di un “senso comune” negli eventi, quasi una vera e propria “filosofia della storia” di matrice romantica, che porta all’affer-mazione – lenta e difficile – del governo rappresentativo, quale tappa ine-vitabile del processo di civilizzazione europeo.60

56. F. Guizot, Supplément aux deux premières éditions. Du gouvernement de la Fran-ce depuis la Restauration et du ministère actuel, par F. Guizot. Avant propos de la troisième édition, Ladvocat, Paris 1820, pp. 26-28.

57. Leboyer, Ėlite et libéralisme, pp. 145-153. Per un’efficace sintesi degli argomenti sia contro l’aristocrazia del privilegio che contro la sovranità del numero cfr. Griffo, Sovra-nità e governo limitato, pp. 98-104.

58. Guizot, Du gouvernement de la France, p. 201. 59. Id., Supplément, pp. 23-26. 60. Id., Note I, p. 126: «Non c’è dunque nessun governo in cui il sistema rappresenta-

tivo non sia stato introdotto dalla forza stessa delle cose, e questo sistema esiste e si applica da quando esiste la società». Il giudizio è ripetuto in Id., Histoire des origines du gouverne-ment représentatif, t. I, p. 18: «quella del sistema rappresentativo come centro e come fine

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Anima di questo nuovo tipo di organizzazione del potere e della socie-tà è la borghesia, che Guizot promuove al rango di “nuova aristocrazia” del merito, contro quella antica del privilegio. Nella parte centrale e finale del-la premessa, egli si sofferma sul modo di concepire tale nuova classe poli-tica, partendo dalla constatazione quasi “aristotelica” dell’esistenza di una gerarchia naturale tra gli uomini, non solo in relazione alle caratteristiche fisiche, ma anche in ragione dei talenti e delle intelligenze. Nessun uomo di buon senso, spiega Guizot, nega il fatto che tra gli individui vi siano dif-ferenze fisiche e di capacità intellettuali; la natura non ha distribuito i suoi frutti in maniera uguale, e tutto il potere dell’uomo sull’uomo e dell’uo-mo sulla natura deriva originariamente da «una superiorità naturale».61 Ma questo di tipo di disuguaglianza, in sé giusta, ha una tendenza che giusta non è, e anzi è nefasta. Guizot afferma infatti che sempre, nella storia, è accaduto che i possessori di una forza fisica o intellettuale superiore, prima o poi abbiano cercato di impedire che altri potessero acquisire una maggio-re superiorità naturale su di loro, sia dello stesso tipo che di tipo diverso. Da qui è nato il privilegio, come estensione illegittima di una superiorità originaria legittima, al fine di impedire la naturale dinamica delle capacità e dei talenti, e di opporsi al libero sviluppo delle disuguaglianze origina-rie. Esistono alcuni diritti, quelli che riguardano la sfera della coscienza e i diritti civili, che sono uguali per tutti, tutti li possiedono in nome della comune appartenenza al genere umano. Ma ci sono anche dei «diritti di-suguali», e quello di partecipare alle elezioni e alle cariche governative è esattamente di questo tipo.62 La possibilità di contribuire alla vita politica e più in generale «la capacità di influire nella società» non sono diritti di tutti, ma sono inerenti ai meriti e alle «caratteristiche naturali (influences

della storia delle istituzioni politiche europee, non è dunque, Signori, una scelta arbitraria, ma una scelta naturale ed obbligata».

61. Guizot, Supplément, pp. 32-33. Qui Guizot sembrerebbe attribuire le disugua-glianze intellettuali esclusivamente alla “natura”, disinteressandosi al problema dell’ac-quisizione e del perfezionamento di tali capacità attraverso l’educazione e i contesti cul-turali. In altri termini egli, almeno in questo scritto, pare essere convinto che “cittadini capaci” si nasce, non si diventa. Con gli anni, la sua visione si farà più aperta e dinamica, nella convinzione che anche le capacità vadano costantemente verificate data la possi-bilità di migliorarle o di perderle. Cfr. Rosanvallon, Le moment Guizot, p. 134, che cita il «grand discours» del 5 maggio 1837. Ma importanti “correttivi” sono già presenti, come vedremo, nel Des moyens de gouvernement et d’opposition dans l’état actuel de la France.

62. Guizot, Supplément, pp. 36-37.

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naturelles)». Si tratta, insomma, di individuare e dare legittimità alle «ge-rarchie senza privilegi».63

Ora, come afferma Waresquiel, nella Francia della Restaurazione «il principio della disuguaglianza politica è ammesso dalla maggior parte di coloro che ne discutono pubblicamente»,64 così come scontata è una diffe-renza di “capacità politica” tra borghesia e popolo. Su questo anche Guizot e Thiers, per una volta, concordano.65 Tuttavia, i dottrinari non concepi-scono la “nuova aristocrazia” come classe chiusa, ma al contrario puntano decisamente alla creazione di un «libero mercato delle capacità», fondato sulle garanzie costituzionali, sulla pubblicità, sul pluralismo, sull’opinione pubblica.66 A questi temi Guizot dedica ampio spazio nel Des moyens de gouvernement et d’opposition dans l’état actuel de la France, che vede la luce a Parigi nell’ottobre del 1821.67 In una bella lettera a Pauline de Meulan l’autore ci rende partecipi del suo stato d’animo alla vigilia della messa in stampa del testo manifestando, tra l’altro, in caso di successo, il desiderio di allontanarsi dalla politica militante per tornare a quegli studi ai quali «da tempo» cercava di occuparsi (un riferimento al manoscritto Phi-losophie politique e/o alla contemporanea ideazione del corso sulla storia del governo rappresentativo):

Ti confesserò che da tre giorni ho una sincera fiducia nel successo del mio lavoro; Ladvocat e il suo mondo letterario sembrano aver perso la testa; dico-no e mi fanno dire che la cosa avrà un grande, grandissimo impatto. Se quel

63. L’espressione è di Cristina Cassina, che la utilizza per parlare di Saint-Simon, ma che può essere utilmente sfruttata, mi sembra, anche per i doctrinaires. Cfr. C. Cassina, Gerarchie senza privilegi. Riflessioni intorno alla dottrina sansimoniana, in Il pensiero ge-rarchico in Europa (XVIII-XIX secolo), a cura di A. Alimento, C. Cassina, Olschki, Firenze 2002, pp. 237-249.

64. Waresquiel, L’Histoire à rebrousse-poil, p. 69. 65. A. Thiers, La Monarchie de 1830, Mesnier, Paris 1831, pp. 15-16: «Il popolo, per

il suo ardore naturale, è sempre ben disposto a rivoltarsi contro il governo. Ma, per osare tanto, ha bisogno di ricevere il segnale dal ceto medio (classe moyenne), di modo che la sorte di tutti i governi è in questa classe, vale a dire nell’opinione».

66. Rosanvallon, Le moment Guizot, pp. 96-97, dove si evince che nella proposta poli-tica di Guizot la nuova aristocrazia non è statica, non si perpetua per cooptazione come una corporazione medievale, ma è invece dinamica, soggetta ad un continuo ricambio grazie alla tutela e alla promozione dei meccanismi di produzione dell’opinione pubblica. Per un giudizio analogo cfr. Leboyer, Ėlite et libéralisme, p. 135.

67. F. Guizot, Des moyens de gouvernement et d’opposition dans l’état actuel de la France, Ladvocat, Paris 1821.

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pubblico la pensa così, non mi preoccupo certo del nostro pubblico. Ci credo, dunque, e ne sono ben felice. Se riesce, dirò certamente addio a questo genere di politica, almeno finché durerà l’attuale situazione, innanzitutto perché non avrei più niente di rilevante da dire, in secondo luogo perché è pericoloso bussare sempre alla stessa porta. Mi occuperò di un’altra politica, e me ne oc-cuperò, spero, con autorità. È a questo che mi rivolgo ormai da molto tempo. L’onore più bello che posso ottenere, ai miei occhi, sarà quello di contribuire in qualche modo, attraverso il mio nome, alla forza della verità.68

E il successo venne: dell’opera furono tirati 6.000 esemplari in due edizioni, seguite da numerose recensioni, quasi sempre ostili, addirittura tre consecutive sul giornale monarchico «Le Drapeau blanc» e cinque sul «Mo-niteur», mentre Montlosier riempiva di dense annotazioni critiche l’esem-plare nelle proprie mani.69 Su tali critiche torneremo a breve; per ora preme evidenziare come il Des moyens de gouvernement et d’opposition costituisca un vero e proprio «manifesto politico» – l’espressione è di Claude Lefort70 – che fa di Guizot al tempo stesso un leader di partito e un pensatore raffinato. Il governo non fece mancare la sua vendetta: nell’ottobre 1822 il Consiglio regio decise la sospensione dei corsi universitari di Guizot e Cousin.

I motivi, a ben vedere, non mancavano: nel Des moyens de gouverne-ment et d’opposition il nemico è infatti, ancora una volta, l’antico regime incarnato dagli ultras ora al governo e dagli scrittori reazionari come Mont-losier, Bonald e Lamennais (chiamati in causa espressamene nel testo).71 Tuttavia, nel suo procedere alla piena affermazione della «nouvelle Fran-ce» contro l’antica nobiltà feudale, Guizot si ritrova a dover “fare i conti” con quello che lui chiama il «credo popolare», riassunto in tre elementi: sovranità del popolo, rifiuto di ogni aristocrazia, governo fortemente li-mitato. Alla polemica contro questi concetti sono dedicate le pagine più profonde dello scritto guizottiano, che rivelano in forma più o meno nitida la concezione dottrinaria dell’uguaglianza e della sovranità popolare.

Guizot ripete che quest’ultima, generando un «rispetto scandaloso per il numero», tende all’appiattimento delle superiorità naturali e, idolatrando il principio «ciò che riguarda tutti, deve essere approvato da tutti», nega in realtà il ruolo delle minoranze, le quali in ogni caso devono chinare il capo

68. Lettres de M. Guizot a sa famille et a ses amis, p. 2469. Sulla ricezione del pamphlet cfr. de Broglie, Guizot, p. 83; Tort, La polémique

royaliste, p. 74. 70. Lefort, Introduction, p. 13, e anche Leboyer, Ėlite et libéralisme, p. 134. 71. Guizot, Des moyens de gouvernement et d’opposition, p. 357.

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di fronte alla decisione maggioritaria.72 La democrazia, dunque, trovereb-be la sua legittimazione o in una mera imposizione della volontà, oppure in una presunta infallibilità, mentre secondo Guizot, come abbiamo visto, non esiste potere giusto in sé e per sé, ma solo «in conformità con la ragio-ne, la giustizia e il bene comune», e l’unica sovranità legittima è quella che «riconoscerà di non esercitarsi se non secondo la verità, e a condizione di convincere l’opinione pubblica».73

Ma dietro alla critica della sovranità popolare risiede quella, forse an-cor più radicale, alla nozione di uguaglianza. Diciamo subito che l’unica uguaglianza accettata ed anzi ritenuta essenziale al governo rappresentativo è, per Guizot, quella di fronte alla legge. Va osservato poi che il desiderio di uguaglianza fa parte in un certo senso delle aspirazioni legittime dell’uo-mo, quando serve (come è servito in Francia) a spazzare via i privilegi. Passione dunque transitoria, quella dell’uguaglianza “assoluta”, tipica dei momenti rivoluzionari allorquando, spiega Guizot, deborda come un fiume in piena, spazzando via tutto ciò che la ostacola, anche «le superiorità più belle e più legittime», creando uno scenario desolante e drammatico. Ma poi, col tempo, i suoi partigiani capiscono che stanno cercando una chime-ra, e i vantaggi che hanno ottenuto permettono ai loro animi di placarsi, e allora l’idea di uguaglianza «si presenterà davanti a loro in una forma più calma e più pura», e non sarà rivolta contro ogni tipo di disuguaglianza, ma solo contro quelle artificiali.74

Al di là di questo, però, occorre rendersi conto che i rapporti umani sono fatalmente rapporti tra persone disuguali, animate dal «bisogno di elevarsi», di rendersi superiori le une alle altre. In una serie di passaggi dal significativo sapore naturalistico-aristotelico, Guizot esplicita la sua posizione:

Fintanto che nessuna causa esterna e violenta interviene a deviare il corso spon-taneo delle cose, è il coraggioso che comanda, l’abile che governa. Tra gli uo-mini lasciati a se stessi e alle leggi della loro natura, il potere accompagna e rivela la superiorità. Facendosi riconoscere, essa si fa obbedire. È là l’origine del potere; non ve n’è altra. Fra eguali il potere non sarebbe mai nato. La supe-riorità sentita e accettata è il legame primitivo e legittimo delle società umane; è allo stesso tempo il fatto e il diritto, è il vero, il solo contratto sociale.75

72. Ibidem, p. 143.73. Ibidem, p. 147. 74. Ibidem, pp. 156-160.75. Ibidem, p. 164.

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Riconoscere l’esistenza ab origine dei rapporti di comando e obbe-dienza non significa tuttavia cristallizzarli e sottrarli ad una loro vita evolu-tiva. In effetti, è proprio questa la critica principale che Guizot muove alle aristocrazie d’antico regime, e qui risiede anche, a mio avviso, il contributo più originale alla revisione dottrinaria della categoria di sovranità popolare. Si giunge così a teorizzare un «libero mercato delle capacità», un continuo movimento sociale, ascendente e discendente, fondato sulla responsabilità individuale,76 non indirizzato ma garantito dallo Stato attraverso gli stru-menti del governo rappresentativo (le Camere, le discussioni pubbliche, le elezioni, la libertà di stampa, la giuria popolare), allo scopo di stimolare una circolazione senza sosta tra società e governo (un denigratore lo defi-nirà «areopago permanente»),77 che sia pubblica e trasparente e possa far emergere la migliore classe politica portandola al potere, ed eventualmente revocare tale potere se essa non ne è più degna:

le Camere, le discussioni pubbliche, le elezioni, la libertà di stampa, la giuria popolare […] hanno per obiettivo e come risultato quello di scavare senza sosta nella società, di mettere in luce le superiorità di ogni genere che essa contiene, di portarle al potere e, dopo avercele condotte, di obbligarle a meri-tarlo, a pena di perderlo, obbligandole a non gestirlo se non pubblicamente e mediante percorsi accessibili a tutti.78

4. Le critiche

Ciò che più interessa, delle risposte polemiche ai due libelli guizot-tiani del 1820-21, non è tanto la loro qualità, né la celebrità dei loro auto-ri, quanto piuttosto la presa d’atto di una sorta di “incomunicabilità” tra

76. Ibidem, pp. 156-157: «Nessun artificio deve disturbare, nell’ordine sociale, il mo-vimento di ascensione o di decadenza degli individui. Le superiorità naturali, le preminenze sociali non devono ricevere dalla legge alcun appoggio fittizio. I cittadini devono essere lasciati ai loro propri meriti, alle loro proprie forze; occorre che ciascuno possa, con le sue sole capacità, diventare tutto ciò che può, e non incontrare nelle istituzioni né ostacolo che gli impedisca di elevarsi, se ne è capace, né aiuto che lo fermi in una situazione di superio-rità, se non la sa mantenere».

77. [M.-M.-E.-V. de Tabarié], L’Anti-doctrinaire, et réponse a M. Guizot sur ses moyens de gouvernement, précédé d’une discussion sur l’égalité et sur la souveraineté du peuple, Trouvé, Paris 1822, p. 110.

78. Guizot, Des moyens de gouvernement et d’opposition, pp. 165-166.

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i contendenti derivata da un’apparente incapacità della letteratura ultras di comprendere fino in fondo la concezione dottrinaria dell’uguaglianza. Ciò non solo per un’eventuale lettura semplicistica e affrettata dei testi, né per la presunta oscurità di linguaggio di Guizot, che ha spinto un re-censore su «Le Défenseur» a coniare l’aggettivo Guizotique.79 Qualcosa di più profondo sembra essersi prodotto, indicazione non solo simbo-lica di un “passaggio di consegne” tra un discorso politico “antico” e uno “nuovo”, che non ha impedito tuttavia, ai critici, di percepire alcuni “punti deboli” e qualche contraddizione all’interno dell’edificio teorico eretto da Guizot.

La scure dei royalistes sembra essersi abbattuta su alcuni punti ben precisi, a cominciare dalla famigerata lotta tra i “due popoli”, il Franco e il Gallo. L’autore di Trois têtes dans un bonnet, mettendo sotto lo stesso berretto (frigio) Constant e Guizot, rileva come l’idea dell’esistenza, in ogni società, di uno scontro perenne tra vincitori e vinti sia un’osservazio-ne a dir poco banale, e certo non di grande novità.80 Il giudizio è ripetuto, lievemente modificato, nel Du système des doctrinaires (1821) di Jean Co-hen, per il quale lo scontro atavico sarebbe tra chi ha e chi non ha, ma nei termini voluti da Guizot si tratterebbe solamente di «un fantasma partorito dal suo cervello».81 Più ironico il commento del Drapeau blanc: «di Galli e di Franchi ne restano talmente pochi che […] nessun Gallo ha risposto al suo appello, e i Franchi son rimasti tranquillamente nei loro castelli». Il tratto che accomuna queste critiche, ovviamente, è il non aver capito il significato metaforico di Guizot82 il quale, parlava sì di lotta tra classi, ma per sottolinearne le differenze a seconda dei momenti storici, non la conti-nuità assoluta, al fine, certamente, di dare forza storica e morale all’ascesa del Terzo Stato e della borghesia.

79. Des conspirations et de la justice politique, de F. Guizot, par M**, in «Le Défen-seur», IV, 9 (17 mars 1821), p. 381.

80. [Anonimo], Trois têtes dans un bonnet, ou MM B. Constant, Jay et Guizot, Pon-thieu, Paris 1820.

81. [J. Cohen], Du système des doctrinaires, ou Observations sur un écrit de M. Guizot intitulé “Du gouvernement de la France depuis la Restauration, et du ministère actuel”, Egron, Paris 1821, pp. 24-25. Jean Cohen (1781-1848) era un ebreo olandese emigrato a Parigi sotto l’Impero, nominato censore alle pubblicazioni straniere nel 1811, posizione che mantenne sotto la Restaurazione fino a divenire, nel 1824, bibliotecario alla Sainte-Geneviève. Cfr. Tort, La polémique royaliste, p. 76.

82. R. Pozzi, Tra storia e politica. Saggi di storia della storiografia, Morano, Napoli 1996, pp. 150-154.

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Altra opinione inesatta, ma condivisa dalla letteratura ultras, è la filia-zione diretta di Guizot dalle frange più radicali della Rivoluzione francese. Agli occhi di costoro, infatti, vi era un’identificazione quasi inevitabile tra borghesia e giacobinismo. Ad esempio il conte di Montlosier, che pure sprovveduto non era, si sfogava in questi termini:

ecco qua la democrazia borghese del signor Royer-Collard, perfezionata in aristocrazia borghese dal signor de Barante, illustrata attraverso il governo borghese dal signor Guizot. Mi sembra d’essere tornato d’un colpo al 1792 e 1793.83

Ancor più chiaramente, l’anonimo artefice del De la restauration, consi-derée comme le terme et non le triomphe de la révolution (1820) giudica Guizot un «imprudente innovatore» dalle «passioni sovversive»,84 mentre il Journal de l’anarchie di Lespinasse etichetta i dottrinari come «livellatori», amanti «della più disgustosa delle democrazie».85 Costoro, aggiunge l’autore di Les fausses positions (1821), sono solo dei «sofisti pedanti» che «hanno preteso di trovare il segreto del diciannovesimo secolo» terminando la loro parabola in maniera ridicola. Il loro errore? Quello di voler governare fa-cendo a meno dei royalistes, e «chi non vuole i royalistes, è del partito della rivoluzione».86 Un ulteriore fraintendimento, almeno apparente, sembrerebbe riguardare la nozione di uguaglianza tra esseri umani. Abbiamo visto come tale ipotesi venisse più volte rigettata da Guizot, e con forza. Eppure, molti detrattori non esitano ad attribuirgli ideali egalitaristici, mal interpretando, a prima vista, i suoi attacchi alla nobiltà d’antico regime. Quando Jean Cohen afferma che «nessuno Stato può esistere senza disuguaglianze nelle ricchez-ze e nelle posizioni sociali (rangs)», o quando Tabarié scrive che «la parola uguaglianza (égalité) andrebbe bandita dal codice della società così come è di fatto bandita dal codice della natura»,87 stanno condividendo la medesima

83. F.-D. Montlosier, De la Monarchie française au 1er mars 1822, Gide, Paris 1822, p. XXI.

84. [Anonimo], De la restauration, considérée comme le terme et non le triomphe de la révolution, et de l’abus des doctrines politiques; en réponse à l’ouvrage de M. F. Guizot intitulé: “Du gouvernement de la France et du ministère actuel”, a cura di P.L.B., Lenor-mant, Paris 1820, pp. 13, 37.

85. [E. de Lespinasse de Langeac], Journal de l’anarchie, de la terreur, du despo-tisme, 3, Doctrine des doctrinaires, Delaunay, Paris 1821, pp. 1483-1484.

86. [Anonimo], Les fausses positions; lettre à un homme d’Ėtat, Grandin, Paris 1821, p. 36.

87. L’Anti-doctrinaire, p. 19.

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opinione di Guizot, con la differenza che essi sembrano incapaci di afferrare le oramai evidenti trasformazioni del costituzionalismo, dal medioevo all’età post-rivoluzionaria. Emblematico in tal senso il giudizio, largamente diffuso tra gli ultras, sulla Carta del 1814. Più volte infatti essi ripetono che questa non sancirebbe affatto la scomparsa dei privilegi, ma anzi il loro giusto ri-torno. Non considerando (o fingendo di non considerare) tutti i primi articoli del documento, Cohen conclude: «che cosa è una Charte, se non una raccolta di privilegi?».88 Meno netto l’ autore del De la restauration, per il quale la Carta mirerebbe alla salvaguardia di quei privilegi «che non sono contrari ai diritti dei cittadini, ma al sistema dell’uguaglianza assoluta, obiettivo costan-te quanto illusorio (chimérique) della rivoluzione».89

A ben vedere, al di là dei percepibili limiti di tali testi, qualche elemen-to critico sembra penetrare più a fondo, andando a colpire sia l’intelaiatura teorica che la traduzione diremmo “pratica” della prospettiva di Guizot e compagni. Anzitutto, tra la facile ironia e il commento sprezzante, emer-ge a volte una reale comprensione delle loro posizioni: l’Anti-doctrinarie riconosce che «occorre rendere giustizia al signor Guizot: egli non crede al Vangelo rivoluzionario»,90 mentre altrove si legge che la lotta costante e inevitabile tra «le superiorità e le inferiorità» è «la sola cosa vera in tutta la politica dei dottrinari».91 Questi ultimi, per Montlosier, sono «dei rivolu-zionari attaccati al principio di legittimità; essi non vogliono, come invece i giacobini, né i diritti dell’uomo né la sovranità popolare, e nemmeno l’uguaglianza».92 In altre pagine egli riesce a far vacillare la convinzione di Guizot che la Rivoluzione francese fosse stata guidata dalla morale e dal progresso, chiedendosi se essa non andasse invece considerata, al pari di tutte le altre rivoluzioni, come il semplice risultato dei rapporti di forza all’interno della società.93

Proliferano, inoltre, le accuse di cinismo e di opportunismo. Ascol-tiamo «La Foudre»: «M. Guizot ama la Rivoluzione; i gusti son gusti […] In ogni caso, non crediate che egli si faccia illusioni sui suoi risultati e

88. Du système des doctrinaires, pp. 13, 20, 21. 89. De la restauration, p. 36. 90. L’Anti-doctrinaire, p. 47. 91. De la restauration, p. 27. 92. F.-D. Montlosier, De la Monarchie française au 1er janvier 1821, Gide, Paris

1821, p. 34. 93. Ibidem, pp. 104-113.

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sulla condizione in cui essa ha lasciato la Francia; ne è ben consapevole».94 Inevitabile, e forse anche facile, diviene quindi l’interpretazione del mes-saggio dei dottrinari come teoria volta alla mera sostituzione di un’ aristo-crazia con un’altra: la loro. È quanto sostiene Tabarié, e con lui l’autore del De la restauration.95 Ancor più perfido il recensore della «Gazette de France» incaricato di commentare il Du gouvernement de la France depuis la Restauration. Riferendosi sia alla questione dei “due popoli” che alla presenza di Guizot tra i membri della corte di Luigi XVIII in esilio a Gand, mentre Parigi acclamava il ritorno di Bonaparte (1815), scrive:

questo scrittore [Guizot] ci dice ad ogni pagina: NOI abbiamo vinto e NOI vinceremo sempre i nemici della rivoluzione. Ora, mentre la rivoluzione trion-fava al Campo di Maggio e nella Camera dei rappresentanti, il signor Guizot condivideva in Belgio il momentaneo esilio degli sconfitti: se i rivoluzionari del 20 marzo sono i Galli del signor Guizot, che ci faceva lui tra i Franchi?96

Ma forse le considerazioni più interessanti sui limiti della riflessione dei dottrinari emergono dallo scritto di Tabarié,97 che racchiude al tempo stesso una critica indovinata e una profezia del futuro politico di Guizot.

94. Littérature. M. Guizot Des moyens de gouvernement et d’opposition dans l’état actuel de la France, in «La Foudre», 43 (10 dicembre 1821), p. 318.

95. L’Anti-doctrinaire, p. 47; De la restauration, pp. 131-147. 96. «La Gazette de France», 319 (14 novembre 1820), p. 1276. 97. Un caso a parte, perché unico e al di fuori della struttura del presente lavoro (che

prende in esame esclusivamente le reazioni della destra ultras), è rappresentato dalle già menzionate Lettres de M. Grégoire (1820) del liberale Benjamin Laroche (1797-1852), che contengono alcune penetranti osservazioni sul Du gouvernement de la France depuis la Restauration. Vale la pena menzionare almeno la critica all’idea di “nuova aristocrazia delle capacità” fondata sulla “sovranità della ragione” (pp. 16-24). Questa, a detta di Laro-che, risulta di fatto irrealizzabile, perché appare impossibile determinare chi possa decidere delle capacità altrui, e perché sia legittimato a farlo. In altri termini, la visione dottrinaria presupporrebbe l’esistenza di qualcuno in grado di discernere in maniera giusta ed equa i talenti e i meriti di ciascuno, ma a sua volta quel qualcuno dovrebbe spiegare da chi o da cosa ha ricevuto la facoltà di giudicare gli altri, e questo è impossibile senza ricorrere alla forza o alla frode. Relegare, come fa Guizot, la “sovranità della ragione” ad un piano trascendente, non risolve tale problema, dato che «ci son ben poche persone al mondo che non credano di essere uomini ragionevoli, e di possedere loro soli la ragione […]; non c’è mai stata penuria di tali persone ragionevoli che, dicendo che loro hanno ragione e i popoli hanno torto, hanno finito con l’opprimere i popoli […]. Il signor Guizot non si rendeva conto che un tale sistema, che attribuisce la sovranità ad un essere ideale, che egli chiama ragione, non l’attribuisce in realtà a nessuno, o meglio l’attribuisce a tutti, poiché il mondo intero può credersi ragionevole» (pp. 22-23).

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La critica riguarda le serie difficoltà della “nuova aristocrazia delle capa-cità” di darsi una coerente definizione giuridica, e di tradursi in effettive modalità di espressione elettorale, con il conseguente ripiegamento verso il criterio economico (cittadino capace è il proprietario). Questo nodo pro-blematico dei dottrinari sarà particolarmente evidente durante la Monar-chia di Luglio, e porterà infine al loro tramonto politico Ma già nel 1822 sembra essere percepito, allorquando l’autore dell’Anti-doctrinaire sottoli-nea come non sempre la ricchezza sia sinonimo di merito, essendo spesso non guadagnata ma ricevuta in eredità, proprio come i privilegi d’antico regime.98 Il testo contiene poi una riflessione quasi profetica sul destino di Guizot e sugli avvenimenti del 1848, con la quale vorrei chiudere questo mio contributo:

Non ho il coraggio di seguire il signor Guizot nella sua difesa degli interessi nuovi. Amo credere che un giorno egli abbandonerà questo linguaggio da corsaro che può forse essere tollerato in uno stato di guerra, ma che suscita indignazione allorquando la pace ha riportato l’ordine e la giustizia, soli ele-menti durevoli di prosperità sociale. Se le lezioni del signor Guizot potevano un tempo mettere radici nel cuore della gioventù, un giorno egli verserà lacri-me di sangue sul successo delle sue lezioni; vedrà, prima di morire, l’ordine sociale venti volte messo in discussione; gli interessi nuovi diventati ben pre-sto antichi, e cedere il passo a interessi più nuovi, la forza bruta delle masse confrontarsi quotidianamente con le nuove superiorità; i trionfatori d’oggi essere le vittime di domani.99

98. L’Anti-doctrinaire, pp. 51-54. 99. Ibidem, pp. 104-105 (corsivi nell’originale).

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