Contrattazione collettiva 1 · La libertà sindacale riconosciuta dall’art. 39 Cost. si riverbera...

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© Wolters Kluwer Italia 2045 Capitolo XLIV LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA di Domenico Mezzacapo L’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014, denominato “Testo unico sulla rap- presentanza”, costituisce l’attuale punto di approdo di un percorso sempre più volto a formalizzare anche nel settore privato le regole del sistema di contrattazione collettiva. L’accordo individua, nella sua area di applicazione, soggetti, livelli, competenze e pro- cedure della contrattazione collettiva. Tra gli aspetti di maggiore interesse si segnalano l’introduzione di una soglia di rappre- sentatività misurata ai fini dell’ammissione alla contrattazione nazionale, il tentativo di estendere l’efficacia soggettiva dei contratti collettivi nei confronti di “tutto il personale in forza” e la possibilità, sempre per contratti aziendali, di derogare, a determinate condizioni, quanto stabilito nei contratti nazionali. Resta aperta, tuttavia, una serie di problemi, legati all’ambiguità e all’efficacia sogget- tiva delle clausole contenute negli accordi interconfederali, nonché all’impossibilità di attribuire alle stesse un’efficacia reale in caso di eventuali violazioni. RIFERIMENTI NORMATIVI: art. 39 Cost.; art. 1372 c.c.; artt. 40-50 bis, d.lgs. n. 165/2001; art. 8, d.l. n. 138/2011, conv. con mod. in l. n. 148/2011; art. 51, d.lgs. n. 81/2015. SOMMARIO: 1. Nozione ed evoluzione. – 2. Le fonti regolatrici della contrattazione collet- tiva nel settore pubblico (rinvio) e nel settore privato. – 3. I soggetti, l’oggetto ed i livelli di contrattazione. – 4. Le fasi e gli esiti del processo di contrattazione. – 5. Le regole sulla con- trattazione collettiva contenute nel Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014. – 6. L’articolazione contrattuale su due livelli. – 7. La misurazione della rappresentatività sinda- cale e la selezione degli agenti contrattuali al livello nazionale. – 8. La questione della sussi- stenza o meno di un obbligo a trattare e le nuove prospettive aperte dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013. – 9. La stipulazione e l’efficacia del contratto nazionale. – 10. Le procedure di stipulazione del contratto aziendale ai fini dell’efficacia “per tutto il personale in forza”. – 11. Le procedure di stipulazione del contratto aziendale ai fini dell’efficacia deroga- toria (clausola 7 dell’Accordo interconfederale 2011). – 12. La contrattazione di prossimità ai sensi dell’art. 8, d.l. n. 134/2011 e i problemi di coordinamento con la disciplina pattizia della contrattazione aziendale. – 13. L’esigibilità del contratto collettivo. – 14. Clausole di esigibilità e clausole di tregua – 15. Il contenuto delle clausole di esigibilità delineato dal T.U. 203118_Quinta_Bozza_Part 5.indd 2045 17/02/17 6:39 PM © Wolters Kluwer Italia S.r.l. http://www.lamiabiblioteca.com DIRITTO E PROCESSO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE UTET Giuridica - 2017 - Ed. VII

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Capitolo XLIV

LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

di Domenico Mezzacapo

L’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014, denominato “Testo unico sulla rap-presentanza”, costituisce l’attuale punto di approdo di un percorso sempre più volto a formalizzare anche nel settore privato le regole del sistema di contrattazione collettiva. L’accordo individua, nella sua area di applicazione, soggetti, livelli, competenze e pro-cedure della contrattazione collettiva.Tra gli aspetti di maggiore interesse si segnalano l’introduzione di una soglia di rappre-sentatività misurata ai fini dell’ammissione alla contrattazione nazionale, il tentativo di estendere l’efficacia soggettiva dei contratti collettivi nei confronti di “tutto il personale in forza” e la possibilità, sempre per contratti aziendali, di derogare, a determinate condizioni, quanto stabilito nei contratti nazionali.Resta aperta, tuttavia, una serie di problemi, legati all’ambiguità e all’efficacia sogget-tiva delle clausole contenute negli accordi interconfederali, nonché all’impossibilità di attribuire alle stesse un’efficacia reale in caso di eventuali violazioni.

RIFERIMENTI NORMATIVI: art. 39 Cost.; art. 1372 c.c.; artt. 40-50 bis, d.lgs. n. 165/2001; art. 8, d.l. n. 138/2011, conv. con mod. in l. n. 148/2011; art. 51, d.lgs. n. 81/2015.

SOMMARIO: 1. Nozione ed evoluzione. – 2. Le fonti regolatrici della contrattazione collet-tiva nel settore pubblico (rinvio) e nel settore privato. – 3. I soggetti, l’oggetto ed i livelli di contrattazione. – 4. Le fasi e gli esiti del processo di contrattazione. – 5. Le regole sulla con-trattazione collettiva contenute nel Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014. – 6. L’articolazione contrattuale su due livelli. – 7. La misurazione della rappresentatività sinda-cale e la selezione degli agenti contrattuali al livello nazionale. – 8. La questione della sussi-stenza o meno di un obbligo a trattare e le nuove prospettive aperte dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013. – 9. La stipulazione e l’efficacia del contratto nazionale. – 10. Le procedure di stipulazione del contratto aziendale ai fini dell’efficacia “per tutto il personale in forza”. – 11. Le procedure di stipulazione del contratto aziendale ai fini dell’efficacia deroga-toria (clausola 7 dell’Accordo interconfederale 2011). – 12. La contrattazione di prossimità ai sensi dell’art. 8, d.l. n. 134/2011 e i problemi di coordinamento con la disciplina pattizia della contrattazione aziendale. – 13. L’esigibilità del contratto collettivo. – 14. Clausole di esigibilità e clausole di tregua – 15. Il contenuto delle clausole di esigibilità delineato dal T.U.

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10.1.2014. – 16. L’efficacia delle clausole di esigibilità contemplate dal T.U. 10.1.2014. – 17. Le clausole transitorie e finali dal T.U. 10.1.2014. – 18. La contrattazione collettiva del gruppo FIAT. – 19. Rappresentatività e contrattazione: problemi aperti.

1. Nozione ed evoluzione

La contrattazione collettiva, in senso stretto, è quel complesso di attività poste in essere dalle parti al fine di autoregolamentare i propri interessi che sfocia nella stipulazione del contratto collettivo1.

Il contratto collettivo, dunque, in quanto risultato della contrattazione collet-tiva, non può essere considerato come fenomeno isolato, ma deve essere studiato tenendo conto del più generale contesto delle relazioni industriali2.

La contrattazione collettiva, tuttavia, costituisce un fenomeno molto più ampio, di cui il contratto collettivo rappresenta solo un aspetto e che, in senso lato, ricomprende tutto l’insieme di rapporti tra i soggetti del sistema di rela-zioni industriali3: rapporti negoziali e non negoziali, più o meno formali, volti a regolare le condizioni di lavoro o, più in generale, a comporre il conflitto. Sotto questo aspetto la contrattazione collettiva può essere considerata l’attività sindacale più significativa di tutela degli interessi dei lavoratori4 e la forma prevalente di regolazione congiunta dei rapporti di lavoro5.

La contrattazione collettiva, dunque, in quanto fenomeno dinamico in continuo divenire, si auto-alimenta ed assume forme, strutture e contenuti strettamente con-nessi al più generale sistema delle relazioni industriali e in larga misura dipendenti dai contesti produttivi, dal mercato del lavoro, dal contesto socio-economico e, sotto alcuni aspetti, dall’atteggiamento del Governo nei confronti del fenomeno stesso6.

Così, a seconda della diversa combinazione di tali fattori nell’arco degli ultimi sessanta anni, la contrattazione collettiva si è evoluta alternando fasi di centralizzazione e decentramento contrattuale7.

Gli anni ’50 vedono inizialmente al centro del sistema la contrattazione a livello interconfederale, prima, e di categoria, poi; negli anni ’60 si assiste ad un maggiore

1 Sulla contrattazione collettiva, in generale, cfr., da ultimo, Persiani, Diritto sindacale, Padova, 2016, cap. 4 e, più in particolare, F. Olivelli, La contrattazione collettiva dei lavoratori privati, Milano, 2016.

2 Giugni, Diritto sindacale, Bari, 2015, 165 ss.; G. Santoro-Passarelli, Diritto dei lavori e dell’occu-pazione, Torino, 2015, 109.

3 F. Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, Diritto sindacale, Torino, 2015, 198.4 G. Santoro-Passarelli, op. cit., 112.5 Treu, Contrattazione collettiva, in ED, Annali IV, Milano, 2011, 227.6 F. Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, op. cit., 198.7 G. Santoro-Passarelli, op. cit., 111.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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decentramento contrattuale con l’emersione della contrattazione c.d. articolata, sui livelli nazionale e aziendale, coordinati tra loro; tale coordinamento viene meno negli anni ’70, sebbene risultino confermati i due livelli di contrattazione (c.d. contrattazione non vincolata); negli anni ’80 si assiste nuovamente ad una fase di ricentralizzazione contrattuale, destinata poi ad essere nuovamente superata negli anni ’90, quando il protocollo del 1993 riaffermò il doppio livello di contrattazione e il coordinamento tra il contratto nazionale e quello aziendale, ferma restando, però, la centralità del primo, chiamato a determinare le competenze del secondo.

Il sistema accusa uno scossone verso la fine degli anni 2000, quando si assiste ad accordi interconfederali di riforma del sistema di contrattazione collettiva non sottoscritti dalla Cgil e, pertanto, privi di una reale effettività: l’accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 e il successivo accordo interconfederale del 15 aprile 2009.

L’azione delle tre grandi confederazioni torna ad essere unitaria, con la sot-toscrizione dell’importante accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del successivo Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013, i cui contenuti sono poi con-fluiti nel c.d. Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.

Gli equilibri raggiunti con questi accordi, tuttavia, appaiono fragili per due ordini di ragioni.

Da una parte, la nuova attenzione alla possibilità del contratto aziendale di derogare a quanto previsto dal contratto nazionale, fulcro della disciplina conte-nuta nell’accordo del 2011, si scontra, dopo l’entrata in vigore dell’art. 8 del d.l. n. 138/20118 (c.d. Manovra d’agosto) di sostegno alla contrattazione “di prossi-mità”, con un modello legale dei rapporti tra contratti collettivi di diverso livello non del tutto coincidente con quello individuato dall’accordo interconfederale di qualche mese prima9.

Dall’altra parte, tutto il sistema di misurazione della rappresentatività sinda-cale ai fini della contrattazione nazionale, fulcro dell’accordo interconfederale del 2013, è rimasto lettera morta e lo stesso T.U. 10.1.2014, che ha ulteriormente implementato la relativa disciplina, non è stato attuato.

In line a generale è possibile sottolineare l’interdipendenza tra le strutture, le forme e i contenuti della contrattazione collettiva e il più generale contesto sociale,

8 Conv. con mod. in l. n. 148/2011.9 Cfr. G. Santoro Passarelli, Accordo interconfederale 28 giugno 2011 e art. 8 d.l. 138/2011 conv.

con modifiche l. 148/2011: molte divergenze e poche convergenze, in Riv. it. dir. lav., 2011, 1224 ss. Non a caso le parti sociali sentirono, poi, il bisogno di chiarire la loro posizione apponendo all’accordo una postilla volta a ribadire la loro intenzione di applicare “compiutamente” l’accordo e, non a caso, a seguito di tale postilla, interpretata nel senso di un rifiuto di applicare l’art. 8, Fiat decise di recedere da Federmeccanica.

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economico e politico: molte delle “fasi” prima evidenziate, infatti, devono essere lette alla luce di tali contesti per essere comprese nella loro essenza più profonda.

La crisi economica, in particolare, ha portato ad una profonda rivisitazione della contrattazione aziendale, considerata, fino alla fine degli anni 2000, preva-lentemente in una logica acquisitiva come dispensatrice di benefici e trasformatasi, dopo il 2009, in dispensatrice di sacrifici finalizzati alla maggiore competitività e alla permanenza sul mercato delle imprese. Non a caso il tema “caldo” delle deroghe peggiorative al contratto nazionale da parte del contratto aziendale non è nemmeno preso in considerazione dall’Accordo interconfederale del 1993, mentre costituisce uno dei punti di maggior dissenso della CGIL che hanno por-tato alla mancata sottoscrizione degli accordi del 2009, poi superato in virtù della diversa regolamentazione stabilità dall’Accordo del 2011, sottoscritto anche dalla CGIL, che pure ripropone, con grande decisione, lo stesso tema.

Come pure devono essere valutate le influenze sulla contrattazione collet-tiva delle politiche governativa, sia quando, a partire dagli anni ’80, si afferma il modello concertativo fondato sugli accordi triangolari Governo-parti sociali, sia quando, a partire dal 2001, detto modello viene abbandonato dal Governo di centro-destra a favore del c.d. dialogo sociale.

Ancora, le politiche governative hanno profondamente influenzato l’evolu-zione recente della contrattazione collettiva quando, con il già citato art. 8 del d.l. n. 138/2011, hanno delineato un modello di contrattazione aziendale “alterna-tivo” a quello individuato dalle parti sociali, con pesanti ripercussioni se non sul piano degli accordi conclusi, quantomeno sul contesto economico sociale, con il recesso di FIAT dal sistema confindustriale e l’emersione di una inedita contrat-tazione specifica di primo livello per gli stabilimenti del gruppo.

2. Le fonti regolatrici della contrattazione collettiva nel settore pubblico (rinvio) e nel settore privato

La libertà sindacale riconosciuta dall’art. 39 Cost. si riverbera anche sulla contrattazione collettiva e si combina con la ricostruzione privatistica ormai affermatasi del contratto collettivo come contratto di diritto comune, soggetto anch’esso al principio di libertà negoziale.

Ne deriva che, nel settore privato, diversamente da quello pubblico, la strut-tura, i contenuti e le forme della contrattazione collettiva tendono a non essere regolate in via eteronoma da norme di legge, ma risultano rimesse alla stessa autonomia delle parti.

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Nel settore pubblico, invece, l’art. 97, comma 1, Cost. finisce inevitabilmente per imporre un certo grado di legificazione anche del sistema di contrattazione collettiva10, fermi restando i diversi atteggiamenti mostrati dal legislatore in diversi momenti storici in ordine al rapporto tra fonti legali e fonti pattizie: dopo un iniziale favor per la contrattazione collettiva quale fonte di disciplina del rapporto di lavoro pubblico privatizzato il d.lgs. n. 150/2009 sembra aver spostato il tradizionale punto di equilibrio riassegnando alla legge una posizione di maggiore rilevanza11.

Il maggior grado di legificazione che investe la contrattazione collettiva del settore pubblico non deve indurre a ritenere che nel settore privato lo stesso sistema sia privo di regole: come già accennato le regole esistono e sono quelle della libertà contrattuale, che si traducono, in buona sostanza, nel reciproco riconoscimento delle parti contrattuali, temperato dal principio di effettività dell’azione sindacale.

C’è da dire, però, che un certo grado di formalizzazione è presente anche nel settore privato negli accordi interconfederali che, nel corso del tempo, hanno regolato la contrattazione collettiva e che trovano nel c.d. Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 l’ultimo punto di approdo (vedi par. 5 e ss.).

Una più risalente disciplina degli assetti contrattuali è contenuta nel Protocollo del 23 luglio 1993, che costituisce ancora un punto di riferimento importante sia per l’ineffettività degli accordi del 2009, sia perché la disciplina della misurazione della rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione nazionale contenuta negli accordi successivi (2011 e 2013), fino ad arrivare al T.U. 10.1.2014, non è stata ancora attuata.

In particolare, il protocollo del 1993 regola la durata del contratto nazionale, distin-guendo tra parte economica (quadriennale) e parte normativa (biennale), nonché le proce-dure di rinnovo e le garanzie per i lavoratori in caso di ritardi (meccanismi di recupero del potere di acquisto, indennità di vacanza contrattuale).

Gli accordi del 2009 hanno uniformato a tre anni la durata tanto della parte economica che di quella normativa, introducendo un diverso meccanismo di recupero del potere di acquisto parametrato ad un indice particolare denominato IPCA12.

10 Cfr. il Titolo III del d.lgs. n. 156/2001, rubricato “Rappresentatività sindacale e contrattazione collettiva”. Cfr. L. Zoppoli, Il ruolo della legge nella disciplina del lavoro pubblico, in Id. (a cura di), Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2009, 29 ss.

11 Cfr. Fiorillo, Il primato della legge e il ruolo subalterno della contrattazione collettiva, in Lav. pubbl. amm., 2012, 31 ss.; D’Alessio, La disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra pub-blico e privato, in Lav. pubbl. amm., 2012, 1 ss.

12 Cfr., in generale, F. Carinci, Una dichiarazione d’intenti: l’accordo quadro 22 gennaio 2009 sulla riforma degli assetti contrattuali, in Riv. it. dir. lav., 2009, 177 ss.; Ricci, L’accordo quadro e l’accordo interconfederale del 2009: contenuti, criticità e modelli di relazioni industriali, in Riv. it. dir. lav., 2009, 353 ss.; Magnani, I nodi attuali del sistema di relazioni industriali e l’Accordo quadro del 22 gennaio 2009 in Arg. dir. lav., 2009, 1278 ss.

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3. I soggetti, l’oggetto ed i livelli di contrattazione

La contrattazione collettiva risulta articolata su vari livelli: interconfede-rale, nazionale, territoriale ed aziendale.

La contrattazione territoriale si svolge generalmente al livello provinciale o regionale ed è presente principalmente in quei settori (agricoltura, edilizia, tes-sile-abbigliamento-calzature) in cui la contrattazione aziendale stenta ad affer-marsi in forma stabile e diffusa. Le ragioni di questa mancata affermazione possono essere diverse ma principalmente dipendono dalla ridotta dimensione delle aziende (come ad esempio nell’artigianato) o (ma la ragione è collegata) dalle pronunciata segmentazione dei cicli produttivi in diverse fasi realizzate da diverse e numerose imprese di piccole o piccolissime dimensioni (come ad esempio in alcuni settori manifatturieri), o, ancora, dalla ontologica instabilità di alcune attività (come ad esempio nell’edilizia).

Al livello interconfederale vengono negoziati accordi su materie trasversali (si pensi agli accordi sui licenziamenti negli anni ’50 e ’60, fino ad arrivare alla costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie nel 1993, o alla contratta-zione collettiva nel 2009, 2011 e 2013, oltre allo stesso T.U. 10.1.2014), riguar-danti interi settori dell’economia (industria, credito, artigianato, commercio, agricoltura).

Ogni livello di contrattazione vede interagire soggetti diversi: a livello aziendale le r.s.a. o le r.s.u. (o, in mancanza, i sindacati territoriali) negoziano direttamente con il datore di lavoro; i sindacati provinciali stipulano generalmente i contratti territoriali con le omologhe rappresentanze datoriali nei settori in cui questo livello contrattuale è presente; le federazioni di categoria e le corrispon-denti associazioni datoriali negoziano il contratto nazionale; le confederazioni sindacali stipulano con quelle dei datori di lavoro gli accordi interconfederali.

In alcuni casi gli accordi interconfederali possono essere caratterizzati anche dalla par-tecipazione del Governo, come mediatore o addirittura parte contrattuale, (accordi c.d. trila-terali o concertativi), quando le materie trattate sono di rilevante importanza e coinvolgono anche interessi generali (ad es., gli accordi del 22 gennaio 1983 sul costo del lavoro e del 14 febbraio del 1984 sulla politica dei redditi; protocolli del 10 dicembre 1991, 31 luglio 1992 e 3-23 luglio 1993 sulla politica dei redditi e sul sostegno al sistema produttivo; l’accordo per il lavoro del 24 settembre 1996; il patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22 dicembre 1998; il protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività).

È evidente, però, che gli impegni eventualmente assunti dal Governo non possono essere considerati giuridicamente rilevanti ma sono solo di carattere politico13: il loro “ina-dempimento” non è fonte di responsabilità contrattuale e non può essere fatto valere davanti

13 Sullo scambio non solo economico ma anche politico quale elemento caratterizzante degli accordi concertativi cfr. G. Santoro Passarelli, Diritto dei lavori. cit., 53.

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al giudice, né può in alcun modo vincolare il Parlamento all’adozione di leggi attuative degli impegni governativi14.

Come già accennato, a partire dall’accordo del 28 giugno 2011, comincia ad assumere una importanza sempre maggiore la contrattazione aziendale15, considerata nella sua potenzialità non più esclusivamente acquisitiva, ma anche, e forse principalmente, ablativa.

I contratti collettivi di diverso livello hanno oggetti differenti, in conside-razione, del resto, degli interessi di cui si fanno portatori i soggetti, anch’essi diversi, che negoziano ai vari livelli.

La confederazione, in quanto associazione di federazioni nazionali di cate-goria, si caratterizza per la rappresentanza, in senso generale ed unitario, degli interessi di più categorie merceologiche. Ne consegue che gli accordi inter-confederali intervengono a regolare istituti o materie di interesse comune che trascendono i singoli settori merceologici per assumere una rilevanza trasversale.

Le federazioni nazionali, al contrario, rappresentano gli interessi dei lavora-tori di singoli settori e questa circostanza aiuta a comprendere la funzione del contratto nazionale come esplicitata, da ultimo, anche nel Testo unico sulla rap-presentanza del 10 gennaio 2014: «garantire la certezza dei trattamenti econo-mici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati sul territorio nazionale».

Al livello nazionale, dunque, la contrattazione ha un oggetto molto ampio, non limitato a tutte le condizioni applicabili ai singoli rapporti di lavoro ma esteso anche ad altre materie, estranee alla disciplina dei rapporti individuali di lavoro in senso stretto (ad. es. sistema di relazioni sindacali; diritti di informa-zione, previdenza complementare).

Le r.s.a. e le r.s.u., in coerenza con gli interessi di cui si fanno portatrici, o, in mancanza, i sindacati territoriali, negoziano accordi al livello aziendale per far emergere le specificità dei singoli contesti produttivi.

Solitamente è il contratto nazionale, con la tecnica del rinvio, a circoscri-vere gli ambiti di interventi della contrattazione aziendale, tra i quali spiccano tradizionalmente quelli collegati alla produttività dell’azienda.

In questo senso si pronuncia, ad esempio, l’Accordo Governo-Parti sociali del 21 novembre 2012, recante: «Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia». Ai sensi di questo accordo, in particolare, la contrattazione collet-tiva di secondo livello dovrebbe disciplinare «valorizzando i demandi specifici della legge

14 Cfr. Corte cost. 7.2.1985, n. 34.15 Gargiulo, L’Azienda come luogo “preferenziale” delle relazioni sindacali?, in Lavoro e dir., 2016, 391 ss.

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o della contrattazione collettiva interconfederale e nazionale, gli istituti che hanno come obiettivo quello di favorire la crescita della produttività aziendale»16.

In molti casi, l’oggetto della contrattazione collettiva, ai vari livelli, è deter-minato direttamente dalla legge (c.d. rinvii legali alla contrattazione collettiva): si pensi, da ultimo, al d.lgs. n. 81 del 2015, attuativo del c.d. Jobs Act, che detta il c.d. Testo unico delle tipologie contrattuali e prevede diversi rinvii tanto alla contrattazione nazionale quanto a quella aziendale17.

4. Le fasi e gli esiti del processo di contrattazione

Il processo di contrattazione ruota principalmente, ma non esclusivamente, intorno alle procedure di rinnovo di contratti collettivi in scadenza o scaduti; procedure che, come già accennato, non sono formalizzate in norme di legge.

In linea generale, il processo inizia dalla presentazione delle c.d. piattaforme rivendicative, con le quali i sindacati puntualizzano le loro richieste ai fini del rinnovo del contratto collettivo.

Le piattaforme rivendicative costituiscono però soltanto il punto di partenza delle negoziazioni: la parte datoriale non si limita a “resistere” e a contenere le rivendicazioni (aumenti retributivi, diminuzione di orario, ecc.) dei sindacati ma avanza a sua volta richieste di modifica dei precedenti equilibri contrattuali finalizzati ad aumentare i profitti o la competitività dell’impresa e che spetta al sindacato contenere per non pregiudicare oltremodo gli interessi dei lavoratori.

Questo aspetto è oggi di grande attualità perché la crisi economica e la globaliz-zazione dei mercati spinge sempre più spesso le imprese e le loro associazioni sono a rinegoziare al ribasso i trattamenti collettivi e spesso i margini di trattativa sono esigui a fronte della concreta possibilità di diminuzione dei livelli occupazionali.

Le trattative possono protrarsi anche per lunghi periodi e non è infrequente che il contratto collettivo non venga tempestivamente rinnovato, con conseguente proclamazione di scioperi per forzare la conclusione dell’accordo.

16 Si veda in chiusura del punto 2 dell’Accordo del 21 novembre 2012.17 Cfr. l’art. 51 del d.lgs. n. 81 del 2015. In argomento si veda T.Treu, I rinvii alla contrattazione

collettiva (art. 51, d.lgs. n. 81/2015), in Magnani-Pandolofo-Varesi (a cura di), Il codice dei contratti di lavoro, Commentario al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante la disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della l. 10 dicembre 2014, n. 183, Torino, 2016, 250; Alvino, Il micro-sistema dei rinvii al contratto collettivo nel D.Lgs. n. 81/2015: il nuovo modello della competizione fra i livelli della contrattazione collet-tiva, in Riv. it. dir. lav., 2016, 656; P. Passalacqua, L’equiordinazione tra i livelli della contrattazione quale modello di rinvio legale all’autonomia collettiva ex art. 51 del d.lgs. 81 del 2015, in Dir. merc. lav., 2016, 275.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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Nel caso in cui il rinnovo riguardi settori di particolare rilevanza può anche essere necessaria la mediazione del Governo, sovente a mezzo dei ministri competenti.

Una volta raggiunto l’accordo, questo è formalizzato nella c.d. ipotesi di accordo, che sintetizza gli equilibri raggiunti durante la fase di negoziazione e che, quindi, non coincide mai con le piattaforme rivendicative sulla base delle quali le parti avevano cominciato a negoziare.

L’ipotesi di accordo può essere sottoposta ai lavoratori interessati prima della definitiva sottoscrizione del contratto collettivo (ciò accade più facilmente, per ovvi motivi, nel caso di accordi aziendali) ma è bene osservare che l’eventuale dissenso della maggioranza dei lavoratori espresso in assemblea o attraverso il referendum non può ritenersi vincolante per le rappresentanze sindacali: gli esiti della consultazione costituiscono a ben vedere un atto interno della più gene-rale fase di formazione della volontà sindacale. In caso di mancata approvazione dell’ipotesi di accordo il sindacato, dunque, potrà procedere ugualmente a sot-toscrivere il contratto collettivo contestato dalla base dei lavoratori, assumendo-sene però i rischi che possono derivarne in termini di rappresentatività. Parimenti l’eventuale approvazione dell’ipotesi di accordo non può configurarsi come una ratifica in senso tecnico, avendo ad oggetto un documento che non è ancora il contratto collettivo18.

Così come il contratto collettivo può non essere sottoscritto da tutti i soggetti che hanno partecipato alle trattative, può anche accadere che, al contrario, lo stesso venga sottoscritto da soggetti che alle stesse trattative non hanno parteci-pato. In queste ipotesi si parla di sottoscrizione “per adesione”. A seguito della sottoscrizione per adesione associazioni che non hanno partecipato effettivamente ai negoziati riescono a estendere gli effetti del contratto collettivo anche ai pro-pri iscritti. C’è da dire, tuttavia, che questo tipo di sottoscrizione non è del tutto equivalente alla sottoscrizione come conseguenza della effettiva partecipazione alle trattative, nel senso che dalla stessa non si riesce a trarre valutazioni in ordine alla rappresentatività dell’associazione stipulante19.

Stante la perdurante inattuazione delle procedure previste dal Testo unico sulla rap-presentanza, è opportuno richiamare quanto stabilito dal protocollo del 23 luglio 1993. Quest’ultimo affida al contratto nazionale le procedure per la presentazione delle piatta-forme contrattuali nazionali, aziendali o territoriali, nonché i tempi di apertura dei negoziati al fine di minimizzare i costi connessi ai rinnovi ed evitare periodi di vacanza contrattuale, stabilendo però che le piattaforme contrattuali per il rinnovo dei contratti nazionali debbano essere presentate in tempo utile per consentire l’apertura delle trattative tre mesi prima

18 G. Santoro Passarelli, op. ult. cit., 112.19 Cfr., in proposito, Corte cost. n. 244/1996.

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Parte V. Diritto sindacale

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della scadenza dei contratti. A fronte di questa garanzia si richiede alle parti, durante tale periodo e per il mese successivo alla scadenza, di non assumere iniziative unilaterali e di non procedere ad azioni dirette, pena (a seconda della parte colpevole della violazione) l’anticipazione o lo slittamento di tre mesi del termine a partire dal quale decorre l’inden-nità di vacanza contrattuale.

5. Le regole sulla contrattazione collettiva contenute nel Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014

Come tutti i precedenti accordi interconfederali in materia di contrattazione collettiva, anche il T.U. 10.1.2014 si propone, tra l’altro, di dare certezze in ordine ai soggetti ed ai livelli di contrattazione.

Tra gli aspetti regolati dal Testo unico spiccano, così, le procedure di stipula-zione dei contratti nazionale ed aziendale, l’efficacia degli stessi, i soggetti legit-timatati a negoziare, il riparto di competenze tra i livelli contrattuali, i rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, con particolare riferimento alle modalità di negoziazione in sede aziendale di contratti collettivi peggiorativi rispetto al contratto nazionale, l’esigibilità dei contratti collettivi20.

Occorre chiarire fin da subito, però, che questo accordo, stipulato da Confin-dustria, CGIL, CISL e UIL, ha un ambito di applicazione limitato al settore industriale e alle parti firmatarie21.

Come già accennato, inoltre, le regole contenute in questo accordo non sono ancora pienamente operative, stante la perdurante inattuazione del meccanismo di misurazione della rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione nazio-nale (parte I) e la scarsa implementazione delle clausole di esigibilità (parte IV).

6. L’articolazione contrattuale su due livelli

Il T.U. 10.1.2014 conferma, e anzi rafforza, il principio della contrattazione articolata su due livelli: nazionale e aziendale.

20 Cfr., per tutti, F. Carinci, Il lungo cammino per Santiago della rappresentatività sindacale: dal titolo III dello Statuto dei lavoratori al Testo Unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014, in Dir. rel. ind., 2014, 309 ss.

21 Il Testo unico è stato recepito anche in altri settori con accordi separati (cfr., ad esempio, il rece-pimento da parte di Confservizi del 10 febbraio 2014). Cfr., in generale, Viscomi, L’adesione successiva alla disciplina pattizia. Brevi note sul Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014, in Dir. merc. lav., 2014, 43 ss. Da ultimo, il 17 luglio 2015, il Testo unico è stato recepito anche nel settore dei trasporti).

Sul problema dell’efficacia soggettiva delle clausole del Testo unico si veda, inoltre, Trib. Roma, ord. 20.5.2015, con nota di Ferraresi, Puntualizzazioni sull’ambito soggettivo di efficacia del Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, in Dir. rel. ind., 2015, 848, nonché, infra, par. 8.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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Le competenze della contrattazione aziendale sono predeterminate sulla base del principio della delega: «la contrattazione aziendale si esercita per le mate-rie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di categoria o dalla legge».

Si dovrebbe ritenere, dunque, che la contrattazione aziendale non possa avere ad oggetto materie non espressamente delegate dal contratto nazionale, a meno che una competenza a regolarle non sia direttamente prevista dalla legge.

La delega, inoltre, diversamente dal rinvio, cui faceva riferimento in precedenza il Protocollo del 1993, dovrebbe avere un grado di specificità suffi-ciente a consentirne la determinazione dell’oggetto22.

Secondo una diversa ricostruzione, tuttavia, la legittimazione di una delega anche par-ziale estenderebbe le competenze della contrattazione aziendale anche a materie più ampie di quelle espressamente coperte dalla delega23.

È importante sottolineare, tuttavia, che la regolamentazione pattizia, seppur al livello interconfederale, del riparto di competenze tra contratto nazionale e contratto aziendale non è assistita da un’efficacia “reale” in caso di violazioni: in altre parole, il contratto aziendale che dovesse regolare materie non delegate non è invalido, perché non esiste un principio di gerarchia tra i livelli di contrat-tazione stabilito per legge, dal quale scaturisca, come accade invece nel settore pubblico24, la nullità delle eventuali clausole non conformi25.

Ciò comporta, come vedremo, rilevanti problemi di carattere generale in ordine alle conseguenze di eventuali violazioni delle clausole degli Accordi interconfederali.

7. La misurazione della rappresentatività sindacale e la selezione degli agenti contrattuali al livello nazionale

Sulla scia di quanto già previsto dalla clausola 1 dell’Accordo del 2011 e dall’Accordo del 2013, Il Testo unico del 2014 puntualizza la disciplina della rap-presentatività sindacale ai fini della contrattazione nazionale, dedicando alle modalità di misurazione e di certificazione della rappresentanza l’intera parte I26.

22 Cfr., sul punto, G. Santoro Passarelli, op. ult. cit., 118.23 In tal senso Persiani, Osservazioni estemporanee sull’accordo interconfederale del 2011, in Arg.

dir. lav., 2011, 451.24 Art. 40, comma 3-quinquies, d.lgs. n. 165/2001.25 G. Santoro Passarelli, op. cit., 118.26 Cfr., in particolare, Zampini, Il Testo Unico del 10 gennaio 2014. Misura e certificazione della

rappresentanza sindacale tra Costituzione e autonomia collettiva, in Arg. dir. lav., 2014, 629 ss.

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Parte V. Diritto sindacale

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Viene prevista, così, anche nel settore privato una soglia numerico/per-centuale idonea a misurare matematicamente il grado di rappresentatività delle associazioni sindacali e a selezionare quelle ammesse alla contrattazione collettiva nazionale.

A tal fine è richiesta una rappresentatività non inferiore al 5%, valore calco-lato come media tra dato associativo (numero delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite, rispetto al totale dei lavoratori sindacalizzati) e dato elettorale (consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle rappresentanze sindacali unita-rie, rispetto al totale dei voti espressi).

Si tratta di un meccanismo simile a quello già adottato nel settore pubblico, ma non identico, nonostante il Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013, colmando una lacuna del precedente Accordo del 2011, abbia affiancato alla selezione “a monte” degli agenti contrattuali anche un meccanismo di verifica “a valle” della rappresentatività complessiva delle associazioni che sottoscrivono l’accordo.

Occorre rilevare che il sistema di misurazione della rappresentatività ai fini dell’ammissione alle trattative richiede, per entrare a regime, alcuni ulteriori passaggi, anche se sotto questo punto di vista un importante passo avanti sem-bra essere stato fatto con la stipulazione, il 16 marzo 2015, della convenzione tra l’INPS e le parti stipulanti al fine di consentire l’acquisizione e la certifica-zione delle deleghe, attraverso la specifica sezione delle dichiarazioni aziendali UNIEMENS.

8. La questione della sussistenza o meno di un obbligo a trattare e le nuove prospettive aperte dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013

Resta aperta la questione in ordine al contenuto precettivo della clausola che ammette alle trattative le organizzazioni che raggiungano la soglia di rappresen-tatività richiesta: c’è da chiedersi, infatti, se dalla stessa possa essere ricavato un vero e proprio diritto delle associazioni sindacali rappresentative ad essere convocate al tavolo delle trattative.

Secondo una autorevole opinione, la clausola non implicherebbe nessun obbligo a trattare con i sindacati rappresentativi: essa, al contrario, avrebbe «il significato di una legittimazione reciproca tra le organizzazioni firmatarie, con effetti solo tra le stesse»27. Secondo questa interpretazione, dunque, la clausola

27 Treu, L’accordo 28 giugno 2011 ed oltre, in Dir. rel. ind., 2011, 617. L’inesistenza di un diritto ad essere convocati al tavolo delle trattative per il contratto nazionale sulla base della clausola 1 dell’Accordo

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XLIV. La contrattazione collettiva

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avrebbe solo un valore politico-sindacale e, in definitiva, non inciderebbe sul tradizionale principio del mutuo riconoscimento delle parti contrattuali.

Questa ricostruzione presta, però, il fianco a qualche critica nella misura in cui rischia di svalutare eccessivamente il contenuto della clausola.

In senso contrario si potrebbe, pertanto, ritenere che la clausola sia idonea a fondare un vero e proprio diritto delle associazioni che raggiungono la soglia di rappresentatività richiesta ad essere convocate al tavolo delle trattative, ferma restando la necessità di attuare il sistema di certificazione che la clausola stessa prevede28.

In quest’ottica la clausola segnerebbe il passaggio dal tradizionale principio del reciproco riconoscimento delle parti contrattuali, corollario del principio di libertà negoziale al quale il sistema di contrattazione collettiva del settore privato è sempre stato improntato, ad una legittimazione negoziale ancorata ad un requi-sito obiettivo e matematicamente misurabile29.

Questa interpretazione sembra coerente, del resto, con la sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013, che ha dichiarato costituzionalmente ille-gittimo l’art. 19 della l. n. 300/1970, nella parte in cui «non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda».

Senza entrare nel merito delle argomentazioni addotte dalla Corte30, in questa sede è possibile rilevare che la questione dell’esistenza o meno di un obbligo a trattare, alla luce di questa pronuncia, acquista una rilevanza ancora maggiore: l’ammissione alle trattative (anche se non esclusivamente per il contratto nazionale) diventa in definitiva condizione sufficiente per la costituzione delle r.s.a..

Dopo la sentenza, infatti, il problema della legittimazione a riconoscere proprie r.s.a. è solo spostato dal momento della stipulazione del contratto collettivo a quello, antecedente, della partecipazione alle trattative.

Appare, dunque, opportuno che i requisiti di partecipazione alle trattative siano il più possibile formalizzati.

28 giugno 2011 è ravvisata anche da Trib. Roma 13.5.2013. Secondo questa sentenza, infatti, la clausola 1 vincolerebbe solo le confederazioni firmatarie e non le singole associazioni di categoria.

28 Cfr. G. Santoro Passarelli, op. ult. cit., 117.29 Cfr. F. Carinci, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?, in Arg. dir.

lav., 2011, 470; Ricci, L’accordo interconfederale 28 giugno 2011: un’inversione di tendenza nel sistema di relazioni industriali, in Arg. dir. lav., 2012, 48; Miscione, Regole certe su rappresentanze sindacali e contrattazione collettiva con l’accordo interconfederale 28 giugno 2011, in Lavoro e giur., 2011, 654; Fontana, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2012 (e i suoi avversari). Un commento a caldo, in Riv. it. dir. lav., 2011, III, 322.

30 Si rinvia, per gli opportuni approfondimenti, a Preteroti, in questo Trattato, Parte V, Capitolo XLII.

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Parte V. Diritto sindacale

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La Corte, sotto questo aspetto, sollecita l’intervento del legislatore, ma allo stato le uniche fonti che stabiliscono una soglia di rappresentatività “utile” ai fini dell’ammissione alle trattative sono quelle pattizie.

C’è da chiedersi, inoltre, se alla luce della sentenza n. 231/2013 non risulti superato il principio espresso dalla precedente sentenza n. 244/1996, che aveva escluso l’esistenza di un potere di accreditamento datoriale sulla base del presupposto che il sindacato rappresen-tativo si sarebbe imposto come controparte contrattuale. L’esperienza recente, infatti, sem-bra aver dimostrato che in alcune circostanze il sindacato rappresentativo, pur rifiutando si sottoscrivere il contratto, non ha questa forza e rimane, di fatto, emarginato.

E se è lecito aspettarsi che il sindacato rappresentativo riuscirà ad imporsi almeno come parte della trattativa ciò non è scontato laddove la parte datoriale decidesse di procedere a tavoli separati escludendo una determinata Federazione, nell’esercizio legittimo della libertà di scelta del contraente.

Queste considerazioni portano pertanto a preferire un’interpretazione che, proprio valorizzando l’autonomia individuale, consenta di ravvisare nel requisito di rappresenta-tività stabilito dalla clausola 1 l’elemento costitutivo di un vero e proprio diritto ad essere quantomeno convocato, in modo da poter garantire la partecipazione alle trattative, oggi sufficiente ai fini della costituzione delle r.s.a., ad associazioni sindacali che rifiutano di stipulare il contratto collettivo pur essendo rappresentative.

Resta aperto, tuttavia, il problema della giustiziabilità dell’eventuale diritto ad essere convocati: non sembra utilizzabile, infatti, il ricorso ex art. 28 st. lav., in quanto la mancata convocazione, riguardando le trattative per il con-tratto nazionale, sarebbe ascrivibile all’associazione datoriale e non al datore di lavoro31. Si potrebbe pensare, allora, alla tutela ordinaria assicurata dal ricorso ex art. 700 c.p.c. È evidente, invece, la scarsa praticabilità di un’azione risarcitoria, per la difficoltà di individuare il danno risarcibile e quantificarne l’ammontare.

9. La stipulazione e l’efficacia del contratto nazionale

Il testo unico formalizza la procedura di stipulazione del contratto nazionale, ai fini dell’efficacia e dell’esigibilità nei confronti dell’insieme dei lavoratori e di tutte le organizzazioni sindacali aderenti alle confederazioni firmatarie.

È prevista una serie di obblighi, tanto nei confronti della parte datoriale, quanto nei confronti delle parti sindacali.

In primo luogo viene regolata l’individuazione delle piattaforme e delle dele-gazioni trattanti: queste dovranno essere definite «nel rispetto della libertà e auto-nomia di ogni organizzazione sindacale», dalle federazioni di categoria, con proprio

31 Si veda, però, in senso contrario F. Carinci, op. ult. cit., 470. Con riferimento alla contrattazione aziendale hanno considerato antisindacale il comportamento del datore di lavoro volto a non convo-care un’associazione rappresentativa e ad escluderla dalle r.s.a.: Trib. Rovereto, 28.4.2016; Trib. Brescia, 4.2.2014; Trib. Busto Arsizio, 30.7.2014. In senso contrario, però, Corte app. L’Aquila, 17.3.2016; Trib. Roma, 6.10.2015; Trib. Roma, 23.9.2014.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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regolamento per ogni singolo CCNL rinviando a tal fine ad un regolamento che le Federazioni di categoria sono chiamate ad individuare, per ogni singolo CCNL.

La definizione del regolamento costituisce, dunque, un ulteriore passaggio prodromico alla piena operatività del Testo unico.

In secondo luogo, nell’ambito del suddetto regolamento ed in coerenza con quanto stabilito dal Protocollo, le organizzazioni sindacali sono chiamate a “favo-rire”, in ogni categoria, la presentazione di piattaforme unitarie.

“Favorire” non significa, ovviamente, “garantire”: il contenuto precettivo della clausola appare piuttosto sfumato residua la possibilità che non di riesca ad intavolare una trattativa sulla base di una piattaforma unitaria.

In questa eventualità è previsto un obbligo in capo alla parte datoriale, spe-culare al primo in capo alle parti sindacali, di “favorire” l’avvio delle tratta-tive sulla base della piattaforma presentata da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente una rappresentatività nel settore pari al 50%+1.

Ciò non esclude ovviamente dal tavolo delle trattative eventuali piattaforme minoritarie, anche se è lecito aspettarsi che una volta avviati i negoziati sulla base della piattaforma maggioritaria difficilmente quella minoritaria potrà essere oggetto di ulteriore analisi, a meno di clamorosi ripensamenti da parte delle asso-ciazioni sindacali nel corso delle trattative stesse.

Il testo unico non regola la conclusione delle trattative, ma stabilisce che i contratti collettivi sottoscritti formalmente dalle organizzazioni sindacali che aggreghino una soglia di rappresentatività complessiva pari ad almeno il 50%+1, previa consultazione certificata dei lavoratori a maggioranza sem-plice, saranno efficaci ed esigibili.

La clausola non brilla per chiarezza: sembra che tra la chiusura delle trattative, condotte dalla delegazione trattante, e la stipulazione del contratto da parte delle organizzazioni sindacali, debba esservi un momento di verifica “a valle”, attra-verso una consultazione certificata le cui modalità dovranno essere stabilite dalle “categorie” per ogni singolo contratto.

La definizione delle modalità della consultazione certificata, dunque, configura un ulteriore adempimento che condiziona l’operatività della nuova procedura.

In ogni modo, come già accennato, una volta sottoscritto il contratto collettivo nel rispetto della soglia di rappresentatività complessiva, questo sarà efficace ed esigibile.

Il riferimento all’efficacia e all’esigibilità appare pleonastico se riferito alle parti stipulanti, come pure pleonastica è la specificazione che la sottoscrizione formale costituirà l’atto vincolante per entrambe le parti.

In realtà l’efficacia e l’esigibilità contemplata dal Testo unico sembrano riferite non tanto alle parti, quanto piuttosto ai lavoratori iscritti alle associazioni sinda-cali non firmatarie del contratto nazionale, ma espressione delle confederazioni che hanno stipulato il protocollo, oltre che alle stesse organizzazioni sindacali.

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In quest’ottica la procedura mira a rendere applicabili regole volte alla gestione del dissenso anche al livello nazionale, così come stabilito analoga-mente al livello aziendale.

Resta da chiedersi se la procedura di contrattazione prevista dal testo unico debba con-siderarsi esclusiva e vincolata, oppure concorrente32.

Nella prima ipotesi la procedura delineata dovrebbe essere considerata l’unica idonea alla stipulazione del contratto nazionale, senza possibilità per le parti di seguire procedure differenti.

In quest’ottica l’impossibilità di rispettare le condizioni previste si tradurrebbe nella mancata stipulazione del contratto nazionale e si aprirebbero pertanto diversi possibili sce-nari volti a sopperire alla carenza della relativa copertura contrattual-collettiva33.

Nella seconda ipotesi, invece, il procedimento decritto dovrebbe essere considerato prioritario e preferenziale, ferma restando però la possibilità per le parti di concludere ugualmente il contratto nazionale sulla base di procedure o condizioni diverse, ma senza, a questo punto, le particolari efficacia ed esigibilità garantite dal testo unico.

10. Le procedure di stipulazione del contratto aziendale ai fini dell’efficacia “per tutto il personale in forza”

Come già previsto dalle clausole 4 e 5 dell’Accordo del 2011, anche il T.U. 10.1.2014 delinea due distinte procedure di stipulazione del contratto aziendale ai soli fini dell’efficacia dello stesso nei confronti di “tutto il personale in forza” e di tutte le associazioni sindacali espressione delle confederazioni fir-matarie dell’accordo stesso.

Si tratta di previsioni molto importanti perché mirano a gestire il dissenso, anche sindacale, ad un livello di contrattazione, quello aziendale, dove tende maggiormente a manifestarsi34.

Le procedure differiscono a seconda che il soggetto stipulante sia la r.s.u. o siano le r.s.a.

Occorre evidenziare preliminarmente che la pretesa efficacia per tutto il personale in forza non può essere intesa come una vera e propria efficacia generale del contratto aziendale: l’efficacia per tutto il personale in forza, infatti, è attribuita da una fonte, l’Accordo interconfederale, che, in quanto pattizia, ha a sua volta una efficacia limitata. La limitatezza di tale efficacia non può che trasmettersi anche alle singole clausole e all’efficacia che le stesse attribuiscono al contratto aziendale stipulato nel rispetto delle procedure dalle stesse stabilite.

32 Maresca, Il contratto collettivo nazionale di categoria dopo il protocollo d’intesa 31 maggio 2013, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 723 ss.

33 Cfr. Maresca, op. cit., 724.34 Treu, op. cit., 622.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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Ne consegue che, correttamente intesa, l’efficacia attribuita da quelle clau-sole opera nei confronti di tutto il personale in forza al quale risulta applicabile l’accordo interconfederale35.

Se negozia la r.s.u., il contratto aziendale è efficace nei confronti di tutto il personale in forza e di tutte le associazioni espressione delle confederazioni fir-matarie se approvato dalla maggioranza dei componenti della stessa r.s.u.

La previsione potrebbe apparire pleonastica, in quanto non si vede come la r.s.u. possa decidere “a minoranza”; in realtà assume un valore in quanto con-ferma la natura di organo collegiale delle r.s.u.36, a volte messa in discussione ad altri fini dalla giurisprudenza37.

Laddove, invece, il contratto aziendale sia negoziato dalle r.s.a., la stessa efficacia si produce solo se approvato alle rappresentanze sindacali aziendali che risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sinda-cali conferite dai lavoratori dell’azienda.

Sennonché per il diverso peso rappresentativo delle r.s.u. rispetto alle r.s.a.38, garantito, in linea di principio, dall’elezione dei componenti da parte dei lavora-tori, in questa ipotesi l’accordo non si accontenta della sola garanzia del principio maggioritario riferito al numero delle deleghe e prevede maggiori cautele a tutela dei dissenzienti.

In particolare, l’accordo può essere respinto all’esito di un referendum richie-sto entro 10 giorni dalla conclusione del contratto, da almeno una organizzazione sindacale espressione di una delle confederazioni firmatarie o da almeno il 30% dei lavoratori dell’impresa. La consultazione è valida se partecipano il 50%+1 dei lavoratori, senza che siano richiesti particolari quorum deliberativi: l’accordo è respinto con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti.

Questa procedura realizza un delicato equilibrio tra le posizioni della CGIL, sensibile alle forme di democrazia partecipativa, e quelle della CISL, maggiormente attenta agli interessi degli iscritti39. Essa finisce per garantire diversi soggetti dissenzienti: le r.s.a. che, in ipotesi, si siano rifiutate di sottoscrivere il contratto collettivo, tramite le associazioni sin-dacali di riferimento; le stesse associazioni dissenzienti rispetto all’operato delle r.s.a. che invece, contro le loro indicazioni, avessero sottoscritto il contratto aziendale; i lavoratori iscritti al sindacato dissenziente rispetto all’operato delle r.s.a. firmatarie ed, infine, anche i lavoratori dissenzienti non iscritti ad alcuna associazione sindacale.

35 G. Santoro Passarelli, op. ult. cit., 119; F. Carinci, op. ult. cit., 470, che prospetta, tuttavia, un’effi-cacia generale “di fatto”; Ricci, op. cit., 50.

36 Cfr. F. Carinci, op. ult. cit., 471.37 Cfr. le sentenze in materia di indizione dell’Assemblea da parte della r.s.u. a maggioranza o dei

singoli componenti della stessa citate da Preteroti, in questo Trattato, parte V, Capitolo XLII.38 Cfr. F. Carinci, op. ult. cit., 474; Ricci, op. cit., 51.39 Treu, op. cit., 623.

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Resta da chiarire cosa accada laddove, all’esito del referendum, il contratto venga effettivamente respinto.

Secondo una possibile ricostruzione, il contratto sarebbe inefficace nei confronti di chiunque, tamquam non esset. Il rispetto della procedura, infatti, è finalizzato alla particolare efficacia che l’accordo riconosce al contratto azien-dale nei confronti dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali dissenzienti che comunque rientrano nell’ambito di applicazione dell’accordo stesso.

Più persuasivamente, si potrebbe allora ritenere che l’esito del referendum privi l’accordo di questa particolare efficacia, ferma restando la validità dello stesso come normale contratto aziendale e la sua efficacia nei confronti degli iscritti e di coloro che lo accettano individualmente, secondo i principi generali.

Non a caso, nell’ipotesi in cui il contratto sia stato negoziato dalla r.s.u., per la quale sarebbe impossibile ragionare in questi termini, il referendum non è previsto.

In ogni modo, per quanto detto, mentre un lavoratore iscritto alla FIOM risulta vincolato da un contratto aziendale stipulato esclusivamente delle r.s.a. di FIM e UILM, se maggioritarie in termini di deleghe, un lavoratore iscritto ad un sin-dacato autonomo potrebbe sempre rifiutare gli effetti di quel contratto azien-dale, pur efficace nei confronti di tutto il personale in forza ai sensi dell’accordo interconfederale.

11. Le procedure di stipulazione del contratto aziendale ai fini dell’efficacia derogatoria (clausola 7 dell’Accordo interconfederale 2011)

Uno dei punti più rilevanti dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 era, come già accennato, l’espressa regolamentazione della possibilità di intese a livello aziendale modificative delle discipline contenute nei contratti collettivi nazionali (clausola 7).

Una analoga disciplina è confluita nel T.U. 10.1.2014.L’espressione, neutra, “intese modificative” deve essere letta, in realtà,

come “intese peggiorative”, perché questo è il punto centrale dell’accordo interconfederale.

Sono previste due diverse discipline: quella c.d. a regime, destinata ad operare a partire dai rinnovi contrattuali successivi al Testo unico e quella “transitoria”, immediatamente applicabile40.

40 Cfr. G. Santoro Passarelli, Accordo interconfederale 28 giugno 2008, cit., 1237.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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A regime, i contratti aziendali potranno stabilire deroghe peggiorative alle discipline contenute nei contratti nazionali nei limiti e con le procedure da questi ultimi stabiliti. Dette intese modificative potranno essere previste anche in via sperimentale e temporanea, senza ulteriori limitazioni.

Il governo delle deroghe in sede aziendale, dunque, risulta totalmente filtrato e limitato dal contratto nazionale. C’è da dire, tuttavia, che i rinnovi contrattuali successivi già all’accordo interconfederale del 2011 e ora al testo unico non si sono avvalsi di questa facoltà, rinunciando a dettare una regolamentazione det-tagliata delle possibilità di deroga e limitandosi, in alcuni casi, a ricalcare la formulazione degli accordi interconfederali41.

Laddove il contratto nazionale nulla preveda “ed in attesa di rinnovi”, il testo unico consente la previsione di deroghe con più rigide limitazioni in ordine ai soggetti abilitati a stipulare gli accordi aziendali, alle finalità che tali accordi devono perseguire e alle materie che possono derogare.

Quanto ai soggetti, le intese devono essere stipulate dalle rappresentanze sin-dacali operanti in azienda, senza distinzioni tra r.s.a. ed r.s.u. L’atteggiamento “neutro” in ordine agli organismi di rappresentanza è controbilanciato, però, dalla necessaria “intesa” con le relative organizzazioni sindacali territoriali di cate-goria espressione delle confederazioni firmatarie dell’accordo interconfederale42.

Le modalità di acquisizione dell’intesa non sono procedimentalizzate ed appaiono, quindi, irrilevanti purché l’intesa vi sia.

Il riferimento all’“intesa” sembra richiedere l’unanimità, con conseguente esistenza di un “potere di veto insuperabile” in capo anche ad una sola organizzazione territoriale dissenziente43.

Potere di veto che potrebbe giustificarsi sia per i contenuti degli accordi, forieri di dero-ghe peggiorative rispetto alla disciplina del contratto nazionale, sia per l’assenza del filtro a monte operato, a regime, dalla previsione del contratto nazionale stesso.

41 Cfr., per esempio, l’art. 2-bis, comma 4, del CCNL del personale della mobilità. Secondo una diversa impostazione alcuni contratti nazionali individuano invece espressamente le materie che non potranno essere oggetto di deroga, generalmente i minimi tabellari e i diritti derivanti da norme inde-rogabili di legge: cfr. l’art. 5 del CCNL dei metalmeccanici, l’art. 68 del CCNL spettacolo e radiotele-visioni-cinematografia industrie audiovisive e multimediali. Si veda anche il CCNL chimica, gomma, vetro-chimica e settori collegati industria.

42 Cfr. Tosi, L’accordo interconfederale 28 giugno 2011: verso una (nuova) autoricomposizione del sistema contrattuale, in Arg. dir. lav., 2011, 1218, sebbene l’A. consideri molto flessibile la disciplina transitoria e “blanda” questa limitazione procedurale. L’aggettivo “relative”, non presente nella formula-zione del 2011, è stato aggiunto, in senso ulteriormente limitativio, dal testo unico del 2014.

43 In tal senso F. Carinci, op. ult. cit., 477; Treu, op. cit., 629. Più problematicamente G. Santoro-Pas-sarelli, Diritto dei lavori, cit., 122. Contra Miscione, op. cit., 655, secondo il quale, nonostante la lettera della clausola, il contesto e la logica dell’accordo «fanno concludere che di nuovo valga il principio della maggioranza, senza possibilità né di veto né di accordi separati».

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Parte V. Diritto sindacale

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Le intese modificative devono essere finalizzate alla gestione di situazioni di crisi o allo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa in presenza di investimenti significativi.

Esse, inoltre, per quanto riguarda l’oggetto, possono intervenire sugli istituti del contratto nazionale che disciplinano «la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro».

Emerge con nettezza la genericità e l’ampiezza delle formulazioni utilizzate44, che lasciano, di fatto, grandi margini di discrezionalità alla contrattazione aziendale.

Non sembra, infatti, agevolmente ipotizzabile un eventuale controllo giudi-ziale sul rispetto delle finalità che i contratti aziendali in deroga dovrebbero per-seguire, e materie come “prestazione lavorativa” e “organizzazione del lavoro” abbracciano in definitiva se non tutti sicuramente gran parte degli istituti regolati dal contratto nazionale.

La lettera della clausola sembra condizionare l’operatività della disciplina transitoria solo fino al primo rinnovo contrattuale: le due condizioni “ove non previste” ed “in attesa dei rinnovi” sono legate dalla congiunzione “e”, con-seguentemente, laddove dopo il rinnovo il contratto collettivo nazionale non disponga nulla, si dovrebbe ritenere preclusa ogni possibilità di deroga da parte del contratto aziendale, interpretando come significativo il silenzio sul punto. In altri termini se dopo il rinnovo il contratto nazionale non ha previsto nulla, la mancata previsione deve essere interpretata come volontà di escludere la possi-bilità di deroghe.

Secondo una diversa interpretazione, tuttavia, la disciplina transitoria potrebbe essere considerata comunque applicabile in tutti i casi in cui il contratto nazio-nale non abbia previsto nulla, anche dopo il rinnovo successivo all’accordo inter-confederale. In quest’ottica le due condizioni “ove non previste” ed “in attesa dei rinnovi”, non devono necessariamente essere compresenti45.

I contratti aziendali approvati con le procedure appena evidenziati sono, inol-tre, suscettibili di esplicare l’efficacia per tutto il personale in forza ai sensi delle clausole 4 e 5 dell’accordo interconfederale, se rispettano anche le condizioni dalle stesse stabilite.

È interessante notare, allora, che, nell’economia dell’accordo, un contratto nazionale “separato” potrebbe legittimamente autorizzare deroghe suscettibili poi di produrre effetti anche nei confronti degli iscritti all’associazione dissen-ziente, laddove siano rispettate le condizioni previste dalle clausole 4 e 5.

44 Ricci, op. cit., 53.45 Considera pacifica questa seconda interpretazione G. Santoro Passarelli, Accordo interconfede-

rale., cit., 1240.

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12. La contrattazione di prossimità ai sensi dell’art. 8, d.l. n. 134/2011 e i problemi di coordinamento con la disciplina pattizia della contrattazione aziendale

L’efficacia generale e derogatoria dei contratti aziendali ai sensi delle clau-sole 4, 5 e 7 dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, poi confluite nel testo unico, non può non essere messa a confronto con la stessa efficacia stabilita dall’art. 8 del d.l. n. 138/2011, conv. con mod. in l. n. 148/2011, nell’ambito delle misure di sostegno alla contrattazione di prossimità.

Senza entrare nei dettagli di una normativa molto complessa46, in questa sede è opportuno mettere in luce alcune differenze in ordine ai livelli di contrattazione, ai soggetti stipulanti, alle procedure da seguire, alle materie interessate, all’effi-cacia soggettive e all’incisività delle deroghe.

L’art. 8, innanzitutto, accomuna nelle inedita nozione di “contrattazione di prossimità” sia i contratti aziendali che quelli territoriali, a differenza dell’accordo interconfederale che non menziona quest’ultimo livello di contrattazione.

Quanto ai soggetti contrattuali l’art. 8 indica tre diversi agenti contrattuali: le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano territoriale; le loro rappresentanze aziendali.

Sennonché il riferimento alla maggiore rappresentatività comparata, già pro-blematico sul piano nazionale, sul piano territoriale appare del tutto indeterminato e privo di criteri orientativi47 e le incertezze che ne derivano si riflettono anche sulle individuazione delle rappresentanze aziendali. Queste ultime sembrano poter essere sia le r.s.u. che le r.s.a.48, ma l’aggettivo possessivo “loro” impone di restringere il campo non a qualunque r.s.a., ma solo a quelle delle associazioni comparativamente più rappresentative.

In ordine alla procedura da seguire, l’art. 8 si limita a prevedere il necessario rispetto di “un criterio maggioritario” riferito alle “predette rappresentanze”: non è chiaro, in primo luogo, se il criterio maggioritario debba essere rispettato solo in caso di stipulazione da parte delle r.s.a. e delle r.s.u. e, in secondo luogo in cosa consista tale criterio. L’art. 8 richiama l’accordo interconfederale del 2011 ma tale richiamo non sembra sufficiente a d escludere la legittimità di criteri maggioritari diversi da quelli contemplati dall’accordo stesso49: in fondo la legge si limita a richiedere “un” criterio maggioritario. A tal fine si potrebbe ritenere

46 In generale, cfr. G. Santoro Passarelli, Il contratto aziendale “in deroga”, in Dir. lav. merc., 2015, 273; Schiavetti, in questo Trattato, parte V, Capitolo XLIII.

47 Treu, op. cit., 636.48 Treu, op. cit., 637.49 Cfr. G. Ferraro, Il contratto collettivo dopo l’art. 8 del decreto n. 138/2011, in Arg. dir. lav., 2011,

1273, che considera l’art. 8 «non suscettibile di essere utilmente integrato con l’accordo interconfederale».

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Parte V. Diritto sindacale

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rispettata la previsione legale anche laddove il contratto aziendale fosse stipulato dalla maggioranza delle r.s.a. operanti in azienda, a prescindere dal numero delle deleghe.

Non sorprende, pertanto, che autorevole dottrina abbia considerato la formula «tanto generica da risultare del tutto sprovvista di operatività»50.

Quanto alle materie sulle quali la contrattazione di prossimità è legittimata ad intervenire, l’art. 8, comma 2, presenta un lungo elenco: a) impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie; b) mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale; c) contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) disciplina dell’orario di lavoro; e) modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, trasformazione e conver-sione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavo-ratrice in concomitanza del matrimonio.

Detto elenco, a fronte di una formale tassatività, finisce per contemplare materie in alcuni casi molto ampie e, in altri, di incerta delimitazione51, non necessariamente coincidenti con quelle previste dall’accordo interconfederale.

Vistose sono, inoltre, le differenze in ordine all’efficacia soggettiva e derogatoria dei contratti ex art. 8 rispetto a quelli stipulati ai sensi dell’accordo interconfederale.

La natura di atto normativo della fonte che la prevede fa si, infatti, che, a differenza dell’efficacia nei confronti di tutto il personale in forze prevista dall’accordo interconfederale, l’efficacia «nei confronti di tutti i lavoratori inte-ressati» attribuita ai contratti di prossimità dall’art. 8, comma 1, sia una vera e propria efficacia erga omnes, fermi restando i dubbi di legittimità costituzionale che la norma ha suscitato52.

L’efficacia derogatoria dei contratti ex art. 8, infine, è molto più incisiva di quella prevista dall’accordo interconfederale, perché opera non solo con riguardo alle regolamentazioni contenute nei contratti nazionali ma anche con riferimento a norme di legge (altrimenti inderogabili). Tale efficacia derogatoria è limitata solo dal rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dalle normative

50 F. Carinci, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in Arg. dir. lav., 2011, 1169.

51 Art. 8, comma 2. Si pensi, rispettivamente alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro. Sul punto cfr. G. Santoro Passarelli, Accordo interconfederale, cit., 1243.

52 Cfr., sul punto, F. Carinci, op. ult. cit., 1176 ss.; Tosi, op. cit., 1220; G. Santoro Passarelli, Accordo interconfederale, cit., 1244 ss.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, ma è evidente come non sia sempre agevole riguardo a determinate materie individuare con certezza ed in concreto detti limiti. Ciò vale, in particolare, per le norme costituzionali, spesso di principio e suscettibili di essere interpretate più o meno estensivamente. Si pensi ad esempio al divieto di adibire un lavoratore a mansioni inferiori: la materia dell’inquadramento è espressamente indicata tra quelle derogabili, ma l’art. 35 Cost. tutela l’elevazione professionale dei lavoratori.

Qualche dubbio può porsi, inoltre, sulle conseguenze di eventuali viola-zioni dell’art. 8. Laddove vi fossero violazioni procedurali non sembra che il contratto aziendale possa essere considerato per ciò solo nullo. Si potrebbe rite-nere, invece, che la violazione della procedura privi il contratto della particolare efficacia soggettiva e derogatoria prevista dall’art. 8 (ad es. contratto stipulato da soggetti non legittimati o in violazione del criterio maggioritario o su una materia non contemplata).

Viceversa, la nullità quantomeno della singola clausola sembra inevitabile laddove siano stati travalicati i limiti della potestà derogatoria e il contratto sia intervenuto a derogare norme di legge in violazione dei principi costituzionali, delle normative europee o delle convenzioni internazionali sul lavoro.

È bene sottolineare, in ogni modo, che l’art. 8 rimette ai sindacati la facoltà di stipulare i contratti aziendali in deroga: non è detto, pertanto, che la disposizione comporterà una indiscriminata destrutturazione delle tutele inderogabili a prote-zione dei lavoratori se i sindacati e le loro rappresentanza in azienda faranno il loro lavoro.

Non è semplice valutare il grado di applicazione di questa disposizione: l’impressione è che esso sia molto più alto di quanto ufficialmente non appaia, nel senso che i contratti ex art. 8 che vengono stipulati sono certamente di più di quelli di cui si ha notizia53, nonostante la controversa postilla aggiunta all’accordo interconfederale il 21 settembre 2011 che, come già evidenziato, ha portato poi FIAT a recedere da Federmeccanica e ad uscire dal sistema confindustriale.

A prescindere da questo dato, tuttavia, l’art. 8 segna un notevole punto di rottura rispetto all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 perché, nelle materie indicate, attribuisce una competenza del contratto aziendale per così dire “a titolo originario”54, svincolata da qualsiasi delega da parte del contratto nazionale.

53 L’esperienza più significativa può essere rinvenuta nell’Accordo aziendale stipulato da Golden Lady con le federazioni nazionali di categoria, unitariamente, il 16 luglio 2012, volto a sospendere per un anno l’entrata in vigore della nuova disciplina dell’associazione in partecipazione introdotta dalla l. n. 92/2012, a fronte, però, dell’impegno a stabilizzare tutti i lavoratori interessati.

54 G. Santoro Passarelli, Diritto dei lavori, cit., 125.

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Questa circostanza può avere notevoli effetti sulla contrattazione collettiva, ampliando le materie sulle quali i sindacati e i datori di lavoro potrebbero legittimamente voler inta-volare negoziati al livello aziendale. In buona sostanza, non ci si potrà più trincerare dietro alla mancata delega da parte del contratto nazionale laddove una delle parti non sia inte-ressata a negoziare e l’eventuale rifiuto dovrà necessariamente scaturire da una precisa strategia negoziale, conseguente ad una posizione politico/sindacale determinata.

Si pensi, per esempio, al datore di lavoro richiesto di negoziare in sede aziendale gli inquadramenti, materia generalmente non delegata dal contratto nazionale ma contemplata dall’art. 8. Se non intende negoziare, egli potrà ancora eccepire il formale difetto di delega al fine di rifiutare legittimamente ogni trattativa? O dovrà, invece, riconoscere l’astratta competenza del sindacato a richiedere l’apertura di una trattativa anche in assenza della delega e, dunque, disattendere tale richiesta nel merito, esponendosi ad una prova di forza?

La differenza non è di poco momento e per il sindacato non è la stessa cosa sentirsi obiettare di essere incompetente a richiedere una trattativa rispetto al vedersi rifiutate le rivendicazioni avanzate.

C’è da dire, però, che, da ultimo, i decreti attuativi del Jobs Act hanno in gran parte attenuato il contenuto precettivo dell’art. 8, perché le esigenze di flessibi-lizzazione che questa disposizione voleva privilegiare sono state poi prese diret-tamente in considerazione dalle successive riforme in materia di licenziamenti, contratti a termine, mansioni e controlli a distanza55.

13. L’esigibilità del contratto collettivo

Se, per molti aspetti, il T.U. 10.1.2014 si è limitato a recepire discipline già contenute negli accordi interconfederali del 2011 e del 2013, particolarmente innovativa risulta, invece, la parte IV, dedicata al problema esigibilità degli impe-gni assunti con gli accordi collettivi56, solo accennata negli accordi precedenti.

Si tratta di un tema particolarmente sentito nell’attuale contesto delle relazioni industriali, caratterizzato da un periodo di forte crisi economica e dalle sempre più pressanti esigenze di competitività delle imprese che impongono il rispetto di determinati ritmi produttivi per poter restare sul mercato.

Le misure organizzative necessarie finiscono spesso per riguardare aspetti tra-dizionalmente oggetto di contrattazione, come le materie dei turni e degli orari di lavoro, e che possono richiedere una rinegoziazione di determinate condizioni

55 D.lgs. n. 23/2015; D.lgs. n. 81/2015; D.lgs. n. 151/2015. Cfr. G. Santoro Passarelli, Sulle categorie del diritto del lavoro riformate, in W.P “Massimo D’Antona”, 2016, 288, 4 ss.

56 Cfr., da ultimo, Mezzacapo-Melchiorri-Talarico-Pace-Lama, Esigibilità, sciopero e rispetto del contratto collettivo dopo il Testo unico sulla rappresentanza, in WP CSDLE “Massimo D’Antona” – Collective volumes, 2016, n. 5 e, in particolare, il contributo di Maresca, Sciopero e funzionamento del contratto collettivo: l’esigibilità. In precedenza, ID., L’esigibilità del contratto collettivo nazionale: enigma od opportunità praticabile?, in Giornale dir. lav. rel. ind., 2014, 563.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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di lavoro in senso più gravoso per i lavoratori rispetto a quanto avvenuto in precedenza.

Conseguentemente, le clausole di “esigibilità”, cercano di regolare strumenti idonei a rafforzare la vincolatività degli impegni assunti e a garantirne il rispetto, avendo come obiettivo principale, seppur non dichiarato, le cause più frequenti di mancata prestazione lavorativa: il fenomeno dell’assenteismo e la proclamazione dello sciopero.

In prima battuta è possibile affermare che la funzione di tali clausole è garan-tire che le misure organizzative concordate a tutela della redditività della produ-zione nel momento genetico del contratto collettivo non risultino vanificate nel successivo momento dell’applicazione del contratto stesso, per effetto di com-portamenti che si traducono in una mancata prestazione o in una prestazione di minor valore rispetto a quanto atteso57.

In altri termini, la clausola di esigibilità mira a garantire quel particolare “risultato contrattuale”58 raggiunto con la stipulazione del contratto collettivo da parte dell’impresa che confida nell’effettiva operatività delle soluzioni organiz-zative concordate a tutela della propria competitività.

Quale sia in concreto il risultato contrattuale da garantire con le clausole di esigibilità dipenderà dagli equilibri raggiunti dalla negoziazione in relazione ad aspetti ritenuti essenziali per la tenuta dell’accordo.

Sotto questo aspetto potranno profilarsi problemi in ordine alla redazione delle singole clausole, che non dovrebbero contenere indicazioni troppo generi-che. In caso contrario, infatti, da un lato potrebbero essere considerate invalide per l’indeterminatezza dell’oggetto; dall’altro lato, rischierebbero di non assol-vere la propria funzione per l’indeterminatezza del presupposto di operatività.

Come già accennato, la prima causa di concreta inoperatività delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa concordate è sicuramente lo sciopero.

Si pensi, per esempio, allo sciopero “tattico” proclamato nelle giornate in cui è stato concordato il ricorso al lavoro straordinario, o in quelle in cui è previsto un turno aggiuntivo.

Sotto questo aspetto, allora, comincia ad evidenziarsi una particolarità delle clausole di esigibilità riferite agli impegni assunti con il contratto collettivo: oggetto di queste clausole sono non tanto comportamenti che integrano ina-dempimenti contrattuali, ma anche e, forse, soprattutto, comportamenti relativi all’esercizio di un diritto, addirittura di rango costituzionale.

57 Cfr. Maresca, Sciopero e funzionamento del contratto collettivo: l’esigibilità, cit., par. 2.58 Cfr. ancora Maresca, op. cit. Si veda anche G. Santoro Passarelli, op. ult. cit., 126.

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Non può escludersi, però, che le clausole abbiano ad oggetto anche altre ipo-tesi di mancata prestazione lavorativa correlate all’esercizio anche di altri diritti sindacali (assemblea, referendum).

Sotto questo aspetto, il valore aggiunto delle clausole di esigibilità del contratto collettivo andrebbe ravvisato nella tutela dell’interesse dell’impresa all’esecuzione della prestazione lavorativa anche in ipotesi nelle quali la stessa può essere legittimamente sospesa, impedendo così al creditore di potersene avvalere.

Le clausole di esigibilità, in quest’ottica, marcherebbero «il passaggio dalla posizione formale del creditore che ha titolo a conseguire la prestazione a quella sostanziale di chi vede soddisfatto il proprio interesse a fruire di tale prestazione»59.

L’infungibilità di determinati obblighi di fare, tuttavia, impedisce anche alle clausole di esigibilità di garantire effettivamente la soddisfazione dell’interesse a fruire della prestazione.

Tale soddisfazione sarà assicurata soltanto indirettamente, quanto più forte sarà la funzione deterrente assunta dalle sanzioni delineate dalle clausole a fronte dei comportamenti oggetto delle stesse.

Sotto quest’ultimo aspetto, allora, un ulteriore elemento caratterizzante delle clausole di esigibilità dovrebbe essere la predisposizione di sanzioni più adeguate alla realtà delle relazioni industriali rispetto ai tradizionali rimedi civilistici.

14. Clausole di esigibilità e clausole di tregua

Il riferimento implicito allo sciopero, quale oggetto “privilegiato” delle clau-sole di esigibilità evoca immediatamente il raffronto tra dette clausole e le tradi-zionali clausole di tregua sindacale.

Come è noto, una volta affermatasi la tesi della titolarità individuale del diritto di sciopero, la clausola di tregua sindacale, da una parte, vincola esclusivamente i soggetti collettivi in ordine alla proclamazione dello sciopero, senza che da que-sto vincolo possa scaturire un divieto di sciopero per i singoli lavoratori. Restano possibili, ovviamente, scioperi proclamati da gruppi spontanei di lavoratori o da soggetti sindacali non vincolati dalla clausola di tregua.

D’altra parte, anche l’eventuale violazione della clausola di tregua non trova nei tradizionali strumenti civilistici dei rimedi idonei a garantire effettivamente l’interesse del datore di lavoro a che non vi siano rallentamenti dell’attività produttiva.

59 Maresca, Il contratto collettivo nazionale dopo il Protocollo d’intesa 31 maggio 2013, cit., 739.

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XLIV. La contrattazione collettiva

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Dalla violazione della clausola di tregua, infatti, può scaturire l’obbligo a carico delle associazioni stipulanti di risarcire i danni cagionati dalla proclama-zione dello sciopero, ma all’atto pratico provare l’esistenza e l’ammontare di tale danno è difficilissimo60.

Rispetto alle clausole di tregua, quelle di esigibilità evidenziano un oggetto da una parte più ampio e dall’altra più ristretto.

Più ristretto perché le clausole di tregua impediscono la proclamazione dello sciopero, in un arco temporale solitamente limitato, al fine di consentire il sereno svolgimento delle trattative di rinnovo del contratto collettivo; le clausole di esi-gibilità, al contrario, non mirano a contrastare, in generale, la proclamazione di qualsiasi sciopero, ma solo la proclamazione di alcuni scioperi.

Esse, infatti, mirano a colpire esclusivamente la proclamazione di quegli scio-peri che, per la tempistica e le finalità, si pongono in contrasto e rimettono in discussione equilibri contrattuali faticosamente raggiunti su temi particolarmente delicati in relazione ad interessi che le parti decidono di voler garantire e proteg-gere in maniera particolare. Quelli che, in altri termini, mirano a pregiudicare “il risultato contrattuale”, al di là dei singoli impegni reciprocamente assunti e dei diritti ed obblighi che ne derivano61.

D’altro canto, l’oggetto delle clausole di esigibilità appare più ampio rispetto a quello delle clausole di tregua sotto due profili.

In primo luogo, mentre, come già accennato, le clausole di tregua hanno ad oggetto la proclamazione dello sciopero, solitamente nell’ambito di periodi di tempo limitati, le clausole di esigibilità operano senza particolari limitazioni tem-porali (se non quello, fisiologico, della durata del contratto collettivo).

In secondo luogo, le clausole di esigibilità, non hanno riguardo soltanto alla sola proclamazione dello sciopero ma colpiscono, come già evidenziato, ogni altro fattore che può compromettere la realizzazione del particolare risultato con-trattuale che le parti intendono proteggere e garantire perché ritenuto essenziale nell’economia del contratto collettivo stipulato.

Dette clausole, dunque, possono riguardare anche comportamenti diversi dallo sciopero ma ugualmente idonei a rendere inesigibili determinati impegni (si pensi, per esempio, alla convocazione di un’assemblea che causa una mancata prestazione lavorativa in una particolare giornata della settimana in cui è stato negoziato l’obbligo di prestare lavoro straordinario).

60 Cfr. G. Santoro Passarelli, Accordo interconfederale 28 giugno, cit., 1236 e successivamente, ID., La responsabilità delle organizzazioni sindacali, in Arg. dir. lav. 2013, par. 3.

61 Cfr. Maresca, Sciopero e funzionamento del contratto collettivo, cit., che parla di «sciopero (non per) ma contro il contratto collettivo».

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Parte V. Diritto sindacale

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15. Il contenuto delle clausole di esigibilità delineato dal T.U. 10.1.2014

Il Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 intende prevenire e sanzionare «eventuali azioni di contrasto di ogni natura» finalizzate a compro-mettere l’esigibilità degli impegni assunti.

L’indicazione del Testo unico, tuttavia, è solo di principio: il compito di spe-cificare in concreto le clausole di esigibilità è rimandato ai contratti collettivi nazionali.

Un primo contenuto delle clausole di esigibilità, dunque, dovrà essere la specificazione di quelle «azioni di contrasto di ogni natura» indicate dal testo unico solo programmaticamente. Tali azioni possono integrare tanto veri e propri inadempimenti contrattuali, quanto comportamenti neutri rispetto agli obblighi assunti o, addirittura, condotte che si sostanziano nell’esercizio di un diritto, ma comunque idonee a compromettere gli equilibri essenziali che hanno consentito la conclusione del contratto collettivo62.

Garantire l’affidabilità degli impegni costituisce, del resto, “una risorsa da spendere” nell’ambito dei negoziati in vista di contropartite contrattuali63 e il valore di questa risorsa è tanto maggiore quanto più l’esigibilità è effettiva.

Il Testo unico, inoltre, evidenzia anche la finalità sanzionatoria delle clausole di esigibilità.

Emblematica, sotto questo punto di vista, è l’indicazione, da parte dello stesso Testo unico, di alcune tipologie di sanzioni, quasi a suggerirne la previsione da parte dei contratti collettivi: sanzioni pecuniarie o sanzioni che comportino la temporanea sospensione di diritti sindacali di fonte contrattuale e di ogni altra agibilità derivante dallo stesso Testo unico64.

Si tratta, non a caso, di sanzioni che operano sul piano sindacale in maniera più efficace rispetto all’eccezione di inadempimento e al risarcimento del danno.

In conclusione, il contenuto “minimo” della clausola di esigibilità riferita ad impegni assunti negli accordi collettivi sembra potersi ravvisare nell’indicazione dello specifico risultato contrattuale protetto e delle misure sanzionatorie idonee ad assolvere una funzione deterrente e preventiva di eventuali condotte lesive.

62 Cfr. Viscomi, Prime note sul Protocollo 31 maggio 2013, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 772 che diffe-renzia tra “azioni di contrasto” e “azioni in contrasto” come tra azioni “volte a contrastare” e azioni “non coerenti con” quanto stabilito nell’accordo.

63 Cfr. Treu, op. cit., 621.64 Sulla possibilità di andare oltre tale “suggerimento” e di prevedere sanzioni che incidano anche

sui diritti sindacali di fonte legale si interroga Marazza, Il Protocollo di intesa c’è, ma la volontà delle parti?, in Dir. rel. ind., 2013, 632.

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16. L’efficacia delle clausole di esigibilità contemplate dal T.U. 10.1.2014

Il T.U. 10.1.2014 stabilisce espressamente che le clausole di tregua e le clau-sole di esigibilità contenute nei contratti aziendali finalizzate a garantire l’esigibi-lità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva hanno effetto vincolante per il datore di lavoro e per i soggetti collettivi e non per i singoli lavoratori.

Si tratta di capire come vada interpretata tale clausola che, ricalcando l’ana-loga previsione contenuta nell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, apparentemente, «aderisce senza riserve alla tesi che il diritto di sciopero è a titolarità individuale»65.

Non vi è dubbio, pertanto, che le clausole di esigibilità, come quelle di tregua, non potranno prevedere effetti vincolanti (id est: sanzioni) a carico dei lavoratori.

Sotto questo punto di vista anche le clausole di esigibilità evidenziano una sorta di scommessa delle organizzazioni sindacali sulla propria capacità di con-trollo e di guida della generalità dei dipendenti dell’azienda, anche al di là del vincolo associativo dei singoli lavoratori66.

Non è un caso che le sanzioni suggerite dal testo unico siano tutte riferite alle prerogative dei soggetti collettivi.

Restano aperti due problemi.In primo luogo, la precisazione in ordine alla vincolatività per i soli soggetti

collettivi è espressamente effettuata per le clausole contenute nei contratti azien-dali, mentre nulla si dice in ordine alle clausole eventualmente previste nei con-tratti nazionali.

C’è da chiedersi, dunque, se una clausola di esigibilità contenuta in un con-tratto nazionale non possa legittimamente stabilire delle sanzioni pecuniarie a carico del singolo lavoratore che ponga in essere un comportamento idoneo a vanificare il risultato contrattuale protetto.

La soluzione sembra essere negativa laddove si tratti dell’esercizio di diritti previsti dalla legge o addirittura dalla Costituzione, come quello di sciopero. Però potrebbe essere, in linea teorica, positiva in altri casi.

È, tuttavia, difficile ipotizzare comportamenti individuali sanzionabili che non costituiscano di per sé inadempimenti contrattuali punibili disciplinarmente.

Si pensi, ad esempio, al fenomeno dell’assenteismo: o si contesta la veridi-cità della malattia o dell’eventuale altra causa giustificativa dell’assenza oppure l’esercizio di un diritto previsto da una norma di legge non potrà in alcun caso

65 Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Accordo interconfederale, cit., 1236 nonché, per una ricostruzione delle tesi tradizionalmente sostenute in ordine al dovere di pace sindacale, alle clausole di tregua e ai soggetti tenuti a rispettarle, ID., La responsabilità delle organizzazioni sindacali, cit.

66 S. Liebman, Sistema sindacale “di fatto”, efficacia del contratto collettivo aziendale e principio di effettività, in Arg. dir. lav. 2011, 1284.

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comportare sanzioni a carico del lavoratore, neppure se l’assenza di verifica, per ipotesi, nella giornata in cui è stato concordato il ricorso al lavoro straordinario.

Se, viceversa, la malattia risultasse fittizia, tale comportamento integrerebbe di per sé un illecito disciplinare, a prescindere dalla giornata in cui l’assenza si è verificata.

I comportamenti individuali “neutri” o che integrano l’esercizio di un diritto sembrano limitarti, probabilmente, al godimento di permessi di fonte collettiva o, se si ammette la possibilità di un accordo collettivo di incidere su diritti rico-nosciuti dalla legge, a quei permessi che il datore di lavoro deve concedere senza poterne impedire il godimento ma finalizzati ad attività comunque differibili (es. donazione del sangue).

In effetti, in quest’ultimo caso, l’effetto della clausola di esigibilità non pre-cluderebbe in assoluto il diritto a donare il sangue: il lavoratore potrà farlo in una qualunque giornata diversa da quella in cui, per esempio, è programmato lo straordinario o il turno aggiuntivo.

Si potrebbe rilevare, inoltre, che se al livello aziendale la specificazione in ordine alla non vincolatività della clausola di esigibilità nei confronti dei singoli lavoratori è opportuna, per la minor forza che il sindacato può avere in sede di contrattazione aziendale in periodi di crisi economica, il discorso potrebbe essere diverso al livello nazionale, dove tale debolezza contrattuale si attenua.

In secondo luogo, occorre domandarsi se il riferimento ai singoli lavoratori non escluda, invece, i gruppi spontanei che dovessero proclamare uno sciopero.

Tali gruppi, infatti, pur privi del requisito della stabilità sono comunque sog-getti collettivi.

La risposta sembra essere comunque negativa, nel senso che il gruppo sponta-neo è privo di una propria soggettività formalizzata, distinta da quella che deriva dalla somma dei singoli componenti.

Sotto questo punto di vista le sanzioni a carico del gruppo che ha proclamato lo sciopero finirebbero inevitabilmente per confondersi con quelle applicate ai singoli componenti che esercitano il relativo diritto.

La verità è che ogni discorso sulla vincolatività nei confronti dei singoli lavo-ratori delle clausole di tregua, come di quelle di esigibilità quando hanno ad oggetto lo sciopero, si scontra con la titolarità individuale del diritto di sciopero.

E quand’anche si ammettesse la disponibilità di tale diritto, «non è assoluta-mente agevole desumere dall’iscrizione o dalla sottoscrizione della clausola di rinvio, la volontà espressa di ciascun lavoratore di non scioperare in assenza della proclamazione dello sciopero se il lavoratore è per definizione l’unico titolare del diritto di sciopero». Tra l’altro, «per stabilire l’efficacia di queste clausole, e cioè se vincolano anche i lavoratori, bisognerà avere riguardo non solo all’intenzione delle parti stipulanti, ma anche al comportamento posteriore alla conclusione del

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contratto da parte dei singoli lavoratori. E una simile indagine non è certamente agevole»67.

17. Le clausole transitorie e finali dal T.U. 10.1.2014

I contratti nazionali fino ad oggi intervenuti non hanno dimostrato una par-ticolare attenzione al tema dell’esigibilità, non implementando quanto previsto dal Testo unico in materia, forse anche per la difficoltà di raggiungere accordi sindacali su materie così delicate.

Di questa difficoltà si è fatto carico, però, lo stesso testo unico, nelle clausole transitorie e finali, ai sensi delle quali «in attesa che i contratti nazionali defini-scano la materia», eventuali comportamenti non conformi agli accordi saranno oggetto di una apposita procedura arbitrale da svolgersi al livello confederale.

Nella stessa ottica viene, poi, istituita una “Commissione interconfederale permanente”, con lo scopo di favorire e monitorare l’attuazione del testo unico e di garantirne l’esigibilità.

A tal fine la commissione sarà dotata di “poteri di intervento” e potrà definire ogni controversia anche attraverso lo svolgimento di un giudizio arbitrale, «fatte salve le clausole che disciplinano l’esigibilità per i singoli contratti collettivi nazionali di categoria».

Il che significa che l’esigibilità, laddove tali clausole non dovessero essere inserite nei contratti nazionali, resterà affidata ai poteri di intervento della com-missione permanente, sempre che anche quest’ultima entri a regime.

18. La contrattazione collettiva del gruppo FIAT

Come già accennato, le regole in materia di contrattazione dettate dall’accordo del 28 giugno 2011 e dal Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 non sono di appli-cazione generale ma riguardano solo il settore industriale, sebbene accordi ana-loghi siano stati sottoscritti anche in altri settori.

Nell’ambito del settore industriale, tuttavia, come già accennato, la postilla del 21 settembre 2011 è stata presa a pretesto dalla FIAT per recedere da Feder-meccanica ed uscire, quindi, dal sistema confindustriale.

67 Cfr. G. Santoro Passarelli, La responsabilità delle organizzazioni sindacali, cit., par. 3. Cfr. anche G. Giugni, Diritto sindacale, cit., che quanto agli effetti delle clausole, non esclude a priori che esse possano vincolare anche i singoli, affermando che è una questione di interpretazione, anche se di solito dette clausole impegnano solo i sindacati stipulanti e non i singoli lavoratori.

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La postilla, infatti, è stata considerata da FIAT espressiva di una volontà di non applicare in concreto l’art. 8, snaturando l’impianto previsto dalla nuova legge e limitando fortemente la flessibilità gestionale che la stessa consente68.

A seguito del recesso da Federmeccanica FIAT ha dato luogo ad una propria peculiare contrattazione collettiva, che ha prodotto, da ultimo, il contratto collettivo specifico di lavoro del 7 luglio 201569.

Senza entrare nel dettaglio dell’articolata regolamentazione prevista, in que-sta sede è opportuno segnalare:

– la particolare disciplina delle r.s.a.;– il diverso atteggiamento delle clausole di tregua rispetto ai principi ispiratori

del testo unico– la particolare disciplina delle mansioni e degli inquadramenti.Con riguardo alle modalità di costituzione delle r.s.a., l’art. 1 stabilisce che,

ai sensi dell’art. 19 st. lav., le rsa possano essere costituite dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori firmatarie del contratto stesso.

Questa clausola crea due problemi: da una parte, l’art. 19 attribuisce ai lavo-ratori l’iniziativa per la costituzione delle r.s.a.; dall’altra parte, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013, l’aver firmato il contratto collettivo non costituisce più l’unico requisito per essere ammessi alla titolarità dei diritti sinda-cali in azienda, in quanto può essere sufficiente aver “trattato”.

Se interpretata alla lettera, pertanto, la clausola potrebbe sollevare dubbi di compatibilità con l’art. 19 st. lav., di cui invece si professa attuativa70.

È previsto, inoltre, all’art. 1-bis, l’istituzione in ogni unità produttiva del Consiglio delle r.s.a., unico soggetto abilitato a discutere e a verificare con la direzione aziendale le norme contrattuali. Lo stesso Consiglio, inoltre, è l’unico soggetto abilitato ad attivare, per il tramite delle procedure di raffreddamento, misure di autotutela sindacale.

L’obiettivo è quello di costituire un primo filtro alla proclamazione dello scio-pero, non più rimessa alla singola r.s.a. ma assoggettata alla valutazione di un organismo più ampio, che decide a maggioranza.

Con riferimento all’esigibilità degli accordi, il contratto FIAT sembra assu-mere una posizione più rigida rispetto al T.U. 10.1.2014.

Mentre la clausola 6 dell’accordo interconfederale esclude espressamente che i contratti aziendali possano prevedere clausole di tregua vincolanti per i singoli lavoratori, il combinato disposto delle clausole 9 e 12 del contratto FIAT sembra

68 Cfr. la lettera di Marchionne ad Emma Marcegaglia del 3 ottobre 2011.69 Sulla prima contrattazione del gruppo FIAT cfr., in generale, De Luca Tamajo, I quattro accordi

collettivi del gruppo Fiat, una prima ricognizione, in Riv. it. dir. lav., 2011, 113.70 Cfr., problematicamente, G. Santoro Passarelli, Diritto dei lavori, cit., 130.

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attribuire rilievo disciplinare ai comportamenti anche individuali dei lavoratori volti a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri previsti dallo stesso contratto.

Tale interpretazione era stata autorevolmente smentita da una dottrina parti-colarmente addentro alla vicenda già con riferimento ai primi testi contrattuali, chiarendo che le clausole incriminate non sono volte a sanzionare l’esercizio del diritto di sciopero ma si limitano a punire comportamenti ostruzionistici o ina-dempimenti dei lavoratori71.

Qualche dubbio potrebbe, però, visto che detti comportamenti non hanno biso-gno di apposite clausole contrattuali che ne sanciscano la rilevanza disciplinare72.

Si deve registrare, però, nel contratto del 7 luglio 2015, un ulteriore riferimento alla responsabilità dei “singoli r.s.a.”, quasi a costituire una peculiare ipotesi di responsabilità individuale del soggetto che, con il suo voto, ha contribuito ad una delibera del Consiglio delle RSA in violazione degli impegni contrattuali.

Al di là del tenore letterale della clausola, tuttavia, sembra incoerente pre-vedere sanzioni disciplinari in capo al singolo componente dell’organo quando lo stesso contratto FIAT prevede, in caso di reiterate violazioni, una sanzione “collegiale” quale la decadenza del Consiglio, insieme a quella di tutte le r.s.a.73.

Un ultimo accenno merita la nuova disciplina prevista dal contratto FIAT in materia di mansioni ed inquadramenti, successiva al nuovo testo dell’art. 2103 c.c. che, come è noto, dopo la modifica operata dal d.lgs. n. 81 del 2015, sembra aver abbandonato la nozione di equivalenza ai fini del legittimo esercizio dello ius variandi.

Ebbene, il contratto FIAT prevede, a regime, un inqudramento solo su tre aree professionali ma, per contro, autolimita il legittimo esercizio dello ius variandi orizzontale al rispetto dell’equivalenza sostanziale tra le mansioni74, operando, sotto questo punto di vista, una scelta conservativa in controtendenza rispetto al nuovo testo dell’art. 2103 c.c.

19. Rappresentatività e contrattazione: problemi aperti

Alla luce dei contenuti dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo 31 maggio 2013, oggi confluiti del T.U. 10.1.2014, è opportuno

71 De Luca Tamajo, Accordo di Pomigliano e criticità del sistema di relazioni industriali italiane, in Riv. it. dir. lav., 2010, 807.

72 Cfr. G. Santoro Passarelli, op. ult. cit., 131; Nogler, Ripensare il diritto di sciopero, in Giornale dir. lav. rel. ind., 2012, 2, 325.

73 Cfr. G. Santoro Passarelli, op. ult. cit., 132.74 Titolo III, art. 6 bis, che fa salvo il «principio giurisprudenziale di compatibilità professionale».

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soffermarsi brevemente sui nuovi rapporti tra rappresentatività e contrattazione collettiva, evidenziando alcuni problemi aperti.

In primo luogo le parti sociali, mutando orientamento rispetto al Protocollo del 1993, ribadiscono la volontà di autoregolare la rappresentatività sinda-cale e la contrattazione collettiva, senza chiamare il legislatore a farsene cari-co75. Serpeggiano, tuttavia, dubbi sulla reale capacità delle parti di assumere in proprio questo compito, soprattutto con riferimento ai problemi connessi con la gestione del conflitto.

Emblematica, sotto questo punto di vista, sono l’inattuazione dei meccanismi di misurazione della rappresentatività sindacale, la scarsa attenzione dimostrata dalla contrattazione nazionale ai problemi dell’esigibilità e il sempre acceso dibattito sulla necessità di un intervento legislativo quantomeno “di sostegno” in materia sciopero.

Non è chiaro, ad esempio, se il regolamento sulle modalità di definizione delle piatta-forme contrattuali e delle delegazioni trattanti debba essere unico per tutte le Federazioni o se, al contrario, ogni Federazione stabilirà il proprio.

Il testo dell’Accordo non fornisce indicazioni decisive: si parla al singolare di “proprio regolamento” ma tale espressione è riferita alla pluralità delle Federazioni e c’è un riferi-mento al necessario rispetto della libertà e dell’autonomia di ogni organizzazione.

La soluzione di questo problema incide anche sull’effettiva rilevanza della delegazione trattante, per come sarà individuata sulla base dello stesso regolamento.

Se questo fosse unitario, infatti, anche la delegazione trattante sarebbe unitaria, con una separazione soggettiva forte rispetto alle organizzazioni chiamate poi singolarmente a sot-toscrivere il contratto ed in una logica che, secondo un’autorevole dottrina, farebbe pensare ad un’attuazione “per accordo” dell’art. 39, comma 4, Cost.

Se, al contrario, ogni Federazione predisporrà un proprio regolamento l’innovazione apportata dal Protocollo 31 Maggio 2013 sotto questo aspetto sarebbe molto meno impor-tante, limitandosi di fatto a formalizzare le modalità di individuazione delle persone fisiche chiamate a negoziare per ogni singolo sindacato, senza sostanziali cambiamenti rispetto alle prassi fino ad oggi seguite.

Come, pure, tutte da definire sono le modalità di consultazione certificata dei lavo-ratori, rimesse alle “categorie”, senza ulteriori specificazioni. Quali soggetti, in concreto, sono chiamati ad esprimersi per le “categorie”? Le solo Federazioni sindacali? O anche le associazioni datoriali?

75 Cfr. F. Scarpelli, Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo unitario di giugno e le discu-tibili ingerenze del legislatore, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, n. 127, che rileva come il Protocollo del 1993 auspicasse «un intervento legislativo finalizzato, tra l’altro, ad una generalizzazione dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali che siano espressione della maggioranza dei lavoratori» e che il Governo, da parte sua, si era impegnato «ad emanare un apposito provvedimento legislativo inteso a garantire l’efficacia erga omnes nei settori produttivi dove essa appaia necessaria al fine di normalizzare le condizioni concorrenziali delle aziende».

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La definizione pattizia di un meccanismo di misurazione matematica della rappre-sentatività sindacale ai fini della contrattazione nazionale, inoltre, induce ad interrogarsi sulla possibile emersione di un nuovo concetto generale di maggiore rappresentatività anch’esso ancorato alle soglia del 5% o, ancora più oltre, se gli stessi dati numerici possano contribuire a chiarire il controverso concetto di maggiore rappresentatività comparata.

Resta ancora irrisolto, infine, il problema dei rapporti tra contratti collettivi di diverso livello e della mancata efficacia reale delle clausole dei contratti di livello superiore rispetto a quelli di livello inferiore76.

Non sembra possibile, infatti, realizzare un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi in grado di dare certezze non solo riguardo ai soggetti, ai livelli, ai tempi e ai contenuti della contrattazione collettiva ma anche sull’affidabilità e il rispetto delle regole stabilite, se l’eventuale violazione di tali regole, pattiziamente definite, finisce per non essere adeguatamente sanzionata sul piano dell’ordinamento giuridico.

Le sanzioni “endosindacali”, infatti, ammesso che siano applicate, non sembrano ido-nee a realizzare un obiettivo così ambizioso, rispetto al quale una disciplina legale sembra imprescindibile.

Sotto questo punto di vista la contrattazione collettiva del gruppo FIAT, nonostante le incertezze interpretative relative al combinato disposto delle clausole 9 e 12 (vedi paragrafo precedente), ha il merito di aver posto l’attenzione sulle sanzioni applicabili, predetermi-nando le conseguenze di eventuali violazioni degli impegni assunti da parte delle associa-zioni sindacali e dalla rappresentanze sindacali aziendali, aspetto, questo, generalmente trascurato da tutti i contratti nazionali.

Come, pure, ancora aperto è il problema della corretta individuazione dei soggetti tenuti a rispettare quanto stabilito dal testo unico.

Come si è visto questi accordi impegnano anche soggetti diversi da quelli tecnicamente firmatari prevedendo adempimenti da parte delle Federazioni e sta-bilendo contenuti dei contratti nazionali.

Come già accennato, però, secondo la prima giurisprudenza, le clausole degli accordi interconfederali vincolerebbero esclusivamente le confederazioni firma-tarie e non direttamente le singole federazioni alle stesse aderenti.

Questo significa che in caso di violazioni degli impegni che il Testo unico pone in capo alle Federazioni dovrebbero essere le Confederazioni stesse chia-mate a rispondere per il fatto del terzo gli unici soggetti reciprocamente legitti-mati attivi e passivi in un’eventuale controversia volta al risarcimento dei danni derivanti dalla violazione.

Questa conclusione, però, in termini più generali, rischia di far saltare la tenuta di tutto il sistema di contrattazione e dei meccanismi di gestione del dis-senso delineati ai vari livelli.

76 Cfr. Schiavetti, Capitolo XLIII, in questo Trattato.

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Secondo questa impostazione, ad esempio, la federazione rappresentativa non avrebbe il diritto ad essere convocata al tavolo delle trattative; l’apertura dei negoziati non dovrebbe necessariamente avvenire sulla base della piattaforma maggioritaria; i contratti nazionali potrebbero non prevedere clausole e/o procedure di raffreddamento volte a garantire l’esi-gibilità degli impegni assunti e le conseguenze di eventuali inadempimenti, fino ad arrivare ad effetti ancora più dirompenti: ad esempio il contratto nazionale maggioritario continue-rebbe a non essere efficace nei confronti dei lavoratori iscritti alla Federazione dissenziente non assoggettatasi alla procedura, anche se questa è formalmente aderente ad una delle confederazioni firmatarie del protocollo. E lo stesso potrebbe dirsi, mutatis mutandis, per il contratto aziendale.

In altri termini, la sentenza omette di considerare che la vincolatività diretta delle clau-sole degli accordi interconfederali nei confronti delle singole federazioni potrebbe derivare dal vincolo associativo sulla base degli statuti delle stesse confederazioni e associazioni sindacali.

In effetti la sentenza introduce questa argomentazione, ma poi, forse sulla base della documentazione depositata, non prosegue nel suo esame e non arriva ad evidenziare un tale vincolo.

Un’analisi anche superficiale degli statuti, invece, avrebbe potuto probabilmente evi-denziare un rapporto gerarchico tra le politiche confederali e quelle della federazione, ido-neo a teorizzare la diretta efficaci nei confronti delle federazioni delle clausole dell’Accordo interconfederale che pongono impegni ed adempimenti a carico delle stesse77.

BIBLIOGRAFIA

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77 La questione andrebbe maggiormente approfondita, ma emblematico, sotto questo punto di vista, è, ad esempio, l’art. 36 dello Statuto FIOM, ai sensi del quale lo Statuto della FIOM è subordinato a quello della CGIL. D’altra parte, quest’ultimo, ad esempio, stabilisce il dovere degli iscritti alla CGIL di attenersi alle norme dello statuto e a quelle deliberate dagli organismi dirigenti (art. 5), e considera incompatibili con l’appartenenza alla CGIL iniziative di singoli o di gruppi, i quali, mentre ribadiscono la loro adesione formale alla confederazione, promuovono la promuovono azioni organizzate che, di fronte alle controparti del sindacato, rompono l’unità della CGIL come soggetto contrattuale (art. 7).

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XLIV. La contrattazione collettiva

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Parte V. Diritto sindacale

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