ConsultoriFamiliari oggi 1-2_09.pdf · Liliana Zani Minoja Direzione - Redazione Largo F. Vito, 1...

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Il Consultorio Familiare come presidio educativo del territorio Il dono della relazione. All’origine della vita psichica Il principio della bigenitorialità nella legge n. 54/2006: “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” Il segreto di stare bene insieme Un’esperienza di educazione sessuale agli adolescenti nelle scuole superiori milanesi oggi Consultori Familiari Organo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana Numero 1-2 - 2009 - anno 17 “Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BRESCIA”

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• Il Consultorio Familiare come presidio educativo del territorio

• Il dono della relazione. All’origine della vita psichica

• Il principio della bigenitorialità nella legge n. 54/2006: “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”

• Il segreto di stare bene insieme

• Un’esperienza di educazione sessuale agli adolescenti nelle scuole superiori milanesi

oggiConsultoriFamiliari

Organo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana

Numero 1-2 - 2009 - anno 17

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In copertina rielaborazione del dipinto "Ballo a Bougival" (1883) di Renoir, Museum of Fine Arts, Boston

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Consultori Familiari Oggi

Organo di informazione e formazionedella Confederazione ItalianaConsultori Familiaridi Ispirazione Cristiana (ONLUS)

Autorizzazione del Tribunale di Roman. 432 del 2-10-1993

Direttore Responsabile: Goffredo Grassani

Direttore Editoriale: Domenico Simeone

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Segreteria di Redazione: Sandro De Toni

Comitato Scientifico: Francesca BaroneCesare Massimo BiancaRaffaele CananziIgnacio Carrasco De PaulaGiuseppe NoiaLuigi PatiPier Paolo OttonelloAngelo SerraLiliana Zani Minoja

Direzione - RedazioneLargo F. Vito, 1 00168 RomaTel. 06 30.17.820Fax 06 35.019.182e-mail: [email protected]. 70853007

Impaginazione e Stampa:AGVA S.r.l.Bagnolo Mella - Brescia

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1. Gli articoli vanno inviati al seguente indirizzo: Domenico Simeone Università Cattolica del Sacro Cuore Via Trieste, 17 25121 BRESCIA corredati dal relativo file di Word per Windows su supporto magnetico, oppure possono essere

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golette “…” e, nel caso di omissioni all’interno di un brano, indicarle con […]; j) le citazioni in nota a piè di pagina vanno redatte secondo i seguenti criteri: - citazione da libri Iniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgola,

titolo del volume in corsivo seguito dalla virgola, casa editrice, luogo e anno di edizione, in tondo e separati da virgole, eventuale indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferimento (pp.) seguite dal numero.

Esempio: L. PATI, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, La Scuola, Brescia, 2004, pp. 36-37.

- citazione da riviste Iniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgola,

titolo del contributo in tondo e tra virgolette “…” seguito dalla virgola, in titolo della rivista per esteso in corsivo seguito dalla virgola, anno di pubblicazione seguito dalla virgola, numero della rivista in corsivo seguito dalla virgola, indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferimento (pp.) seguite dal numero.

Esempio: G. NOIA, “L’embrione: il figlio sconosciuto”, in Consultori Familiari Oggi, 2003, 2-3, pp. 27-41.

- citazione da volume collettaneo Iniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgola,

titolo del contributo in tondo e tra virgolette “…” seguito dalla virgola, in iniziale puntata del nome e cognome per esteso del curatore del volume in maiuscoletto seguito dall’indicazione (a cura di) e dalla virgola, titolo del volume in corsivo seguito dalla virgola, casa editrice, luogo e anno di edizione, in tondo e separati da virgole, eventuale indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferimento (pp.) seguita dal numero.

Esempio: A. SERRA, “Sessualità: natura e cultura”, in N. GALLI (a cura di), L’educazione sessuale nell’età evolutiva, Vita e Pensiero, Milano, 1994, pp. 23-66.

- in caso di opere già citate precedentemente indicare soltanto l’autore, il titolo del volume o del contributo e le pagine di riferimento.

Esempio: L. PATI, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, pp. 36-37.

Hanno collaborato

Anna Arfelli Professore ordinario di Psicologia dello sviluppo e Psicologia

dell’educazione - Università degli Studi di Macerata

Guido Banzatti Psicologo, psicoterapeuta, Consultorio “La Famiglia - Milano

Maria Boerci Ginecologa, Consultorio CAMEN - Milano

Raffaele Cananzi Presidente della Commissione giuridica della Confederazione

Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana

Michele Corsi Professore Ordinario di Pedagogia generale e sociale -

Università degli Studi di Macerata, Presidente della SIPED (Società Italiana di Pedagogia)

Roberta De Coppi Psicologa, psicoterapeuta, Consultorio La "Famiglia" - Milano

Daniela Levaro Belgrano Consulente familiare - Consultorio CIF - Genova

Mariella Mentasti Educatrice e Formatrice, Cooperativa La Rete - Brescia

Pietro Romeo Consulente ecclesiastico Federazione Calabra

Domenico Simeone Direttore editoriale della rivista “Consultori Familiari Oggi”

- Professore Associato di Pedagogia generale e sociale - Università degli Studi di Macerata

Chiara Sirignano Professore Associato di Pedagogia generale e sociale -

Università degli Studi di Macerata

Romolo Taddei Psicologo e psicoterapeuta, Direttore del Consultorio Familiare

d’Ispirazione Cristiana di Ragusa, fa parte dell’Istituto di “Gestalt Therapy H.C.C. Kairòs”

SommarioEditorialE

Domenico Simeone Pag. 3

FormazionE

Il Consultorio Familiare come presidio educativo del territorio Michele Corsi “ 7

Il dono della relazione. All’origine della vita psichica Anna Arfelli “ 29

Studi E ricErchE

Il principio della bigenitorialità nella legge n. 54/2006: “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”Chiara Sirignano “ 39

ProgEtti E attività

Il segreto di stare bene insiemeRomolo Taddei “ 51

Un’esperienza di educazione sessuale agli adolescenti nelle scuole superiori milanesi. Alcune riflessioniGuido Banzatti, Roberta De Coppi, Maria Boerci “ 67

dalla conFEdErazionE

La realtà sociale della famiglia in Calabria Raffaele Cananzi “ 81

La pastorale della famiglia Pietro Romeo “ 89

Calabria: Consultori Familiari federati in una regione del Sud Raffaele Cananzi “ 101

tEStimonianzE

Alzheimer: solo paura e tragedia? Testimonianze e riflessioni nell’arco della vita

Daniela Levaro Belgrano “ 109

corSi E convEgni “ 127SchEdE BiBliograFichE “ 145

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Edito

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Editoriale

Nel libro La scomparsa dell’infanzia, Neil Postman sottolinea, in modo provocatorio, come l’infanzia non trovi posto in una società consumistica e competitiva. Egli sostiene che i genitori, coinvolti nelle attività lavorative e nella carriera, hanno poco tempo da dedicare ai figli e chiedono loro di crescere in fretta. I genitori spingono i bambini a diventare piccoli adulti; a questo proposito Marie Winn parla di “bambini senza infanzia”. I bambini diventano superoccupati e iperstimolati, ma non han-no più tempo per giocare, per socializzare con i coetanei e i genitori si trasformano in “taxisti” impegnati ad accompagnare i figli alle varie attività. Nella prospettiva dell’educazione dob-biamo chiederci se questa affannosa rincorsa alla ricerca del massimo sviluppo delle capacità cognitive giovi ai bambini o risponda alle attese cariche di proiezioni narcisistiche dei ge-nitori. Il figlio, quando è visto come un prolungamento di sé, come una ulteriore opportunità per appagare le proprie aspira-zioni, per ottenere conferme circa il proprio ruolo genitoriale, è investito di aspettative e attese irrealistiche che lo schiaccia-no, soffocando la possibilità di una sua piena realizzazione. Il mancato riconoscimento dell’individualità del figlio impedisce lo stabilirsi di un adeguato rapporto educativo basato sul rispet-to reciproco e sullo scambio relazionale.

Domenico Simeone

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Spesso da parte dei genitori c’è un iperinvestimento nei con-fronti della crescita dei figli con la tendenza a bruciare le tappe, inseguendo il mito della “precocità” nel tentativo di non far perdere al proprio figlio le migliori opportunità per l’afferma-zione e il successo sociale. L’educazione dei figli è vissuta come un importante investimento; il figlio diventa un bene tanto più prezioso, quanto più raro e i genitori concentrano su di lui tut-te le loro risorse e aspettative. Tale iperinvestimento si tradu-ce, sotto l’aspetto emotivo e relazionale, in un atteggiamento protettivo volto a preservare i figli da esperienze frustranti e dolorose. I genitori fanno ogni sforzo per eliminare il dolore e le frustrazioni connaturate a ogni processo di crescita e di separazione. Paradossalmente, così facendo, nel tentativo di avere figli felici, crescono figli fragili, incapaci di far fronte alle difficoltà, insicuri rispetto alle proprie capacità. Se il genitore soddisfa ogni richiesta del figlio, se non lo aiuta ad affrontare progressivamente le frustrazioni che incontra nel processo di crescita, lo priva dell’opportunità di sviluppare gli strumenti necessari per affrontare la vita. Ogni limite rappresenta anche una occasione di crescita. Aiutare i figli a cogliere il senso del limite significa anche aiutarli a sviluppare le proprie capacità. La frustrazione, se ragionevole e commisurata alle possibilità del ragazzo, lo stimola all’impiego delle proprie risorse e lo rende “competente”. Ciò che è davvero importante non è pre-servare i figli dalle frustrazioni, ma assumere una funzione di “mediazione educativa”, offrendo loro la possibilità di affron-tare e superare le difficoltà commisurate alle proprie capacità e risorse. È necessario che i genitori siano capaci di dialogare, mantenendo un equilibrio dinamico e sviluppando la capacità di adattamento flessibile, creativo, al cambiamento, senza per-dere il controllo della relazione. L’esperienza quotidiana spinge i genitori a interrogarsi non soltanto su ciò che avviene nei figli, ma anche sui mutamenti, che riguardano la coppia coniugale di fronte al cambiamento della prole. Anche i genitori si trovano impegnati in un processo di crescita e di cambiamento, e, in alcune circostanze, hanno bisogno di trovare luoghi accoglienti, come i Consultori Familiari, e operatori preparati in grado di accompagnarli e sostenerli nel difficile compito di educare.

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Formazione

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Il Consultorio Familiare come presidio educativo del territorio Michele Corsi

PremessaLa legge quadro n. 405/1975, istitutiva dei Consultori Fa-miliari (d’ora in poi: CF) in Italia, e le successive leggi regionali, che l’hanno attuata sul territorio nazionale, hanno sancito ufficialmente la legit-timità del pluralismo in tema di “servizi alla persona, alla coppia e alla famiglia”, affer-mando che i Consultori, oltre a venire promossi da parte dei Comuni o dei loro consorzi, potevano essere aperti “an-che da istituzioni o da enti pubblici e privati” che non avevano scopo di lucro. Tale principio ha consentito, oltre trent’anni fa, la crea-zione di una varietà di orga-nismi, ognuno di fatto con

una propria fisionomia (per-sino all’interno delle strut-ture pubbliche), che hanno rappresentato una risposta ai vari orientamenti ideologici del popolo italiano e permes-so il manifestarsi di differenti esperienze che hanno aiutato a riconoscere meglio i bisogni degli utenti e concorso a im-postare con maggiore corret-tezza, ma non a risolvere, la “domanda iniziale”. Questo almeno se la nota prevalente di questo servizio doveva – o debba – essere di natura psi-co-socio-pedagogica oppure sanitaria, come quella che ha ispirato, in fondo, quasi tut-te le leggi regionali attuative della 405 e gli stessi ambiti pubblici, specie dopo il loro

Premessa

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passaggio alle strutture sani-tarie locali1. Comunque, al di là del mo-tivo ispiratore della 405 che ha configurato il CF come un servizio allo stesso tempo po-livalente e onnicomprensivo, principalmente a motivo del compromesso politico della sua “scrittura”, il testo giu-ridico nazionale non ha chia-rito – né lo poteva – il nesso formale in grado di unificare questi due versanti e la stessa possibilità concreta, a livello normativo, di una siffatta e complessa fisionomia.Accanto ai Consultori pubbli-ci sono sorti così (proprio in virtù del pluralismo) i CF di ispirazione cristiana (riuniti dal 1978 nella Confederazio-ne italiana dei Consultori Fa-miliari di ispirazione cristiana: C.F.C.), altri di matrice pros-sima (anche se non dichia-rata) alla visione evangelica del matrimonio e della fami-glia, come quelli che fanno capo all’U.C.I.P.E.M., quelli dell’A.I.E.D. (attualmente in fortissimo calo di visibilità e

presenza), unitamente a varie altre strutture connesse a di-verse impostazioni e con “si-gle” differenti.L’obiettivo di questo contri-buto sarà pertanto - alla luce dell’ampia e significativa let-teratura nazionale e interna-zionale edita in proposito e della documentata esperienza, anche personale, effettuata come operatore direttamente coinvolto in tale ambito per quasi venticinque anni (dal 1976 al 2000) - di delineare quelli che ritengo dovrebbero essere ormai la caratteristica di servizio del CF in Italia e il modello teorico-pratico fonda-mentale della sua organizza-zione interna e delle funzioni che è chiamato ad assolvere intra-moenia ed extra-moenia, con particolare attenzione al futuro che lo attende e al la-voro di rete2.

La specificità del Consultorio FamiliareA voler essere scientificamen-te corretti e rispettosi dell’ori-ginalità di questa struttura

1 Infatti l’esperienza del pluralismo non ha risolto le difficoltà, le contraddizioni e le ambiguità pure della migliore pratica possibile dei CF nel nostro Paese soprattutto a causa della mancanza di una loro verifica, seria e collegiale, anche dopo molti anni di vita.

2 Cfr. M. Corsi, Famiglia e Consultori Familiari. Una risposta educativa, Vita e Pensiero, Milano, 1988 e l’intera produzione scientifica apparsa sulla rivista Consultori Familiari Oggi, organo della C.F.C., sin dal suo primo numero. Una segnalazione particolare me-rita comunque, in questo quadro storico, il primo Consultorio sorto in Italia nell’agosto 1943 all’indomani delle incursioni aeree che avevano semidistrutto Milano, quando don Liggeri, nel generale sfollamento di uomini e di iniziative, avvertì come un dovere che qualcuno rimanesse nella città devastata in soccorso di coloro che non avevano la possibilità di cercare riparo altrove. Così, con un gruppo ridottissimo di generosi collaboratori e quasi per rivalsa alle innumerevoli abitazioni distrutte, fondò l'Istituto "La Casa”, un modestissimo centro di iniziative di emergenza a favore di coloro che erano rimasti privi di risorse e, a volte, delle stesse suppellettili essenziali: i cosiddetti “sinistrati”.

La specificità del Consultorio

Familiare

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come di tutti gli altri organi-smi socio-sanitari-educativi esistenti nel nostro Paese, il Consultorio Familiare può es-sere definito attualmente qua-le presidio educativo nel terri-torio a servizio della persona, della coppia e della famiglia, di contro alle due tendenze fuorvianti e assolutizzanti, ri-scontrabili in Italia, del CF come luogo per eccellenza psicologico o psicoterapeu-tico (un fascino, questo, cui non si sono sottratti neppure alcuni Consultori della C.F.C. e dell’U.C.I.P.E.M.) o sanitario (che è stato il limite maggior-mente evidente di molti CF pubblici impegnati nel solo settore ostetrico-ginecologico e anche di taluni Consultori, cosiddetti privati, che hanno privilegiato, in forma eccessi-va o esclusiva e quale “tradu-zione” di questo “impegno”, l’insegnamento dei metodi naturali per il controllo della fertilità).Il compito del CF è di contro, a mio parere, quello di occupar-si della normalità-educazione della persona3, della coppia e della famiglia, e dunque dei problemi e delle fatiche (o anche delle “ferite”) che si possono riscontrare a questo livello, nella loro globalità e su ogni versante. Gli ambiti psicologico (ma non

già quello psicoterapeutico) e sanitario sono solo, cioè, due “servizi” tra i tanti che il CF è chiamato a offrire.Se, infatti, sono la perso-na e la persona in relazione (nell’apertura, dunque, alla coppia e alla famiglia) lo spe-cifico dell’intervento consulto-riale, molti altri sono e possono essere, di fatto, i suoi bisogni: di natura giuridica, organiz-zativa, economica e persino etica o spirituale (in un Paese che non può dirsi, comunque, “non cristiano”, almeno per la sua storia plurisecolare).E lo specifico educativo del CF ritorna nelle due attività che lo caratterizzano, sia a livello di statuizione giuridica italiana sia nella complessa e artico-lata storia di questa struttura a livello per lo meno europeo (dalla Finlandia a Malta e a partire dai primissimi anni del secolo trascorso)4.La prima attività è la consu-lenza personale, coniugale e familiare (ove cambiano natu-ralmente, a seconda dei casi, il setting e le attenzioni stra-tegico-operative) come ambito di prima accoglienza, orienta-mento, guida e autorisoluzio-ne delle difficoltà “normali” (la “gestione del quotidiano” di ieri, oggi e domani, talora pesante per l’individuo con-temporaneo nella solitudine

3 Cfr. M. Corsi, Il coraggio di educare. Il valore della testimonianza, Vita e Pensiero, Milano, 2003.

4 Cfr. C.G. Vella (a Cura di), Gli operatori dei Consultori Familiari. Riflessioni sul funzio-namento e ruolo delle “equipes” dei consultori, Città Nuova Editrice, Roma, 1980.

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che l’attraversa e l’attanaglia) portate dall’utenza, a opera del consulente familiare, con l’affiancamento ulteriore e professionale delle figure spe-cialistiche (e dell’èquipe). Ma non già con la sostituzione del consulente familiare da parte di queste ultime o con una sua strisciante eliminazione per il tramite, magari, dello psicologo.Mi si comprenda però da su-bito: non è possibile, allorché si ragiona del significato e del valore anche futuro (e auspi-cabile) di un “servizio”, farsi carico dei problemi occupa-zionali o di visibilità di taluni ruoli professionali, come ad esempio, probabilmente, del-lo psicologo o del legale che si autoricicla attualmente pure quale mediatore familiare, con il rischio o il danno prospetti-co di snaturare il CF; e non si tratta nemmeno, per quanto si sosterrà in seguito, di soppri-mere la figura del consulente familiare (tutt’altro!), ma di rifondarla al meglio. Il prendersi cura della persona, della coppia e della famiglia nella loro globalità non può es-sere affidato, a mio parere, a un professionista “parcellare”, perché così, di fatto, la lettura e l’intervento non potrebbero che essere “parcellari”.Cuore e cardine, piuttosto, devono essere un ruolo e una funzione di approccio totale e sistemico, così come sono

la persona, la coppia e la fa-miglia (nella migliore e più accreditata letteratura oggi vigente) e quali sono il profi-lo e l’esercizio professionale assolti attualmente dal consu-lente familiare (o comunque si chiamerà domani colui che ricoprirà questo ruolo e questa funzione, medesimi o similari) insieme all’èquipe. Infine, la richiesta di sostegno portata in CF dall’utenza (mi riferisco al cosiddetto ambito di intervento psicoterapeutico) può e deve essere accolta, ma per venire educata e soprat-tutto riconosciuta dalla stessa utenza, perché il singolo sog-getto o quel nucleo coniugale e familiare si rendano conto, nell’eventualità, che necessi-tano di una prestazione spe-cifica e adeguata e, se richie-sto da costoro, indirizzati poi, nel lavoro di rete, ai servizi di psicoterapia e/o di neurologia pubblici e privati presenti sul territorio. Ma niente di più o di diverso.Non differentemente dev’es-sere anche per i problemi di ordine sanitario, su cui in sede di CF bisogna interveni-re solo se sono espressione di una difficoltà più ampia con-nessa ai vissuti del singolo e/o all’andamento della coppia o del nucleo familiare, oppure quando esigono un itinerario informativo o formativo nei confronti dell’accettazione, ad esempio, di una malattia

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(tale, però, che non affondi nell’inconscio delle persone coinvolte, o vi rinvii), oppure se la mancata prevenzione di un possibile futuro esito mor-boso può avere una ricaduta in termini relazionali sul più vasto sistema interpersonale. In assenza di tale quadro (che può estendersi pure all’utilità di offrire indicazioni di carat-tere giuridico – sul versante dei “diritti del malato” e dei “doveri del sistema sanitario”, economico o organizzativo), il dato di consultazione organi-ca a tale riguardo non può e non deve essere materia del CF, ma piuttosto delle strut-ture mediche o paramediche esistenti nel territorio o dei re-parti ospedalieri di pediatria, ostetricia e ginecologia ecc., comunque operanti. Né il CF può essere assunto a doppio-ne, tra l’altro inutile e finan-ziariamente costoso (proprio per la duplicazione che fini-rebbe con il rappresentare), degli ambiti appena citati.La seconda attività è l’edu-cazione nel territorio e alla comunità attraverso iniziati-ve “culturali” di prevenzione, informazione e formazione in ordine alla salute globale e al benessere della persona, della coppia e della famiglia, in sede o in luoghi quali, ad esempio, scuole, centri di quartiere, as-

sociazioni o movimenti, par-rocchie (perché escluderle?) ecc., secondo modalità o di-rettamente promosse e gestite dal CF o in collaborazione an-che con altre strutture, presidi o centri. Questo ambito di servizio del CF può riguardare pure la for-mazione dei formatori, come quella degli insegnanti sco-lastici, su alcune tematiche quali l’educazione sessuale o l’educazione dei genitori in relazione alla crescita dei figli (come nel caso delle “scuole per genitori”), degli operatori di pastorale familiare in rap-porto alla preparazione dei gio-vani o degli adulti alla vita ma-trimoniale e familiare, ecc.. Il tutto secondo precisi itinerari didattici che possano assume-re, di volta in volta, la forma seminariale o del gruppo di lettura, di discussione ecc., e sempre più raramente, ormai, la via della lezione frontale5.In sintesi, coniugando tra loro queste due azioni tipiche del CF e cogliendole come la ra-gion d’essere della struttura stessa, il quadro significativo di riferimento del CF è la pro-mozione delle capacità perso-nali, coniugali e familiari di natura educativo-relazionale, organizzativa e gestionale (in termini di risorse da acquisire e sviluppare) della salute per-

5 Cfr. in proposito G. lai, Gruppi di apprendimento, Boringhieri, Torino, 1973, ma anche a. arfelli Galli (a Cura di), Didattica interattiva e formazione degli insegnanti, CLUEB, Bologna, 1997.

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sonale, coniugale e familiare nella sua globalità, in cui si collocano poi i singoli saperi disciplinari presenti nell’èqui-pe e gli interventi, singoli o in-tegrati, che ne discendono.

Il ruolo del consulente fami-liareSe il ruolo cardine e ordina-tore del CF è soddisfatto, in termini temporali, dal consu-lente familiare (mentre figura cardine e ordinatrice, nella sua organizzazione “spazia-le”, è l’èquipe stessa) e se il CF si caratterizza, autentica-mente, anche nel rispetto di tutte le altre strutture presenti in un determinato territorio e del medesimo “lavoro di rete” quale “presidio educativo nel territorio”, ne consegue che la specificità della preparazione e della formazione del consu-lente familiare debba essere quella pedagogico-educativa, pure nella tipicità della sua di-mensione scientifica.È questa, d’altro canto, la na-tura (in altri termini, la com-petenza tipica e da trasmette-re), rispettate rigorosamente l’identità di struttura e di fun-zione del CF e quella di profi-lo e di esercizio professionale del consulente familiare, della stessa pedagogia sul versante epistemologico. A meno che non si voglia snaturare l’iden-tità culturale e di servizio del CF e del consulente familiare, e avere pregiudizi di parte, o

“settoriali”, in aggiunta. Mi riferisco anche all’art. 3 del-la legge quadro n. 405/1975 e, in modo specifico, a quello specialista ivi indicato come figura minimale necessa-ria in ognuno di tali contesti che è il pedagogista, e cioè lo scienziato dell’educazione. Un pedagogista, o scienziato dell’educazione, esperto nella consulenza familiare (o esper-to nelle relazioni educative familiari, così come è stato denominato in uno specifico corso di formazione post-lau-ream dell’Università Cattolica di Brescia) e nel CF; e, dun-que, in un ambito specifico di questo sapere scientifico teorico-pratico. Professionalità, questa del consulente familiare, che va rifondata e riposizionata, oggi, con maggiori dotazioni cultu-rali e strumentali e in assoluta parità per lo meno con tutti gli altri professionisti del CF, che sono in possesso, per la quasi totalità, di una laurea o addi-rittura di una specializzazione post-lauream. D’altro canto come è possibi-le sostenere, con sufficiente dignità di argomentazioni, la centralità del consulente fami-liare nel CF rispetto agli altri operatori, e del confronto tra costui e l’èquipe, se non lo si attrezza vieppiù culturalmente e giuridicamente, per mante-nerlo, invece, ancora in una sorta di limbo non riconosciuto

Il ruolo del consulente

familiare

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di un diplomato di scuola me-dia superiore con l’aggiunta di un corso privato biennale, o al massimo triennale, di consu-lente familiare?La C.F.C. o altre organizzazioni similari potrebbero o dovreb-bero, invece, curare poi, con propri corsi o ulteriori attivi-tà seminariali o di gruppo, la formazione permanente degli operatori. Occorre pertanto, anche a que-sto livello, una piena sinergia tra le esigenze scientifiche, di struttura e di dimensione or-ganizzativa di tutti i CF, i co-siddetti privati compresi, e il sistema della formazione sco-lastica, professionale e univer-sitaria esistente attualmente in Italia.

La specificità della pedagogia e la competenza del consulente familiareLa pedagogia, si sa, è una scienza complessa che orga-nizza, al proprio interno, una molteplicità di informazioni che provengono da saperi di-sciplinari diversi6. In particola-re ha un rapporto privilegiato (per quanto attiene specifica-mente al discorso qui svolto) con l’etica, la psicologia, la so-ciologia, il diritto, l’economia e la medicina (che sono com-petenze presenti e previste nel CF). Questo perché il suo og-getto di studio e di intervento

è l’educazione della persona, specie sul versante della sua normalità (delle differenze in-dividuali e delle “diverse abili-tà” si occupa altrimenti, più da presso, una branca della peda-gogia che è la pedagogia spe-ciale). Interessarsi dell’educa-zione dell’uomo e impegnarsi per la sua crescita richiedono, di fatto, il possesso di una se-rie vastissima di conoscenze, da mediare e sistematizzare in sede pedagogico-educativa, che riguardano appunto lo svi-luppo psichico dell’uomo (psi-cologia), l’ambiente o il con-testo in cui vive (sociologia, diritto ed economia), i valori che professa e verso i quali egli e l’habitat socio-culturale si orientano o da cui si allon-tanano (etica), la sua saluta fi-sica globale (medicina). E poi, di volta in volta, a seconda dei casi e delle persone con cui si lavora (e non su cui si lavora, perché nulla è più distante dalla pedagogia dell’intenzio-ne manipolatoria!), dovere e potere (in quanto “informati in situazione”) ricorrere a tut-to un caleidoscopio di scienze (nel CF: a una serie di compe-tenze che sono quelle lì pre-senti, attraverso collaborazioni integrate, e all’èquipe), che vanno dall’antropologia alla didattica, alla teologia, ecc..Questi rapidissimi cenni sul discorso pedagogico e sul suo

6 Cfr. M. Corsi, Come pensare l’educazione. Verso una pedagogia come scienza, La Scuola, Brescia, 1997.

La specificità della pedagogia e la competenza del consulente familiare

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campo di intervento, confron-tati con la definizione struttu-rale e operativa già offerta del CF, fanno ulteriormente emer-gere, a mio parere, e con suf-ficiente immediatezza, come il ruolo di fatto esercitato dal consulente familiare descriva concretamente una funzione pedagogico-educativa e come la cabina di regia scientifica entro cui egli colloca (o può collocare) i suoi saperi e da cui ricavare le sue chiavi di lettura e le sue richieste di co-operazione, le sue strategie di intervento analitiche o sinteti-che, sia di per sé la pedagogia, nel taglio della sua comples-sità, della sua composizione interna e della sua stessa fi-nalità storica ed ermeneutica. Non è, quindi, un’operazione di alta chirurgia estetica o un doppio o triplo salto mortale di tipo teorico od operativo collo-care la specificità della com-petenza e dell’esercizio del consulente familiare all’inter-no dell’ambito propriamente pedagogico e del suo avvalora-mento epistemologico.Ancora due osservazioni.L’evento consultoriale di pri-ma istanza, o la consulenza a opera del consulente familiare (prima dell’intervento diretto o mediato degli altri specia-listi, nell’èquipe), è di per sé una relazione educativa tra due o più soggetti (uno o al-cuni con funzioni di educan-do: ad esempio, gli utenti),

in un ambiente (i contesti di appartenenza delle persone coinvolte e, in questo caso, pure il CF). Nel rapporto edu-cativo gli individui presenti (educatori ed educandi) sono tutti attori e co-protagonisti con pari e assoluta dignità, pure nella varietà delle loro cognizioni e delle loro storie personali, autointerrogantisi e in crescita-ricerca costante, centrati sulla relazione e sul compito: il motivo, ad esem-pio, per cui si è richiesta una determinata consulenza ed essa viene offerta. Si ha così una nuova conferma episte-mologica delle considerazioni sin qui svolte in pedagogia (la teoria a monte) anche in sede educativa (l’oggetto di studio della pedagogia: la prassi a valle) con l’evidenziazione, pure nel setting consultoria-le, della proprietà della per-tinenza pedagogico-educativa dell’intervento consultoriale di primo livello e della teleologia globale dello stesso.È chiaro, poi, che nessuno scienziato o operatore di valo-re oggi agiscano da soli, al di fuori di altri contesti di con-fronto, di collaborazione o su-pervisivi, per la limitatezza dei saperi di cui dispongono e di cui per contro necessitano per le loro strategie di intervento. Una sottolineatura, quest’ul-tima, che segnala ancora una volta, semmai ce ne fosse bi-sogno, l’assoluta centralità

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dell’èquipe consultoriale, an-che in termini di supervisione, nei riguardi del singolo consu-lente familiare come di ogni altro componente dell’èquipe.

La consulenza come orienta-mentoConsulenza e orientamento, in qualche modo, sono sinonimi.In maniera ancora più puntua-le si può anzi affermare che la consulenza, quella praticata nelle sedi consultoriali e nel-le varie strutture che la eser-citano e la offrono per prassi dovuta e contratto istituzio-nale, è di per sé un’attività complessa di orientamento a favore della persona e della persona in relazione (coppia e famiglia) che la ricevono e vi partecipano direttamente.Parimenti la consulenza-orientamento, per altri aspet-ti, è un processo-prodotto di insegnamento-apprendimento che trascorre dal consulen-te all’utente sul versante dei problemi accusati e da analiz-zare, dei contenuti, degli stili e delle procedure adottate e viceversa, sul piano della ri-flessione e della crescita di entrambi. Così come, egual-mente, essa trascorre dalla struttura verso l’utenza pure in forma reciproca e by-passa fisiologicamente all’interno della stessa organizzazione.L’orientamento è interpre-tato e agito sia come auto-orientamento della persona,

della coppia, della famiglia, del gruppo o dei gruppi negli incontri (o nelle sedute) di consulenza, o al loro termine, sia come etero-orientamento messo in atto dallo speciali-sta, o dagli specialisti (perché tutti gli interventi consultoriali sono, a mio parere, consulen-ze-orientamento), nei confron-ti dell’utenza.L’auto-orientamento, nella re-altà consultoriale e sul piano della consulenza, è inteso:

1. come decisione da assume-re o che viene assunta “qui e ora” da parte dell’utente sin-golo o associato nei riguardi della propria vita, dei proble-mi che ha, delle difficoltà che accusa o ha accusato, senza bisogno di ricorrere ad altre prestazioni o magari anche ad altre strutture;

2. come scelta che viene pre-sa dalla persona o dalle per-sone in consulenza in ordine a chi e a dove, eventualmen-te, rivolgersi in appresso, che cosa fare, come muoversi o districarsi, quando e perché attuarla, concluso congiun-tamente e responsabilmente l’intervento consultoriale, per un ulteriore trattamento più specifico e mirato, laddove necessario.

L’etero-orientamento rinvia, invece, alla globalità delle in-formazioni che vengono offer-

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te dall’operatore consultoriale agli utenti ed esprime, appun-to, la particolare modalità edu-cativa agita dallo “specialista” a favore del suo fruitore, sin-golo o associato che sia (e cioè la “persona in relazione”).Auto-orientamento ed etero-orientamento che possono verificarsi separatamente, es-sere attuati in forma distinta a seconda dell’utenza che si presenta e dei problemi che questa manifesta, oppure darsi reciprocamente in forma siner-gica, nel crescere e nel modifi-carsi della consulenza medesi-ma. Come del resto accade più solitamente o sarebbe forse doveroso accadesse davvero, nel superamento di un pregiu-dizio pseudo-rogersiano (nello specifico della storia consulto-riale in Italia) che vorrebbe il consulente una sorta di spetta-tore neutrale, muto, nei riguar-di delle persone o delle vicen-de di coloro che si avvalgono di tale intervento.Concludo: l’orientamento della (o nella) consulenza non è limi-tato soltanto alla prima acco-glienza; ma tutta la consulenza è orientamento. Pure se la sua forma più originaria e squisita, sicuramente la più importante per il divenire stesso della con-sulenza, si offre nella prima accoglienza dell’utente.

Le scelte della consulenza-orientamentoIn ordine alla scena globa-le e alle scene storiche della consulenza-orientamento, due ulteriori osservazioni.La prima osservazione: la sce-na globale di tutte le possibili consulenze-orientamenti non è mai un setting neutrale7, pure se deve rispondere al dovere etico-professionale dell’ogget-tività contenutistica e relazio-nale, laddove gli operatori e i fruitori della consulenza agi-scono e realizzano insieme la particolare consulenza-orien-tamento che li vede entrambi (o quanti essi siano) impegna-ti e protagonisti.La seconda osservazione: sto-ricamente e operativamente la scena globale della consulen-za-orientamento del consulto-rio familiare si articola in sei possibili scene, il più delle volte successive e sinergiche tra loro.

1. L’iniziale è quella che si realizza nella prima acco-glienza dell’utente da parte del consulente familiare e che più frequentemente è definita di orientamento in senso pro-prio.Una primissima scena iniziale che può avvenire pure telefo-nicamente tra l’utente e altro

7 Cfr., in ordine all’impossibile neutralità valutativa e, di contro, all’oggettività relazio-nale, e. NaGel, La struttura della scienza. Problemi di logica nella spiegazione scien-tifica, trad. it., Feltrinelli, Milano, 1968 e W.J. Goode, P.K. Hatt, Metodologia della ricerca sociale, trad. it., Il Mulino, Bologna, 1968.

Le scelte della consulenza-

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operatore: il segretario della struttura. Ma anche di tale aspetto si è abbondantemente scritto, come sa il lettore bene informato.Una scena iniziale che può richiedere, pure, più sedute di consulenza, e che culmina nelle prime “ri-decisioni”8 per sé da parte dell’utenza. Scena iniziale che avvia altri setting e si interseca con altri possibi-li e praticabili ambiti di consu-lenza-orientamento.

Sul versante del consulente familiare, per la buona condu-zione del caso, si determinano altre due possibili situazioni:

2. quelle con gli altri membri dell’èquipe consultoriale, in forma strutturata o episodica,

3. e/o con l’èquipe nella sua in-terezza (magari varie volte du-rante il trattamento dell’uten-za), dove, in un processo di auto ed etero-orientamento reciproco, l’elargitore concreto della prestazione consultoriale si avvale di un’esplicita consu-lenza personale in cui egli stes-so diviene il fruitore dell’azione informativa e formativa agita a suo favore da altri colleghi o specialisti dell’èquipe, di di-verso contesto o differente set-tore scientifico-disciplinare.

Sul versante dell’utenza, si possono invece produrre altre tre possibili scene “di svilup-po” a partire dalla cosiddetta prima accoglienza.

4. L’interruzione della scena iniziale a motivo dell’imme-diata e positiva risoluzione dei problemi portati dall’utenza, per la fuga dell’utenza mede-sima o per il suo passaggio ad altra struttura e ad altri spe-cialisti, individuati come più utili per i problemi accusati e di cui l’utenza stessa, diret-tamente o indirettamente, ha preso coscienza.

5. La prosecuzione della con-sulenza con lo stesso operato-re della prima accoglienza (il consulente familiare), ma con un altro contratto educativo o formativo tra le parti rispetto alla prima accoglienza.

6. Il necessario passaggio dell’utenza in questione ad al-tro operatore o ad altri opera-tori della medesima struttura consultoriale.Ogni scena consultoriale si avvale di un proprio “con-tratto educativo”9 stipulato con l’utenza e nell’ambito del quale l’intera azione con-sultoriale, sul versante della consulenza e della consulen-

8 Cfr. r. GouldiNG, M. GouldiNG, Changing Lives Through Redecision Therapy, Brunner & Mazel, New York, 1979.

9 Cfr. d. siMeoNe, La consulenza educativa. Dimensione pedagogica della relazione d’aiuto, Vita e Pensiero, Milano, 2002.

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za-orientamento, nel taglio specifico di questo contri-buto, si evidenzia come un pacchetto formativo globale da condividere e riscrivere in situazione. Un contratto edu-cativo che si configura come il curricolo formale esplicito del complesso processo-prodotto “riflessivo”10 di insegnamento-apprendimento che passa tra il Consultorio Familiare quale azione educativa strutturata e gli utenti di questo particolare presidio educativo nel territo-rio o, sul versante della secon-da attività tipica del CF, quale educazione nel territorio e alla comunità, attraverso iniziative “culturali” di prevenzione, in-formazione e formazione (par-te considerevole del progetto educativo che la medesima struttura ha nei confronti del-la comunità in cui è situata e con cui si rapporta). Una consulenza-orientamento che rinvia, comunque, a un pro-getto-programma specifico di orientamento del singolo Con-sultorio Familiare (e dunque dell’èquipe) verso l’utenza e con il territorio che educa e da educare.

I tempi e i modi della consulen-za-orientamentoOrmai è un luogo comune af-fermare che ogni persona ha i suoi tempi di ascolto e di cambiamento. Anzi, che è un tempo incarnato: il proprio.

Che può essere senz’altro ve-locizzato, ma che non può es-sere disatteso, disconosciuto, stravolto o violentato, pena l’insuccesso della stessa con-sulenza. Anche nel campo dell’annuncio evangelico e delle pastorali connesse, si è compreso, ad esempio, come la proposta della fede cristia-na e il suo concretizzarsi negli individui debbano misurarsi con i tempi delle persone che tale proposta ricevono. Ma pure con i loro modi di essere e i loro linguaggi complessi. Il darsi e il prodursi delle scene di consulenza-orientamento, di cui prima si è scritto, richie-dono, dunque, il rispetto dei tempi dell’utenza. Bruciare le tappe e svelarne freudiana-mente le difese condurrebbero a nuove barriere difensive o a comportamenti nevrotici di di-pendenza. E sarebbe, comun-que, portare avanti un lavoro scientificamente scorretto, prima o poi largamente o del tutto improduttivo.Ogni scena di consulenza-orientamento ha, pertanto, un suo tempo di intervento, di parola e di durata, particolar-mente sul versante dell’uten-za, a seconda dell’utenza stes-sa e dello specifico setting in cui si è impegnati.Tempi di parola e di ascolto, d’interpretazione e di silenzio, che variano a seconda degli utenti in questione, delle di-

10 Cfr. e. daMiaNo, La nuova alleanza, Armando, Roma, 2006.

I tempi ei modi della consulenza-

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verse scene reali e agite di consulenza e delle decisioni (o ri-decisioni) che costoro stanno per prendere o prende-ranno. Maria Montessori sot-tolineava costantemente, dal canto suo, di non intervenire con i bambini, a meno che non fossero sul punto di fare del male a sé o agli altri. Lo stesso si può affermare per il Consultorio. È necessario, in-fatti, a volte, agire anche in forma prescrittiva, ma solo se si comprende che l’utente sta per compiere scelte negative irreversibili per sé e per gli altri, sino a giungere addirit-tura, da parte dell’operatore consultoriale, a interrompere la stessa consulenza quale se-gnale di non condivisione e di voluto non coinvolgimento con le decisioni in fieri o già prese dall’utenza. Sino a interessa-re, ad esempio, i servizi sociali o quanto altro è utile, se ne-cessario. Ma lasciando sempre la porta aperta per chi vuole ritornarvi (in CF) e ripensarci. Come esige la migliore profes-sionalità.Comunque lo stile educativo del consulente familiare (alla stregua di ogni altro speciali-sta dell’èquipe), sul versante dell’etero-orientamento, deve essere sempre autorevole e in-formato, ricco di notizie a tutto campo nei confronti dell’uten-za, mai morbido, latitante, ti-moroso, permissivo, così come deve rifuggire da ogni possibile

forma o stile di autoritarismo. Altrimenti l’orientamento, qua-le altro nome della consulenza, verrebbe costantemente impe-dito, rimosso, non realizzato.La proposta che ho avanza-to in queste pagine in ordine al rapporto tra consulenza e orientamento, sin dalle sedu-te o dagli incontri della co-siddetta prima accoglienza, è, dunque, di una consulenza riguardata interamente come specifica e mirata azione edu-cativa di orientamento, che si situa all’interno di una lettura personalistica e personalizzata del Consultorio, in cui tutti gli attori della struttura: operato-ri e fruitori, vengono accetta-ti e accolti quali persone da rispettare e promuovere nella loro stessa crescita, nei tem-pi, negli stili e nei contenuti di cui dispongono, da modi-ficare, allorché necessario, a favore della pienezza e della realizzazione del sé individua-le e sociale: per essere perso-ne e diventare, cioè, sempre più persone libere, autonome e responsabili, e pertanto competenti.Un progetto, questo, sul ver-sante dei singoli operatori con-sultoriali e dell’èquipe, che ri-chiede una maggiore, adeguata e costante formazione da inter-connettere con una altrettanto seria, vigile e ricorrente attivi-tà di supervisione del singolo operatore e dell’èquipe nella sua globalità.

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La supervisioneCiò che si pone infatti come irrinunciabile, in ultima istan-za e per tutte le considerazioni sin qui svolte, è la necessità della supervisione del lavoro consultoriale nel suo comples-so e a ogni livello: un tema neppure sfiorato dalla legge 405 e dalle successive leggi regionali e che risponde, di contro, a un’esigenza di cor-rettezza scientifica e umana, avendo a che fare con persone e non con oggetti inanimati. E questo al fine di procedere pure all’identificazione di una tendenza manipolatoria quan-do questa si presentasse e alla minimizzazione, se non all’eli-minazione completa, dei suoi effetti perturbatori.A chi affidare però un tale ruolo? Al sociologo dell’orga-nizzazione? Allo psicologo? Al pedagogista? Per la specificità del servizio in discussione e della collo-cazione istituzionale in rete pure delle altre strutture socio-sanitarie, si propende, qui, sempre per il pedagogi-sta. Un pedagogista, ben s’in-tende, che ne sia all’altezza e abbia seguito un training adeguato (lasciando ulterior-mente aperto il problema di chi andrebbe a operare la su-pervisione sul supervisore). Dovrebbe essere un pedago-gista che opera nel medesimo Consultorio, a motivo della comune formazione e della

consonanza degli strumen-ti scientifici posseduti, o un membro esterno all’èquipe? La domanda non è peregrina per chi ha una certa dime-stichezza con la tematica in questione.Vi sono tesi che depongono a favore di un supervisore esterno, per motivi di dina-mica interna tra gli operatori dell’organizzazione, e altre che preferirebbero invece che ne fosse un componente stabile.

L’intervento dell’operatore con-sultoriale con l’utenteUna delle caratteristiche fon-damentali dell’intervento di ogni operatore in Consultorio non dovrebbe essere quella di dar vita a consulenze protratte nel tempo, essendo queste ul-time tipiche di altre organizza-zioni, pubbliche o private.Per questo, quando un utente parlasse dei propri problemi in termini generalizzati, lo sforzo del consulente dovrebbe esse-re diretto a riportare il collo-quio sul piano dei comporta-menti concreti, per attuarne un’analisi corretta.Una siffatta ricostruzione può essere operata partendo dal resoconto delle situazioni più attuali, ben localizzate nel tempo (“che cosa le è capitato ieri, oggi, ecc.”), al fine di osta-colare la tendenza dell’utente ad assolutizzare le scene che racconta. In tal modo verranno

La supervisione

L'intervento dell'operatore consultoriale

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rievocati i fatti, le relazioni e il contesto dove questi si sono realizzati, alleggerendo, per un verso, il centraggio del con-sultante su di sé e facendogli guadagnare, per altro, un mi-nimo di distanza dalle proprie difficoltà, essenziale per darne una valutazione spassionata.E anche se il Consultorio deve essere, di per sé, il luogo degli interventi brevi, l’operatore si deve, però, sempre assicura-re il tempo per riflettere e per protrarre il dialogo quanto oc-corre per fare emergere tutti i significati che possono rivesti-re una qualche importanza per il trattamento in corso.Esiste, cioè, una durata media di trattamento che va rispetta-ta quale che sia la frequenza degli incontri, perché, se un intervento viene troppo ab-breviato nel tempo, si rischia o di lasciare il soggetto alle prese con nuovi problemi o di non avere affrontato la vera difficoltà, essendo scomparso magari solo il quadro sintoma-tologico.Infatti l’interruzione delle se-dute può rappresentare una forma di risposta a quesiti di ordine diverso, sia sul versan-te dell’utente che su quello dell’operatore.In ordine al primo piano di analisi, potremmo avere, ad esempio, genitori iperprotetti-vi che temono l’evoluzione del figlio perché ciò li costringe-rebbe a prendere in mano le

loro difficoltà personali e che dunque “scappano” dal set-ting, oppure altro utente che potrebbe considerare quanto raggiunto a livello di ri-deci-sione corrispondente al proprio livello ottimale di “salute” o di tolleranza massima per il pro-prio ambiente, e quindi “ab-bandonare” la consulenza. Di contro, sul secondo versante, i colloqui potrebbero terminare perché il paziente manifesta il desiderio di sospenderli sulla nota di un’incipiente speran-za, a volte troppo “fragile”; oppure, spesso, lo si potreb-be congedare con eccessiva facilità perché la rapidità del trattamento può rappresentare per l’operatore consultoriale un elemento gratificante non trascurabile. Quando, poi, non fosse proprio il consulente a voler porre fine ai colloqui per sue difficoltà personali.Costituiscono, comunque, sempre errori: l’interruzio-ne prematura, perché ciò che seguirebbe non sarebbe altro che una scialba mediocrità, dal momento che in tal modo si è semplicemente adattato l’utente alla realtà (piuttosto che inserirlo nel gioco del si-gnificante); oppure avere idee preconcette circa la durata di un trattamento, perché l’at-teggiamento controtraslati-vo dell’operatore finisce con l’avere conseguenze negative sulla situazione transferale del paziente.

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La necessità della formazione e la funzione dell’èquipeÈ innegabile che un conto è possedere informazioni teori-che collocabili in spazi sociali ipotetici, in cui si può imma-ginare, ma non conoscere, la propria implicazione perso-nale, altro è trovarsi in una situazione pratica di fronte a talune difficoltà, le quali si ha spesso l’impressione che non quadrino o che non siano suf-ficientemente spiegabili con gli strumenti culturali ricevuti e appresi.Certo, agire in un Consultorio, interrogarsi su quali compor-tamenti assumere con un ipo-tetico utente e quali strategie adottare, richiedono un positi-vo grado di informazione; ma esso, per sua natura, si diver-sifica dal concetto di formazio-ne perché, quando si gestisce una consulenza, l’operatore si scopre nel doppio ruolo di osservatore e di attore in un contesto intricato di cui è par-te integrante. Se egli infatti contribuisce, per un verso, a dare forma con il proprio at-teggiamento alla realtà in cui si colloca, peraltro è invitato a leggere i significati della dina-mica che si è creata, compre-si il proprio comportamento e il modo con cui l’utente può averlo recepito.Da qui l’insopprimibile ne-cessità dell’uso professionale della competenza relazionale, intesa come formazione, che

deve portare ogni operatore a un’approfondita conoscenza dell’interazione che si è stabi-lita tra lui e l’utente, gestendo contemporaneamente i signifi-cati della situazione, nel vis-suto dell’altro e nel proprio. Con la formazione alla compe-tenza relazionale si sottolinea, in altre parole, il passaggio da un conoscere teorico in scene pensate come neutrali a un conoscere in veste da protago-nista.Una modalità per perfezio-nare la competenza ingenua esercitata nelle relazioni uma-ne potrebbe essere il gruppo di discussione eterocentrato sulla relazione di un caso du-rante una riunione di èquipe. Il lavoro in èquipe e la discus-sione-supervisione di tutte le possibili consulenze in corso, durante tali incontri, costitu-iscono i due stili necessari e insopprimibili di un Consulto-rio Familiare che voglia davve-ro operare scientificamente e avere pieno rispetto dei propri utenti e totale credibilità nel territorio di appartenenza.La scelta di un tale intervento presenta innegabili vantaggi.Innanzitutto la consegna dell’eterocentraggio polarizza l’attenzione dell’operatore che funge da relatore nella seduta di èquipe sui problemi pro-fessionali che ha incontrato e lo impegna a stemperare le proprie convinzioni persona-li, mentre la presenza di altri

La necessità della formazione

e la funzione dell’èquipe

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specialisti garantisce l’etero-geneità e la contrapposizione dei giudizi - generata dalla di-namica dell’incrociarsi di più mondi fenomenici - e tende a imporre una relativizzazione delle opinioni. Per altro verso il consulente di turno è invita-to a prendere atto dello stru-mento di giudizio che è egli stesso e a conoscere lo stru-mento omologo rappresentato dai propri partner, sensibiliz-zandosi contemporaneamen-te sui segnali verbali e com-portamentali espressione dei fenomeni psichici razionali e irrazionali operanti nella rela-zione. Al tempo stesso un tale lavoro di èquipe diventa, di fatto, sia pure attraverso cam-mini diversi e ad altro titolo, un innegabile momento di for-mazione per tutti gli operatori presenti.Il linguaggio usato dal relatore merita poi un’attenzione parti-colare. Infatti ciò che a uno sguardo su-perficiale potrebbe apparire sol-tanto una descrizione di quanto è avvenuto durante la consu-lenza, a un’analisi dettagliata si rivela tutto un susseguirsi di valutazioni soggettive che l’ope-ratore è venuto maturando den-tro di sé più o meno consape-volmente, in parte nel cogliere i significati del suo incontro con l’utente e in parte rielaborando nel proprio vissuto quanto la scena attuale della riunione di èquipe gli sta comunicando.

Può capitare, ad esempio, che il consulente si ritrovi a eti-chettare gli atteggiamenti del proprio utente, considerandoli come elementi oggettivi in-trinseci al soggetto di cui egli parla, trascurando il significa-to relazionale delle condotte osservate.Ma ciò che è più sorprenden-te è che assai spesso il suo comportamento, nel resoconto di un caso di cui pure è stato attore e nel quale non può non avere fatto qualcosa, oltre a essersi atteso risultati che ma-gari sono mancati, figuri come assente.In questo momento il par-ticolare itinerario di forma-zione che si realizza nella riunione dell’èquipe diventa informazione (in un gioco di reciproche interconnessioni, mediante la trasmissione dei codici linguistici e dei model-li teorici propri delle diverse competenze degli specialisti presenti durante la discussio-ne del caso), ma anche super-visione (laddove sia presente un professionista siffatto ade-guatamente preparato e quan-do vengano presi in esame il linguaggio usato dal relatore e gli effetti realmente raggiunti nell’informare gli ascoltatori). Si possono, in questa prospet-tiva, verificare personalmente gli ostacoli razionali e irrazio-nali che si frappongono in una comunicazione, imparando a riconoscere i significati del

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comportamento altrui ed eser-citando nel contempo se stessi come strumento di interpreta-zione per riflettere in seguito su queste decodificazioni.Un’altra esperienza che si offre, qui, come proposta di formazione (ma che può assol-vere anche a una funzione in-formativa) è rappresentata dai gruppi di lettura in cui i mem-bri del Consultorio si ritrovano insieme (da un minimo di otto a un massimo di quindici) al fine di apprendere conoscenze teoriche su un dato argomento o sull’opera di un autore per di superare una mancanza che avvertono a livello di strumen-ti teorici e pratici adeguati per risolvere taluni loro problemi di lavoro, quotidiani o meno. Questi gruppi possono nascere in maniera autonoma rispetto al lavoro di èquipe; ma non è infrequente la situazione che essi si costituiscano come se-gnale di un determinato biso-gno operativo; con una frequen-za settimanale di circa un’ora e trenta minuti e con una durata massima che può oscillare tra i sei mesi e l’anno.Come ipotetico tetto massimo per un gruppo di lettura in un Consultorio si ritiene, però, che non si dovrebbe superare l’arco di due-tre mesi, salvo il farlo seguire da uno o più seminari in cui il tecnico dell’argomento

o del testo in oggetto può offri-re, a un livello più articolato, ulteriori delucidazioni ai parte-cipanti al gruppo stesso.Prima di concludere questo paragrafo, alla luce delle argo-mentazioni sin qui prodotte si tiene a evidenziare come si sia perfettamente consapevoli di avere aperto soltanto una fine-stra su una problematica e su una serie di definizioni, teori-che e operative, di vasta por-tata e che altri elementi, for-se pure più importanti, siano stati o appena sfiorati o quasi volutamente trascurati.Preme, però, porre in risalto altre due particolari annota-zioni.Che cosa significa essere ope-ratore di un Consultorio Fami-liare?Si vuole ripetere, parafrasando Audry11, che non è un ruolo di tutto riposo: egli è colui che è chiamato, ora in prima persona, ad aiutare l’altro a ritrovare una libertà smarrita senza ipnotizzarlo o sopraffarlo, altre volte a essere, forse, il regista di una formazione e di un complesso reticolo informativo in stretto collegamento con un territorio e un’utenza che si trasmutano con una velocità impressionante. Per questo preparazione, sperimentazione e riflessio-ne necessitano di un training

11 Cfr. C. audry, “Prefazione”, in M. MaNNoNi, Il bambino ritardato e la madre, trad. it., Boringhieri, Torino, 1971.

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permanente, non saltuario né pensabile una volta per tutte12.

Dal Consultorio Familiare ai ser-vizi per la persona, la coppia e la famigliaI cambiamenti avvenuti o au-spicabili rispetto al passato o al primo esordio dei Consultori Familiari in Italia sono essen-zialmente tre.All’inizio dell’attività con-sultoriale le figure presenti erano quelle minimali richie-ste dalla legge 405/1975 e dalle successive leggi re-gionali, con l’aggiunta, nei CF dell’U.C.I.P.E.M. e della C.F.C., del consulente fami-liare e del consulente etico o morale – che dir si voglia – e magari di quello legale.Oggi si assiste, invece, a una crescita per qualità e quanti-tà di altri ruoli specialistici: il sessuologo, il sociologo, il neuropsichiatra, il mass-me-diologo, il dietologo, il canoni-sta, l’esperto in materia fisca-le, ecc..L’altro cambiamento riguarda la complessità delle tecniche di conduzione-intervento e dei linguaggi specialistici attual-mente posseduti dagli opera-tori consultoriali (mi riferisco prevalentemente ai consulenti familiari, agli psicologi, ai pe-dagogisti, agli assistenti socia-li). Una volta molti erano per

lo più rogersiani (basti pen-sare ai numerosi e meritevoli corsi organizzati in Italia da C.G. Vella); oggi, al contrario, figurano anche analisti tran-sazionali, sistemici, gestalti-sti, freudiani e post-freudiani, comportamentisti, ecc., il che arricchisce, se adeguatamente utilizzata e compresa, l’infor-mazione-formazione, anche teorico-prassica, che passa durante le riunioni di èquipe e fuori, nel territorio.Ma è soprattutto augurabile il superamento di una logica e di una prassi per compartimen-ti stagni: i CF da una parte, i recenti centri di mediazione familiare dall’altra, le unità di psicoterapia in forma autarchi-ca per altro verso ancora, ecc..Il mio orientamento, invece, è a favore di un’articolazione a stella o a raggiera dei vari ser-vizi esistenti a livello pubblico e privato in ordine alla perso-na, alla coppia e alla famiglia, oggi disseminati nel Paese in modo non organico tra loro e al massimo coinvolti in un ri-cercato, ma poco praticato, lavoro di rete. Ne vedrei bene, piuttosto, una loro armonica e strutturale sistemazione in un contesto di organizzazione uni-taria; ad esempio tra CF, centri di mediazione familiare e vari altri ambiti: per adolescenti, a favore della procreazione re-sponsabile, per il recupero di

12 Cfr. al riguardo l’intera produzione scientifica di M. Corsi edita in proposito.

Dal Consultorio Familiare ai servizi per la persona, la coppia e la famiglia

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talune devianze come la droga e l’alcoolismo, con una strut-tura comune di psicoterapia cui i vari settori possano at-tingere e farvi riferimento, in una duplice attenzione finaliz-zata sia all’intervento di perti-nenza specifica in situazione ed educativo-preventivo sul territorio che alla formazione permanente e in servizio degli operatori13.Da questo intervento i lettori avranno comunque compreso che il mio intento non è né di annullare le differenze di campo o di sapere, né di in-traprendere una battaglia a favore di spazi teorici o ambiti professionali emergenti o con-solidati, quanto di contribuire alla chiarezza e al distinguo epistemologico e teorico-ope-rativo tra i vari servizi, le diver-se discipline e le loro aree di intervento, specie in relazione alle scienze umane e sociali e alle prassi che ne discendono.C’è onore, gloria e “lavoro” per tutti, stante tuttora la mancanza della necessaria e adeguata formazione a monte e a valle della persona, della coppia e della famiglia in or-dine ai compiti e alle funzio-ni che sono loro propri, e che va invece curata e promossa anche a motivo dell’eccesso di sofferenza, inquietudine e patologia che oggi affliggono troppi individui.

Da tale volontà e ricerca di ri-conoscimento e di articolazio-ne delle differenti competenze non possono che derivare, al-lora, ulteriore serenità e sicu-rezza per ognuno: elargitori e fruitori dei diversi ambiti pe-culiari.

Per una conclusione: a favore della speranza Si è sottolineato ormai mol-teplici volte che l’utente con-sultoriale è soggetto e non og-getto del servizio in questione, così come soggetti sono pure gli operatori (riguardati come singoli e complessivamente nel lavoro di èquipe), gli orga-nismi assembleari e gestiona-li, il territorio.Si è soliti anche ripetere da anni che il Consultorio Fami-liare è il luogo della “parola”; ad altri tocca (persone e strut-ture) agire concretamente a favore dell’uomo per rimuovere gli ostacoli concreti, non rela-zionali, ma storico-economici, sociali, talora abitativi o oc-cupazionali ecc., che minano alla base la pace di persone, coppie, interi nuclei familiari. Un Consultorio, dunque, non come cattedrale nel deserto, ma che richiede di essere af-fiancato, oltre che dai servizi pubblici, da movimenti e as-sociazioni civili, ecclesiali e di volontariato, che diano vita operosamente ad altri ambiti

Per una conclusione:

a favore della speranza

13 Cfr. M. Corsi, C. siriGNaNo, La mediazione familiare. Problemi, prospettive, esperienze, Vita e Pensiero, Milano, 1999.

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che siano più specificamente il luogo dell’“azione”. Possono essere citati, tra tutti, i Centri di aiuto alla vita, la Caritas, le cooperative sorte da parte di gruppi ideologicamente pure distanti tra loro al fine di crea-re occupazione, i centri lavora-tivi autogestiti, le comunità te-rapeutiche per il recupero dei tossico-dipendenti, ecc.. E, al di là di questi ultimi e del Con-sultorio stesso, ancora altre realtà come il Movimento per la Vita, l’Unione Donne Italia-ne (U.D.I.), il Centro Italiano Femminile (C.I.F.) e molteplici

ulteriori servizi con differenti matrici, scopi e ideologie, che sono, ciascuno nella propria specificità, necessari per con-correre globalmente a creare uno spazio di riflessione e di diffusione dei più autentici significati della persona, della coppia e della famiglia, in un intreccio di operazioni cultu-rali e di intervento che renda maggiormente vivibile que-sta nostra società e ponga le premesse per quel futuro che ci attende e che si vorrebbe aspettare con maggiore fidu-cia, e non nel panico.

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Il dono della relazioneAll’origine della vita psichica Anna Arfelli Galli

Nelle prime fasi della vita le cure per la sopravvivenza e quelle per l’umanizzazione sono difficilmente separabili. Anche i gesti più banali pos-sono essere importanti per lo sviluppo psicologico del nuo-vo nato. Si può affermare che ogni attività intrapresa per la cura del neonato è una pro-posta di comunicare con lui; per questo chinarsi su di lui o prenderlo in braccio per ac-cudirlo sono comportamenti il cui significato va ben oltre la funzione primaria di farlo so-pravvivere. L’intento di questo scritto è di mettere in eviden-za come il chinarsi sul piccolo nelle situazioni di cura sia la base per la costruzione pre-coce della relazione madre-

bambino e ancor prima della relazione faccia-faccia, tappa primaria per organizzare la co-municazione fra le persone e per sviluppare la conoscenza di sé. È noto che fin dalle prime ore di vita il neonato può reagire alle persone ed è capace di produrre espressioni e suoni simili a quelli che l’adulto produce in situazioni partico-lari; per questo chi lo cura è disposto ad attribuirgli stati d’animo equivalenti ai suoi: disagio o dolore quando pian-ge, benessere invece quando l’espressione è distesa e se-rena. Tuttavia tali espressioni sono attribuite a stati biofisici, come la fame, la sete, il sonno o il dolore, mentre i momenti

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d’attenzione e gli oggetti che la suscitano sono difficili da identificare e interpretare.Il dibattito scientifico attorno alle competenze neonatali si concentra su molti aspetti del problema; ci s’interroga su quali siano le reali competen-ze del neonato e come si svi-luppino, sulla differenza fra il piccolo dell’uomo e il piccolo delle specie animali più vici-ne a noi, come le scimmie an-tropomorfe, e altro ancora. Le risposte sono differenti, ma su alcuni dati tutti concordano: l’interesse per il volto umano, in particolare per la zona degli occhi, e la preferenza per la voce materna, conosciuta già negli ultimi periodi della vita intrauterina. Inoltre è scienti-ficamente accertato che già a due mesi il bambino e la ma-dre sincronizzano i loro sguar-di, i loro vocalizzi, il movimen-to degli arti in un insieme che appare come un’intesa raffina-ta, un vero e proprio dialogo non verbale1.Si tratta di un’interazione so-stenuta unicamente dall’adul-to o anche il bambino parteci-pa fin dall’inizio con un ruolo attivo? Il neonato che già a poche ore dalla nascita fissa attentamente il volto della ma-

dre è semplicemente attento a uno stimolo interessante e in continuo movimento oppure risponde già in modo specifico a uno stimolo di natura socia-le? Inoltre alle sue manifesta-zioni espressive esteriori cor-rispondono realmente vissuti coerenti oppure si è di fronte a reazioni geneticamente de-terminate e prive di un corri-spondente vissuto psichico? Gli studiosi divergono fra loro. E pare difficile, se non im-possibile, arrivare a dati certi. Tuttavia per chi è responsabile delle cure la domanda prima-ria non è: “Quando compare la vita psichica?”, quanto piut-tosto: “Che cosa è necessario perché si sviluppi la vita psi-chica?”2.Per questo conoscere quali sia-no le abilità alla nascita e come si sviluppino nel tempo è fonda-mentale; se non è dato sapere con certezza quale vissuto psi-chico sottenda e accompagni i comportamenti del piccolo, è certo che per far fiorire la vita psichica del neonato è indi-spensabile lasciarsi affascinare dai suoi inviti al dialogo, appa-renti o reali che siano.

Le competenze neonataliLe competenze presenti alla

1 C. treVartHeN, “Le emozioni intuitive: l’evoluzione del loro ruolo nella comunicazione fra madre e bambino”, in M. aMMaNiti, N. dazzi (a Cura di), Affetti, Laterza, Bari, 1999, pp. 100-102.

2 A. arfelli Galli, “Comprendere il neonato e conoscere il figlio: due itinerari diversi” in G. Galli (a Cura di) Interpretazione e individualità, Pisa, IEPI, 2004, pp. 145-160; l. Cadei, “‘Sapere pratico’ e ‘sapere scientifico nei processi educativi’”, in Consultori Familiari Oggi, 2008, 4, pp. 33-42.

Le competenze neonatali

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nascita sono numerose e si sviluppano rapidamente fin dalle prime settimane. È noto che già nella vita intrauterina il feto impara a conoscere la voce materna e che alla nascita la preferisce ad altre voci fem-minili, così come preferisce fare attenzione alla lingua del-la madre piuttosto che ad altri idiomi. È anche nota l’attenzio-ne per il volto umano, che già a poche ore dalla nascita egli fissa più a lungo, preferendolo ad altri stimoli. Egli è in gra-do di mettere a fuoco oggetti a distanza ravvicinata, circa 30 cm, che è la distanza tipica del viso della madre quando lo allatta; ma già intorno alle 13-16 settimane di vita può met-tere a fuoco sia oggetti vicini sia oggetti lontani. Quando il piccolo dispone solo di indici visivi, esplora il volto uma-no nel suo contorno e, dopo il secondo mese, anche nelle caratteristiche interne; infine a 8 settimane circa sorride al volto umano. Si tratta di una reazione specifica a ogni vol-to che si presenta di faccia e in movimento, testimonianza di una base innata a reagire nei confronti dei conspecifici3. Ciò significa che, nella realtà quotidiana, la madre è ricono-sciuta precocemente in base alla voce e all’odore, mentre il suo riconoscimento in base

alle sole informazioni visive è più tardivo. Un apparato percettivo raffi-nato e molto importante è la pelle che, in virtù della varietà dei suoi recettori, permette di organizzare un’informazione complessa sulle caratteristiche del con-tatto con gli oggetti del mondo esterno, in particolare con il corpo materno. Molto importanti sono i recettori per le stimolazioni meccaniche. Alcuni di questi recettori reagi-scono alla pressione, altri allo stiramento, altri alle vibrazioni e altri al fluttuare dello stimo-lo; alcuni si adattano rapida-mente allo stimolo e segnalano la sua comparsa, altri invece si adattano lentamente e segna-lano la durata della stimola-zione; altri ancora si attivano solo all’inizio e alla fine di una stimolazione, segnalano cioè il cambiamento. Possiamo ren-dere ancora più complessa la descrizione del sistema per-cettivo operante nel derma, dato che i recettori più super-ficiali servono una zona limi-tata della pelle, mentre altri, quelli collocati più in profondi-tà, servono un’area più vasta. E il compito specifico della pelle non è ancora esaurito: infatti esso si occupa anche di organizzare le informazioni che arrivano dalle stimolazioni termiche e dolorifiche.

3 J. MortoN, “Meccanismi biologici e processi di sviluppo”, in G. di stefaNo, M. a. tallaNdiNi (a Cura di), Meccanismi e processi di sviluppo, Cortina, Milano, 1991, pp. 3-35.

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Le informazioni che proven-gono dal confine del corpo s’integrano con le informazio-ni propriocettive, che si ori-ginano dalla stimolazione dei recettori sensoriali posti nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni, cioè in tutte le parti implicate nei movimenti attivi e passivi. Queste infor-mazioni che nascono all’inter-no del corpo, assieme a quelle provenienti dalla superficie del corpo, formano un sistema complesso da meritare una denominazione specifica: il sistema aptico. Alle informa-zioni mediate da tale sistema è da ricondurre la capacità, presente fin dalla nascita, di differenziare l’esperienza di toccare da quella di essere toccati, un requisito fonda-mentale per poter organizzare il confine del proprio corpo e delimitarlo dagli altri oggetti del mondo esterno. È facile intuire il valore di un’organizzazione così com-plessa: i gesti con cui si en-tra in contatto con il bambino sono via via conosciuti da lui come una Gestalt, vale a dire come un insieme formato dal confluire di molte informazio-ni: la velocità, la frequenza, l’intensità, la durata, il ritmo della stimolazione e l’ampiezza della parte del corpo coinvolte; una Gestalt che si riorganizza continuamente al variare del-le posture di volta in volta as-sunte. Possiamo così spiegarci

perché tanto precocemente il piccolo sembra riconoscere il modo in cui la madre lo pren-de e lo solleva dalla posizione orizzontale.Per comprenderne appieno il significato, tutto questo va inserito in un contesto parti-colare. Con una visione adul-tomorfa, spesso pensiamo al piccolo che esplora il mondo esterno come un soggetto che ha già il dominio sul proprio corpo. Tuttavia questa non è la condizione naturale nei pri-mi anni di vita, caratterizzati invece da un graduale supe-ramento dell’impotenza nei confronti della forza di gravità e, di conseguenza, da un con-tinuo modificarsi delle posture dominate dal bambino, fino alla conquista della deambu-lazione eretta e sicura che si ha verso la fine del secondo anno.

Il ruolo dell’adultoDa quanto detto sopra deriva-no due importanti conseguen-ze per il ruolo dell’adulto che cura il bambino. In primo luo-go le azioni sul mondo esterno che il bambino impara a pa-droneggiare sia come gesto sia come esito dell’azione sono ancorate a una conoscenza del proprio corpo che cambia continuamente nel corso dei primi anni. Non solo; tale co-noscenza è costruita in base a esperienze che comprendono il corpo dell’altro in tutte le sue

Il ruolo dell’adulto

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manifestazioni: i suoi gesti, i suoi vocalizzi, i movimenti e le emozioni di cui sono espres-sione. Nella complessità del medesimo processo, quindi, il piccolo sviluppa la conoscen-za del suo corpo dal di dentro, del suo corpo come strumento che agisce sul mondo esterno, del suo corpo in movimento assieme e nel corpo di chi lo tiene in braccio. L’esperienza del corpo proprio in relazione con il mondo esterno va con-siderata quindi da due ver-santi: da una parte il vissuto interiore del proprio corpo in movimento e degli stati asso-ciati, dall’altra il vissuto di sé in relazione con gli oggetti del mondo esterno, in particolare con l’altro, progressivamente conosciuto come separato da sé. Tutto questo è sperimen-tato dal piccolo mentre pro-gredisce il dominio sul proprio corpo, fermo e in movimento, dominio che gli permetterà prima di sollevare il capo, poi il busto, quindi di stare sedu-to, fino a conquistare la stazio-ne eretta. In sintesi, mentre costruisce la conoscenza del proprio cor-po, il bambino costruisce an-che la conoscenza del mondo esterno, degli oggetti fisici e dell’Altro come “oggetto” par-ticolare con cui comunicare. Lo studio delle minorazioni sensoriali permette di iden-tificare con precisione l’im-portanza del contatto fisico

fra conspecifici. In particola-re i soggetti cieco-sordi dalla nascita possono mettersi in rapporto con il mondo degli oggetti e comunicare con le persone in assenza di qualsia-si informazione visiva e uditi-va proprio attraverso questo con-tatto. Ciò dimostra il ruolo fondamentale della corporeità e del processo evolutivo che sottende il vissuto di essere e di esserci, di sentirsi unico e singolare, sempre situato, ritrovato a ogni nuovo riemer-gere della coscienza vigile, in qualsiasi luogo ciò accada: un vissuto che la nostra riflessio-ne adultomorfa, organizzata attorno al predominio del visi-vo, tende spesso a trascurare. L’impossibilità di dominare la gravità ha una seconda impor-tante ricaduta sul ruolo di chi cura il piccolo. Gli studi an-tropologici hanno sottolinea-to il valore culturale derivato dalla conquista della postura eretta: il campo visivo si al-larga, lo sguardo scruta verso l’orizzonte e anche lo spazio laterale diventa accessibile alla visione distinta; il rap-porto dell’essere umano con il mondo delle cose e degli esse-ri viventi si modifica poiché la postura eretta lo allontana dal suolo, dalle cose e dalle altre persone. Il primato del vedere, infatti, allontana dal contatto immediato dell’afferrare e del mordere, un’azione che rimane tipica dell’animale; le braccia

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si trasformano in uno strumen-to potente; e la mano, libera dal peso del corpo, diventa un organo sensoriale raffinato e uno strumento di grande abi-lità4. Queste esperienze sono accessibili al bambino a par-tire dal secondo semestre del secondo anno, quando conso-lida la deambulazione eretta. Solo per organizzare il proprio rapporto con le altre persone non deve attendere, perché questo s’instaura fin dalla na-scita in virtù dell’attitudine dell’adulto a chinarsi su di lui e della predisposizione del ne-onato a stabilire da subito una relazione faccia-faccia. In sintesi la persona che cura il bambino è l’elemento co-stante delle situazioni che il piccolo impara a conoscere, ben oltre l’esperienza della soddisfazione dei bisogni fisio-logici e dell’eliminazione degli stati di disagio. Il ruolo della madre è, quindi, fin dall’inizio biologico e culturale assieme; è scoprire ciò che il piccolo sa fare per organizzare le situa-zioni in cui i suoi saperi pos-sono essere attivati; è solleci-tare la sua curiosità, sempre attenta a ogni nuova conquista del suo bambino. Tutto questo è possibile se fin dall’inizio la

madre ha ancorato a sé le pri-me risposte del neonato agli stimoli sociali: principalmente quelle suscitate dal contatto fisico, dalla voce, dal volto. In termini specialistici si in-staura l’“intersoggettività pri-maria”5. All’interno di questo campo organizzato e sostenuto dall’adulto che lo cura, il bam-bino sviluppa la conoscenza del proprio corpo e del mondo esterno, degli oggetti fisici e delle altre persone. Il progre-dire delle conoscenze porterà a identificare la persona che dà le cure e a renderla inso-stituibile già alla fine del pri-mo semestre di vita. Non solo, essa sarà anche il punto di riferimento durante l’attività di manipolazione degli ogget-ti nuovi, come dimostrano gli sguardi che il bambino di 5-6 mesi le rivolge, sviluppando la sua attività a seconda delle espressioni del volto materno: in termini specialistici il riferi-mento sociale6. Come e quando si arrivi all’in-tenzione esplicita e consa-pevole di comunicare e alla comprensione dell’Altro come persona dotata di una mente è oggetto di interpretazioni diverse da parte degli studio-si del settore7; tutti concorda-

4 PH. tobias, Il bipede barcollante, trad it., Einaudi, Torino,1992.5 Il termine “intersoggettività” è usato con significati diversi dagli studiosi del settore;

qui il riferimento è a: L. saNder, Sistemi viventi. L’emergere della persona attraverso l’evoluzione della consapevolezza, trad. it., Cortina, Milano, 2007.

6 Per una sintesi si veda e. bauMGartNer, a. deVesCoVi, s. d’aMiCo, Il lessico psicologico dei bambini, Carocci, Milano, 2000, p. 21 e segg.

7 Per una visione d’insieme cfr. O. liVerta seMPio, a. MarCHetti (a Cura di), Il pensiero dell’altro. Contesto, conoscenza e teorie della mente, Cortina, Milano, 1995.

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no però nel ritenere che tale processo si sviluppa a partire dallo scambio intersoggettivo che prima si organizza e poi si consolida nella relazione inti-ma della madre col bambino. Chinarsi verso il neonato e sollevarlo dal piano orizzonta-le a cui è obbligato significa permettergli l’esperienza del contatto corpo-corpo e della relazione faccia-faccia, l’ini-zio della relazione fra esseri umani. Anche le situazioni più semplici hanno quindi un’im-portanza fondamentale: chi-narsi sul piccolo per conoscere i suoi stati, prenderlo in brac-cio per alimentarlo, parlargli nel cambiargli posizione sono gesti che assolvono esigenze sia biologiche sia relaziona-

li. In assenza di questi ge-sti l’interesse del piccolo per l’altro sarebbe possibile solo quando, con la postura eretta, possa porglisi di fronte; ma il dominio della postura eretta richiede un’età ben superiore al primo anno di vita. Oltre a garantire la sopravvi-venza, chi fornisce le cure in modo adeguato costruisce an-che l’ecosistema indispensa-bile per sviluppare la relazione fra esseri umani. L’ingresso nella cultura umana inizia subito, alla nascita, con il dono del contatto diretto che l’adulto, la madre in partico-lare, fa al bambino nella quo-tidianità degli scambi più ovvi e banali.

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Il principio della bigenitorialità nella legge n. 54/2006“Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” Chiara Sirignano

Con la legge n. 54/2006, in-titolata “Disposizioni in mate-ria di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, si sono aperti nuovi sce-nari nel già complesso pano-rama dei procedimenti relativi alle separazioni e ai divorzi in Italia1. Il Senato ha licenziato definitivamente un testo le-gislativo destinato a operare una vera e propria rivoluzione nella vita dei genitori separati e in quella dei loro figli, attra-verso quella che è stata defi-nita la riforma più importante del Diritto di famiglia dopo ciò che venne approvato nel 1975.

Tale legge intende affrontare il fenomeno della disgregazione familiare, mettendo in eviden-za il concetto di bigenitoriali-tà attraverso l’applicazione, di norma, non più dell’affida-mento esclusivo come era di fatto prima (anche se esisteva la possibilità di ricorrere all’af-fidamento congiunto), bensì di quello condiviso.Quindi si ribadisce con forza il diritto dei figli a continuare ad avere rapporti allo stesso modo con il padre e con la ma-dre anche dopo la loro sepa-razione o divorzio, sulla base dell’incontestabile verità che si resta genitori per tutta la

1 S. bisCioNe, Affido condiviso. Patti di famiglia e nuove norme in tema di separazione e divorzio. Come cambia il diritto di famiglia dopo le leggi 54/2006 e 55/2006, Gruppo Editoriale Esselibri-Simone, Napoli, 2006.

Il diritto dei figli ad avere rapporti con il padre e con la madre

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vita nonostante il venir meno del vincolo matrimoniale.Questo anche secondo quanto stabilisce la nostra Costitu-zione, la quale all’art. 30 ri-conosce a entrambi i genitori il diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli.È utile, inoltre, ricordare che la legge n. 898/1970, che ha introdotto il divorzio nel no-stro ordinamento, ha fissato per la prima volta un criterio guida per il giudice in tema di affidamento dei figli, vale a dire quello della preminen-za del loro interesse morale e materiale (art. 6) e che, in seguito, la legge di riforma del diritto di famiglia (legge n. 151/1975) ha introdotto il medesimo principio in mate-ria di separazione2.Le due disposizioni, ossia l’articolo 6 della legge n. 898/1970 e l’articolo 155 del codice civile, individuava-no - e individuano tuttora - un criterio unico che disciplina i rapporti tra genitori e figli, in base al principio del superiore interesse della prole.Tuttavia la vaghezza del nuovo testo legislativo rischia di far restare sulla carta l’interesse del minore e di ridurre ancora una volta la bigenitorialità e il diritto del minore alla cura e all’assistenza di entrambi i genitori a mere affermazioni

di principio. La norma è tal-mente carente di parametri oggettivi che valutare in quali casi vi sia effettivamente un interesse del minore all’affi-damento esclusivo - piuttosto che a quello condiviso - risulta essere secondo la nuova pro-cedura molto difficoltoso.Tornando al principio della bigenitorialità, l’affidamento condiviso è, comunque, da considerarsi come la migliore opzione possibile per la cre-scita serena dei figli coinvolti nei processi di separazione o di divorzio dei propri genitori3.In pratica che cosa sta acca-dendo? I figli verranno affidati a tutti e due i genitori e non a uno solo, per cui la potestà sarà esercitata da entrambi con pari diritti e doveri. In più che cosa dovrebbe accadere? Gli stessi genitori dovranno scegliere il proprio ruolo all’in-terno di un progetto educativo concordato insieme al giudi-ce, mettendosi d’accordo nel superiore interesse dei figli e superando eventuali conflit-tualità reciproche anche attra-verso l’eventuale aiuto di cen-tri o di esperti specializzati in mediazione familiare.Nello specifico tale legge è composta da cinque articoli. Nel primo, l’articolo 155 del codice civile viene sostituito dal seguente che, pur mante-

2 Cfr. l’art. 155 del codice civile, nella formulazione antecedente alla nuovissima norma-tiva in tema di affidamento condiviso.

3 G. MaNera, L’affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2007.

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nendo la stessa numerazione, così recita: “Anche in caso di separazione personale dei ge-nitori il figlio minore ha il di-ritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”4.Al fine di realizzare tutto ciò, il giudice che pronuncia la se-parazione dei coniugi farà ri-ferimento all’interesse morale e materiale della prole. In ter-mini di affidamento, valuterà prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affida-ti a entrambi i genitori oppure, in casi particolari, stabilirà a quale dei due dovranno esse-re affidati, determinando “... i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun ge-nitore”5. In ogni caso, se non contrari all’interesse dei figli, il giudice può prendere atto degli accordi che gli stessi genitori hanno preso in modo autonomo o con l’aiuto di pro-fessionisti esperti nel settore, secondo quanto viene affer-mato dall’articolo 155-sexies della legge in questione.Di conseguenza, “... la potestà genitoriale è esercitata da en-trambi i genitori. Le decisioni

di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’edu-cazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capaci-tà, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordi la decisione è rimessa al giudice. Limita-tamente alle decisioni su que-stioni di ordinaria amministra-zione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la po-testà separatamente”6.Inoltre, ogni genitore deve provvedere al mantenimento dei figli secondo il proprio red-dito, a meno che non si sia-no presi accordi diversi. Dove necessario, sempre il giudice può stabilire la corresponsio-ne di un assegno periodico, affinché si realizzi il principio di proporzionalità, il quale viene determinato tenendo in considerazione:

1. le attuali esigenze del fi-glio;2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di conviven-za con entrambi i genitori;3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;4. le risorse economiche di entrambi i genitori;5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura as-sunti da ciascun genitore”7.

4 Cfr. l’art. 1, Modifiche al codice civile, art. 155 - “Provvedimenti riguardo ai figli”, della legge n. 54/2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 50, 1 marzo 2006.

5 Ibidem.6 Ibidem.7 Ibidem.

La potestà genitorialeè esercitata da entrambi i genitori

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L’affidamento a un solo geni-tore e l’opposizione all’affida-mento condiviso vengono af-frontati dall’articolo 155-bis, nel quale si afferma che “... il giudice può disporre l’affida-mento dei figli a uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia con-trario all’interesse del minore.Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quan-do sussistono le condizioni indicate al primo comma...”8, ossia situazioni non favore-voli allo sviluppo e alla cre-scita dei figli; a ribadire tale possibilità vi è pure l’articolo 155-ter9 che stabilisce il di-ritto dei genitori di chiedere in ogni momento la revisio-ne delle disposizioni relative all’affidamento dei figli e l’at-tribuzione dell’esercizio della potestà e delle modalità rela-tive all’eventuale versamento di assegni.La scelta della casa presso cui i figli saranno accolti è deter-minata – sulla base dell’artico-lo 155-quater - tenendo conto dell’interesse dei figli; ma nel caso in cui l’assegnatario non vi dovesse abitare, vi dovesse cessare di abitare o, ancora, vi

convivesse more uxorio o con-traesse nuovo matrimonio, tale diritto potrebbe venire meno, rimettendo in discussione tut-ti gli accordi presi fino a quel momento10.Nel caso di presenza di figli maggiorenni, attraverso l’arti-colo 155-quinquies, il giudice “... valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamen-to di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’aven-te diritto”11, mentre per i figli maggiorenni portatori di han-dicap grave si applicano le disposizioni previste per i figli minorenni.In tal modo, tuttavia, si po-trebbe aggravare la posizione del figlio maggiorenne, co-stretto ad agire in giudizio per vedersi riconoscere il diritto al mantenimento.L’articolo 155-sexies si rife-risce ai poteri del giudice e all’ascolto dei minori: “Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giu-dice può assumere, a istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inol-

8 Cfr. legge n. 54/2006, art. 1, Modifiche al codice civile, art. 155-bis - “Affidamento ad un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso”.

9 Cfr. legge n. 54/2006, art. 1, Modifiche al codice civile, art. 155-ter “Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli”.

10 Cfr. legge n. 54/2006, art. 1, Modifiche al codice civile, art. 155-quater “Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza”.

11 Cfr. legge n. 54/2006, art. 1, Modifiche al codice civile, art. 155-quinquies - “Dispo-sizioni in favore dei figli maggiorenni”.

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tre, l’audizione del figlio mi-nore che abbia compiuto gli anni dodici e di età inferiore ove capace di discernimen-to”12. Tale norma è dettata dalla necessità di applicare la Convenzione europea di Stra-sburgo del 1996 e quella di New York del 198913. Egli, infine, “... qualora ne ravvisi l’opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provve-dimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiunge-re un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’in-teresse morale e materiale dei figli”14.Gli articoli 2 e 3 trattano della soluzione delle controversie e dei provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni, per le quali il giudice, a seguito di ricorso, può modificare i prov-vedimenti in vigore e può an-che congiuntamente ammoni-re e/o disporre il risarcimento dei danni per le parti lese15.Il penultimo articolo, il n. 4, offre ai già separati o ai di-

vorziati prima dell’entrata in vigore della presente legge la possibilità di richiederne l’ap-plicazione e sancisce la stessa per i procedimenti relativi ai fi-gli di genitori non coniugati16.Infine l’ultimo articolo riba-disce che “... dall’attuazione della presente legge non de-vono derivare nuovi o maggio-ri oneri a carico della finanza pubblica”17.Si evince, dunque, che, con la legge n. 54/2006, sono state introdotte novità importanti in materia di separazione, di divorzio e di affidamento dei figli, sia sul versante delle procedure, sia su quello dei principi di base. Si possono quindi individuare alcuni pun-ti che aiutano a delineare ciò che potrebbe derivare dalla sua applicazione:

1. si ribadisce il principio se-condo il quale il figlio minore ha diritto a continuare i rap-porti con entrambi i genitori e con i rispettivi ascendenti;2. l’adozione dell’affidamen-to condiviso diviene la norma prevalente rispetto a quello

12 Cfr. legge n. 54/2006, art. 1, Modifiche al codice civile, art. 155-sexies. - “Poteri del giudice e ascolto del minore”.

13 La Convenzione europea di Strasburgo è stata ratificata in Italia con la legge n. 77/2003, mentre quella di New York con la legge n. 176/1991. Entrambe affermano il diritto del minore a essere ascoltato nelle procedure giudiziarie che coinvolgono i suoi interessi. Cfr. f. toMMaseo, “La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006)” in Famiglia e Diritto, XVIII, 2006, 1, p. 11.

14 Ibidem.15 Cfr. legge n. 54/2006, art. 2, Modifiche al codice di procedura civile e art. 3, Disposi-

zioni penali.16 Cfr. legge n. 54/2006, art. 4, Modifiche al codice civile.17 Cfr. legge n. 54/2006, art. 5, Disposizione finanziaria.

Legge n. 54/2006

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esclusivo, al quale comunque il giudice può ricorrere nel caso in cui ci siano situazioni contrarie alla crescita del mi-nore;3. ogni genitore, in base alle sue possibilità, è tenuto a cor-rispondere un assegno per il mantenimento dei figli;4. la casa presso la quale i figli sono ospitati viene asse-gnata tenendo conto del loro interesse e non più del genito-re al quale vengono affidati;5. il diritto di assegnazione della casa potrebbe venire meno, nel momento in cui il genitore assegnatario conviva more uxorio o contragga nuove nozze;6. il cambio di residenza di uno dei due genitori può es-sere un motivo valido per ri-chiedere la definizione degli accordi o dei provvedimenti presi;7. per i figli maggiorenni non ancora autonomi economica-mente, il giudice può disporre il pagamento di un assegno di mantenimento, che il genitore o i genitori dovranno versargli direttamente;8. si può ricorrere in Cor-te d’Appello per reclamare i provvedimenti emessi dopo il fallimento del tentativo di conciliazione;9. in caso di ricorsi sono previste sanzioni per i genito-ri inadempienti sia sul piano morale, sia economico;10. l’ascolto del minore divie-

ne elemento essenziale per l’omologazione della separa-zione o del divorzio;11. si introduce la possibilità di utilizzare la mediazione e dunque il ricorso a esperti in materia al fine di risolvere le controversie tra i genitori che hanno deciso di separarsi.

La legge sull’affidamento condiviso sta modificando la disciplina stessa dei giudici, poiché detta alcune regole particolarmente innovative al fine di dare tutte le garanzie possibili all’interesse morale e materiale dei figli, soprattutto per ciò che riguarda la possi-bilità, per i genitori, di ricorre-re volontariamente al percorso di mediazione familiare.Sembra, però, che il legislato-re abbia trascurato un punto di estrema importanza: l’affi-do condiviso può avere ragio-nevoli probabilità di successo solo se vi è tra i coniugi un preciso ed equilibrato accordo nel quale fissare nel dettaglio i punti previsti del modificato articolo 155. Inoltre la nuova legge è estre-mamente vaga in merito alla residenza del minore, il qua-le potrebbe essere costretto a “rimbalzare” tra una resi-denza e l’altra nell’ipotesi in cui i genitori non abbiano la sensibilità di comprendere che la stabilità della dimora è indispensabile all’equilibrio del minore.

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Condizione, dunque, indi-spensabile affinché il minore possa effettivamente trarre vantaggio dall’affidamento condiviso è che vi sia un so-stanziale accordo tra i suoi ge-nitori; pertanto gli ex-coniugi dovrebbero essere aiutati a re-digere quello che in una prima fase di stesura della proposta di legge veniva definito “pro-getto condiviso” e, soprattut-to, sensibilizzati al fatto che si è genitori per sempre. Non è certo ipotizzabile che un giu-dice possa prevedere le regole di tale progetto, condiviso tra due individui litigiosi (che po-trebbero anche strumentaliz-zare il minore), dal momento che l’affidamento condiviso viene inteso quale riorganizza-zione di un modello di fami-glia in cui il minore realizza il proprio diritto alla formazione e allo sviluppo della propria personalità.Nelle aule dei tribunali - pri-ma della legge 54/2006 - era perlopiù praticato l’affido mo-nogenitoriale. In particolare i figli venivano affidati alla madre nella quasi totalità dei casi; e solo problemi gravi e specifici (quali ad esempio alcool, droga o maltrattamen-ti) potevano determinare una decisione in senso contrario. Ne derivava il non esercizio dei diritti dei genitori non affi-datari, soprattutto padri, che, privati di fatto della prole, erano costretti ad assumere

un ruolo marginale nella cre-scita e nell’educazione dei fi-gli con sacrificio dei diritti di entrambi. In non pochi casi l’affidamento esclusivo ha de-terminato pericolosi squilibri all’interno della famiglia: da un lato la madre, costretta a rivestire il difficile ruolo di educatrice, a combattere con i problemi quotidiani legati alla scuola, alle malattie, agli im-pegni, alle amicizie dei figli; dall’altra il padre, che vede i figli nel fine settimana e che cerca di colmare la distanza fisica rendendo per i figli il più piacevole possibile il poco tempo trascorso insieme.In altre parole il giudice non deve più scegliere a quale dei due genitori affidare i figli, poiché il principio su cui si fonda l’affidamento condiviso è che il fallimento di due per-sone come coniugi non deve comportare necessariamente il loro fallimento come geni-tori.Per evitare al minore il trau-ma legato alla perdita di un genitore, è importante che du-rante la separazione i coniugi riescano a differenziare i pro-blemi legati alla conflittualità della coppia da quelli relativi al proprio ruolo di genitore.Questo aspetto della nuova legge tocca nel vivo un proble-ma che il legislatore avrebbe potuto risolvere una volta per tutte e che, invece, è stato completamente ignorato: il

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supporto della mediazione fa-miliare e del mediatore fami-liare. Infatti il testo accenna alla mediazione (non speci-ficando però che si tratta di mediazione familiare come di fatto è) e la confina alla fine del testo legislativo (come possibile strada alternativa a una lite già iniziata), ma non è poi così chiaro nelle modalità con le quali effettivamente la stessa possa essere utilizzata.Questa omissione rischia di rendere difficoltosa nella pra-tica l’applicazione dell’affida-mento condiviso, dal momento che viene a mancare l’occa-sione di indirizzare le parti in conflitto verso un percorso di mediazione familiare che, con il necessario supporto di un professionista, aumenta si-gnificativamente le possibilità di raggiungere un accordo e, soprattutto, le possibilità che il medesimo accordo venga rispettato e mantenuto nel tempo. Gli obiettivi che il legislatore si è posto sono totalmente rivolti al benessere dei minori. L’af-fidamento condiviso dovreb-be infatti contribuire a una crescita armoniosa dei figli, in virtù della responsabilizza-zione di ciascun genitore nei loro confronti. Inoltre potreb-be essere superato il problema legato al venir meno della fi-gura paterna, spesso “perden-

te” nella logica di un processo ancora fortemente impregnato sulla logica dei vincitori e dei vinti in una lotta nella quale il minore è visto come una sorta di premio o di risarcimento. Il passaggio preventivo, comun-que volontario, al centro di mediazione familiare accredi-tato, inizialmente previsto dal disegno di legge, avrebbe per-messo alla coppia di conosce-re una strada alternativa alla controversia in atto, adottando i provvedimenti più opportuni sia sul piano educativo, sia su quello economico, e consen-tendo così alle parti di siglare un accordo da presentare al Presidente del Tribunale.Tutto questo per affermare che, in Italia, nonostante dalla metà degli anni Ottanta si sia cominciato a parlare di media-zione familiare e vi siano state diverse proposte di legge non andate a buon fine18, non è stata ancora prevista una legi-slazione che disciplini e rego-lamenti tale servizio, nonché la stessa figura del mediatore familiare.Pur facendone menzione, nell’articolo 155-sexies del-la legge n. 54/2006, alcuni punti di estrema importanza rimangono pur sempre vaghi, quali il fatto che:

1. si parli in maniera generica di esperti e non di mediatori

18 Per ulteriori approfondimenti: G. CaPilli, P. laselVa, “Mediazione familiare e progetti di riforma”, Famiglia e Diritto, XVIII, 2006, 1, pp. 91-92.

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da un lato, di mediazione e non di mediazione familiare dall’altro;2. nel momento in cui si in-vitano i genitori a tentare una mediazione, non si specifica quando e come poi questi vi possano arrivare, non essendo previsti collegamenti con chi può offrire tale servizio19.

Il percorso di mediazione fa-miliare avrebbe il vantaggio di realizzare un sistema che mantiene entrambi i genitori in contatto con i figli e non crea vincitori e vinti, all’appo-sito scopo di non dare adito a successive aspirazioni di rivin-cita da parte di una delle due parti in gioco. La mediazione è un percorso da considerare come un’op-portunità per tutte le famiglie e non solo per quelle che han-no deciso di sciogliersi. Mai come oggi è necessario e ur-gente investire in una cultura che sostenga la famiglia, la co-niugalità e la genitorialità; per questo servono investimenti in strutture e servizi.Oggi ancora più di prima, nell’ottica di garantire al mi-nore equilibrio e serenità, è necessario educarsi a mediare assumendo la consapevolezza di restare genitori per sempre

anche in caso di scioglimento della coppia. Solo adoperan-dosi in tal senso, sarà possi-bile applicare nella pratica una legge che privilegia giu-stamente l’importanza di en-trambi i genitori, ciascuno per il proprio ruolo, garantendone la potestà. Infatti l’inaspri-mento della lite e la manca-ta accettazione che entrambi i genitori sono essenziali alla crescita del minore non po-trebbe di certo favorire né un affido condiviso, né, a questo punto, una separazione con-sensuale, rendendo ancora più faticoso il compito del giudi-ce nel prendere una decisione nell’interesse del minore. Nel corso dell’ultimo decennio in Italia stiamo assistendo a un movimento atto a promuo-vere un approccio conciliativo che ha portato a sperimenta-re, sull’esempio di esperienze internazionali, strumenti inte-grativi e/o alternativi al pro-cesso giudiziario per la risolu-zione dei conflitti (Alternative Disputes Resolution)20.Tale orientamento rispon-de non solo a un necessario snellimento giurisdizionale, ma soprattutto conduce le parti in conflitto a negoziare le rispettive esigenze, uscen-do dalla controversia con un

19 Ciò è molto importante, dal momento che creare un servizio di rete pubblico tramite convenzioni con enti sia pubblici, sia privati, dove comunque i genitori potranno sce-gliere liberamente con chi svolgere la mediazione, sta a garanzia della qualità, della serietà e della trasparenza della stessa.

20 a.l. bitetto, “La mediazione familiare in Inghilterra e nel Galles”, in Famiglia e Diritto, XVIII, 2006, 1, pp. 93-97.

La mediazionefamiliare

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accordo più condiviso e più rispondente ai propri bisogni, secondo una logica win-win; e in quest’ottica la nuova leg-ge sull’affidamento condiviso dovrebbe essere interpretata, poiché si pone l’obiettivo di ridurre le possibili strumenta-lizzazioni - esercitate dall’uno o dall’altro genitore - sia per quanto riguarda il diritto di vi-sita, sia per quello relativo alle forme di mantenimento. Inol-tre la condivisione dell’affida-mento dei figli ha come pre-supposto imprescindibile che gli ex-coniugi si riconoscano nella loro diversità e ritrovino quella minima propensione a comunicare indispensabile per consentire loro di essere ancora genitori e di continuare a esercitare le proprie respon-sabilità. A tal fine la mediazione fa-

miliare potrebbe essere lo strumento idoneo messo a disposizione dei genitori per promuovere le loro risorse e sostenere le loro competenze educative nell’interesse dei fi-gli, attraverso l’acquisizione di capacità comunicative.Alla luce di ciò ci si aspetta che l’approccio degli addetti ai lavori (avvocati, psicologi, pedagogisti, assistenti sociali, magistrati, ecc.), che opera-no con le famiglie interessate dalla separazione o dal divor-zio sia più orientato a una col-laborazione interdisciplinare che, riconoscendo le speci-fiche competenze e i confini delle diverse professionalità, faciliti il dialogo tra queste, al fine di garantire un sostegno di reale tutela e garanzia per tutti i componenti della fami-glia, ancorché divisa.

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Il segreto di stare bene insieme

PremessaParlare oggi del matrimonio non è facile. Molte perplessi-tà invadono le menti e appe-santiscono i cuori, come pure molti interrogativi affollano la vita di molte coppie di sposi.

1. Che ne è stato della vita di coppia di molti nostri amici? 2. Non ci avverrà forse ciò che è capitato ai nostri amici che sono partiti con tanto entu-siasmo, tanti bei propositi di amarsi per sempre e con tanta tenerezza; e poi la loro storia è finita miseramente con sof-ferenza e acredine dall'una e l'altra parte?3. Ce la faremo, noi, a stare sempre insieme e ad amarci? 4. Non suoneranno anche per

noi le “campane” della crisi e della delusione?

E gli interrogativi potrebbero continuare.Non di questo voglio parlare, ma di qualcosa di più signi-ficativo e nutritivo per quanti vivono in coppia. Non intendo fare una disqui-sizione solo teorica, ma voglio toccare alcune corde intime del vissuto di tante coppie di sposi perché possano farle ri-suonare nella loro vita. Pertanto, dopo aver dato al-cuni spunti di riflessione, in-viterò il lettore ad interrogarsi attraverso alcune domande e ad attuare alcune piccole esperienze, se lo vorrà. Inten-do far riflettere, voglio smuo-

Romolo Taddei

Premessa

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vere la naturale pigrizia che si può creare quando soltanto si legge. Desidero che il lettore diventi protagonista e attore. La cosa più bella che si po-trà vivere, leggendo quanto è qui contenuto, è di portarsi un qualcosa che possa essere di nutrimento nel cammino del-la vita. L'interrogativo al quale voglio rispondere è il seguente: c'è un segreto per continuare a stare bene insieme? E se c'è, qual è? Potrà sembrare qual-cosa di sdolcinato, di fragile, di troppo semplicistico... Ma l'esperienza di tante coppie di sposi lo conferma. Sì, un se-greto c'è, ed è: “Amarsi ogni giorno con amore di tenerez-za coltivando l'intimità”.A questo punto è necessario attuare una chiarificazione dei termini

Che cosa è l'intimità?Viviamo nella società post-ro-mantica. Varie sono le illusioni foraggiate da essa. Si scambia l'intimità per la simbiosi. Si ri-tiene che le differenze debba-no essere annullate. Si pensa che, per amarsi, ci si debba sempre capire. Si baratta il senso della propria autonomia con l'appartenenza, sacrifican-do se stessi. Due sono i bisogni fondamen-tali presenti in ogni essere umano di qualsiasi latitudine e di qualsiasi appartenenza religiosa: il bisogno di essere

amato, di appartenenza, di ca-lore, di legame e il bisogno di essere se stessi, di autonomia, di realizzarsi. Ora capita che non sempre questi bisogni fon-damentali si coniughino insie-me e con equilibrio. C'è quasi sempre all'interno di una cop-pia, all'inizio della propria sto-ria d'amore, chi privilegia più un bisogno che l'altro. Cosi, ad esempio, c'è chi inizia la pro-pria storia d'amore in manie-ra più differenziata, con una esasperazione dell'individua-lità; il percorso, per evolvere, deve proseguire attraversando il rischio di affidarsi all'altro. La individualità esasperata e sterile dell'autosufficienza (io basto a me stesso) deve tende-re al “consegnarsi” all'altro. È necessario attraversare la pau-ra di perdere i propri confini, di lasciarsi andare all'altro, di dare e darsi calore e intimità.C'è invece chi inizia il proprio cammino in modo simbiotico, di forte legame; il percorso per evolvere deve affrontare, in questo caso, il rischio di sentir-si abbandonati, di superare la difficoltà del confronto, di stare con il senso di solitudine e di vuoto, di tollerare l'aggressività dell'individuazione e della dif-ferenziazione. In questa fase i membri della coppia scoprono la propria autonomia come in-dividui, attraversano la delusio-ne di sentire l'altro distante, a volte sconosciuto e diverso1.

1 Per un ulteriore approfondimento, V. CoNte, “Essere coppia nella postmodernità”, in a.

Che cosa è l'intimità?

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È bene che si veda la crisi non come una minaccia, né come una sconfitta, né come un fos-sato che divide e fa chiudere in se stessi, ma come una pro-spettiva di crescita, che porti a domandarsi: che cosa vuole dire questa nuova situazione? Come e dove si è vissuti troppo unilateralmente? A che cosa in futuro bisognerà prestare mag-giore attenzione? La crisi dun-que indica qualcosa di nuovo che sta emergendo e mostra l'opportunità di un maggiore equilibrio per arrivare al pro-prio vero io. È come se essa entrando in una casa, buttasse tutto sottosopra per condurre a Dio e a se stessi.Che cosa significa, allora, es-sere intimi? Significa che en-trambi i partner devono essere se stessi. E più in concreto:

1. poter parlare apertamente delle cose che per loro sono fondamentali;2. prendere posizione su im-portanti problemi emotivi; 3. stabilire i limiti di ciò che si ritiene sia accettabile e tolle-rabile in una relazione.

Significa pure dare all'altro la medesima possibilità. In bre-ve accettare di essere emoti-vamente legati a una persona che pensa, crede e prova in un modo diverso, senza sen-

tire la necessità di modellare, cambiare o convincere l'altra persona2.

Invito il lettore a chiedersi quali sono le differenze che vive nei confronti del proprio partner. Le metta per iscritto e poi le confronti con quelle del proprio sposo. Si chieda qua-li sono i sentimenti che prova nel mettere in comune le dif-ferenze (Sorpresa? Amarezza? Delusione? Più consapevolez-za delle proprie intuizioni? Al-tro?).

Le differenze non sono una palla al piede; ma, se da una parte sono motivo di sofferen-za, dall'altra fanno crescere e rappresentano una formidabi-le risorsa per crescere sempre più nell'amore autentico. Le differenze sono una palestra per maturare e sviluppare il senso della propria identità e l'autentica comunione.Resta pur sempre la difficoltà di come conciliare le differen-ze. Indico alcuni percorsi:

1. accogliere la diversità dell'al-tro accogliendo la propria;2. assumere i propri limiti as-sumendo quelli dell'altro; 3. dialogare con l'altro dialo-gando con se stessi; 4. integrare insieme apparte-nenza e differenza, legame ed

ferrara e M. sPaGNuolo lobb (a Cura di), Le voci della Gestalt, Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 168-174.

2 H.G. lerNer, Insieme con tenerezza, Sperling & Kupfer, Milano, 1990, pp. 7-8.

Come conciliare le differenze

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autonomia, realtà di coppia e realtà individuale.

E alcune domande:1. Quali le reazioni di fronte a questa proposta di percorsi?2. Che cosa potrei mettere in atto a partire da questa consa-pevolezza?

Che cosa è la tenerezza?Forse il lettore si meraviglierà se parlo della tenerezza. Lo faccio sia perché come esseri umani si è chiamati a vivere la tenerezza nei rapporti con le persone che si incontrano, sia perché dalle esperienze vissu-te da molte coppie di sposi ho imparato molte cose che voglio trasmettere. Invito il lettore a chiedersi che cosa sia per lui la tenerezza. Provi a descriverla con parole proprie.Attraverso brevissime battute cerco di chiarire che cosa non è la tenerezza e che cosa è.

1. La tenerezza non consiste nell'avvertire sensazioni piace-voli, attimi di commozione, ri-cordi o nostalgie incancellabili. Non consiste in smancerie, in sdolcinatezze, in manierismi, in atteggiamenti svenevoli. 2. La tenerezza non è essere affascinati da un volto che se-duce e incanta.

Facendo l'anagramma della parola Tenerezza, essa è un “Tesoro (TE) - Necessario (Ne) -

Respiro (Re) - Di Dolcezza (Zza). Oppure: Tenera (T) - Effusione (E) - Nuziale (N) - Espressione (E) - Religiosa (R) - Essenziale (E) - Zolla (Z) - Zampillante (Z) - Amore (A)”.

1. La tenerezza è accorgersi dell'altro, è apertura all'altro, è estensione verso l'altro, è ar-ricchimento dell'altro (faccio notare che l'aggettivo “tene-ro” deriva dal verbo “tende-re”, estendersi verso, aprirsi all'altro diverso da me; “tene-rezza” viene anche dal verbo latino “teneo”, che significa “tengo legato, mantengo vin-coli”; in fondo attraverso la te-nerezza ci si tiene l'uno legato all'altro).2. La tenerezza ha a che fare con la fortezza (il termine “te-nerezza”, tra i diversi etimi, sembra che si colleghi anche al latino “tenax”, tenace, re-sistente, forte). Altro che roba da donnicciole, da bambini o da vecchi rammolliti!3. La tenerezza è come il pe-peroncino nel cuscus; è il miele della terra; è un'oasi di calma in cui il cuore parla e i sensi ascoltano. La tenerezza è per l'amore ciò che il sole è per l'estate, ciò che i colori sono per l'autunno, ciò che i fiori sono per la primavera, ciò che la neve è per l'inverno. È il barometro dell'amore.4. La tenerezza è far sentire bene l'altro. Vivere di tenerezza è attuare un incontro non su-

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perficiale, né anonimo, ma con-creto: fatto di uno sguardo, di un sorriso, di un abbraccio forte e non fugace, di un bacio. 5. La tenerezza è attuare il passaggio dal chiedersi: “Che cosa mi dà lui/lei, perché io sia felice e mi realizzi?”, a un'altra domanda più impe-gnativa: “Che cosa sto facen-do io perché lui/lei sia felice e si realizzi?”. Non è un viaggio in carrozza, né una strada in discesa; è piuttosto in salita e suppone una scelta e un lungo tirocinio.6. La tenerezza è sentire di es-sere amati. Non basta sapere di essere amati, bisogna co-municarlo, bisogna farlo capi-re. Niente è scontato, niente è sottinteso, niente è naturale o evidente. Ogni sentimento, per riscaldare il cuore dell'altro, ha bisogno di essere manifestato e ribadito. La tenerezza suppo-ne questa consapevolezza. La patologia dell'amore coniugale comincia quando non si è più capaci di tenerezza. E tradire la tenerezza è tradire l'amore.

Invito il lettore a domandar-si quali siano, a questo punto della nostra riflessione, le sue risonanze emotive e quali le considerazioni. Se è una perso-na sposata, si chieda: sono uno che vive una forte esperienza di tenerezza e mi impegno a comunicarla con la vita? Come trasmetto concretamente la te-nerezza al mio/a sposo/a?

Senza la tenerezza non esiste amore pieno e pienamente umano. La sessualità è piena-mente umana solo se è anima-ta dalla tenerezza; essa trasfor-ma la promessa e il desiderio di incontro in un evento signi-ficativo, ricco ed estatico.Ho focalizzato l'attenzione sul-la identità della tenerezza. Ora mi pongo queste domande: come mettere in atto il segreto dello stare insieme in un mon-do violento e frantumato? Per-ché continuare a vivere con un marito, con una moglie e non provare piuttosto a vivere con un altro uomo, con un'altra donna per sperimentare sensa-zioni nuove e rinverdire l'espe-rienza coniugale, a volte così ripetitiva e stanca? Quali le motivazioni profonde per con-tinuare a stare con lo stesso partner? Trovo risposta a que-sti interrogativi nella seguente affermazione: “La famiglia è il luogo teologico della pre-senza e della manifestazione di Dio, simile alla presenza di Gesù nell'Eucaristia, il cui api-ce sta nel vivere, nella concre-tezza della vita, la tenerezza”. E per andare alla scuola della tenerezza si è chiamati a com-piere questi passaggi: vivere la tenerezza di Dio, vivere la te-nerezza verso se stessi, viverla verso il proprio partner.

Primo passaggio: vivere la te-nerezza di DioUna giovane coppia di sposi

Primo passaggio:vivere la tenerezza di Dio

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chiese al maestro: “Che cosa dobbiamo fare perché il nostro amore duri?” La risposta del maestro fu: “Lasciate che Dio riempia il vostro amore”. E chi è Dio? Non è un giudice implacabile, non è un castiga-matti, non è un solitario, non è un babbo natale con la barba lunga. Il nostro Dio è comunio-ne di tre Persone che interagi-scono, si amano e si compene-trano a vicenda. Dio Padre è l'amante, è colui che accende la vita, è la gra-tuità pura dell'amore. Dio Figlio è l'amato, è l'esi-stenza accolta; e se è divino amare, altrettanto divino è la-sciarsi amare. Dio Spirito Santo è l'amorevo-lezza, è vincolo di unità tra Pa-dre e Figlio, è estasi e novità permanente. Con parole sem-plici, Dio è dono, accoglienza, condivisione; e il tutto è rac-chiuso nella realtà della tene-rezza. Chi ci mostra il volto di Dio è Gesù di Nazareth, in cui convivono queste opposte po-larità.

1. La tenerezza di Dio è incar-nata (cioè partecipa profonda-mente della vita degli sposi) e nello stesso tempo è sovrana-mente libera.2. È personale (cioè si rivolge a ciascuno essere umano) e nello stesso tempo è universa-le: si rivolge a tutti.3. È radicale, esigente (cioè priva di mezze misure o com-

promessi) e nello stesso tempo è estremamente accogliente, amabile e comprensiva nei confronti delle persone e delle loro debolezze.4. È vicina, solidale con le no-stre esistenze e, nello stesso tempo, santa, senza alcuna contaminazione col male.

Come vivo la tenerezza di Dio nella mia vita? Mi sforzo di es-sere, alla maniera di Dio, dono, accoglienza e condivisione? Se sono una persona sposata, sono consapevole di essere abi-tata, attraverso il sacramento del matrimonio, della presenza di Dio? In che modo comunico questa presenza? Chi lo vuo-le, provi a sperimentarla ora attraverso un gesto sensibile, affettuoso e concreto, quali un bacio, una carezza, una stretta di mano o un abbraccio, come quando entrando in chiesa si fa il segno della croce o ci si inginocchia.

Non si è fatta una sceneggiata, né uno show, ma, consapevoli o no, si è rinnovata la fede: Gesù è presente nella propria relazio-ne di sposi, così come, anche se con una modalità diversa, è presente nell'Eucaristia.

Secondo passaggio: vivere la tenerezza verso se stessi Intendo ora offrire alcuni sug-gerimenti concreti sul come mettere in atto la tenerezza verso se stessi.

Secondo passaggio:vivere la tenerezza

verso se stessi

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Primo suggerimento: si nutra-no pensieri di pace e non di guerraA volte capita di vivere come in un campo di battaglia: tu un giorno mi hai detto, mi hai fatto, ti sei comportato...“Il lamento è la morte dell’amo-re” diceva Marlene Dietrich. La critica è una forma di abu-so nei confronti di se stessi, perché i tratti che si criticano nell’altro sono spesso proie-zioni di spiacevoli verità verso se stessi. Il lamento si ritorce come un effetto boomerang. Quanto sarebbe bello, inve-ce, poter ricordare e dire allo sposo (alla sposa) e ai figli le cose belle e positive che han-no compiuto! Sarebbe come un benedire, cioè un dire bene dell'altro. Questo modo di sen-tire allarga il cuore, crea un clima positivo, rende la vita armoniosa e bella.

Il lettore provi a comunicare qualcosa di carino che ha fatto oggi per il proprio sposo/a. Nei prossimi giorni invito il lettore a fare questa esperien-za: cerchi di diventare consa-pevole delle critiche persisten-ti o dei pensieri negativi che nutre nei confronti del proprio partner. Poi, piuttosto che brontolare a voce alta, cambi ogni lamento o critica in una richiesta. Ad esempio, piutto-sto che accusare dicendo in modo reattivo: “Tu sei sempre in ritardo agli appuntamenti

dati”, provi a dire: “Mi sento rispettata/o quando mi telefo-ni e mi comunichi che sei in ritardo”.

Secondo suggerimento: entra dentro di te e accogliti nei tuoi limiti e nelle tue vulnerabilitàCiascuno di noi ha zone oscure, nodi emotivi e rela-zionali non risolti. Ciò che si è chiamati a fare è vedersi e accogliersi nelle proprie de-bolezze. Si sia buoni con se stessi. Piuttosto che lamentar-si dicendo: “Combino sempre guai, sono un buono a nulla, non sono bravo”, oppure piut-tosto che confrontarsi con al-tre persone pensando dentro se stessi: “Non sono come il mio amico o la mia amica”, ci si comporti con misericordia verso se stessi, non infierendo contro le proprie debolezze, non rimuginando in continua-zione, ma avendo uno sguardo compassionevole del cuore.

Invito ora il lettore a fare que-sta esperienza.Fermi il flusso dei propri pen-sieri negativi, delle proprie preoccupazioni, dei propri rimuginii. Entri nel proprio cuore, prenda contatto con se stesso, col proprio respiro e provi a dirsi: “O Signore, io sono amato e benedetto da te, nonostante il mio limite e le mie difficoltà. Posso volermi bene anche quando sono fra-gile e vulnerabile, perché Tu

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credi in me. Io sono benedetto da Te e sono una benedizione per gli altri”. Come mi sento ora?

Terzo suggerimento: apprezzi le piccole e umili cose.Il vivere quotidiano non è sem-pre fatto di voli pindarici, di esperienze forti, di emozioni scioccanti, di grandi cose, ma perlopiù di piccole e semplici cose: lo sguardo di un figlio, una telefonata, un biglietto, un SMS, una carezza, un ba-cio, una parolina dolce e ca-rezzevole. Non sono le grandi cose a contare di più, ma la capacità di rendere grandi le piccole cose. Nelle piccole cose di ogni giorno, compiute con e per amore, si costruisce il proprio futuro. Non conta tanto il “che cosa” si fa l'uno per l'altro, ma il “come” lo si attua, il senso che si dà alle cose che si fanno, l'amore che vi si mette. In particolare è da sottolineare che c'è un me-tro diverso di misurazione tra l'uomo e la donna. Mentre per l'uomo contano le grandi cose, le grandi realizzazioni, i grandi progetti, per la donna le picco-le cose contano molto e sono importanti quanto le grandi. Paradossalmente per una don-na il dono di una rosa conta quanto il pagamento dell'affit-to di un mese; per un uomo, invece, le piccole cose sono insignificanti, se paragonate alle grandi che fa per lei. Ciò

capita perché gli uomini sono diversi dalle donne: secondo la colorita immagine di John Gray, gli uomini “vengono da Marte e le donne da Venere”.

Il lettore provi a pensare a quali e a quante piccole cose ha compiuto oggi o in questi giorni e cerchi di comunicarle. Non le dia per scontate, né ab-bia a pensare che sia sciocco comunicarle.

Quarto suggerimento: rinnovi il senso dello stupore e della meraviglia, non dando nulla per scontatoQuel grido di incontro, di scoperta, di meraviglia e di stupore che Adamo espresse quando vide la bella Eva nel-la sua nudità: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa” (Gen 2,23) dovrebbe albergare in ogni persona; altrimenti c'è il rischio di disamorarsi e di tor-nare a una vita pesante, mo-notona e grigia. Una moglie una volta mi diceva: “Ah! Se mio marito mi guardasse come guarda il suo computer... Se mi curasse come cura la sua auto... Se mi ascoltasse come ascolta il telegiornale”. È bene mantenere sempre la capacità di meravigliarsi e di comprendere; come si espri-meva il Piccolo Principe di Saint Exupery: “... la vostra rosa è unica al mondo [...]. È il tempo che avete perduto per

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la vostra rosa che ha fatto la vostra rosa così importante”3. Sappia contemplare le mani della propria sposa, i suoi oc-chi, il suo volto. Non si abitui alle sue mani, ai suoi occhi, alle sue carezze. Provi ogni giorno ad apprezzare le qua-lità del proprio sposo, della propria sposa, piuttosto che restare muto o, peggio ancora, stilare un elenco interminabile di difetti.Ci si nutra tessendo ogni giorno le cose che si apprez-zano nel proprio sposo, nella propria sposa, nei figli; e poi la vita sarà diversa, come un giardino fiorito e bello.

Provi il lettore a comunicare tutta una serie di qualità che apprezza nel proprio partner e nella propria relazione di cop-pia. Non le dia per scontate e non abbia a dire: “Ah, poi lui/lei si ringalluzzisce”. Se vuole, provi a sfogliare l'al-bum delle fotografie oppure a vedere il filmino del proprio matrimonio. E poi si chieda che cosa prova e quali riso-nanze affiorano.

La tenerezza e l'ammirazione sono atteggiamenti fragili. È molto importante che si cu-rino; in tal modo si riuscirà a impedire che il proprio matri-monio si deteriori. Sono pure ottimi antidoti contro i “quat-

tro cavalieri dell'Apocalisse” che deteriorano la relazione coniugale: le critiche pesanti e continue, il disprezzo, l'atteg-giamento difensivo attraver-so cui in realtà si comunica: “Il problema non sono io, sei tu”, l'ostruzionismo, col qua-le - piuttosto che affrontare il proprio partner - si preferisce squagliarsela.

Quinto suggerimento: ricerchi ciò che è essenziale, ciò che fa crescere dentro e non vaga-bondi nel futuro creando un mondo catastrofico pieno di paure e di ansie, né rimugini con nostalgia sul passato

In genere si vive nei ricordi del passato o nella speranza del futuro, nel “già” che non c'è più o nel “non ancora” che ancora non c'è. Gesù dice: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6,34) e richiama a vivere “ora”, il tempo tra il “già” e il “non ancora”. È l'unico che c'è, il solo in cui s'incontra Colui che è.Così si esprime Helen Mallicoat in una bella poesia:

Io rimpiangevo il passato e te-mevo il futuro. Improvvisamente il Signore mi parlò: “Il mio nome è ‘Io sono’”.

3 A. de saiNt–exuPery, Il Piccolo Principe, Bompiani, Milano 1997, pp. 96-98.

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Si fermò. Io aspettai. Egli con-tinuò: “Quando tu vivi nel passato, con i suoi errori e fallimenti, è difficile per te vivere. Io non sono lì. Il mio nome non è ‘Io ero’.Quando tu vivi nel futuro con i suoi problemi e le sue paure, è difficile per te vivere.Io non sono lì. Il mio nome non è ‘Io sarò’. Quando vivi in questo momen-to, per te non è difficile vivere.Io sono qui. Il mio nome è ‘Io sono’”.

Colui che vive nell'attimo pre-sente diventa una sola cosa con Dio.Il segreto per attuare questo consiste nel dimenticare se stessi, nello smettere per un attimo di girare intorno a se stessi, non chiedendosi più a che cosa serva ciò che si fa, bensì essendo semplicemente quello che si è in quel momen-to. Soltanto nel “qui ed ora” si ha l'opportunità di riempire di gioia il proprio partner.

Il lettore cerchi semplicemen-te di vedere il proprio partner “nell'ora e qui”. Lasci andare il passato e tenga il futuro a bada. Che cosa potrebbe, pro-prio adesso, sperimentare per vivere sentimenti di vicinanza con il proprio partner? Quali cambiamenti nella pro-pria relazione potrebbe sug-gerire e potrebbe attuare ora?

Provi a parlarne e, quando si sente pronto, li metta in atto.

Sesto suggerimento: si armi di coraggio per superare delusio-ni e paure, per vincere ciò che lo intristisce e lo deprimeLa vita è un rischio ed è dif-ficile per tutti. Non esistono persone beate che non hanno problemi; esistono piuttosto persone che, pur avendo pro-blemi, li sanno affrontare, han-no il coraggio di guardare alla propria pochezza, di accettarla e di amarla. Quando si sarà in grado di amare nonostante le vulnerabilità e i limiti, soltanto allora si sarà persone audaci, perché essere persone corag-giose non significa non avere paura, ma essere persone con-sapevoli di avere paura e capa-ci di gestirla.

Settimo suggerimento: non sia cieco consumatore di tutto ciò che viene propostoNo alla rapidità! No al “tutto subito e bene”! No alla tecni-ca del rimando! Poi... Poi... Poi... Nella vita è di tanto in tanto importante sapersi fer-mare e mettersi in pausa per vedersi, per interrogarsi, per confrontarsi. Questa, ad esem-pio, potrebbe essere una buo-na occasione. Non si è mac-chine. E questo è valido oggi più che in altri tempi, dato che tutti noi viviamo una vita frenetica e stressante, che ci porta a essere in movimento,

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a essere competitivi e invidiosi del benessere altrui. Si ha bi-sogno di lasciare sedimentare le cose, di non aggrapparsi a quello che è stato, di lasciar correre, di essere più leggeri. L'arte sta nell'essere aperti a entrambe le cose: al movimen-to e alla pausa, alla parola e al silenzio, cercando di ottenere l'equilibrio tra questi due poli.

Invito il lettore a domandarsi che cosa potrebbe fare per dia-logare e confrontarsi su qual-cosa che ritiene sia in sospeso con il proprio partner. Colga questa opportunità e non se la lasci sfuggire; potrebbe non ripetersi.

Terzo passaggio: vivere la te-nerezza verso l'altroIndico ora alcuni movimenti che si potrebbero attuare per vivere la tenerezza nei confron-ti della persona che si ama.

Primo movimento: esci da te stesso; decentrati, svuotati per fare spazio all'altroAmare è fare il movimento di Dio che è quello dello svuota-mento, della spoliazione, del saper perdere le proprie prero-gative, i propri attributi divini per diventare uomo. È bravo in amore chi sa accogliere, perdere, svuotarsi, spogliarsi come Gesù. Nella tenerezza non c'è la pretesa di afferra-re, non c'è una preda da con-quistare, non c'è un corpo da

possedere; c'è piuttosto uno stendere le mani per offrire se stessi, per consegnarsi all'altro ed essere un dono. In sintesi, non un afferrare ma un acca-rezzare, non un possedere ma un donare, non un chiudersi ma un aprirsi, non un conser-vare geloso per se stessi ma un espandersi all'altro.

Secondo movimento: com-prendi il punto di vista del tuo partner abbracciando il suo mondo e il suo modo di vede-re la realtà Ho ancora negli occhi la sen-sazione di stupore e di illumi-nazione che visse un marito allorquando si sentì finalmen-te compreso dalla moglie: gli occhi di entrambi si illumina-rono; e fu spontaneo per lui avvicinarsi alla moglie e darle un appassionato bacio. Il ri-conoscimento della diversità nasce proprio dal permettere all'altro di essere di fronte a te diverso da te. Tutto questo comporta l'ascolto e il rispetto della soggettività dell'altro.Per entrare nel mondo dell'al-tro, si è chiamati a riformula-re e a verbalizzare le proprie esperienze. Le possibili conseguenze nell'usare questi due approcci sono: sentirsi accolti e capi-ti, sentirsi pieni di energia, a volte essere guariti dalle ferite dell'infanzia. Quando il tuo partner smet-te di rifiutarti, di accusarti e

Terzo passaggio:vivere la tenerezza verso l'altro

Primo movimento:esci da te stesso

Secondo movimento:comprende il punto di vista del tuo partner

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capisce ciò che senti e pensi veramente, allora avrai la sen-sazione di essere capito.

Terzo movimento: datti con ge-nerosità, senza calcoli e senza misurare con il contagocce Ci sono molti modi attraver-so i quali potrai manifestare la tua vicinanza e tenerezza, tenendo conto che gli uomini desiderano soprattutto essere apprezzati e riconosciuti, le donne, invece, essere sostenu-te. Facendo tesoro di quanto suggerisce John Gray, propon-go alcuni gesti e azioni che possono attuare i mariti nei confronti delle mogli4:

1. tornando a casa, per prima cosa cerca la tua sposa e ab-bracciala; 2. complimentati con lei per il suo aspetto;3. regalale fiori e non solo in occasione di compleanni e an-niversari; 4. abbracciala spesso nel cor-so della giornata; 5. dille: “Ti amo” almeno un paio di volte al giorno; 6. offriti di aiutarla quando è stanca; 7. quando sei con gli amici, presta più attenzione a lei che agli altri;8. ringraziala quando fa qual-cosa per te; 9. telefonale dal posto di lavo-ro per chiederle come sta o per

comunicarle qualcosa di ecci-tante, oppure semplicemente per dirle: “Ti amo”.

I gesti e le azioni che possono attuare le mogli nei confronti dei rispettivi mariti sono:

1. non reagire quando com-mette un errore, dicendo: “Te l'avevo detto”, né offrirgli con-sigli;2. quando lui dimentica di comprare qualcosa, prova a dire: “Nessun problema. Po-tresti occupartene la prossima volta che esci?”;3. quando lui si chiude in se stesso, non farlo sentire in col-pa; 4. quando lui ti chiede di fare qualcosa, acconsenti senza perdere il buonumore; 5. mostrati felice di vederlo tornare a casa; 6. profumati in attesa del suo ritorno;7. apprezza sinceramente di fare l'amore con lui; 8. se dimentica dove ha messo le chiavi, non guardarlo come se fosse un irresponsabile;9. non dargli indicazioni quando è al volante o deve parcheggiare e, una volta a destinazione, mostragli il tuo apprezzamento.Quali di questi gesti e azioni proposti da John Gray potresti mettere in atto nei prossimi giorni? Prova ad assumerti in

4 J. Gray, Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere, Sonzogno, Milano, 2005, pp. 188–204.

Terzo movimento:

datti con generosità

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modo consapevole l’impegno di metterne in atto alcuni, poi - una volta realizzati - prova a comunicare al tuo partner come ti senti.

Quarto movimento: coltiva il senso della gratitudineLa gratitudine è un atteggia-mento essenziale per il tuo equilibrio. Una ricerca, condot-ta da McCullogh ed Emmons5

sull'importanza psicologica della gratitudine, conferma che quanto più le persone ri-conoscono di essere grate ed esprimono soddisfazione nella loro vita, tanto più tendono a essere felici guardano al futu-ro con ottimismo e contenen-do paure e ansie.

C’è qualcosa che hai ricevu-to in questi giorni dal/la tuo/a sposo/a per il quale lo/a vorresti ringraziare? Prova ad esprimere la tua gratitudine e a non dar-la per scontata, iniziando ogni frase con “Ti sono grato per...” oppure “Ti ringrazio per...”

Quinto movimento: coltiva un ingrediente sorprendente, l'al-legria e il sorrisoDivertiti, rompi la monotonia del quotidiano con un pizzico di buonumore, non stancarti di sorridere. Fai complimenti: così, se tua moglie è vestita bene, diglielo; se ha preparato

un pranzetto appetitoso, di-chiaralo; se lui o lei ha preso un'iniziativa simpatica, gra-tificalo. Questi suggerimenti potrebbero sembrarti minima-listi; in realtà spezzano il gri-giore del tuo quotidiano e di tutto ciò che dai per sconta-to. Coppia che ride non scop-pia. Ottavio Losanna osserva: “Una ormai lunga esperienza di Consultorio Familiare mi ha convinto che alla coppia in crisi piuttosto che consigliare di ‘fare l'amore’, bisognerebbe suggerire di ‘fare l'umore’, nel senso di buon umore, di voglia di ridere“. E conclude dicen-do: “L'umorismo è la goccia d'acqua calda che permette di salvare una maionese coniuga-le sul punto di impazzire”6.C'è un aneddoto simpatico narrato da Madre Teresa di Calcutta.“Alcune persone vennero a trovarmi a Calcutta”, raccon-ta. “E prima di partire, mi pre-garono: ‘Ci dica qualcosa che ci aiuti a vivere meglio’. Ed io dissi loro: ‘Sorridetevi a vicen-da; sorridete a vostra moglie, a vostro marito, ai vostri figli; poco importa chi sia quello a cui sorridete. Questo vi aiute-rà a vivere meglio e a cresce-re nell’amore’. Allora uno dei presenti mi chiese: ‘ Scusi, lei è sposata?’. Ed io risposi: ‘Sì. Ed è vero: talvolta trovo diffici-

5 M. MCCullouGH, r. eMMoNs, The Psychology of Gratitude, Oxford University Press, New York, 2004, pp. 301–303.

6 Riportato da P. PelleGriNo, Sposati e felici, Astegiano, Marene (Cn), 2006, p. 8.

Quartomovimento:coltiva il senso dellagratitudine

Quintomovimento:coltiva un ingrediente sorprendente

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le sorridere a Lui; ma, proprio quando Gesù è così esigente, è bello rispondergli con un grande sorriso”7.

Sesto movimento: dedicati tempo per vivere insieme al-cune ore magicheDa una ricerca condotta da Gottman8 risulta che i matri-moni che funzionano bene sono quelli in cui i coniugi dedicano alcune ore della set-timana al loro matrimonio, fa-cendo attenzione alle seguenti cose.

1. Il saluto Quando vai a lavorare, prova a parlare al tuo partner di un evento che si verificherà du-rante il giorno, per esempio una visita dal dottore, una te-lefonata a un vecchio amico, l'incontro con una persona a te cara.

2. L'incontroAlla fine di ogni tua giornata lavorativa intraprendi una con-versazione rilassante e, piut-tosto che stare appiccicato alla “balia elettronica”, prova a dire che cosa vivi e come ti senti. Concludi poi la tua gior-nata leggendo una pagina di quella lettera d'amore che è la Bibbia.

3. L'ammirazione e l'apprezza-

mentoComunica ogni giorno qualco-sa di piacevole al tuo partner. Per intenderci: una o più qua-lità che apprezzi in lui/lei.

4. L'affettoBacia, abbraccia, tocca il/la tuo/a sposo/a ogni volta che gli/le stai assieme. Scambia un bacio prima di addormen-tarti. Il tuo bacio sia un gesto di perdono e di tenerezza per il tuo partner. Virginia Satir, psicoterapeuta familiare, af-ferma che tutti, piccoli o gran-di, hanno bisogno di almeno quattro abbracci al giorno per sopravvivere, otto per vivere, dodici per stare bene e vivere serenamente.

5. L'appuntamento settima-naleFissa un appuntamento di due ore alla settimana per af-frontare assieme un problema coniugale, o riesaminare una discussione che hai avuto, o fare una passeggiata, o stare semplicemente insieme.

ConclusioneGiunti al termine di questo percorso, ti auguro di amare con amore di tenerezza, tenen-do presente che non è ciò che fai che rende bella e fascinosa la tua relazione, ma come la vivi. C'è attenzione, delicatez-

7 Madre teresa di CalCutta, Sorridere a Dio, Paoline, Alba, 1977, pp. 64-65.8 J. GottMaN, N. silVer, Intelligenza emotiva per la coppia, Rizzoli, Milano, 1999, pp.

223-225.

Sestomovimento:

dedicati tempo

Conclusione

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za, rispetto, amorevolezza, te-nerezza? Se c'è tutto questo, vai avanti. E Dio sarà con te.Concludo con le parole di Thomas Borge9, poeta del Ni-caragua: “L'uomo che non è capace di sognare è un povero diavolo, un eunuco. L'uomo che è capace di sognare e di trasformare i suoi sogni in re-altà è un rivoluzionario. L'uo-

mo che è capace di amare e di fare dell'amore uno strumento per il cambiamento è anch'egli un rivoluzionario. Il rivoluzio-nario quindi è un sognatore, è un amante, è un poeta, perché non si può essere rivoluziona-ri senza lacrime negli occhi e senza tenerezza nelle mani”.Questo è quanto di cuore ti au-guro10.

9 Citato da G. MartiraNi, La civiltà della tenerezza, Paoline, Milano, 1997, p. 52.10 Chi volesse approfondire quanto accennato in questo articolo, può fare riferimento al

testo di r. taddei (a Cura di), Cammini di tenerezza, di speranza e di gioia, Effatà Edi-trice, Cantalupa (TO), 2009.

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Un’esperienza di educazione sessuale agli adolescenti nelle scuole superiori milanesiAlcune riflessioni

Dialogo e creatività sono le caratteristiche dell’approccio all’Educazione Sessuale nel-le scuole su cui lavora da più di vent’anni la nostra equipe medico-psicologica.Sostenere e concretizzare le numerose richieste delle agenzie scolastiche di Milano e hinterland richiede infatti, in primo luogo, il dialogo tra adulti, genitori e insegnanti in vari modi impegnati nella re-lazione educativa con gli ado-lescenti, per ottenere fiducia e collaborazione, fondamentali in interventi di questo genere. In secondo luogo è necessa-rio il costante, quotidiano e continuativo confronto tra noi “esperti”, per poter acquisire una reale competenza ricca

di conoscenza e contenuti, ma attenta all’osservazione della realtà adulta e giovani-le incontrata. Solo il comune confronto dei fatti permette di migliorare e di avere il corag-gio di portare nel lavoro edu-cativo il valore del nostro per-corso umano e professionale, coinvolgendoci con i ragazzi in percorsi faticosi, ma sicu-ramente affascinanti.Ogni volta che siamo coinvol-ti con i giovani, sperimentia-mo la possibilità di aprire un dialogo su domande che non riguardano solo contraccezio-ne e malattie sessualmente trasmesse, ma che esprimono una profondità che impegna sul fronte identitario e relazio-nale e che richiede, quindi,

Guido Banzatti, Roberta De Coppi, Maria Boerci

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disponibilità e coinvolgimento in un confronto nella classe, con loro e anche tra di loro.I ragazzi portano domande cariche di dubbi, speranze, timori, ma soprattutto di un grande desiderio che perva-de tutto e a tutto dà un sen-so più profondo, unificante; sembra di giungere al “cuore” dell’esperienza umana, in cui ci si possa dire direttamente ciò che più importa nella vita e che può rendere la vita più semplice.Per questo da anni privile-giamo, come metodo e come contenuto dei nostri interventi l’affronto delle sole domande che i ragazzi pongono all’inizio degli interventi in modo spon-taneo e anonimo.La domanda che parte dalla persona con cui si entra in re-lazione è due volte vantaggio-sa. Rende attivo il ragazzo, lo invita alla partecipazione ren-dendogli da subito chiaro che il nostro ruolo lì con loro si differenzia dall’insegnamento didattico e che siamo lì per ascoltarli e costruire insieme un percorso. Gli adolescen-ti non diffidano dal dialogo con l’adulto, ma si ribellano, in genere, ai modelli imposti che non siano inseriti in una relazione che li riconosce in quanto soggetti degni di esse-re presi sul serio in quello che pensano, dicono e sentono.D’altra parte la domanda in-dica la strada che il soggetto

in quel momento storico della sua vita è in grado e desidera percorrere senza impegnar-lo su fronti ancora lontani da lui o non emergenti che ri-schiano di non coinvolgerlo e di far percepire l’intervento come lontano dalla sua realtà, espressione più del bisogno degli adulti e della società di imporre il “giusto comporta-mento”. Diverso è costruire con l’adolescente un percorso di riflessione sull’importanza e la delicatezza della sessualità per ciascuno di noi. Per raggiungere questi obiet-tivi non servono strumenti sofisticati: utilizziamo solo fogli, penne, gesso, lavagna, ma soprattutto la “relazione”, con attenzione a tutto quello che noi - operatori e studenti - siamo, attraverso la voce, lo sguardo, il movimento. Questo “contagia” i ragazzi, che, oltre al formulare domande scritte come chiediamo loro, dicono di sé in mille modi diversi, attraverso il silenzio o l’ecces-sivo “rumore”, il foglietto con tante domande o in bianco, o con battute ironiche, a secon-da di quanto sono disponibili per una riflessione personale, un coinvolgimento oppure un rifiuto.Tutto conta: il foglietto restitui-toci bianco, la battuta scurrile, la posizione che assumono, lavorando in gruppo o isolan-dosi.Tutto diventa domanda, così

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densa di aspetti e significati da essere sufficiente per affronta-re le loro persone, aiutandoli a esplicitare il desiderio più pro-fondo che contengono, perché possano prenderne atto loro stessi e misurarsi con esso.L’esperienza accumulata in questi corsi e la conoscenza che ne deriva del mondo ado-lescenziale ci hanno convin-ti che l’educazione sessuale possa essere una importante occasione educativa. La ses-sualità costringe a tenere uni-to il biologico, lo psichico, il relazionale e il sociale; essa non può essere colta se non tenendo uniti questi vari livel-li. E questa è una grande sfida per tutti. I ragazzi ne colgono la portata. La sessualità ci fa fare i conti con l’attrattiva ad aprirci ad “altro” da noi stes-si, a una relazione concreta e duratura con un altro essere umano, in una prospettiva di cambiamento continuo che pur percepiamo come destabi-lizzante, decostruttiva e rico-struttiva delle nostre strutture più profonde; essa ci aiuta ad essere presenti a noi stessi nel momento in cui costringe a confrontarci con qualcun altro anche fisicamente e a cercare insieme un dialogo che tenga conto di noi e dell’altro: il rap-porto sessuale è l’esplicitazio-ne di due desideri distinti che devono essere assunti insie-me. Questa è la sfida che spesso

abbiamo raccolto entrando nelle scuole, non in nome di un sapere che ci qualifichi come “esperti sessuali”, ma in forza del nostro interesse per l’uma-no, in noi e negli altri, con la sensibilità e il metodo che la nostra professione clinica ci ha abituati ad adoperare.Misurarci con queste doman-de, con questi frammenti di desiderio molto vivi, scopren-done insieme ai ragazzi l’unità di fondo, è stato il nostro uni-co metodo. Il momento della raccolta del-le domande è forse il più im-portante e delicato.Al primo incontro, dei 3 o 5 previsti, ci presentiamo, dan-do modo di cogliere la duplice presenza professionale medi-ca-ginecologica e psicologica che dà ragione di quanto detto sulla complessità della ses-sualità, e presentiamo il lavo-ro proponendolo fin da subito come attività co-costruita.Dopo questa introduzione rac-cogliamo le domande dei ra-gazzi, chiedendo di metterle per iscritto in forma anonima. E le domande che ci portano uno ad uno, magari dopo qual-che minuto di imbarazzo e di silenzio, sono sempre ricchis-sime di aspetti diversi, piene di “perché”, di intuizioni, e spesso di un’esigenza di ri-flessione personale che può destare meraviglia a chi abbia degli adolescenti un’imma-gine di persone superficiali e

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solo propense al divertimento massificato. Per questo motivo riteniamo i corsi di educazione sessuale che si propongano il mero obiettivo di fare asettica e imparziale informazione pro-filattica totalmente insufficien-ti: anche la richiesta della più banale informazione “tecnica” sulla contraccezione, se ap-profondita insieme, può essere l’occasione di ricerca persona-le su come vivere pienamente un grande e complesso deside-rio la cui risposta non è ridu-cibile a “istruzioni per l’uso” uguali per tutti. L’informazione scientifica, pur valida, spesso se unico contenuto della rela-zione adulto-ragazzo, diventa un modo per evitare il faticoso confronto che impegna anche l’adulto sul fronte personale. Ma i ragazzi chiedono di met-terci in gioco, chiedono “che cosa pensiamo noi” di certe convinzioni che loro si stanno facendo nel campo della ses-sualità e dell’affettività.

Un’età piena di domande rivela-trici Avere la possibilità di esami-nare le loro domande dà modo di cogliere un mondo ricco di sensibilità e di speranza. Essi chiedono: “Perché si genera l’istinto di attrazione uomo-donna?”, oppure “Ma che cos’è il sesso?”, domande di un sog-getto che inizia a interrogarsi, che cerca di “rapportarsi” ad aspetti precisi della realtà per-

sonale, anche in modo ormai complesso a partire da con-traddittorie esperienze: “Sono una ragazza. Non uso mai contraccettivi, ma non ho mai paura di rimanere incinta (fac-cio sesso sempre con lo stesso ragazzo). Ma perché? Ormai l’unica cosa che veramente mi tiene legata al mio fidan-zato è il sesso… Ho provato a farlo con un altro ragazzo, ma ho capito che non è la stessa cosa… È più brutto. Però an-che se non è un motivo valido per starci assieme, non riesco a lasciarlo. Perché?”Queste domande lasciano in-travedere non solo tipici com-portamenti “a rischio”, che non possono essere modificati con una semplice “informazio-ne” (peraltro nella maggioran-za dei casi già conosciuta!), ma anche una iniziale intuizione che quello che viene chiamato “solo sesso” è evidentemente già qualcosa di più, è un le-game riconosciuto come forte, difficilmente risolvibile (“non riesco a lasciarlo”), ed è inol-tre un legame con una persona specifica, non intercambiabile (“... con un altro ragazzo... non è la stessa cosa...”). Do-mande che testimoniano la già iniziale consapevolezza dello spessore relazionale che ha la sessualità genitale.Nell’era dell’informazione, dove a volte capita anche di dover chiedere la spiegazione di un termine gergale per noi

Un'età piena di domande

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nuovo ai ragazzi che lo usano, il comportamento cosiddetto a rischio non pare diminuire. Anzi l’età del primo rapporto sessuale si è abbassata note-volmente; e l’esperienza ses-suale sembra continuare lungo una strada parallela e som-messa rispetto a quella che è definita dal “tutti sanno tutto o possono sapere tutto”.L’informazione non è suffi-ciente a indurre una maggiore protezione o a evitare compor-tamenti che possano danneg-giare. L’informazione, se non passata all’interno di una re-lazione educativa, non assume significato per il soggetto, ma rimane cosa che riguarda altri, che non incide sulla sua vita. E i molti “perché” che ci ven-gono presentati nel corso degli incontri con le classi sono al-lora segno dell’esigenza non solo conoscitiva-informativa, ma di una più ampia neces-sità di elaborazione psichica, occasione di maturazione e di ristrutturazione di tutta la per-sona, analogamente a quella fase infantile caratterizzata dai “perché”.Abbiamo imparato che nessu-na domanda è banale: ognuna introduce a un universo di altre domande e riflessioni appena abbozzate, in cui le risposte non sono scontate. “Perché al giorno d’oggi è così difficile parlare di cose come il sesso che sono comunque naturali?”“Ma perché è così

importante il sesso?” Numerosissimi sono gli argo-menti che i ragazzi vogliono affrontare: la differenziazione sessuale, esplorata nei suoi aspetti fisiologici e psicologici (“Perché all’interno della cop-pia il sesso è vissuto in modo diverso tra ragazzo e ragaz-za?”; “Perché, a volte, l’uomo ‘arriva’ prima della donna alla gioia durante l’atto sessua-le?”); l’omosessualità, per gli interrogativi che suscita, la dif-ferenza sessuale nel piacere e nell’orgasmo, la possibilità di “dare” anche piacere all’altro, non solo di ricavarne (frequen-ti sono le domande sul “mitico punto G”), la strana presenza del dolore, soprattutto per le donne (“Da che cosa dipende il dolore che provano le ragaz-ze durante il rapporto, pur non essendo il primo?”) e la ricer-ca di una sicurezza, che non porti a rinunciare agli aspetti più attraenti del rapporto ses-suale (“Il sesso è uno dei mo-menti più belli da condividere con la persona che ami. Certo, a volte ci si lascia trascinare da sentimenti ed emozioni; e l’uso del profilattico diventa quasi una ‘interruzione’ della magia creatasi. Quali sono le vere percentuali di ‘pericolo’? Infatti in una ragazza il ciclo non è ancora ben assestato; e i ginecologi dicono che è troppo presto per la pillola. E le alter-native?”).Già, le alternative...

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Siamo sicuri che sono solo di tipo contraccettivo, ovvero che consistano nell’individuare il contraccettivo con minori ef-fetti indesiderati? La domanda riportata fa un accenno molto delicato e profondo al deside-rio di non forzare la propria ra-gazza con approcci farmacolo-gici sconsigliabili a questa età. Che cosa proponiamo loro? È evidente che questi ragaz-zi chiedono al mondo adulto qualcosa di più che “istruzioni per l’uso”.Le domande sulla mastur-bazione, frequenti anche a questa età, non si fermano all’esplorazione dei possibili “danni” fisiologici o psicologi-ci: rimandano subito a quanto ci si possa accontentare di un piacere solitario in una sessua-lità che fa pensare continua-mente alla dimensione relazio-nale, di condivisione con un altro. Alcuni ragazzi una volta ci hanno detto con una battuta simpatica: “Alla nostra età ci si masturba perché manca la ‘materia prima’!” Ci sarebbe da chiedere loro che cosa vuol dire che “man-ca”!Non mancano certo le ragazze: manca la possibilità di soddi-sfare immediatamente il desi-derio!Ciò introduce allora all’esplo-razione delle difficoltà della “conquista”: “Perché le ragaz-ze sono così restie a concede-re favori sessuali ai ragazzi in

questa età?”. Spesso anche la risposta degli stessi ragazzi è sincera: “Per paura di essere giudicate, perché aspettano l’amore della vita.”; “Hanno paura di sentirsi usate.” Ma anche il problema oppo-sto, di fronte alla disinvoltura e all’iniziativa femminile oggi maggiori, non sempre i ragaz-zi si trovano a loro agio, e lo esprimono senza mezzi ter-mini: “Perché alcune ragazze sono così troie?”E le ragazze, chiamate in que-stione, insorgono: “Secondo noi è da definire il concetto di ‘troia’. Il fatto che il compor-tamento ‘libero’ di una donna venga giudicato negativamen-te rispetto a un uomo non è giusto. Nel momento in cui non vengono violati il rispetto nei confronti di un eventuale partner o di altre persone, non vedo il motivo per cui una don-na non possa frequentare più uomini: non esistono né troie né suore!”Frequenti sono allora le do-mande sulle “prime volte”, sul “tempo giusto” delle pri-me esperienze, sulle conse-guenze di queste esperienze (“È abbastanza normale che le prime volte che si hanno rapporti con un ragazzo non si raggiunga l’orgasmo? Cioè, che non piaccia neanche più di tanto. È normale che dipen-da da una volta con l’altra?”); spesso le ragazze provano un sentimento di delusione più

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o meno profonda, specie se hanno cercato di adeguarsi a una richiesta del ragazzo, o addirittura un senso di rifiu-to (“La prima volta che si ha un rapporto è normale essere un po’ delusi, avendo magari aspettative migliori?”; “Dopo il rapporto è normale a volte non ‘volere più’ il partner in-torno?”).Ma anche nei ragazzi i pro-blemi non mancano: molti accennano a fenomeni di eia-culazione precoce, o peggio ancora (“È normale che nelle prime volte l’eiaculazione sia ‘rapida’?”; “Che cosa porta i ragazzi a fare cilecca?”).Di fronte a questi problemi è inevitabile che si interroghi-no sulla sessualità in senso più ampio che non la sola ge-nitalità (“Quanto l’emotività condiziona la sessualità?”), anche se spesso ci chiedono espedienti che evitino loro di porsi domande troppo profon-de (“Gli stupefacenti aumen-tano la durata del rapporto?”; “L’utilizzo di droghe migliora le prestazioni sessuali?”). Cer-to, in questi casi non basta dare solo informazioni tecni-che: bisogna andare più in profondità in merito al loro de-siderio di “durata del rappor-to”, capire insieme a loro che cosa cerchino nelle “migliori prestazioni sessuali”; e aiutar-li a confrontarsi sinceramente con le persone dell’altro sesso, perché certi “miti” vengono

allora ridimensionati proprio in tale confronto. “Esiste amore senza sesso?” - “È possibile il sesso senza amore?” Queste domande non man-cano quasi mai negli incontri con le classi, o esplicitamen-te espresse in questa forma, o come sottofondo di molte al-tre: allora è sufficiente comin-ciare a parlarne insieme.La prima più frequentemente è espressa da ragazzi, la secon-da dalle ragazze: due approcci diversi ma legati in modo com-plementare, espressione della insopprimibile differenza ses-suale e ricerca esplicita di una relazione reciproca fra sessua-lità e affettività a partire dai due punti di vista polarmente opposti. A volte questo rapporto è af-fermato in modo perentorio ed indiscutibile (“Esiste l’amore? Che cosa cambia tra fare ses-so e fare l’amore? Perché per me sono la stessa cosa...”). A volte invece la sessualità è sentita come ostacolo per l’approfondirsi della relazione, visti i problemi che spesso si incontrano nelle prime espe-rienze; e nascono talvolta dub-bi sull’importanza, data spes-so per scontata, dei rapporti sessuali a questa età (“Quanto è importante in questa fascia d’età avere rapporti sessuali in un rapporto di coppia?”). A volte invece la confusione è

“Esiste amore senza sesso?”“È possibile il sesso senza amore?”

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ancora piuttosto grande; e non c’è segno di rapporto chiaro fra esclusività di coppia e af-fettività (“È possibile amare veramente e riuscire ad avere rapporti sessuali con altre per-sone. O questo significa che non c’è vero amore?”). In ogni caso l’amore tra uomo e donna a questa età è senti-to come molto importante e impegnativo, da non dare per scontato nei suoi significati (“Si dice sempre di fare l’amo-re e non il sesso. Ma ‘ti amo’ è una parola grossa; significa es-sere capaci di sacrificarsi per l’altra persona. Molti ragazzi lo dicono; ma è possibile amare davvero a questa età? O spes-so è solo un simbolo per far capire all’altra persona che si è molto legati?”). Sono signifi-cativamente le ragazze ad aver più dubbi sulla possibilità di stabilire buone relazioni affet-tive coi propri coetanei maschi (“Un ragazzo è in grado di po-ter amare quanto una donna, di provare sentimenti profondi e veri? A volte sembrano avere secondi fini, più materiali che spirituali...”).Sembrano cariche di timori e poco sicure di potersi fidare dell’altro (“Perché il rapporto di coppia fa tanta paura? E perché è così difficile fidarsi, anche e soprattutto in senso fisico, di un’altra persona?”), ma anche senza fiducia nel-la propria capacità di potersi differenziare da una menta-

lità che non sentono propria (“La mentalità attuale tende a dividere l’atto sessuale dalla possibilità di avere un figlio; quindi anche la donna tende a non considerare uniti i due aspetti...”).Questo è un punto partico-larmente delicato nel dialogo con le ragazze: quanto loro per prime rinunciano a priori a far presente la loro sensibi-lità femminile più profonda, adottando il modello sessuale maschile, salvo poi lamentarsi dell’insensibilità dei ragazzi?Ma certamente il problema è più vasto, e ha una dimensione culturale ed etica più ampia, che a volte (raramente) viene colta dai ragazzi stessi, con domande che chiedono come poter conciliare due istanze (quella del desiderio e quel-la morale), poco comunicanti nella nostra cultura giovanile (“Come si fa a superare il disa-gio che si crea tra moralità e il desiderio? Non so se è chiaro ciò che intendo...”). E si spe-cificano anche le situazioni in cui il dilemma si è presentato: “È ‘umano’ avere un rappor-to finalizzato solo al sesso?”; “Secondo lei è immorale farsi più ragazze nella stessa sera in discoteca, preferibilmente ubriaco?”Quest’anno, una volta, ci sia-mo sentiti chiedere anche questo: “Secondo voi è più opportuno seguire ciò che la Chiesa consiglia vietando il

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sesso prematrimoniale, oppu-re il sesso prematrimoniale po-trebbe essere utile e bello per conoscersi o per altre motiva-zioni? Potreste specificarmi queste motivazioni? Ci sono motivi per cui il sesso prema-trimoniale è sconsigliabile?”Una domanda del genere, in-dipendentemente dalla fede religiosa che uno può avere, è una bella sfida rivolta alla no-stra generazione adulta: come rendere ragione di valori ra-dicati nella nostra tradizione etico-culturale?Le domande sull’amore, sull’innamoramento e sulla relazione “di coppia” sono numerosissime. Non manca-no quasi mai, soprattutto nel triennio della scuola media su-periore, quanto più si va avanti con l’età. E il sesso viene vi-sto allora più integrato con la altre esigenze della persona, espressione della dimensione relazionale della persona. Al-lora accorgersi dell’innamora-mento è fonte di trepidazione, che fa andar oltre i pur intuiti rischi di non rispettare o di non essere rispettati, fino a cogliere con stupore una nuo-va possibilità di gioia (“Come è possibile accorgersi di non esser presi in giro da un ragaz-zo? [...] Ogni volta che vedo un ragazzo innamorato mi stu-pisco, mi meraviglio e ne sono lieta.”), oppure fa interrogare sulla possibilità di poter ama-re realmente (“Come si fa ad

amare veramente un’altra per-sona senza sfruttarla?”).La ricerca dell’amore “vero” emerge talvolta esplicita, su-perando i pudori con cui spes-so si cela, rivelandosi congiun-ta all’aspirazione al bene e alla felicità (“Quando senti di poter esser capace di sacrificarti per una persona, quando senti di desiderare ogni bene per lei e di voler raggiungere la felicità - a cui aspira ognuno - insieme a quella persona, puoi dire di AMARE?”), e carica di trepi-dazione per gli sviluppi futuri (“Come si fa a dimostrare il bene che si vuole a un altro senza avere paura di rimanere ‘feriti’ quando finirà?”).Da questa esperienza con gli adolescenti impariamo soprat-tutto che lascia il segno in loro non tanto quello che diciamo noi adulti, quanto il fatto che li accompagniamo nell’af-frontare le loro domande più profonde, quelle esplicite e quelle implicite, che non rie-scono a formulare loro stessi. I nostri corsi, più che “lezio-ni”, sono un dialogo di appro-fondimento, “analisi della loro domanda”, carica di deside-rio di realizzazione di sé e di rapporto con la realtà intera, realtà della propria persona e di un altro in relazione con sé. Per questo col tempo abbiamo rinunciato a portare noi mate-riale strutturato, didattico: il percorso didattico è già densa-mente contenuto nelle doman-

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de dei ragazzi, se si dà loro la possibilità di esplicitarle con ampiezza e profondità. Perché così già possono partire da ciò che loro stessi confusamente intuiscono: spesso facciamo loro notare che già dentro di loro hanno ciò che cercano, se appena loro per primi sanno ascoltarsi con serietà, ognu-no dentro se stesso, o anche ascoltandosi seriamente fra loro.E allora loro non sentono come “prediche” le nostre parole, avvertite pescare nella ric-chezza e nell’armonia che già è dentro il loro corpo e il loro “cuore”. Forse non a caso un ragazzo quest’anno ci ha chie-sto: “Testa e valori o cuore e passionalità?”Di fatto nei commenti di veri-fica finale del corso spesso i ragazzi sottolineano la gradita sorpresa di essere stati “pre-si sul serio” e di essere stati ascoltati e considerati capaci di critica e di valutazione. Si sorprendono della capacità personale e reciproca di ascol-to e dialogo.Forse la sfida più grande è ri-tenere che ad ogni età sia pos-sibile essere persone capaci di amare l’altro per il tempo e la condizione data, ma con gran-de dignità e spessore umano.Ci ha scritto un ragazza:

Ciò che mi fa più paura è il mio desiderio di sen-tirmi accettata per quello

che sono, forse perché non ho fiducia in me stessa e commetto molto spesso l’errore di credermi infe-riore agli altri, perché ogni giorno sono costretta a confrontarmi con persone migliori di me, che proba-bilmente giudicano il mio modo di essere, accrescen-do in me il timore che, per quanti sforzi io faccia, non riuscirò mai a essere come voglio.A volte mi sembra di men-tire a me stessa, fingen-do di essere diversa, più socievole, estroversa, in-teressante; ma la verità è che le delusioni che ho subito mi fanno sentire in-sicura e sola.Mi sto accorgendo proprio ora di quante volte ho cer-cato di cancellare questi sentimenti per non essere soffocata; ma credo che l’unico modo per riuscire a farlo sia affrontarli e ren-dermi conto che anch’io forse valgo qualcosa. Ma non so da che parte inco-minciare.

Gli adolescenti, con l’irruenza e la provocazione, ci lanciano sempre un appello chiaro: en-trare in relazione, dare voce ai loro desideri, avvertire che ciò che portano con sé, la loro vita, la loro richiesta affettiva, è importante prima ancora di ogni pensiero giusto, precon-

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fezionato. Questa è la nostra responsabilità, che, a volte, lascia tracce significative.

Quando penso al mio futu-ro, mi piace osservare mia mamma, con quale amore

aiuta me e mio fratello e mio papà che, al ritorno dal lavoro aiuta mia mam-ma. Questo mi fa pensare al mio futuro: io, mio mari-to e i miei figli…

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La realtà sociale della famiglia in CalabriaItinerari consultoriali

Qualsiasi riflessione sulla famiglia calabrese non può prescindere dal considerarla come entità sociale inqua-drata nel seno più vasto della famiglia italiana, dei cui con-notati in generale essa è ri-flesso. Un quadro che mostra l’istituto familiare in crisi. Di questa sono indice il continuo crescendo delle separazioni, dei divorzi, delle nullità che denunciano l’instabilità, la fragilità, la caducità del ma-trimonio. Fenomeni che in-vestono la famiglia del Nord, del Centro e del Sud d’Italia, sia pure in diverse misure, pur sempre allarmanti.Invero, a ben guardare, l’isti-tuto familiare è in crisi non solo nella società italiana,

ma anche in quella più este-sa dell’Europa e oltre, tanto che un filone di pensatori de-gli Stati Uniti d’America già vent’anni or sono ne aveva preconizzato la fine, parlando di morte della famiglia.Lo scorrere degli anni, però, non pare affatto che abbia dato ragione ai necrofori: la famiglia non è morta; ha con-tinuato a esistere e continua a sfidare i mutamenti del tempo. A me personalmente non fa soverchia specie sentire par-lare della crisi della famiglia o della famiglia in crisi, un pia-gnisteo ricorrente che - a mio sommesso avviso - è segno dell’interesse che essa desta e che, sia pure per incolparla o per esaltarla secondo gli op-

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posti punti di vista, finisce col porla al centro di ogni ordine del giorno che ruota attorno ai grandi tempi della sociologia, del diritto, dell’antropologia.Come in altre occasioni ho af-fermato, qui ribadisco che, se perfino Iddio per farsi uomo ne volle una, mi vien fatto di pensare come sia evidente che il consorzio umano della fami-glia non possa proprio farne a meno. Se dall’epoca dei no-stri progenitori Adamo ed Eva in poi la famiglia c’è sempre stata, essa è destinata a con-fermarsi anche in futuro come un nucleo sociale necessario e insostituibile.La antica formula, che vuole la famiglia “cellula della società” sarà forse una formula abusa-ta, ma è vera, giacché questo è il concetto che di essa è filtrato nella coscienza collet-tiva, com’è dimostrato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo firmata a New York il 10 dicembre 1948 che definisce la famiglia “... nu-cleo naturale e fondamentale della società”. Orbene, se il corpo sociale dell’umanità è formato da cel-lule denominate “famiglia”, è spiegabile che, come nel cor-po umano le cellule che lo for-mano ne seguono i mutamen-ti, così la cellula-famiglia non solo non ne è sottratta, ma è esposta ai mutamenti della so-cietà. E poiché la società - per effetto dei sommovimenti della

storia - è in continua evoluzio-ne, anche la sua cellula-fami-glia è in continuo mutamento e in perenne processo di adat-tamento per darsi l’assetto più confacente al momento stori-co di riferimento. Per quanto paradossale possa apparire, la crisi che ciclica-mente aggredisce la famiglia - a mio avviso - non è spia di fragilità, ma indice di vitalità. Se l’istituto familiare fosse esente da momenti di crisi, allora la famiglia si rivelereb-be una conformazione sociale inerte, e davvero sarebbe con-dannata alla sua scomparsa. Essa, invece, non è destinata al tramonto perché è un’enti-tà dinamica, non già statica, che trova in sé stessa la capa-cità di modellarsi per stare al passo dei tempi. Il suo modo d’essere, ossia la sua struttu-ra e conformazione, sono sog-gette al processo evolutivo del costume, che ne determina la trasformazione, perpetuando-ne l’attualità.A causa della assai rapida tra-sformazione sociale propria del secolo appena trascorso il quale ha dato avvio a una stagione - come quella che stiamo attraversando - in cui tutto scorre all’insegna della celerità, anche le sequenze della storia vengono scandite in modo sempre più ravvicina-to. Tra una sequenza e l’altra è sempre più ristretta la fase di sedimentazione necessaria al

La famiglia come nucleo sociale

necessario e insostituibile

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processo di metabolizzazione e assimilazione. Questo modo d’incedere a ritmo sfrenato espone fatalmente la società a un iter trasformativo accelera-to che ha un conseguente ri-verbero sulla famiglia, la qua-le della società è il nucleo più piccolo, ma anche primario. In cotale moto così convulso dei tempi, che può rivelar-si fonte di disorientamento e causa di angoscia, è inevitabi-le la sensazione dell’acutizza-zione della crisi della famiglia. Se per l’uomo è stata sempre una scommessa prevedere il futuro, oggi diventa più pro-blematico scorgere che cosa gli riservi l’orizzonte. Non è difficile imbattersi nell’anzia-no che manca dell’agilità di adattarsi o nel giovane che avverte il disagio della prov-visorietà: l’uno e l’altro, nella stagione presente, rischiano d’avvertire il morso dello smar-rimento. Tuttavia, seguendo l’antico insegnamento “Histo-ria magistra vitae est”, basterà guardare a ritroso nel tempo per constatare come il cammi-no dell’umanità sia stato pun-teggiato di stagioni difficili e contorte, anche buie, che però poi, nei fatti, si sono svelate proficue premesse di ulteriori balzi in avanti. Sarà così per il divenire. Pure per il divenire della famiglia, la quale si con-fermerà cardine della società e spazio privilegiato di forma-zione umana e di avviamento

alla responsabilità sociale.Quando il quadrante della sto-ria di una generazione sembra battere a martello impulsi che volgono al pessimismo, allora giova cogliere i segni dei tem-pi per intuirne le tendenze e adoprarsi in conseguenza. Nel vento che spira, informato al più esasperato individua-lismo che privilegia l’interes-se del singolo a discapito di quello del gruppo, ciascuno tende a ritagliarsi il modello di famiglia che più si confà ai propri bisogni. Pertanto si assiste alla proliferazione di modelli, alcuni dei quali non poco discutibili: alla famiglia nucleare - che si è sostituita a quella patriarcale e che si rifà al modello di “società naturale fondata sul matrimonio” voluto dalla Costituzione repubblica-na – si aggiungono la famiglia di fatto (la quale prescinde dal vincolo matrimoniale), quella allargata (allargata ai figli e ai familiari dei nuovi partner), quella degli omosessuali e single (i quali non disdegnano la pretesa di avere figli me-diante il ricorso all’adozione o all’inseminazione eterolo-ga), l’altra ancora escogitata nell’ultim’ora la c.d. famiglia arcobaleno. Insomma ce n’è di ogni specie e di tutti colo-ri: un fenomeno che i giuristi denunziano come “arcipelago delle famiglie” e i pedagogisti analogamente indicano come “costellazione delle famiglie”.

Proliferazione di modellidi famiglia

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Che cosa ne sarà?Pur non disponendo ancora - com’è noto - l’Unione Europea di una legislazione organica in tema di famiglia, non manca-no tuttavia strumenti giuridici i quali consentono di cogliere le linee di tendenza profilanti-si sullo scenario europeo; que-ste fanno intravedere come la famiglia vada incontro a una forma ben definita: non neces-sariamente fondata sul matri-monio; in ogni caso non basa-ta su un vincolo indissolubile; non necessariamente fondata da persone di sesso diverso.Insomma lo scenario che si affaccia mette in seria discus-sione i pilastri su cui la fami-glia si è tradizionalmente im-piantata, ossia: il matrimonio, l’indissolubilità del vincolo, la diversità dei sessi. Il matri-monio come patto o contratto fondante la famiglia diventa un optional, giacché si allarga a macchia d’olio la preferen-za dell’unione di fatto; la pro-prietà dell’indissolubilità del vincolo residua solo nell’ordi-namento canonico; nel mare delle contraddizioni che si colgono nel nostro tempo, mentre gli eterosessuali ten-dono a rifiutare il matrimonio prediligendo l’unione di fatto, gli omosessuali fanno ferro e fuoco per essere ammessi al matrimonio. Se è vero che la famiglia è cel-lula della società e se è vero che il corpo sociale dell’uma-

nità è composto da cellule denominate famiglie, come il ben-essere del corpo uma-no dipende dallo stato di sa-lute delle sue cellule, così il ben-essere del corpo sociale dell’umanità dipende dallo stato di salute delle famiglie che lo compongono.Occorrerà convenire perciò quanto sia nobile, ma an-che gravida di responsabilità, l’opera di chi, nei diversi ambi-ti e nelle più svariate funzioni, metta mano negli affari della famiglia: penso all’ambito del-le discipline del sapere (quello giuridico, sociologico, psicolo-gico, pedagogico e altro anco-ra); alludo alle diverse funzio-ni che si è chiamati a svolgere nella società (tra cui è da an-noverare quella dell’operatore consultoriale e dell’operatore della pastorale familiare).La forma, la stabilità, la qua-lità della famiglia dipendono dai valori che la persona vor-rà e potrà realizzare nell’in-treccio dei rapporti familiari, sapendosi che la famiglia è la formazione sociale prima-ria votata a innervare i pre-supposti fondamentali per lo svolgimento della personalità dell’individuo (a ciò si riferi-sce l’art. 2 della Costituzione) e considerato che la famiglia è il luogo naturalmente pre-posto a svolgere (per dirla nei termini di una Risoluzione di fonte comunitaria – è necessa-rio citarla?) “... uno dei ruoli

Che cosa ne sara?

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più importanti nella creazione e nella coesione del tessuto sociale”.La nobiltà dell’opera cui at-tendono i Consultori Familiari di ispirazione cristiana e i cen-tri di pastorale dà l’orgogliosa consapevolezza di poter essere attivi partecipi sia all’edifica-zione del popolo di Dio fatto di christifideles che all’edifica-zione del consorzio umano fat-to di cives; ma deve conferire anche la chiara consapevolez-za della responsabilità che con la funzione si assume. Sicché la dedizione e la competenza assurgono a requisiti fonda-mentali per la resa di un ser-vizio tanto elevato quanto de-licato e complesso. Per essere efficace sul piano operativo, la competenza deve essere radi-cata anche nella conoscenza del contesto sociale in cui si opera. Il nostro contesto si chiama Calabria. Prodigo volle essere il Creatore a farne una ter-ra splendida che, in fatto di bellezze naturali, non ha al-cunché da invidiare ad altre regioni pur bellamente dotate; la sua collocazione geografica al centro del Mediterraneo ha concorso a renderla ricca di storia, di cultura, di apprez-zabili tradizioni. Ma qui tutto sembra essere più difficile; l’handicap più rilevante non sta nell’essere essa ubica-ta nel Sud geografico, bensì nell’essere classificata nel Sud

politico del globo, seppure ri-cadente al Nord dell’Equatore. E si sa che, come per dispet-to alla storia e alla cultura, il progresso tecnologico esploso primieramente nell’Occiden-te abbia reso più fortunato il Nord del globo, facendo quel-le differenze che, sotto il pro-filo dell’avanzata economica, distingue l’America del Nord dall’America del Sud, il Nord d’Europa dal Sud dell’Euro-pa. La Calabria sta nel Sud dell’Italia che a sua volta è ubicata nel Sud dell’Europa. Non rientra nella mia compe-tenza addentrami nella que-stione per darmi una ragione del fenomeno. Perciò mi limito a una costatazione di un dato di fatto che comunque fa, pur-troppo, della nostra terra una regione di area depressa, poli-ticamente emarginata. Questo non ci abilita a giustificare le responsabilità che, in ordine alle nostre condizioni, incom-bono pure su noi calabresi. Le differenze fra Nord e Sud attengono anche all’assetto so-ciale. Per quel che concerne la famiglia, non è dubbia l’omo-geneità dei vizi e delle virtù della famiglia calabrese con quella del resto della Penisola, poiché essa è giuridicamente regolata dall’ordinamento vi-gente nella nazione Italia che ovviamente uniforma le norme regolatrici dell’istituto familia-re. Forse non è del tutto privo di fondamento quanto da taluni è

La famiglia in Calabria

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stato affermato, e cioè che, se è vero che Garibaldi ha fatto l’Italia unita, la televisione ha fatto gli italiani. Con l’avvento della televisione, infatti, è sta-to debellato l’analfabetismo (probabilmente alcuni ricorda-no ancora le deliziose lezioni del maestro Manzi che incu-riosivano e attraevano anche gli alfabetizzati); ha unificato la lingua (a discapito, purtrop-po, dei dialetti) giovando così a rafforzare l’unità nazionale; ha imposto ritmi e abitudini di vita, e, nel bene e nel male, è stata (ed è) polla di mes-saggi uguali per tutti. Ma la televisione è anche un mezzo mediatico di massa che, se per un verso unisce, per altro verso inevitabilmente massifi-ca. Tuttavia anche questo ha contribuito a omogeneizzare socialmente gli italiani e dun-que la famiglia italica.Anche se ormai si è ampiamen-te diffusa sul territorio nazio-nale, qui da noi la mafia - che prende il nome di “‘ndranghe-ta” - usa mano pesante nel condizionare e frenare il pro-cesso di sviluppo economico e sociale. È la piovra che ferisce e umilia la coscienza dei cala-bresi, ai quali – ahinoi! - non è dato intravedere una via di ri-solutivo riscatto da un proble-ma così pernicioso e atavico.Però i dati statistici danno per assodato che, mentre le se-parazioni, i divorzi e le unioni di fatto sono dappertutto in

graduale crescendo, nel Sud sono in aumento numerico più contenuto. La Calabria riflette fedelmente questo dato. Se-gno, questo, che qui ci sia una maggiore tenuta dell’istituto familiare. Ci sono poi fatti di cronaca che suscitano raccapriccio più diffusi nel Nord che nel Sud: alludo ai sassi che rotolano da cavalcavia e che talvolta uccidono; alle stragi di giova-ni del sabato sera; a efferate uccisioni di genitori a opera di figli avidi di succedere in agi o presi dalla fregola di più smodata libertà; a violenze carnali consumate da mariti in danno delle mogli, e altro ancora, spie di un disagio so-ciale che da noi non pare così accentuato. Sembra che si sia del tutto smarrita la capacità di discernere fra il giusto e l’ingiusto, fra il lecito e l’ille-cito; capacità derivante dalla magica bussola che l’uomo ha avuto sempre in sé a orienta-mento della propria condotta. Quella bussola che faceva dire a Kant: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione [...] il cielo stellato che sta sopra di me, e la legge morale in me”. I sociologi dovranno spiegarci il fenomeno e dirci se esso abbia nesso col serpeggiante pensie-ro informato a un nichilismo e a un relativismo che rifiutano il mondo valoriale, o abbia un rapporto col consumismo sfre-nato che dissocia e aliena, o

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abbia una causale reperibile aliunde.Il nobile compito, gravido di responsabilità, cui devono at-tendere coloro che operano in favore e in funzione della famiglia impone un seria ri-flessione su questi temi che interrogano la coscienza degli operatori consultoriali e dei votati alla pastorale familiare, esposti in prima linea nel dare supporto - con azioni preven-tive e successive - a quel nu-cleo primario e fondamentale denominato “famiglia” di cui l’essere umano non può fare a meno. Occorre individuare i mezzi e praticare i metodi pedagogici più appropriati per educare alla socialità, alla pa-

ternità e maternità responsabi-le, alla genitorialità, all’autori-tà genitoriale, alla sessualità, a governare il cambiamento. Ma occorre, soprattutto, far riscoprire il significato e il va-lore del matrimonio come isti-tuto fondante della famiglia al quale ci di deve predisporre mediante una preparazione re-mota, non prossima e dunque approssimata e superficiale che rischia di rendere fragili i legami affettivi e di minare alle fondamenta la famiglia.Solo così si potrà risvegliare la libertà di cui ogni individuo è dotato all’atto della sua nasci-ta. Solo così si potrà incidere, per una società - anche cala-brese - migliore.

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La Pastorale della famiglia

Fondamenti per una pastorale familiareIl punto di partenza per un rinnovamento della pastorale familiare è la riscoperta della verità teologica del Matrimo-nio, verità naturale e verità sacramentale. Si può cambia-re totalmente la pastorale di una parrocchia, ma alla luce di una fede rinnovata, di una fede nel Matrimonio e nella famiglia.

La situazione della pastorale di oggiSostanzialmente il punto dal quale si sta muovendo la mag-gior parte della pastorale ita-liana in molte Diocesi ha finito per adottare decisioni e orien-tamenti - in ordine al Matri-

monio e alla famiglia - legati più all’emergenza e alla situa-zione in cui versa la famiglia oggi che alla verità teologica del Matrimonio e della fami-glia. Cioè chi ci sta facendo fare più pastorale è la situa-zione “degradata” della fami-glia, non ciò che noi crediamo della famiglia. In questo mo-mento sono la sociologia e la statistica a generare la qualità della nostra pastorale, non la verità sul Matrimonio e sulla famiglia. Non si vuole esclu-dere l’apporto che le scienze umane (psicologia, sociolo-gia, pedagogia) possono dare alla nostra pastorale. Il fatto è che, se si vuole veramente annunciare il Vangelo di Gesù Cristo, la cosa più importante

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La situazione della pastorale di oggi

Fondamenti per una pastoralefamiliare

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è conoscere la verità di questo Vangelo, e solo in secondo luo-go il terreno su cui seminare il buon seme di questa verità. Se non conosciamo la semen-te, non serve aver conosciuto il terreno, perché non accade nulla. Noi oggi conosciamo bene il terreno, ma non sap-piamo più qual è la semente. Quale Matrimonio seminiamo, quale idea ne abbiamo?

Un rischio: partire dai proble-miNoi cristiani per primi non sappiamo più che cosa sono Matrimonio e famiglia. A tal punto che abitualmente nel parlare ci riferiamo alle pro-blematiche pastorali della famiglia. Ma, ad esempio, in un altro campo come quello del Sacerdozio, non si impo-sta la pastorale vocazionale pensando che il Sacerdozio sia un problema per la Chie-sa, che i preti siano pochi, che fatichino, che brontolino… A prescindere da ciò che i pre-ti sono (esistenzialmente), c’è una verità sulla quale si fonda la nostra pastorale vocaziona-le: il Sacerdozio è una grande risorsa per la Chiesa.Ma, progettando la pastorale familiare, si parte dalla verità del Matrimonio-famiglia come risorsa, o dal fatto che la fa-miglia e il Matrimonio sono un problema, difficili da gestire, ecc.?Così si rischia di fare una pa-

storale di inseguimento delle situazioni, di ridursi a “cro-cerossine” del Matrimonio e della famiglia. Con l’ulterio-re rischio di vantarci, perché siamo gli unici a difendere la famiglia, mentre siamo gli unici a non dirne la bellezza, a tal punto che per noi il Matri-monio e la famiglia finiscono solo col coincidere con i nostri concetti morali. Ma perché non abbiamo riscoperto quella che è la verità fondativa della famiglia? Quindi è la partenza a non es-sere corretta. Si tratta di risco-prire il Matrimonio-famiglia nella sua verità più profonda.

Matrimonio e famiglia: una risorsa per la Chiesa e la so-cietàLa verità fondativa è che il Matrimonio e la famiglia sono stati pensati come risorsa per la Chiesa e per la società. Te-ologicamente ogni sacramen-to del Matrimonio, in ogni parrocchia, è una risorsa. Le nostre parrocchie sono piene di “sacramenti del Matrimo-nio”. Ma questi sacramenti matrimoniali che abbiamo in parrocchia sono una risorsa o un problema, una possibilità o una nullità, un soggetto o un oggetto?

La verità su Matrimonio e fa-migliaLa verità dalla quale partire per progettare, accompagnare

Un rischio: partire

dai problemi

Matrimonio e famiglia: una risorsa

per la Chiesa e la società

La verità su Matrimonio

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e porre in atto la ministeriali-tà del Matrimonio e della fa-miglia è quella che scaturisce dalla dimensione creaturale descritta nella prima pagina della Scrittura: “A immagine di Dio lo creò; maschio e fem-mina li creò” (Gen 1,27). Crediamo noi che il maschile e il femminile, che la coppia uomo/donna sia un riflesso dell’immagine di Dio? È ora che la comunità cristiana con i suoi preti riscopra quest’imma-gine: che cioè il Dio trinitario ha riversato la sua dimensione comunionale dentro la realtà della coppia: sposo e sposa. Che il primo, fondamentale e non by-passabile modo con il quale Dio si è comunicato e si comunica oggi per dirci “chi Lui è”, è il Matrimonio, la coppia. Dio ha scelto di au-tocomunicarsi, di autorivelarsi mediante la coppia. Il Santo Padre Giovanni Paolo II chia-mava il Matrimonio “il sacra-mento primordiale”1, poiché è la prima visibilizzazione di chi Dio è. Dio ha voluto autorive-larsi nella coppia prima che in qualsiasi altra immagine l’uo-mo si potesse fare di Lui. Siamo arrivati a farci un’infini-tà di immagini di Dio, scaval-

cando quella che Lui ha scelto come primordiale per automa-nifestarsi. Noi, per lodare Dio, scegliamo i prati, le montagne innevate, il fiore che sboccia, la fontanella…; tutta una se-rie d’immagini che in genere si utilizzano, senza più tener conto che, chi ci manifesta Dio più di tutte le sorgenti e più di tutti i fiori è quell’im-magine: maschile-femminile, il coniugale, lo sposo e la spo-sa. La nostra gente non respira queste cose, non le sa, forse perché anche i preti non le sanno più.

Matrimonio e nuova evangeliz-zazioneNuova evangelizzazione: come fare? Non si trova in uno solo di questi moderni impianti di comunicazione qualcuno che abbia detto che il modo in cui Dio vuole autopresentarsi oggi, come Amore, è ancora la coppia.Quale linguaggio usare?Dobbiamo trovare linguaggi nuovi – si dice – che siano comprensibili alla mentalità della tecnica. Ma c’è già il lin-guaggio della sponsalità, che Dio ha scelto da sempre per automanifestarsi, per parla-

1 Cfr GioVaNNi Paolo ii, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova, Roma 19954, p. 91: “Si costituisce un primordiale sacramento, inteso quale segno che trasmette efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto in Dio dall’eternità. E questo è il mistero della Verità e dell’Amore, il mistero della vita divina, alla quale l’uomo partecipa realmente. […] Il sacramento, come segno visibile, si co-stituisce con l’uomo, in quanto ‘corpo’, mediante la sua ‘visibile’ mascolinità e femmi-nilità. Il corpo, infatti, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio, e così esserne segno”.

Qualelinguaggio usare?

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re di sé; un linguaggio che è comprensibile anche ai bam-bini della scuola materna, ma che noi non usiamo. Non usiamo il linguaggio sponsale perché riteniamo sia appan-naggio di un certo modo su-perato di pensare. Abbiamo paura di parlare di “coppie che si coniugano”, che dico-no la bellezza dell’amore nella loro unità! Bisogna recuperare la dignità della parola amore coniugale!Nella Settimana estiva di for-mazione, dal titolo “Progettare la pastorale con la famiglia in parrocchia”2, una delle rela-zioni porta come titolo: “La famiglia è ‘Parola-immagine’, ‘Parola-carne’ ‘Parola-parabo-la’ del mistero di Dio Amore, Unità e Trinità”.Come questa Parola viene spesa, usata nella parrocchia e nella società?Non c’è linguaggio che pos-sa essere più comprensibile di quello della coppia e della famiglia! Ma soprattutto, c’è il fatto che Dio ha voluto e vuole rivelarsi, come Amore, in e at-traverso la coppia umana. C’è qualcuno che, attraverso la sua carne, l’unione reciproca della vita, del destino, degli affetti, dei corpi, è chiamato a dire, 24 ore al giorno, per natura, che Dio è Amore! Oggi invece rischiamo di cre-dere di conoscerlo già, di pos-

sederlo, di dire: “Dio, adesso ti conosciamo, ci pensiamo noi come fare ad annunciarTi”. Ma Dio dice a noi: “Guarda che io voglio autoannunciar-mi, autopresentarmi ancora attraverso la realtà dell’uomo e della donna”.Va bene che i cieli possano dire la Sua infinitezza e bellez-za, che le montagne possano raccontare la Sua maestosità, che i fiori possano parlare del-la Sua varietà…Ma chi, qui sulla terra, dice come vive Dio, è la realtà della coppia, maschio e femmina: Dio è Amore. Siamo certamen-te chiamati anche a riscoprire la dignità della verginità. Ma corriamo il rischio di venerare un’infinità di immagini di Dio e di non essere disposti a ri-scoprire la bellezza della pri-ma pagina della Scrittura.E se strappiamo questa prima pagina, che cosa accade alle altre?

Riscoprire il dato sacramenta-le del MatrimonioIl secondo elemento che ci aiuta a riscoprire la verità di partenza, la verità teologica del Matrimonio e della fami-glia, è il dato sacramentale. Questo purtroppo è gravemen-te disatteso. Noi stiamo per-dendo – o comunque la nostra pastorale non esprime – que-sta verità teologica, se non in

2 Organizzata dall’Ufficio nazionale della CEI per la pastorale della famiglia, Cagliari, 22-26 giugno 2001.

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veste di qualche iniziativa, di qualche modalità di vita o di formazione. C’è un passaggio, una novità che vanno appro-fonditi, conosciuti, predicati, annunciati, vissuti. È proprio questo divenire nuovo de-gli sposi durante il sacro rito a farli diventare sacramento permanente. Noi abbiamo in parrocchia “sacramenti per-manenti”3. Come nell’Euca-ristia Cristo permane nelle specie consacrate anche dopo la conclusione della celebra-zione. eucaristica, così Cristo permane con gli sposi anche dopo la celebrazione del rito. Quest’idea del Matrimonio “sacramento permanente” è stata ripresa poi nel Concilio Vaticano II che dice: “Il Salva-tore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniu-gi cristiani attraverso il sacra-mento del Matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come Egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sem-pre, con mutua dedizione”4.Questo discorso del Matrimo-nio-sacramento è l’elemento più debole in assoluto di tut-ti i corsi di preparazione al Matrimonio delle parrocchie. Potremmo dire con uno slo-gan provocatorio: “Dimmi che

posto occupa nella formazione dei futuri sposi il discorso sul Matrimonio-sacramento, e ti dirò quanto la tua Chiesa cre-de nel Matrimonio”. Questo è proprio il passaggio nodale per il recupero della dimensione sacramentale del Matrimonio. Ci sono percorsi formativi per i fidanzati che su ventidue incontri ne hanno solamente due dedicati al sacramento del Matrimonio (di cui uno è la descrizione dei sette sa-cramenti – segno di grazia e di salvezza, ecc. – e l’altro il commento alle nozze di Cana, per rilevare che Gesù si è fatto presente negli sposi e quindi benedice anche il presente Matrimonio).La fede nel Matrimonio-sacra-mentoChe cos’è il sacramento del Matrimonio, che cosa diventa-no questi sposi? Il Signore ha voluto che questa realtà fosse redenta, fosse quindi una real-tà positiva. Redimendolo, Dio ha riportato il Matrimonio alla sua bellezza originaria, bellez-za che ha voluto elevare a sa-cramento. Perché qui dentro ha nascosto questo mistero grande?Si tratta di essere capaci di contemplare la presenza di Dio nella coppia sposata, di recu-perare la fede in quello che

3 Il Magistero ha più volte richiamato questa realtà del Matrimonio come sacramento permanente, utilizzando l’analogia con l’Eucaristia che già San Roberto Bellarmino aveva proposto; cfr. Pio XI, Lettera enciclica Casti Connubii, 114.

4 CoNCilio eCuMeNiCo VatiCaNo ii, Costituzione pastorale Gaudium et Spes, 48.

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Lui stesso ha voluto fosse il segno vivo della Sua presenza. San Filippo Neri si inchinava davanti a ogni coppia di sposi per dirne la sua fede. Noi diremo la verità della fede nel Matrimonio quando in cuor nostro, davanti ad ogni coppia di sposi, sapremo dire: “Sia lo-dato Gesù Cristo”, come tante volte i fedeli laici hanno sapu-to riconoscere la presenza di Cristo nel ministero dei preti, indipendentemente dalle loro facce e dalle loro infedeltà. Così bisogna imparare a chi-nare il capo, in cuor proprio, di fronte a ogni coppia di spo-si, non perché sono bravi, ma perché si crede al sacramento del Matrimonio. Il prete viene rispettato come prete, anche se se ne conoscono i difetti; si dà onore alla sua dignità, an-che se ogni prete in cuor suo sa quanto egli la tradisca. Si tratta ora di imparare a vene-rare la presenza di Dio nella coppia di sposi, a prescindere da quanto essi lo sappiano e da come lo vivano.Come si può credere alla pre-senza di Cristo nel Sacerdozio, se non si crede alla presenza di Cristo nel sacramento del Matrimonio? È fede nel ruo-lo, o è fede in Gesù Cristo? “Il vincolo che unisce l’uomo e la donna e li fa ‘una sola car-ne’ (cfr. Gen 2,24) diventa in virtù del sacramento del Ma-

trimonio segno e riproduzione di quel legame che unisce il Verbo di Dio alla carne umana da lui assunta e il Cristo Capo alla Chiesa suo Corpo nella forza dello Spirito”5.

Il Matrimonio, sacramento dell’Amore di Cristo per la ChiesaPerciò gli sposi, pur nella fra-gilità delle loro membra, ren-dono presente Cristo, sono viva presenza di Cristo. Per i battezzati il patto coniugale è assunto nel disegno salvifico di Dio e diventa segno sacra-mentale – con l’azione di gra-zia – del Salvatore. Cioè noi in parrocchia abbiamo una possibilità, la risorsa di un Cristo che lavora, che vive, che opera, che agisce. Dove? Nell’amore coniugale cristiano, che è nel mondo la presenza dell’azione di grazia del Salva-tore. Dove c’è un sacramento, c’è Cristo che salva.

Principi per una pastorale fami-liare

Riscoprire i fondamenti dell’azione pastoraleCome facciamo a capire il mi-stero della Chiesa? Il mistero dell’unità fra Cristo e l’umanità?Oggi corriamo il grave rischio di ridurre la nostra azione pastorale a una macchina or-ganizzativa, di lasciare che il

5 CoNfereNza ePisCoPale italiaNa, Evangelizzazione e sacramento del Matrimonio, (1975), 34.

Il Matrimonio, sacramento

dell’Amore di Cristo per la Chiesa

Riscoprire i fondamenti dell’azione

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mistero di Dio abiti altrove. Rischiamo di non essere più comunicatori del mistero, ma comunicatori di un’apparte-nenza di tipo socio-religioso; rischiamo che il problema del metodo sovrasti di gran lunga il contenuto, siamo al punto che il contenuto non è più ca-pace di alimentare il metodo. Noi crediamo nella Chiesa co-munione, ma come ci impe-gniamo per realizzare la Chie-sa comunione? Ci si limita, nel nostro modo di organizzare la Chiesa, a curare l’apparte-nenza a un’organizzazione, e cancelliamo il Mistero. Non si dice più la novità del Vangelo, ma si dice un’appartenenza culturale.

La famiglia soggetto di pasto-raleFatto questo accenno, possia-mo recuperare un altro aspetto sotto il profilo della pastorale, ma sempre in quell’ottica di contemplazione: guardare alle cose che il Signore ha fatto con il Suo sguardo. Non quin-di in primo luogo le famiglie malate che abbiamo in parroc-chia! Solo se abbiamo la verità dentro il cuore, radicata nella nostra coscienza ecclesiale, sapremo anche come curare, come essere attenti alle fami-glie divise, separate, ecc.. La riflessione che segue ci mostra che a questo punto il

Matrimonio-sacramento è es-senziale alla pastorale. Sono pensieri che prendono il via dalla riflessione del Papa nel-la Familiaris Consortio, dove dice che “... la famiglia cri-stiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale”6. Il ruolo del Matrimonio e della fami-glia è essenziale, organico e strutturale alla pastorale. Dal momento che il sacramento del Matrimonio è organico alla vita della Chiesa, si può fare a meno di un tale sacramento? Nell’impostazione pastorale, possiamo prescindere dal ruo-lo che ha un sacramento? Se questa è la parola primaria e permanente con cui Dio ha voluto comunicarsi, possiamo pensare di fare evangelizzazio-ne prescindendo dalla famiglia annunciante? Attenzione però a non ragio-nare con occhio clericale: “annunciante”, non per dire che fa catechesi o viene in parrocchia, ma nel senso che lì dove essa è, dove essa vive, essa rappresenta la Parola. Perché la Parola non è solo quella pronunciata, la Parola è anche quella espressa. Non si può quindi far pastorale se si prescinde da un elemento che è strutturale, organico ed es-senziale alla vita della Chiesa. Si rischia altrimenti di mostra-

6 GioVaNNi Paolo ii, Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris Consortio, 50.

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re la pastorale che ha il volto del prete, ma non ha il volto della comunità che Gesù vuo-le dare, il volto della famiglia. Si vuol fare della parrocchia la famiglia delle famiglie, pre-scindendo dalle famiglie come soggetti operanti. Va fatta qui una precisazione: famiglia oggetto vs famiglia soggetto… Perché la famiglia continua a essere oggetto del-la pastorale e non soggetto? Oggetto, che cosa vuol dire, e perché? Ci sono certamente elementi essenziali che appar-tengono senza discussione al ruolo del presbitero, per cui in tali ambiti la famiglia è chia-mata a essere oggetto di pa-storale. Ma perché è chiamata a continuare a essere oggetto dell’attenzione? Con quale fi-nalità? Per diventare soggetto di pastorale. La finalità dell’at-tenzione data alla famiglia è per poter fare pastorale con la famiglia.Abbiamo un esempio chiarissi-mo: i seminaristi sono ogget-to dell’attenzione ecclesiale per sei anni (gli anni del se-minario). Perché sono oggetto dell’attenzione? Perché diven-tino preti, perché siano sogget-to, siano sacramento per. Chi si sogna di dire: “Teniamoli qui, questi giovani, per tutta la vita, è bello vedere sempre af-follato il seminario”? Noi inve-ce impostiamo la pastorale per

le coppie in maniera minimale, così da far rimanere la famiglia perennemente oggetto, peren-nemente sottosviluppata.

Matrimonio: sacramento per il servizioStrettamente congiunta con questo discorso è l’afferma-zione del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Due altri sacramenti, l’Ordine e il Matri-monio, sono ordinati alla sal-vezza altrui. Se contribuiscono alla salvezza personale, que-sto avviene attraverso il servi-zio degli altri”7. Ciò significa che il motivo per cui il Signore si è inventato di far diventare sacramento la realtà già bel-la del Matrimonio è lo stesso motivo per cui si è inventato il sacramento del Sacerdozio. Quindi la finalità dell’istituzio-ne del Matrimonio-sacramento è il servizio agli altri. Questo è l’obiettivo per cui Cristo ha voluto i sacramenti. Perciò l’Ordine e il Matrimonio sono costituiti per il servizio al-trui; e se contribuiscono alla salvezza personale, è solo in quanto sono posti al servizio degli altri. Sostanzialmente la prepara-zione al Matrimonio è l’edu-carsi di due giovani che van-no a sposarsi, per mettersi a disposizione della Chiesa e della società. Non vuol dire al servizio della parrocchia!

7 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1534.

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La Chiesa non coincide con la parrocchia! La parrocchia è l’anima, il motore della Chie-sa, ma oggi consuma ciò che produce: è una fabbrica in fal-limento, poiché non realizza la finalità per la quale è nata. Se questa comunità credente non è per la volontà di Gesù Cristo, per chi è? Per se stessa! Cristo è venuto per salvare; solo chi è innestato in Cristo può esse-re salvante. Chi è attaccato a Gesù Cristo non può non esse-re illuminante, e questa luce non può accendersi solo quan-do si entra in parrocchia.Il Matrimonio è un sacramento fatto per il servizio: chi vuole sposarsi per gli altri viene in Chiesa. Ma se ci chiedessimo: “Qual è il ministero specifico che scaturisce dalla grazia del sacramento del Matrimonio? Se questo è un sacramento per, che cosa è chiamato a fare?”, rischieremmo di dirci: “Gli sposi fanno i figli per la Chiesa…”. Ma, questo, lo fan-no anche quelli che si sposano civilmente; dov’è allora la dif-ferenza?Oppure: “Gli sposi sono un se-gno dell’amore di Dio…”. Ma, questo, lo sono anche le suore e i preti. “Gli sposi costruisco-no la società…”. Ma anche chi non si sposa costruisce la so-cietà. Se invece chiedessimo alla gente delle nostre parroc-chie: “Che cosa deve fare un prete in quanto prete, quale ministero scaturisce dalla sua

ordinazione?”, nessuno dei nostri fedeli sbaglierebbe una virgola: il prete deve dir mes-sa, deve confessare ecc… Tut-ti sanno che cosa deve fare il prete! Abbiamo fatto una pastorale per una Chiesa clericocentri-ca. Il Magistero, che in questo ambito è ricco di indicazioni, non appartiene ancora alla co-scienza e al vissuto della no-stra pastorale.

La fecondità della Chiesa sposaChe fecondità ha la Chiesa oggi? Se questa fecondità non risiede nelle persone, dove ri-siede? Nella nostra organizza-zione? Quanti tornano a Cristo perché hanno gustato il pane? Quanti tornano a dire: “Mi hai indicato la strada”? Quanti tornano a dire: “Che cosa pos-siamo fare?”. Il centro del mondo non è la parrocchia, ma è Gesù Cristo; non si vuole sottrarre impor-tanza alla Chiesa, ma riscopri-re la sua finalità di Corpo del Signore, tutta relativa a Lui.Qual è il volto della Chiesa di oggi? Oggi, il volto che il mon-do riconosce è quello del prete e dei suoi stretti collaboratori! Ma è questa la Chiesa di Gesù Cristo?Per prendere nuove direzioni dobbiamo recuperare il Mistero di Dio e poi tornare a inginoc-chiarci davanti all’Eucaristia. Dobbiamo chiederci: “Come viviamo la nostra sponsalità?”.

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Se la verginità consacrata non produce amore, non produce comunità, se la sponsalità dei vergini non produce relazione, se non fa crescere il mio cuore di persona amante, a che cosa serve?

Dal dare qualcosa a tutti, al dare tutto a qualcunoOggi occorre la saggezza di ri-conoscere i tempi e la storia in cui viviamo, per poter dare risposte concrete. Veniamo da una modalità di appartenenza alla vita cristiana istituziona-lizzata, ma ci avviamo a essere sempre più una minoranza. E andiamo verso una trasforma-zione di cui non sempre ci si rende conto. Basterebbe guar-dare il calo delle percentuali di presenze in Chiesa. Nel centro storico di Milano è del 3% la percentuale di coloro che par-tecipano alla messa festiva. Vuol dire che l’impianto pasto-rale di quelle parrocchie del centro storico lavora per il 3% della popolazione residente. Non si può dire: “Cancelliamo questa pagina di storia”!Siamo chiamati a essere co-munque attenti a questo 3%, a queste persone, perché qui ci sono le chiamate: avremo una modalità attenta e deli-cata di approccio verso queste persone. Se non si riesce più a dare qualcosa a tutti, come stavamo facendo, cominciamo a dare tutto a qualcuno…, al-meno a qualcuno. Magari solo

all’1%, ma cominciamo a dire tutto quello che c’è nel sacra-mento del Matrimonio, a dire che è un mistero di Dio, a dire che gli sposi sono coinvolti nel rapporto d’amore che c’è tra Cristo e la Chiesa: avviamoli alla contemplazione del dono che hanno ricevuto.

Annunciare il Vangelo del Ma-trimonioAi candidati al Sacerdozio quale padre spirituale si so-gnerebbe di offrire il minimo contenuto del sacramento del Sacerdozio? Non cercherà piuttosto di aprire il cuore e la mente dei seminaristi alle ve-rità più profonde? “Verrai assi-milato a Cristo; Cristo userà di te per annunciare, per conso-lare, per liberare, per aiutare; tu agirai in persona Christi”. Tutto ciò che è la verità del sa-cramento del Sacerdozio viene studiato, meditato, approfon-dito, pregato. E agli sposi che cosa diciamo? Gliela diciamo, tutta la verità? Non possiamo livellare al mi-nimo! In quest’ottica va ripen-sato il discorso formativo, che deve per forza differenziarsi, ma nel tempo, nella pazienza. Non si può imporre, perché il Matrimonio è una chiamata, una vocazione. Tra non molto, (facile essere profeti in questo caso), venti o trent’anni, e si dovrà anda-re in cerca delle vocazioni al sacramento del Matrimonio. I

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giovani si sposeranno ancora, certamente; ma le vocazioni al sacramento, a impegnare la propria lealtà nella reciprocità uomo-donna, per raccontare al mondo qualcosa di Dio, queste vocazioni dovremo cercarle.

Gli sposi: padri e madri della comunitàGli sposi sono padri e madri solo della propria famiglia o anche della comunità? Ab-biamo ridotto l’esercizio della paternità unicamente al pro-blema dei propri figli, senza pensare che chi assomiglia, chi partecipa della dimensio-ne creativa di Dio, chi parte-cipa alla paternità e materni-tà di Dio, non può esercitarla solo in casa. Gli sposi cristiani sono una grazia per la Chiesa e per la società. Chi dà il volto di padre e madre alle nostre parrocchie?

Il futuro dell’evangelizzazio-ne, della Chiesa, delle nostre comunità, si prefigura nella prospettiva in cui noi recupe-riamo queste verità.Dio, quando ha istituito il Ma-trimonio e la famiglia, non ha voluto creare un problema per la nostra pastorale, ma ci ha offerto una possibilità. Non ci ha dato un debito da paga-re, ma ci ha dato un credito. Spetta pertanto a noi cercare di riscoprire la verità profonda contenuta in questa scelta di Dio, e mettere in atto un certo tipo di pastorale che consenta – nella gradualità e nella liber-tà delle persone – di coltivare qualcuna di queste vocazioni al sacramento del Matrimo-nio.Ricordiamo lo slogan di un grandissimo professore: “Fa-miglia diventa ciò che sei, per-ché la Chiesa sia ciò che è”.

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Calabria: Consultori Familiari federati in una regione del Sud

Quando, ormai molti anni or sono, muovevo i primi passi nella professione d’avvocato e avvertivo come ambito profes-sionale più congeniale alle mie tendenze quello del diritto di famiglia, praticando in tale settore il Foro civile e quello ecclesiastico, porti d’approdo dei casi più sofferti di coniù-gi falliti, mi si fece imperioso l’interrogativo su che cosa si potesse escogitare almeno per contenere la marea montante della crisi dell’istituto matri-moniale. Se il modo migliore per fron-teggiare la patologia è preve-nirla mediante accorgimenti che, irrobustendo il corpo, lo rendono capace di resiste-

re al germe della malattia, il modo più consono per affron-tare la patologia sociale della famiglia è la prevenzione. Da questa considerazione prese le mosse l’idea condivisa da Don Giuseppe Agostino - al tempo, giovane presidente del Tribunale Ecclesiastico Re-gionale Calabro con sede in Reggio Calabria e ora Arcive-scovo metropolita emerito di Cosenza - di raccogliere in un apposito organismo professio-nisti di area giuridica e scien-tifica disposti a offrire spazi del loro tempo a servizio della famiglia. Per rendere meno estemporanea e più consape-vole la risposta alla vocazione matrimoniale, costoro orga-

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nizzavano corsi preparatori al matrimonio; per essere di sup-porto a singoli, alle coppie e ai nuclei familiari in difficoltà, si offrivano a dare graziosamente consigli, orientamenti, soste-gno.Nasceva così, in Reggio Cala-bria, quello che poi si denomi-nò Consultorio Familiare, un antesignano del suo genere e nella sua tipologia che offrì spunto perché l’esperienza si estendesse altrove. Qui e lì, lungo lo Stivale italico, prese-ro forma Centri analoghi i qua-li trovarono modo di collegarsi fra loro nella prospettiva di affinare metodologia e azione attraverso un utile scambio di esperienza. Si costituì, quin-di, a Bologna l’UCIPEM, alla quale il Centro reggino si ag-gregò immantinente, ma da cui si staccò per aderire alla allora nascente Confederazio-ne dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana, costitu-itasi il 16 aprile del 1978 in Roma sotto l’egida della CEI, che favorì il raggruppamento dei Consultori votati a operare dichiaratamente in modo con-forme all’insegnamento del magistero della Chiesa Catto-lica.Ines Boffardi, parlamentare genovese militante in seno alla Democrazia Cristiana, fu la prima presidente della Con-federazione. Ebbe lei l’onere di guidare il sodalizio nella

fase pionieristica dell’avvio affrontando le asperità proprie di ogni movimento in forma-zione e il merito di superarle utilizzando al meglio le risi-cate risorse cui supplivano l’entusiasmo e la generosità di quanti, fiduciosi nella bontà del progetto, davano la dispo-nibilità a cooperare sulla base di puro volontariato. Era un sodalizio retto da uno Statuto1 che confederava le Federazioni dei Consultori Familiari sorte o che andavano sorgendo nelle varie regioni d’Italia e che in breve tempo, anche per quel mutamento di sponda che non fu un’esclusiva del Consultorio reggino, superarono in numero i Consultori aderenti all’UCI-PEM. In Calabria, i primi a federarsi furono i Consultori di Reggio, Cosenza e Catanzaro. Si ag-giunse successivamente quel-lo di Crotone e, in prosieguo di tempo, gli altri che via via prendevano corpo: quello del-la diocesi di S. Marco Argenta-no e l’altro di Gioia Tauro della diocesi Oppido-Palmi. Tutti idealmente uniti alla Confede-razione, ma attraverso un filo di collegamento ancora tenue giacché, anche per la penuria dei mezzi, l’eco della sua inci-piente attività non aveva facile riverbero specie nelle regioni geograficamente più periferi-che. Cresceva intanto l’esigenza di

1 Statuto, consacrato agli atti del notaio Sergio Bartolucci di Roma il 28 maggio 1985.

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un’organizzazione di vertice più rispondente all’importanza del ruolo demandato ai Consul-tori i quali, a parte il filo ideale di colleganza che non era cer-to di per sé bastevole per risul-tare di grande aiuto, agivano per lo più in un sostanziale ‘fai da te’ che aveva indotto alcuni responsabili centrali a mordere il freno. Erano tra questi Maria Fortunato e Michele Corsi, da sempre vice presidenti della da sempre presidente Boffardi il cui piglio accentratore aveva fatto buon gioco nei primi anni d’avviamento del sodalizio ma che, sicuramente non per de-liberata volontà della predet-ta, ormai faceva da remora ad un’azione più incisiva e più in linea coi tempi nuovi.In una delle tornate elettorali, nella qualità di presidente del-la Federazione calabra, ebbi la ventura di partecipare all’as-semblea elettiva e non mi fu difficile sentire il vento che spirava. Nonostante l’impegno profuso da Corsi affinché la compagine dirigenziale regi-strasse finalmente un qualche mutamento, l’esito delle urne lasciò ancora una volta le cose tali e quali. Corsi non tollerò lo stallo e non accettò la sua ennesima conferma alla carica di vice presidente. Toccò a me assumere la carica perché per lo stesso ufficio, dopo di lui, ero stato il più votato.Seguì quindi un triennio in cui le spinte al rinnovamento si

fecero più forti, con momenti di incontenibile frizione che davano il segno della crescen-te voglia di un salto di qualità. Erano maturi i tempi perché si pensasse ad un nuovo Statu-to e fu costituita all’uopo una commissione che - composta da Maria Fortunato, Goffre-do Grassani, Giovanni Maria Solinas e da me presieduta - iniziò a riflettere per un nuo-vo impianto che, nella linea della continuità, desse regole più chiare anche per evitare la cristallizzazione delle cariche. La mia Federazione, facendo perno sul Consultorio reggino, si offrì per organizzare un Se-minario che per la prima volta spostava più a Sud il baricen-tro delle località fin lì prescelte per iniziative analoghe. Credo sia stato il raduno più corpo-so di operatori consultoriali che la Confederazione avesse realizzato sino ad allora. Si è discusso e riflettuto, dal 14 al 17 settembre dell’89, sul tema Dalla coppia alla famiglia, ruo-lo del Consultorio Familiare, in una ridente località montana, Gambarie, situata nel cuore dell’Aspromonte, ignota ai più che, provenienti da ogni parte d’Italia, ebbero modo di cono-scere e apprezzare aspetti più veri e autentici di una regione che fa fatica a riscattarsi dal deviante cliché stereotipato che la vuole terra brulla e ma-lavitosa, a dispetto della sua lussureggiante bellezza fatta

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di incomparabile vegetazione, costellata da incantevoli vi-sioni paesaggistiche e carat-terizzata dalla particolare ge-nerosità e ospitalità della sua gente. Fu quella soprattutto un’occasione per rinsaldare la coesione dei partecipanti e accrescere in essi la consape-volezza delle potenzialità della Confederazione, accentuando l’urgenza di dare a esse sfogo con nuove energie e rinnovel-lato vigore. Senza niente to-gliere ai meriti di Ines Boffardi la quale seguitava a tenerne in pugno il timone e che in quella ineguagliabile cornice aspro-montana fu affettuosamente festeggiata per il compimento dei suoi settant’anni; che era-no comunque meno – come lei teneva a sottolineare – di quanti ne portava sul proprio groppone Giulio Andreotti, al-lora ancora verde e saldo nel suo potere che, a suo dire, lo-gorava gli altri e non lui che lo deteneva.Alla prima tornata elettorale che ne seguì, fece da spariglia dei consueti giochi un nome nuovo che, estratto fuori dalla mischia e pensato per la sua

imponente statura morale e professionale, dalla maggio-ranza dell’Assemblea fu im-posto come nuovo presidente. Era P. Angelo Serra. L’abnega-zione di questi, con la nuova compagine dirigenziale2, val-se a dare alla Confederazio-ne una sede stabile in Roma presso la prestigiosa struttura dell’Università Cattolica Ge-melli; a dotarla di un organo di informazione e formazione con la fondazione della rivi-sta Consultori Familiari Oggi che corrispose da subito al compito di offrirsi con taglio scientifico come strumento di collegamento tra i Consultori aderenti; a varare il nuovo Sta-tuto3 (quello pensato e propo-sto dalla speciale commissio-ne suddetta) che, definendo meglio organi e competenze anche temporali, assicurava il ricambio delle cariche. Sul piano dei contenuti, la Fe-derazione calabra si offrì anco-ra volta a dare il suo contributo con l’organizzazione, curata di tutto punto e con riconosciu-to successo dal Consultorio di Gioia Tauro, del Seminario di Roccella Jonica, messo in atto

2 Con l’avvento di P. Serra alla presidenza, Michele Corsi tornò al ruolo di vice presidente; Marisa Biancardi fu l’altra vice presidente e il primo direttore responsabile della neo fondata Rivista; a Valeria Longo Carminati venne affidato l’incarico di segretario ge-nerale e a Giovanni M. Solinas quello di tesoriere; alla presidenza della Commissione scientifica fu chiamata Liliana Zani Minoja e io a quella della Commissione giuridica. Confermato all’unanimità alla presidenza P. Serra per un secondo triennio, spettò a lui pure dirigere la Rivista; Corsi passò al ruolo di segretario generale; le cariche di vice presidente furono assunte da Luigi De Pinto e da Velia Galati Tessiore; Solinas fu confermato nella funzione di tesoriere e io a quella di presidente della Commissione giuridica; Luigi Pati divenne presidente della Commissione scientifica.

3 Il nuovo Statuto fu sottoscritto il 14 novembre 1993 dinanzi al notaio Carlo Cavicchioni di Roma.

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dalla Confederazione dal 22 al 25 maggio del 1997 sull’argo-mento Vita, speranza, solida-rietà, in logica prosecuzione al Seminario, svoltosi dall’8 al 10 settembre del 1995 a Roc-ca di Papa, significativamente incentrato sul tema Alla ricer-ca di nuovi percorsi: indice di per se stesso dell’impulso alla crescita che ormai innervava lo spirito della Confederazione.Sicché la storia della Federa-zione calabra si intreccia in qualche modo con quella della Confederazione anche quando attinge alle opportunità che essa offre. Così, ad esempio, le linee guida - concepite per un programma formativo che desse omogeneità ai Consul-tori aderenti nell’ambito di un processo di aggiornamento il quale deve essere permanen-te perché la loro professiona-lità sia sempre all’altezza del compito - studiate dalle Com-missioni scientifica e giuridi-ca presiedute, la prima, da Giuseppe Noia (successore di Luigi Pati) e, la seconda, an-cora da me nel primo triennio della presidenza di Giovanni Maria Solinas (successore di P. Angelo Serra), trovarono at-tuazione dapprima nel corso realizzato dalla Federazione sicula per iniziativa del suo solerte presidente Bernardo La Terra Bella e poi nell’altro in-terregionale svoltosi in Puglia, con fondi provvidenzialmente procurati da Luigi De Pinto,

presidente della Federazione pugliese, e da lui organizzato con ammirevole dedizione e competenza di concerto con Antonio Tummolo e con me, ri-spettivamente presidenti delle Federazioni lucana e calabra.Relativamente alla mia regio-ne, va detto che si deve a tale corso interregionale il profitto ricavato dagli operatori con-sultoriali calabresi che vi han-no partecipato e la possibilità offerta alla Diocesi di Locri di dotarsi, come s’è dotata, di un proprio Consultorio.Non fu risultato di poco con-to. Tuttavia esso non era suffi-ciente per ritenere soddisfatte le esigenze della Calabria che, al pari di altre regioni, conta tuttora diocesi prive di Consul-torio di ispirazione cristiana.Qui, come altrove, i Consulto-ri accresceranno la loro quali-tà e aumenteranno di numero se si offre ai Vescovi, specie delle diocesi che ancora ne sono del tutto prive, la possi-bilità di formare gli operatori, essendo illusorio e comunque riprovevole, attese le delicate funzioni di cui essi sono in-vestiti, che i Consultori sia-no frutto d’improvvisazione.Servirà all’uopo la Scuola di Formazione Permanente da me pervicacemente proposta e voluta, e finalmente sorta in Roma, per iniziativa delle Com-missioni scientifica e giuridica ancora presiedute rispettiva-mente da Giuseppe Noia e da

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alla

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me, con la presidenza Gras-sani: un’istituzione, la Scuo-la di formazione permanente, che, da sola, vale a qualifica-re una presidenza. Infatti, al merito di Goffredo Grassani di aver lasciato campo libero per l’istituzione di detta Scuola è principalmente ascrivibile la sua rielezione per un nuovo triennio, pur gravida di strasci-chi dovuti al varo tormentato dell’attuale Statuto4, effettua-to, con procedura ritenuta di dubbia validità giuridica, con l’astensione della Federazione calabra la quale aveva esplici-tato le sue riserve con nota let-ta nella seduta del Consiglio Nazionale del 25.01.2008 e allegata al relativo verbale.La Scuola ha già al suo attivo la realizzazione di nove corsi con un decimo in allestimen-to. Ha mantenuto finora un alto profilo culturale, grazie al corpo docente formato da stu-diosi, professori ed esperti di prim’ordine. Ne hanno fruito non meno di dieci regioni per volta. Ha messo in relazione

Consultori del Nord, del Cen-tro e del Sud, offrendo l’op-portunità di proficui scambi di esperienza e di collabora-zione. Ha riservato visibilità a iniziative ed attività che per la loro originalità ed efficacia meritano d’essere emulati. Ha dato il segno dell’utilità della Confederazione la quale, attra-verso tale servizio, offre rispo-sta credibile ed efficiente alla domanda di formazione degli operatori consultoriali. L’auspicio che la Scuola Per-manente Residenziale di For-mazione per Operatori Consul-toriali di Roma si consolidi e si sviluppi, prendendo il so-pravvento su ogni altra consi-derazione, ha indotto, e indu-ce, la Federazione calabra a seguitare a dare il suo attivo e spassionato apporto alla Con-federazione. Per il consegui-mento esclusivo del bene e degli interessi dei Consultori aderenti.

4 Statuto varato il 26.01.2008 dinanzi al notaio Carlo Cavicchioni, in sostituzione del precedente che era stato già adeguato alla normativa sulla privacy con atto del 21.01.2006 a rogito del notaio Pasquale Landi.

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Testimonianze

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Alzheimer: solo paura e tragedia?

Testimonianze e riflessioni nell’arco della malattia

“L’uomo d’oggi guarda ma non contempla,vede ma non pensa”

(E. Montale) I dieci anni della malattia del-la mamma hanno sviluppato in me - come immagino in tutti coloro che vivono attor-no ai loro cari sofferenti - pro-gressive e graduali risonanze, emozioni, sentimenti, paure, intuizioni, percezioni, risorse, adattamenti che, assorben-do tante energie, mi hanno tendenzialmente orientata a custodirli nella mia intimità, forse un po’ gelosamente e limitandone la condivisione perlopiù all’ambiente fami-liare.

Ultimamente, nella misura in cui si è andata esaurendo la fisicità della mamma (compre-sa la parola), si sono attivate in me, spontaneamente, altre risorse comunicative, orienta-te verso un atteggiamento più attento all’aspetto spirituale e più propenso a manifestarlo.Mi domando se questo im-provviso impulso a condivi-dere parte dell’esperienza sia dettato da una sorta di dove-rosa solidarietà. affinché altri dall’offerta di personali fram-menti possano elaborare ciò che torna loro più utile. Oppu-re sia dettato da un sentimen-tale omaggio alla mamma, o da un terapeutico alleggerirmi da un fardello, o da una per-

Daniela Levaro Belgrano

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stim

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anze sonale ricerca di significato,

dalla cui espressione possano scaturire contenuti più ampi.È probabile che tutte queste motivazioni sussistano assie-me e che ne esistano anche altre...Non è mia intenzione, né sa-rebbe possibile, tentare di definire un bilancio sul lungo cammino di questi anni. Le situazioni e la sfumature sono state infinite.Momenti di dolore, scoramen-to, paura, preoccupazione si sono alternati a genuini e in-tensi attimi di profonda gioia, insospettate scoperte, sensa-zioni significative sui valori es-senziali dell’esistenza.In me sono emerse doloranti radici di antichi problemi rela-zionali non risolti e mai suffi-cientemente riconosciuti.Ho sentito il bisogno di rileg-gerli con un nuovo sguardo e di liberarmene per fare spazio a una disponibilità non condi-zionata e autentica.Contemporaneamente è avve-nuto un confronto ravvicinato con la proiezione della mia stessa condizione di vecchia-ia (non più tanto lontana...), con le paure e i fantasmi che probabilmente tutti si rappre-sentano.Ritengo che questo aspetto, nonostante la fatica ad affron-tare la naturale ritrosia, sia una emblematica opportunità di apprendimento per un con-tatto più approfondito e signi-

ficativo con i misteri che ci sovrastano.Altresì sono consapevole che, al momento in cui questo cammino sarà compiuto, sor-geranno tante altre risonanze che ora non riesco neppure a immaginare.La mia vicenda si svolge in un contesto che coinvolge intima-mente tre famiglie.La coppia genitoriale: a oggi la mamma ha 87 anni, il papà 94.La famiglia di mia sorella con una figlia adulta.La mia famiglia con tre figli adulti.In varie misure e valenze il “percorso” ha toccato tutti; e ognuno, a seconda delle sue possibilità, ha dato il suo pre-zioso contributo.

Modifiche e “aggiustamenti” del quotidianoCome in altri casi analoghi, le difficoltà iniziali hanno ri-guardato l’accettazione psi-cologica della malattia e delle problematiche a essa connes-se e l’organizzazione pratica necessaria a far fronte alla si-tuazione.Nello specifico noi due sorelle, dopo i primi due anni estem-poranei, trascorsi un po’ im-provvisando i comportamenti di volta in volta, ci siamo im-pegnate a traslocare i genitori da un’altra città a un apparta-mentino scelto vicino alle no-stre abitazioni e nella ricerca

Modifiche e"aggiustamenti"

del quotidiano

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zedi persone (dette badanti) che ci sollevassero dalla necessità di dare risposta alle molte esi-genze giornaliere dei miei.Ovviamente lo sviluppo del-la malattia ha avuto reazioni molto dissimili nella coppia dei genitori.Papà, uomo molto volitivo, fi-sicamente prestante (anche se con altri problemi di salute), direttivo, abituato ad affronta-re le avversità “lancia in resta”, reagiva come se, per protegge-re la sua amata sposa, solo lui avesse il diritto e il dovere di sconfiggere il nemico.Lui ha avuto bisogno di un discreto, ma attento, vigile e assiduo sostegno morale che stemperasse i suoi conflitti, che mediasse i suoi tormenta-ti umori con dosate spiegazio-ni e con atteggiamenti sereni e rassicuranti. Accompagnar-lo per questo tratto della sua esistenza, assolutamente non prevista da lui, non è stata im-presa facile; al contempo per noi è stato un privilegio sco-prire in lui sorprendenti evo-luzioni, adattamenti, aperture e crescita, impensabili in una persona costruita e consolida-ta in modo rigido.

Diagnosi e curaPer la mamma i primi tempi sono stati, se non i più doloro-si, i più sconvolgenti.Con mia sorella abbiamo vis-suto momenti di profondo

disagio durante le numerose visite diagnostiche nei vari centri specialistici.Se da una parte è necessario mettere alla prova il paziente con esami e test per stabilire il grado della patologia, dall’altra l’esistenza della sua sensibili-tà e dei livelli di intelletto che ancora possiede sottopongono il malato a stress e umiliazioni molto pesanti.Ci siamo spesso interrogate se certe rigide procedure siano proprio necessarie o se non sia possibile invece sostituirle con metodi e situazioni testati più empaticamente.Inoltre, nel caso della mamma, tanto sacrificio si è poi rivelato inutile in quanto neppure i far-maci - tra i più avanzati - scel-ti per fronteggiare la malattia, hanno avuto efficacia, ma solo effetti collaterali insostenibili.Può sembrare strano, ma si sono rivelati di grande giova-mento alcuni preparati erbo-ristici e specialmente i fiori di Bach, individuati con cura in base ai cambiamenti di umore.

ComunicazioneGià dagli inizi della patologia la comunicazione empatica con il malato diviene proble-matica in quanto “ … per que-sti malati un notevole numero di simbolizzazioni perde signi-ficato, rendendo difficili an-che i più elementari codici di comunicazione…”1 e quindi,

1 G. GreGGio, Dietro l’Apparenza, La Meridiana, Molfetta (BA), 1998.

Diagnosi e cura

Comunicazione

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anze perdendo il significato iniziale,

si alterano e si manifestano in ossessioni, fissazioni, visioni distorte, a volte allucinazioni.Come procedere?Di fondamentale importanza si è rivelata la coesione e l’armo-nia tra le nostre famiglie.Innanzitutto abbiamo dedicato spazio alla comunicazione tra noi (superando qualche osta-colo di carattere), procedendo pronti a “correggere il tiro” ogniqualvolta una variante lo richiedesse, consultandoci per ogni valutazione o monitorag-gio sulla inesorabile progres-sione degli eventi.Le nostre forze sono risultate più mirate, così come più ras-sicurante la nostra immagine percepita dai genitori.Per individuare altri canali comunicativi con la mamma, è stato anche necessario fare spazio dentro di noi, indivi-dualmente: fermarsi, darsi calma anche fisicamente, dare più ascolto alle emozioni sot-tili, persino alle variazioni del nostro respiro; lasciare che si attivassero tutti i nostri senso-ri, interni ed esterni.Se i parenti si dispongono in questo modo, è più probabile che riescano a cogliere i tran-sitori particolari stati d’animo del malato e che avvenga con lui una comunicazione inusua-le, ma non per questo insoddi-sfacente.Anche noi, ogniqualvolta ci siamo impegnati in analoga di-

mensione, abbiamo sperimen-tato come si siano dischiusi nuovi orizzonti e scoperte qua-lità comunicative impalpabili, ma autentiche e gratificanti.Procedendo nel percorso ab-biamo potuto constatare come il nostro istintivo e intuitivo cambiamento di tendenza (da un orientamento medico-mec-canicistico a uno attentivo, sottile ed olistico), si sia dimo-strato basilare e via via prope-deutico a molte fasi successi-ve particolarmente critiche.

Interazioni e relazioni interper-sonaliLa simbiosi della coppia geni-toriale perdura da 70 anni. La malattia si è insinuata tra loro, infrangendo ogni equilibrio.Nella loro interazione si sono scatenati meccanismi di dife-sa e di attacco imprevedibili e complicati.Ambedue, sconcertati dalle reciproche risonanze, ne pro-vavano alternativamente sensi di colpa e avvilimento o ranco-ri, che accrescevano la loro in-sicurezza e uno stato d’animo precario.Per un certo tempo siamo riu-sciti a far loro trascorrere se-paratamente parte della gior-nata.Al servizio diurno dell’Istitu-to Don Orione la mamma ha sperimentato il metodo Valida-tion, che consiste in una anali-si approfondita del vissuto del malato tramite uno scrupolo-

Interazioni erelazioni

interpersonali

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zeso screening compiuto con i parenti, orientato ad attivare l’attenzione degli operatori su ogni sfumatura del comporta-mento del malato.Ciò è mirato ad avvicinarsi alla sofferenza delle persone con cognizione sui loro trascorsi, mentalità, aspirazioni, attivi-tà, relazioni, sentimenti, atti-tudini.Su queste premesse è possibi-le inserire l’ausilio di attività mirate, modalità di colloquio personalizzate o incontri di gruppo affinché il malato si senta facilitato e incoraggia-to a esprimersi nella libertà di utilizzare al meglio i pochi mezzi di cui dispone.Ad esempio la mamma, la quale nutre ancora un nostal-gico legame affettivo verso la sua terra natale (l’Egitto), ha tratto conforto recuperando alcuni ricordi spensierati della sua infanzia.Nella metodologia Validation si attribuisce molta importan-za alla simbologia in quanto il malato, avanzando via via nel suo disturbo, entra sempre più in uno schema di riferimento ispirato a una personale sim-bologia che affonda radici nelle sue esperienze passate, comprese quelle determinanti dell’infanzia: “…attenersi al quadro relazionale che il ma-lato stabilisce…” , scrive E. Bianchi.Nel vivere quotidiano, il sem-plice uscire da casa oppure

occasioni di socializzazione (peraltro auspicabili) nascon-dono per il malato insidie da gestire con attenzione.Infatti si possono verificare si-tuazioni nelle quali il malato può sentirsi confuso, spaesa-to, inadeguato, avvilito, oppu-re a suo agio, spensierato, sino a rivivere momentaneamente la sua passata “normalità”. In questo caso però la transitoria illusione di un recupero può procurargli una successiva più cocente umiliazione.La persona anziana e malata di demenza ha particolarmen-te bisogno di amore non solo per necessità affettiva, ma per essere anche capita. Infatti, se coloro che vogliono darle aiuto non provano amore caritate-vole per lei, se non riescono a mettersi in contatto empatico e ad accettarla per quello che è, nella malattia, nei difetti, e nei suoi lati oscuri, risultano inibiti nel comprenderla.Per riattivare o preservare par-ti della memoria non ancora deteriorate o compromesse, alcuni studiosi e specialisti di demenza senile hanno messo a punto metodi innovativi che lavorano sulla “sensibilità at-tentiva” del malato.Sono esercizi di struttura sem-plice, ma da somministrarsi con delicatezza per le eventuali rea-zioni del soggetto, che potrebbe provare o noia o inadeguatezza, a seconda della sua adattabilità alle prove da superare.

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anze Abbiamo avuto modo di far

sperimentare alla mamma alcuni esercizi, con qualche lieve risultato soddisfacente, tenendo conto che, per quel particolare metodo, lo stadio della sua malattia era già trop-po avanzato.Per coloro che si pongono in relazione di aiuto, tutte le fa-coltà sensitive si devono atti-vare (“... i nostri cuori si tra-sformino in cuori di carne...”, B. Cottolengo) per una dispo-nibilità all’ascolto che travali-ca la ragione ed entra in una dimensione empatica di con-divisione dell’assurdo e delle percezioni dei suoi contenuti. Entrano in gioco anche un at-teggiamento fiducioso, crea-tività, intuizione, capacità di concentrazione, attitudine ad accontentarsi dei risultati e di quel poco che si riesce a do-nare di sé.Talvolta è probabile che si rie-sca ad accedere ad un miste-rioso canale comunicativo che può rivelare la sensazione di un incontro magico di due ani-me: attimi fuggenti che posso-no racchiudere significati più grandi della realtà che ci pare di vedere.

Corpo e psicheQuando ancora l’assetto fisi-co della mamma non aveva subito danni, si è rivelato un toccasana anche per la sua mente dare spazio alla sua corporeità con attività manuali

(nel suo passato la animava ed era attivo un talento artistico non indifferente), attraverso le quali lei poteva interiorizzare una simbolica realizzazione di se stessa, così come una tran-quilla attività fisica e ginnica la rasserenava e le dava giova-mento generale.La massima e straordinaria integrazione tra l’espressione corporea, la sua mente, i suoi sentimenti, le emozioni, lo scambio affettivo e la comuni-cazione profonda si è palesa-ta quando con mia sorella, a turno, ci siamo impegnate ad assisterla nei bagni al mare, supportate dalle nostre passa-te esperienze come istruttrici di nuoto.La mamma, anche lei con tra-scorsi da nuotatrice, ma pe-nalizzata per aver interrotto la pratica piuttosto a lungo, alla prima immersione sembrava non ricordare di saper nuota-re.Tuttavia il nostro atteggiamen-to tranquillo e facilitante, ma con l’allerta di tutta la nostra sensibilità, ha fatto sì che lei non abbia avuto bisogno di al-cun supporto o insegnamento tecnico per riscoprire ciò che le era familiare.Ogniqualvolta ricordo la gioia e la soddisfazione della mamma e il suo stesso stupore di riap-propriarsi con tanto piacere del suo nuotare libera e felice, mi commuovo intensamente.L’esempio eclatante del nuoto

Corpo e psiche

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zerappresenta l’importanza prio-ritaria di creare un clima che faciliti il malato a esprimere se stesso al meglio di come gli riesce in quel momento.La riduzione delle frustrazioni crea nel malato un automati-smo che lo induce a servirsi di risorse fisiche, mentali, senti-mentali, spirituali di “riserva”, determinando in lui soddisfa-centi conquiste.Conquiste però da monitorare costantemente perché gli stati d’animo sottostanti sono sog-getti a continue variabili.L’alternanza tra il progredire della malattia e i sorprendenti recuperi indotti dal clima fa-vorevole non ha potuto scon-giurare inevitabili momenti di crisi e conflitti, la cui sintesi tuttavia ha condotto verso l’ac-quisizione di maggior equili-brio nell’abituarsi alla malat-tia (sia nella mamma che nei familiari).Al terzo anno di malattia la mamma ha subito una grave, urgente operazione per perito-nite.La dose di anestesia e l’ospe-dalizzazione hanno segnato un crollo fisico e psichico.La nostra maturata fiducia nell’ascolto alle sfumature e ai sentimenti della mamma ha nuovamente mostrato i suoi frutti; e lei gradualmente ha recuperato alcune abilità.Il sostegno affettivo e un po’ di allegria e spensieratezza, an-che forniti dai nipoti, le hanno

infuso rassicurazione.La vita procedeva tra alternan-ze di cadute e picchi, tra con-flitti e serenità.Una caduta ha provocato alla mamma la rottura del femore.In questo caso l’anestesia lombare si è rivelata meno invasiva e meno traumatica l’ospedalizzazione. Successi-vamente è stato necessario un ricovero in una struttura per la riabilitazione.Dopo un certo tempo di per-manenza all’Istituto Don Orio-ne di Genova-Castagna abbia-mo notato come la mamma si trovasse più a suo agio e acquistasse più serenità in un ambiente dal quale non percepiva aspettative, contra-riamente a quello casalingo nel quale probabilmente ac-cumulava frustrazioni per non sentirsi più adeguata ai ruoli precedenti.Lo stesso intenso rapporto af-fettivo con papà le generava ansia; e si verificavano episodi di aggressività.I loro smarrimenti si mani-festavano attraverso reazioni involontarie a loro estranee; e ciò aumentava il turbamento, il senso di impotenza, la scon-tentezza di sé.Il nuovo ambiente invece sembrava rappresentare per la mamma una specie di oasi nella quale non avvertiva mal-celate o inconsce pressioni a ritornare “quella di prima”.Il palese sollievo per non do-

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anze versi sforzare ad accontentare

le amorevoli, ma irrealistiche aspettative di papà le ha dato modo di superare velocemen-te le indubbie difficoltà di ambientazione: una camera da dividere con una persona ancora sconosciuta, la rinun-cia all’arredamento di casa composto da oggetti a lei cari e testimoni del suo amore per l’arte e il bello.Di quel tempo mi è rimasta la sensazione che la mamma non avesse propriamente rinuncia-to, ma che si fosse operata in lei una specie di “salvataggio” di ciò che le era caro e che quella cartella del suo com-puter fosse in suo possesso e usufruibile qualora la volesse aprire.Tutta la famiglia, a vari livelli compreso papà, aveva notato il cambiamento. Di comune accordo abbiamo optato per la permanenza all’Istituto.

“Globalizzazione” dell’espe-rienzaHa inizio un capitolo nuovo e di straordinario apprendimen-to!Da sei anni la mamma, il papà, le nostre famiglie, ciascuno per la sua parte, abbiamo im-parato a condividere difficoltà, scontentezze, gioie, dolori, lut-ti, preziosi momenti scherzosi o di svago e molte sfumature del vivere quotidiano di questa grande Comunità.Il femore “aggiustato” e una

efficace fisioterapia hanno re-stituito alla mamma la sua de-ambulazione. Si è ripristinata anche la continenza urinaria. E, con un po’ di assistenza, riu-sciva ad alimentarsi da sola.Per dare soddisfazione al suo amore per il bello, cercavamo di curare particolarmente la sua persona e il suo abbiglia-mento, specie nei colori.Lei gradiva queste attenzioni e ne gioiva alla stessa stregua dell’ammirare un fiore, un li-mone sull’albero in giardino o di seguire un documentario naturalistico in TV, così come sprizzava felicità quando arri-vava in visita un bambino.

Mondo affettivo e vita di comu-nitàIl suo mondo affettivo, pur modificandosi e riducendosi a una nuova essenzialità, si è sempre mantenuto vivo.Secondo indicazioni mediche ci aspettavamo che le assenze prolungate di mia figlia, che vive all’estero, precludesse-ro alla mamma la capacità di riconoscerla. Invece, anche a oggi che la mamma ha perso quasi tutte le facoltà, alla vi-sta della nipote si trasforma: tende il suo corpo tutto rat-trappito, cerca di muovere le mani, si illumina di dolcezza e balbetta suoni.Nonna e nipote si ritrovano!Nel 2004, in occasione di una festa natalizia all’interno dell’Istituto, ho provato senti-

"Globalizzazione"dell'esperienza

Mondo affettivoe vita di comunità

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zementi che allora ho fissato in una sorta di intimo diario. Ne riporto qui alcune parti allo scopo di fornire un’idea di esperienze che altri familiari analogamente possono aver vissuto.

Le emozioni provate oggi sten-dono una patina sui ricordi degli altri Natali: mi appaiono sbiaditi anche quelli più alle-gri e scintillanti.Al Don Orione, divenuta casa della mamma, ho assistito con lei allo spettacolo delle melo-die natalizie: un repertorio di canti internazionali e canzoni dialettali perlopiù ispirate alla tradizione ligure. Il livello di solidarietà e affet-to che circola tra i ricoverati (detti ospiti), gli assistenti e i volontari ricorda che la sof-ferenza, più frequentemente di quanto non si pensi, ha il merito di far emergere le parti migliori delle persone.L’atmosfera può essere irreale e precaria, gli ospiti possono mostrarsi rallentati, con atteg-giamenti illogici, assenti, de-pressi oppure ostili; ma ogni aspetto, dal più ilare al più tri-ste, ha il potere di farmi per-cepire qualcosa di più grande: qualcosa che mi affascina, mi turba, mi sconcerta, mi scalda il cuore, mi dà vertigine e mi fa sentire parte di un Tutto che contribuisce ad un disegno co-mune.Sembra di stare in una spe-

cie di “Corte dei Miracoli”; e, mentre i luoghi comuni insi-nuano che le malattie invali-danti annullano la dignità del-la persona, se si guarda “oltre l’apparenza”, si sperimenta che la vera dignità si trova dentro gli occhi, le anime e lo spirito, nonostante si mostrino spenti o appannati.Questi sentimenti mi infondo-no armonia e tenerezza e mi lasciano intuire una vaga idea dell’Amore del Creato.

Nel mio diario avevo inserito anche una ipotetica lettera per la mamma.

Cara Mamma, come sono stata bene oggi con te!Il mio braccio attorno alle tue spalle, la tua mano nella mia. Sentivo la tua debole vita re-spirare in me.Il tuo stato d’animo, dapprima alterato per un acuto momento di turbamento, piano piano si scioglieva al suono della musi-ca e al ritmo dei canti. Io ero commossa e felice per-ché capivo che tu ascoltavi il mio sentimento e che l’amore ti nutriva.Assieme abbiamo tamburellato i ritmi sulle tue gambe. Insie-me, con gratitudine, abbiamo applaudito coristi e musicisti per le emozioni che donavano a tutti noi.Ho sentito la tua incosciente soddisfazione quando la pre-sentatrice ha espresso la sua

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anze commozione per aver letto nei

nostri occhi una risonanza dei suoi personali ricordi di figlia.Per me ora tutti i miei ricordi convogliano per valorizzare le verità del presente.Ricevo da te, nel tuo silenzio, messaggi che in passato il solo udito non mi ha trasmesso e mi si aprono nel cuore inso-spettati orizzonti.Cara Mamma, oggi sento la tua malattia come il tuo estre-mo sacrificio, senza il qua-le l’amore che ti anima non avrebbe potuto essere ricono-sciuto e compreso appieno.Il pomeriggio di oggi, da un gioioso momento di svago, si è trasformato nel sacrale signifi-cato di una intensa celebrazio-ne religiosa. Il mio 60° Natale trascorso con la mamma; forse il più bello, nel sapore della sua struggente autenticità!

AssistenzaCon mia sorella, per le visite alla mamma, abbiamo orga-nizzato i nostri turni a giorni alterni, mentre papà trascorre con lei tutti i pomeriggi. Poi noi, a sera, lo accompagniamo a casa dove, solo ora finalmen-te, ha accettato di vivere con una persona fissa.Inoltre, per qualche ora po-meridiana, si alternano due persone di nostra fiducia per compagnia alla mamma e so-stegno a papà.L’assistenza dell’Istituto è qualitativamente umana; il

Personale ha una formazione professionale di livello. Ogni intervento medico necessario non viene tralasciato. Scrupo-lo e competenza sostengono l’obiettivo del benessere degli ospiti.Gradatamente il processo della malattia ha ridotto l’autosuffi-cienza della mamma: da tem-po non parla, gli arti si sono atrofizzati, è incontinente e bisogna imboccarla.Anche nel fisico si sono verifi-cate fasi di declino e riprese. In più periodi non le riusciva la deglutizione o la mascella si bloccava. Sono comparse, guarite, ricomparse piaghe da decubito, febbre, bronchiti. Per ogni problema sono state praticate le cure adeguate.Mia sorella, con la sua pro-fessionalità nel trattamento shiatsu, talvolta ha contribuito al benessere della mamma con qualche intervento finalizzato al rilassamento e al recupero di risorse energetiche.

SolidarietàTra parenti degli ospiti ci si scambia condivisione, soste-gno e solidale comprensione da cui gli ammalati stessi trag-gono beneficio.Sovente nascono belle amici-zie. Oppure, semplicemente, tra quasi estranei ci si trova a vivere assieme l’intimità di un’agonia o di un lutto.Sono momenti di profonda co-munione umana, che lasciano

Assistenza

Solidarietà

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zetraccia e consolazione.Non posso dimenticare la fati-ca - che comprendo e apprezzo - di tutto il personale quando si confronta quotidianamente con lutti dai quali non ci si può emotivamente sottrarre.Anche tra parenti di ospiti e altri ospiti si instaura circola-rità e comunicazione affettuo-sa, forse perché ogni familiare è portato a scorgere qualcosa del suo congiunto negli altri malati.La mia testimonianza dice che provo vero affetto per le molte persone che incontro all’Istitu-to e per le tante che ci hanno lasciato. Di ciascuna ho ricor-di. Da molte ho scoperto e ap-preso qualcosa, imparandone ad accettare pregi e difetti.

“Gesti d’amore”Così un ospite ha titolato un articolo che, facendosi aiutare da una educatrice, ha scritto per il giornalino interno.

Dopo non molto tempo che mi trovavo in questo Istituto, ho avuto l’occasione di conoscere una donna in carrozzella, buo-na e dolce, così come lo sono i suoi familiari che ogni giorno l’accudiscono.Gesti commoventi che si vedo-no quando il marito arriva tutti i giorni, nessuno escluso, si siede al suo fianco prendendo la sua mano tremante e dice: “Mammina, sono tuo marito, sono qua, non mi vedi? Fammi

un sorriso, una carezza!Non potendo più parlare né muoversi, Nadina porta la sua mano tremante e lentamente accenna un timido sorriso al marito, accarezzandolo.Questo momento d’amore e di loro intimi sentimenti si ripete tutti i giorni. E io, che ne sono spettatore, non posso fare al-tro che commuovermi!Allora per Nadina arrivano tut-te le coccole di questo mondo per non farle mancare nulla.Le persone come Pio sono po-chissime: malgrado i suoi anni ama Nadina come il primo giorno che l’ha incontrata; più di una volta mi ha confidato che non vede l’ora di essere ricoverato in questo istituto per condividere nuovamente il loro amore, senza nascondere l’emozione con qualche lacri-ma.Inoltre Pio non manca di sa-lutare giornalmente tutte le persone che ha conosciuto qui e di chiedere notizie del loro stato di salute.Oltre alla famiglia di Nadina ci sono altre due persone che l’accudiscono con lo stesso amore e attenzione: Betta e Rina, due badanti speciali.L’emozione non finisce qui: una sera, trovandomi sotto i portici, vidi arrivare Pio. Mi disse: “Aspetto mia figlia che è andata a prendere la mac-china al posteggio per rientra-re a casa.”Subito dopo è arrivata anche la

"Gesti d'amore"

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anze figlia. È scesa dalla macchia.

Io, vedendola arrivare verso di me, le chiesi se per caso aves-se dimenticato qualcosa dalla mamma. Lei mi rispose: “No, sono venuta a darti un abbrac-cio e ad augurarti buona sera-ta.”Questo episodio mi commuo-ve ogniqualvolta lo rammento e ancor più ora che lo scrivo: non avendo mai provato prima queste emozioni, lo ricorderò sempre con grande gioia e af-fetto nel cuore. Silvio

Io non so proprio dire perché quella sera, anziché salutare il sig. Silvio da lontano con un gesto della mano, sono sce-sa dalla macchina. Ancora mi stupisco della sua reazio-ne, ma una volta di più devo ammettere di non dover dare nulla per scontato credendo di sapere che cosa c’è dentro le persone.Forse, senza saperlo, ho ascol-tato quella parte di me che aveva un po’ di intuito da uti-lizzare…

SpiritualitàDa alcuni anni figura di rife-rimento principale era don Paolo, un “sacerdote/armadio” (anche la sua mole fisica dava l’impressione di contenere tutti…), gioioso, giocoso, ma attento e sensibile.Il suo vocione rimbomba an-cora nei corridoi. Il suo modo

di comunicare, semplice, schietto e cordiale conquistava ognuno.Anche i non credenti andava-no ad ascoltare le sue omelie, semplici, chiare, profonde e soprattutto accessibili alla eterogeneità dei partecipanti alla Messa.Ogni anima ne traeva giova-mento a diversi livelli.Dall’altare si muoveva ciondo-lando un po’: anche con il cor-po comunicava una spirituali-tà che si fondeva con il sentire degli ascoltatori.Insomma lui, offrendo una spiritualità non ancora con-cretizzata in religiosità (una spiritualità che non prescinde dall’emozionalità e dalla cor-poreità), toccava più da vicino il nucleo delle persone.Tanto umile e modesto da non esserne forse neppure consa-pevole, si faceva tramite di una straordinaria azione tera-peutica in sinergia tra corpo e anima.Anche la mamma rilassava il corpo e interiorizzava serenità durante le Messe o gli incon-tri, non importa se più o meno coscientemente.La qualità della presenza di don Paolo dimostrava quanta importanza riveste il nutri-mento spirituale per i malati di demenza e come li mette in contatto con la loro essen-za, restituendo loro parte dello spirito che non riescono più a percepire.

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zeCi si riunisce realmente nel nome di Gesù quando si com-pie quel movimento di perdita a favore dell’altro che è il cen-tro del suo insegnamento, ci si riunisce realmente nel nome di Gesù quando si ama. Quan-do gli uomini amano, Gesù è in mezzo a loro, ovvero si ge-nera lo spirito, perché è solo nello spirito che Gesù è pre-sente. L’amore degli uomini ha la capacità di generare lo spirito…2

Il 20 febbraio 2009 don Pao-lo, improvvisamente e inspie-gabilmente, a 48 anni ha ces-sato di vivere.Lo sconforto è stato immenso!Il suo abbandono ha lasciato tutti orfani nel concreto religio-so, mentre la spiritualità che lui ha fatto sgorgare continua ad operare nel suo ricordo.Grazie, don Paolo!Sento il dovere di una conside-razione: se da una parte negli istituti esistono dolori, disagi, incomprensioni di ogni gene-re, dall’altra non è giusto ne-garsi di scorgervi anche mondi di amore.

Significato?Analogamente ad altre prove con cui è chiamato a confron-tarsi l’essere umano, non pas-sa giorno in cui anche io non mi domandi: “Perché?”Forse solo alla conclusione to-

tale della vita troveremo rispo-ste… Tuttavia già nel deside-rio di formulare domande sono insite alcune intuizioni.Non comprendo come, ma in-dubbiamente esistono varianti nella percezione del tempo, dell’anziano in generale e del malato in particolare, che co-stituiscono come una forma di “allenamento” all’assenza di tempo dell’eternità.Tali percezioni suggeriscono alcune letture sui periodi che precedono la fine dell’esi-stenza terrena e su eventuali potenzialità comunicative da elaborarsi sullo “schema di riferimento” della persona sof-ferente.

…impossibilità ad esprimere ulteriormente

la vita personale nel mondo...

Ramom Lucas Lucas

Negli ultimi tempi, quando sto con la mamma, penso che a una prima apparenza il rap-porto con lei potrebbe sembra-re quasi nullo, mentre in verità ha subito una conversione del-la comunicazione che induce a focalizzare lo sguardo su di un’altra ricchezza dell’essere Persona nell’identità che non appare. Identità impedita, sof-focata o inconscia, ma che - al di là del tangibile - persiste in altre forme, benché sconosciu-

2 V. MaNCuso, L’Anima e il suo Destino, Cortina, Milano, 2007, p.142.

Significato?

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anze te o misteriose.

La privazione dello strumento della parola e/o della lucidità mentale, inibendo la comuni-cazione attraverso canali lo-gici, sembrerebbe bloccare i flussi di interazione. Ma si in-travede anche un’altra realtà.La vedo se mi predispongo a rilassare il mio cuore e ad aprirlo travalicando il mio io, se mi sento libera da ogni pre-concetto e se valorizzo con fi-ducia tutti i sensori di cui la Natura ci ha equipaggiato.E negli occhi di un essere umano in disfacimento vedo uno scenario inconsueto, im-palpabile, quasi fantastico, ma assolutamente reale per l’essenza che racchiude. Rea-le perché mi comunica la cer-tezza che non si tratta solo di una visione, ma di una regi-strazione nitida e indelebile che tutti i miei organi di senso integrati (fisici, psichici, spiri-tuali) rimandano e imprimono al mio essere. Nella vita che non possiede più le caratteri-stiche espressive precedenti, sento lo sforzo dignitoso e la sacralità di un passaggio diffi-cile, delicato e allo stesso tem-po potente. Sento la prepara-zione alla trasformazione; la fine di una sinfonia che, men-tre si trasforma in una apertu-ra sull’infinito, lascia il segno del suo passaggio terreno.

... ogni essere contiene

un mistero diverso, diverso è il destino…

Gli occhi della mamma mi ap-paiono come una finestra sul trascendente.Da questa prospettiva vedere la pagina della sua storia ter-rena che sta per chiudersi mi regala il privilegio di abboz-zare una nebulosa intuizione dell’ignoto che l’aspetta.È tutto un mistero.Ma inequivocabilmente osser-vo la traccia di un “filo dorato” che unisce le due dimensioni; e mi è chiaro che il comune denominatore è l’Amore.Colpisce la statistica che il numero dei contatti visivi del personale sanitario diminuisce nella misura in cui il paziente si avvicina alla morte.È un peccato che tanto poten-ziale amore vada perduto… Se anche nella sofferenza si possono sperimentare forme di felicità, sarebbe verosimile che lo stesso personale sani-tario, spesso frustrato dall’al-ta concentrazione di dolore al quale è costretto ad assistere, anziché talvolta subire le pro-prie reazioni di inaridimento o cinismo, riuscisse a scoprire dimensioni più in armonia con la sua stessa umana natura.Forse l’inconscia ma diffusa e inconfessata convinzione che l’essere umano non sia fatto per morire ha origine proprio dall’intuizione dell’altra di-mensione: di quel “prolunga-

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zemento di amore” che ho l’ono-re di scorgere negli occhi di mia madre.A volte gli occhi sorridono o sono tristi, o arrabbiati o completamente assenti. Ma la scintilla dell’amore non si oscura mai totalmente.Così il compiersi di un’esisten-za mi appare davvero come il passaggio di un corpo che, disfacendosi, si trasloca e si trasforma in altra dimensione. E la parola “morte” assume il significato di ritorno al Tutto che ci ha generato.Le invalidanti malattie e le lun-ghe agonie potrebbero dunque contenere potenziali indicazio-ni sui misteri esistenziali.

Ecco, la morte mi sembra la fine della storia, la fine del ro-manzo. Ciò che a mio parere dà dignità alla vita. È impor-tantissimo come si vive; per me conta lasciare una picco-la scia, qualcosa agli altri. La vita, in fin dei conti, è un mo-mento, mentre la morte dura per sempre…”3

Come terminare la mia testi-monianza?Solo adesso, dopo essermi confrontata con le tante emo-

zioni che ho lasciato riaffiora-re, mi risuona una motivazione che non avevo considerato: ho scritto il racconto di alcuni punti di questi ultimi dieci anni, in prima istanza per non dimenticare i sentimenti, i va-lori generati e quelli percepi-ti, per impedire che l’istintiva rimozione della fatica e dei momenti più difficili trascini nell’oblio tutto l’apprendimen-to esistenziale e concreto sca-turito e soprattutto per onorare il Tesoro che la mamma, nel totale percorso della sua vita, ha costruito anche per me e che mi sento impegnata a tra-smettere a mia volta ai miei figli.Ma vorrei anche tentare una riformulazione dell’interroga-tivo iniziale: “Alzheimer, solo paura e tragedia?”È indubbio che la demenza generi paure e che sfoci anche in umane tragedie.Tuttavia mi auguro di essere riuscita a proporre visuali che inducano a considerarne altri aspetti “dietro l’apparenza” e che la scoperta di nuovi sce-nari possa donare consolazio-ne e tenerezza, e una serenità più consapevole.

3 D. biGNardi, Non vi lascerò orfani, Mondadori, Milano, 2009.

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Corsi e Convegni

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Federazione Sarda Consultori Familiaridi ispirazione cristiana

PERSONA E FAMIGLIA:PERCORSI POSSIBILI

CONVEGNO REGIONALEDEI CONSULTORI FAMILIARIDI ISPIRAZIONE CRISTIANA

SABATO 26 SETTEMBRE 2009, ORE 9.30

CENTRO DI SPIRITUALITÀNOSTRA SIGNORA DEL RIMEDIO

SUORE GIUSEPPINE

ORISTANO, LOC. DONIGALA FENUGHEDU

Segreteria ConvegnoPrenotazioni per il pranzo, (Euro 20) e comunicazioni

c/o Dott. Antonio Cocco+39 339 61 45 77 6

[email protected]

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Schede bibliografiche

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V. IORI (a cura di)Il sapere dei sentimenti. Fenomenologia e senso dell'espe-rienza, Franco Angeli, Milano, 2009.

Chirone, centauro semidio, è immortale. È un grande sa-piente, ama le arti, è un ot-timo medico, è maestro di medici. Chirone viene ferito a un ginocchio, la ferita è gra-ve, dolorosa, non si rimargina, non guarisce. Chirone non può morire ma la sua sofferenza gli permette di comprendere il dolore degli uomini, di stare accanto a loro condividendone le pene. È un guaritore ferito e come tale può guardare alla sofferenza come qualcosa che lo riguarda, come esperienza possibile, come immagine ri-flessa delle proprie ferite. Chirone rappresenta la me-dicina umanizzata e umaniz-zante dove la componente relazionale ha un valore fon-damentale e prezioso, dove “curare” assume il significato del “prendersi cura”, dove sa-pienza è anzitutto consapevo-lezza dei propri limiti, dove lo sguardo non può che incon-trarne un altro e dialogare con lui attraverso i sentimenti più profondi. Il “Sapere dei sentimenti”, testo collettivo del gruppo di ricercatori a ispirazione feno-menologico-esistenziale cura-to da Vanna Iori, parte da qui. La fenomenologia è, innan-zitutto, uno sguardo. (…) Ci

sono sguardi che incontrano le esistenze altrui nell’indif-ferenza che non vede e ce ne sono altri che si lasciano in-terpellare da ciò che hanno in-contrato. È a partire da questa disponibilità d’animo, da que-sto aprirsi all’altro in una con-dizione di umiltà, accoglienza, comprensione e condivisione, da questo appassionarsi alla propria professione che i temi trattati, pur nella profondità e nel rigore teoretico, assumo-no i colori dell’esperienza e si sviluppano attraverso proposte che toccano a 360° il mondo del cinema, delle arti visive, della musica, della letteratura e della poesia. Nei saggi di Vanna Iori, Danie-le Bruzzone, Elisabetta Musi, Alessandra Augelli, Chiara Sità, la filosofia è sfondo inte-gratore che, attraverso la bel-lezza delle arti, fornisce senso e significato al lavoro sociale e di cura. Come le mani del pianista riescono, attraverso l’alternanza delle note, a cre-are sinfonie inimmaginabili, così l’utilizzo armonico delle arti consente l’ascolto e la co-noscenza delle proprie “sinfo-nie” emotive. Riconoscere e dare un nome alle emozioni, recuperandone una gramma-tica spesso sommersa dalla

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razionalità strumentale, per-mette agli operatori della cura non solo di legittimare la loro “esistenza ferita” (fisicamen-te, psicologicamente, social-mente,…) ma di trasformarla in risorsa per prendersi cura di sé, degli “altri”, delle orga-nizzazioni. Non si tratta di ce-dere al sentimentalismo ma di credere che l’intelligenza del cuore possa integrare e andare oltre la ragione fornendo va-lidi motivi per vivere il lavoro di cura nella consapevolezza e nella responsabilità di chi osa credere che valga la pena di sperare.

Attraverso il Sapere dei senti-menti, la conoscenza diventa sapienza perché è in grado di tingersi, attraverso il contatto quotidiano con la vita vissuta, di quelle sfumature che resti-tuiscono un senso all’espe-rienza professionale.Il testo, scritto con intelligente semplicità e, nello stesso tem-po, con sapiente rigore, è un ottimo strumento per chiun-que operi nelle professioni so-ciali, educative e di cura. È un testo collettivo e, se si può, è da utilizzare collettiva-mente.

Mariella Mentasti

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v. iori (a cura di)Quaderno della vita emotiva. Strumenti per il lavoro di cura, Franco Angeli, Milano, 2009

A pochi mesi di distanza dal primo libro – Il sapere dei sentimenti - della collana di Franco Angeli “Vita emotiva e formazione” diretta da Van-na Iori, esce questo secondo testo che si connota come strumento di lavoro per ope-ratori delle professioni sociali, educative e di cura ma anche per chi, nel ricco mondo del volontariato, desidera porre attenzione alle competenze emotive come chiave d’acces-so alla relazione d’aiuto.Già l’immagine riprodotta in copertina è elegante anticipo del libro: la figura affascinan-te e un po’ trasognata dello scrittore di fiabe, abile esplo-ratore e convertitore di emo-zioni in metafore, che scrive sotto il vigile occhio di un bambino, allo stesso tempo oggetto e soggetto ispiratore del suo lavoro. È, infatti, pro-prio la forza creativa del testo, unita a un rigore metodologi-co ed epistemologico, che lo rende strumento innovativo di formazione e autoformazione: una ricca cassetta degli at-trezzi che consente di affron-tare tutti i temi della feno-menologia - lo sguardo puro, l’empatia, la consapevolezza dei vissuti emotivi, il limite, la fragilità, la prossimità, l’espe-rienza come apprendimento,

l’intelligenza del cuore, il cor-po pensante – con la sensa-zione contemporanea di mas-sima libertà e attenta guida. Tutti gli esercizi proposti da Vanna Iori, Daniele Bruzzone, Elisabetta Musi, Alessandra Augelli e Isabella Casadio, of-frono, con indicazioni precise e motivate, la possibilità di spaziare nel mondo delle arti e, attraverso la loro mediazio-ne, di farsi aiutare a leggere e comprendere il nostro mondo relazionale in modo delicato ma profondamente toccan-te e coinvolgente. Riflettere sull’esperienza diventa così, man mano, un modus vivendi che consente la crescita uma-na e sapienziale personale e collettiva. L’indice dettagliato e corredato dall’ausilio di simboli grafici, l’impostazione chiara e meto-dica degli esercizi, corredati sempre dai riferimenti teorici essenziali, le indicazioni per l’approfondimento bibliografico al termine di ogni modulo e la ricca bibliografia finale fanno del testo uno strumento unico ed essenziale, un luogo in cui è possibile trasformare il sapere in sapore per gustare in situa-zioni conviviali nuove consape-volezze e nuove scoperte. Mariella Mentasti

Consultori Familiari Oggi

Organo di informazione e formazionedella Confederazione ItalianaConsultori Familiaridi Ispirazione Cristiana (ONLUS)

Autorizzazione del Tribunale di Roman. 432 del 2-10-1993

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Direzione - RedazioneLargo F. Vito, 1 00168 RomaTel. 06 30.17.820Fax 06 35.019.182e-mail: [email protected]. 70853007

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nenza, qualifica, numeri di telefono o di fax, indirizzo di posta elettronica.3. Criteri per la presentazione degli articoli: a) usare carattere Arial, corpo 12, interlinea 2, allineamento giustificato; b) usare il tasto enter (a capo) soltanto per i cambi di paragrafo; c) non usare comandi di sillabazione, stili o macro; d) non usare doppi spazi per allineare o far rientrare il testo; e) il titolo dell’articolo dovrà essere scritto in grassetto; f) usare i seguenti modi di subordinazione del testo: titolo grassetto tondo, titolo grassetto corsivo,

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prima dei segni di interpunzione, dopo una parentesi aperta e prima di una parentesi chiusa; i) nel citare i passi direttamente da un altro autore porre all’inizio e alla fine della citazione le vir-

golette “…” e, nel caso di omissioni all’interno di un brano, indicarle con […]; j) le citazioni in nota a piè di pagina vanno redatte secondo i seguenti criteri: - citazione da libri Iniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgola,

titolo del volume in corsivo seguito dalla virgola, casa editrice, luogo e anno di edizione, in tondo e separati da virgole, eventuale indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferimento (pp.) seguite dal numero.

Esempio: L. PATI, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, La Scuola, Brescia, 2004, pp. 36-37.

- citazione da riviste Iniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgola,

titolo del contributo in tondo e tra virgolette “…” seguito dalla virgola, in titolo della rivista per esteso in corsivo seguito dalla virgola, anno di pubblicazione seguito dalla virgola, numero della rivista in corsivo seguito dalla virgola, indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferimento (pp.) seguite dal numero.

Esempio: G. NOIA, “L’embrione: il figlio sconosciuto”, in Consultori Familiari Oggi, 2003, 2-3, pp. 27-41.

- citazione da volume collettaneo Iniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgola,

titolo del contributo in tondo e tra virgolette “…” seguito dalla virgola, in iniziale puntata del nome e cognome per esteso del curatore del volume in maiuscoletto seguito dall’indicazione (a cura di) e dalla virgola, titolo del volume in corsivo seguito dalla virgola, casa editrice, luogo e anno di edizione, in tondo e separati da virgole, eventuale indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferimento (pp.) seguita dal numero.

Esempio: A. SERRA, “Sessualità: natura e cultura”, in N. GALLI (a cura di), L’educazione sessuale nell’età evolutiva, Vita e Pensiero, Milano, 1994, pp. 23-66.

- in caso di opere già citate precedentemente indicare soltanto l’autore, il titolo del volume o del contributo e le pagine di riferimento.

Esempio: L. PATI, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, pp. 36-37.

Hanno collaborato

Anna Arfelli Professore ordinario di Psicologia dello sviluppo e Psicologia

dell’educazione - Università degli Studi di Macerata

Guido Banzatti Psicologo, psicoterapeuta, Consultorio “La Famiglia - Milano

Maria Boerci Ginecologa, Consultorio CAMEN - Milano

Raffaele Cananzi Presidente della Commissione giuridica della Confederazione

Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana

Michele Corsi Professore Ordinario di Pedagogia generale e sociale -

Università degli Studi di Macerata, Presidente della SIPED (Società Italiana di Pedagogia)

Roberta De Coppi Psicologa, psicoterapeuta, Consultorio La "Famiglia" - Milano

Daniela Levaro Belgrano Consulente familiare - Consultorio CIF - Genova

Mariella Mentasti Educatrice e Formatrice, Cooperativa La Rete - Brescia

Pietro Romeo Consulente ecclesiastico Federazione Calabra

Domenico Simeone Direttore editoriale della rivista “Consultori Familiari Oggi”

- Professore Associato di Pedagogia generale e sociale - Università degli Studi di Macerata

Chiara Sirignano Professore Associato di Pedagogia generale e sociale -

Università degli Studi di Macerata

Romolo Taddei Psicologo e psicoterapeuta, Direttore del Consultorio Familiare

d’Ispirazione Cristiana di Ragusa, fa parte dell’Istituto di “Gestalt Therapy H.C.C. Kairòs”

• Il Consultorio Familiare come presidio educativo del territorio

• Il dono della relazione. All’origine della vita psichica

• Il principio della bigenitorialità nella legge n. 54/2006: “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”

• Il segreto di stare bene insieme

• Un’esperienza di educazione sessuale agli adolescenti nelle scuole superiori milanesi

oggiConsultoriFamiliari

Organo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana

Numero 1-2 - 2009 - anno 17

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In copertina rielaborazione del dipinto "Ballo a Bougival" (1883) di Renoir, Museum of Fine Arts, Boston

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