CONTAMINAZIONE CHIMICA NEL MEDITERRANEO: IL CASO DEL ...

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CONTAMINAZIONE CHIMICA NEL MEDITERRANEO: IL CASO DEL PESCESPADA

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Pubblicato ad agosto 2006 dal WWF-World Wide Fund for Nature (già World Wide Fund) Italia. Ogni riproduzione, in parte o in toto, di questa pubblicazione deve riportare il titolo e i riconoscimenti e il succitato editore come proprietario dei diritti di copyright. © testo 2006 WWF Italia.
Tutti i diritti riservati.
Testo: Eva Alessi, Gianluca Tognon, Michela Sinesi, Cristiana Guerranti, Guido Perra e Silvano Focardi
Traduzione dall’inglese: Patrizia Zaratti
Editing: Eva Alessi e Patrizia Zaratti
Layout: Brettania L. Walker e Patrizia Zaratti
Ringraziamenti: un sentito grazie a Ninja Reineke per la sua valida collaborazione, a Patrizia Zaratti per il suo tempo e la sua competenza, ad Antonio di Natale per gli approfondimenti scientifici sul pesce spada, a Maria Cristina
Fossi per i preziosi contributi tecnico-scientifici nel campo dell'ecotossicologia dei grandi pelagici e a molti altri ancora che hanno contribuito alla realizzazione di questo rapporto.
Foto:
Prima di copertina (da in alto a sinistra): Posidonia (Posidonia oceanica), pianta endemica del Mediterraneo: © WWF-Canon / Michel Gunther
Tramonto a Isola Ruja, Sardegna: © Patrizia Zaratti Tartaruga marina comune (Caretta caretta): © WWF-Canon / Michel Gunther
Su Sirboni, Sardegna: © Patrizia Zaratti Murena (Murena helena): © Roberto Aquilano
Cormorani (Phalacrocorax carbo): © WWF-Canon / Frode Johansen Pesce spada (Xiphias gladius): © Photosud
Stella di mare rossa (Echinaster sepositus): © Roberto Aquilano Tursiope (Tursiops truncatus): © WWF-Canon / Chris M. Bahr
Spiaggia sabbiosa della costa mediterranea: © WWF-Canon / Michel Gunther Gabbiano zampe gialle (Larus cachinnans): © WWF-Canon / Michel Gunther Spiaggia sabbiosa della costa mediterranea: © WWF-Canon / Michel Gunther Spiaggia sabbiosa della costa mediterranea: © WWF-Canon / Michel Gunther
Ventotene, fondale roccioso: © Roberto Aquilano Ventotene, grotta costiera: © Roberto Aquilano
Barili di rifiuti tossici: ©WWF-Canon / Donald Miller
All’interno del rapporto: Pag. 6 (da in lato a sinistra): banco di Barracuda (Sphyraena helleri) ©WWF-Canon / Cat Holloway; Anemone di
mare (Protanthea simplex) ©WWF-Canon / Erling Svense; Squalo martello (Sphyrna zygaena) © WWF-Canon / Cat Holloway; piccolo di Tartaruga verde (Chelonia mydas) © WWF-Canon / Roger Hooper; Squalo bianco
(Carcharodon carcharias) © WWF-Canon / Jêrome Mallefet; polipi di corallo © WWF-Canon / Sylvia Earle; Manta (Manta birostris) © WWF-Canon / Cat Holloway
Pag. 12: pesce spada (Xiphias gladius) disegno di Fulco Pratesi Pag. 30: Gabbiano reale (Larus argentatus): © WWF-Canon / Anton Vorauer
Quarta di copertina:
Contaminazione chimica nel Mediterraneo: il caso del pescespada
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INDICE
SOMMARIO ESECUTIVO................................................................................................................. 4
INTRODUZIONE............................................................................................................................... 7
IL MAR MEDITERRANEO (ITALIA) E LA MINACCIA CHIMICA: I DISTRUTTORI ENDOCRINI
NEL PESCE SPADA..........................................................................................................................12
Presenza di contaminanti nel pesce spada....................................................................................... 14
Rischi e benefici del consumo di pesce: un problema per la salute dell’uomo e dell’ambiente..... 21
Lo studio sul pesce spada................................................................................................................ 22
Introduzione .................................................................................................................................... 30
I composti organoclorurati in cormorani e gabbiani...............................................................................35
I composti organoclorurati negli invertebrati ........................................................................................35
Fauna selvatica del Mar Mediterraneo e composti perfluorurati.................................................... 36
Fauna selvatica e ritardanti di fiamma bromurati ........................................................................... 37
Considerazioni finali ....................................................................................................................... 38
Il WWF chiede una legislazione più forte in materia di sostanze chimiche ................................... 39
BIBLIOGRAFIA (PARTE I e II) ................................................................................................... 41
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Negli ultimi anni sono andate sempre più aumentando la consapevolezza e la percezione delle crescenti e
numerose minacce ambientali legate alle attività umane. Tra queste, una riguarda i potenziali danni associati
alla mancanza di una corretta gestione delle sostanze chimiche tossiche di sintesi. Tali sostanze vengono
immesse nell’ambiente attraverso moltissime vie, fra cui il rilascio durante i processi di produzione, gli
effluenti industriali, le applicazioni dirette, lo smaltimento, il trasporto e una moltitudine di impieghi diversi.
Di conseguenza, la contaminazione ad opera degli inquinanti organici persistenti (POP) si è diffusa in tutto il
mondo, giungendo fino agli esseri umani, alla fauna e flora selvatiche. Gli ecosistemi marini, tra cui il Mar
Mediterraneo, rappresentano i recettori finali in cui si concentrano la maggior parte delle sostanze chimiche
inquinanti.
La regione del Mediterraneo consiste in un complesso scenario geografico, ecologico, culturale e socio-
politico. A causa del limitato ricambio idrico, il Mar Mediterraneo risulta estremamente sensibile
all’accumulo di sostanze inquinanti che possono portare ad una progressiva degradazione dell’ecosistema
marino. I livelli chimici di molte sostanze, tra cui i ritardanti di fiamma bromurati e i composti perfluorurati,
sono in aumento nella catena alimentare marina e se ne prevede il loro continuo incremento.
Questo nuovo rapporto del WWF, diviso in due parti, intende dimostrare l’accumulo di inquinanti chimici di
sintesi nel Mar Mediterraneo e nella sua fauna selvatica. La prima parte del rapporto presenta i nuovi dati di
uno studio sulla valutazione della contaminazione da sostanze chimiche nel pesce spada (Xiphias gladius)
del Mediterraneo; le analisi sono state effettuate dal gruppo di ricerca del Prof. Silvano Focardi
dell’Università di Siena. Questa ricerca, determinando nei tessuti del pesce spada sia la presenza di sostanze
chimiche già messe al bando da decenni, come il DDT, sia di più recenti composti chimici, costituisce un
significativo contributo alla letteratura scientifica esistente, incentrata principalmente su un ristretto numero
di inquinanti, quali pesticidi policlorurati, diossine e composti diossino-simili. La seconda parte del rapporto
presenta i dati dei più interessanti e recenti studi scientifici, mettendo in evidenza come la contaminazione
della fauna selvatica del Mediterraneo sia tale da destare forti preoccupazioni. Infatti, molte delle sostanze
chimiche persistenti e bioaccumulabili sono state collegate a possibili e gravi effetti sulla salute, tra cui
l’alterazione dello sviluppo sessuale e neurologico, del sistema riproduttivo e immunitario di animali e
persone, oltre a causare gravi perturbazioni agli ecosistemi nel loro complesso.
Nello studio sono stati analizzati 29 campioni di tessuto muscolare ed epatico, prelevati da 17 esemplari
adulti di pesce spada catturati nel Mediterraneo (Mar Tirreno orientale e meridionale) nel 2005. Nei
campioni è stata valutata la contaminazione da 28 sostanze chimiche con proprietà di interferenti del sistema
endocrino1: 7 residui di pesticidi organoclorurati (il fungicida esaclorobenzene [HCB] e 6 isomeri e
1 Il sistema endocrino è un complesso sistema di ghiandole, il cui scopo è presiedere alle più importanti funzioni fisiche, fra cui la riproduzione, la crescita, lo sviluppo, il mantenimento dei normali livelli di glucosio e della pressione
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metaboliti dell’insetticida DDT); 19 ritardanti di fiamma bromurati (congeneri dei polibromodifenileteri
[PBDE]) e 2 composti perfluorurati (perfluottano sulfonato [PFOS] e l’acido perfuorottanoico [PFOA]).
Da quanto risulta agli autori, questo studio riporta i primi dati disponibili sulla contaminazione del pesce
spada dell’area mediterranea da parte di alcuni tra i più utilizzati ritardanti di fiamma bromurati: i
polibromodifenileteri (PBDE), composti altamente persistenti e bioaccumulabili, sulla cui presenza nelle
specie del Mediterraneo si hanno ancora pochi dati. In particolare, sebbene alcune le miscele di PBDE di uso
commerciale , penta- e octa-BDE, siano state messe al bando nell’Unione Europea nel 2004, vengono ancora
utilizzate in altre parti del mondo e continueranno, dunque, a persistere nell’ambiente marino per molti anni
a venire.
I ritardanti di fiamma sono stati rinvenuti in tutti gli esemplari di pesce spada, ad eccezione di uno.
Concentrazioni di PBDE tra 189 e 11.184 pg/g p.f. sono state riscontrate nei campioni di fegato analizzati,
mentre nei campioni di muscolo risultano comprese tra <0,04 e 1882 pg/g p.f. I congeneri prevalenti sono
stati il BDE-47 e il BDE-100, due dei più comuni composti rinvenuti negli organismi marini.
A differenza dei composti organoclorurati, rintracciati in tutti i campioni analizzati, PFOA e PFOS non sono
stati rilevati. I dati sulla contaminazione del pesce spada da composti organoclorurati sono in generale
comparabili con i livelli osservati in studi precedenti, sebbene il pp’-DDE (un metabolita del DDT) mostri
concentrazioni lievemente più alte rispetto ad altre ricerche condotte lungo la costa italiana. In linea generale,
nonostante negli ultimi 15 anni il loro livello sia andato diminuendo, a tutt’oggi, malgrado le forti restrizioni
e/o la messa al bando del DDT, i suoi isomeri e metaboliti (in particolare il pp’-DDE) sono ancora
rintracciabili nel pesce spada in concentrazioni medie di 173 ng/g p.f. nel muscolo e di 309 ng/g p.f. nel
fegato. I livelli del pesticida HCB, anch’esso messo al bando, sono risultati bassi, compresi tra <0,01 e 0,53
ng/g p.f. nei campioni di muscolo e tra <0,01 a 0,84 ng/g p.f. nei campioni di fegato.
Il pesce spada, oltre a rappresentare un componente importante dell’ecosistema marino, è una specie ad
elevato valore commerciale costituendo parte integrante della dieta umana. Se da un lato il consumo di pesce
offre un prezioso apporto nutrizionale di proteine e acidi grassi, dall’altro rappresenta una delle principali vie
di esposizione ai contaminanti per l’uomo. Questo rapporto non intende analizzare i pro e i contro relativi al
consumo di pesce è, invece, finalizzato ad aumentare la consapevolezza sulla diffusione della
contaminazione tra le specie selvatiche e ad evidenziare la necessità di una migliore gestione delle sostanze
sanguigna ed il metabolismo . Le principali ghiandole endocrine sono la ghiandola pituitaria, la tiroide, il pancreas, la ghiandola surrenale, l’ipotalamo, i testicoli e le ovaie. Queste ghiandole producono ormoni, che sono i messaggeri chimici naturali, che viaggiano nel sangue raggiungendo gli organi e i tessuti allo scopo di controllarne e regolarne il funzionamento. Gli ormoni si legano a molecole proteiche, chiamate recettori, che decodificano e rispondono ai segnali ormonali. Questo legame, spesso paragonato a un sistema formato da chiave e serratura, provoca una risposta da parte dei tessuti in base alle loro specifiche funzioni.
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chimiche di sintesi. Le principali priorità per la gestione di tali sostanze nel Mediterraneo sono rappresentate
dall’adozione di un REACH (la bozza di regolamento dell’Unione Europea in materia di sostanze chimiche)
potenziato e dalla ratifica e implementazione dei protocolli della Convenzione di Barcellona per la
protezione del Mar Mediterraneo.
La regione del Mediterraneo rappresenta un complesso insieme geografico, climatico, idrologico, ecologico,
culturale e socio-politico. Caratterizzato da un elevato livello di biodiversità, il Mediterraneo è uno dei mari
più ricchi del mondo, soprattutto in prossimità delle zone costiere, per flora e fauna, con un’eccezionale
diffusione di specie endemiche (UNEP/MAP/WHO, 1999; EEA, 2006). Da una stima approssimativa, più di
8.500 specie di grandi animali marini vivono nel Mediterraneo (Bianchi e Morri, 2000). Tale ricchezza di
biodiversità rappresenta dall’8 al 9% del numero totale di specie marine al mondo e, ancora oggi, se ne
continuano a rilevare di nuove negli strati marini profondi e nelle aree inesplorate (EEA, 2006), dato
particolarmente significativo in considerazione del fatto che l’area del Mediterraneo equivale allo 0,82%
dell’area totale degli oceani e il volume allo 0,32% del volume totale degli oceani. Inoltre, il Mar
Mediterraneo ospita numerose specie marine a rischio: la foca monaca (Monachus monachus), della quale
solo 350 - 400 individui sono attualmente presenti nel mondo, la tartaruga verde (Chelonia mydas) e la
tartaruga comune (Caretta caretta), la cui origine risale a 100 milioni di anni fa e che nidifica sulle spiagge
del Mediterraneo, 18 specie di cetacei, delle quali 7 osservabili in tutti i periodi dell’anno tra cui: il
globicefalo (Globicephala melas), la balenottera comune (Balaenoptera physalus), il capodoglio (Physeter
macrocephalus), il delfino comune (Delphinus delphis), la stenella striata (Stenella coeruleoalba), il tursiope
(Tursiops truncatus) e il grampo (Grampus griseus), e infine la posidonia (Posidonia oceanica) pianta
fanerogama marina endemica, il cui ruolo è cruciale nell’economia degli ecosistemi marini costieri, per
motivi di carattere sia biologico sia fisico (riparo, produzione di ossigeno, fonte diretta e indiretta di
nutrimento per pesci ed altri organismi, fissazione e stabilizzazione dei fondali e freno all’erosione costiera)
(Holmer et al., 2003). Il Mar Mediterraneo costituisce anche un’importante area di pesca commerciale ; delle
900 specie di pesci presenti, 100 sono sfruttate a scopi commerciali e tra queste, molte possiedono un elevato
valore di mercato. Nel Mar Mediterraneo, il destino degli esseri umani e quello della natura sono
strettamente interconnessi.
La contaminazione chimica rappresenta una seria minaccia a livello globale e il Mar Mediterraneo risulta
particolarmente vulnerabile : è il più grande mare semi-chiuso del mondo, circondato a nord da paesi con un
forte tasso d’industrializzazione e, lungo tutto il suo bacino, da paesi ad elevato sviluppo agricolo. Molte di
queste attività umane costituiscono una grave fonte di degradazione per il Mediterraneo, le cui peculiarità
giocano un ruolo cruciale nell’accumulo, nella diffusione e nell’impatto delle sostanze inquinanti nell’intera
regione. Le principali caratteristiche del Mare Nostrum (tra cui l’alta temperatura, l’alta salinità, i regime
microtidale 2) influenzano i cicli fisici, chimici e biologici che incidono su tutti i processi ecologici (EEA,
2006). Nel corso dell’ultima decade, i reflui industriali, agricoli e urbani si sono riversati nel mare attraverso
gli scarichi costieri, i fiumi e l’atmosfera, aumentando considerevolmente il tasso d’inquinamento con
conseguente degradazione progressiva dell’ecosistema (UNEP, 1996, 2002). Nella catena alimentare marina,
2 Il regime idrologico ridotto, inferiore a 50 cm, rallenta la degradazione e la diffusione dei contaminanti, contribuendo in maniera significativa ad aumentare i tempi di residenza dei contaminanti chimici e a favorirne l’accumulo.
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il bioaccumulo dei composti chimici è favorito dalle proprietà fisico-chimiche delle sostanze inquinanti e
dalle caratteristiche oceanografiche del Mediterraneo stesso:
1. molti inquinanti chimici sono persistenti: si degradano molto lentamente nell’ambiente e, per la loro
capacità di legarsi alla materia organica e, in particolare, ai tessuti grassi, possono accumularsi lungo le
catene alimentari, soprattutto nelle specie all’apice della catena stessa (Aguilar e Borrell, 1994a; 1994b;
Borrell et al., 1996), rappresentando, anche per la salute umana, un potenziale fattore di rischio;
2. il Mar Mediterraneo comunica con l’Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra. Il flusso attraverso lo
stretto (5 · 1013 m3 all’anno in entrata con una riduzione del 4% in uscita [Ferrara e Maserti, 1986]) non
consente un ricambio d’acqua significativo, determinando così un aumento del tempo di permanenza
delle sostanze chimiche e favorendone l’accumulo nelle matrici biotiche e abiotiche.
Gli inquinanti organici persistenti (POP) sono sostanze chimiche semivolatili e mobili, che rappresentano i
prodotti e sottoprodotti dell’industria. Dotati di proprietà tossiche, contrariamente ad altri inquinanti
resistono alla degradazione e risultano quindi particolarmente nocivi per la salute umana e l'ambiente. Si
accumulano negli organismi viventi e si propagano per mezzo dell'aria , dell'acqua e delle specie migratrici,
concentrandosi negli ecosistemi terrestri e acquatici. La loro diffusione oltrepassa i confini e le frontiere,
rendendo globale il problema della contaminazione. Le capacità di bioaccumulo, bioconcentrazione e
biomagnificazione delle sostanze chimiche persistenti negli organismi e nelle catene alimentari dipendono
dalle loro proprietà intrinseche (idrofobicità, lipofilicità e resistenza alla degradazione), da fattori ambientali
(grado di salinità, temperatura, concentrazione di altre sostanze chimiche organiche e potenziale redox), da
fattori biotici (modalità di nutrizione dell’organismo, posizione trofica, concentrazione lipidica e
metabolismo) e dalla biodisponibilità (input chimici in corso, meccanismi di trasporto e grado di
contaminazione).
Questo rapporto non intende fornire un’analisi complessiva dello stato dell’ecosistema del Mar
Mediterraneo, ma affrontare in dettaglio alcune problematiche emergenti relative alla contaminazione diffusa
ad opera di un gruppo di sostanze chimiche tossiche. In particolare, sono trattate le sostanze di origine
industriale e sono, invece, esclusi i metalli pesanti o gli inquinanti provenienti dai processi di combustione,
come i PAH o le diossine. Per ulteriori approfondimenti, si rimanda ai rapporti dell’EEA e dell’UNEP (vedi
Bibliografia), che forniscono un’analisi più completa sulle tematiche di ricerca e monitoraggio relative
all’ambiente marino del Mediterraneo.
Nonostante esistano numerosi trattati o convenzioni (come la Convenzione di Barcellona [vedi box 1] e la
Convenzione POP [vedi box 2]) volti a proteggere il bacino del Mediterraneo, il mare continua a risentire
degli effetti dovuti dell’aumento dell’inquinamento. L’attuale legislazione in materia di sostanze chimiche è,
infatti, a tutt’oggi inadeguata a garantire la protezione della fauna selvatica e della salute umana.
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BOX 1 – LA CONVENZIONE DI BARCELLONA
La Convenzione di Barcellona per la Protezione del Mar Mediterraneo dall’Inquinamento, siglata il 16 febbraio 1976 ed entrata in vigore il 12 febbraio 1978, costituisce, sotto gli auspici del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), lo strumento legale del Mediterranean Action Plan (MAP), uno sforzo regionale cooperativo che coinvolge i 21 paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo e l'Unione europea. Tramite il piano d'azione del MAP, le parti contraenti la Convenzione di Barcellona ed i suoi protocolli sono intenzionate ad affrontare la sfida costituita dalla protezione dell'ambiente marino e costiero, implementando nel contempo piani regionali e nazionali finalizzati alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile.
Modificata dalle parti contraenti nel 1995, la Convenzione di Barcellona, ha cambiato titolo diventando "Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e la regione costiera del Mediterraneo" e ha ampliato l’ambito della sua applicazione geografica, includendo le acque interne del Mediterraneo e le aree costiere. Tale modifica è stata finalizzata al conferimento di uno status legale degli impegni assunti dalle nazioni che hanno partecipato all’Earth Summit, tenutosi nel 1992 a Rio. Solo 8 paesi (Croazia, Egitto, Francia, Italia, Malta, Monaco, Spagna e Tunisia) oltre all’Unione Europea hanno ratificato gli emendamenti adottati nel 1995. È necessario che altri 7 paesi del Mediterraneo ratifichino tali emendamenti perché essi possano entrare in vigore.
Dal 1975, il cosiddetto sistema di Barcellona ha dato vita a sei Protocolli, strumenti legali vincolanti rivolti a specifici aspetti della protezione ambientale. Il Land-based Source of Pollution (LBS), relativo alla protezione del Mar Mediterraneo, è uno dei sei Protocolli non ancora ratificati. L’implementazione del Protocollo LBS, pronto dal 1996, dovrebbe prevenire e ridurre il rilascio di alti livelli di sostanze inquinanti. In una petizione comune, presentata nel novembre 2003 ai ministri e delegati dei 21 paesi mediterranei, il WWF ed altre 15 ONG ambientaliste hanno sottolineato che, malgrado gli sforzi da parte di molti paesi mediterranei per attuare il Protocollo LBS, Algeria, Bosnia e Erzegovina, Croazia, Egitto, Israele, Libano, Libia, Serbia Montenegro e Siria devono ancora ratificare il Protocollo. Fra tutti questi paesi, sono necessarie solo tre ratifiche per consentire al Protocollo LBS di diventare legalmente vincolante per gli stati del Mediterraneo che hanno adottato la Convenzione di Barcellona. Il WWF e le altre ONG invitano questi paesi a ratificare tempestivamente il Protocollo LBS, rendendo così la Convenzione operativa.
Malgrado la diffusa contaminazione dell’uomo e della fauna selvatica e la scoperta della pericolosità degli
effetti delle sostanze chimiche, continua a sussistere una sconvolgente mancanza di dati sulla sicurezza delle
sostanze attualmente in uso. Tuttavia, nell’Unione Europea (UE) sono in atto riforme che cambieranno
profondamente le modalità di gestione delle sostanze chimiche, con probabili conseguenze a livello
mondiale. Una priorità del WWF è rappresentata dal garantire il successo della proposta di regolamento, nota
come REACH (acronimo inglese che sta per Registrazione, Valutazione e Autorizzazione delle sostanze
chimiche [vedi box 3]), finalizzata all’identificazione e la messa al bando delle sostanze chimiche più
pericolose. Le sostanze chimiche altamente preoccupanti, fra cui i distruttori endocrini, dovranno essere
sostituite con alternative più sicure, dove disponibili.
Le evidenze scientifiche presentate in questo rapporto confermano come, a livello europeo, sia necessaria
una legislazione efficace in materia di sostanze chimiche in grado di assicurare a esseri umani, fauna
selvatica e ambiente, un alto livello di protezione.
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BOX 2 – LA “SPORCA DOZZINA” – LA CONVENZIONE POP
La Convenzione POP, elaborata nel quadro del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), mira a proteggere la salute umana e l’ambiente dagli inquinanti organici persistenti (POP, Persistent Organic Pollutants). Tra i 12 POP, definiti la “Sporca Dozzina”, che attualmente rientrano nel campo d’applicazione della Convenzione, vi sono 9 pesticidi (aldrin, lordano, DDT, dieldrin, endrin, eptaclorobenzene, esaclorobenzene, mirex e toxafene), sostanze chimiche industriali e 2 gruppi di prodotti e sottoprodotti della combustione emessi non intenzionalmente (PCB, diossine e furani). La Convenzione stabilisce i meccanismi di controllo che disciplinano la produzione, l’uso, l’importazione, l’esportazione, le emissioni e lo smaltimento di questi POP a livello mondiale.
Queste sostanze chimiche costituiscono un grosso fattore di rischio per la salute umana e l’ambiente, poiché le loro caratteristiche le rendono particolarmente pericolose. Si tratta, infatti, di sostanze persistenti, in grado si resistere alla degradazione e permanere nell’ambiente per lunghi periodi di tempo, risultando tossiche per l’uomo, la fauna e flora selvatiche. Per il loro elevato grado di liposolubilità (affinità per i tessuti grassi), si accumulano negli organismi viventi, tra cui l’uomo, i mammiferi marini e numerose altre specie selvatiche. Si assite a fenomeni di biomagnificazione nelle specie ai vertici delle catene alimentari. Queste sostanze sono in grado di attraversare la barriera di protezione costituita dalla placenta, passando dalla madre al feto e, durante l’allattamento, attraverso il latte materno, venire trasferiti al neonato.
I POP possono causare danni al sistema nervoso, immunopatologie, disordini riproduttivi e dello sviluppo e non per ultimo il cancro. Sono, inoltre, presenti nell’ambiente e negli organismi viventi non come singole entità, ma come miscele complesse. Siamo esposti a un numero illimitato di possibili diverse combinazioni di sostanze, il che rende estremamente difficile prevedere e bloccare tutte le eventali conseguenze sulla salute dell’uomo e della fauna selvatica. Gli effetti di un’esposizione multipla sono ancora poco conosciuti; la presenza di numerosi inquinanti tossici negli organismi viventi è motivo di forte preoccupazione in considerazione del fatto che, interagendo gli uni con gli altri ed esercitando possibili effetti tossici addizionali e/o sinergici, può rivelarsi peggiore delle conseguenze dell’esposizione alle singole sostanze.
Nel 1992, nel corso dell’Earth Summit a Rio, con l’adozione dell’Agenda 21, è stato dato l’avvio a una serie di accordi intergovernativi, culminati poi nella Convenzione di Stoccolma (22 maggio 2001), volti a intraprendere tutte le misure necessarie per eliminare, o ridurre a livelli non pericolosi, le emissioni dei composti chimici nell’atmosfera (UNEP, 2001). La Convenzione tenta anche di sostituire i POP esistenti con alternative più sicure per l’ambiente e di fissare misure precauzionali per garantire limitazioni al loro rilascio nell’ambiente. Considerata dalla comunità internazionale come un trattato dinamico e attuale, capace di rispondere alla realtà odierna, la Convenzione di Stoccolma stabilisce un rigoroso processo scientifico tramite il quale nuove sostanze chimiche, che rientrano nei criteri di definizione dei POP, possano essere incluse nel trattato.
Firmata da più di 100 paesi, la Convenzione di Stoccolma è entrata in vigore il 17 maggio 2004 dopo la ratifica, nel febbraio 2004, della Francia (50° paese a ratificarla). Nel maggio 2005, 98 Paesi, fra cui l’Australia, avevano ratificato la convenzione. Il WWF promuove ulteriori ratifiche e un’effettiva implementazione della Convenzione di Stoccolma, in quanto alcuni paesi del Mediterraneo, tra cui l’Italia, la Grecia e la Turchia, non l’hanno ancora ratificata.
Sempre più ricerche scientifiche dimostrano come i POP appartengano alla categoria dei distruttori endocrini, ovvero sostanze in grado di mimare gli effetti degli ormoni endogeni o di interferire con il loro meccanismo d’azione (Tabuchi et al., 2006; Fonnum et al., 2006; Ropstad et al., 2006; Debier et al., 2005).
Questo rapporto è diviso in due parti: la prima presenta i risultati originali di uno studio sulla
valutazione della contaminazione da sostanze chimiche nel pesce spada (Xiphias gladius) del
Mediterraneo; le analisi sono state effettuate dal gruppo di ricerca del Prof. Silvano Focardi
dell’Università di Siena.
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La seconda parte del rapporto è una raccolta e sintesi della recente letteratura scientifica sulla
contaminazione chimica della fauna marina del Mediterraneo, allo scopo di raccogliere i dati
attualmente disponibili sulla presenza diffusa delle sostanze chimiche tossiche di sintesi e sul loro
bioaccumulo nelle catene alimentari.
BOX 3 – IL NUOVO REGOLAMENTO EUROPEO IN MATERIA DI SOSTANZE CHIMICHE – REACH - E PERCHÉ È NECESSARIO
REACH è una proposta di regolamento che porterà all’identificazione e alla graduale eliminazione delle sostanze chimiche più pericolose. Se approvata, entrerà automaticamente in vigore in tutti i paesi membri dell’Unione Europea. REACH è l’acronimo inglese di Registrazione, Valutazione e Autorizzazione delle Sostanze Chimiche.
Gli attuali testi legislativi europei in materia di sostanze chimiche operano una distinzione fra le sostanze introdotte prima del 1981 e sostanze immesse sul mercato successivamente. Le sostanze chimiche introdotte dopo il 1981, che rappresentano però solo il 10% delle oltre 100.000 sostanze presenti sul mercato, devono essere testate prima di essere commercializzate. Quest'obbligo non si applica ai prodotti chimici introdotti in precedenza. Di conseguenza, migliaia di sostanze chimiche – più del 90% di quelle attualmente in uso – non sono state sottoposte a una valutazione di sicurezza. Inoltre, il sistema attuale non incentiva l’innovazione in campo industriale né lo sviluppo di nuove alternative più sicure, in quanto i test richiesti per introdurre una sostanza chimica sul mercato risultano al momento molto severi, soprattutto alla luce del fatto che, per le sostanze chimiche pre-1981 ancora in uso, non è richiesto alcun tipo di valutazione tossicologica.
Lo scopo del nuovo regolamento è proteggere la salute umana e l’ambiente nonché colmare, migliorare ed estendere le conoscenze delle proprietà e dell’utilizzo delle sostanze chimiche, rendendo prioritari il controllo e la sosti tuzione dei composti chimici, incentivando la competitività dell’industria chimica europea e aumentandone la capacità d’innovazione. Inoltre, al centro della proposta REACH ci sarebbe l'obbligo, per le imprese che producono o importano prodotti chimici, di valutare i rischi derivanti dal loro uso e di prendere le misure necessarie per gestirli. Le informazioni richieste sarebbero proporzionali alle quantità prodotte e potrebbero essere elaborate in base agli usi. I dettagli sulla sicurezza delle sostanze sarebbero messi a disposizione di tutti i livelli della catena di approvvigionamento, fino agli utilizzatori, per permettere la tutela della salute dei propri dipendenti, del pubblico e dell'ambiente.
Due sono gli organi preposti a decidere in materia di REACH: il Parlamento Europeo e il Consiglio dei Ministri Europeo (rappresentato dai Ministri dell’Ambiente e dell’Industria di ogni paese dell’UE). La prima lettura in Parlamento Europeo ha avuto luogo il 17 novembre 2005 e, 13 dicembre 2005, il Consiglio Europeo ha raggiunto un accordo politico bocciando l’obbligo di sostituire i prodotti chimici pericolosi con alternative più sicure, se disponibili, principio cruciale su cui il Parlamento Europeo, il mese precedente, si era espresso in maniera favorevole. L’accordo del Consiglio prevede che, sebbene ai produttori di sostanze chimiche venga richiesto di “valutare” la sostituzione delle sostanze più pericolose, i decisori possano comunque garantire l’autorizzazione sotto una procedura di “adeguato controllo”, anche nel caso siano disponibili alternative più sicure. Pertanto la produzione delle sostanze più pericolose potrebbe comunque essere autorizzata. L’“adeguato controllo”, infatti, non impedisce il rilascio nell’ambiente dei composti più problematici che, per le loro proprietà di persistenza e bioaccumulabilità, continuerebbero a concentrarsi negli esseri viventi. Questo purtroppo rappresenta uno scarso cambiamento rispetto al sistema attuale che, sinora, non ha garantito un livello di protezione appropriato. Il “principio di sostituzione” dovrebbe essere prioritario nella procedura di autorizzazione: la disponibilità di un’alternativa più sicura deve costituire una ragione sufficiente per non concedere l’autorizzazione. Il Consiglio ha anche votato per la drastica riduzione dei dati sulla sicurezza che i produttori di sostanze chimiche sarebbero obbligati a fornire, in particolare riguardo alle sostanze prodotte in basse quantità. Migliaia di sostanze chimiche potranno così rimanere sul mercato, anche in assenza di informazioni, e ciò costituirà un ulteriore danno alla possibilità di identificare alternative più sicure.
La seconda lettura di REACH è prevista per la fine del 2006 ed è essenziale che il Parlamento riaffermi il suo appoggio a più forti requisiti di sostituzione, a un “Obbligo di responsabilità” legalmente vincolante e a un maggiore accesso alle informazioni. Tramite la Campagna DetoX, il WWF sta operando per accrescere nel pubblico il livello di consapevolezza e di conoscenza sulle carenze dell’attuale normativa in materia di sostanze chimiche. Il WWF si augura che non vada persa l’opportunità, fornita dal REACH, di garantire un futuro più sicuro per le persone, l’ambiente e la fauna selvatica.
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IIll ppeessccee ssppaaddaa ccoommee iinnddiiccaattoorree ddii ccoonnttaammiinnaazziioonnee aammbbiieennttaallee
La fauna ittica costituisce una risorsa naturale, rinnovabile e mobile, la cui riproduzione e i cui spostamenti
sfuggono al nostro controllo. Si tratta di una risorsa che fa parte del patrimonio comune. Per mantenere
l'attività alieutica ad un livello soddisfacente occorrono degli stock sani, il che presuppone un ambiente
marino sano.
Il pesce spada (per approfondimenti vedi box 4) è una specie ittica di elevato valore commerciale ed
ecologico. Viene catturato per scopi commerciali o come by-catch (cattura incidentale), prevalentemente
nella pesca con palangari derivanti, con reti derivanti o nelle attività di pesca sportiva, ma anche con
l’arpione. Nel 1999, il pesce spada veniva pescato, a scopo commerciale, da 66 paesi di tutto il mondo per un
totale di 97.110 tonnellate di prodotto (FAO, 1999). Va, comunque, segnalato che vi è una forte sottostima il
peso reale del pescato dovuto al fatto che, diversi paesi, in cui l’industria della pesca è in via di sviluppo, non
hanno fornito i dati delle loro attività alla FAO.
Dal 1996, il pesce spada del Nord dell’Atlantico è stato classificato come specie “minacciata” e inserito nella
“Lista Rossa” (“Red Data List”) delle specie minacciate dell’Unione Mondiale della Conservazione
(International Union for Conservation of Nature - IUCN) (http://www.redlist.org). Grazie ad un forte
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reclutamento negli anni ’90 ed alla gestione attraverso il sistema delle quote (TAC3) adottato dall’ICCAT4),
questo stock appare praticamente recuperato e le ultime analisi (SCRS/ICCAT, 2006) lo indicano come
pescabile sino ai massimi livelli di rendimento in caso di mantenimento della situazione attuale. Nel Sud
Atlantico la situazione è meno chiara, anche se lo stock viene ritenuto dal SCRS/ICCAT (2006)
sufficientemente in buone condizioni ed in grado di sostenere lo sforzo di pesca attuale. Anche nell’Oceano
Indiano la situazione è poco chiara ma, in base alle ultime indicazioni del 2006 della IOTC5, lo stock appare
sovrasfruttato e sono state fatte raccomandazioni per controllare o ridurre lo sforzo di pesca. La situazione
degli stock dell’Oceano Pacifico appare ancora più incerta e confusa, con indicazioni diverse nelle varie
zone. In base alle ultime valutazioni (2006) dell’IATTC6, della WCPFC7 e della ISC8, le tre organizzazioni di
pesca che insieme alla SPC9 si occupano di questo oceano, non sembra che sia necessario adottare particolari
cautele nella gestione, fatta salva l’area del Pacifico centro-occidentale, dove lo stock potrebbe divenire
rapidamente sovrasfruttato. Lo stock mediterraneo, la cui ultima valutazione risale al 2003, appare stabile
negli ultimi 20 anni, seppure la situazione sia considerata problematica, per via dell’elevata cattura di
immaturi e dell’elevato sforzo di pesca, che appare in crescita. Il pesce spada, infatti, considerato in molti
paesi specie pregiata e prelibata, ha fatto registrare negli ultimi anni un forte aumento della domanda, che ha
inevitabilmente determinato un incremento della pressione di pesca. Commercializzato e consumato sia
fresco sia surgelato, per la qualità e la compattezza delle sue carni, il pesce spada può essere preparato in
molti modi, dai più semplici a ricette molto elaborate. La condizione dello stock mediterraneo viene
comunque monitorata dall’ICCAT, che non ha ritenuto necessario adottare particolari misure di gestione (al
di là dell’indicazione di non aumentare lo sforzo di pesca attuale) e ha pianificato un’ulteriore valutazione
nel 2007.
3 Il “totale ammissibile di catture” (TAC) rappresenta la quantità massima di pesci che, in conformità degli obiettivi di gestione, possono essere prelevati da un determinato stock nell'arco di un certo periodo di tempo. 4 La Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas - ICCAT) è un’organizzazione intergovernativa operante nel campo della pesca, responsabile della conservazione di tonni e altri tonnidi dell’Oceano atlantico e dei mari adiacenti 5 La Commissione dei tonni dell’Oceano indiano (Indian Ocean Tuna Commission - -IOTC) è un’organizzazione intergovernativa istituita nell’ambito dell’articolo XIV della costituzione della FAO, con il compito di gestire gli stock di tonni e altri tonnidi dell’Oceano indiano e delle zone adiacenti 6 La Commissione interamericana per i tonnidi tropicali (Inter-American Tropical Tuna Commission - IATTC) è un’organizzazione regionale per la pesca alla quale le Parti contraenti hanno attribuito la competenza a regolamentare la pesca degli stock ittici altamente migratori nell’Oceano Pacifico orientale. 7 Commissione per la conservazione e la gestione degli stock ittici altamente migratori dell'Oceano Pacifico centrale e occidentale (Western and Central Pacific Ocean Commission – WCPFC). La WCPFC è un'organizzazione regionale per la pesca creata nell'ambito del quadro della Convenzione sulla conservazione e la gestione degli stock ittici altamente migratori dell'Oceano Pacifico centrale e occidentale. 8 Comitato Scientifico Internazionale per i Tonnidi del Nord (International Scientific Committee for Tunas and Tuna- like Species in the North - ISC) è un’organizzazione internazionale volta ad aumentare la ricerca e la cooperazione scientifiche per conservazione ed utilizzazione razionale delle specie di tonno dell'Oceano pacifico del nord. 9 Segretariato della Comunità del Pacifico (Secretariat of the Pacific Community - SPC) è un’organizzazione regionale, indipendente ed intergovernativa che ha molteplici scopi chiave di cui i più importanti sono lo sviluppo in campi come l'agricoltura, l'ambiente, le risorse marine, la sanità, l'istruzione e la comunicazione, la tecnica industriale.
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BOX 4 – IL PESCE SPADA: BIOLOGIA E DISTRIBUZIONE
Il pesce spada (Xiphias gladius Linneo, 1758), è l’unica specie vivente della famiglia degli Xiphiidae. Deve il suo nome al lungo rostro appiattito, simile ad una spada, che può misura solitamente un terzo della sua lunghezza alla forca, formato dall’estremo prolungamento della mascella superiore. E’ l’unica specie di vertebrato nota per presentare strutture scheletriche (del rostro) talvolta strutturalmente diverse da individuo ad individuo e tale fatto costituisce ancora un quesito senza risposta (Di Natale et al., 1966). I denti sono generalmente assenti, poiché si nutre prevalentemente di cefalopodi, ma anche di pesci, spesso uccisi proprio per mezzo del rostro. Talvolta, si spinge anche a predare gamberi sul fondo, dove usa il rostro per farli sollevare dalla sabbia o dal fango.
È un predatore pelagico e generalmente solitario: si osserva in coppia o in piccoli gruppi (una femmina e più maschi) solo nel periodo riproduttivo, mentre sono note aggregazioni trofiche in fase giovanile. Può eccezionalmente superare i 4,5 metri di lunghezza e i 650 Kg di peso, anche se nel Mediterraneo le dimensioni sono spesso inferiori e negli ultimi 20 anni non sono noti esemplari superiori a 240 kg. Può superare i 25 anni di età (la determinazione dell’età è molto difficile ed incerta dopo i 20 anni) ed è riproduttivamente molto attivo (Govender et al., 2003). Nel Mediterraneo, i primi esemplari maturi hanno un’età sempre superiore a 3 anni ed i maschi sembrano raggiungere l’età riproduttiva ad una dimensione minore delle femmine. Fino ai 3 anni, la crescita appare indifferenziata, mentre successivamente maschi e femmine presentano modelli di crescita diversi, con le femmine che si sviluppano più rapidamente, raggiungendo dimensioni maggiori in età adulta. Negli altri oceani, l’età di prima riproduzione appare maggiore.
È presente negli oceani di tutto il mondo, fatta eccezione per le aree circumpolari, e la sua distribuzione comprende anche il Mar Mediterraneo ed il Mare di Marmara. Nel Mar Mediterraneo sembra ormai accertata la presenza di una popolazione locale, con scambi molto limitati con lo stock dell’Atlantico e con un’elevata capacità riproduttiva. Le ultime catture commerciali nel Mar Nero e nel Mare di Azov risalgono agli anni ’60; da allora, sono state riportate solo catture isolate, mentre nessuna cattura è più avvenuta nelle acque turche del Mar Nero negli ultimi anni.
Possiede una grande tolleranza alle differenze di temperatura (da 5 ad oltre 30°C) e può effettuare rilevanti immersioni verticali, lungo la colonna d’acqua, fino a profondità di oltre 1000 m (Govender et al., 2003). Infatti, è dotato di un complesso meccanismo di riscaldamento fisiologico, che gli consente di innalzare lo stato termico del cervello e degli occhi quando si immerge a grandi profondità. Pur essendo una specie diffusamente studiata negli ultimi 150 anni, la conoscenza sulla sua etologia appare ancora largamente insufficiente.
Notizie della caccia al pesce spada possono essere rintracciate indietro nei secoli, per esempio nel Mediterraneo sin dai tempi di Aristotele (384-322 aC) o di Oppiano (177 a.C.).
Il pesce spada, essendo un predatore di vertice, viene anche utilizzato come organismo bioindicatore, in
grado di fornire una misura della qualità dell’ambiente marino e come specie sentinella utile per la
valutazione dell'esposizione agli agenti inquinanti
PPrreesseennzzaa ddii ccoonnttaammiinnaannttii nnee ll ppeessccee ssppaaddaa
Da studi relativi a stime di popolazione delle varie specie di pesci predatori è emerso come, in questo secolo,
alcune specie siano declinate vertiginosamente a causa degli effetti della pesca industrializzata. Myers e
Worm (2003) hanno stimato come la biomassa degli stock ittici dei grandi predatori (tra cui tonno e pesce
spada) oggi rappresenti solo il 10% di quella pre-industriale. In questo contesto è stata espressa, dalla
comunità pubblica e scientifica, una forte preoccupazione in merito alla pesca con palangari dei grandi
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pelagici, che influenza in particolar modo la popolazione mediterranea di pesce spada. Tuttavia, ci sono altri
fattori, ancora poco studiati, che potrebbero interferire con la stabilità delle popolazioni dei grandi predatori
mediterranei, compresi i grandi pesci pelagici: gli effetti tossici degli EDC (Fossi et al., 2006).
Scopo di questa ricerca è stato quello di valutare l’inquinamento da composti organoalogenati (OCP, PCB,
BFR) e perfluorurati (PFC), sostanze con presunte o provate proprietà di distruttori endocrini (vedi box 5-7),
in una specie del Mediterraneo: il pesce spada.
I distruttori endocrini (Endocrine Disrupting Chemicals - EDC) hanno attirato, negli ultimi anni, l’interesse
del mondo scientifico; si tratta, infatti, di un gruppo eterogeneo di sostanze, strutturalmente molto
diversificato, capace di influire negativamente sulla salute degli uomini, dei mammiferi marini e terresti,
degli uccelli e dei pesci, o sulla loro progenie, interferendo con il sistema endocrino ed influenzando
soprattutto le funzioni riproduttive. Gli EDC, per il loro carattere lipofilo, sono in grado di attraversare le
membrane cellulari e di legarsi ai recettori per gli ormoni steroidei e di accumularsi a livello del tessuto
adiposo. Sono in grado, dunque, di mimare gli ormoni endogeni compromettendo le capacità riproduttive,
alterando il sistema immunitario e causando anomalie morfologiche e funzionali dello sviluppo (come
l’ermafroditismo) nelle popolazioni selvatiche. I distruttori endocrini comprendono sostanze chimiche
ampiamente impiegate, in passato, in campo industriale e agricolo, come i policlorobifenili e i pesticidi
organoclorurati, e sostanze tutt’oggi utilizzate come plastificanti e surfattanti.
Sebbene la produzione e l’uso di alcuni di questi composti (tra cui i pesticidi organoclururati, i
policlorobifenili e alcuni ritardanti di fiamma) siano stati proibiti, continuano ad essere fra i più comuni
contaminanti presenti nel Mediterraneo, mare che subisce, in aggiunta, l’impatto dovuto all’immissione
anche di altri composti xenobiotici di largo impiego, tra cui i perfluorurati, rinvenibili nel comparto biotico
(flora e fauna) e abiotico (acqua, suolo e aria) dell’ecosistema marino.
Negli anni ’70, per la prima volta su scala globale, ci si rese conto dell’enorme problema legato al fenomeno
della biomagnificazione dei composti inquinanti negli organismi marini all’apice della catena alimentare.
Seguendo il meccanismo “pesce grosso-mangia-pesce piccolo” le sostanze chimiche estranee al normale
metabolismo si accumulano sempre più, man mano che ci si sposta verso i gradini più alti della piramide
alimentare, dove si trovano i grossi predatori. Questo fenomeno rende particolarmente vulnerabili alla
contaminazione ambientale i predatori terminali delle catene alimentari (Fossi et al., 2006).
La fauna marina mediterranea è un possibile targed per gli EDC: infatti, in questo ambiente particolare, i
grandi predatori (quali i grandi pesci pelagici e i mammiferi marini) tendono ad accumulare grandi quantità
di agenti inquinanti (Fossi et al., 2006). Ciò suggerisce l'ipotesi che le specie predatrici mediterranee siano
potenzialmente “al rischio” a causa della contaminazione da EDC. Il primo segnale circa il rischio
tossicologico per i grandi pesci pelagici mediterranei dovuto all’esposizione agli EDC è stato dato dai
risultati di Fossi e collaboratori (2001) dell’Università degli studi di Siena proprio sul pesce spada (Xiphias
gladius). In particolare, i recerti risultati scientifici presentati da questi autori, basati sul monitoraggio dei
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livelli ormonali e di vitellogenina (Vtg)10 e delle proteine della zona radiata (Zrp), utilizzati come biomarker
diagnostici e prognostici, hanno mostrato la presenza di queste proteine, tipicamente femminili, in individui
adulti di pesce spada istologicamente classificati come maschi. I risultati più recenti di questo studio (Fossi et
al., 2004) hanno confermato l'induzione in esemplari adulti di maschi di pesce spada di Vtg e delle Zrp. È
interessante notare come numerosi esemplari maschi del mediterraneo mostrino i valori di Vtg (11%) e di
Zrp (33%) superiori ai valori maschili medi e/o nell’intervallo di quelli di femmine riproduttive. Questo
suggerisce come questa specie sia esposta a xenoestrogeni11 nel Mare Mediterraneo. Un ruolo dei composti
organoclorurati (PCB e DDT) nel fenomeno di induzione è suggerito da correlazioni statisticamente
significative12 fra i livelli di Zrp e Vtg nel plasma e le concentrazioni di PCB, rispettivamente nel muscolo e
nel fegato in esemplari maschi. I livelli degli organoclororurati (PCB nel fegato) sono stati, inoltre, correlati
con la lunghezza totale degli esemplari maschi (Tau b Kendal= 0.377, p <0.021). I risultati attuali
confermano che l'induzione di Vtg e di Zrp può essere usata come strumento diagnostico e prognostico per la
valutazione dell’esposizione degli stock ittici di pesce spada mediterraneo agli EDC (Fossi et al., 2004,
2006).
Inoltre, come segnalato da molti studi (De Metrio et al., 2003, Diniz et al., 2005), l'induzione di vitellogenina
può essere seguita da alterazioni istologiche e morfologiche al livello gonadico con effetti sulle funzioni
riproduttive (“femminilizzazione”). Queste ricerche rappresentano un segnale d’allerta delle possibili
alterazioni del sistema riproduttivo nei predatori terminali e suggeriscono la necessità di ulteriori
monitoraggi per prevenire la riduzione delle popolazioni e della biodiversità del Mar Mediterraneo.
I distruttori endocrini, analizzati in questo studio, sono noti per le loro capacità di bioaccumulo nella catena
alimentare marina e i pesci, in particolare, se paragonati ad altre specie utilizzate nell’alimentazione umana,
contengono livelli relativamente più alti di questi composti. Questo studio contribuisce, dunque, ad
evidenziare come le nuove sostanze chimiche costituiscano motivo di preoccupazione proprio a causa della
carenza di dati sulla loro sicurezza. Ciò risulta particolarmente vero per i distruttori endocrini, come i PBDE
e i composti perfluorurati, per i quali i dati di letteratura relativi all’Italia sono ancora piuttosto scarsi.
Questa ricerca è stata effettuata con la collaborazione del Prof. Silvano Focardi (Rettore dell’Università degli
Studi di Siena) e parte del suo team (dott.ssa Cristiana Guerranti, dott. Guido Perra, dott.ssa Ilaria Bisogno,
dott.ssa Ilaria Nesi).
10 La vitellogenina è una fosfolipoglicoproteina serica ad elevato peso molecolare che rappresenta il maggiore precursore delle proteine del sacco vitellino nei vertebrati ovipari. Questa proteina è sintetizzata e secreta dal fegato in risposta agli estrogeni circolanti nelle femmine in corso della maturazione sessuale e non è normalmente misurabile nel plasma dei maschi e delle femmine immature (Arukwe ed altri., 1996, 1998). La presenza di questa proteina estrogeno- inducibile nel plasma di un animale può essere presa come l’evidenza (biomarker) dell’esposizione a estrogeni endogeni o ambientali o ancora a sostanze che mimano il comportamento degli estrogeni (Arukwe ed altri., 1996, 1998). 11 Gli xenoestrogeni sono sostanze chimiche presenti al di fuori dell’organismo che si comportano come gli estrogeni endogeni. 12 Tau b Kendal = 0.312; p < 0.032 tra le concentrazioni di Zrp nel plasma e di PCB in muscolo. Tau b Kendal = 0.618, tra le concentrazioni di Vtg nel plasma e di PCB in fegato
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13 Alcune delle sostanze chimiche di sintesi utilizzate in tutto il mondo nell’industria e nell’agricoltura possano simulare, attraverso vari meccanismi, l’azione di ormoni normalmente prodotti dall’organismo umano interferendo con importanti processi biologici che sono alla base dello sviluppo e della riproduzione e rappresentando in tal modo un importante fattore di rischio per la salute nell’uomo . Tali sostanze sono oggetto di studio da parte dell’EPA (Environmental Protection Agency) che le ha classificate in 3 categorie in base al grado di probabilità per ciascuna sostanza di avere effetti sull’uomo. I distruttori endocrini conosciuti comprendono quelle sostanze che hanno procurato, in seguito ad esposizione, danni sugli animali e talvolta effetti sull’uomo sia direttamente che sulla prole. I distruttori endocrini probabili sono quelli che si comportano come tali in studi eseguiti su animali e negli studi in vitro . Le sostanze, per le quali esistono solo dati provenienti da esperimenti in vitro , vengono classificate come sospetti distruttori endocrini. Tale classificazione è soggetta ad aggiornamento continuo in relazione alle nuove acquisizioni sull’argomento.
BOX 5 – PESTICIDI ORGANOCLORURATI (OCP)
I pesticidi organoclorurati (OCP) comprendono sostanze altamente tossiche ed estremamente persistenti nell’ambiente. Largamente impiegati in campo agricolo negli anni ‘60, gli OCP sono stati messi al bando in Europa negli anni ‘70, ciononostante, sono ancora presenti negli habitat e negli organismi del Mediterraneo (Goutner et al., 2001). Diversi evidenze scientifiche indicano la capacità di alcuni composti organoclorurati di provocare danni alla riproduzione e un generale indebolimento fisico della fauna selvatica (Konstantinou et al., 2000) oltre a costituire, ad alte e basse concentrazioni, una minaccia per gli esseri umani (Longnecker et al., 1997). Infatti, a causa della loro natura lipofilica, gli OCP tendono ad accumularsi nella catena alimentare, specialmente nei predatori terminali, dove vengono rilevati in alte concentrazioni (Guruge et al., 1997; Harding et al., 1997).
Inoltre numerosi OCP sono stati indicati come distruttori endocrini13 per l’uomo e la fauna selvatica (Sormo et al., 2005; Asawasingsopon et al., 2006; Ropstad et al., 2006).
Esempi dei p iù comuni OCP:
• DDT (diclorodifeniltricloroetano): sostanza chimica sintetizzata negli anni ’40 e utilizzata come insetticida contro una vasta gamma di insetti, in particolare contro la zanzara anofele, veicolo della malaria, e in campo agricolo. Caratterizzato da elevata tossicità ad alta persistenza, il DDT permane a lungo nel suolo, dove viene lentamente degradato dai microrganismi in DDE (diclorodifenildicloroetilene) e DDD (diclorodifenildicloroetano) che, attraverso l’erosione degli strati superficiali del suolo, arrivano a contaminare le acque di superficie. A causa delle loro caratteristiche chimiche, il DDT e i suoi prodotti di degradazione, possono percorrere lunghe distanze diffondendosi in tutto il pianeta. Il DDT, e in particolare il DDE, si accumulano nelle piante e nei tessuti grassi di pesci, uccelli e altri animali.
Messo al bando in molti del mondo, fra cui l’Unione Europea, viene però ancora utilizzato in alcuni paesi in via di sviluppo. In base al trattato internazionale, il DDT è regolamentato come “POP” – inquinante organico persistente. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha stabilito che il DDT può provocare il cancro negli esseri umani. L’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) ha stabilito che DDT, DDE, e DDD sono dei probabili cancerogeni per l’uomo. Recenti studi dimostrano come DDT e i suoi prodotti di degradazione possano essere considerati distruttori endocrini (Dickerson et al., 1999; Debier et al., 2005).
• HCB (esaclorobenzene): idrocarburo di sintesi utilizzato in diverse applicazioni, da ingrediente attivo nei fungicidi alla produzione di sostanze chimiche clorurate oltre ad essere un sottoprodotto dell’incenerimento dei rifiuti urbani. Anche se l’impiego di HCB in agricoltura come fungicida è stato proibito in diversi paesi, dati europei ufficiali, relativi agli anni ’90, mostrano come l’utilizzo in campo agricolo costituisca ancora la maggiore fonte di emissione di questo contaminante (Storelli et al., 2004).
A causa della stabilità chimica e della resistenza alla biodegradazione, l’HCB è uno degli inquinanti ambientali più persistenti. La sua persistenza e tendenza a bioaccumularsi indicano che l’HCB può diffondersi in tutto il mondo. La IARC ha stabilito che l’HCB costituisce un possibile cancerogeno per l’uomo oltre ad essere un provato distruttore endocrino (Ralph, 2003).
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BOX 6 – POLICLOROBIFENILI (PCB)
I policlorobifenili sono sostanze organiche alogenate di sintesi e rappresentano il gruppo più numeroso fra inquinanti organici persistenti (POP). Costituiti da 209 composti chimici, noti come congeneri, che differiscono nel numero e nella posizione degli atomi di cloro, sono impiegati sottoforma di miscele tecniche. I PCB, prodotti commercialmente dagli anni ’30, utilizzati per diverse applicazioni, fra cui fluidi dielettrici per condensatori e trasformatori, fluidi per il trasferimento di calore, fluidi idraulici, oli lubrificanti e da taglio, come additivi in pesticidi, pitture, materie plastiche, ecc., cominciarono ad evidenziare, già nel 1966, i primi effetti tossici sulla salute di volatili e persone. Alla fine degli anni ‘70, la loro estrema persistenza e gli effetti negativi sulla salute portarono a proibirne la produzione in alcuni paesi industrializzati, che hanno poi intrapreso azioni per controllarne e restringerne il flusso nell’ambiente.
I PCB non esistono in natura, dunque, la loro attuale diffusione nell’ambiente è legata alla produzione storica e al loro conseguente utilizzo, smaltimento o rilascio accidentale da parte di prodotti o materiali contenenti PCB. La loro resistenza ai processi di degradazione biologica e fisico-chimica li rende contaminanti estremamente persistenti .
Benché le proprietà fisiche siano variabili all'interno della classe, tutti i PCB sono caratterizzati da bassa solubilità in acqua, che diminuisce all’aumentare del numero di atomi di cloro, ed elevata solubilità nei tessuti biologici ricchi di lipidi. In ambiente acquatico, i PCB sono motivo di forte preoccupazione a causa della loro affinità alle particelle solide organiche, a cui rimangono associati, e al loro successivo deposito nei sedimenti, per mezzo di processi di adsorbimento. La maggiore sorgente di PCB è attualmente rappresentata proprio dal ricircolo dei composti dal sedimento (Larsson, 1985) e dal loro conseguente accumulo nel tessuto adiposo degli organismi acquatici. Ciò risulta particolarmente allarmante a causa dei periodi estremamente lunghi di rilascio dei PCB dai sedimenti , che dilatano la problematica nel tempo, e del fatto che l’esposizione umana è strettamente correlata al consumo di pesce grasso (Perez et al., 2003). Studi, volti a misurare l’esposizione umana giornaliera ai PCB, hanno dimostrato che oltre il 90% dell’espos izione a questi contaminanti avviene attraverso l’alimentazione (Birmingham et al., 1989; Beck et al., 1992; Schaum et al., 1994), e il pesce ne costituisce solitamente la fonte principale (Kannan et al., 1994; Alcock et al., 1998, Anderson et al., 1998).
Negli esseri umani questi composti, specialmente i cosiddetti PCB coplanari o diossino-simili (i più tossici della famiglia dei PCB), possono provocare molti effetti avversi, fra cui acne clorica, atrofia timica, danni epatici, problemi al parto, immunotossicità e cancro (Birnbaum e DeVito, 1995). Esistono inoltre numerose prove tecniche che mostrano come bambini, esposti ai PCB diossino-simili in fase pre-natale o attraverso il latte materno, presentino passeggeri deficit neurologici dello sviluppo (Koopman-Esseboom et al., 1994; Brouwer et al., 1995, Huisman et al., 1995). La IARC e l’EPA hanno inserito i PCB nel Gruppo 2A: probabili cancerogeni per l’uomo.
Sempre più ricerche scientifiche dimostrano, inoltre, l’attività di distruttori endocrini dei PCB (Braathen et al., 2004; Brevini et al., 2005; Debier et al., 2005; Fonnum et al., 2006; Tabuchi et al., 2006).
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BOX 7 – RITARDANTI DI FIAMMA BROMURATI (BFR)
I ritardanti di fiamma bromurati sono un gruppo di sostanze chimiche industriali ubiquitarie, molte delle quali prodotte in grandi volumi. Attualmente presentano il più alto fatturato del mercato chimico, grazie al loro il basso costo ed elevata efficienza (Birnbaum e Staskal, 2004). La stima del consumo globale di BFR mostra il loro continuo incremento: nel decennio tra il 1990 e il 2000 il loro utilizzo è raddoppiato passando da 145 a 310 kilotonnellate (Arias, 2001; Eljarrat et al., 2005). Sono 5 i principali ritardanti di utilizzati come additivi nelle sostanze plastiche, tessili, nei circuiti elettronici e in altri materiali, per prevenirne la combustione accidentale: il tetrabromobisfenolo A (TBBPA), l’esabromociclododecano (HBCD) e le tre miscele commerciali di polibromodifenileteri (PBDE), note come decabromodifenileteri (Deca-BDE),octabromdifenileteri (Octa-DBE) e pentabrodifenileteri (Penta-BDE). Nonostante il loro diffuso utilizzo, ad oggi, le informazioni sulla tossicità sono scarse e relative solo alla metà di questi composti.
I BFR hanno recentemente attirato l’attenzione del mondo scientifico per le somiglianze, in termini di destino, stabilità e accumulo ambientale, con “vecchie” classi di composti organoalogenati, come i PCB. I BFR sono sostanze persistenti e lipofile, con capacità di bioaccumulo nell’essere umano e nella fauna e flora selvatiche. Studi attuali hanno dimostrato come i alcuni BFR siano rinvenibili in ambienti molto lontani dai luoghi di produzione e/o uso e come i loro livelli siano in rapido incremento in tutti gli organismi viventi, uomo compreso (Birnbaum e Staskal, 2004).
I polibromodifenileteri (PBDE)
In linea teorica esistono 209 congeneri diversi di PBDE, presenti nei prodotti in percentuale dal 5% al 30%, ampiamente utilizzati nei dispositivi elettronici come computer e televisori ma anche nei tessuti e nella schiuma di poliuretano dei mobili e delle autovetture. Gli studi degli ultimi 15 anni, incentrati principalmente sui PBDE, hanno valutato la stabilità delle diverse miscele tecniche (Penta-BDE, Octa-BDE e Deca-BDE). Tra queste, la più importante in termini di produzione globale, è la Deca-BDE. Il Penta-BDE è sostanzialmente utilizzato solo in America, mentre l’Octa-BDE risulta essere il meno impiegato. Queste differenze possono ricondotte a restrizioni volontarie e alla successiva messa al bando del Penta-BDE in Europa (formalizzata nel luglio 2003) seguita poi da una restrizione all’uso del Penta-BDE e Octa-BDE nei dispositivi elettrici ed elettronici dal 1 luglio 2006 (Birnbaum e Staskal, 2004). Il Deca-BDE, sebbene nella formulazione originale meno tossico rispetto alle altre due miscele, sempre più evidenze scientifiche ne dimostrano la capacità di degradarsi nell’ambiente in furani e forme chimiche tossiche simili al Penta- BDE e Octa-BDE (Birnbaum e Staskal, 2004). Il Deca-BDE è ancora oggi in uso e rappresenta l’80% del mercato globale dei PBDE.
I principali congeneri d i PBDE sono il 47, il 99,il 100, il 153 e 154. Il BDE-47 e BDE-99 sono i composti predominanti delle miscele di Penta-BDE, arrivando a rappresentare il 75% della massa totale. Nelle miscele commerciali è presente circa il doppio del congenere 99 rispetto al 47, mentre il 153 e 154 sono presenti in quantità analoghe (Birnbaum e Staskal, 2004).
Il Penta-BDE è in grado di produrre effetti tossici già a basse dosi: a partire da concentrazioni di 0,6 mg/kg di peso corporeo, influisce negativamente sullo sviluppo neuro-comportamentale e, a dosi maggiori, sui livelli degli ormoni tiroidei in topi e ratti. L’Octa-BDE ha effetti tossici/teratogeni sui feti di topi e conigli (a partire da concentrazioni di 2 mg/kg di peso corporeo) e il Deca-BDE sulla morfologia di tiroide, fegato e reni di animali adulti (a partire da concentrazioni di 80 mg/kg di peso corporeo) (Darnerud, 2003). Studi di cancerogenicità, effettuati solo sul Deca- BDE, hanno evidenziato effetti a concentrazioni estremamente elevate e la IARC (1990) ha valutato il Deca-BDE come non classificabile cancerogeno per l’uomo.
Il destino ambientale dei PBDE sembra essere analogo a quello di altri inquinanti ambienta li strutturalmente simili, come i PCB, per i quali la maggiore fonte di esposizione per l’uomo è rappresentata dalla dieta (Darnerud et al., 2001). Attualmente mancano ancora i dati sulle possibili altre fonti di esposizione per l’uomo, sebbene sia noto che queste possano contribuire significativamente all’apporto totale di PBDE nell’organismo (Bocio et al., 2003). Le proprietà chimiche dei PBDE li rendono contaminanti ambientali ubiquitari e sussistono prove scientifiche sulla vasta gamma dei loro numerosi effetti avversi sulla salute (McDonald, 2002).
Le attuali conoscenze sulla tossicità dei BFR sono, comunque, inadeguate ad una completa comprensione del rischio. Sebbene esistano studi sugli effetti delle miscele commerciali, al fine di comprendere appieno il quadro tossicologico di questi composti , mancano ancora dati relativi ai singoli congeneri e ai loro metaboliti e/o prodotti di degradazione (Birnbaum e Staskal, 2004).
Sempre più numerosi sono, invece, le evidenze a sostegno delle proprietà di distruttori endocrini dei BFR (Branchi et al., 2003; Darnerud, 2003; Legler et al., 2003, Brown et al., 2004; Gill et al., 2004; Fonnum et al., 2006; Hemers et al., 2006).
20
BOX 8 – COMPOSTI PERFLUORURATI (PFC)
I composti perfluorurati sono sostanze chimiche di sintesi prodotte commercialmente, da oltre 40 anni, attraverso un processo di fluorurazione elettrochimica (Kissa, 2001). I PFC sono balzati all’attenzione pubblica negli ultimi cinque anni in seguito a studi che ne hanno dimostrato l’estrema persistenza, dovuta ai forti legami fluoro-carbonio nella molecola. Resistenti ai processi naturali di degradazione, alcuni PFC possono essere trasformati, nell’ambiente o negli organismi, in altri PFC ancora più stabili. Possiedono un’elevata capacità di bioaccumulo nel sangue e nel fegato degli organismi oltre ad un ampio quadro di effetti tossici.
I PFC possiedono un’ampia gamma di utilizzi, non solo in prodotti di marca come Teflon, Scotchgard e prodotti correlati, ma anche in una serie di prodotti industriali e di consumo, fra cui diversi rivestimenti di protezione e antimacchia per tappeti e abbigliamento, rivestimenti in carta, insetticidi e surfattanti (Kannan et al., 2004). La ragione dell’ampio utilizzo è strettamente correlata alla loro estrema persistenza ambientale. I PFC derivano dal perfluorottanosulfonil fluoruro (POSF), utilizzato come elemento base. A partire dal POSF, reazioni successive producono diversi altri composti fluorurati, fra cui il perfluoroctano sulfonato (PFOS) (Kissa, 2001; Olsen et al., 1999). I composti a base di POSF possono degradarsi o essere metabolizzati in PFOS (Olsen et al., 1999), sostanza stabile, chimicamente inerte, non reattiva e fortemente bioaccumulabile (Key et al., 1997; Moody e Field, 2000; Giesy e Kannan, 2001).
FOSA (perfluoroctanosulfonamide), PFOA (acido perfluoroctanoico) e PFHxS (perfluoroesano sulfonato) sono intermedi di produzione di diversi composti perfluorurati; FOSA e PFOA vengono utilizzati anche in varie applicazioni: il FOSA viene impiegato come insetticida (Sulfluramide) contro scarafaggi, termiti e formiche (Vitayavirasuk e Bowen; 1999); il PFOA rappresenta un’impurità di diverse formulazioni di sostanze chimiche perfluorurate, incluse le schiume ignifughe a base acquosa (Moody e Field, 2000).
PFC sono stati rinvenuti nei tessuti corporei degli organismi di tutto il mondo, uomo compreso. Il PFOS è stato identificato in campioni di siero umano provenienti da individui professionalmente e non-professionalmente esposti, oltre che in varie specie di animali selvatici (Olsen et al., 1999; Giesy e Kannan, 2001; Hansen et al., 2001; Kannan et al., 2001a; 2001b; 2002b; 2002c); FOSA, PFHxS e PFOA sono stati rilevati nel sangue umano (Hansen et al., 2001) ma esistono ancora pochi studi che ne descrivono la presenza nella fauna selvatica.
È stato dimostrato che PFOS e PFOA hanno effetti dannosi sulle membrane cellulari e sono in grado di interferire nei processi di comunicazione fra cellule (Hu et al., 2003). Tali effetti possono portare a declino della memoria, problemi d’apprendimento, diminuzione dei tempi di risposta dei riflessi e morte neonatale nei ratti di laboratorio (Austin et al., 2003; Grasty et al., 2003; Lau et al., 2003; Thibodeaux et al., 2003). Danni al fegato sono stati osservati nei topi selvatici che vivono nei pressi di impianti di produzione di sostanze contenenti fluoro (Hoff et al., 2004).
I PFC sono oggi diventati contaminanti ubiquitari. Queste sostanze chimiche sono state rilevate nell’aria di ambienti aperti e chiusi, in fiumi, laghi e acque freatiche, in effluenti di trattamento delle acque di scolo, in discariche e nell’ambiente marino. Negli ultimi anni una ricerca ha rivelato che il PFOS, tra i PFC, è il composto maggiormente rintracciabile negli esseri viventi. Altri PFC, come il PFOA e i perfluorocarbossilati a catena lunga, sono ugualmente rintracciabili, ma spesso a concentrazioni inferiori.
L’UE sta attualmente preparando un piano di restrizione del PFOS in relazione a diversi usi. Sempre più ricerche scientifiche attribuiscono, infatti, ai PFC numerosi effetti avversi sulla salute oltre a dimostrarne le proprietà di distruttori endocrini (Austin et al., 2003; Hekster et al., 2003; Lau et al., 2004; Harada et al., 2005; Nakayama et al., 2005; Lau et al., 2006; Maras et al., 2006).
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RRiisscchhii ee bbeenneeffiiccii ddee ll ccoonnssuummoo ddii ppeessccee :: uunn pprroobblleemmaa ppeerr llaa ssaalluuttee ddee llll’’uuoommoo ee ddee llll’’aammbbiieennttee
I distruttori endocrini (EDC) sono sostanze chimiche di sintesi di origine antropica in grado di viaggiare
attraverso tutti i continenti e gli oceani. Alcune aree geografiche risultano più esposte di altre alla minaccia:
tra queste il Mar Mediterraneo e gli organismi che vi vivono (Ankley et al., 1998).
I contaminanti nel pesce provengono essenzialmente dall’acqua in cui vivono e dal cibo che mangiano
(EFSA, 2005); la quantità di sostanze chimiche accumulate da un pesce dipende da:
- la posizione trofica - nei pesci all’apice della catena alimentare sono presenti concentrazioni più alte
di contaminanti;
- il contenuto di grasso - molte sostanze chimiche si accumulano nel tessuto adiposo e, di conseguenza,
pesci con una massa grassa maggiore presentano un potenziale di accumulo più alto;
- l’età - pesci più vecchi e più grandi presentano generalmente livelli più alti di contaminazione rispetto
a pesci più giovani e più piccoli;
- i livelli di contaminazione dell’ambiente in cui vivono - la concentrazione di sostanze chimiche può
variare da un posto a un altro a causa di una combinazione di diversi fattori sociali, storici e naturali.
Oltre a rappresentare un componente essenziale dell’ecosistema, che opera a diversi livelli trofici nel mare,
da consumatore primario di piante e detriti a carnivoro e saprofago, il pesce riveste, dal punto di vista
nutrizionale, una grande importanza come fonte di proteine, acidi grassi (acidi grassi polinsaturi a catena
lunga omega 3: l’EPA [acido eicosapentaenoico] e DHA [acido docosaesaenoico]), vitamine e minerali. Il
consumo di pesce apporta benefici al sistema cardiovascolare (vasodilatazione, effetto antiaggregante e
antinfiammatorio) e allo sviluppo fetale (ISSFAL, 1994). Prestigiosi istituti internazionali hanno redatto
linee guida ufficiali relative al consumo di pesce (vedi National Academy of Sciences, Dietary Guidelines
Committee Report e l’American Heart Association).
Dall’altro lato, il pesce può rappresentare per l’uomo una via di esposizione ad alcuni contaminanti, tra cui
composti organoclorurati persistenti, ritardanti di fiamma bromurati e composti organostannici; persone la
cui dieta è molto ricca di pesce possono superare i limiti massimi ammissibili. L’esposizione cronica,
attraverso il consumo di pesce, a livelli elevati di questi contaminanti può rappresentare un fattore di rischio
per la salute (EFSA, 2005).
Le linee guida per la sicurezza alimentare associata al consumo di pesce, che forniscono la stima della
quantità di sostanze che può essere ingerita quotidianamente senza che vi siano rischi apprezzabili per la
salute, si basano sui dati di tossicità relativi solo a pochi composti, a causa del fatto che, generalmente, i dati
su altri noti contaminanti presenti nel pesce (come pesticidi e PBDE) risultano a tutt’oggi ancora carenti.
Dato che l’alimentazione costituisce la principale via di esposizione ai contaminanti tossici, i dati sulla dose
giornaliera ammissibile di EDC risultano essere estremamente importanti e rappresentano la base
indispensabile per un’adeguata valutazione del rischio. In aggiunta, gli esseri umani sono esposti non a un
22
singolo composto con proprietà di distruttore endocrino ma ad un “cocktail” di tali sostanze ed è dunque
necessario considerare la possibilità che queste possiedano effetti tossici additivi e/o sinergici. La capacità di
metabolizzare ed espellere i contaminanti variano, inoltre, da persona a persona: alcuni soggetti possono
risultare particolarmente suscettibili all’effetto degli EDC a causa del loro assetto genetico, ad esempio per la
presenza di enzimi deputati al metabolismo degli EDC poco funzionali (Del Pup, 2006). Un ulteriore fattore
di complicazione nel processo di identificazione del rischio è rappresentato dal fatto che alcuni EDC possono
causare effetti negativi sulla salute già a concentrazioni molto basse (“ipotesi del basso dosaggio” [EPA,
2002]).
Per ulteriori informazioni sui rischi e benefici correlati al consumo di pesce si faccia riferimento ai seguenti
recenti studi: Morrissey (2006), Foran et al., (2005), Cohen et al., (2005), Gochfeld et al., (2005).
LLoo ss ttuuddiioo ssuull ppeessccee ssppaaddaa
Per monitorare i livelli di contaminazione del pesce spada da EDC sono stati analizzati due tessuti: il fegato e
il muscolo. Il fegato, sebbene non venga consumato
nell’alimentazione umana, è il principale organo di accumulo di
queste sostanze.
I dati di questo studio sono stati presentati al 37° Congresso SIBM
(Società Italiana di Biologia Marina) tenutosi a Grosseto dal 5 al 10
giugno 2006, organizzato dal Dip. di Scienze Ambientali "G.
Sarfatti" dell'Università di Siena. Gli atti del convegno sono stati
pubblicati sulla rivista scientifica Biol. Mar. Medit. (2006); 13 (2):
336-337 con il titolo “Contaminanti emergenti in Xiphias gladius
dell'area tirrenica” (C. Guerranti, G. Perra, I. Bisogno, S. Focardi).
Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla pubblicazione originale.
17 individui adulti di pesce spada (Xiphias gladius), 10 maschi e 7
femmine, di età diverse, peso tra 11 e 93 kg e lunghezza tra 100 e
205 cm, sono stati catturati fra marzo e aprile 2005 nel Mediterraneo (Mar Tirreno sud-orientale, vedi figura
1).
Dai pesci catturati, sono stati prelevati 29 campioni di tessuto: 17 campioni di muscolo e 12 campioni di
fegato. I campioni sono stati analizzati14 per valutare le concentrazioni dei seguenti 28 composti:
- 7 residui di pesticidi organoclorurati:
o il fungicida esaclorobenzene (HCB);
14 I composti organoalogenati e perfluorurati nei campioni di pesce spada sono stati analizzati con il metodo analitico
descritto da Kannan et al. (2001a) e Hansen et al. (2001)/Kannan et al. (2001b), rispettivamente.
Figura 1. Cartina dei siti di campionamento dei pesci spada
Isole Eolie
- 19 ritardanti di fiamma bromurati: congeneri dei polibromodifenileteri (PBDE);
- 2 composti perfluorurati: perfluoroctano sulfonato (PFOS) e acido perfluoroctanoico (PFOA).
CCoossaa mmoossttrraannoo ii ddaattii
È stata osservata un’alta variabilità nei livelli di contaminazione dei tessuti, fenomeno comune quando si
lavora con campioni biologici. Non è stata rilevata nessuna correlazione statistica fra livelli d’inquinamento e
il sesso, il peso o la lunghezza dei pesce spada.
Tabella 1: Pesci spada risultati positivi ai contaminanti analizzati
HCB pp-DDE PBDEs BDE-47 BDE-100 BDE-99 PFOS/PFOA
n° di pesci positivi /
n° di pesci esaminati 7/17 17/17 16/17 16/16 10/16 6/16 0/17
% dei pesci positivi 41,1% 100% 94,1% 100% 62,5% 37,5% 0%
Da quanto risulta agli autori, questo studio riporta i primi dati sulla contaminazione del pesce spada dell’area
mediterranea da parte di alcuni tra i più utilizzati ritardanti di fiamma bromurati: i polibromodifenileteri
(PBDE), composti altamente persistenti e bioaccumulabili, sulla cui presenza nelle specie del Mediterraneo
si hanno ancora pochi dati. Le miscele di uso commerciale Penta- e Octa-BDE, sebbene siano state messe al
bando nell’Unione Europea nel 2004, vengono ancora utilizzate in altre parti del mondo e, dunque,
continueranno a persistere nell’ambiente marino per molti anni.
I ritardanti di fiamma sono stati rinvenuti in tutti gli esemplari di pesce spada, a eccezione di uno.
Concentrazioni di PBDE tra 189 a 11.184 pg/g di peso fresco [p.f.] sono state riscontrate nei campioni di
fegato analizzati, mentre nei campioni di muscolo i valori di concentrazione risultano compresi tra <0,04-
1882 pg/g p.f. I congeneri prevalenti sono risultati il BDE-47 e il BDE-100, due dei più comuni composti
rinvenuti negli organismi marini.
A differenza dei composti organoclorurati, che sono stati rintracciati in tutti i campioni analizzati, PFOA e
PFOS non sono stati rilevati. I dati sulla contaminazione del pesce spada da composti organoalogenati
persistenti sono in generale comparabili con i livelli osservati in precedenti studi, sebbene il pp’-DDE (un
metabolita del DDT) mostri concentrazioni leggermente più alte rispetto ad altre ricerche condotte sulla costa
italiana. In linea generale, nonostante negli ultimi 15 anni le concentrazioni dei composti organoclururati
siano andate diminuendo, a tutt’oggi, malgrado le forti restrizioni e/o la messa al bando del DDT, i suoi
isomeri e metaboliti (specialmente il pp’-DDE) sono ancora rintracciabili in concentrazioni medie di 173
ng/g p.f. nel muscolo e di 309 ng/g p.f. nel fegato di pesce spada. I livelli del pesticida HCB, anch’esso
24
messo al bando, sono bassi e risultano compresi tra <0,01 e 0,53 ng/g p.f. nei campioni di muscolo e tra
<0,01 a 0,84 ng/g p.f. nei campioni di fegato. Come atteso, i livelli di tutti i composti analizzati sono risultati
più alti nel fegato che nel muscolo.
a) Risultati relativi ai composti organoalogenati (HCB e DDT) nel pesce spada
L’inquinamento da composti organoalogenati (HCB e DDT) è diffuso in tutto il mondo, come dimostrato dal
loro rilevamento sia negli esseri umani sia nella fauna selvatica. In ambiente marino, le aree costiere sono
considerate i recettori principali delle emissioni urbane, industriali e fluviali. Al contrario, scarsa attenzione
viene riservata agli ecosistemi marini in mare aperto (Storelli e Marcotrigiano, 2006) che risultano invece
ampiamente contaminati dai POP. Il pesce spada, predatore pelagico al vertice della catena alimentare
marina, possiede un elevato potenziale d’accumulo di questi inquinanti. Per maggiori approfondimenti su
composti analizzati si rimanda al box 5.
Concentrazioni di HCB:
Le concentrazioni di HCB rilevate nei 29 campioni di fegato e muscolo di pesce spada risultano basse e
spesso al di sotto dei limiti di rilevabilità del metodo (intervallo di valori: muscolo tra <0,01 e 0,53 ng/g di
p.f.; fegato tra <0,01 e 0,84 ng/g p.f.). 8 campioni risultano positivi all’HCB (5 campioni di muscolo e 3 di
fegato). I valori di HCB risultano generalmente superiori nei campioni di pesce spada prelevati nei pressi
delle coste della Calabria rispetto a quelli provenienti dalle Isole Eolie.
Tabella 2: Media delle concentrazioni di HCB nel pesce spada
per area di cattura e tipo di tessuto analizzato
Media delle concentrazioni HCB (ng/g p.f.) Area di cattura
Muscolo Fegato
Calabria 0,13 0,16
Lo studio effettuato da Corsolini et al. (2005), su campioni di pesce spada provenienti dalla costa nord-
orientale della Sicilia, mostra una concentrazione media di HCB inferiore al limite di rilevabilità nel muscolo
e una concentrazione di 1,1 ng/g p.f. nel fegato. I valori di contaminazione nel fegato trovati da Corsolini e
collaboratori sono inferiori ai valori riportati in questo studio, a differenza delle concentrazioni medie nel
muscolo, che, invece, risultano più elevate (figura 2).
25
0,0
0,2
0,4
0,6
0,8
1,0
1,2
dati di Corsolini et al., 2005
Figura 2. Confronto delle concentrazioni medie di HCB nel muscolo e nel fegato di pesce spada
rinvenute in questo studio e nello studio di Corsolini et al. (2005).
Concentrazione di DDT
Per quanto riguarda il DDT e i suoi isomeri e metaboliti, il pp'-DDE (principale prodotto di degradazione del
DDT), è stato rilevato in tutti i campioni analizzati. Il pp'-DDE è il composto prevalente del gruppo del
DDT, e rappresenta il 78% e il 76% del DDT totale riscontrato rispettivamente nel muscolo e nel fegato, il
che dimostra ulteriormente l’elevata stabilità di questo composto nell’ambiente.
0
50
100
150
200
250
dati di Corsolini et al., 2005
dati di Stefanelli et al., 2005
Figura 3. Confronto delle concentrazioni medie del pp’-DDE, nel muscolo e nel fegato di pesce spada,
ottenute in questo studio con altri dati di letteratura.
26
Il rapporto tra il pp'-DDE e il DDT totale può essere utilizzato come indice della presenza di nuove fonti
d’immissione del DDT nell’ecosistema. Il valore 0,6 viene utilizzato come soglia (Tsydenova et al., 2004):
un rapporto maggiore di 0,6 indica la mancanza di immissioni recenti di DDT (Stefanelli et al., 2004). Nei
campioni di fegato e muscolo analizzati, questo rapporto è pari, rispettivamente, a 0,79 e 0,75. Di
conseguenza, in base a questi dati, sembra che non vi siano nuove, significative immissioni di DDT
nell’ecosistema del Mediterraneo.
I risultati delle concentrazioni medie di DDT ottenuti in questo studio sono stati paragonati con i dati
riportati da Corsolini et al., (2005) relativi a pesci spada catturati a largo della costa nord-orientale della
Sicilia e da Stefanelli et al., (2004) relativi ad esemplari catturati nello Stretto di Messina (costa della
Sicilia). Nella figura 3 è riportato il confronto tra i dati: in entrambi i tessuti (fegato e muscolo) si osserva un
livello di contaminazione maggiore nei campioni analizzati in questo studio.
Uno studio recente di Storelli e Marcotrignano (2006) su pesci spada prelevati nel Mar Ionio mostra, nei
tessuti epatici, livelli di DDT in linea con i dati riportati da Stefanelli et al. (2004) e ancora una volta più
bassi dei risultati ottenuti in questo studio. I dati di Storelli e Marcotrignano (2006) confermano la maggiore
percentuale del metabolita pp'-DDE sul DDT totale e affermano che i livelli di contaminazione del pesce
spada sono paragonabili a quelli di altri pesci del Mediterraneo con una posizione trofica simile (come lo
squalo e il tonno).
b) Risultati relativi ai ritardanti di fiamma nel pesce spada
Esistono diverse miscele commerciali di PBDE, costituite dalla combinazioni di alcuni dei 209 congeneri.
Sta crescendo, negli ultimi anni, la preoccupazione relativa ai possibili effetti tossici dovuti all’esposizione a
questi composti: sono, infatti, sempre più numerose le evidenze scientifiche che ne dimostrano l’attività di
distruttori endocrini.
A conoscenza degli autori, questo studio ha messo a punto, per la prima volta in Italia, un metodo di analisi
per rilevare, nel pesce spada, la presenza di un’importante classe di ritardanti di fiamma: i PBDE, composti
persistenti e bioaccumulabili.
I PBDE sono stati trovati in 16 dei 17 esemplari di pesce spada analizzati (in tutti i campioni di fegato e in 13
campioni di muscolo). I livelli di concentrazione mostrano una contaminazione del muscolo di un ordine di
grandezza più basso rispetto al fegato. Concentrazioni di PBDE tra 189 a 11.184 pg/g p.f. sono state
riscontrate nei campioni di fegato analizzati, mentre nei campioni di muscolo i valori di concentrazione
risultano compresi tra <0,04 e 1882 pg/g p.f.
27
0
500
1000
1500
2000
2500
PBDE 28
PBDE 47
PBDE 49
PBDE 66
PBDE 71
PBDE 99
PBDE 100
PBDE 154
somma PBDE
pg /g
p .f.
media muscolo
media fegato
Figu