Conto alla rovescia

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racconti sbarazzini...

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ISBN 978-88-96171-02-8

€ 11,50

... Ma chi l’avrà poi inventato il lavoro dell’animatore di contatto? Non bastava l’animatore di tennis? quello dello sci nautico? e quello dei balli latino americani? No, ci voleva proprio lui, quello di contatto; e lo doveva proprio fare il mio Checco...

ISBN 978-88-96171-06-6

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ia ALESSANDRA CATTORI è nata nel 1974 a Locarno (nella Svizzera Italiana). Dopo gli studi universitari è stata animatrice in numerosi villaggi turistici sparsi per il mondo. Tornata in patria ha lavorato per qualche tempo nel sociale e poi in radio e televisioni private. Attualmente collabora con la RTSI (Radio televisione svizzera di lingua italiana). Ha pubblicato alcuni racconti per ragazzi in varie antologie. Questo è il suo primo libro.

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MENO 128 GIORNI / lunedi

Sammy, Pippo, Kuki, Seo, Nathy, Ago, Cerbo. Forse se i miei ami-ci avessero avuto dei nomi un po’ più normali, anche la mia vita sa-rebbe stata leggermente meno sconclusionata. Eppure il mio nome è classico, importante e antico anche: Alessandra. Alessandra deriva dal greco Alexandrus e significa la protettrice degli uomini (ma non sa-rebbe forse meglio essere meno generosi e proteggere prima se stes-si? magari proprio dagli uomini?). A ogni modo i miei amici inve-ce sembrano tutti usciti da un cartone animato giapponese tradot-to prima in inglese e poi adattato ai nostri schermi; almeno per quel che riguarda il nome.

In questa situazione non potevo che trovarmi un ragazzo, o come dice la nonna di lui, un fidanzato, con un nome interessante, autore-vole e storico: Checco. Anche lui un po’ manga lo sembra, con quegli occhioni azzurri che ruotano sempre alla ricerca di qualcosa - e non di “qualcuna”, come i maligni potrebbero insinuare - da scoprire, stu-diare e analizzare.

E chissà ora dove stanno scrutando quelle meraviglie? Mi piacerebbe saperlo visto che ci sono solamente 10416,6 miseri

chilometri che ci separano attualmente; e questi diecimilioniquattro-centosedicimilaseicento metri ci separeranno ancora per alcune ore, precisamente tremilanovantasei. Per chi non fosse proprio un genio in matematica e per non accollarvi il disturbo di andare a cercare la calcolatrice nei vecchi scatoloni della scuola impilati in cantina, vi dirò subito che corrispondono esattamente a quattro mesi, nove giorni e tre ore… magari anche qualche minuto in più.

Adesso è mattina, il caffè sta rumorosamente risalendo la canna del-la moca e il suo aroma invade prepotentemente il mio irregolare mono-locale. Non ho mai bevuto caffè, io. Mai fino a poche settimane fa; ora

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ecco questo nuovo vizio fare capolino nella mia pacifica quotidianità. Chissà da dove è sbucato? Forse questo profumo mi ricorda proprio il Checco, che se ne sta su una spaziosa, lucente, dorata e maledettissi-ma spiaggia messicana! Ahhrghh! Ma vi rendete conto? Io qui, a tran-gugiare caffè, che in verità sembra più zucchero condito di caffè perché detesto i gusti amari; e lui là, sotto una verde palma a fare CONTAT-TO. Perché proprio questo è andato a fare: contatto. Già dalla parola è tutto un programma, un bel programmino…

“Ma figurati mon amour, lo sai che non hai nulla da temere, è lavo-ro”. Lavoro, lavoro… Su una tiepida spiaggia assolata, a intrattenere le povere turiste spaesate, che sculettano con i loro mini-bikini iride-scenti e che magari si danno pure al topless. Lui dice che si deve dedi-care in ugual misura ai due sessi, ma è ancora da verificare, e poi, come dice lo psicologo della mia rivista femminile preferita, il maschio è cac-ciatore. Per cui: dedicarsi alle turiste, farle ridere, divertire e perfino farle giocare a bocce.

Ma chi l’avrà poi inventato il lavoro dell’animatore di contatto? Non bastava l’animatore del tennis? quello dello sci nautico? e quello dei balli latino americani? No, ci voleva proprio lui, quello di contatto; e lo doveva proprio fare il mio Checco.

Volevo andarci anche io, con lui, in Messico. Se nell’ultimo decen-nio non mi fossi rimpinzata di biscotti e patatine, avrei potuto fare ad-dirittura la coreografa. Sono sempre stata una brava ballerina; forse mi iscriverò a una scuola di danza moderna.

Comunque non ci posso andare, io, in Messico. Sono diventata una persona impegnata, mi sento quasi un’adulta; tutto a un tratto mi ri-trovo con un appartamento tutto mio, una macchina tutta mia e dul-cis in fundo addirittura un lavoro. Non tutto mio, purtroppo; ho dei su-periori e ricevere ordini non è proprio la mia passione. Mi piacerebbe fare un lavoro indipendente. Ho molti hobby, faccio dei bei lavoret-ti con la pasta di sale e sono un fenomeno con i palloncini snodabili, quelli che in un baleno si trasformano in un simpatico cagnolino o in un innocuo coccodrillo.

Forse la vita dovrei proprio prenderla così, alla leggera, facendo solo le cose che mi piacciono e quando ne ho voglia. Senza pensieri sof-focanti sui doveri e sulle responsabilità; e chi lo dice poi che la vita deve essere sforzo e sacrificio? (A parte mio padre naturalmente, lui lo ripe-te in continuazione, come un disco rotto).

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Potrei andare nelle piazze, vestita in modo stravagante, piazzare ai miei piedi un bel cappello a bombetta di quelli che portavano i nonni, e creare tante figure colorate. La mia preferita è il fiore ma sono neces-sari due palloncini e allora non so se il santo vale la candela. Insomma: come lo sbarco il lunario? Anche se non credo che sarebbe proprio il palloncino del gambo a mandarmi definitivamente in rovina.

È dura, se facessi solo quello che amo, probabilmente non riuscirei più a fare una delle cose che mi piace di più: gozzovigliare! Scordarsi le mangiate al ristorante senza chieder i soldi a papà. Ma sarà meglio rinunciare al ristorante o sorbirsi un ennesima predica sulla vita e sul diventare adulti?

Sarebbe bello però, vivere senza pensieri, ma proprio senza pensie-ro alcuno, neanche quello di farsi la ceretta o spalmarsi la crema an-tirughe attorno agli occhi. Vivere alla giornata, magari su un’isoletta sperduta a raccogliere noci di cocco, con le ascelle non depilate poten-do così dimenticare le atroci torture da Silk-epil. A ogni modo una via di mezzo tra i doveri e i piaceri bisognerebbe trovarla, una via di mez-zo che penda però vertiginosamente verso i piaceri. Ma quando ti alzi la mattina con quella sensazione di oddio mi aspettano 8 ore infernali incollata su una sedia (evviva il ristagno di liquidi nelle cosce), con gli oc-chi in fiamme dalle radiazioni dello schermo del PC (dicono che faccia così male), con il collo indolenzito dal tenere la cornetta del telefono con la spal-la e con le cervicali dure e rigide perché tutto lo stress va a finire proprio lì, allora comincio ad avere qualche dubbio sulla pendenza della mia via di mezzo.

Chissà attualmente come pende quella del Checco? Mi risulta dif-ficile immaginare che si alzi al mattino disperato perché deve infilar-si il costume da bagno, le infradito ultimo grido e il modello più “in” degli occhiali da spiaggia di Ralph Lauren. É anche vero che non biso-gna giudicare senza conoscere e senza vedere. Forse chiederò di anti-ciparmi le ferie autunnali in modo da poter fare uno studio scientifi-co sull’argomento. Non sarebbe uno spiare e controllare il mio Chec-co, sarebbe una ricerca approfondita sulle difficoltà e sofferenze che incontrano gli animatori di contatto nello svolgimento del loro osti-co lavoro. Anzi, perché chiedere le ferie? Potrei addirittura pretendere che la ditta per cui lavoro mi paghi il viaggio e il soggiorno in Messico; potrei pubblicare i risultati della mia analisi e la ditta guadagnerebbe fama internazionale come impresa impegnata nello studio delle diffi-

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coltà incontrate dalle nuove generazioni all’opera in settori lavorati-vi in via di sviluppo. Sarebbe una bella pubblicità, no? Forse però a una ditta che si occupa di costruzione di lenti a contatto questo non inte-ressa in modo particolare.

Penso che mi toccherà aspettare quelle famose tremilaottocento-diciannove ore e poi chiedere direttamente al Checco la sua opinio-ne sull’ argomento; a questo punto posso già sottrarre qualche minu-to a questa cifra. Non ne sono sicura, ma credo che sopravvivrò fino a quel momento. Non vedo l’ora. Sarà bellissimo: mi metterò il mio ve-stito rosso e rosa (ultima tendenza), quello che arriva appena sotto il ginocchio e ha una scollatura asimmetrica che valorizza appieno il mio decoltè; lui scenderà dall’aereo tutto abbronzato, con i capelli schiari-ti dal sole e dal sale dell’oceano, e con un sorriso abbagliante mi cor-rerà incontro con gli occhi lucidi dalla gioia di riabbracciarmi e mi dirà che gli sono mancata da morire e che non sa neanche lui come ha fat-to a resistere alla nostra lontananza e che non succederà mai più e che sono l’unica donna della sua vita e che senza di me non vale la pena di vivere e mi chiederà di sposarlo. Ok! Forse ho esagerato un attimo, co-munque sarà sicuramente contento di riabbracciarmi e io sarò sfavil-lante nel mio vestito rosso e rosa dato che ho deciso di cominciare la nuova dieta a zone, ultima moda alimentare degli States.

Accidenti, tutto questo ragionare e filosofeggiare sui viaggi, sulla vita e sull’amore mi ha fatto perdere la cognizione del tempo. Il caffè si è freddato e arriverò in ritardo al lavoro; ma che importa? Ho deciso che deve essere più importante godersi la vita, lasciare perdere le inuti-li preoccupazioni sulle inezie di tutti i giorni; voglio vivere come in un sogno, senza doveri e senza impegni noiosi come le code alla posta e le pulizie del giovedì. Vivrò nel mio mondo parallelo, dove tutto è gioia, amore e divertimento, dove non esistono le preoccupazioni e dove i fi-danzati sono fedeli e premurosi per natura, dove le amiche del cuore non sono mai più magre e in forma di te e dove il tuo cane non sporca l’appartamento neppure quando è cucciolo. Questa vita sarà fantasti-ca e tutto ciò che farò sarà splendido e splendente!… a proposito: non devo dimenticare di comprare il detergente per i vetri.