Consiglio Nazionale dei Geologi · 2017-08-21 · FP Provo a farmi capire parlando dei dati...

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Consiglio Nazionale dei Geologi 19-20-21 agosto 2017

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Peduto - Geologi: ripristinare le province per migliore controllo idrogeologico del territorio del 19/08/2017

La lunga siccità dell'estate 2017 verrà ricordata per molti anni, ma si spera che gli effetti sul territorio non rendano indimenticabile anche l'autunno delle pioggie. Per fare il punto sulla situazione, Andrea Dari, Editore di INGENIO, ha intervistato il PRESIDENTE del CNG-Consiglio Nazionale dei Geologi, il dott. FRANCESCO PEDUTO

Andrea Dari (AD) Presidente, è sempre più emergenza acqua. D’estate lunghi periodi di siccità incidono sul territorio modificandone l’assetto, impermeabilizzando i terreni, mettendo in crisi interi comparti, a cominciare quello ortofrutticolo. In autunno violenti fenomeni meteorici provocano frane, smottamenti, alluvioni. Non trova che un piano idrogeologico nazionale dovrebbe essere tra le priorità del Paese?

Francesco Peduto (FP) Senza alcun dubbio. E se sul fronte del dissesto idrogeologico una strada è ormai stata intrapresa, con l’istituzione della Struttura di Missione “Italiasicura”, non è così per quanto riguarda la tutela e l’utilizzo delle risorse idriche, uno dei temi “scottanti” di questa estate a causa della siccità e della conseguente carenza idrica. A causa della siccità, secondo Coldiretti 2/3 dell’Italia e dei campi coltivati lungo la Penisola sono rimasti a secco e i danni, a fine luglio, superavano già i due miliardi di euro nel settore agricolo; diverse

regioni, inoltre, hanno chiesto lo stato di calamità naturale. Di fronte all’emergenza verificatasi, il Consiglio Nazionale dei Geologi è intervenuto in più occasioni, con comunicati stampa ed interviste radio-televisive, evidenziando l’importanza di mettere in campo azioni e percorsi virtuosi e la necessità di una pianificazione e programmazione dell’utilizzo della risorsa, ricordando il ruolo chiave e il contributo che i geologi, con i loro saperi e

le loro competenze, possono fornire in materia. Ricordo con rammarico, a tal proposito, che quando tutti parlavano solo di emergenza rifiuti nel 2011, il Consiglio Nazionale dei Geologi, con lungimiranza ma inascoltati dalle istituzioni e dal governo, lanciò un grido di allarme, organizzando un Convegno nazionale dal titolo “Fino all’ultima goccia”, preannunciando quella che sarebbe stata la vera emergenza del futuro che, purtroppo, è già realtà. AD Come ha ricordato, dopo le alluvioni di qualche anno fa il governo ha istituito la Struttura di missione contro il dissesto Idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche. L’obiettivo della Presidenza del Consiglio era quello di "voltar pagina e di accelerare gli interventi necessari e urgenti per pianificare l’opera pubblica nazionale di cui l’Italia ha bisogno, coordinando il gioco di squadra con tutti gli enti e le amministrazioni competenti a vario titolo e in tutti i territori, con una decisa azione di stimolo, supporto, monitoraggio, controllo.” Ebbene, Presidente, questo cambio di pagina c’è stato? E se sì con quali risultati?

FP Con “Italiasicura”, la Struttura di Missione sul dissesto idrogeologico, il governo ha voluto dare un segnale importante, che va nella direzione di mettere finalmente mano ai problemi legati alla difesa del suolo: per la prima volta l'Italia investe sulla protezione del territorio e sulla prevenzione anziché concentrarsi sull'intervento in fase di emergenza. Si realizza così quello che i geologi chiedevano da tempo, la categoria è stata coinvolta in questo percorso e abbiamo dato il nostro contributo. E si è anche tornati a finanziare la progettazione, per puntare su progetti di qualità. È stato indubbiamente un voltar pagina, ma è prematuro lasciarsi andare a facili entusiasmi per una serie di ragioni che qui provo a sintetizzare. Innanzitutto perché siamo all’inizio di un percorso virtuoso, Italiasicura è un progetto di ampio respiro, che si concretizza in un arco di tempo di almeno una decina di anni e che ha bisogno di gambe per camminare: è necessario cioè che qualcuno ci metta le risorse economiche, vedremo cosa vorrà fare in proposito il prossimo governo, considerato che l’attuale è ormai giunto alla fine del suo mandato. Italiasicura, però, è solo una parte delle cose da fare e per raggiungere l’obiettivo deve essere accompagnata da una serie di altre azioni parallele, integrate e sinergiche che solo insieme potranno determinare un vero salto di qualità nelle politiche di contrasto al dissesto idrogeologico. AD La messa del territorio è un problema serio, anche perché è un problema “glocale”: globale perché riguarda l’intero Paese, e non solo, ma soprattutto locale, per le problematiche sono spesso microterritoriali, nascoste nella storia dei territori. In questo contesto quale può essere il supporto del Geologo nella

pianificazione e programmazione degli interventi all’interno di ogni singolo comune. E la scomparsa delle province può essere un pericolo? si dovrebbe pensare a un nuovo organo vigilante ?

FP Provo a farmi capire parlando dei dati relativi alle frane che, secondo l’ultimo rapporto ISPRA, in Italia sono circa 530.000 fenomeni di dissesto (oltre il 70% di tutti i dissesti del continente europeo). Quando prima parlavo dell’importanza di accompagnare Italiasicura con altre azioni integrate e sinergiche, mi riferivo proprio a questo: alla globalità delle problematiche di dissesto idrogeologico e alla loro diffusione anche e soprattutto a scala micro territoriale. Ecco perché Italiasicura da sola non basta per raggiungere l’obiettivo di una reale messa in sicurezza del territorio italiano e per la salvaguardia della vita umana. Due problemi su tutti: la questione normativa, in quanto è ormai inderogabile l’esigenza di emanare una legge quadro sulla difesa del suolo svincolata dal testo unico ambientale e la necessità di prevedere interventi immateriali o “non strutturali” da affiancare agli interventi strutturali. L’eliminazione delle province, che sono scomparse “di fatto” anche in assenza della riforma costituzionale, è stata a mio avviso una delle più grandi mistificazioni della politica, che non ha determinato un reale risparmio di spesa per lo Stato e ha invertito il percorso virtuoso iniziato con i D.Lgs. 112/98 e 96/99 che tendevano a “smagrire” i due veri buchi neri dello Stato, ministeri e regioni. Inoltre ciò è avvenuto senza aver quantomeno ricostruito prima una filiera istituzionale delle competenze e delle responsabilità in relazione alle matrici ambientali nel loro insieme ed alle funzioni di sorveglianza, determinando problemi e disagi sul territorio, dovuti proprio all’allentamento dei controlli e delle verifiche con i cittadini che non sanno più a chi rivolgersi. Capisco di andare controcorrente, ma basterebbe rimettere le province in condizione di poter esercitare competenze e funzioni assegnate, visto che ci sono ancora. AD Spesso si sente parlare di nuove tecnologie per il monitoraggio delle aree estese. Negli Stati Uniti vi è un controllo satellitare delle aree più critiche. In Italia si fa qualcosa del genere?

FP Nel nostro Paese, a mio avviso, si fa ancora troppo poco in tal senso. In un prossimo convegno che terremo in Valtellina, considerato che quest’anno decorre il 30° anniversario di quella tragica alluvione che colpi quei territori, abbiamo invitato un nostro collega universitario che tratterà nel suo intervento proprio dell’importanza del controllo satellitare delle aree in dissesto idrogeologico più critiche. Il monitoraggio satellitare, comunque, è uno degli interventi “non strutturali” che i geologi da tempo propongono di attuare sul territorio, insieme ai monitoraggi strumentali e tecnico-specialistici. Tra questi ultimi, in particolare, va ricordato il presidio territoriale, già applicato con

successo in più occasioni in diverse regioni d’Italia, a partire dall’emergenza idrogeologica in Campania che nel 1998 ha colpito i comuni di Sarno, Siano, Bracigliano, Quindici e San Felice a Cancello. AD Presidente, una ultima domanda. La messa in sicurezza richiede conoscenza e pianificazione. Quale collaborazione tra geologi e geotecnici può essere funzionale per una messa in sicurezza del paese?

FP Premesso che la geotecnica è materia concorrente tra ingegneri e geologi, è ovvio che trattandosi di materie e competenze interdisciplinari ogni più ampia collaborazione tra ingegneri più in generale (in particolare quelli civili tra i quali rientrano gli ingegneri geotecnici) e geologi sarebbe oltre che auspicabile, necessaria per la buona riuscita di qualsiasi tipo di intervento e/o di pianificazione di azioni e interventi nel campo della difesa del suolo e della messa in sicurezza del territorio.

E tu che rischi corri ? ISTAT pubblica la Mappa dei Rischi dei Comuni Italiani del 20/08/2017

L'Istituto nazionale di statistica e Casa Italia, struttura di missione della Presidenza del Consiglio, rendono disponibile un quadro informativo integrato sui rischi naturali in Italia.

L'obiettivo è fornire variabili e indicatori di qualità, a livello comunale, che permettono una visione di insieme sui rischi di esposizione a terremoti, eruzioni vulcaniche, frane e alluvioni, attraverso l'integrazione di dati provenienti da varie fonti istituzionali, quali Istat, INGV, ISPRA, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Per ciascun Comune i dati sul rischio sismico, idrogeologico e vulcanico sono corredati da informazioni demografiche, abitative, territoriali e geografiche.

E’ quindi possibile scegliere un Comune e poter leggere i principali dati del suo territorio. Abbiamo scelto Rimini, e il Report dell’ISTAT ci informa che il Comune ha 135,71 kmq, ha una popolazione residente di 147.750 persone aggregate in 65 e 928 famiglie. Dal punto di vista del Rischio Sismico i Valori massimi e minimi dell’accelerazione massima del suolo son pari a 0,185 e 0,183. Il rischio vulcanico non è presente mentre 229 persone vivono in aree ad elevata pericolosità di frana e 33 a molto elevata. Per quanto riguarda il rischio di alluvione sono 94.049 i cittadini che vivono in sona ad elevata pericolosità idraulica. Sul report presenti anche dati inerenti gli edifici per uso residenziale: sono presenti 21.063 edifici, di cui il 49% a muratura portante e il 36,83% in calcestruzzo armato. Il 54% hanno più di 3 piani e il 75,61% costruiti prima del 1980. Questi ultimi dati testimoniano la vulnerabilità sismica del territorio riminese, con un tessuto immobiliare vetusto. Eppure l’83% degli immobili sono di proprietà, quindi si potrebbero attuare politiche di riqualificazione importanti. Sul territorio comunale sono presenti 363 beni culturali riconosciuti dal MIBACT. Infine alcuni dati anagrafici sulla popolazione, come l’indice di vecchiaia.

Si tratta di una fotografia utile che è possibile avere per ogni comune italiano, anche nel formato metadati.

Ecco il LINK per accedere all'area dell'ISTAT dedicata ai Report: http://www.istat.it/it/mappa-rischi/indicatori

TERREMOTO E MACERIE: sgombrate solo il 10%, troppa burocrazia ? del 20/08/2017

A un anno dal terremoto che ha sconvolto la zona del Centro Italia sulla dorsale appenninica sono ancora molti i problemi da risolvere, a cominciare dallo smaltimento degli oltre sei milioni di tonnellate di macerie che occupano le zone terremotate e bloccano i comuni marchigiani del cratere.

A lanciare la denuncia Confindustria Centro Adriatico: “Si tratta di un’area dove si concentrano le maggiori criticità delle Marche – spiega Simone Mariani, presidente di Confindustria Centro Adriatico -, acuite, come se non bastasse, dagli ultimi effetti devastanti del terremoto”. E il presidente della camera di commercio ascolana, Gino Sabatini prosegue: “le scosse hanno fatto terra bruciata intorno a migliaia di piccole aziende, soprattutto del commercio, del piccolo artigianato e dell’agricoltura, che chiedono di tornare a operare velocemente”.

Secondo una stima della Regione Marche, tra gli 87 comuni marchigiani del cratere, ci sono 1,1 milioni di tonnellate di macerie relative alle sole opere pubbliche (il 60% nel maceratese), più altre 5 milioni di tonnellate degli edifici privati; finora, però, ne sono state rimosse solo circa il 10%.

Nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli, le più colpite dalla scossa del 30 ottobre (6.5 gradi, la più forte degli ultimi 37 anni), si procede lentamente, molto lentamente: ci sono voluti cinque mesi e sette autorizzazioni perché la Conferenza dei servizi autorizzasse la ditta Htr a portare macerie nel sito di stoccaggio di Arquata. Htr vince l'appalto a novembre, i camion si sono mossi ad aprile. Accanto a questa lavorano due aziende pubbliche che si occupano di rifiuti: Cosmari nel Maceratese e Picenambiente nell'Ascolano. È una precisa scelta del governo, che ha equiparato le macerie a "rifiuti urbani non pericolosi", dunque scommettendo sugli operatori che normalmente si occupano della spazzatura. Prezzo medio: 50 euro a tonnellata. Giuseppe Giampaoli, direttore della Cosmari, nonostante tutto è ottimista. "Entro il 2018 ce la faremo". Al momento nelle Marche viaggiano a un ritmo di 1.200 tonnellate al giorno: a spanne serviranno non meno di due anni e mezzo. "Ma a regime raggiungeremo le 2.000 tonnellate ", promettono dalla Regione. "Il nostro territorio è a forte rischio idrogeologico, motivo per cui si è faticato a individuare aree idonee dove mettere casette e macerie".

Ora è stato costituito un apposito Task Group del genio dell’Esercito, in concorso al Dipartimento della Protezione Civile. Il primo nucleo di circa 100 militari attivo dal 10 agosto ad Arquata del Tronto. Gli specialisti delle Forze Armate provvederanno alle demolizioni e al trasporto delle macerie verso l’area di stoccaggio individuata nel territorio del Comune di Monteprandone, nell’Ascolano. In seguito a seconda delle richieste il Task Group metterà a disposizione fino a 300 militari e 190 mezzi. Per il Terremoto dell’Aquila il Commissario Delegato per la Ricostruzioni aveva istituito il “sistema rimozione macerie”. Era il sistema con cui veniva monitorata la rimozione delle macerie dai comuni facenti parte del cratere sismico a seguito del sisma dell'aprile 2009. Attraverso il sito internet del Commissario era poi possibile consultare e scaricare i dati, in formato aperto (csv) ed aggiornati in tempo reale, relativi all'andamento della rimozione delle macerie, siano esse pubbliche o private. Questa soluzione purtroppo per il sisma 2016 non è stata attuata. Fonti: La Repubblica Il Sole 24 Ore Corriere della sera Commissario Straordinario 2009 Commissario Straordinario 2016

Infrastrutture: 10 miliardi di Gap all'anno per l'Italia del 20/08/2017

Negli USA era stato uno dei cavalli di battaglia di Donald Trump: un grande piano per le infrastrutture. Piano di cui ancora non si sa nulla, così le costruzioni crescono meno del previsto e il settore soffre, compreso le aziende italiane che basano una parte importante del loro business negli USA (p.e. SALINI IMPREGILO e BUZZI UNICEM).

Ma se gli USA soffrono di promesse ancora non mantenute, l’Italia soffre e basta: si stima come nel nostro Paese a causa di una carenza in infrastrutture e strutture logistiche si perdano circa 2 punti di PIL, quindi circa 37 miliardi di dollari.

Qual’è dunque la situazione a livello internazionale dello stato delle infrastrutture, in quali Paesi si investe di più e quali sono quelli che pagano un conto più alto? molte di queste informazioni sono contenute nel Global Infrastructure Outlook, che riguarda 50 nazioni e 7 settori industriali.

Il rapporto stima la necessità mondiale di investimenti in infrastrutture in 97mila miliardi di dollari da qui al 2040, a cui si aggiungono 3,5 miliardi per il piano ONU su acqua ed energia elettrica. Ma la tendenza attuale agli investimenti è molto più bassa. Nello stesso periodo il rapporto prevede investimenti per 79mila miliardi.

Una necessità di investimenti sostenuta dalla crescita di popolazione, che dovrebbe toccare i due miliardi per lo stesso periodo, e da un più 46% della popolazione urbana.

In Italia il report evidenzia una spesa prevista di 1.200 miliardi di dollari, contro una necessità di 1.600 miliardi, con un gap di 373 miliardi di dollari. Diviso 20 anni, si parla di 18 miliardi, la metà di quanto ci costa la carenza infrastrutturale.

Nel 2017 sono stati previsti 12 miliardi per infrastrutture sull’energia, 8,2 miliardi per Telecomunicazioni, 472 milioni per trasporto aereo, 1,3 miliardi per i porti, 9 miliardi in ferrovie, 11 miliardi in strade e 3,1 miliardi per il settore idrico. Guardando alle esigenze i gap maggiori li abbiamo su energia (meno 1 miliardo), trasporto aereo (meno 400 milioni), porti (meno 2 miliardi) e ferrovie (meno 7 miliardi).

Sul 2040 sono sempre porti e ferrovie a marcare il Gap più alto (10 miliardi solo le ferrovie). Al di là del peso delle lobby industriali e politiche appare chiaro che la carenza di infrastrutture la si abbia su porti e ferrovie, quindi su logistica e trasporto organizzato. Se si fa un confronto con le due corazzate vicine, Germania e Francia, è possibile vedere come queste stiano investendo decisamente di più: Germania 53 miliardi di dollari nel 2017, Francia 63 miliardi e soprattutto in linea con il Gap: la Francia ha un GAP di 250 milioni, la Germania di 20 milioni (l’Italia di 10 miliardi).E anche rispetto alla Spagna (- 1,4 miliardi) il GAP è molto diverso, anche se in questo momento investiamo di più.

LINK al Rapporto

ANSA.itSisma&Ricostruzione

21 agosto 2017 02:58 - NEWS

Chiese e arte, con cento milioni parte la ricostruzioneA giorni il piano, si comincia da S.Benedetto e monumenti icona

- Silvia Lamber tucci -

Foto di Massimo Percossi

Quasi mille interventi di messa in sicurezza completati, oltre 17.000 beni artistici o archeologici recuperati, 4.513 metri lineari di archivi e 9.743volumi salvati dalle macerie. Con più di 600 tecnici al lavoro, 80 dei quali sul campo in questi giorni ferragostani. Ad un anno dal primo deiterremoti che da agosto ad ottobre hanno sconvolto il centro Italia sbriciolando i centri storici, devastando le chiese, massacrando campanili eaffreschi, madonne e pale d'altare, arriva un primo bilancio delle operazioni di salvataggio sul patrimonio artistico. Con i numeri, importanti, diquello che si è messo in salvo e che si potrà in qualche modo recuperare. E l'annuncio della partenza, a giorni, di un piano di restauro da oltrecento milioni di euro. Risorse che verranno concentrate all'inizio sui monumenti icona, anticipa all'ANSA il segretario generale del MibactAntonella Pasqua Recchia, dalla Cattedrale di San Benedetto a Norcia, alle chiese simbolo di Amatrice San Francesco e Sant'Agostino, dallaCattedrale di Camerino alla Collegiata di San Genesio a Macerata e il Santuario di Macereto a Visso.

Certo, la mole di lavoro da affrontare è enorme. E le polemiche hanno accompagnato fin dal primo momento la gestione dell'emergenza. "Subitodopo il 24 agosto non solo non si sono puntellati i monumenti, ma non si è portato via il patrimonio mobile", accusava ai primi di novembre lostorico dell'arte Tomaso Montanari. Pasqua Recchia allarga le braccia: "Da quel 24 di agosto non ci siamo fermati un momento", assicura,"bisogna tenere conto che questo terremoto è stato particolarmente distruttivo, con interi centri storici cancellati o pesantemente danneggiati, unadevastazione senza precedenti". Numeri alla mano, i territori dove l'arte è stata più colpita sono le Marche, da dove "continuano ad arrivaresegnalazioni", fa notare il numero uno amministrativo del ministero guidato da Franceschini.

Ad oggi i beni culturali danneggiati nella regione che ha dato i natali a Giacomo Leopardi, sono 2456, il doppio rispetto all'Umbria (1150), che èseguita da Abruzzo (742) e Lazio (473). Il Mibact, ricorda Recchia, è chiamato ad occuparsi in particolare dei beni ecclesiastici (che del resto sonola maggioranza, basti pensare alle 100 chiese di Amatrice) perché dei tesori d'arte pubblici si occuperanno i singoli comuni, sempre con lasupervisione della soprintendenza. Entro l'estate si conta di chiudere il capitolo delle verifiche (ne restano circa 200) e intanto si punta acompletare le opere di messa in sicurezza e il consolidamento degli affreschi prima che arrivi un nuovo inverno, nonché a mettere in salvo gliorgani delle chiese, per i quali è stata approntata una squadra di specialisti. Tant'è, con il piano dal cento milioni entra nel vivo l'operazione restauriper le chiese più importanti. Anche qui tempi lunghi: "Si parte con i bandi per le progettazioni, poi ci saranno quelli per l'affidamento dei lavori -avverte Recchia - sono operazioni impegnative e costose che vanno fatte per bene". Intanto è pronto l'elenco degli interventi definitivi, circa 200,per i lavori sotto i 300 mila euro. Quadri, arredi, sculture e crocifissi sono invece al riparo nei depositi, dove via via verranno restaurati per esserealla fine riportati nei comuni d'origine. Urgente la messa in salvo degli affreschi, come a San Francesco ad Amatrice.

Un lavoro enorme si sta facendo per esempio a San Salvatore in Campi, vicino a Norcia, parzialmente crollata insieme alle sue pitture: qui,racconta Recchia, è stata completata una copertura provvisoria e si stanno rimuovendo le macerie da terra, recuperando - come fu fatto ad Assisi -ogni piccolo frammento dipinto a disposizione dei tecnici Icr che hanno montato il loro laboratorio accanto alla chiesa. Alla fine, come fu per ilGiotto di Assisi, anche questi affreschi, assicura, verranno ricostruiti. E pazienza se ricostruire tutto "dov'era e com'era", come promiseFranceschini all'indomani del primo terremoto, non sarà in molti casi possibile. "La nostra indicazione - conclude Recchia - rimane quella direcuperare almeno l'impianto urbano dei centri storici e di restituire alla popolazione i tesori della loro cultura. Da parte nostra faremo tutto ilpossibile".

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21/8/2017 Terre e rocce, addio nulla osta preventivo, sì all'autocertificazione: in vigore da domani

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21 Ago 2017

Terre e rocce, addio nulla osta preventivo, sìall'autocertificazione: in vigore da domaniPaola Ficco

Eliminate le autorizzazioni preventive per le terre e rocce da scavo. Da domani (22 agosto 2017)entra in vigore il Dpr 120/2017che per l’utilizzo di questi materiali si basa su un modello dicontrollo ex post, con l’autocertificazione e il rafforzamento del sistema dei controlli. Il decreto(che attua la delega contenuta nell’articolo 8 del Dl 133/2014) è stato pubblicato sulla «GazzettaUfficiale» del 7 agosto scorso ed entra in vigore il 22 agosto: di fatto è un testo unico integrato,autosufficiente.

IL GRAFICO / Le condizioni

Il testo presenta disposizioni comuni a tutti i cantieri e norme specifiche per quelli grandi equelli piccoli.

Le norme comuniUna particolare menzione merita l’amianto: l’articolo 4, comma 4, stabilisce che per l’utilizzo diterre e rocce quali sottoprodotti si applica il parametro amianto previsto dal Dlgs 152/2006 perle bonifiche (1.000 mg/kg). Il parametro amianto è escluso dal test di cessione.

La stessa norma definisce le condizioni da soddisfare affinché terre e rocce siano consideratesottoprodotti e non rifiuti. Ad esempio il loro utilizzo deve essere conforme alle disposizioni delpiano di utilizzo di cui all’articolo 9 o della dichiarazione di cui all’articolo 21.

Se terre e rocce contengono materiali di riporto, la componente di materiali di origine antropicaframmisti a quelli di origine naturale non può superare il 20% in peso.

Il deposito intermedio non costituisce utilizzo e non può superare la durata del piano di utilizzo;può essere effettuato nel sito di produzione, in quello di destino o in altro sito purché sianorispettati i requisiti previsti dall’articolo 5.

Decorsa la durata del deposito intermedi o, terre e rocce smettono di essere sottoprodotti etornano rifiuti.

Il trasporto fuori sito delle terre classificate come sottoprodotti va accompagnato da unaspecifica documentazione (allegato 7) e scompare la notifica preventiva all’autorità competenteper ciascun trasporto.

La dichiarazione di avvenuto utilizzo attesta all’autorità competente l’impiego delle terre e roccein conformità al piano previsto per i grandi cantieri (articolo 9) o alla dichiarazione prevista per ipiccoli cantieri (articolo 21).

Si tratta di un’autocertificazione redatta dal produttore o dall’esecutore, usando l’allegato 8 etrasmessa anche all’Arpa. Va resa entro il termine di validità del piano e della dichiarazione. Indifetto, terre e rocce da sottoprodotti si trasformano in rifiuti.

21/8/2017 Terre e rocce, addio nulla osta preventivo, sì all'autocertificazione: in vigore da domani

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Le differenzePer i grandi cantieri, il proponente o l’esecutore, in caso di modifica sostanziale dei requisitirelativi ai sottoprodotti e indicati nel piano di utilizzo, possono aggiornare il piano etrasmetterlo telematicamente all’Arpa con adeguata motivazione. Le integrazioni possonoessere richieste solo entro 30 giorni, decorsi i quali la documentazione si intende completa.

Sul fronte dei piccoli cantieri, si riprende la sostanza dell’articolo 41-bis, Dl 69/2013 sull’usocome sottoprodotti di terre e rocce destinate a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimentio altri usi sul suolo. A tal fine, il produttore deve dimostrare il non superamento dei valori delleCsc (concentrazioni soglie di contaminazione) previsti per le bonifiche e i materiali noncostituiscono fonte diretta o indiretta di contaminazione per le acque sotterranee. I requisitisono attestati da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che assolve la funzione delpiano di utilizzo. Il termine di utilizzo può essere prorogato, motivandolo, una sola volta e persei mesi.

IL GRAFICO / Le condizioni

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21/8/2017 Terre e rocce/2. Per il deposito temporaneo dei materiali il tetto annuale sale a 4mila metri cubi

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21 Ago 2017

Terre e rocce/2. Per il deposito temporaneodei materiali il tetto annuale sale a 4milametri cubiPaola Ficco

Il Dpr 120/2017disciplina anche il deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo che restanorifiuti e detta le condizioni per riutilizzare nello stesso sito quelle che, invece, rifiuti non sono.

L’articolo 23 è dedicato alla disciplina del deposito temporaneo di terre e rocce di cui ai Codicieuropei 170504 e 170503, il quale si effettua nel rispetto delle condizioni tipiche previste pertutti i rifiuti. Tuttavia, è stato notevolmente innalzato il quantitativo in presenza del quale si puòoptare per la rimozione annuale: 4mila metri cubi, di cui non oltre 800 di rifiuti pericolosi.

Per l’utilizzo in situ di terre e rocce che - ai sensi dell’articolo 185, comma 1, lettera c), Dlgs152/2006 - non sono rifiuti e che, quindi, neanche possono diventare sottoprodotti, l’articolo 24dispone che la non contaminazione è verificata in base alle procedure dell’allegato 4 al Dpr. Incaso di presenza naturale di amianto oltre i 1.000 mg/kg il reimpiego in situ avviene sottodiretto controllo delle autorità competenti e il produttore presenta all’Arpa e all’aziendasanitaria il progetto di riutilizzo.

Se l’opera è sottoposta a Via, la sussistenza delle condizioni è effettuata mediante lapresentazione di un «Piano preliminare di utilizzo in sito delle terre e rocce da scavo esclusedalla disciplina dei rifiuti».

Per gli scavi di terre e rocce nei siti oggetto di bonifica (articolo 242, Dlgs 152/2006) vaanalizzato un numero significativo di campioni di suolo insaturo prelevati da stazioni di misurarappresentantive dell’estensione dell’opera e del quadro ambientale conoscitivo. L’Arpa sipronuncia entro trenta giorni dalla richiesta del proponente il quale trenta giorni primadell’avvio dei lavori, trasmette il piano operativo degli interventi.

L’utilizzo in situ di terre e rocce prodotte all’interno di un sito di bonifica è sempre consentitopurché sia garantita la conformità alle Csc (concentrazione sostanze contaminanti) per laspecifica destinazione d’uso o ai valori di fondo naturale. Se l’utilizzo è inserito in un progetto dibonifica approvato, si applica la procedura di cui all’articolo 242, comma 7, Dlgs 152/2006. Leterre e rocce da scavo non conformi alle Csc o ai valori di fondo, ma inferiori alle Csr(concentrazioni soglia di rischio), possono essere utilizzate nello stesso sito nel rispetto dellecondizioni previste dall’articolo 26, comma 2, del nuovo testo.

I piani di utilizzo già approvati prima dell’entrata in vigore del nuovo testo rimangonodisciplinati dalla normativa previgente, che si applica anche a tutte le modifiche e agliaggiornamenti dei suddetti piani intervenuti successivamente all’entrata in vigore del nuovoDpr (22 agosto 2017).

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Tuttavia, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del Dpr 120, possono essere presentati ilpiano di utilizzo di cui all’articolo 9 o la dichiarazione per i piccoli cantieri per chiederel’applicazione delle disposizioni del nuovo regolamento. Conservano validità le autorizzazioniall’utilizzo in situ di terre e rocce rilasciate in approvazione dei progetti di bonifica di cuiall’articolo 242, Dlgs 152/2006.

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21/8/2017 Appalti, il Consiglio di Stato estende il concetto di «conflitto di interesse»

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21 Ago 2017

Appalti, il Consiglio di Stato estende ilconcetto di «conflitto di interesse»Roberto Mangani

La nozione di conflitto di interesse introdotta dall'articolo 42 del D.lgs. 50/2016va interpreta nelsenso che tale conflitto si verifica qualora ne siano portatori non solo il "personale" dipendentedella stazione appaltante o di un prestatore di servizi che abbia collaborato con quest'ultimanello svolgimento della procedura di gara, ma anche soggetti che, pur non essendo inquadrabilinella categoria del "personale dipendente", abbiano comunque la possibilità di influire suiprocessi decisionali della medesima stazione appaltante.

Inoltre, affinchè sia configurabile il conflitto di interessi, non è necessario che sia in concretoprovato che lo stesso abbia dato luogo a un'alterazione delle corrette dinamiche concorrenziali,essendo sufficiente una situazione di contrasto o di incompatibilità anche solo potenziale tra undeterminato soggetto e la funzione che gli è attribuita. Conseguentemente, sussistendo appunto una situazione di conflitto di interessi, va escluso dallaprocedura di gara il concorrente che abbia legami personali o societari con altro soggetto che, asupporto della stazione appaltante, ha partecipato alla predisposizione della documentazione digara.

Sono questi i principi sanciti da una pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, 11 luglio 2017, n.3415, che riveste particolare rilievo in quanto offre una delle prime interpretazioni della nuovadisposizione sul conflitto di interesse introdotta dal D.lgs. 50/2016. Il fatto. Una stazione appaltante aveva bandito una gara per l'affidamento, con il criterio diaggiudicazione del prezzo più basso, dell'appalto dei servizi assicurativi. A fronte dell'intervenuta aggiudicazione, il concorrente secondo classificato presentava ricorsodavanti al giudice amministrativo, sostenendo che l'aggiudicataria doveva in realtà essereesclusa dalla gara in quanto tra quest'ultima e il consulente che aveva assistito l'ente appaltanteai fini della predisposizione della documentazione di gara vi erano legami personali e societaritali da configurare una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell'articolo 42 del D.lgs.50/2016. La tesi del ricorrente veniva condivisa dal TAR Abruzzo che conseguentemente, in applicazionedella previsione contenuta all'articolo 80, comma 5, lettera d) procedeva all'esclusione delconcorrente e al relativo annullamento dell'aggiudicazione intervenuta a suo favore. Il Consiglio di Stato: l'articolo 42 del D.lgs. 50. Contro la sentenza di primo grado ha presentatoricorso l'originaria aggiudicataria, contestando sotto molteplici profili la decisione assunta dalTAR Abruzzo. La prima obiezione mossa dal ricorrente è che l'interpretazione dell'articolo 42 del D.lgs. 50accolta dal giudice di primo grado non è conforme al dato normativo. La formulazione di talearticolo, infatti, focalizza la situazione di conflitto di interesse in capo al "personale" dellastazione appaltante o di un prestatore di servizi che ha collaborato con la prima nello

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svolgimento della procedura di gara. Il riferimento al "personale", secondo la tesi del ricorrente, va inteso come relativo al solo"personale dipendente", cioè a quei soggetti che, essendo legati da un rapporto di lavorodipendente con la stazione appaltante o con il prestatore di servizi, sono coloro cheintervengono materialmente nella redazione degli atti di gara. Non può quindi essere accolta la tesi fatta propria dalla sentenza impugnata che ha ritenuto chela nozione di personale includa anche i componenti dell'organo amministrativo del soggettopotenzialmente portatore di una situazione di conflitto di interesse. Il Consiglio di Stato ha respinto questa censura del ricorrente, confermando quindil'interpretazione del giudice di primo grado. Il giudice d'appello ricorda infatti come il comma 2dell'articolo 42 identifica il conflitto di interesse come la situazione in cui "il personale di unastazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante,interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti o delle concessionio può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, uninteresse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come unaminaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o diconcessione". L'espressione "personale" utilizzata dalla norma non può essere riferita solo ai dipendenti insenso stretto – cioè ai lavoratori subordinati – ma deve essere estesa a tutti coloro che, in base aun valido titolo giuridico, sono legittimati a impegnare il soggetto di cui sono espressione ocomunque rivestono un ruolo tale da poter influenzare l'attività dello stesso. L'opposta interpretazione più restrittiva porterebbe infatti ad escludere dall'ambito diapplicazione della norma proprio quei soggetti – come ad esempio i membri dell'organo diamministrazione - che più di altri – e sicuramente più dei dipendenti – sono in grado dicondizionare l'operato degli enti cui sono riconducibili. Conclusione paradossale, perché ilconflitto di interessi verrebbe ad essere escluso proprio per gli organi direttivi del soggetto chene sarebbe portatore, con un evidente indebolimento della funzione di prevenzione per la qualela norma è stata dettata. Sotto questo profilo, il caso di specie appare emblematico. Infatti, tra il prestatore di servizi cheha supportato la stazione appaltante nella definizione della documentazione di gara e il soggettorisultato aggiudicatario vi erano degli evidenti e non contestati legami sia a livello personale chesocietario idonei a creare uno stretto collegamento tra i due soggetti. E questo collegamento,operando attraverso soggetti che ricoprivano ruoli di direzione e controllo nei rispettiviorganismi decisionali, era idoneo a configurare una situazione di conflitto di interessi. Ed è appunto in questo senso che il riferimento al "personale" contenuto nel comma 2dell'articolo 42 non può che essere inteso in senso ampio, comprensivo quindi di tutti queisoggetti che ricoprono ruoli idonei a influenzare le decisioni del soggetto di cui sonoespressione. Il conflitto di interessi come situazione potenziale. In sede di appello è stata sollevata da partedella stazione appaltante anche una seconda questione, sempre volta a censurare la decisionedel giudice di primo grado. Secondo la stazione appaltante il Tar non avrebbe operato la necessaria verifica fattuale inmerito all'effettiva sussistenza, nel caso di specie, di una situazione di conflitto di interessi.Infatti, il prestatore di servizi che ha collaborato con l'ente appaltante nella predisposizione delladocumentazione di gara avrebbe avuto un ruolo marginale, che si è concretizzato nella merarevisione formale di tale documentazione. Inoltre, il criterio di aggiudicazione utilizzato – il prezzo più basso – non implicava alcun tipo divalutazione qualitativa delle offerte, cosicché anche sotto questo profilo non vi era alcuno spazioidoneo ad alterare le ordinarie dinamiche concorrenziali. Anche questa censura è stata respinta dal Consiglio di Stato. Il giudice di secondo grado hainfatti richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale che, pur formatosi nella

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vigenza del precedente regime normativo che non conteneva una norma specifica sul conflittodi interessi, ha fissato alcuni principi che mantengono la loro validità anche nell'attuale sistema.Il principio fondamentale è che la situazione di conflitto di interessi sussiste ogniqualvolta vi siauna situazione di contrasto e di incompatibilità anche solo potenziale tra un soggetto e lefunzioni che allo stesso vengono attribuite. Non è quindi necessario che il conflitto si manifesticoncretamente, essendo sufficiente anche la sola possibilità – per quanto eventuale – che lasituazione in cui versa un determinato soggetto sia di per sé portatrice di un conflitto o di unaincompatibilità. Questo principio trova il suo fondamento nella circostanza che le regole sull'incompatibilitàsono dettate dall'esigenza di salvaguardare in via astratta il prestigio della pubblicaamministrazione, indipendentemente dal fatto che la situazione di incompatibilità abbia inconcreto dato luogo a conseguenze illegittime. In questa logica nelle procedure di gara il conflitto di interessi si configura anche in termini solopotenziali, laddove il funzionario pubblico che assolve a una funzione strumentale allosvolgimento della procedura medesima (responsabile del procedimento o altro soggetto cheabbia contribuito ad adottare i relativi atti) è portatore di un interesse riconducibile alla suasfera privata che sia di per sé idoneo a influire negativamente sull'esercizio imparziale delle suefunzioni. In questo senso la situazione di conflitto di interessi si basa su una incompatibilità anche solopotenziale, cosicchè la sua ricorrenza va valutata in termini astratti, a prescindere cioè dallacircostanza che tale situazione abbia prodotto in concreto un risultato illegittimo. Il "nuovo" conflitto di interessi dell'articolo 42 del D.lgs. 50/2016. Come ricordato anche dallapronuncia del Consiglio di Stato il "conflitto di interessi" come situazione idonea ad alterare leregole concorrenziali aveva un suo rilievo anche nel precedente assetto normativo dei contrattipubblici. La novità è che con il D.lgs. 50/2016 è stata introdotta una disciplina specifica – contenutaappunto nell'articolo 42 – del conflitto di interessi, che riproduce sostanzialmente unaprevisione della Direttiva UE 24/2014. In sostanza, in luogo dell'applicazione di principi generali, viene introdotta una norma specificache disciplina il fenomeno, con effetti più cogenti e puntuali. Inoltre, la situazione di conflitto diinteressi nei termini delineati dall'articolo 42 costituisce – per espressa previsione legislativa(articolo 80, comma 5, lettera d) – causa di esclusione dalla gara per l'operatore che ne siaportatore. Si tratta quindi di un evidente rafforzamento degli strumenti normativi volti a sanzionare il"conflitto di interessi" come fattispecie in grado di provocare distorsioni nello svolgimento dellagara alterando la par condicio tra i concorrenti.

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21/8/2017 Periferie/1. Causin: «Sicurezza e sviluppo per rilanciarle, serve un Piano Marshall»

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21 Ago 2017

Periferie/1. Causin: «Sicurezza e sviluppoper rilanciarle, serve un Piano Marshall»Alessandro Arona

(nella foto: Andrea Causin, presidente della Commissione speciale Periferie della Camera dei deputati)

«Serve un piano Marshall per le periferie italiane: ci vivono circa 20 milioni di persone (traperiferie delle grandi città e altre aree marginali) e lì si concentrano problemi come ladisoccupazione giovanile, le difficoltà di integrazione con gli immigrati, il degrado edilizio esociale, il controllo della criminalità e i relativi fenomeni dello spaccio, della prostituzione distrada, del racket delle case popolari. Dobbiamo farne una priorità nazionale». A sostenerlo in questa lunga intervista è Andrea Causin, presidente della Commissionespeciale di inchiesta della Camera sulle periferie, dopo un anno di lavoro a Montecitorio e connumerosi sopralluoghi e visite nelle periferie più degradate d'Italia.

«A novembre - spiega Causin - presenteremo una relazione sulla nostra attività di inchiesta e undocufilm (che stiamo facendo insieme alla Rai), ma presenteremo anche un pacchetto diproposte concrete. Dobbiamo ad esempio rendere stabile un programa statale annuale sulleperiferie, con ingenti risorse (il piano periferie del governo da 2,1 miliardi di finanziamenti èstata un'ottima iniziativa, ma non basta). Poi servono misure di defiscalizzazione e aiuti allestart up, scegliendo con l'accordo della Ue specifiche aree degradate dove sperimentarle; poimisure di sostegno alle associazioni che sul territorio aiutano l'inclusione sociale; programmi diformazione innovativi, tarati sugli specifici territori di riferimentoe sulla loro economia (attualee potenziale); e anche un ripensamento sulla depenalizzazione fatta in questi anni di alcuni reatiminori, reati come spaccio di piccole quantità di droga, occupazioni abusive o ubriachezzamolesta, che nella percezione collettiva contribuiscono molto al degrado del vivere comune edelle periferie».

«Siamo partiti dall'idea delle banlieue di Parigi e Bruxelles - spiega Causin - zone povere abitateda una sola etnia, enclave a forte rischio radicalizzazione, ma in Italia il problema principaledelle periferie non è questo, anche perché il rischio di radicalizzazione islamica è fortementeattenzionato dalle nostre forze dell'ordine». «I problemi principali - prosegue Causin - sonoinvece l'asfissiante controllo della criminalità organizzata al Sud su attività economiche e casepopolari, con preoccupanti fenomeni nuovi come la mafia nigeriana della prostituzione nel nordItalia o le bande di sudamericani a Milano. E poi la disoccupazione (specie giovanile) el'emarginazione sociale, la forte concentrazione di anziani soli, immigrati, famiglie a rischioemarginazione. Il problema casa, che è riesploso negli ultimi anni, e la sua gestione quasiovunque inefficiente e fallimentare e il peso che in esso hanno forme diverse di criminalitàorganizzata. I campi Rom. La mancanza di servizi, pubblici e privati». «Il Piano periferie del governo è stata un'ottima iniziativa - ribadisce Causin - ma ora serve

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molto di più, un vero "Piano Marshall", che non riguardi tutti i 120 capoluoghi ma solo leperiferie davvero più degradate, e che non premi i vecchi progetti tirati fuori dai cassetti, conl'obiettivo della "cantierabilità", ma spinga invece ad elaborare progetti più innovativi».

LA COMMISSIONE La Commissione monocamerale di inchiesta sulle periferie è stata costituita dalla Camera deideputati il 27 luglio 2016 con il compito di «verificare lo stato del degrado e disagio delle città edelle loro periferie, con particolare riguardo alle implicazioni socio-economiche e di sicurezza». L'oggetto della commissione - spiega la delibera istitutiva - è interdisciplinare: deve verificare lastruttura urbanistica delle periferie, lo stato delle infrastrutture e della mobilità; ma anche le forme di povertà, marginalità e di esclusione sociale; le realtà produttive, ladisoccupazione, il lavoro sommerso, l'esclusione dal processo produttivo; la situazione deiservizi; la sicurezza e la criminalità; la presenza di immigrati e i problemi di integrazione. Presidente della Commissione è Andrea Causin, 45 anni, prima consigliere Pd in RegioneVeneto, poi eletto con Scelta Civica nel 2013 alla Camera, passato poi in Ap di Angelino Alfano,infine (il 20 giugno scorso), confluito nel gruppo di Forza Italia. Vice-presidenti sono Roberto Morassut (Pd) e Laura Castelli (M5S). Da noi sentiti, tutti e tre confermano un buon clima di collaborazione in seno alla commissione(l'intervista a Morassute quella a Laura Castelli).

IL CONCETTO DI PERIFERIA Anche sulla scorta delle audizioni del presidente dell'Istat Giorgio Alleva e del capo della PoliziaFranco Gabrielli, Causin spiega che «le periferie non sono più in alcun modo identificabili solocome un luogo geografico, "lontano" dal centro città». Franco Gabrielli aveva spiegato che le trasformazioni urbane degli ultimi decenni hanno«cambiato anche la nozione di periferia, mettendo a nudo l'insufficienza dei criteri classici delladistanza dal centro e dell'esistenza di uno stato di marginalità sociale ed economica. Più diquesti fattori assumono oggi rilievo le condizioni della qualità urbana, misurata su parametriafferenti ai livelli di sicurezza, di fruibilità e di vivibilità e l'incidenza che su di essi possonoavere i fenomeni sia di degrado, quali la prostituzione da strada, sia criminali, quali lo spaccio disostanze stupefacenti. Il complesso di questi fattori sta all'origine delle dinamiche che portano lecomunità dei quartieri più in sofferenza a smarrire il senso di appartenenza alla città, intesacome luogo condiviso, dove si sviluppano organicamente i rapporti tra gruppi socialicaratterizzati da varietà di comportamenti e culture». Gabrielli ha aggiunto che in Italia nonsiamo ancora alle enclave monoetniche e monoculturali di Francia e Belgio, «ma ma ciò nontoglie che il rischio di una simile involuzione debba comunque essere preso in considerazione eche occorra adottare le misure necessarie affinché esso non si concretizzi». Il presidente dell'Istat Giorgio Alleva, ha invece spiegato come l'Istat, sulla base del censimentodel 2011 ma anche (ove disponibili) di dati successivi, ha mappato le aree urbane delle grandicittà sulla base di 8 gruppi di indicatori: 1) Territorio: indicatori di periferia sono la maggiore densità abitativa, la maggiore incidenza diedifici post-2005 (indice di espansione edilizia), il degrado edilizio (percentuale edificiresidenziali in mediocre o pessimo stato di conservazione) 2) Demografico: più alta incidenza di popolazione anziana, ma anche di ragazzi 0-14 anni; piùalta incidenza di stranieri. 3) Istruzione: indice di non completamento della scuola dell'obbligo; indice (basso) di adulti condiploma e laurea. 4) Economia/lavoro: più basso tasso di occupazione e più alto tasso di disoccupazione. 5) Vulnerabilità sociale: percentuale Neet (incidenza di giovani 15-29 anni fuori dal mercato dellavoro e della formazione); indicenza famiglie con potenziale disagio economico; tasso di alloggiimpropri; indicatore di vulnerabilità sociale e materiale.

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6) Valore immobiliare: stima del valore medio immobiliare. 7) Mobilità: indice di centralità (rapporto tra flussi pendolari in entrata e in uscita). 8) Servizi: bassa incidenza di addettiu ad attività creative e culoturali; pochi ospedali; pochi asilinido; offerta di servizi socio-educativi per l'infanzia rispetto alla domanda; indicatori dimancata affluenza scolastica, nei diversi ordini di scuole.

L'INTERVISTA A CAUSIN Partiamo da qui, presidente, cosa sono le periferie, in Italia? La periferie non sono un luogo geografico. Sono luoghi dove si concentrano le marginalità, ildegrado delle case e degli spazi pubblici, le marginalità sociali, la disoccupazione, la solitudinedegli anziani, la conflittualità dove più alta è l'incidenza degli immigrati, la scarsa qualità deiservizi, e soprattutto al Sud il controllo da parte della criminalità organizzata. Gestiscono loro, alposto delle istituzioni, alcune pratiche, come l'accesso alle case popolari, e dunque leoccupazioni abusive. Anche a Roma esistono fenomeni di questo tipo, purtroppo, mentre alNord abbiamo - parlando di criminalità organizzata - l'espansione della mafia nigeriana chegestisce la prostituzione.

Quanto pesa il tema sicurezza sulle periferie? L'audizione del prefetto Gabrielli ci ha informato di una sensibile diminuzione del numero direati "violenti" in Italia negli ultimi anni, e del fatto che non c'è una sensibile differenza tra areecentrali e periferie. Questo grazie all'azione efficacie delle forze dell'ordine e all'effettodeterrente dell'operazione Strade sicure. Tuttavia c'è anche un'"illusione statistica" dovuta alladepenalizzazione di una serie di reati minori, come lo spaccio di piccole quantità, le occupazioniabusive, ubriachezza molesta. Penso che la commissione proporrà un ripensamento su questedepenalizzazioni.

Quali sono dunque, in base al lavoro della Commissione, i problemi più gravi delle nostreperiferie? La debolezza economica è un tema chiave, lo spopolamento di attività economiche, piccoleattività commerciali o artigianali. Ed è un tema che si intreccia con quello della criminalitàorganizzata, perché al Sud il peso asfissiante delle mafie impedisce la crescita dell'economia,specie nelle periferie. A Bari San Paolo, ad esempio, ci sono 50mila abitanti e praticamentenessuna attività economica. Poi c'è il problema della marginalità sociale, ad esempio a Milano ci sono quartieri dove un altotasso di anziani soli si trova a convivere con famiglie di immigrati, con problemi di integrazionee di incomprensione culturale. In questo un importante ruolo lo svolgono le associazioni chefanno "mediazione" sociale e culturale, e che vanno aiutate. Il problema "campi Rom" è diffuso, non solo da noi ma in molti paesi europei. Ad esempioabbiamo verificato che spesso i campi Rom gestiscono un traffico di smaltimento illegale dirifiuti (da qui i roghi tossici), che ovviamente viene alimentato anche da imprese gestite daitaliani, in genere piccole attività edili o artigianali. La soluzione qui può essere solo un fortecontrollo sulla legalità, da parte delle forze dell'ordine e della polizia locale, e un forte lavoro diintegrazione sui bambini, a partire dalla scuola. In molti casi la situazione rischia di degenerare,le vittime di reati o comunque il quartiere che subisce il degrado ha paura di denunciare. Le periferie, lo spiegava il presidente dell'Istat, si definiscono poi in particolare per un alto tassodi disoccupazione, per un'alta percentuale di dispersione scolastica e di gioveni che nonstudiano e non lavorano (Neet). Per il degrado edilizio e la più grave presenza del problemacasa.

Come metterete a frutto, come commissione, questo lavoro di inchiesta? A novembre presenteremo la relazione conclusiva, alla presenza del capo dello Stato, e anche un

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docu-film a cui stiamo lavorando insieme alla Rai. Insieme alla relazione faremo delle proposte:per le periferie italiane serve un vero e proprio "Piano Marshall", fatto di sicurezza, sviluppo eprogrammi speciali da rendere stabili.

Partiamo dal Piano periferie del governo Renzi, ora in attuazione con Gentiloni. Come logiudica onorevole Causin? Sicuramente un'ottima iniziativa, ma il tema ora è come renderlo strutturale, e come migliorareil coordinamento dei vari piani e dei vari soggetti statali e locali che operano sulle aree urbane.Un programma integrato statale va confermato, senza dubbio, servirebbe un piano decennale,con un bando ogni anno per selezionare i progetti. Però credo che finanziare tutti i 120capoluoghi di provincia sia sbagliato: le risorse andrebbero concentrare nelle cittàmetropolitane, o sulle aree davvero più degradate dei centri minori, altrimenti si rischia didisperdere le risorse. Un altro difetto del Piano Periferie 2016-2017 è stato poi di premiare iprogetti "cantierabili", il che ha spinto a svuotare i cassetti con i progetti già pronti, che spessoerano solo liste di opere pubbliche. Sicuramente ci sono stati progetti interessanti, frutto diintegrazione tra interventi fisici e interventi sociali, con il coinvolgimento attivo di enti eassociazioni, ma comunque è stato sbagliato finanziare tutti.

Dunque secondo lei cosa dovrebbe essere maggiormente premiato? Va premiata la co-progettazione, cioè il coinvolgimento di soggetti locali, soprattuttoassociazioni ed enti no profit, solo alcuni dei 120 progetto finanziati lo hanno fatto. Poiandrebbe allargato il raggio d'azione rispetto alla sola parte infrastrutturale, che finora haprevalso. Ci siamo resi conto che le associazioni hanno spesso un ruolo chiave nell'inclusionesociale, delle famiglie disagiate, dei giovani disoccupati, degli immigrati. Andrebbero aiutate efinanziate in modo più deciso e continuo. Ci sono stati alcuni casi virtuosi, mi sento di citareTorino, Milano, Bari.

Il sindaco di Roma Virginia Raggi e la vice-presidente della Commissione Laura Castelli(M5S) pongono un problema di scarsità di risorse da parte dei Comuni, soprattutto le grandicittà, in proporzione alla mole dei problemi che devono affrontare, che ne pensa? Il tema risorse non va sottovalutato... Ma quando si chiedono più soldi poi va fatto un patto, tra iComuni e lo Stato: bisogna impegnarsi a garantire un certo standard nei servizi, sia in termini dicosti (standard) che di qualità. I Comuni forse hanno pochi soldi, ma vengono spesso spesi male.Troppa gestione diretta dei servizi, poco coordinamento. Le gare dovrebbero essere secondo meil criterio giusto per assegnare la gestione dei servizi.

Torniamo ai problemi delle periferie. Citava quello dei campi Rom... Sì. Abbiamo scoperto che spesso gestiscono un traffico illecito di riufiuti, alimentato da piccoleattività industriali e artigianali che possono così liberarsene a costi irrisori. Come se ne esce?Solo con un rigoroso controllo della legalità (come fanno in Germania), e dall'altra partelavorando con progetti specifici per inserire i bambini e i ragazzi nella scuola e nelle società.

L'altro tema che citava è quello della disoccupazione, specie giovanile. Bisogna lavorare di più su progetti di formazione, legati al territorio e all'autoimprenditorialità.Bisogna scommettere molto sulla micro-imprenditorialità. Sapendo però che in quasi tutte leperiferie del Sud tutte le attività commerciali e imprenditoriali sono a rischio taglieggio.Secondo noi non si fa ancora abbastanza, e in alcune realtà, come Palermo, c'è una certaaccettazione del fenomeno, pensando che i veri problemi con la Mafia siano altri. Ma anche laquasi totale assenza di attività economiche al San Paolo di Bari, una "città" di 50mila abitanti,viene in qualche modo accettata come un fatto ineluttabile.

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Cosa fare, dunque? Proporremo una de-fiscalizzazione delle periferie, scegliendo e ovviamente concordando con laUe un'applicazione selettiva ad alcune aree più degradate. Bisogna investire sullariqualificazione edilizia ma anche sul rilancio economico delle periferie. Ad esempio a Scampia,Napoli, c'è un progetto molto interessante: si demoliscono le "Vele", trasferendo gli abitanti sunuove palazzine. Ma come noto c'è un'umanità complessa, a forte disagio economico e sociale, ilpiano funzionerà solo se ci sarà anche l'integrazione sociale con il resto della città, e se si daràlavoro ai giovani. Al Sud, poi, bisogna investire sul turismo per dare lavoro ai giovani, settore che ha alta intensitàdi manodopera. Ma per far questo bisogna investire di più nella sicurezza del Sud, e favorireanche l'investimento di capitali esteri con la certezza dei tempi e delle procedure.

Il problema casa, spesso proprio nelle periferie esplode.... Sì, negli ultimi anni la domanda abitativa "sociale", delle fasce più deboli, è aumentata. A causadella crisi, e nonostante il calo demografico. I dati ufficiali sono quelli di Federcasa, 1,4 milioni diabitazioni sociali e 600mila famiglie aventi diritto. Il patromonio abitativo è però in generalegestito male, e se uno guarda i bilanci degli enti sono quasi sempre fallimentari. Ma non è fallitasolo la gestione economica, è fallito proprio il modello di gestione. Non solo per incapacità, maanche per problemi normativi. Quando si accetta che in una città come Roma ci siano 8.000alloggi occupati abusivamente, su circa 45mila occupanti regolari, c'è qualcosa che non va. Nonparliamo della Sicilia, poi... a Palermo non ci sono praticamente occupanti regolari. Con alloggiin gran parte gestite dalla criminalità. Che poi non vuol dire che quelle famiglie non siano incondizioni di bisogno, ma vuol dire che il criterio di ingresso in quegli immobili non lo dà loStato ma l'organizzazione criminale. Anche a Roma, d'altra parte, ci sono organizzazioni chegestiscono gli ingressi. La Mafia abbiamo stabilito che non esiste a Roma, ma ci sono micro-organizzazioni criminali di quartiere che gestiscono l'accesso alle case popolari e le occupazioni.Andammo a San Basilio dopo la vicenda di quella famiglia marocchina respinta dagli abitanti delpalazzo; si parlò di fenomeno razzista, ma il parroco ci spiegò che non era affatto così: il puntoera che secondo il capo palazzina quella famiglia non doveva entrare. L'aveva stabilito ilComune che doveva entrare, e ammettere che a decidere fosse il Comune avrebbe voluto diresovvertire una dinamica di potere e anche di micro-economia, perché poi sono i capi-palazzina,piuttosto che il Comune o l'Aler, a incassare gli affitti. E perché spesso nelle palazzine di casepopolari ci sono centrali dello spaccio.

Le forze dell'ordine si sono arrese, non solo a Roma, in generale? Nooo, le forze dell'ordine stanno facendo un buon lavoro, ma in alcune aree complicate ci sonopochi mezzi e poco personale. Comunque tornando alle Ater/Aler c'è ancora un ambiente moltoconservativo, la nostra impressione è che ci sia una microeconomia che campa intorno agli exIacp. Ci sono 1,4 milioni di case pubbliche ma anche 400mila immobili commerciali, è unpatrimonio immenso, ci deve essere un modo per gestirlo meglio! Molte case sono di qualità,eppure spesso i canoni sono bassissimi, la morosità è elevata, le case sono mal tenute e lasciateinutilizzate. Bisogna approfondire il tema di come valorizzare meglio e in modo più efficientequesto patrimonio.

Da cosa è rimasto colpito nell'attività conoscitiva, nei sopralluoghi in giro per l'Italia cheavete fatto come commissione? Dalla vitalità delle associazioni, dei volontari. Nello sport, nel difendere le donne dalla violenza,nel recupero dei carcerati, anche nel rendere vivibili gli spazi pubblici. E poi nell'inclusionesociale delle fasce più deboli. Queste attività vanno aiutate, di più e con regolarità.

Veniamo dunque alle conclusioni....

21/8/2017 Periferie/1. Causin: «Sicurezza e sviluppo per rilanciarle, serve un Piano Marshall»

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Come accennavo a novembre presenteremo la relazione sul nostro lavoro e il docu-film, maanche un pacchetto di proposte che lasciamo al governo e al parlamento per aiutare le periferie.Stiamo lavorando in ottimo clima di condivisione all'interno della commissione, i vice-presidenti Morassut (Pd) e Castelli (M5S) sono colleghi di altissima qualità, e con legami solidicon i loro partiti di riferimento.

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21/8/2017 Periferie/2. Morassut: «Oneri straordinari, fondi per l'Erp, piani statali stabilizzati»

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21 Ago 2017

Periferie/2. Morassut: «Oneri straordinari,fondi per l'Erp, piani statali stabilizzati»Alessandro Arona

Serve una politica nazionale forte e continua sulle città, rendendo stabile il Piano periferie delgoverno Renzi (ma con più selezione dei progetti), ripristinando un fondo statale per le casepopolari, e infine facendo applicare in tutte le Regioni e città la norma del Testo unico ediliziasul contributo straordinario nelle trasformazioni urbanistiche in variante. Tre proposte precise vengono da Roberto Morassut, 53 anni, Pd, romano, vice-presidente dellacommissione di inchiesta sulle periferie (si veda l'intervista al presidente Andrea Causin equella all'altro vice-presidenteLaura Castelli)

Onorevole Morassut, le faccio prima una domanda come esponente del Pd ed ex assessoreall'urbanistica di Roma con la giunta Veltroni. Il Pd a Roma e Torino ha avuto alle ultimecomunali un crollo di voti proprio nelle periferie, non pensa che il suo partito e le vostreamnministrazioni abbiano sottovalutato il tema "periferie"? È vero quello che lei dice sui flussi elettorali, ma è poco legato al giudizio sulla gestioneamministrativa. Il calo dei voti del Pd riguarda soprattutto l'orientamento dei ceti medi epopolari, che ha risentito più che altro della crisi economica. Sulla condizione delle periferie c'èil tema della carenza di politiche per le aree urbane, un po' tutta la politica ha trascurato il tema.Le iniziative legislative e i programmi "per le città" lanciati in questi anni sono stati solo"episodi", non hanno prodotto una politica. Manca una politica organica sulle città.

Ma servono i programmi "integrati", finanziamenti statali speciali e per obiettivi trasversali emultipli sulle aree degradate? Sì, certo, ma servirebbero politiche organiche, universali e continue. I piani periferie dei governiRenzi-Gentiloni, e i piani per l'edilizia scolastica, sono importanti, produrranno effetti sulterritorio, ma siamo sempre nel campo degli interventi puntuali. I 2,1 miliardi del piano periferiesono una cifra importante, ma sono progetti tirati fuori in un unico momento, mentre alcontrario servirebbe una continuità di politiche. E aggiungo un elemento: serve una normativache garantisca alle città trsaporti e servizi, bisogna far funzionare il comma d-ter del Testo unicoedilizia (articolo 16 comma 4), il contributo straordinario (al Comune almeno il 50% del maggiorvalore generato da interventi in variante, ndr).

L'avete inventato voi, a Roma, con il Prg 2008 della giunta Veltroni... Sì, ed è stato attaccato da molti, prima a Roma e poi a livello nazionale, contro la norma che l'harecepito nel testo unico nel 2013. Ma ora è stato ritenuto legittimo anche dalla Cortecostituzionale. Eppure sono poche le Regioni che l'hanno recepito nella loro legislazione. Serveuna normativa nazionale cogente di governo del territorio, che consenta di fare politiche urbanedurevoli. Serve una normativa che imponga a chi investe sulle città, nelle operazioni ditrasformazione edilizio-urbanistica, di pagare una quota straordinaria di oneri che consenta di

21/8/2017 Periferie/2. Morassut: «Oneri straordinari, fondi per l'Erp, piani statali stabilizzati»

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portare più servizi e trovare più aree per fare servizi, spazi pubblici, social housing. Normeperequative-compensative fissate per legge.

Qualcuno propone di rivedere il Dm 1444/1968 sugli standard... Sono d'accordo, è giusto fare una discussione, con l'obiettivo però di cambiare le tipologie diservizi, perché da 1968 a oggi possono essere cambiate le esigenze, ma non le quantità minime.

Da anni si parla di una legge quadro sul governo del territorio, ma di fatto decidono leRegioni e i Comuni... È vero, c'è un corto circuito istituzionale. Con il referendum del 4 dicembre scorso sarebbe statarafforzata la competenza statale sull'urbanistica. Una cornice nazionale unitaria ci vuole,altrimenti ogni azione del governo sulle periferie risulta più debole.

Come giudica comunque, nello specifico, il Piano periferie di Renzi? È stato giusto finanziaretutti e 120 i progetti presentati? È stato un po' inevitabile finanziare tutti, città e Regioni non vedevano da anni finanziamentistatali per le politiche urbane. Sì, certo, se la misura diventa stabile il tema del "chi finanzio" sipone: solo i buoni progetti (la qualità)? oppure un po' tutti, a pioggia?

Il tema della casa, quanto siamo in emergenza? L'emergenza casa si è aggravata con la crisi economica, restiamo in coda ai paesi europei per ilnumero di case di edilizia pubblica. Il meccanismo delle 167 e del fondo ex Gescal si è inceppato.I fondi statali sono esauriti da anni, l'approvigionamento di aree non c'è più, ma il problemacasa non si è si è risolto, anzi..., E le inziative recenti, come il piano di social housing con il fondoimmobiliare di Cassa Depositi, sono state abbastanza fallimentari. Va ripristinato un canale difinanziamento di edilizia sovvenzionata. Poi c'è il tema delle occupazioni illegali di case popolari, è un grave fenomeno e leamministrazioni locali non riescono a risolverlo. È un tema di ordine pubblico ma anche diineefficienza nella gestione degli ex Iacp. In Toscana ed Emilia Romagna c'è la situazionemigliore, ma anche a Bologna cominciano ad avere qualche problema.

Nel lavoro della Commissione, onorevole Morassut, cosa ha scoperto che prima non sapeva,cosa l'ha colpito? Le periferie sono un termine che va sempre più aggiornato, è sbagliato pensarle in termini diisolamento e distanza dal centro. Il diradamento dei servizi, i contrasti sociali ed etnici, gli effettidella globalizzazione sul tessuto economico, sono fenomeni che ritroviamo in quartieri e zoneanche centrali. E l'altra cosa che abbiamo imparato e che ogni città ha la sua storia, ognigeneralizzazione sulle periferie sarebbe sbagliata. Presenteremo la nostra relazione finale entro fine anno, e sarà organizzata per tematiche, dauna parte, e città per città dall'altra. I temi chiave saranno la rigenerazione urbana, l'Erp e lacasa, la sicurezza, i servizi sociali, i trasporti pubblici.

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21/8/2017 Periferie/3. Castelli: «Più autonomia ai Comuni e più risorse per la sussidiarietà»

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21 Ago 2017

Periferie/3. Castelli: «Più autonomia aiComuni e più risorse per la sussidiarietà»Alessandro Arona

Più autonomia finanziaria ai Comuni e più fondi statali per garantire il livello essenziale deiservizi. E regole più severe per far funzionare quei carrozzoni inefficienti degli ex Iacp. È insostanza questo che chiede - supe tema aree urbane degradate - la vice-presidente dellaCommissione periferie della Camera Laura Castelli, movimento 5 Stelle, 31 anni il prossimo 14settembre, torinese, laurea in economia aziendale. Bene il piano periferie di Renzi, aggiunge la Castelli, bene i programmi speciali "complessi", mail nodo è garantire ai Comuni un livello di risorse adeguato al tipo di problemi che devonoaffrontare, con crtiteri diversi da quelli attuali del Mef, e più perequativi.

Si vedano anche le interviste a Causin e Morassut.

Onorevole Castelli (posso chiamarla così?), come sta andando il lavoro nella commissioneperiferie, le sembra utile? Mi chiami pure onorevole ..... La commissione è nata su iniziativa parlamentare, e stiamolavorando in modo unitario, facciamo audizioni con istituzioni nazionali e locali e facciamodiverse missioni nelle periferie più difficili. Devo dire che c'è poca conoscenza a livello nazionaledi certi fenomeni, dunque il lavoro è utile, e l'obiettivo è produrre una relazione finale e delleproposte di azione. L'idea della commissione è nata dal fenomeno del terrorismo, dal fatto chein Europa spesso gli attentatori partano dalle periferie degradate. Ma direi che invece in Italia itre temi chiave del nostro lavoro sono: l'urbanistica, il degrado sociale (la povertà, il problemadella casa), e la sicurezza.

Cosa sono le periferie? Ci sono degli indicatori, sono aree, non necessariamente lontane dal centro, dove ad esempio iltasso di scolarizzazione è più basso, maggiore è la disoccupazione, il degrado del patrimonioabitativo e degli spazi pubblici, la carenza di servizi. Non si tratta sempre di aree fuori città,anzi...: a Roma, Torino, Bari, sono anche in zone centrali.

Partiamo dal problema casa. Quanto è grave e qual è il punto? Le società regionali hanno in pancia immobili non utili al mercato e inefficienti, e non riesconoa gestire la domanda di case popolari. Esistono case non a norma e abitate lo stesso, addiritturacantine occupate abusivamente e abitate. Gli Aler non devono fare investimeti finanziari!

In che senso lo dice? Per motivi di principio o perché danno scarsi risultati? Per entrambi i motivi. Comunque un fondo statale per la casa servirebbe, ma prioritario misembra far funzionare bene gli ex Iacp, fare in modo che non sprechino il patrimonio e le risorseche hanno.

21/8/2017 Periferie/3. Castelli: «Più autonomia ai Comuni e più risorse per la sussidiarietà»

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Demolire e ricostruire gli ecomostri delle periferie ... come vede l'iniziativa sulle Vele diScampia, a Napoli? Il caso Scampia è un esempio virtuoso: vecchi edifici demoliti e famiglie trasferite in nuovepalazzine a due piani. Ci sono altri casi in Italia dove si potrebbe applicare questo sistema.Comunque dobbiamo abituarci a valutare tutte le politiche in termini integrati, valutandonel'effetto sull'indicatore Bes (indicatore di benessere sociale).

I programmi integrati statali per le aree urbane sono utili? Come valuta il Piano periferie delgoverno Renzi? Il Piano periferie sta funzionando, le risorse stanziate (2,1 miliardi di euro) non sono poche,anche se in termini pluriennali non sono una grande cifra. Mi sembra che quasi tutti i Comuniabbiano fatto uno sforzo per fare progetti innovativi. Qualcuno ha scelto un solo filone ma supiù aree, come la scuola o le aree pubbliche o i trasoprti, altri solo alcune aree. Ma il punto è unaltro....

Quale onorevole Castelli? Mi occupo spesso di enti locali e di bilanci. Gli enti locali si trovano da soli ad affrontareproblemi enormi, e la gestione dei conflitti sociali, e di fatto il principio di sussidiarietà nonesiste più. L'articolo 120 della Costituzione prevede che lo Stato debba garantire «la tutela deilivelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», ma non lo fa. Il fondo disolidarietà ai Comuni viene erogato dal Mef sulla base di parametri sbagliati, nei casi in cui i Tar sono stati chiamati a pronunciarsi lo hanno bocciato. Di fatto è un sistemache non garantisce i livelli essenziali ai Comuni più in difficoltà. Ben vengano dunqueprogrammi speciali per le città e finanziamenti specifici, ma il tema è molto più generale:bisogna convincersi del ruolo chiave dei Comuni, e invece che tagliare sempre i fondi aumentarela loro autonomia finanziaria, da una parte, e i trasferimenti statali dall'altra.

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21/8/2017 Infrastrutture, si arena il Piano Trump: arretrano in Borsa le società che ci puntavano

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21 Ago 2017

Infrastrutture, si arena il Piano Trump:arretrano in Borsa le società che cipuntavanoAndrea Fontana

La scommessa delle Borse sull’«infrastructure boom» negli Stati Uniti, cioè sui grandiinvestimenti in strade, ponti e linee di collegamento promessi da Donald Trump, è già allespalle. E non da ora che lo scontro tra il presidente e alcuni Ceo di Wall Street sul casoCharlottesville ha portato la Casa Bianca a congelare l’idea di un comitato di consulenza sullestrategie per impegnare i mille miliardi di dollari da destinare alle infrastrutture.

All’indomani delle indiscrezioni, i titoli delle società di «costruzioni e materiali» hanno ripiegatoin tutta Europa e l'indice Stoxx 600 del settore è arretrato di un punto percentuale tornando aiminimi da una settimana, ma la correzione è in atto già da tre mesi e, a sentire gli operatori diBorsa, ha un altro responsabile: il dollaro. «Il piano di Trump non è stato incorporato nelleattese di nessun analista, perché non sono mai stati forniti numeri esatti – spiega Antonio Biffi,responsabile paneuropean equity sales di Hammer Partners - Quando il governo degli StatiUniti presenterà i dettagli e i piani verranno approvati, allora si potrà capirne l'effetto. Quelloche può cambiare le sorti del settore per il momento è l'andamento del dollaro. Invece, perquanto riguarda gli aspetti più industriali, il focus è sulla prospettiva degli investimenti, giàapprovati e non ancora portati a termine, delle amministrazioni precedenti». Cioè, inparticolare, il cosiddetto Fast Act varato da Barack Obama per il periodo 2016-20. Il rally dellecostruzioni sui mercati azionari, partito a dicembre in piena luna di miele tra Trump e i listini,ha toccato il suo picco a inizio maggio quando il cambio euro-dollaro viaggiava sotto 1,10 e laFederal Reserve era ancora convincente nel puntare ad alzare il costo del denaro. In tre mesi, ilbiglietto verde è arretrato del 7% circa e il comparto costruzioni ha fatto un identico movimento.

Anche i titoli di Piazza Affari ci hanno creduto fino alla primavera a cominciare da BuzziUnicrem (-1,4% ieri), il gruppo piemontese che realizza negli Usa oltre il 40% dei ricavi totali conun margine operativo lordo del 32%: sul listino massimi da dieci anni toccati a maggio, vicino aquota 25 euro, e poi progressivo dietrofront tra realizzi e effetto dollaro. Diverso l'andamento diCementir, meno esposta in Nord America, che è però in frenata da un mese. In parallelo con ilsettore Salini Impregilo (-2,2% ieri), per la quale, grazie alla controllata Lane Construction, gliStati Uniti stanno diventando il primo mercato da cui, secondo le stime, arriverà il 30% dei ricavi2017, e Astaldi (-1,4%) che presentando in primavera il piano strategico ha indicatonell'accelerazione della spesa statunitense una significativa opportunità di mercato inprospettiva.

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21/8/2017 Edilizia scolastica, bando PON da 350 milioni per Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia

Lunedì 21 Agosto 2017

Edilizia scolastica, bando PON da 350 milioni per Basilicata,Calabria, Campania, Puglia e Sicilia

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Edilizia scolastica, bando PON da 350 milioni per Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e SiciliaRipartiti 321 milioni a Province e Città metropolitane. Stanziati 105 milioni per verifiche di vulnerabilità sismica nellezone a maggior rischio. Oltre 7 milioni per le indagini diagnostiche sui solai

Un bando da 350 milioni di euro del PON per interventi di adeguamento sismico e alla normativa antincendio, per lamessa in sicurezza e il conseguimento dell'agibilità statica nelle scuole di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia eSicilia. L'avviso è disponibile sul sito del Miur all'indirizzo http://www.istruzione.it/pon/asse02_infrastrutture.html.

Il Miur nei giorni scorsi ha anche ripartito 321 milioni di euro a Province e Città metropolitane per antisismica, messain sicurezza e antincendio. Mentre 105 milioni di euro sono stati stanziati per verifiche di vulnerabilità sismica nellezone sismiche 1 e 2, quelle a maggior rischio. Altri 7,5 milioni sono stati assegnati, con un decreto firmato dallaMinistra Valeria Fedeli, per le verifiche sui solai, attraverso lo scorrimento della graduatoria di priorità esistente.Mentre è in corso di pubblicazione l'anagrafica dei responsabili della sicurezza nelle scuole. Un pacchetto di cinqueazioni che chiude l'avvio dei 10 prossimi passi per l'edilizia scolastica annunciati il 18 luglio scorso, in conferenzastampa, dalla Ministra dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Valeria Fedeli.

I DETTAGLI DELLE AZIONI. Volto principalmente a far fronte alle esigenze di messa in sicurezza e riqualificazionedegli edifici pubblici che ospitano le scuole, secondo criteri di sostenibilità ambientale, sicurezza e inclusionesociale, il Bando PON da 350 milioni sarà così ripartito tra cinque Regioni: Sicilia (115,220 milioni di euro),Campania (101,815 milioni), Puglia (62,755 milioni), Calabria (53,655 milioni) e Basilicata (16,555 milioni). Nellospecifico, gli Enti locali potranno spendere i finanziamenti ricevuti per adeguamento e miglioramento sismico dellescuole, interventi volti all'ottenimento dell'agibilità, bonifica dell'amianto e di altri agenti nocivi, accessibilità esuperamento delle barriere architettoniche, efficientamento energetico, attrattività degli edifici scolastici.

Per quanto riguarda i 105 milioni destinati alle verifiche di vulnerabilità sismica, come annunciato dalla Ministra, il20% dei fondi sarà riservato agli edifici scolastici che si trovano nelle quattro Regioni interessate dai terremoti del2016 e del 2017.

21/8/2017 Edilizia scolastica, bando PON da 350 milioni per Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia

Dei 321 milioni di euro destinati a Province e Città metropolitane per antisismica, messa in sicurezza e antincendio,la quota maggiore andrà alla Campania (48 milioni), seguita dall'Emilia Romagna (29,8 milioni), dalla Calabria (27,5milioni) e dalla Lombardia (25 milioni). Lo stanziamento è stato presentato in occasione dell'ultima ConferenzaUnificata (in allegato la tabella completa con la ripartizione regionale).

È in corso di attivazione, infine, l'anagrafica dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione nelle scuole. Sulsito del Miur dedicato all'edilizia è stata predisposta un'apposita sezione che sarà attiva a partire dal 15 settembre,non appena le dirigenti e i dirigenti scolastici riceveranno la comunicazione sulle procedure per la compilazionedelle schede.

21/8/2017 Terre e rocce da scavo, dal 22 agosto in vigore il nuovo regolamento

Lunedì 21 Agosto 2017

Terre e rocce da scavo, dal 22 agosto in vigore il nuovoregolamento

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Terre e rocce da scavo, dal 22 agosto in vigore il nuovo regolamentoPubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il DPR n. 120/2017. Eliminate le autorizzazioni preventive attraverso la previsionedi un modello di controllo ‘ex post’

Sulla Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 183 del 7 agosto 2017 è stato pubblicato il decreto del Presidente dellaRepubblica 13 giugno 2017 , n. 120 “Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre erocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni,dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.”

La nuova disciplina entrerà in vigore dal 22 agosto 2017. Da tale data è abrogato il decreto del Ministrodell’ambiente e della tutela e del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161. Sono inoltre abrogate le seguentidisposizioni:

a) l’articolo 184 -bis , comma 2 -bis , del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;

b) gli articoli 41, comma 2 e 41 -bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dallalegge 9 agosto 2013, n. 98.

“Un testo unico, coordinato e coerente, che riguarda tutte le tipologie di cantiere e che finalmente semplifica in modosignificativo le diverse e spesso disomogenee normative vigenti fino ad oggi, pienamente allineato anche conl’evoluzione della normativa europea”, sottolinea il Ministero dell'Ambiente.

Il decreto ha come oggetto la gestione delle terre e rocce qualificate come sottoprodotti per tutti i cantieri, ladisciplina del deposito temporaneo di quelle considerate come rifiuto, la gestione nei siti oggetto di bonifica.

MODELLO DI CONTROLLO ‘EX POST’ . Tra i più importanti elementi di semplificazione c’è l’eliminazione delleautorizzazioni preventive attraverso la previsione di un modello di controllo ‘ex post’, con l’autocertificazione e il

21/8/2017 Terre e rocce da scavo, dal 22 agosto in vigore il nuovo regolamento

rafforzamento del sistema dei controlli. In particolare, viene prevista una procedura più spedita per attestare che leterre e rocce da scavo soddisfino i requisiti nazionali ed europei per essere qualificate come sottoprodotti. Fin dallafase di predisposizione del piano di utilizzo, si prevede che i soggetti pubblici e privati possano confrontarsi con leAgenzie ambientali regionali e provinciali per le preliminari verifiche istruttorie e tecniche, anticipando lo svolgimentodei controlli di legge.

UNIFICATI E SEMPLIFICATI GLI ADEMPIMENTI PER IL TRASPORTO FUORI DAL SITO. Vengono poi unificati esemplificati gli adempimenti per il trasporto fuori dal sito ed eliminato l’obbligo di comunicare preventivamenteall’autorità competente ogni trasporto di terre e rocce qualificate come sottoprodotto nei grandi cantieri, oltre chereso più semplice il sistema generale delle comunicazioni.

DISCIPLINA SPECIFICA PER IL DEPOSITO DI RIFIUTI. E’ infine contenuta nel decreto una disciplina specifica peril deposito di rifiuti, mentre per le aree oggetto di bonifica sono individuate procedure uniche per gli scavi come perla caratterizzazione dei terreni generati dalle opere da realizzare.

RAFFORZATI I CONTROLLI . L’introduzione delle semplificazioni è bilanciata da un rafforzamento del sistema deicontrolli, che prevedono misure dirette a superare anche eventuali casi di inerzia da parte delle Amministrazioni. Imaggiori controlli affidati alle Agenzie ambientali e alle autorità competenti verranno coperti mediante un tariffarionazionale da applicare ai proponenti, individuando un costo minimo e proporzionale ai volumi delle terre e rocce dascavo.

GALLETTI: LE NUOVE REGOLE RIGUARDERANNO OL TRE 150 MILA IMPRESE DI OGNI DIMENSIONE.“Questo provvedimento – spiega il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – è un passo in avanti fondamentalenella nostra visione di sviluppo sostenibile: quella dell’economia circolare, quella in cui le performance ambientali ela competitività del Paese viaggiano di pari passo. Con una disciplina più semplice e più chiara – afferma il ministro- abbiamo disciplinato in modo organico tutta la materia, evitando che le imprese, in preda ad incertezze normativee col rischio di interminabili trafile burocratiche che oggi durano anche fino a due anni, considerino ogni terra eroccia da scavo come un rifiuto e non come sottoprodotto”. “Grazie a questo testo – prosegue Galletti - otteniamotanti risultati insieme: miglioriamo la tutela delle risorse naturali grazie al minore smaltimento in discarica e al minorutilizzo di materiale di cava, ma allo stesso tempo diamo più forza alle aziende che operano nel rispettodell’ambiente con lavori nei cantieri più veloci e potenziali minori costi derivanti dall’approvigionamento di materiaprima. Una bella novità a lungo attesa dagli operatori – conclude Galletti - che riguarderà secondo le nostre stimeoltre 150 mila imprese di ogni dimensione”.

In allegato il nuovo regolamento

21/8/2017 Equo compenso per avvocati: lo chiedono anche ingegneri e architetti

Lunedì 21 Agosto 2017

lo chiedono anche ingegneri e architetticasaeclima.com /ar_32272__equo-compenso-per-avvocati-lo-chiedono-anche-ingegneri-architetti.html

Equo compenso per avvocati: lo chiedono anche ingegneri e architettiIl presidente di Fondazione Inarcassa Egidio Comodo: “I principi di tutela sono gli stessi”

“L’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del ddl sull’equo compenso per gli avvocati rappresenta unapresa di coscienza che il Governo non poteva più ignorare. Adesso non resta che estenderlo anche alle altreprofessioni, prima fra tutte quella di ingegneri e architetti, perché i principi di tutela posti alla base sono esattamentegli stessi. Lo chiediamo da oltre un anno.”

Con queste parole, Egidio Comodo, Presidente di Fondazione Inarcassa, commenta la norma voluta dalGuardasigilli, Andrea Orlando.

“Si tratta - spiega Comodo - di un passo importante che speriamo a brevissimo possa coinvolgere anche leprestazioni di ingegneri e architetti e, in generale, tutti i liberi professionisti che nello svolgimento quotidiano dellaloro attività affrontano gli stessi identici problemi. Come si fa dunque a non ritenere vessatorie per chiunque svolgala libera professione quelle clausole che - ad esempio - riservano al cliente la facoltà di modificare unilateralmente lecondizioni del contratto, di pretendere prestazioni aggiuntive a titolo gratuito, di ottenere termini di pagamentosuperiori ai sessanta giorni dalla fatturazione o addirittura di rifiutare la stipula per iscritto del contratto? Si trattaquindi di un testo fondamentale i cui principi vanno subito estesi a tutta la categoria dei liberi professionisti chescontano uno squilibrio nei rapporti contrattuali soprattutto verso i clienti cosiddetti ‘forti’”.

Anche per la professione di ingegnere e architetto, infatti, vi è il pericolo che una concorrenza distorta, determinatada un lato dall’abuso dei clienti forti e dall’altro lato dall’elevato numero di professionisti operanti sul territorioitaliano, possa tradursi nell’offerta di prestazioni professionali al ribasso, con un evidente pericolo di unpeggioramento della loro qualità.

“La guerra al ribasso dei prezzi delle prestazioni professionali - conclude Comodo - ostacola soprattutto i giovaniche, come ha sottolineato il Ministro Orlando, ‘sono fortemente sottoposti a una vera e propria forma di caporalatointellettuale’. In questo senso un plauso va al lavoro avviato dall'On. Chiara Gribaudo e dal Prof. Tommaso Nanniciniche hanno condiviso questo obiettivo.”

21/8/2017 Equo compenso per avvocati: lo chiedono anche ingegneri e architetti

COSA PREVEDE IL DISEGNO DI LEGGE SULL’EQUO COMPENSO PER GLI AVVOCATI. Ricordiamo che ildisegno di legge che detta nuove disposizioni in materia di equo compenso e clausole vessatorie nel settore delleprestazioni legali è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 7 agosto. Il provvedimento mira a riequilibrarela posizione contrattuale dei professionisti avvocati nei confronti di soggetti connotati da particolare forzacontrattuale ed economica, individuati in particolare nelle imprese bancarie e assicurative e nelle imprese diverse daquelle piccole e medie, nonché a tutelare l’equità del compenso degli avvocati, evitando che una concorrenzapotenzialmente distorta possa tradursi nell’offerta di prestazioni professionali al ribasso, con il rischio di unpeggioramento della loro qualità.

In particolare, il disegno di legge prevede la nullità delle clausole vessatorie inserite nelle convenzioni contrattualistipulate tra professionisti avvocati e clienti cosiddetti “forti”. A tal proposito, vengono definite come vessatorie leclausole che, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, determinino un significativo squilibriocontrattuale a carico dell’avvocato. Tale nullità, definita come “parziale” rispetto all’intera convenzione, garantisce ilprofessionista perché consente l’inefficacia della sola parte del regolamento contrattuale o della singola clausolacontraria alla legge, mentre la convenzione stessa rimane in vigore.

Il giudice, accertata la non equità del compenso previsto e la vessatorietà della clausola, ne dichiara la nullità eridetermina il compenso sulla base dei parametri fissati sulla base della legge forense del 2012, che sono giàdestinati a operare per i casi in cui manchi una valida pattuizione tra le parti.

21/8/2017 Jobs Act Autonomi: circolare del Consiglio Nazionale Ingegneri

Lunedì 21 Agosto 2017

circolare del Consiglio Nazionale Ingegnericasaeclima.com /ar_32271__jobs-act-autonomi-circolare-del-consiglio-nazionale-ingegneri.html

Jobs Act Autonomi: circolare del Consiglio Nazionale IngegneriRicognizione sugli atti pubblici da affidare agli Ingegneri e agli Ordini degli Ingegneri ai sensi dell'art. 5 della Legge81/2017

Il Consiglio nazionale degli Ingegneri ha inviato in data 4 agosto 2017 una circolare ai Presidenti degli Ordiniterritoriali in merito all'individuazione di atti pubblici che possano essere rimessi agli Ingegneri e agli Ordini degliIngegneri, ai sensi dell'articolo 5 del Jobs Act lavoro autonomo (Legge n. 81/2017) recante “Misure per la tutela dellavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi dellavoro subordinato”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 135 del 13 giugno 2017.

“Il provvedimento – ricorda la circolare - attribuisce alle professioni organizzate in Ordini e Collegi nuovecompetenze ed un ruolo di supplenza della pubblica amministrazione. Si tratta della concretizzazione del principio di“sussidiarietà” da noi sempre auspicato, che affida alle professioni ordinistiche la possibilità di esperire tutta unaserie di “atti” e funzioni, fino ad oggi riservate all’amministrazione pubblica.

L'articolo 5, comma 1 della Legge 81/2017, nello specifico, così recita: “Al fine di semplificare l'attività delleamministrazioni pubbliche e di ridurne i tempi di produzione, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesidalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di rimessione di attipubblici alle professioni organizzate in ordini o collegi, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) individuazione degli atti delle amministrazioni pubbliche che possono essere rimessi anche alle professioniorganizzate in ordini o collegi in relazione al carattere di terzietà di queste;

b) individuazione di misure che garantiscano il rispetto della disciplina in materia di tutela dei dati personali nellagestione degli atti rimessi ai professionisti iscritti a ordini o collegi;

c) individuazione delle circostanze che possano determinare condizioni di conflitto di interessi nell'esercizio dellefunzioni rimesse ai professionisti ai sensi della lettera a)”.

21/8/2017 Jobs Act Autonomi: circolare del Consiglio Nazionale Ingegneri

La questione è stata seguita con attenzione dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, che, dopo la pausa estiva, saràchiamato dal Governo a formulare proposte concrete in merito agli “atti pubblici” che possano essere rimessi alleprofessioni ordinistiche, ed in particolare agli Ingegneri.

Tre, in particolare, sono le tipologie di “atti” o “attività” attualmente svolte dall’amministrazione pubblica che inun’ottica di sussidiarietà possono essere rimesse agli Ingegneri, anche mediante il possibile coinvolgimento degliOrdini territoriali:

1. atti di asseverazione e/o certificazione della rispondenza alle norme di legge di specifiche attività (un esempio ditali “atti” si rinviene attualmente del settore edilizio con la Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata – art. 6 bisDPR 380/2001 – e con la Segnalazione Certificata di Inizio Attività – art. 22, commi 1 e 2 DPR 380/2001);

2. atti di verifica, collaudo e controllo di attività svolte da terzi, anche mediante il coinvolgimento dell’Ordine agaranzia della “terzietà” della prestazione (un esempio di tali atti di verifica si rinviene allorché, ai sensi articolo 7della Legge n.1086/71, l’Ordine è chiamato a designare una terna di professionisti tra i quali individuare ilcollaudatore di opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso realizzate in proprio dalcostruttore);

3. attività di analisi e istruttoria propedeutiche al rilascio di pareri da parte della pubblica amministrazione (si pensi aipareri rilasciati dagli organi consultivi della pubblica amministrazione come il Consiglio superiore dei lavori pubblici).

Considerato quanto sopra, confidando nella Tua disponibilità Ti chiediamo di indicare quali atti e/o attività, rientrantiin una delle tipologie sopra descritte e comprensive dei pertinenti riferimenti normativi, potrebbero essere rimesseagli Ingegneri, anche per il tramite degli Ordini, in un’ottica di sussidiarietà. Stante la necessità di predisporre edinviare al Governo una proposta ragionata e condivisa entro la prima metà del prossimo mese di settembre, Tichiediamo di inoltrarci (all’indirizzo email [email protected]) le proposte individuate entro il prossimo 12settembre.”

21/8/2017 Edifici a energia quasi zero (NZEB), online il Piano d'azione nazionale

Lunedì 21 Agosto 2017

Edifici a energia quasi zero (NZEB), online il Piano d'azionenazionale

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Edifici a energia quasi zero (NZEB), online il Piano d'azione nazionalePubblicato dal Mise il Piano d’Azione Nazionale per incrementare gli edifici ad energia quasi zero, elaborato da ungruppo di lavoro composto da ENEA, RSE e CTI

Sulla Gazzetta Ufficiale n.187 del 11 agosto 2017 è stato pubblicato il comunicato del Ministero dello Sviluppoeconomico che informa della pubblicazione sul sito web del Mise del decreto interministeriale 19 giugno 2017,recante l'approvazione del «Piano d'azione nazionale per incrementare gli edifici ad energia quasi zero» ai sensidell'art. 4-bis, comma 2 del decreto legislativo n. 192 del 2005, unitamente al Piano stesso.

Il Piano d’Azione Nazionale per incrementare gli edifici ad energia quasi zero, datato dicembre 2016, è statoelaborato da un gruppo di lavoro composto dall’ENEA, l’RSE e il CTI, con il coordinamento del Ministero dellosviluppo economico.

Il documento, previsto dall’articolo 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 192/2005, chiarisce il significato di NZEB(edifici a energia quasi zero), valutando le prestazioni energetiche di alcune delle sue espressioni nelle differentitipologie d’uso e zone climatiche. Stima inoltre i sovraccosti necessari, rispetto ai livelli attuali, per la realizzazione dinuovi edifici NZEB o per la trasformazione in NZEB degli edifici esistenti e traccia gli orientamenti e le linee disviluppo nazionali per incrementare il loro numero tramite le misure di regolazione e di incentivazione resedisponibili.

La Strategia per la riqualificazione energetica del parco immobiliare nazionale, prevista dal decreto legislativo 4luglio 2014, n. 102, integra documento, indicando, in particolare, gli obiettivi da raggiungere, le linee di azione su cuisi intende puntare per il loro conseguimento, le criticità da superare e le possibili soluzioni strategiche.

La direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia («direttiva EPBD», Energy Performance ofBuildings Directive) è il principale strumento legislativo a livello dell’UE per il miglioramento dell’efficienza energeticadegli edifici europei. Un elemento fondamentale della direttiva EPBD è rappresentato dagli edifici a energia quasizero («requisiti NZEB», dall’inglese Nearly Zero-Energy Buildings). La direttiva EPBD prevede che gli Stati membriprovvedono affinché entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione siano edifici a energia quasi zero

21/8/2017 Edifici a energia quasi zero (NZEB), online il Piano d'azione nazionale

e a partire dal 31 dicembre 2018 gli edifici di nuova costruzione occupati da enti pubblici e di proprietà di questiultimi siano edifici a energia quasi zero.

In Italia il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, di recepimento della direttiva 2002/91/CE sul rendimentoenergetico in edilizia, è stato aggiornato con il decreto legge n. 63 del 2013 per recepire la direttiva 2010/31/UE.

In allegato il Piano d'azione nazionale per incrementare gli edifici ad energia quasi zero

21/8/2017 Connessione impianti microcogenerativi: novità dall'AEEGSI

Lunedì 21 Agosto 2017

Connessione impianti microcogenerativi: novità dall'AEEGSIcasaeclima.com /ar_32277__connessione-impianti-microcogenerativi-novita-aeegsi.html

Connessione impianti microcogenerativi: novità dall'AEEGSIIn fase di prima attuazione, anche nel caso di impianti di microcogenerazione, ex decreto ministeriale 16 marzo2017, la richiesta di connessione deve essere relativa esclusivamente a un impianto di produzione che noncondivide il punto di connessione esistente con altri impianti di produzione

Con la delibera 581/2017/R/EEL l’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico modifica il Testo IntegratoConnessioni Attive (TICA), al fine di integrarlo con le disposizioni previste dal decreto ministeriale 16 marzo 2017recante i Modelli Unici per la realizzazione, la connessione e l’esercizio degli impianti di microcogenerazione ad altorendimento e per la realizzazione, la connessione e l’esercizio degli impianti di microcogenerazione alimentati dafonti rinnovabili, impianti aventi precise caratteristiche.

Tali disposizioni e, conseguentemente, le integrazioni da apportare al TICA sono analoghe alle integrazioni giàintrodotte con la deliberazione 400/2015/R/EEL in attuazione del decreto ministeriale 19 maggio 2015 recante ilModello Unico per la realizzazione, la connessione e l’esercizio degli impianti fotovoltaici su tetto.

In sintesi, il decreto ministeriale 16 marzo 2017 (come il precedente decreto ministeriale 19 maggio 2015) introduceModelli Unici ai fini della richiesta di connessione che sostituiscano le comunicazioni a fini autorizzativi nei confrontidegli enti locali, la normale richiesta di connessione nei confronti del gestore di rete e la richiesta di scambio sulposto nei confronti del GSE, consentendo ai produttori di rivolgersi a una interfaccia unica (il gestore di rete), erealizzando, in tal modo, una significativa semplificazione delle procedure esistenti.

La delibera prevede che, in fase di prima attuazione e analogamente a quanto previsto per gli impianti fotovoltaicidal decreto ministeriale 19 maggio 2015, anche nel caso di impianti di microcogenerazione, ex decreto ministeriale16 marzo 2017, la richiesta di connessione debba essere relativa esclusivamente a un impianto di produzione chenon condivide il punto di connessione esistente con altri impianti di produzione. Ciò al fine di consentire la gestionesemplificata della procedura di connessione associata all’utilizzo del Modello Unico e al fine di evitare disparità ditrattamento con quanto già previsto per gli impianti fotovoltaici.

21/8/2017 Connessione impianti microcogenerativi: novità dall'AEEGSI

Al fine di implementare il decreto, la regolazione già prevista dal TICA per gli impianti fotovoltaici ex decretoministeriale 19 maggio 2015, con la delibera 581/2017/R/EEL viene estesa tal quale agli impianti dimicrocogenerazione. In aggiunta, la delibera prevede la trasmissione di alcuni dati e informazioni aggiuntivicontestualmente all’invio della Parte I del Modello Unico nonché il loro eventuale aggiornamento contestualmenteall’invio della Parte II del Modello Unico, al fine di consentire al gestore di rete e al sistema GAUDÌ di disporre deidati aggiornati all’atto della connessione.

Infine, la delibera prevede che le semplificazioni introdotte nella Variante V1 alla Norma CEI 0-21 in merito airequisiti tecnici per la connessione degli impianti di produzione di piccolissima taglia (cioè di potenza inferiore a 800W, la soglia al di sotto della quale non trova applicazione obbligatoria nemmeno il regolamento RfG - Requirementsfor Generators) trovino immediata applicazione.

21/8/2017 Moduli fv con certificazioni non conformi, dal Gse le istruzioni per le istanze

Lunedì 21 Agosto 2017

Moduli fv con certificazioni non conformi, dal Gse leistruzioni per le istanze

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Moduli fv con certificazioni non conformi, dal Gse le istruzioni per le istanzeLe indicazioni secondo quanto previsto dall’art. 57-quater della Legge 21 giugno 2017, n. 96

Il Gestore dei servizi energetici (Gse) ha pubblicato delle istruzioni per la presentazione delle istanze per impiantifotovoltaici con moduli non certificati o con certificazioni non conformi, secondo quanto previsto dall’art. 57-quaterdella Legge 21 giugno 2017, n. 96, recante disposizioni relative alla salvaguardia della produzione di energia daimpianti fotovoltaici con moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento.

“Come previsto dal comma 4-bis, il Soggetto Responsabile beneficiario degli incentivi in Conto Energia, titolare di unimpianto fotovoltaico con potenza nominale superiore a 3 kW per il quale il GSE, a seguito di verifiche o controlli, harilevato l’installazione di moduli non certificati o con certificazioni non conformi alla normativa di riferimento e pertale motivo ha disposto la decadenza dal diritto di accesso alle tariffe incentivanti, può presentare al GSE un’istanzafinalizzata al riconoscimento della tariffa incentivante base decurtata del 20%.

Come previsto dal comma 4-ter, per gli impianti fotovoltaici beneficiari degli incentivi in Conto Energia che non sonostati oggetto di un procedimento di verifica o controllo, per i quali il Soggetto Responsabile dichiari al GSE chepresso il proprio impianto sono installati dei moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativadi riferimento, è possibile presentare al GSE un’istanza finalizzata al riconoscimento della tariffa incentivante basedecurtata del 10%.

L’istanza deve essere inviata sotto forma di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (art. 47 del DPR n.445/2000), secondo le modalità descritte nell’Allegato 1.

In entrambi i casi, il Soggetto Responsabile deve comprovare:

- di aver intrapreso le azioni consentite dalla Legge nei confronti dei soggetti responsabili della non conformità deimoduli

- la sostanziale ed effettiva rispondenza dei moduli installati ai requisiti tecnici e la loro perfetta funzionalità esicurezza, secondo quanto indicato nell’Allegato 2.

21/8/2017 Moduli fv con certificazioni non conformi, dal Gse le istruzioni per le istanze

Il GSE, a seguito del ricevimento della suddetta istanza, avvia un procedimento amministrativo ex Legge 241/90finalizzato al riconoscimento della tariffa incentivante base decurtata così come da richiesta dal SoggettoResponsabile.

Si precisa, infine, che per gli impianti fotovoltaici ricompresi nelle fattispecie contemplate dai commi 4-bis e 4-ter nonpossono essere applicate le maggiorazioni previste dall’articolo 14, comma 1, lettera d), del DM 5 maggio 2011 eall’articolo 5, comma 2, lettera a), del DM 5 luglio 2012.”

Pompei, fronti di scavo e mitigazione del rischio idrogeologico – al via i cantieri Redazione 19 Agosto 2017

PARTE IL CANTIERE DI MESSA IN SICUREZZA DEI FRONTI DI SCAVO INTERNI

ALLA CITTÀ ANTICA E L’INTERVENTO DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO

IDROGEOLOGICO NELL’AREA NON SCAVATA

Entro due anni, completa la messa insicurezza del sito archeologico di Pompei

Con l’avvio del cantiere di messa in sicurezza dei fronti di scavo, ovvero di tutta quella porzione di terreno che circonda l’area non scavata di Pompei, di circa 22 ettari, e con la ripresa dei cantieri della Regio I, II e III precedentemente bloccati a causa di un ricorso al TAR, entro il 2019 l’area archeologica di Pompei sarà interamente consolidata.

Oltre due chilometri di muri antichi saranno oggetto di messa in sicurezza, mentre l’area non scavata alle spalle dei fronti di scavo, nelle Regiones I-III-IV-V-IX, sarà oggetto di intervento di mitigazione del rischio idrogeologico, che assicurando un adeguato drenaggio del suolo consentirà di ridurre la spinta del terreno sui muri antichi, problema particolarmente insistente nel periodo delle piogge.

Tra gli interventi in programma il grande cantiere prevederà anche un vero e proprio scavo nella Regio V, il cosiddetto “cuneo” (un’area di oltre 1000m2 nella zona posta tra la casa delle Nozze d’Argento e gli edifici alla sinistra del vicolo di Lucrezio Frontone), che nella condizione attuale costituisce un elemento di debolezza del pianoro dal punto di vista idrogeologico. Lo scavo porterà in luce strutture e reperti di ambienti privati e pubblici che contribuiranno ad arricchire la conoscenza del sito e lo stato di avanzamento della ricerca archeologica. A tal scopo sul pianoro delle regiones IV e V, dove è in corso l’allestimento dell’ area logistica, è in programma anche l’installazione di un laboratorio di studio

archeologico dei reperti che saranno rinvenuti e un deposito per la loro conservazione temporanea.

“Si tratta del più grande intervento nell’area non scavata di Pompei, dal dopoguerra – dichiara Massimo Osanna, Direttore Generale del Parco archeologico di Pompei. –Finora si era sempre proceduto per piccoli interventi di tamponamento sui fronti di scavo,nei punti più critici. Adesso si procederà in maniera radicale al consolidamento dei fronti ea risolvere il problema dell’acqua che si accumula nei terreni esercitando pressione sullepareti e sulle facciate delle domus portati alla luce, che hanno finito per costituire una sortadi argine di contenimento dei terreni che impregnati di acqua piovana vi esercitavanopressione esponendoli al pericolo di cedimento.”

L’intervento, che rientra nel Grande Progetto Pompei durerà circa due anni. I lavori procederanno per sottocantieri al fine di continuare a garantire la fruibilità del sito. Periodicamente verranno forniti aggiornamenti sull’avanzamento dei lavori.

fonte: UFFICIO STAMPA Parco Archeologico di Pompei