Considerazioni Generali Sull'Unione Europea Riassunto Diritto Dell'Unione Europea Tesauro (1)

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Diritto dell’Unione Europea Considerazioni Generali L’Unione Europea sostituisce e succede alla Comunità Europea:così in base all’art 1 del Trattato di Lisbona in vigore dal 1 dicembre 2009. Il Trattato di Lisbona segna il quadro ed il fondamento giuridico di oggi;si tratta delle norme che disciplinano i rapporti tra l’Unione,con le sue Istituzioni,gli Stati Membri e i cittadini di questi ultimi,perciò stesso cittadini dell’Unione;le Norme si distinguono in: -INTERNAZIONALE,i trattati istitutivi delle Comunità e dell’Unione,con le successive integrazioni e modificazioni; -DELL’UNIONE,gli atti dell’Istituzione,ovvero,degli organi che formano la struttura Istituzionale dell’Unione; -NAZIONALE,le leggi e gli atti che gli Stati Membri pongono in essere per dare corretta attuazione al sistema giuridico complessivo. Oggetto dell’attenzione è la dimensione giuridica dell’Europa. Il sistema giuridico dell’UE è caratterizzato da un procedimento di formazione delle norme con la presenza ed il ruolo attivo del Parlamento Europeo eletto a suffragio universale;dall’ampio utilizzo di atti direttamente applicabili ed efficaci negli Stati Membri e da un sistema di tutela giurisdizionale pieno ed effettivo,con diverse e pari responsabilità del giudice comunitario e del giudice nazionale. L’Europa Comunitaria:la sua Evoluzione L’idea di un legame più stretto fra i paesi ed i popoli europei nacque già prima del conflitto della seconda guerra mondiale,ma è stata perseguita concretamente e finalmente realizzata dopo. Uno dei passaggi più significativi della nascita dell’Europa Comunitaria,fu il discorso di Churchill all’Università di Zurigo del settembre 1946:”….Noi dobbiamo costruire gli Stati Uniti d’Europa…il primo passo nella ricostruzione della famiglia europea deve essere una partnership tra Francia e Germania”. Le preoccupazioni nell’impedire il riprodursi delle situazioni politiche,economiche e militari antecedenti il secondo conflitto mondiale portarono alla nascita della NATO e della CECA;in questa luce va letta la dichiarazione del maggio 1950 del Ministro degli Esteri francese Schuman,che poneva l’accento sull’esigenza di eliminare l’opposizione tra Francia e Germania e “di porre l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto un’Alta Autorità comune,in una organizzazione aperta alla partecipazione degli altri Paesi Europei” (mettere fine alla rivalità tra le due industrie). L’ipotesi di una integrazione completa tra i Paesi Europei cominciò a delinearsi come un obiettivo da raggiungere in un futuro più o meno 1

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Diritto dell’Unione Europea Considerazioni Generali

L’Unione Europea sostituisce e succede alla Comunità Europea:così in base all’art 1 del Trattato di Lisbona in vigore dal 1 dicembre 2009. Il Trattato di Lisbona segna il quadro ed il fondamento giuridico di oggi;si tratta delle norme che disciplinano i rapporti tra l’Unione,con le sue Istituzioni,gli Stati Membri e i cittadini di questi ultimi,perciò stesso cittadini dell’Unione;le Norme si distinguono in:-INTERNAZIONALE,i trattati istitutivi delle Comunità e dell’Unione,con le successive integrazioni e modificazioni;-DELL’UNIONE,gli atti dell’Istituzione,ovvero,degli organi che formano la struttura Istituzionale dell’Unione;-NAZIONALE,le leggi e gli atti che gli Stati Membri pongono in essere per dare corretta attuazione al sistema giuridico complessivo.

Oggetto dell’attenzione è la dimensione giuridica dell’Europa. Il sistema giuridico dell’UE è caratterizzato da un procedimento di formazione delle norme con la presenza ed il ruolo attivo del Parlamento Europeo eletto a suffragio universale;dall’ampio utilizzo di atti direttamente applicabili ed efficaci negli Stati Membri e da un sistema di tutela giurisdizionale pieno ed effettivo,con diverse e pari responsabilità del giudice comunitario e del giudice nazionale.

L’Europa Comunitaria:la sua Evoluzione L’idea di un legame più stretto fra i paesi ed i popoli europei nacque già prima del conflitto della seconda guerra mondiale,ma è stata perseguita concretamente e finalmente realizzata dopo.Uno dei passaggi più significativi della nascita dell’Europa Comunitaria,fu il discorso di Churchill all’Università di Zurigo del settembre 1946:”….Noi dobbiamo costruire gli Stati Uniti d’Europa…il primo passo nella ricostruzione della famiglia europea deve essere una partnership tra Francia e Germania”.Le preoccupazioni nell’impedire il riprodursi delle situazioni politiche,economiche e militari antecedenti il secondo conflitto mondiale portarono alla nascita della NATO e della CECA;in questa luce va letta la dichiarazione del maggio 1950 del Ministro degli Esteri francese Schuman,che poneva l’accento sull’esigenza di eliminare l’opposizione tra Francia e Germania e “di porre l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto un’Alta Autorità comune,in una organizzazione aperta alla partecipazione degli altri Paesi Europei” (mettere fine alla rivalità tra le due industrie).L’ipotesi di una integrazione completa tra i Paesi Europei cominciò a delinearsi come un obiettivo da raggiungere in un futuro più o meno prossimo,ma da realizzare con gradualità. La prima iniziativa concreta fu la creazione della CECA,che aveva nell’Alta Autorità un organo di gestione dotato di amplia indipendenza deliberativa e con vastissimi poteri decisionali. Il Trattato CECA fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 da Francia,Germania,Italia e dai 3 paesi del Benelux;entrò in vigore il 25 luglio 1952. Accanto all’Alta Autorità la struttura istituzionale prevedeva un Consiglio speciale dei Ministri,composto dai rappresentanti degli Stati Membri e con competenze sostanzialmente di controllo,un’Assemblea comune,con membri designati dai Parlamenti Nazionali,infine una Corte di Giustizia.Successivamente si delinea accanto alla CECA,anche la Comunità Economica Europea e la Comunità Europea per l’Energia Atomica o EURATOM,i cui Trattati Istitutivi furono firmati a Roma il 25 marzo 1957 dagli stessi sei membri ed entrarono in vigore il 14 gennaio 1958. Le tre Comunità ebbero all’inizio istituzioni in parte separate fino al 1 luglio 1967 quando entrò in vigore il Trattato del 9 aprile 1965 sulla “fusione degli esecutivi”,cioè,del Consiglio dei Ministri CECA nel Consiglio dei Ministri tout court e all’assorbimento dell’Alta Autorità in una Commissione unica.L’adesione di Regno Unito,Irlanda e Danimarca ha coinciso con un momento di diffusa e grave instabilità economica e monetaria,che ha contribuito ad una maggiore determinazione dei Paesi europei a proseguire nella realizzazione degli obiettivi comunitari. Si comincia a porre le basi per una più accentuata convergenza delle economie e per una unione monetaria,attraverso la creazione del sistema monetario europeo e a rafforzare l’impegno per una progressiva riduzione delle disarmonie regionali attraverso la realizzazione di un Fondo apposito,il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.La crescita della struttura comunitaria portò all’iniziativa dell’elezione a suffragio universale del Parlamento,realizzata nel 1979 e il progetto non eseguito del 1984 dello stesso Parlamento di realizzare una

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Unione Europea,ispirata ad un modello di tipo federale e con competenze estese ad altri settori di collaborazione. Prima il Libro Bianco della Commissione sul mercato interno diffuso nel 1985 e poi l’Atto Unico stipulato nel 1986 hanno segnato una vistosa svolta nel cammino comunitario e impresso una forte accelerazione al processo di integrazione dei mercati.Il ruolo da sempre trainante della Corte di Giustizia consacra la Comunità di diritto come valore fondamentale e porta l’integrazione giuridica ad un livello del tutto soddisfacente e comunque più avanzato rispetto ad ogni altro campo di azione comunitaria.

Il Trattato di Maastricht e l’UEIl quadro sin qui delineato dell’Europa comunitaria ha subito una sensibile modificazione e un ulteriore rilancio con il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea,firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993. Le intese di Maastricht hanno rappresentato il passaggio al modello federale. L’UE resta fondata sulle Comunità europee,di cui conserva interamente l’acquis (art 2),integrandolo con nuove politiche e con il rafforzamento di politiche già esistenti,nonché con nuove forme di cooperazione.Il Trattato sull’UE si componeva di tre parti,che costituivano i tre pilastri da cui muoveva il processo:il riferimento è rispettivamente alle disposizioni che hanno modificato i tre Trattati esistenti (titoli II,III e IV),alla previsione di una politica estera e di sicurezza comune (titolo V),infine alle disposizioni sulla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (titolo VI).Assumeva particolare importanza l’istituzione di una “cittadinanza dell’UE riconosciuta a tutti i cittadini degli Stati Membri”.La novità più importante,nell’ambito delle modifiche apportate al Trattato CE,era tuttavia rappresentata dall’obiettivo di procedere,attraverso tre fasi,all’instaurazione dell Unione Economica e Monetaria,la cui realizzazione più rilevante era costituita dalla sostituzione delle monete nazionali con una moneta unica europea:l’EURO.Le grandi novità del Trattato sull’UE erano costituite dal secondo e terzo pilastro:il riferimento è alle disposizioni relative “alla politica estera e di sicurezza comune” e a quelle relative alla “cooperazione tra gli stati membri nei settori della Giustizia e degli affari interni”.Nel primo caso non si trattava più di una semplice cooperazione tra stati membri,ma di una politica comune che si collocava all’interno dell’UE. Si situava,invece,a livello di mera cooperazione l’azione degli stati membri in materia di giustizia e affari interni.Il quadro generale dell’UE prefigurato dal Trattato di Maastricht è quello di una cooperazione tra gli stati membri esterna alla Comunità,ma ad essa strettamente collegata e ispirata al modello della cooperazione internazionale.Lo stesso Trattato di Maastricht aveva previsto che una conferenza intergovernativa dovesse aver luogo nel 1996.

I Trattati di Amsterdam e NizzaLa conferenza ebbe luogo ed il risultato è stato il Trattato di Amsterdam firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999. Tale Trattato ha apportato modifiche al Trattato sull’UE nelle sue tre parti,dunque si per quanto riguarda il primo pilastro (COMUNITA’),sia il secondo (PESC),sia il terzo (che assume il nome di “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”).La novità più significativa è stata l’introduzione del titolo IV relativo ai “Visti,asilo,immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone”:ha avuto l’effetto di facilitare la stessa libertà di circolazione dei cittadini comunitari e di fornire loro un più elevato livello di sicurezza e di giustizia penale.Il tema dell’ampliamento ad un numero consistente di altri paesi ha alimentato il dibattito all’interno della comunità a partire dalla seconda metà degli anni 90. Già in occasione del Trattato di Amsterdam si era legato il rinvio del riassetto istituzionale all’occasione dell’allargamento con un apposito Protocollo. I consigli europei di Colonia (giugno 1999) ed Helsinki (dicembre 1999) hanno dato il via alla nuova conferenza intergovernativa,per definire le questioni istituzionali lasciate ancora irrisolte,conferenza apertasi a Bruxelles nel febbraio 2000 e conclusasi con il Consiglio europeo di Nizza nel dicembre dello stesso anno e che ha portato alla firma del relativo Trattato a Nizza il 26 febbraio 2001;Trattato entrato in vigore il 1 febbraio 2003.

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Le modifiche al Trattato CE sono state soprattutto sul funzionamento e le modalità di decisione delle istituzioni. Gli aggiustamenti istituzionali sono stati in gran parte funzionali al successivo allargamento,che hanno riguardato il sistema di controllo giurisdizionale,con la previsione di camere giurisdizionali da aggiungere al Tribunale di primo grado,la possibilità che a quest’ultimo siano attribuite le cause su rinvio pregiudiziale.Di sicuro rilievo è stata la proclamazione a Nizza della Corte dei diritti fondamentali dell’UE;è stata lanciata al Consiglio europeo di Nizza nel dicembre 2000. La Carta dei diritti fondamentali ha sancito un complesso di diritti fondamentali,articolato sui valori della dignità,della libertà,dell’eguaglianza,della solidarietà,della cittadinanza europea,della giustizia. Lo scopo dell’iniziativa enunciato a Colonia era di rendere più visibili i diritti fondamentali all’interno dell’esperienza comunitaria.

Il Trattato di LisbonaIl successivo Consiglio europeo di Laeken,nel dicembre 2001,aveva precisato ancor meglio i tratti salienti del futuro scenario,sottolineando l’esigenza di valutare l’opportunità dell’adozione nell’UE di un testo costituzionale;lavoro affidato alla Convenzione il cui esito dei lavori si è tradotto in un progetto di Trattato-Costituzione,firmato a Roma il 20 ottobre 2004. Tutto ciò è stato interrotto per il no referendario in Francia e nei Paesi Bassi,salvo poi riprendere il cammino nel giugno 2007,dove il Consiglio Europeo con un’apposita Conferenza intergovernativa avrebbe dovuto limitarsi a tradurre in Trattato. Il Trattato di riforma è stato firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed è entrato in vigore il 1 dicembre 2009.Il Trattato di Lisbona merita due osservazioni,sul contenuto e sul metodo. Il terzo pilastro viene definitivamente comunitarizzato,con qualche residua differenza procedimentale e di controllo giurisdizionale.Il Parlamento avrà una maggiore incidenza sul processo decisionale,già pure in tempi lunghi,attraverso ulteriori ipotesi di codecisione e maggiormente particolare quanto al controllo nell’applicazione del principio di sussidarietà. L’assetto istituzionale cambia significativamente,con l’ingresso tra le istituzioni del Consiglio europeo,il cui Presidente avrà un mandato rinnovabile di due anni e mezzo;avremo due Presidenti,uno del Consiglio europeo e l’altro del Consiglio,con il solito mandato semestrale,con qualche possibile criticità quanto alla delimitazione delle rispettive competenze.Aggiustamenti migliorativi del sistema sono rimasti nel Trattato di Lisbona,che pertanto segna comunque un passo avanti e compensa qualche delusione.

Parte Prima-Il Sistema giuridico dell’UELe Istituzioni dell’UEIl Trattato di Lisbona ha ridisegnato il quadro istituzionale dell’UE con l’obiettivo di promuovere i valori,perseguirne gli obiettivi.Nel nuovo assetto sono qualificate istituzioni dell’UE:Parlamento;Consiglio europeo;Consiglio;Commissione;Corte di Giustizia dell’UE;Corte dei Conti;Banca Centrale Europea.In questa cornice sono state introdotte nuove figure,in particolare il Presidente del Consiglio europeo e l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e per la politica di sicurezza.

Il Parlamento Europeo(sede amministrativa Lussemburgo;riunioni Bruxelles;sessione plenaria Strasburgo)Il Parlamento europeo è composto dai rappresentanti dei cittadini dell’UE. Esso esercita,congiuntamente al Consiglio,la funzione legislativa e la funzione di bilancio,nonché,funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati;ed elegge il Presidente della Commissione (art 14).Originariamente Assemblea comune,poi Assemblea parlamentare europea,in concomitanza con la creazione della CEE e dell’EURATOM,finalmente Parlamento europeo in virtù di una sua decisione del 30 marzo 1962 e poi dell’Atto Unico,l’istituzione fu per molti anni composta da membri dei Parlamenti nazionali,da questi designati,sì che la rappresentatività dei popoli riuniti nella Comunità era indiretta e imperfetta.

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L’elezione diretta dei membri del Parlamento fu decisa da un atto del Consiglio europeo del 20 settembre 1976 e successivamente realizzata con apposite leggi nazionali. Le prime elezioni si sono svolte nel 1979 in base a sistemi elettorali diversi.Il numero dei membri,che nella legislativa 2009-2014 è di 736,nella legislativa 2014-2019 non potrà essere superiore a 751;il Consiglio europeo può modificare la composizione (art 14 n 2,comma 2).I parlamentari hanno un mandato di cinque anni e sono divisi in gruppi politici e non in gruppi nazionali. Stando alla formulazione del Trattato,i membri del Parlamento dovrebbero rappresentare i cittadini dell’UE collettivamente considerati.Il Capo III del Protocollo n.7,precisa le immunità ed i privilegi riconosciuti ai membri del Parlamento. I parlamentari europei non possono essere ricercati,detenuti o perseguiti per le loro opinioni o per i voti espressi nell’esercizio della loro funzione. Allo stesso Parlamento europeo è riconosciuta la possibilità di privare un parlamentare della immunità in parola.Ai sensi dell’art 231 TFUE il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei suffragi espressi. Il quorum è raggiunto quando sono presenti in aula 1/3 dei membri;le delibere si ritengono valide a meno che non venga constatata la mancanza del membro legale. In taluni casi è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento europeo:per l’elezione del Presidente della Commissione;in materia di procedura semplificata di revisione dei trattati;per l’ammissione di nuovi stati. E’ richiesta la maggioranza dei componenti e dei 2/3 terzi dei voti espressi,per l’approvazione della mozione di censura sull’operato della Commissione (art 234) e per la constatazione del rischio evidente di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori su cui fonda l’UE (art 354,4°comma).Il Parlamento ha poteri di controllo,inoltre,partecipa al processo di formazione delle norme e a quello di approvazione del bilancio.Il Trattato di Lisbona,modificando la procedura di nomina della Commissione,ha introdotto in questa materia significative novità proprio nel senso di una più consistente partecipazione del Parlamento:è chiamato ad eleggere il Presidente della Commissione proposto dal Consiglio europeo;deve esprimere un voto di approvazione del Presidente,dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e degli altri commissari collettivamente considerati,che sono formalmente nominati solo in un momento successivo dal Consiglio europeo (art 17).La Commissione è inoltre tenuta a presentare annualmente al Parlamento una relazione generale sull’attività svolta nell’anno precedente,nonché,relazioni annuali sulla situazione dell’agricoltura,sulla situazione sociale e sulla politica di concorrenza. In tali occasioni,il Parlamento procede al loro esame (art 233).Significativa è la possibilità per il Parlamento di pronunciare una censura sull’operato della Commissione,da approvare con la maggioranza dei membri. Se il Parlamento utilizza questo strumento,i membri della Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni.Il Parlamento partecipa alla funzione normativa:si tratta di una partecipazione sempre più intensa al processo di formazione degli atti dell’UE (art 289 e 294) e di conclusione di accordi internazionali (art 218). Tale partecipazione si manifesta con modalità ed intensità diverse a seconda dei casi e del tipo di procedura prevista di volta in volta dal Trattato.Il Parlamento gode ormai di un vero e proprio potere generale di pre-iniziativa legislativa. In virtù dell’art 255 TFUE può chiedere alla Commissione di presentare proposte adeguate quando reputi necessaria l’adozione di un atto dell’UE.I Trattati di riforma hanno rafforzato il ruolo del Parlamento:il Trattato di Nizza ha collocato il Parlamento sullo stesso piano della Commissione e del Consiglio quanto alla possibilità di adire la Corte di Giustizia sollevando l’azione di annullamento ex art 263 TFUE. Il Trattato di Lisbona ha accresciuto ancor più il ruolo del Parlamento europeo,estendendo la procedura di codecisione (ex art 251 CE) divenuta “procedura legislativa ordinaria” (art 294 TFUE) coinvolgendolo nella definizione degli accordi internazionali negoziati dalla Commissione e dal Consiglio ai sensi dell’art 218 TFUE attribuendo al Parlamento una posizione equiparata al Consiglio,ampliandone il ruolo nella procedura di revisione dei trattati e accrescendone anche il ruolo di controllo delle funzioni esecutive della Commissione.

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Il Consiglio EuropeoIl Consiglio europeo è nato dalla prassi delle riunioni al vertice fra i Capi di Stato o di Governo degli Stati membri,che dal 1961 e fino ai primi anni 70 si sono tenute senza una cadenza regolare,per discutere questioni attinenti alla vita ed allo sviluppo delle Comunità. Tale prassi trovò una prima formalizzazione al vertice di Parigi del dicembre 1974,in cui i capi di Stato e di Governo decisero per l’appunto di riunirsi come “Consiglio Europeo” con cadenza periodica (3 volte l’anno) e sotto la presidenza del Capo di Stato o di Governo che esercita la presidenza del Consiglio della Comunità. Il Trattato di Lisbona ha inserito il Consiglio Europeo a pieno titolo tra le istituzioni dell’UE (art 13 TUE e artt 235 e 236 TFUE);risulta confermato il suo ruolo d’impulso e di definizione degli orientamenti e delle priorità politiche generali,necessari allo sviluppo dell’UE.Le novità più significative introdotte dal Trattato di riforma riguardano la composizione. Ai sensi dell’art 15 TUE,il Consiglio europeo è composto dai Capi di Stato o di Governo degli stati membri e dal suo Presidente e dal Presidente della Commissione. L’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri partecipa ai lavori,senza farne parte.All’esigenza di raccordo con il Parlamento risponde la relazione del Presidente del Consiglio europeo al Parlamento dopo ciascuna riunione. Il Consiglio europeo si riunisce due volte a semestre su convocazione del Presidente;per quanto riguarda la procedura di voto,il Consiglio europeo si pronuncia per consenso,salvi i casi in cui i trattati dispongono diversamente (art 15). Il Consiglio europeo può deliberare a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice. Non partecipano alla votazione i Presidenti del Consiglio europeo e della Commissione.Novità rilevante è la stabilità attribuita al Presidente,eletto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata per un periodo di due anni e mezzo,rinnovabile una volta e preclusivo di ogni mandato nazionale.Il Consiglio europeo ha assunto un ruolo importante nel processo decisionale dell’UE,nel processo di formazione delle istituzioni,nella nomina della Commissione (art 17) nella gestione delle procedure di revisione semplificate (art 48) e soprattutto grazie al suo Presidente contribuisce a disegnare il volto esterno dell’UE.L’art 14 TUE sancisce che il Consiglio europeo ha un ruolo d’impulso e di definizione degli orientamenti politici generali,necessari allo sviluppo dell’UE;e precisa che esso non esercita funzioni legislative.Il Consiglio ha una funzione di indirizzo politico nel settore della politica estera e di sicurezza comune giacchè espressamente stabilito,all’art 22 TUE,che esso definisce gli interessi e gli obiettivi strategici dell’azione esterna dell’UE,nonché,le questioni che hanno implicazioni in materia di sicurezza (art 26).

Il Consiglio(sede Bruxelles)Il Consiglio dell’UE è composto dai rappresentanti di tutti gli Stati membri,scelti nell’ambito dei rispettivi governi,normalmente con il rango di Ministri.E’un organo a composizione variabile e si riunisce pertanto in diverse formazioni,il cui elenco è adottato a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo (art 236 TFUE) ad eccezione delle formazioni “affari generali” e “affari esteri” che sono definite dal Trattato (art 16 TUE).Il Consiglio affari generali assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del Consiglio e rappresenta un momento di collegamento rispetto al Consiglio europeo;il Consiglio affari esteri elabora l’azione esterna dell’UE secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’UE.La presidenza delle formazioni del Consiglio è esercitata da gruppi predeterminati di tre Stati membri per un periodo di 18 mesi,secondo un sistema di rotazione paritaria,stabilito da una deliberazione,a maggioranza qualificata,del Consiglio europeo (art 16 TUE). La presidenza ha anche valenza politica,che si può manifestare sia nella convocazione delle riunioni,sia più in generale nell’impulso da attribuire ai diversi argomenti di discussione e di deliberazione.Il Consiglio,che è ed agisce come istituzione dell’UE,in alcuni casi agisce come organo che riunisce gli Stati membri;i rappresentanti si riuniscono e deliberano in quanto tali e non in quanto componenti del Consiglio;e

la deliberazione è presa da un organo intergovernativo:è il caso della nomina della Corte di Giustizia (art 253 TFUE).

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Il Consiglio è assistito da un Segretario generale,che ne rappresenta il supporto funzionale ed amministrativo.Il COREPER (Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri) composto da rappresentanti diplomatici di tutti gli stati membri accreditati presso l’UE,è una struttura che con il tempo ha acquisito sempre maggiore rilievo;il suo ruolo è stato definitivamente sancito dal Trattato di fusione:è responsabile della preparazione del lavoro del Consiglio e della realizzazione dei compiti attribuiti dallo stesso Consiglio. Il COREPER è un organismo autonomo,cui è anche attribuito il potere di adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno;coordina il lavoro delle tante commissioni tecniche che preparano l’attività normativa del Consiglio e ne rappresenta al tempo stesso il filtro politico.Al Consiglio è stato attribuito un vasto potere normativo e di coordinamento;ai sensi dell’art 26 TUE:”il Consiglio esercita,congiuntamente al Parlamento europeo,la funzione legislativa e la funzione di bilancio”.Il potere legislativo si manifesta attraverso l’adozioni di direttive e di regolamenti le due principali espressioni dell’attività normativa.Le deliberazioni del Consiglio sono prese a maggioranza qualificata;questa maggioranza va calcolata con riferimento alla ponderazione dei voti per ciascuno stato membro,stabilita dall’art 16 TUE(teca) e dall’art(Nami Fuoco) 238 TFUE. Fino al 31 ottobre 2014 la soglia di validità delle delibere è di 255 voti favorevoli della maggioranza degli stati membri quando sono adottate su proposta della Commissione;negli altri casi è di 255 voti favorevoli dei 2/3 degli stati membri. A partire dal 1 novembre 2014 per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri del Consiglio,almeno al 65% quando il Consiglio delibera su proposta della Commissione o dell’Alto rappresentante. Nel caso in cui la proposta non sia della Commissione o dell’Alto rappresentante,per maggioranza qualificata si intende almeno il 72% dei membri del Consiglio che totalizzano il 65% della popolazione.Per alcune deliberazioni è richiesta l’unanimità:è prevista ogni volta che il Consiglio voglia discostarsi dalla posizione formalmente espressa dalla Commissione,ovvero,quando sulla posizione del Consiglio vi sia stato un voto negativo del Parlamento (art 19-21-115-192-346-218-352 TFUE).

La CommissioneLa Commissione è un organo di individui,nel senso che i suoi membri esercitano le loro funzioni in piena indipendenza nell’interesse generale della Comunità e non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo,istituzione,organo o organismo (art 17 TUE) fatta eccezione per la figura dell’Alto rappresentante dell’UE.Istituzione che nel luglio 1967 ha sostituito l’Alta Autorità della CECA e le Commissioni CEE ed EURATOM.Fino al 31 ottobre 2014 la Commissione sarà composta da un cittadino di ciascuno stato membro,compreso il Presidente e l’Alto rappresentante dell’UE. A decorrere dal 1 novembre 2014 il numero di membri potrebbe essere ridotto in modo da corrispondere ai 2/3 del numero degli stati membri,a meno che il Consiglio deliberando all’unanimità non decida di modificare tale numero.Il mandato dei Commissari è rinnovabile ed è di cinque anni. La responsabilità di nomina del Presidente e dei membri della Commissione spetta al Consiglio europeo,il quale,tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato consultazioni appropriate,propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di Presidente,proposta che deve essere approvata dal Parlamento con deliberazione a maggioranza dei membri che lo compongono. Ai sensi della DICHIARAZIONE n.11 il Consiglio europeo e il Parlamento sono congiuntamente responsabili dell’intero processo che porta all’elezione del Presidente della Commissione.Il Consiglio procede,di comune accordo con il Presidente eletto,all’adozione dell’elenco delle altre persone che intende nominare come commissari,in conformità alle proposte avanzate da ciascun stato membro.La Commissione nel suo insieme è sottoposta ad un voto di approvazione del Parlamento europeo,a seguito del quale la Commissione è formalmente nominata dal Consiglio europeo,a maggioranza qualificata (art 17 TUE).Al Presidente è affidata l’organizzazione interna e il coordinamento dell’attività della Commissione:oltre a definire l’indirizzo politico della Commissione,egli gode di un potere piuttosto ampio nella strutturazione e nella ripartizione delle competenze ai singoli Commissari;previa approvazione del collegio,egli nomina i

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vice-presidenti,ad eccezione dell’Alto rappresentante e può fare rassegnare le dimissioni ai membri della commissione.Nei limiti del principio di collegialità e sotto il diretto controllo e potere direttivo del Presidente ciascun commissario ha la responsabilità di un settore di attività e può adottare misure di gestione specifiche.La Commissione ha un ruolo centrale nell’assetto istituzionale,in quanto partecipa in modo sostanziale al processo di formazione delle norme,ne controlla la puntuale esecuzione ed ha la rappresentanza dell’UE. Il potere di proposta degli atti legislativi è esclusivo della Commissione salvo che i trattati non dispongono diversamente. La proposta della Commissione può anche essere sollecitata dal Consiglio o dal Parlamento o dai cittadini dell’UE,in numero di almeno 1 milione,che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri.Alla Commissione spetta l’esecuzione del Trattato e degli atti derivati,sotto il duplice profilo del controllo sull’osservanza del diritto dell’UE e dell’esecuzione in senso proprio.Il potere di controllo (art 17 TUE) è generale e si intrinseca soprattutto nella verifica dell’osservanza degli obblighi da parte degli Stati membri. A tal fine è stato predisposto un meccanismo generale di contestazione delle infrazioni (art 258 TFUE) che la Commissione attiva nei confronti dello Stato membro inadempiente a mezzo di una messa in mora e quindi di un parere motivato;e che,in caso di persistente inadempimento conduce al ricorso della Commissione dinanzi alla Corte di Giustizia per l’accertamento giurisdizionale dell’infrazione.Sotto il profilo dell’esecuzione,la Commissione esercita funzioni di coordinamento,esecuzione e di gestione alle condizioni stabilite dai Trattati (art 17 TUE). Inoltre esercita il potere di esecuzione che,ai sensi dell’art 291 n.2 TFUE,atti giuridicamente vincolanti dell’UE espressamente le conferiscono,allorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione.La Commissione ha un autonomo potere di decisione in alcune ipotesi tassativamente specificate dal Trattato:all’art 101 n.3 (esenzioni individuali in materia di concorrenza);all’art 106 n.3 (imprese pubbliche);all’art 108 n.2 (aiuti di Stato). Nel caso dell’art 106 n.3,la Commissione prescinde dalla situazione specifica esistente in uno Stato membro,limitandosi a definire gli obblighi alla cui osservanza sono tenuti tutti,almeno quando lo strumento adottato sia la direttiva.

L’Alto rappresentante dell’UEIl Trattato di Lisbona ha introdotto una nuova figura istituzionale:l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza. La nomina spetta al Consiglio europeo con delibera a maggioranza qualificata e con l’accordo del Presidente della Commissione (art 18 TFUE). Soltanto il Consiglio europeo,con la stessa procedura per la nomina può porre fine al suo mandato. L’Alto rappresentante ha il compito di guidare la politica estera e di sicurezza comune,di contribuire con le sue proposte all’elaborazione di tale politica e di attuarla in qualità di mandatario del Consiglio (art 18 TUE).L’Alto rappresentante riveste un doppio ruolo,in quanto,da un lato,presiede il Consiglio nella formazione “affari esteri” e dall’altro,fa parte della Commissione essendo uno dei vice-presidenti:vigila sulla coerenza dell’azione esterna,ha la responsabilità dello svolgimento dei compiti attribuiti alla Commissione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento con gli altri aspetti dell’azione esterna dell’UE;nelle materie comprese sulla PESC,conduce a nome dell’UE il dialogo politico con i terzi ed esprime la posizione dell’UE nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali (art 27 TUE).

La Corte di Giustizia e il Tribunale dell’UELa Corte di Giustizia dell’UE è l’istituzione cui è stato attribuito il controllo giurisdizionale,da una parte,sulla legittimità degli atti e dei comportamenti delle istituzioni dell’UE rispetto ai trattati;dall’altra,sull’interpretazione del diritto comunitario:il controllo in fatto investe anche “l’armonia” del sistema giuridico dell’UE complessivamente considerato,in sostanza la compatibilità delle norme,degli atti amministrativi o delle prassi nazionali con il diritto dell’UE,trattati e atti di diritto derivato.La Corte di Giustizia dell’UE è l’istituzione dell’UE ai sensi dell’art 13;essa comprende la Corte di Giustizia,il Tribunale e i Tribunali specializzati (art 19 TUE).La Corte di Giustizia è composta da un giudice per stato membro ed è assistita da avvocati generali (art 19 TUE),il cui numero attualmente fissato in 8 dall’art 252 TFUE,potrà aumentare su richiesta della Corte di Giustizia con deliberazione unanime del Consiglio.

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Giudici ed avvocati generali hanno il medesimo statuto e sono nominati di comune accordo dagli stati membri,dunque dalla conferenza dei rappresentanti degli stati membri per la durata di 6 anni,tra personalità che offrano tutte le garanzie d’indipendenza e che riuniscano le condizioni per l’esercizio,nel Paese di appartenenza,delle più alte funzioni giurisdizionali o che siano giuristi di notoria competenza (il Trattato di Lisbona ha introdotto l’obbligo della previa consultazione di un comitato composto da 7 personalità tra ex membri della Corte di Giustizia e del Tribunale).Il Presidente della Corte viene eletto tra i giudici per 3 anni;egli dirige l’attività della Corte nel suo insieme,sotto il profilo sia giurisdizionale che amministrativo. Presiede le udienze plenarie,designa il giudice relatore per ogni causa ed esercita tutte le competenze che il regolamento di procedura gli attribuisce.L’avvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente “conclusioni” scritte e motivate nelle cause trattate dinanzi alla Corte. In base all’art 252 TFUE le conclusioni dell’avvocato generale sono presentate soltanto rispetto a quelle cause che,conformemente allo Statuto della Corte,lo richiedono. Il ruolo è di amicus curiae e di difensore del diritto:è il ruolo che nel sistema processuale italiano svolge la Procura della Repubblica in alcuni affari civili e il Procuratore generale della Corte di Cassazione,con la differenza che l’avvocato generale conclude per iscritto,su tutti i temi sollevati nel giudizio e quasi mai all’udienza.La Corte può sedere sia nella sua composizione plenaria,il c.d. gran plenum,ovvero,nella composizione di piccolo plenum,denominato “grande sezione” (13 giudici);sia in sezioni di 5 o di 3 giudici.I casi di ricorso alla plenaria sono invece limitate alle cause promosse contro il Mediatore per mancanza delle condizioni necessarie o colpa grave (art 228 TFUE),contro i membri della Commissione per violazione degli obblighi connessi all’esercizio delle loro funzioni (art 245 TFUE) e per il venire meno delle condizioni necessarie o colpa grave (art 247 TFUE),contro i membri della Corte dei Conti per mancanza di requisiti previsti o violazione degli obblighi derivanti dalla loro carica (art 286 TFUE).La Corte di Giustizia nomina per un periodo di 6 anni il Cancelliere,che oltre ad esercitare le funzioni normalmente connesse a questa figura,provvede all’amministrazione ed alla gestione finanziaria della Corte,sotto la responsabilità del Presidente.L’Atto Unico aveva previsto che il Consiglio potesse,con decisione unanime,su domanda della stessa corte di giustizia e previo parere della Commissione e del Parlamento,affiancare alla Corte un altro organo giurisdizionale. Tale previsione ha trovato attuazione in una decisione del 1988 con cui è stato istituito il Tribunale di primo grado della Comunità Europea. Il Tribunale è divenuto parte integrante dell’apparato giurisdizionale comunitario,senza che la sua stessa esistenza dipenda da un atto del Consiglio,il cui potere è ora limitato alla definizione dell’organizzazione e delle competenze del nuovo organo. Ai sensi dell’art 19 TUE il Tribunale è compreso nella Corte di Giustizia dell’UE (art 254 TFUE). Composto da almeno un giudice per stato membro,con requisiti sostanzialmente analoghi a quelli dei membri della Corte e nominati con le stesse modalità,previa consultazione del comitato di cui si è detto (art 255 TFUE),anche il Tribunale ha sede a Lussemburgo.La competenza del Tribunale,limitata in un primo tempo al contenzioso del personale ed ai ricorsi individuali in materia di concorrenza,è stata estesa ai ricorsi diretti (artt 263-265-268-270-278 TFUE),ad eccezione di quelli che lo Statuto riserva alla Corte di Giustizia (art 256 TFUE).Conformemente alle disposizioni introdotte dal Trattato di Nizza,lo Statuto ha alterato il riparto di competenze tra Corte di Giustizia e Tribunale,riservando alla prima soltanto i ricorsi di annullamento e in carenza presentati dalle istituzioni o dagli Stati riguardanti determinati atti del Parlamento e del Consiglio,nonché gli atti della Commissione in tema di cooperazione rafforzata (art 51 statuto). E’ stata attribuita al Tribunale la competenza a conoscere di tutti ricorsi avverso gli atti della Commissione prescindendo dalla qualità del ricorrente.L’art 256 TFUE conferma che si possa attribuire al Tribunale la competenza a conoscere le questioni pregiudiziali,sia pure in materie specifiche indicate nello Statuto:in questi casi,il Tribunale potrà anche decidere di rinviare la decisione alla Corte,qualora ravvisi “la necessità di una decisione di principio tale da poter compromettere l’unità o la coerenza del diritto comunitario”. E’ inoltre previsto dall’art 256 TFUE che la sentenza del Tribunale possa essere sottoposta alla procedura di RIESAME dinanzi alla Corte di Giustizia:potrà avvenire eccezionalmente e qualora sussistano “gravi rischi che l’unità e la coerenza del diritto comunitario siano compromesse”.

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26 aprile 1999 sancisce la possibilità che il Tribunale decida anche con giudice unico (decisione del Consiglio)Il Trattato di Nizza ha attribuito al Consiglio la facoltà di istituire “camere giurisdizionali”,denominate “Tribunali specializzati” dal Trattato di Lisbona,competenti a conoscere in primo grado di talune categorie di ricorsi in materie specifiche (art 257 TFUE).Il Tribunale della funzione pubblica è composto di 7 giudici,nominati per un periodo di 6 anni,rinnovabile.Le decisioni assunte dai Tribunali specializzati possono essere oggetto di impugnazione dinanzi al Tribunale per soli motivi di diritto;eccezionalmente,la sentenza del Tribunale in grado di appello può essere oggetto della procedura dinanzi ricordata di RIESAME dinanzi alla Corte di Giustizia,ove sussistano gravi rischi che l’unità o la coerenza del diritto dell’UE siano compromessi.

La Banca Centrale Europea(sede a Francoforte)Il Trattato di Lisbona ha inserito tra le istituzioni a pieno titolo la Banca Centrale Europea (art 13 TUE e art 282 TFUE). La BCE è entrata in funzione con l’inizio della terza fase dell’Unione Economica e Monetaria (UEM),così come il Sistema Europeo delle Banche Centrali,composto dalla BCE e dalle banche centrali degli Stati membri. La BCE ha un comitato esecutivo composto da un Presidente,un vice-presidente e 4 membri,nominati per 8 anni a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo,su raccomandazione del Consiglio e previa consultazione del Parlamento e del Consiglio direttivo della BCE.Sul piano delle funzioni,la BCE e le banche centrali nazionali degli stati membri conducono la politica monetaria dell’UE (art 282 TFUE). La BCE ha personalità giuridica ed ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione dell’EURO.La BCE è tenuta a trasmettere al Parlamento,al Consiglio ed alla Commissione un rapporto annuale,con una presentazione poi del Presidente al Parlamento che può dar luogo ad un dibattito generale (art 284 TFUE). Quanto al SEBC,questo è diretto dagli organi decisionali della BCE. L’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

La Corte dei Conti(sede a Lussemburgo)Istituita con il Trattato del 22 luglio 1975 che modificava talune disposizioni finanziarie dei Trattati,la Corte dei Conti è compresa formalmente nel novero delle istituzioni di cui all’art 13 TUE.E’ organo di individui ed è composta da un cittadino per stato membro,designati dai rispettivi governi tra personalità che abbiano maturato un’esperienza nelle istituzioni nazionali di controllo,ovvero,che posseggano qualificazioni specifiche per tale funzione. I membri designati sono nominati dal Consiglio con deliberazione a maggioranza qualificata,previa consultazione del Parlamento (art 286 TFUE) e restano in carica 6 anni.La corte dei conti,oltre ad assistere l’autorità di bilancio nell’esercizio della funzione di controllo sull’esecuzione del bilancio,ha il compito di assicurare il controllo sulla gestione finanziaria dell’UE;a tal fine essa esamina tutte le entrate e le spese dell’UE e degli organismi da questa creati,tranne espressa conclusione.Alla chiusura dell’esercizio,la Corte dei Conti presenta la relazione annuale,con una dichiarazione di affidabilità dei conti e di regolarità delle operazioni comunicata alle altre istituzioni e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale insieme alle risposte delle istituzioni ai suoi rilievi.La corte dei conti è legittimata ad agire dinanzi alla Corte di Giustizia limitatamente alla difesa delle proprie prerogative al pari della BCE e del Comitato delle Regioni. I suoi atti,in quanto non vincolanti,non sono impugnabili.

Altri OrganiUn gran numero di organismi,alcuni dei quali creati dai trattati istitutivi o con modifiche intervenute successivamente,altri mediante atti di diritto derivato,altri ancora addirittura con accordi internazionali dei quali l’UE è parte,intervengono nella vita e nell’attività dell’UE in modo più o meno incisivo. Il Trattato di

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Lisbona ha classificato il Comitato Economico e Sociale ed il Comitato delle Regioni,entrambi con sede a Bruxelles,come organi consultivi dell’UE (art 300 TFUE)Il Comitato Economico e Sociale (CES) è composto dai rappresentanti di diverse categorie della vita economica e sociale,per un totale pari a 344,che non potrà superare i 350 in base al nuovo art 301 TFUE. I membri sono nominati per 5 anni dal Consiglio sulla base delle proposte presentate da ciascun stato membro,previa consultazione della Commissione ed eventualmente dalle organizzazioni rappresentative dei diversi settori economici e sociali e della società civile interessati dall’attività dell’UE (art 302 TFUE).Il Comitato delle Regioni istituito dal Trattato di Maastricht è un organo consultivo. Al pari del CES è un organo di individui,i suoi membri sono nominati dal Consiglio,sulla base della proposta degli Stati membri,per un periodo di 5 anni. Il Comitato delle Regioni deve essere consultato nei casi previsti dal Trattato o quando il Consiglio,la Commissione o il Parlamento lo ritengano opportuno;può anche formulare pareri di propria iniziativa,in particolare quando sia stato consultato il CES su problemi che investono interessi regionali specifici. Tra le novità più significative introdotto dal Trattato di Lisbona vi è il riconoscimento al Comitato delle Regioni del potere di ricorso alla Corte di Giustizia,in particolare per denunciare la violazione del principio di sussidarietà,qualora tale violazione sia dovuta ad atti legislativi sui quali è richiesta la sua consultazione. L’art 8 del Protocollo n.2 sull’applicazione dei principi di sussidarietà e di proporzionalità va letto congiuntamente al 3°comma,dell’art 263 TFUE,che annovera il Comitato delle Regioni tra i ricorrenti “quasi privilegiati”,dato che può impugnare gli atti dell’UE soltanto al fine di salvaguardare le proprie prerogative.La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) è inserita da sempre nello scenario istituzionale comunitario in senso lato,anche se non è mai stata compresa tra le istituzioni. La BEI è disciplinata dalle conferenti norme del Trattato sul funzionamento (art 308 e 309 TFUE). La BEI opera sui mercati finanziari sostanzialmente come un istituto di credito,anche se non ha fini di lucro e si muove in ogni caso nell’ottica dello sviluppo equilibrato e “senza scosse” del mercato comune.Il Trattato di Maastricht ha introdotto la figura del Mediatore Europeo. Il ruolo è quello di un Defensor Civitatis che ha funzioni di controllo sull’esecutivo,di difensori di quegli interessi dei cittadini nei confronti dell’autorità la cui lesione non sarebbe traducibile in azioni giudiziarie. Egli riceve le denunce di qualsiasi cittadino dell’UE,o di qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede in uno Stato membro relativamente a casi di cattiva amministrazione nell’attività delle istituzioni dell’UE,fatta eccezione,è ovvio,per la Corte di Giustizia e il Tribunale nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Sulla base di tale denuncia o anche di propria iniziativa,il Mediatore svolge le indagini che ritiene utili,e in caso di conclusione positiva,ne investe l’autorità interessata;quest’ultima gli deve comunicare il proprio punto di vista entro 3 mesi. All’esito della procedura,il Mediatore trasmette una relazione al Parlamento europeo e all’istituzione interessata,informando il denunciante del risultato delle indagini. Vi sono inoltre alcune Agenzie che hanno competenze per lo più tecniche e/o di supporto informativo per gli stati membri e per le istituzioni dell’UE. Da un lato,le agenzie assumono compiti delegati delle istituzioni europee,dall’altro,sono localizzate in maniera sparsa sul territorio degli stati membri. Le Agenzie dipendono generalmente dalla Commissione,che mantiene la responsabilità finanziaria. Gli obiettivi delle Agenzie comunitarie possono essere molteplici:alcune agenzie svolgono una funzione di informazione e di coordinamento,altre sono dotate di un potere di adottare decisioni individuali vincolanti o di un potere di raccomandare.Nell’ambito del settore della cooperazione giudiziaria e di polizia,va menzionato l’Eurojust,ossia,Unità europea di cooperazione giudiziaria,già introdotto dal Trattato di Nizza e ulteriormente disciplinato dal Trattato di Lisbona (art 85 TFUE). Esso ha competenze in materia di lotta alla criminalità organizzata,al fine di rafforzare la cooperazione tra le autorità giudiziarie e le altre autorità competenti degli Stati membri responsabili dell’azione penale.Tra gli organismi menzionati dal Trattato va altresì ricordato l’Europol,il cui compito è di sostenere e potenziare l’azione delle autorità di polizia e degli altri servizi incaricati dell’applicazione delle legge degli stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta contro la criminalità grave che interessa 2 o più stati membri,il terrorismo e le forme di criminalità che ledono un interesse comune oggetto di una politica dell’UE (art 88 TFUE).

Il Ruolo delle Istituzioni:A) nel processo di formazione delle Norme

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Il Trattato di Lisbona ha introdotto sostanziali novità quanto all’iter di procedura di formazione degli atti. Ai sensi degli artt 14 e 16 TUE la funzione legislativa è esercitata congiuntamente dal Consiglio e dal Parlamento;tale competenza può essere esercitata attraverso la procedura legislativa ordinaria oppure,le procedure legislative speciali,a seconda della specifica previsione dei Trattati.L’art 48 prevede che il Consiglio europeo possa adottare,all’unanimità e previa approvazione del Parlamento europeo,una delibera con la quale autorizzi l’utilizzo della procedura ordinaria per l’adozione di atti legislativi,per i quali è previsto,invece,una procedura speciale.L’art 296 TFUE dispone che in presenza di un progetto di atto legislativo sia il Parlamento europeo sia il Consiglio debbano astenersi dall’adottare atti non previsti dalla procedura legislativa applicabile allo specifico settore.La funzione normativa è esercitata nella sostanza dal Consiglio,con la partecipazione sempre più significativa del Parlamento.La responsabilità principale in ordine alla realizzazione degli obiettivi ricade sull’insieme degli Stati e dunque sul Consiglio,sia pure con il necessario temperamento del criterio della maggioranza;i membri del Consiglio,in quanto rappresentanti dei governi nazionali,conservano pur sempre una legittimazione e con essa una responsabilità diretta nei confronti dei cittadini. La procedura legislativa ordinaria La procedura legislativa ordinaria è disciplinata dall’art 294 TFUE. La Commissione presenta una proposta al Parlamento ed al Consiglio. L’art 289 TFUE prevede che gli atti legislativi possono essere adottati su iniziativa di un gruppo di Stati membri o del Parlamento europeo,su raccomandazione della BCE o su richiesta della Corte di Giustizia o della BEI.Sulla proposta il Parlamento europeo adotta la sua posizione che trasmette al Consiglio. Se il Consiglio approva tale posizione,l’atto “è adottato nella formulazione che corrisponde alla posizione del Parlamento europeo”(art 294). Se,invece,il Consiglio non approva la posizione del Parlamento esprime la sua posizione,in prima lettura,e la comunica al Parlamento,che deve anche essere informato esaurientemente dei motivi che hanno indotto il Consiglio ad adottare quella posizione,così come della posizione della Commissione.Inizia così la fase chiamata seconda lettura. Il Parlamento ha 3 mesi di tempo per approvare la posizione del Consiglio,in tal caso l’atto si considera adottato “nella formulazione che corrisponde alla posizione del Consiglio”. Lo stesso è da dirsi se il Parlamento non si pronuncia nei 3 mesi.Il quadro cambia se il Parlamento,a maggioranza dei suoi membri,dichiara di voler respingere la posizione del Consiglio,ovvero,propone emendamenti. Nel primo caso l’atto si considera non adottato. Se viceversa sono solo proposti degli emendamenti,il Consiglio entro 3 mesi può accoglierli tutti e procedere così all’adozione dell’atto,modificando pertanto la previa posizione,a maggioranza qualificata,ovvero,all’unanimità qualora la Commissione abbia espresso parere negativo sugli emendamenti del Parlamento. Nell’ipotesi in cui il Consiglio non approvi l’atto in questione,viene attivato il Comitato di Conciliazione (art 294);composto da un numero pari di membri delle due istituzioni e con la partecipazione ai lavori anche dalla Commissione,che ha il compito di favorire il ravvicinamento delle posizioni a confronto,il Comitato di Conciliazione viene convocato dal Presidente del Consiglio,d’intesa con il Presidente del Parlamento. Le ipotesi sono 2: il Comitato riesce in 6 settimane a definire un progetto comune,basandosi sulle posizioni del Parlamento europeo o del Consiglio; se entro il termine non è stato approvato un progetto comune,l’atto proposto si considera definitivamente non adottato.Qualora il Comitato approvi un progetto comune inizia la terza lettura. Il progetto dovrà essere approvato definitivamente nelle 6 settimane successive,dal Parlamento a maggioranza dei voti espressi e dal Consiglio a maggioranza qualificata;in mancanza dell’approvazione di una delle 2 istituzioni,l’atto si considera non adottato.

Le procedure legislative speciali Una procedura legislativa speciale si ha in tutti i casi in cui i trattati prevedono l’adozione di un atto da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o viceversa (art 289 TFUE).Soltanto in 3 casi l’adozione dell’atto è attribuita al Parlamento con la partecipazione del Consiglio:

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approvazione del proprio statuto (art 223 TFUE); fissazione delle modalità dell’esercizio del diritto d’inchiesta dello stesso Parlamento (art 226 TFUE); adozione dello statuto e delle condizioni generali per l’esercizio delle funzioni del Mediatore europeo (art 228 TFUE).

Più frequenti sono i casi in cui la delibera del Consiglio deve essere preceduta dalla consultazione del Parlamento,che non è vincolante ma obbligatoria. La consultazione del Parlamento assume il carattere di elemento sostanziale della validità dell’atto,che dunque sarà viziato da nullità quando se ne riscontri l’omissione. La consultazione rappresenta uno strumento di effettiva partecipazione del Parlamento al processo legislativo dell’UE,elemento essenziale dell’equilibrio istituzionale ed espressione di un fondamentale principio della democrazia.La procedura di consultazione risulterà rispettata solo nel caso in cui il testo definitivo di un atto,quale approvato dal Consiglio,sia “sostanzialmente identico” a quello contenuto nella proposta su cui il Parlamento aveva espresso il proprio parere.In talune ipotesi l’adozione di un atto legislativo è subordinata alla previa approvazione del Parlamento europeo. E’ il caso della procedura uniforme di elezione del Parlamento (art 223 TFUE);accordi di associazione;dell’accordo sull’adesione dell’UE alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali;l’ammissione di nuovi stati (art 49 TUE). L’approvazione del Parlamento,in tali casi,oltre che obbligatoria,è vincolante;ciò implica che il Parlamento dispone anche in tali materie di un sostanziale diritto di veto.

la formazione degli atti nel settore della politica estera e di sicurezza comune Secondo l’art 30 del Trattato UE,”ogni Stato membro,l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri o la politica di sicurezza,o l’Alto rappresentante con l’appoggio della Commissione possono sottoporre al Consiglio questioni relative alla politica estera e di sicurezza comune e possono presentare rispettivamente iniziative o proposte al Consiglio”.L’art 31 TUE impone di regola l’unanimità per l’adozione di qualunque tipo di decisione,con alcuni correttivi tesi ad attenuare in qualche misura la rigidità che ne deriva ed a scongiurare il rischio d’immobilismo;il Consiglio può deliberare a maggioranza qualificata quando:adotta una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’UE sulla base di una decisione del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dell’UE,nonché “una decisione che definisce un’azione comune o una posizione dell’UE in base a una proposta dell’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest’ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziativa dell’Alto rappresentante”;quando adotta “decisioni relative all’attuazione di una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’UE”;quando nomina un rappresentante speciale ex art 18 n.5.

B) nell’approvazione del bilancioL’UE era in origine finanziata con contributi degli Stati membri,così come l’Euratom. Attualmente,l’art 311 TFUE sancisce che il bilancio dell’UE,fatte salve le altre entrate,è finanziato integralmente tramite risorse proprie. Il sistema di finanziamento dell’UE è fondato su un meccanismo sostanzialmente intergovernativo. La decisione che definisce l’ammontare delle risorse proprie è presa all’unanimità ed è per giunta sottoposta alle procedure di adattamento degli Stati membri;dunque ha natura convenzionale.Le spese,ai sensi dell’art 312 TFUE devono essere contenute entro i limiti delle risorse proprie e sono programmate su base pluriennale attraverso un quadro finanziario,adottato dal Consiglio all’unanimità previa approvazione del Parlamento europeo.Art 314 TFUE il Parlamento europeo ed il Consiglio ricevono dalla Commissione una proposta

contenente il progetto di bilancio non oltre il 1 settembre dell’anno che precede quello di esecuzione del bilancio stesso. Il Consiglio adotta la sua posizione sul progetto di bilancio e la comunica,per la prima lettura,al Parlamento,motivando la sua posizione del Consiglio oppure non deliberare:in entrambe le ipotesi il bilancio è adottato. Nel medesimo termine,il Parlamento può proporre emendamenti,con la maggioranza dei membri. In tale ipotesi inizia la fase della conciliazione:il Presidente del Parlamento,d’intesa con il Presidente del Consiglio,convoca senza indugio il Comitato di

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conciliazione,il quale è chiamato a riunirsi soltanto se entro 10 giorni il Consiglio non comunica di approvare tutti gli emendamenti. In caso negativo,il Comitato di Conciliazione,composto dai rappresentanti delle due istituzioni,ha il compito di giungere ad un accordo su un progetto comune,tenendo in considerazione le posizioni delle 2 istituzioni. Se entro 21 giorni dalla convocazione l’accordo non viene raggiunto,la Commissione deve presentare un nuovo progetto di bilancio. Se l’accordo è raggiunto,Parlamento e Consiglio dispongono di 14 giorni per approvare il progetto comune.

Quando la procedura è stata espletata,il Presidente del Parlamento “constata che il bilancio è definitivamente adottato”.L’esecuzione del bilancio è curata dalla Commissione,in cooperazione con gli Stati membri,nei limiti dei crediti stanziati ed in conformità del principio della buona gestione finanziaria.

C) nella stipulazione di accordi internazionaliL’UE ha la capacità di stipulare accordi internazionali,con Stati terzi e con altre organizzazioni internazionali. L’art 47 TUE afferma “L’UE ha personalità giuridica”.Il Trattato attribuisce espressamente all’UE il potere di stipulare accordi tariffari e commerciali,nel contesto delle competenze relative alla politica commerciale comune (art 206 TFUE);nonché accordi di associazione con uno o più stati terzi o con organizzazioni internazionali (art 217 TFUE).E’ ben chiaro già dall’art 207 TFUE che la materia della politica commerciale comprende tutti gli accordi sugli scambi di merci. Inoltre,si è riconosciuto che il potere si estendeva anche agli accordi che comprendevano i prodotti di cui all’art 71 del Trattato CECA;a quelli sul commercio dei prodotti agricoli,anche se le misure interne di attuazione si fondano sull’art 43 TFUE.L’art 207 TFUE ha compreso nell’ambito della politica commerciale comune,gli scambi di servizi,gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale,gli investimenti esteri e diretti e le misure di protezione commerciale.Le modalità di esercizio della competenza dell’UE a stipulare accordi internazionali sono disciplinate dall’art 218 TFUE,che attribuisce al Consiglio la fase di avvio dei negoziati,definizione delle direttive di negoziato,autorizzazione alla firma e conclusione;il Consiglio autorizza l’avvio dei negoziati su raccomandazione della Commissione o dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. E’ sempre il Consiglio competente a designare il negoziatore o il responsabile della squadra di negoziato,in ragione della materia oggetto dell’accordo. Il Consiglio adotta poi,con delibera a maggioranza qualificata una decisione relativa alla conclusione dell’accordo. Sulla stipulazione degli altri accordi internazionali,il Parlamento è chiamato a formulare semplicemente un parere prima della conclusione dell’accordo.E’ previsto che il Parlamento europeo,il Consiglio o la Commissione possono domandare alla Corte di Giustizia un parere circa la compatibilità di un accordo con i trattati.

Capitolo IILe Norme ConvenzionaliNorme primarie del sistema giuridico dell’UE sono anzitutto le norme convenzionali,contenute negli originari trattati istitutivi delle Comunità europee ed in quegli accordi internazionali che successivamente sono stati stipulati per modificare ed integrare i primi:TUETRATTATO SULL’UE ed TFUETRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UE.Tali norme regolano in via primaria la vita di relazione all’interno dell’UE,creando situazioni giuridiche soggettive in capo agli Stati membri,alle istituzioni europee e ai singoli. Le stesse norme,attribuiscono a loro volta forza e portata normativa agli atti delle istituzioni dell’UE,che per ciò stesso,ponendosi al secondo livello del sistema,formano il diritto europeo derivato.Al TUE ed al TFUE va aggiunta anzitutto la Carta dei Diritti Fondamentali che solo con il Trattato di Lisbona ha lo stesso valore giuridico dei Trattati (art 6 TUE).La natura giuridica dei trattati istitutivi,nonché delle integrazioni e modificazioni convenzionali intervenute nel corso degli anni,è quella di accordi internazionali nel senso pieno e proprio di tale espressione.

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I Trattati sono stati concepiti come strumento dell’integrazione europea,dunque,molto di più di un mezzo per coordinare politiche e armonizzare legislazioni. La sfera di applicazione territoriale del diritto dell’UE coincide con quella dell’insieme dei diritti nazionali. L’art 52 TUE enumera per esteso gli Stati membri cui si applica;la corrispondente disposizione del Trattato EURATOM (art 198) si riferisce anche ai territori,europei e non,degli stati membri sottoposti alla loro giurisdizione.Per alcuni territori degli stati membri sono previsti regimi particolari. Alcuni di essi sono sottratti del tutto all’applicazione dei Trattati (ISOLE FAR OER e le zone di CIPRO);altri vi sono sottoposti solo nei limiti espressamente sanciti dai conferenti trattati di adesione (ISOLE DI MAN e ISOLE NORMANNE);i dipartimenti francesi d’oltremare,nonché,le AZZORRE,MADEIRA e le CANARIE possono essere oggetto di misure specifiche in considerazione delle particolari condizioni geoeconomiche in cui versano. I c.d. Paesi e territori d’oltremare di cui all’allegato II dei Trattati,sono sottoposti allo speciale regime di associazione stabilito dalla parte IV del TFUE,e quindi esclusi dalla sfera di applicazione.L’art 355 TFUE non esclude che le norme europee possano produrre effetti anche al di fuori del territorio UE. E’ il caso delle norme sulla concorrenza,per le intese che producano effetti nel mercato comune pur se realizzate in Paesi Terzi;delle norme sulla circolazione delle persone,che trovano applicazione anche rispetto ad attività lavorative esercitate in uno Stato terzo.

La Revisione dei Trattati ed il Diritto di RecessoLa revisione dei Trattati dell’UE è disciplinata dall’art 48 TUE che prevede una procedura di revisione ordinaria e due procedure di revisione semplificate.La procedura di revisione ordinaria può essere attivata da uno Stato membro,dal Parlamento o dalla Commissione,tutti abilitati a sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i Trattati.L’art 48 TUE espressamente sancisce che tali progetti possono essere diretti “ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite all’UE nei Trattati”. I Progetti sono trasmessi al Consiglio europeo e notificati ai Parlamenti nazionali. Consultati il Parlamento europeo e all’occorrenza la Commissione,il Presidente del Consiglio europeo convoca una “Convenzione” dei rappresentanti dei Parlamenti nazionali,dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri,del Parlamento europeo e della Commissione.Il Consiglio può decidere a maggioranza semplice di non convocare la convenzione qualora si tratta di modifiche la cui entità non lo giustifichi. La convenzione è tenuta ad esaminare i progetti di modifica e ad adottare,per consenso,una raccomandazione che invia a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli stati membri.Le modifiche così adottate dovranno poi,per poter entrare in vigore,essere ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.Entrambe le procedure semplificate attribuiscono un ruolo preminente al Consiglio europeo ed escludono la convocazione tanto della convenzione quanto della conferenza dei rappresentanti dei governi degli stati membri.La prima di tali procedure è prevista per la modifica esclusivamente della parte III del TFUE,relativa alle politiche ed alle azioni interne dell’UE. I progetti volti a modificare la parte III TFUE sono inoltrati al Consiglio europeo da qualsiasi stato membro,dal Parlamento o dalla Commissione. Il Consiglio europeo adotta una decisione al riguardo,deliberando all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo,della Commissione o della BCE. La decisione entra in vigore “previa approvazione degli stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali” (art 48 TFUE).La seconda procedura semplificata contempla due ipotesi: la prima concerne la possibilità che il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata e non all’unanimità,laddove richiesta,nell’adozione di decisioni relative al TFUE o alla parte V del TUE,tranne che tali decisioni abbiano implicazioni militari i rientrano nel settore della difesa; la seconda ipotesi concerne la possibilità per il Consiglio di adottare atti legislativi secondo la procedura legislativa ordinaria e non secondo una procedura legislativa speciale,laddove prevista.In entrambi i casi l’iniziativa è presa dal Consiglio europeo all’unanimità previa approvazione del Parlamento europeo 9. La proposta di modifica è poi trasmessa ai Parlamenti nazionali che,entro 6 mesi,possono respingerla ed allora la decisione non è adottata,ovvero,in assenza di opposizione,la decisione è adottata dal Consiglio europeo ed entrerà in vigore senza ulteriore ratifica o approvazione da parte dei Stati membri.

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La natura internazionalistica dei Trattati dell’UE è confermata altresì dal diritto di recesso,disciplinato dall’art 50 TUE. Tale esplicita disposizione è stata introdotta dal Trattato di Lisbona. Con l’art 50 TUE è stata introdotta una procedura dettagliata e precisa per cui ogni Stato membro può decidere di recedere dal sistema dell’UE,conformemente alle proprie norme costituzionali. L’intenzione di recedere va notificata dallo stato membro interessato al Consiglio europeo che formula specifici orientamenti al tal riguardo.La conclusione dell’accordo è regolata dalla procedura di cui all’art 218 TFUE,con la differenza che lo Stato recedente,non parteciperà ai negoziati dalla parte dell’UE,né prenderà parte all’adozione della decisione in seno al Consiglio. ++

La ripartizione di competenze tra l’UE e gli Stati MembriNel Trattato di Lisbona il Titolo I della Parte I del TFUE,è dedicato espressamente all’enunciazione di “Categorie e settori di competenza dell’UE”. Accanto ai numerosi obiettivi,nuovi o diversamente formulati dell’UE,nel Trattato di Lisbona è a fin troppe riprese richiamato il principio delle competenze di attribuzione. L’art 5 TUE sancisce che la delimitazione delle competenze si basa sul principio di attribuzione e che l’esercizio delle stesse resta regolato dai principi di sussidarietà e di proporzionalità. Al 2°comma della stessa norma è ribadito che l’UE agisce nel rispetto dei limiti delle competenze che le sono state attribuite dagli Stati nei trattati per perseguire gli scopi da essi prefissati. L’art 5 TUE opera come norma di rinvio simultaneo a tutte le competenze che i Trattati attribuiscono all’UE. Non può dubitarsi che tra le “competenze che le sono attribuite” vanno annoverate sia quelle cui i Trattati fanno espresso riferimento sia quelle cui è fatto implicito rinvio.La competenza dell’UE può avere origine dall’art 352 TFUE (clausola di flessibilità) che predispone una formale procedura per l’ampliamento dei poteri,che seppur non espressamente attribuiti,sono tuttavia necessari per il raggiungimento dei fini assegnati all’organizzazione dei medesimi trattati. Tale norma attribuisce al Consiglio il potere di adottare,all’unanimità,su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento,le disposizioni del caso quando un’azione dell’UE,pur non espressamente prevista,si renda necessaria per raggiungere uno degli obiettivi fissati dai Trattati.L’art 352 TFUE prevede una formale procedura per l’integrazione dei poteri delle istituzioni,integrazione da effettuarsi nel rispetto di limiti e condizioni previsti dalla stessa norma;tali poteri sono stati interpretati almeno nella fase iniziale in modo estensivo dalla Corte di Giustizia. Attraverso l’uso dell’art 352 è stata legittimata l’azione dell’UE in settori quali la politica regionale e dell’ambiente,la politica industriale e del consumatore,la politica energetica e del turismo.L’ambito d’azione dell’UE non è illimitato,ma deve essere contenuto nei limiti segnati dai trattati. L’ultima parte del 2°comma dell’art 5 TUE,ricorda che “Qualsiasi competenza non attribuita all’UE nei trattati appartiene agli Stati membri”,che è esattamente il contenuto del principio delle competenze di attribuzioni,principio fondamentale e pacifico del sistema,secondo il quale le funzioni normative restano agli Stati e l’attribuzione all’UE costituisce l’eccezione.Ai sensi dell’art 2 TFUE,le competenze dell’UE sono distinte in esclusive e concorrenti. Accanto alle 2 categorie classiche,ne vengono inserite altre di natura e intensità diversa;le competenze rivolte a sostenere,completare e coordinare l’azione degli stati membri di cui agli art 5 e 6 TFUE;la competenza “per definire o attuare una politica estera e di sicurezza comune” art 4 TFUE. Nei settori di competenza esclusiva è stabilito che soltanto l’UE può emanare atti giuridicamente vincolanti.L’art 3 TFUE elenca espressamente i settori di COMPETENZA ESCLUSIVA. La competenza elusiva è prevista per la conclusione di accordi internazionali contemplati in atto legislativodell'Unione,ovvero,necessari per esercitare competenze interne,o,ancora,in grado di incidere su norme comuni o di modificarne la portata.Quanto ai settori di COMPETENZA CONCORRENTE,essi possono essere oggetto di attività legislativa sia da parte dell’UE sia da parte degli Stati.L’esercizio della competenza statale,nell’art 2 TFUE è costituito in termini residuali rispetto a quello dell’UE,giacchè è espressamente affermato che la competenza statale possa essere esercitata soltanto qualora le istituzioni non abbiano fatto uso della propria,oppure qualora abbiano deciso di cessare di esercitare la propria. Gli stati dispongono dell’intera competenza normativa qualora l’UE si astenga da qualsiasi forma d’intervento.L’art 4 TFUE enumera i principali settori di competenza concorrente.

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Accanto alle competenze ricordate,ne vanno annoverate altre di diversa portata,di cui è fatto riferimento negli art 5 e 6 TFUE. La prima disposizione affida al Consiglio il compito di fissare gli “indirizzi di massima” delle politiche economiche nazionali;ed attribuisce all’UE il coordinamento delle politiche occupazionali,mediante la definizione di orientamento e delle politiche sociali. Gli Stati mantengono singolarmente piena libertà di definire le proprie politiche economiche,occupazionali e sociali,fatta salva,da un lato,l’individuazione di parametri di regolazione condivisi dal Consiglio;dall’altro,l’esigenza di uno stretto e puntuale coordinamento in sede europea.La seconda disposizione introduce le azioni intese a sostenere,coordinare o completare l’azione degli stati membri qualora,nei settori indicati si programmino misure di “finalità europee”.L’enunciazione del principio di sussidarietà si trova dopo quello di attribuzione,a conferma della sua vera funzione di criterio flessibile attraverso il quale l’esercizio di determinate competenze viene spostato in capo all’UE o lasciato agli Stati membri sulla base di valutazioni di merito.L’intervento dell’UE nelle materie di competenza non esclusiva è costruito in termini negativi e vincolato al verificarsi di una duplice condizione,ovvero,che l’azione dell’UE per la portata o gli effetti sia più adeguata di quella a livello statale,regionale e locale e che gli obiettivi non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri. L’UE deve risultare più idonea rispetto ad uno stato membro a disciplinare un settore non tanto per il carattere transfrontaliero dell’azione da porre in essere,quanto per il grado di impatto che intende conferire all’azione medesima.La portata e l’intensità dell’azione dell’UE devono essere valutate,poi,in rapporto al principio di proporzionalità,che impone di graduare i mezzi prescelti rispetto alle caratteristiche dell’obiettivo di volta in volta perseguito. Si dovrà pertanto scegliere fra un intervento di tipo legislativo-regolamentare ed altre azioni,quali il mutuo riconoscimento,la raccomandazione,l’incentivazione di forme di cooperazione fra gli stati membri,l’adesione a convenzioni internazionali.Il principio di proporzionalità impone che l’esercizio di una determinata competenza risponda a 3 requisiti sostanziali: esso deve essere utile e pertinente per la realizzazione dell’obiettivo per il quale la competenza è stata conferita; deve essere necessario e indispensabile:qualora per il raggiungimento dello scopo possano essere impiegati vari mezzi,la competenza sarà esercitata in modo da recare meno pregiudizio ad altri obiettivi o interessi degni di eguale protezione; se queste condizioni sono soddisfatte sarà poi necessario provare che esista un nesso tra l’azione e l’obiettivo.Il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidarietà e di proporzionalità attribuisce ai Parlamenti nazionali un ruolo autonomo rispetto allo Stato membro di appartenenza;ai Parlamenti nazionali è affidato il controllo del rispetto del principio di sussidarietà, EX ANTE ed EX POST.Nella fase EX ANTE,la Commissione è tenuta a trasmettere ogni sua proposta e ogni proposta modificata contemporaneamente a Parlamenti Nazionali ed al legislatore dell’UE. Tale proposta deve essere motivata alla luce del principio di sussidarietà e di proporzionalità. Ogni Parlamento nazionale può presentare ai Presidenti del Parlamento europeo,della Commissione,entro 8 settimane,un parere motivato in cui dovranno essere contenute le ragioni per le quali la proposta è ritenuta non conforme al principio di sussidarietà.I Parlamenti nazionali possono presentare ricorso per violazione del principio di sussidarietà. Ad essi è riconosciuto un ruolo importante anche in fase di controllo EX POST che vede protagonista il giudice dell’UE,di cui è noto l’atteggiamento improntato a grande prudenza nel valutare la legittimità degli atti dell’UE alla luce del principio in parola.

I Principi del Diritto dell’UENel sistema dell’UE non esiste una norma di contenuto analogo all’art 38 dello statuto della Corte Internazionale di Giustizia,norma che prevede l’applicazione di principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili. Soltanto l’art 340 TFUE si limita a rinviare ai “principi generali comuni ai diritti degli Stati membri”:essa è stata utilizzata per evocare ed applicare principi comuni agli ordinamenti nazionali anche in materie diverse. Si tratta di principi propri del diritto dell’UE,a tutti gli effetti e a titolo originario,che non sono affatto presi soltanto a prestito di volta in volta da altri sistemi giuridici.

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Di frequente e significativa applicazione è il principio della certezza del diritto,nei suoi numerosi e diversi aspetti. Il principale profilo riguarda la trasparenza dell’attività dell’amministrazione,nel senso che la normativa dell’UE deve essere chiara e la sua applicazione prevedibile per coloro che vi sono sottoposti,in modo che possano agire in modo adeguato;lo stesso dicasi per l’attività richiesta alle amministrazioni nazionali.Al principio della certezza del diritto si è fatto riferimento in tema di termine ragionevole dato alla Commissione per pronunciarsi sulla compatibilità di aiuti statali notificati;di termine di decadenza ai fini di un ricorso in carenza;per affermare la non retroattività degli atti rispetto alla data di pubblicazione,salvo eccezioni;nonché per stabilire che la sentenza di annullamento di un atto o la sentenza pregiudiziale da cui si desume l’illegittimità di una normativa nazionale possa avere eccezionalmente effetti EX NUNC.Un aspetto ulteriore e di rilievo del principio della certezza del diritto è il principio del legittimo affidamento,espressamente ritenuto parte dell’ordinamento giuridico dell’UE ed utilizzabile come parametro di legittimità degli atti. In talune occasioni i due principi sono stati applicati contestualmente,l’uno per definire la regola e l’altro per limitarne l’eccezione.Il principio del legittimo affidamento viene in rilievo nell’ipotesi di modificazione improvvisa di una disciplina e la sua violazione può costituire motivo di invalidità della nuova disciplina;rileva nel caso che l’amministrazione abbia fatto nascere nell’interessato,con il suo comportamento o addirittura con le sue informazioni,una aspettativa ragionevolmente fondata;in tema di revoca di atti individuali illegittimi,possibile entro un termine ragionevole e tenuto conto del legittimo affidamento maturato dal destinatario.Non si può invocare il legittimo affidamento se sia fondato su un errore o comunque quando il comportamento invocato sia illegittimo;non lo si può invocare rispetto ad una prassi nazionale non conforme al diritto dell’UE;né un operatore avvertito può far valere il legittimo affidamento rispetto alla permanenza di una disciplina che la Commissione abbia ampio potere discrezionale di modificare.Il principio di proporzionalità è anche esso compreso tra i principi generali del diritto dell’UE. Esso consente di verificare la legittimità di un atto che imponga un obbligo,ovvero,una sanzione in base alla sua idoneità o necessità rispetto ai risultati che si vogliono conseguire. Il principio richiede che la sanzione in caso di violazione di un obbligo imposto dal diritto dell’UE non sia più grave di quanto è necessario;o che in caso di alternativa tra misure diverse nei confronti degli operatori sia adottata quella che impone oneri minori o quella meno restrittiva. Il principio di proporzionalità può soccorrere per verificare la legittimità dell’esercizio della facoltà di deroga concessa agli stati membri in vista di particolari esigenze. Un principio sovente utilizzato come chiave di lettura delle norme comunitarie è quello dell’effetto utile,che impone un’applicazione o anche una interpretazione delle stesse che sia funzionale al raggiungimento delle loro finalità.Di rilievo è anche la portata attribuita al principio di precauzione,sancito dal Trattato con riguardo alla tutela dell’ambiente (art 191 TFUE),ma che la Corte di Giustizia ha definito come un principio generale che impone l’adozione di misure atte a prevenire rischi per la sicurezza e la salute,oltre che per l’ambiente.La giurisprudenza ha fatto ricorso più volte e in contesti anche diversi al principio della leale cooperazione,ricavandolo,o,collegandolo all’art 4 n.3 TUE,limitandosi,però,ad un’affermazione di principio molto ampia,nel senso che il contenuto dell’obbligo di cooperazione dipende dalle disposizioni materiali del Trattato che di volta in volta vengono in rilievo,con riferimento anche alla struttura complessiva del sistema.Diversi significati del principio di leale cooperazione:1 in quanto dovere di leale cooperazione degli organi nazionali nei confronti delle istituzioni dell’UE,il

principio è venuto anzitutto in rilievo come obbligo di facilitare le istituzioni stesse nell’assolvimento dei loro compiti.Si è rilevato il dovere dello stato membro,nel corso di una procedura di infrazione in base all’art 258 TFUE di dare tutte le informazioni richieste alla Commissione o almeno di motivarne il rifiuto;di agevolare le inchieste ed i controlli della Commissione,ad esempio,di comunicare le misure adottate in attuazione di una direttiva.Il dovere di cooperazione delle autorità nazionali è venuto in rilievo come dovere di contribuire alla realizzazione degli obiettivi del Trattato,persino in carenza del legislatore dell’UE. L’ipotesi comprende 2 figure diverse. La prima è quella in cui lo Stato membro,pur in assenza di misure di

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armonizzazione,è comunque in grado di assicurare al singolo l’esercizio di una libertà fondamentale prevista dal Trattato. La seconda ipotesi è quella dell’obbligo affermato in capo agli stati membri di adottare misure temporanee fino all’adozione di misure dell’UE in materia di organizzazione comune dei mercati,cioè,in un settore dove la competenza dell’UE è esclusiva.Il dovere di cooperazione degli stati membri verso la comunità è venuto in rilievo al fine di garantire la portata e l’effettività del sistema giuridico dell’UE e con questo la piena efficacia dei diritti attribuiti ai singoli da norme dell’UE.Gli stati membri,così come sono tenuti ad adottare le misure necessarie perché i singoli possano godere al meglio dei diritti loro attribuiti dal sistema giuridico dell’UE,allo stesso modo sono tenuti a garantire che i singoli osservino gli obblighi loro imposti dal diritto dell’UE e pertanto ad utilizzare misure idonee ad assicurare tale risultato.Il principio di leale cooperazione impone agli stati membri di adottare tutte le misure idonee a garantire l’efficacia del diritto dell’UE,ivi comprese sanzioni penali,comunque effettive,proporzionali e dissuasive. L’obbligo di assicurare il puntuale e pieno esplicarsi dell’efficacia delle norme dell’UE riguarda tutti gli organi degli stati membri,dal giudice all’amministrazione agli enti locali;mentre la sua mancata osservanza può dar luogo anche ad una procedura d’infrazione.

2 Il principio sancisce anche un obbligo di leale cooperazione reciproca,sia per la soluzione di problemi specifici,sia come connotazione dei rapporti tra istituzioni e stati membri. Ed è stato utilizzato per affermare un obbligo di collaborazione tra stati membri in funzione di una più corretta applicazione del diritto dell’UE;in secondo luogo,il principio è stato invocato anche in relazione ai rapporti tra le istituzioni,in particolare in materia di bilancio,per valutare la legittimità della loro azione,spesso oggetto di accordi interistituzionali che richiedono un continuo “dialogo”.

3 E’ stato affermato l’obbligo di cooperazione delle istituzioni dell’UE nei confronti degli stati membri. A fronte di una richiesta disattesa di un giudice nazionale alla Commissione di fornire informazioni utili raccolte in una procedura da funzionari dell’UE,la Corte ha rilevato l’obbligo della Commissione di prestare la massima collaborazione,in quanto,il dovere di leale cooperazione sancito dal Trattato non è a senso unico. In materia di concorrenza è stato affermato il dovere della Commissione di fornire alle autorità ed ai giudici nazionali ogni informazione utile. Il principio di leale cooperazione viene in rilievo soprattutto quando la realizzazione di un obiettivo del Trattato richieda un esercizio coordinato delle competenze sia delle istituzioni dell’UE che di quelle nazionali. Si tratta di un principio di grande rilievo del funzionamento del sistema,nella misura in cui questo si fonda sulla sinergia tra stati membri e istituzioni dell’UE per l’applicazione delle norme.

L’art 4 n.3 TUE sancisce il principio di leale cooperazione per stabilire l’obbligo per l’UE e gli stati membri al rispetto e all’assistenza reciproca nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati;l’obbligo per gli stati membri di adottare ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’UER;l’obbligo per gli stati membri di facilitare l’UE nell’adempimento dei suoi compiti,astenendosi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’UE.

Il Principio di eguaglianzaIl principio di eguaglianza trova nel Trattato riconoscimento espresso e generale nella forma di un divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità (art 18 TFUE),con applicazioni specifiche relativamente alle libertà di circolazione delle merci e dei servizi e alla libertà di stabilimento.Il principio si ritrova anche nella disciplina concernente le organizzazioni comuni di mercato,l’art 40 n.2,2° comma TFUE,prevedendo l’esclusione di “qualsiasi discriminazione fra produttori o consumatori dell’UE”;e all’ art 157 TFUE,in cui viene sancito in termini generali il principio della “parità di retribuzione fra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”.L’affermazione che il principio generale di eguaglianza rappresenta uno dei principi fondamentali del diritto dell’UE costituisce ormai una costante della giurisprudenza della Corte,che ha,per tale via ampliato la

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protezione dei singoli. Il principio di non discriminazione,ad esempio in base all’età,è un principio generale del diritto dell’UE,che con il Trattato di Lisbona ha lo stesso valore giuridico dei Trattati;tale principio è per ciò stesso provvisto di effetto diretto e prescinde dalle condizioni di applicabilità della direttiva che lo disciplina,tanto da imporre al giudice nazionale la sua applicazione in luogo di una legge nazionale confliggente anche prima della scadenza del termine di trasposizione e in una controversia tra privati.Il divieto di discriminazioni sancito dal Trattato è stato da sempre interpretato dalla Corte nel senso tradizionale,che è fatto divieto di trattare in modo diverso situazioni simili,ovvero,di non trattare in modo identico situazioni diverse. Ciò che emerge con sufficiente chiarezza dalla giurisprudenza è il riconoscimento pieno del principio di uguaglianza in quanto tale,anche in fattispecie rispetto alle quali non è espressamente previsto alcun divieto di discriminazione.Non sono illegittime solo le violazioni palesi del principio di uguaglianza,ma anche le discriminazioni dissimulate o indirette. Il divieto di discriminazione in base alla nazionalità investe anche quelle discriminazioni fondate su parametri diversi da quello della nazionalità,ma che di fatto conducono al medesimo risultato,vale a dire a negare al cittadino dell’UE i benefici accordati ai nazionali.Nel dare applicazione al principio della parità retributiva di cui all’art 157 TFUE, la giurisprudenza è costante nel considerare in violazione di tale principio quelle normative nazionali che,pur fondate su criteri apparentemente neutri,finiscono con lo sfavorire comunque le donne. Il principio della parità di retribuzione è stato oggetto di applicazioni molto ampie e significative,fino ad identificarsi,anche per effetto di numerose normative intervenute nella materia,con un generale principio di eguaglianza nei rapporti di lavoro.La Corte ha inteso garantire un’uguaglianza sostanziale e non meramente formale. La giurisprudenza in materia di parità uomo-donna nella vicenda del rapporto di lavoro complessivamente intesa ne è la testimonianza più significativa.L’eliminazione di ogni discriminazione fondata sul sesso è parte dei principi generali di cui la stessa Corte è tenuta a garantire l’osservanza.

La Tutela dei Diritti e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UELa Corte ha affermato,nei primi anni 60,l’irrilevanza sul piano del diritto dell’UE dei diritti fondamentali tutelati nelle costituzioni degli stati membri e la propria incompetenza a garantire il rispetto di norme interne,anche costituzionali,in vigore nell’uno o nell’altro stato. Il suo principale interesse era evidentemente quello di assicurare l’autonomia ed il primato del diritto dell’UE sul diritto interno,nonché la sua uniformità entro il territorio dell’UE che rischiava di essere pregiudicata dalla subordinazione di tale diritto a norme nazionali.Un decennio più tardi la Corte di Giustizia volta pagina. La Corte afferma che i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri e dalla convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU),fanno parte dei principi giuridici generali di cui essa garantisce l’osservanza.In sostanza la Corte si è così riservata il compito di verificare di volta in volta il rispetto dei diritti fondamentali,beninteso nelle situazioni in cui rileva la disciplina dell’UE e non la sola disciplina interna. Il controllo della Corte,rispetto al parametro dei diritti fondamentali,investe: gli atti dell’UE; gli atti o comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dell’UE; le giustificazioni addotte da uno stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto dell’UE. DIRITTI FONDAMENTALI DIRITTO DI PROPRIETA’;DIRITTO AL LIBERO ESERCIZIO DI UN’ATTIVITA’ ECONOMICA O PROFESSIONALE;L’IRRETROATTIVITA’ DELLE NORME PENALI,IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM,LA PREVISIONE LEGALE DEI REATI E DELLE PENE,IL RISPETTO DEI DIRITTI DELLA DIFESA,IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO,IL DIRITTO AD UN PROCESSO EQUO ED ENTRO UN TERMINE RAGIONEVOLE,IL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E DELLA DIGNITA’ UMANA,nonché,DELLA VITA MILITARE,IL DIRITTO A NON RENDERE DICHIARAZIONI SUSCETTIBILI DI PREGIUDICARE LO STESSO DICHIARANTE,L’INVIOLABILITA’ DEL DOMICILIO,LA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE,IL PLURALISMO NELL’INFORMAZIONE,IL DIRITTO AD UNA BUONA AMMINISTRAZIONE.

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Un cenno specifico merita il riconoscimento come principio generale,rinvenibile anche agli artt 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,del diritto alla tutela giurisdizionale piena ed effettiva,riconoscimento che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del sistema dell’UE. La giurisprudenza ha sviluppato il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale soprattutto in vista dell’esigenza di uniformità del livello di tutela nell’UE. La tutela dei diritti attribuiti da norme dell’UE deve essere almeno pari a quella prevista per i diritti conferiti da norme nazionali (principio di equivalenza);il principio che il sistema nazionale di rimedi giurisdizionali deve essere tale da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente gravoso l’esercizio dei diritti attribuiti al singolo da norme dell’UE (principio di effettività).Solo con la Dichiarazione comune del 5 aprile 1977,il Consiglio e la Commissione si sono impegnati a rispettare,nell’esercizio dei loro poteri,i diritti fondamentali quali risultanti dalle Costituzioni degli stati membri,nonché dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.Un punto di riferimento di maggior rilievo è stato l’art 6 del Trattato di Maastricht sull’UE,in base al quale l’UE rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,firmata il 4 novembre 1950. La norma in questione ha rivestito un importanza notevole,perché ha qualificato espressamente i diritti fondamentali come principi generali del diritto dell’UE. L’adesione non avvenne per ovvi motivi: i giudici sulla competenza hanno sostenuto che l’adesione alla Convenzione avrebbe determinato una modificazione sostanziale del regime imposto dal diritto dell’UE in tema di difesa dei diritti fondamentali,nonché,l’inserimento dell’UE in un “sistema istituzionale internazionale distinto”;tale modifica avrebbe “rilevanza costituzionale” e come tale esulerebbe dai limiti dell’art 308 del Trattato (oggi art 352 TFUE),nonché,dalla competenza esterna collegata ad una competenza interna effettivamente esercitata. In ogni caso,si raccoglieva nuovi consensi l’idea di dotare l’UE di un proprio catalogo scritto di diritti fondamentali. Nel 1999 è il Consiglio europeo di Colonia a deliberare la predisposizione di una “Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE”,affidandone la redazione ad un apposito organismo,la Convention,composto da rappresentanti dei Parlamenti Nazionali,del Parlamento Europeo,della Commissione e dei Capi di Stato e di Governo.In occasione del Consiglio europeo di Nizza del 7 dicembre 2000,la Carta,articolata in 54 art più un breve preambolo,è dunque solennemente proclamata ad opera del Parlamento,della Commissione e del Consiglio. Nella Carta si ritrovano tutti i diritti che la Corte di Giustizia aveva fino a quel momento garantito in via giurisprudenziale e pochi di più,dalla libertà di espressione e di informazione alla parità tra uomini e donne,dal diritto di proprietà al rispetto della vita privata e familiare,dal diritto al giudice al diritto ad una buona amministrazione. Lo scopo dell’iniziativa non era quello di innovare,ma rendere esplicita e solenne l’affermazione di una serie di valori,nei limiti e secondo il quadro di competenze già delineato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. L’impegno di Colonia di rendere solo più visibile la tutela dei diritti fondamentali è stato confermato anche nell’art 51 della Carta,dove si è precisato che essa “non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’UE,ne modifica le competenze e i compiti nuovi per la Comunità e per l’UE,né modifica le competenze e i compiti definiti dai Trattati”. La Carta ha lo stesso valore giuridico dei Trattati;ha rappresentato un passo in avanti del processo d’integrazione,nella misura in cui ha accompagnato sul piano dei valori un cammino sicuro verso l’integrazione politica.

Il Diritto dell’UE derivatoIl sistema normativo dell’UE comprende un ventaglio di atti giuridici adottati dalle istituzioni dell’UE,nei limiti delle competenze e con gli effetti che i Trattati sanciscono.Sono atti destinati ad incidere in modo rilevante sugli ordinamenti giuridici interni e sulle posizioni giuridiche dei singoli,talvolta senza che occorra un intervento formale del legislatore e/o dell’amministrazione nazionale. E’,questo,l’insieme degli atti che si definisce comunemente “diritto derivato dell’UE”,espressione che ne coglie,da un lato,la purezza dell’origine,dal altro lato,la forza derivata dai Trattati istitutivi,in applicazione e per l’attuazione dei quali gli atti dell’UE vengono adottati.Nell’ambito del sistema finora delineato va inquadrato l’art 288 TFUE,che sancisce la tipologia degli atti a mezzo dei quali le istituzioni dell’UE esercitano le competenze loro attribuite:REGOLAMENTI,DECISIONI e DIRETTIVE,nonché,RACCOMANDAZIONI e PARERI.

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Il Trattato di Lisbona introduce,all’art 289 TFUE,per regolamenti,direttive e decisioni,una distinzione formale tra atti legislativi e atti non legislativi,che dipende esclusivamente dalla procedura con la quale sono adottati.Nella prima ipotesi,i regolamenti,le direttive e le decisioni vengono adottati con procedura legislativa,ordinaria,ovvero,speciale;nella seconda ipotesi gli stessi atti sono adottati sulla base di una delega contenuta in un atto legislativo,che,ai sensi dell’art 290 TFUE affida alla commissione il potere di emanare atti delegati,quindi non legislativi,di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell’atto legislativo.

Gli Atti VincolantiTra gli atti vincolanti,viene in rilievo il Regolamento,che nel sistema giuridico dell’UE rappresenta l’equivalente della legge negli ordinamenti statali. Al pari della legge,il regolamento ha portata generale,nel senso che si rivolge a soggetti non determinati e limitati,bensì,considerati astrattamente ed investe pertanto situazioni oggettive.La portata generale del regolamento è spesso sottoposta alla verifica della Corte di Giustizia dell’UE sotto il profilo della sua impugnabilità da parte dei singoli,in quanto questi ultimi,in virtù dell’art 263 TFUE,possono impugnare solo quegli atti regolamentari che li riguardino direttamente. La natura dell’atto deve dunque essere individuata in relazione alla sua sostanza e non alla sua forma,cioè,con riguardo agli effetti che mira a produrre ed effettivamente produce.Altra caratteristica del regolamento,anch’essa espressamente prevista dall’art 288 TFUE,è data dall’obbligatorietà del medesimo in tutti i suoi elementi;i destinatari del regolamento sono tenuti a dare applicazione completa ed integrale alle norme regolamentari,con conseguente illegittimità di una sua applicazione parziale da parte di uno stato.Il regolamento è “direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri” (art 288 TFUE);deve essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE ai sensi dell’art 297 n.1,3° comma TFUE. La mancata pubblicazione non influisce sulla validità dell’atto,ma ne impedisce la produzione di effetti obbligatori sino a quando non venga pubblicato;entra in vigore il 20esimo giorno successivo alla pubblicazione.La Decisione è,al pari del regolamento,atto obbligatorio in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatorio soltanto nei confronti di questi. Dal regolamento essa si differenzia per il fatto che il più delle volte essa si rivolge a specifici destinatari ed è dunque priva di quella portata generale e astratta che è tipica degli atti legislativi.La decisione corrisponde all’atto amministrativo dei sistemi giuridici nazionali in quanto rappresenta lo strumento utilizzato dalle istituzioni quando sono chiamate ad applicare il diritto dell’UE a singole fattispecie concrete. Può avere come destinatari anche tutti gli Stati,senza con ciò perdere,almeno in linea di principio e salvo verifica sulla sostanza dell’atto,il suo carattere individuale. La portata individuale dell’atto non pone alcun problema quanto alla sua impugnabilità da parte dei singoli destinatari,proprio perché essi in quanto tali sono già in via di ipotesi individualmente e direttamente investiti dall’atto ai sensi e per gli effetti dell’art 263,4° comma TFUE.Quando impone obblighi di pagamento ai singoli,persone fisiche o giuridiche,la decisione è a tutti gli effetti un titolo esecutivo, da far valere negli Stati membri attraverso le procedure nazionali rispettivamente utilizzabili (art 299 TFUE). La procedura esecutiva sarà poi regolata dalle norme nazionali,così come il controllo della regolarità dei provvedimenti esecutivi sarà di competenza dei giudici nazionali,mentre la sospensione dell’esecuzione potrà avvenire solo in virtù di una decisione della Corte di Giustizia.La pubblicazione sulla Gazzetta assolve ad una funzione semplicemente informativa e,comunque,non esonera l’istituzione che adotta la decisione dell’onere di provvedere alla sua notificazione al destinatario.La Direttiva,secondo l’art 288,3° comma,”vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere,salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Anche la direttiva,come la decisione e a differenza del regolamento,non ha portata generale ma vincola solo lo stato o gli stati,che ne sono i soli destinatari;produce effetti obbligatori.La direttiva si limita a fissare un risultato da raggiungere,ponendosi soprattutto l’accento sulla discrezionalità lasciata agli Stati quanto al modo e agli strumenti per raggiungerlo.Di fronte all’argomento che a una direttiva non potrebbe attribuirsi la stessa forza obbligatoria dei regolamenti,la Corte ha infatti opposto che l’esatta e puntuale attuazione di una direttiva è tanto più

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importante in quanto le misure di attuazione sono lasciate alla discrezione degli stati membri,con la conseguenza che,ove tali misure non raggiungessero gli scopi definiti entro il termine stabilite,le direttive resterebbero prive di effetti.Lo Stato può certo dare applicazione alla direttiva in via anticipata rispetto al termine fissato dallo stesso atto dell’UE,ma tale circostanza non può produrre effetti nei confronti di altri Stati membri che alla direttiva non si siano ancora adeguati. L’inosservanza dell’obbligo dello Stato di realizzare il risultato voluto dalla direttiva non è sanzionabile.La direttiva,in quanto atto non dotato di portata generale e con destinatari espressamente individuati,veniva solo notificata a questi ultimi,producendo i propri effetti obbligatori a partire dalla data della notificazione. L’art 297 TFUE impone altresì la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle direttive adottate secondo la procedura legislativa ordinaria,a conferma del loro marcato carattere normativo.

Gli Atti non VincolantiL’art 288 TFUE prefigura anche 2 tipi di atti non vincolanti:Raccomandazioni e Pareri. L’art 292 TFUE disciplina la procedura di adozione delle raccomandazioni da parte del Consiglio,il cui potere è subordinato alla proposta della Commissione e/o all’unanimità nei casi e nei settori nei quali tali condizioni sono previste.Le raccomandazioni e i pareri non sono facilmente distinguibili,anche in considerazione dell’ampio e differenziato impiego che ne fanno le istituzioni. Mentre le raccomandazioni sono normalmente dirette agli Stati membri e contengono l’invito a conformarsi ad un certo comportamento,i pareri costituiscono l’atto con cui le stesse istituzioni o altri organi dell’UE fanno conoscere il loro punto di vista su di una determinata materia.L’assenza di carattere vincolante non consente comunque di escludere qualsiasi effetto giuridico degli atti in esame,specialmente delle raccomandazioni.Degli atti non vincolanti il Trattato non impone la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale;essi vengono comunque pubblicati per facilitarne la conoscenza e l’efficacia. Il Trattato definisce “pareri” anche le deliberazioni che vengono adottate da organi partecipi del processo legislativo dell’UE nell’esercizio della funzione consultiva che lo stesso trattato assegna loro.

Elementi comuni agli Atti dell’UE:Motivazione,Base Giuridica,Efficacia del tempoGli atti vincolanti dell’UE devono essere motivati,pena l’annullamento per violazione delle forme sostanziali (art 263,2° comma TFUE). Perché l’obbligo di motivazione,sancito dall’art 296 TFUE,sia adempiuto è necessario che l’atto contenga la specificazione degli elementi di fatto e di diritto sui quali l’istituzione è fondata.L’esigenza da soddisfare è quella di far conoscere agli Stati membri e ai singoli il modo in cui l’istituzione ha applicato il Trattato e quella di consentire alla Corte e al Tribunale di esercitare un controllo giurisdizionale adeguato.Deve risultare chiaro l’iter logico seguito dall’istituzione che ha posto in essere l’atto,nonché gli elementi necessari per permettere ai destinatari,ed ancor più a chi ne sia comunque investito direttamente e individualmente ai sensi dell’art 263 TFUE di apprezzarne la portata e la fondatezza.L’obbligo di motivazione non richiede l’adozione di formule particolari,essendo sufficiente che dal tenore dell’atto nel suo complesso si evincano le ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto l’istituzione ad emanarlo. In relazione al rispetto del principio di sussidarietà,non è necessario che esso venga espressamente menzionato,purchè il legislatore dell’UE dia conto delle ragioni per le quali l’obiettivo della propria azione può essere realizzato meglio a livello dell’UE piuttosto che dagli Stati membri.Il difetto e la carenza di motivazione dell’atto sono vizi che si traducono nella violazione di forme sostanziali,in particolare ai sensi dell’art 263 TFUE. L’istituzione che adotta l’atto deve altresì fare menzione delle proposte o dei pareri obbligatoriamente richiesti in esecuzione del Trattato,così garantendo la verifica del rispetto delle condizioni procedimentali imposte dal Trattato medesimo per l’adozione dell’atto.Rilevante è la necessità che l’atto faccia riferimento ad una o più specifiche norme del Trattato (“visto che….”),cioè,la base giuridica,la cui omissione integra un vizio sostanziale dell’atto,a meno che non sia possibile determinarla con sufficiente precisione in base ad altri elementi dello stesso atto. La scelta della

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base giuridica è operata con riferimento agli elementi oggettivi e qualificanti dell’atto che siano suscettibili di controllo giurisdizionale,quali lo scopo e l’oggetto dell’atto stesso.Il richiamo ad una norma di diritto primario assume rilievo in relazione a 3 distinti profili.Il primo e fondamentale attiene alle competenze dell’UE,che almeno in via di principio sono ispirate al criterio di attribuzione specifica nel Trattato,fatta salva la previsione dell’art 352 TFUE.Il secondo profilo attiene al riparto di competenze tra le diverse istituzioni dell’UE che rispondono anch’esse al principio di attribuzione.Il terzo rilevante profilo è quello procedimentale,nella misura in cui la scelta dell’una o dell’altra base giuridica implica una procedura diversa di formazione del consenso (unanimità o maggioranza qualificata o semplice) e/o un diverso coinvolgimento del Parlamento (procedura legislativa ordinaria o speciale):la scelta come base giuridica dell’art 115 TFUE comporta che la decisione del Consiglio sia presa all’unanimità,secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento e del Comitato Economico e Sociale;la scelta dell’art 207 TFUE può comportare una decisione del Consiglio a maggioranza qualificata,per la negoziazione e conclusione di accordi internazionali in materia di politica commerciale.I principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento impongono che la norma dell’UE non trovi applicazione ai rapporti giuridici definiti anteriormente alla sua entrata in vigore:non abbia,in altre parole,effetto retroattivo. L’efficacia retroattiva della norma dell’UE,è ipotizzabile soltanto in via d’eccezione,ove ciò sia imposto dall’obiettivo da realizzare e comunque sia adeguatamente salvaguardato il legittimo affidamento degli interessati. Nella motivazione dovrà indicare le ragioni che giustificano l’efficacia retroattiva che si intende attribuire all’atto in questione.

Altri AttiOltre agli atti prefigurati all’art 288 TFUE,gli stessi Trattati prevedono taluni atti diversi,qualificati in dottrina atti Atipici in senso lato,concernenti ipotesi specifiche e per lo più funzionali all’attività istituzionale.

i regolamenti interni delle istituzioni che hanno normalmente una efficacia circoscritta appunto ai rapporti interni alle istituzioni;è possibile che venga annullato per violazione del regolamento interno dell’istituzione che l’ha adottato;sono censurabili le violazioni di quelle norme regolamentari che creano diritti o aspettative rilevanti in capo ai singoli.

i programmi generali,in origine previsti per la soppressione delle restrizioni in materia di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi,adottati dal Consiglio e che fissavano gli obiettivi e la cadenza della liberalizzazione (art 50 e 59 TFUE).

la constatazione dell’avvenuta approvazione del bilancio da parte del Presidente del Parlamento Europeo (art 314 par.9 TFUE).

taluni atti preparatori,quali,in particolare,le proposte della Commissione.

le misure adottate dal Consiglio,previste dal Titolo V,capo 2 del TFUE,in materia di politiche relative ai controlli alle frontiere,all’asilo e all’immigrazione.

Il quadro degli atti comunitari,quale definito dai trattati,si è inoltre arricchito di non poche figure di atti davvero singolari,denominati atti ATIPICI in senso proprio,a volte persino vincolanti,altre volte privi di una specifica denominazione. Tali atti costituiscono il frutto di una prassi delle istituzioni che si è andata progressivamente consolidando.

le decisioni sui generis,atti vincolanti normalmente adottati dal Consiglio e che non rispondevano al modello tipico di decisione prefigurato dall’art 249 TCE,non avendo specifici destinatari,ma erano pur sempre obbligatorie e di portata generale. In passato ne è stato fatto un uso moderato ma con effetti di

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grande rilievo,ad esempio,in materia di Fondi o di creazione e poteri di istituzioni come il Tribunale o la Commissione.

gli accordi interistituzionali tra Consiglio,Commissione e Parlamento,in origine considerati meri strumenti informali ma che col tempo hanno assunto veste di atto giuridico dalla natura vincolante,così come prefigurato dall’art 295 TFUE.

le risoluzioni del Consiglio,che,sebbene sprovviste di efficacia vincolante rivestono notevole importanza in quanto esplicitano il punto di vista dell’istituzione su questioni concernenti determinati settori di intervento dell’UE spesso anticipando una successiva attività normativa in senso proprio.

le comunicazioni della Commissione,strumenti utilizzati con notevole frequenza ed aventi forme e contenuti diversi,tanto da dar luogo a tentativi di classificazione dei differenti tipi di comunicazione;oltre a quelle informative,notevole rilievo rivestono le comunicazioni c.d. DECISORIE,relative a settori in cui la Commissione dispone di un potere di decisione anche discrezionale,come in materia di concorrenza e di aiuti di Stato;nonché le comunicazioni c.d. INTERPRETATIVE,volte,cioè,a far conoscere agli Stati ed agli operatori i diritti e gli obblighi ad essi derivanti dal diritto dell’UE.

le dichiarazioni comuni del Parlamento,del Consiglio e della Commissione,sulla procedura di concertazione,sulla procedura di bilancio,sui diritti fondamentali.

le c.d. dichiarazione a verbale del Consiglio,che talvolta accompagnano l’adozione di un atto e che,come precisato dalla Corte,possono essere prese in considerazione al fine di chiarire la portata di una disposizione di diritto derivato,ma non hanno alcun rilievo giuridico.

gli accordi c.d. amministrativi stipulati direttamente dalla Commissione con Stati terzi,spesso neppure pubblicati.

Secondo un principio ben noto alle più evolute esperienze giuridiche nazionali,la qualificazione dell’atto,anche e soprattutto sotto il profilo della sua obbligatorietà,spetta al giudice e dunque alla Corte di Giustizia e al Tribunale,in funzione dell’oggetto e delle finalità che in concreto caratterizzano l’atto.

Diritto dell’UE e Diritto InternoPer quanto concerne il rapporto con gli ordinamenti giuridici degli Stati membri,in particolare con l’ordinamento italiano,va fatta una prima e generale distinzione tra l’impatto delle norme dei Trattati e quello del diritto dell’UE derivato.Le norme dei trattati istitutivi,e con essi tutte le modificazioni e integrazioni convenzionali intervenute successivamente,hanno con il nostro ordinamento lo stesso impatto di ogni altra normativa internazionale patrizia;tali norme richiedono per la loro entrata in vigore l’esaurimento delle procedure costituzionali prescritte in ciascuno stato membro. Per l’Italia,la prassi da sempre prevede la legge di autorizzazione del Presidente della Repubblica alla ratifica e l’ordine di esecuzione.Viceversa per il diritto comunitario derivato non si richiede la procedura “speciale” di adattamento appena evocata,ma che si pongano eventualmente in essere quei provvedimenti nazionali,leggi o atti amministrativi a seconda dei casi,che gli stessi atti comunitari prefigurano o impongono ai fini della loro puntuale e tempestiva attuazione.Occorre verificare di volta in volta,in base alla forma e alla sostanza dell’atto comunitario e qualunque ne sia la denominazione,quale sia l’impatto sui sistemi giuridici nazionali e quali siano gli interventi formali eventualmente richiesti o imposti agli stati membri perché il diritto o l’obbligo comunitario possa considerarsi a tutti gli effetti rilevante e soprattutto operante in rapporto alla posizione giuridica dei suoi destinatari.Il Regolamento è espressamente definito dal Trattato come direttamente applicabile in ciascuno stato membro. Ciò va inteso nel senso che l’atto è destinato a produrre i suoi effetti senza che sia necessario un intervento formale di una qualche autorità nazionale,ove non richiesto dallo stesso regolamento comunitario.

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Diverso è invece il problema che si pone per le direttive,in quanto,conformemente alla previsione dell’art 249 del Trattato,in via generale e di principio sono esse stesse ad imporre allo Stato membro di adottare gli atti necessari alla loro puntuale attuazione.Entro il 31 gennaio di ogni anno il Governo deve presentare un disegno di legge,indicando le misure che sono necessarie per adeguare l’ordinamento nazionale ad diritto comunitario e sono vedi pag. 173-174 del Tesauro.

L’Effetto Diretto delle Norme dell’UEL’effetto diretto risiede nell’idoneità della norma comunitaria a creare diritti ed obblighi direttamente ed utilmente in capo ai singoli,non importa se persone fisiche o giuridiche,senza,cioè,che lo stato eserciti quella funzione di diaframma che consiste nel porre in essere una qualche procedura formale per riversare sui singoli gli obblighi o i diritti prefigurati da norme “esterne” al sistema giuridico nazionale.L’effetto diretto si risolve nella possibilità,per il singolo,di far valere direttamente dinanzi al giudice nazionale la posizione giuridica soggettiva vantata in forza della norma comunitaria;per l’amministrazione,di far sì che il singolo adempia agli obblighi sanciti dalla norma comunitaria e/o goda direttamente e immediatamente dei diritti che quella norma gli attribuisce.Dell’effetto diretto possono essere provviste le norme dei Trattati o di un atto comunitario nonché le disposizioni di accordi stipulati dalla Comunità con Paesi terzi e le decisioni degli organi così istituiti.Non sono mancati i tentativi di distinguere la nozione di effetto diretto da quella di applicabilità diretta. La prima rappresenterebbe l’idoneità della norma comunitaria a creare in capo ai singoli diritti invocabili direttamente dinanzi al giudice nazionale. L’applicabilità diretta costituirebbe una qualità di quegli atti,in particolare i regolamenti,le cui norme non richiedono,per produrre effetti,alcun provvedimento interno ulteriore.Con l’applicabilità diretta si rileva una qualità della norma,con l’effetto diretto se ne coglie l’incidenza sulla posizione giuridica del singolo,che non è necessariamente il destinatario della norma.Dell’effetto diretto sono provviste tutte le disposizioni comunitarie che siano sufficientemente chiare e precise e la cui applicazione non richieda l’emanazione di ulteriori atti comunitari o nazionali,di esecuzione o comunque integrativi. La giurisprudenza sull’effetto diretto è nata proprio con riguardo ad una norma –art 30 TFUE- palesemente rivolta agli stati membri,nella celebre sentenza Van Gend en Loos. Il singolo può far valere questo diritto,che gli deriva dal diritto comunitario,davanti al giudice nazionale.E’ appena il caso di specificare che la norma comunitaria provvista di effetto diretto obbliga alla sua applicazione non soltanto il giudice ma tutti gli organi dell’amministrazione nazionale,anche in forza dell’obbligo di leale collaborazione sancito dall’art 4 TUE. I requisiti per cui ci sia l’effetto diretto sono sempre quelli individuati nella pronuncia appena richiamata sull’art 30 TFUE:la norma deve essere chiara,precisa e suscettibile di applicazione immediata,dunque,non condizionata ad alcun provvedimento formale dell’autorità nazionale. Tali caratteristiche possono essere presenti nei regolamenti. Ciò non vuol dire che le disposizioni di un regolamento siano tutte provviste dell’effetto diretto. Un regolamento può ben contenere una o più disposizioni che impongono o vietano un comportamento agli Stati membri,obbligandoli ad adottare le normative diverse e ulteriori eventualmente necessarie per la sua attuazione.Dell’effetto diretto provviste poi le decisioni sia quelle rivolte ai singoli,sia all’occorrenza quelle rivolte ad uno stato membro.Più complesso è il problema dell’effetto diretto quando si tratta delle disposizioni di una direttiva,cui la giurisprudenza ha pure attribuito tale qualità. Non mancano direttive che contengano disposizioni con le caratteristiche tipiche delle norme provviste di effetto diretto,cioè,precisa e non condizionate per la loro applicazione ad alcun intervento delle autorità nazionali.Non è che una direttiva sia provvista di effetto diretto in quanto dettagliata o particolareggiata,poiché a quel fine non rileva il grado di dettaglio,bensì che la norma non sia condizionata per la sua applicazione ad alcun atto delle autorità nazionali;il problema si pone solo per le ipotesi di mancata o non corretta o intempestiva attuazione di tali direttive,nel termine e con i provvedimenti nazionali prescritti.L’attribuzione dell’effetto diretto a determinate disposizioni contenute in direttive si fonda sugli stessi argomenti utilizzati con riguardo a norme del Trattato rivolte agli Stati membri,ovvero: un preciso obbligo dello Stato ha come contropartita un diritto del singolo;

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l’art 288 TFUE non esclude che atti diversi del regolamento producano gli stessi effetti; la portata dell’obbligazione imposta allo Stato sarebbe ridotta se i singoli non ne potessero far valere l’efficacia e i giudici nazionali non potessero prenderla in considerazione com’è confermato dal meccanismo del rinvio pregiudiziale.Anche le disposizioni di una direttiva sono provviste di effetto diretto quando hanno un contenuto precettivo sufficientemente chiaro e preciso,tale da non essere condizionato all’emanazione di atti ulteriori.L’effetto diretto è stato concepito ed in fatto è una vera e propria sanzione per gli stati inadempienti,nella misura in cui attribuisce al giudice nazionale,eventualmente attraverso la cooperazione anche del giudice comunitario,il compito di realizzare comunque lo scopo della direttiva in funzione della tutela delle posizioni giuridiche individuali in ipotesi lese dal comportamento dello Stato.

Effetto Diretto VerticaleVale a sottolineare la invocabilità della direttiva da parte dei singoli solo nei confronti dello Stato.La giurisprudenza della Corte ha poi precisato la nozione di effetto diretto verticale delle disposizioni di una direttiva,dandogli la maggiore ampiezza possibile:nei confronti di ogni “organismo che,indipendentemente dalla sua forma giuridica,sia stato incaricato,con un atto della pubblica autorità,di prestare,sotto il controllo di quest’ultima,un servizio di interesse pubblico e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli”.La stessa giurisprudenza ha invece escluso l’effetto diretto orizzontale delle disposizioni di una direttiva,cioè,la possibilità per il singolo di far valere la norma anche nei confronti di soggetti privati,siano essi persone fisiche o giuridiche.E la Corte di Giustizia ha in particolare rilevato che estendere la giurisprudenza sull’effetto diretto anche “nell’ambito dei rapporti tra singoli significherebbe riconoscere in capo alla Comunità il potere di emanare norme che facciano sorgere con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi,mentre tale competenza la spetta solo laddove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti”.(sovrapposizione di funzioni)L’effetto diretto verticale è in via di principio solo unilaterale,nel senso che al singolo che fa valere il proprio diritto lo stato non può opporre la mancata trasposizione della direttiva. Relativamente all’ipotesi di una direttiva che comporti un obbligo per il singolo,lo Stato non potrebbe farlo valere prima della trasposizione,la direttiva non potrebbe determinare o aggravare la responsabilità penale del singolo.Solo a partire dal momento della sua corretta trasposizione,il singolo sarà in grado di conoscere adeguatamente e con la dovuta certezza la portata dei diritti che gli sono conferiti dalla direttiva e dunque,in definitiva,nella condizione di poter valutare se ricorrere o meno al giudice.Non mancano poi le pronunce della stessa Corte di Giustizia nelle quali di fatto è stato attribuito l’effetto diretto orizzontale ad una direttiva,ad esempio,quella sulla parità uomo-donna sull’accesso e le condizioni di lavoro,ora collegandola in una valutazione d’insieme all’art 141 del Trattato,ora senza alcuna allusione esplicita al problema.Dell’effetto diretto possono essere provviste anche le disposizioni contenute in accordi stipulati dalla Comunità con Paesi Terzi,sempre che si possa rilevare una situazione giuridica soggettiva chiara e precisa,senza alcuna subordinazione all’adozione di un atto ulteriore.L’attribuzione dell’effetto diretto è esclusa in molti Paesi contraenti,con la conseguenza che mancherebbe la pur necessaria reciprocità;il controllo giurisdizionale,anche del giudice comunitario,priverebbe le istituzioni “politiche” della Comunità del margine di manovra di cui dispongono le altre parti contraenti.Se trasposta,la direttiva è un parametro di legittimità dell’atto di trasposizione utilizzabile anche dal singolo in giudizio.Quando la direttiva non sia stata trasposta,non potrà essere utilizzata in quanto tale dal singolo,se non nei confronti dello Stato o di un ente pubblico oppure attraverso l’espediente della interpretazione conforme.Una direttiva,anche se sprovvista di effetto diretto,alla scadenza del termine stabilito e pur se non trasposta entro tale termine,entra sotto ogni profilo a far parte del diritto dell’UE e dunque condiziona la normativa nazionale che disciplina la stessa materia.Il contrasto di una legge nazionale con una direttiva priva di effetto diretto e non trasposta nei termini stabiliti potrà essere sottoposta alla Corte Costituzionale perché verifichi l’eventuale violazione dell’art 11 e 117 della Costituzione.

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L’obbligo d’Interpretazione conforme al diritto dell’UELa Corte di Giustizia ha più volte dichiarato che spetta ai giudici nazionali interpretare “il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e confermarsi pertanto all’art 249 3° comma del Trattato”,ricostruendo tale obbligo mediante la lettura congiunta degli art 4 TUE e 288 TFUE.I giudici nazionali devono in ogni caso individuare,tra tutti i significati possibili della norma interna rilevante per il caso di specie,quello che appaia maggiormente conforme all’oggetto ed allo scopo della direttiva disciplinante la materia;essi devono utilizzare il metodo c.d. TELEOLOGICO,che consente di adattare per via ermeneutica il contenuto precettivo della disposizione interna agli obiettivi prescritti dall’ordinamento comunitario,nonostante persista l’eventuale inadempimento del legislatore nazionale. Si realizza un effetto orizzontale indiretto delle direttive,le cui norme vengono immediatamente applicate dal giudice nazionale ai rapporti tra privati attraverso l’interpretazione conforme del diritto interno,che è teleologicamente orientata alla realizzazione dei risultati prescritti dalla singola direttiva e dall’intero ordinamento comunitario.La Corte ha così ampliato la portata dell’obbligo di interpretazione conforme,dapprima prescrivendo al giudice nazionale d’interpretare il proprio diritto in modo conforme “a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva”,per poi dichiarare che detto obbligo riguarda indistintamente tutto l’ordinamento interno.Sono stati individuati opportuni limiti all’applicazione del principio in questione:resta l’impossibilità di far derivare un obbligo del singolo dall’interpretazione del diritto nazionale in modo conforme ad una direttiva non trasposta;inoltre,occorre considerare gli altri principi generali dell’ordinamento comunitario,in primis quelli della certezza del diritto e della non retroattività,nonché,la stessa portata dell’obbligo del giudice di interpretazione conforme,che non può essere il fondamento di una interpretazione contra legem delle norme nazionali.Quando l’interpretazione conforme non sia possibile,rimane aperto il problema delle direttive prive di effetto diretto e non ancora recepite. La Corte ha correttamente rilevato che la direttiva,pur se sprovvista di efficacia diretta,allo scadere del termine di ricevimento negli ordinamenti degli stati membri ha “l’effetto di far entrare nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale che affronta una materia disciplinata dalla stessa direttiva”.Quanto ai limiti temporali,la giurisprudenza comunitaria appare orientata nel ritenere che l’obbligo di interpretazione conforme vincoli i giudici nazionali solo dopo la scadenza del termine di ricevimento previsto dalla direttiva;essi devono evitare di fornire interpretazioni del proprio diritto interno tali da pregiudicare gravemente il risultato imposto dalla direttiva ed il suo effetto utile.L’obbligo di interpretazione conforme o “adeguatrice” ha nel tempo acquisito più ampi spazi d’applicazione,al punto da essere ormai considerato inerente al sistema previsto dal Trattato CE.

Il primato del diritto dell’UE sul diritto internoL’elemento dell’effetto diretto si collega strettamente e necessariamente ad un’altra qualità delle norme comunitarie e che rappresenta uno dei principi fondamentali del diritto internazionale generale:il primato o la prevalenza o la preminenza sulle norme interne con esse contrastanti,sia precedenti che successive,e quale ne sia il rango,all’occorrenza anche costituzionale.La conseguenza pratica della prevalenza della norma comunitaria è che la norma interna con essa contrastante non può essere applicata.E’ costante l’affermazione della giurisprudenza che il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce,disapplicando di conseguenza la norma interna configgente sia anteriore che successiva a quella comunitaria.Il principio della preminenza del diritto comunitario impone non solo al giudice ma allo Stato membro nel suo insieme di dare pieno effetto alla norma comunitaria e,in caso di conflitto di una norma nazionale con una norma comunitaria provvista di effetto diretto,disapplicarla.L’ipotesi che la norma comunitaria sia posteriore a quella nazionale va distinta dall’ipotesi opposta. Nella prima,il principio che da sempre disciplina la successione delle leggi nel tempo,lex posterior derogat priori,già risolve il problema.

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Al Contrario,il problema sorgeva per le norme nazionali configgenti successive alla norma comunitaria,in quanto il principio appena ricordato valeva in tal caso a favore della norma nazionale.La Corte Costituzionale,sul rilievo che il rapporto era tra una legge ordinaria ed una legge,quella di adattamento al Trattato,avente lo stesso rango,affermò che andava applicato il principio vigente in materia di successione delle leggi nel tempo e che pertanto la sintonia della legge di nazionalizzazione con il Trattato non andava neppure verificata,dovendosi essa comunque applicare in quanto successiva.La Corte di Giustizia nella sentenza Costa ha enunciato una posizione antitetica. Ribadendo i principi e la prospettiva già affermati nella ricordata pronuncia Van Gend en Loss,il giudice comunitario ne ha dedotto che gli stati membri non potrebbero opporre al Trattato leggi interne successive,senza con questo far venire meno la necessaria uniformità ed efficacia del diritto comunitario in tutta la Comunità,nonché,il senso della portata e degli effetti attribuiti dall’art 288 TFUE al regolamento. Se n’è tratta la conseguenza che una normativa nazionale incompatibile col diritto comunitario è del tutto priva di efficacia anche se successiva.Il diritto nato dal Trattato non potrebbe trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità;in tale prospettiva il diritto comunitario prevale in virtù di una forza propria,secondo una visione monista del rapporto tra norme comunitarie e diritto interno.Se nella sentenza Costa la Corte Costituzionale aveva affermato la prevalenza della legge nazionale in quanto successiva,dopo una decina d’anni,con la sentenza Frontini e Industrie Chimiche pervenne ad un parziale “adattamento” alle ragioni del diritto comunitario. Nella prima,la Corte,sviluppando un’affermazione sulla separazione tra i due ordinamenti contenuta già in una sentenza del 1965,riconosceva che ordinamento nazionale e ordinamento comunitario sono autonomi e distinti,pur se coordinati a mezzo di una precisa articolazione di competenze.La Corte Costituzionale riconosceva la peculiarità del fenomeno comunitario e soprattutto che i regolamenti sono “immediatamente vincolanti per gli stati e per i loro cittadini,senza la necessità di norme interne di adattamento o di ricezione”.Nella successiva sentenza Industrie Chimiche,il giudice costituzionale affrontò specificamente il problema del conflitto tra un regolamento comunitario ed una legge interna ad esso posteriore. Il giudice nazionale di fronte ad un conflitto tra norma comunitaria e norma nazionale posteriore,che si configurava come conflitto di costituzionalità tra la legge di adattamento dei Trattati e la norma costituzionale di copertura,cioè l’art 11,doveva sottoporlo all’apprezzamento di legittimità della Corte Costituzionale;non avrebbe potuto egli stesso disapplicare la norma interna posteriore sul presupposto della prevalenza del diritto comunitario.La reazione decisiva venne dalla Corte di Giustizia nella ben nota sentenza Simmenthal. Un giudice italiano chiedeva in via pregiudiziale alla Corte se l’obbligo di attivare previamente il giudizio di costituzionalità perché potesse essere disapplicata la norma nazionale contrastante con il diritto comunitario non fosse a sua volta incompatibile con il diritto comunitario,in particolare con l’esigenza di dare applicazione immediata e uniforme in tutti i Paesi membri alle norme comunitarie.Il Punto focale del problema era nella circostanza che al giudice era preclusa dal suo diritto nazionale la non applicazione della norma interna (posteriore) contrastante con quella comunitaria;se si preferisce,era preclusa l’applicazione immediata della norma comunitaria,in quanto doveva previamente esaurirsi il procedimento di verifica di compatibilità costituzionale richiesto dalla costruzione adottata,secondo cui il contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria si configurava come contrasto con l’art 11 della costituzione.La Corte di Giustizia fornì una risposta molto chiara:affermò che l’effetto diretto e il primato delle norme comunitarie impongono che sia data loro applicazione immediata;che le norme interne successive incompatibili non si formano validamente;che l’efficacia del sistema di controllo giurisdizionale sul rispetto del diritto comunitario,fondato sulla cooperazione tra giudice comunitario e giudice nazionale,verrebbe ridotta se quest’ultimo non avesse il diritto di fare immediata applicazione delle norme comunitarie.Il punto di partenza è stato ancora una volta che i due ordinamenti sono distinti e tra loro autonomi anche se coordinati,in quanto in forza dell’art 11 della Costituzione sono state trasferite alle istituzioni comunitarie le competenze relative a determinate materie.

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Il contrasto tra le due norme fa sì che la norma interna non sia suscettibile di annullamento,ma sia semplicemente inapplicabile al rapporto controverso. Quando si tratta di norma priva di efficacia diretta,la norma nazionale viene in rilievo per la disciplina del rapporto ed è sottoposta al controllo di costituzionalità.La Corte costituzionale ha lasciato tuttavia che non si sottraggono alla sua verifica 2 ipotesi: quella di un eventuale conflitto della norma comunitaria; quella di norme interne che si assumono dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato o il nucleo essenziale dei suoi principi.La Corte costituzionale ha sul punto precisato che,nell’ipotesi di contrasto con una norma comunitaria provvista di effetto diretto,la soluzione dell’inammissibilità potrebbe generare gravi incertezze applicative e dunque una evidente lesione “del principio della certezza e della chiarezza normativa”.E’ stata poi riconosciuta l’efficacia e l’applicabilità immediata,e conseguentemente la preminenza in caso di conflitto,di quelle disposizioni di direttive che rispondano ai requisiti individuati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia ai fini dell’attribuzione dell’effetto diretto alle norme comunitarie,indipendentemente dalla qualificazione formale dell’atto.La Corte si è più volte occupata del rapporto tra il diritto dell’UE e le sentenze nazionali,con esso contrastanti,passate in giudicato;pertanto,a dover operare un bilanciamento tra certezza del diritto e del primato del diritto comunitario.La sentenza Kuhne si è limitata a ribadire il principio di equivalenza ed effettività dei rimedi giurisdizionali interni,che gli stati membri devono utilizzare anche quando si tratta di violazioni del diritto comunitario. Solo se vi fosse stato un rimedio,in base al diritto nazionale per rimettere in discussione un atto amministrativo confermato da un giudicato,tale rimedio doveva poter essere attivato anche in caso di successivo accertamento del contrasto dell’atto con il diritto comunitario.Nel caso Lucchini la Corte di Giustizia si è limitata a far prevalere un atto comunitario divenuto definitivo e provvisto di effetto diretto su un successivo giudicato nazionale,peraltro nel merito a dir poco inquietante.

Rilievi sulla natura del rapporto tra diritto comunitario-diritto italianoE’ a mezzo degli strumenti costituzionali di adattamento e di attuazione degli stati membri che viene instaurato e regolato il rapporto tra il diritto dell’UE e il diritto interno.Il sistema comunitario prevede sia la non applicazione della norma interna contraria a quella comunitaria provvista di effetto diretto,sia l’obbligo dello Stato di prendere le misure necessarie,quando la norma comunitaria non sia provvista dell’effetto diretto. La stessa Corte di Giustizia ha precisato che dalla giurisprudenza Simmenthal non è consentito dedurre l’inesistenza della norma nazionale posteriore incompatibile con il diritto comunitario;ma che viceversa il giudice nazionale è tenuto a disapplicarla.Relativamente al fondamento giuridico del primato delle norme dell’UE sulle norme nazionali,la Corte Costituzionale,fin dalle sentenze Frontini e Industrie Chimiche degli anni 70. Con la riforma del titolo V della parte seconda della nostra Costituzione non è mutato nella sostanza il quadro dei rapporti del nostro ordinamento con il diritto dell’UE:il nuovo art 117 1° comma,della Costituzione sancisce il principio che “la potestà legislativa è esercitata dalla stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,nonché dei vincoli derivanti dall’Ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali”. All’art 11 si è aggiunta la formulazione espressa,nell’art 117,dell’obbligo di rispettare i vincoli posti dall’ordinamento comunitario.Non risulta modificato il rapporto tra norme comunitarie e norme costituzionali rispetto al quale il principio della prevalenza della norma dell’UE incontra il solo limite dei principi strutturali del nostro sistema e dei diritti fondamentali della persona,limite di fatto ad oggi rimasto sulla carta,risolvendosi in una ipotesi di scuola. Va anche considerato che la novità dell’art 117,se riferita in tutto o in parte al diritto dell’UE ad esclusione dell’art 11,potrebbe portare a ritenere che il confronto sarebbe non più limitato ai principi strutturali dell’ordinamento ed ai diritti fondamentali,ma a tutte le norme conferenti della Costituzione,al pari di quanto si ritiene generalmente per le norme internazionali convenzionali.In relazione alla vicenda comunitaria,in base all’art 117,norma sul riparto interno di attribuzioni,le Regioni e le Province autonome,nelle materie di loro competenza,partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi dell’UE e provvedono all’attuazione ed all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’UE secondo le regole stabilite dalla legge dello Stato.L’interlocutore delle istituzioni comunitarie è lo Stato membro nella sua unità,sua è la responsabilità della puntuale e corretta osservanza degli obblighi sanciti dal Trattato,ovvero,da atti vincolanti delle istituzioni.

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La conseguenza è che la violazione da parte delle Regioni o di altri enti locali di norme comunitarie resta imputabile allo stato e questi soltanto ne risponderà alla Comunità.

Capitolo IIILa Tutela giurisdizionale nel sistema dell’UESi tratta di un meccanismo di tutela che non ha precedenti in altre esperienze,sia sotto il profilo funzionale e dell’articolazione del sistema complessivamente considerato,sia sotto il profilo degli effetti che il suo funzionamento produce sulla posizione giuridica soggettiva dei “destinatari del sistema stesso:le istituzioni dell’UE,gli stati membri e i singoli,persone fisiche o giuridiche”. Non a caso il sistema di controllo giurisdizionale è stato l’elemento fondamentale di quel modo di essere della Comunità Europa che è stato rappresentato con l’espressione,tanto suggestiva quanto emblematica,“Comunità di diritto”. Al controllo giurisdizionale sul funzionamento del sistema nel suo insieme non devono e non possono sottrarsi né le istituzioni,né gli Stati membri,né i singoli. Alla realizzazione di questo risultato ha contribuito non poco il giudice dell’UE,che ha utilizzato fino in fondo le potenzialità dei Trattati e soprattutto ha garantito con forza ed attenzione sempre maggiori la puntuale tutela delle posizioni giuridiche su cui incide il diritto comunitario o che sono da esso create,in particolare le posizioni giuridiche soggettive del singolo. Il sistema di tutela giurisdizionale risulta essere il vero e generale strumento per rendere effettivo il sistema giuridico nel suo complesso e per realizzare la ricordata Comunità di diritto. Ed è in proposito significativo che il Trattato di Lisbona abbia richiamato espressamente il principio della tutela giurisdizionale effettiva,ribadendo l’obbligo degli Stati membri di stabilire i rimedi necessari per assicurarne l’osservanza (art 19 TUE).Il Trattato di Lisbona ha mantenuto inalterato il previdente sistema giurisdizionale comunitario,estendendolo anche al settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale,con la sola differenza che,dal punto di vista terminologico,non si parla più di tutela giurisdizionale comunitaria ma dell’UE.La politica estera e di sicurezza comune(pesc) continua a rimanere al di fuori della competenza della Corte,ad eccezione del controllo sia sulla legittimità delle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche e giuridiche,sia sulla delimitazione tra le competenze dell’UE e quelle della PESC.Tale sistema giurisdizionale si articola su 2 piani procedurali distinti,ma funzionalmente collegati: il primo è quello del controllo diretto della Corte di Giustizia e/o del Tribunale,ai quali si affiancano i c.d. tribunali specializzati;controllo che,attivato dalle istituzioni,dagli Stati membri,ovvero,dai singoli,si esaurisce con la pronuncia del giudice dell’UE. il secondo è quello della procedura pregiudiziale,fondata sulla cooperazione tra giudice nazionale e giudice dell’UE,attraverso il rinvio pregiudiziale del primo al secondo,che si risolve in un controllo indiretto della Corte di Giustizia,spettando al giudice nazionale la decisione della causa.E’ il caso di aggiungere che l’art 256 TFUE,prevede che tale competenza si possa attribuire anche al Tribunale in materie specifiche,determinate dallo Statuto della Corte di Giustizia.Sotto il profilo funzionale il sistema di controllo giurisdizionale investe,da una parte,la legittimità degli atti dell’UE e,dall’altra,la compatibilità di norme e prassi nazionali con il diritto dell’UE.

Il controllo diretto sulla legittimità di atti e comportamenti delle istituzione dell’UE. L’azione di annullamentoIl controllo giurisdizionale diretto sulla legittimità degli atti dell’UE è attribuito alla competenza esclusiva della Corte di Giustizia dell’UE,la quale comprende la Corte di Giustizia,il Tribunale ed i Tribunali specializzati. Il controllo si realizza attraverso più procedure e con effetti diversi,ovvero,l’azione di annullamento,l’azione in carenza,l’eccezione incidentale d’invalidità,l’azione di danni da responsabilità extracontrattuale dell’UE,il contenzioso in materia di personale.Il Tribunale è competente a conoscere dei ricorsi individuali,dei ricorsi diretti presentati dagli Stati membri,ad eccezione di quelli che saranno attribuiti ai tribunali specializzati e di quelli ancora riservati dallo

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Statuto alla Corte di Giustizia e dei ricorsi proposti contro le decisioni dei tribunali specializzati (art 256 TFUE).Il Tribunale è ora competente a conoscere: dei ricorsi diretti proposti dalle persone fisiche o giuridiche; dei ricorsi proposti dagli Stati membri contro la Commissione; dei ricorsi proposti dagli Stati membri contro il Consiglio,in relazione agli atti adottati nell’ambito degli aiuti di Stato; dei ricorsi diretti a ottenere il risarcimento dei danni causati dalle istituzioni dell’UE o dai loro dipendenti; dei ricorsi fondati su contratti stipulati dall’UE che prevedono la competenza del Tribunale; dei ricorsi in materia di marchio comunitario; delle impugnazioni contro le decisioni dei tribunali specializzati; dei ricorsi diretti contro le decisioni dell’Uff. comunitario delle varietà vegetali e contro quelle dell’Agenzia europea per i prodotti chimici.

L’azione di annullamento è regolata dall’art 263 TFUE e consiste nell’impugnazione mediante ricorso di un atto adottato dalle istituzioni dell’UE che si pretende viziato e pregiudizievole.Atti impugnabili sono gli atti legislativi,gli atti del Consiglio,della Commissione e della BCE che non siano raccomandazioni o pareri,gli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.La Corte ha precisato che sono impugnabili tutti gli atti e i provvedimenti posti in essere dalle istituzioni dell’UE che producano o mirano a produrre effetti vincolanti per i destinatari.La formula utilizzata al riguardo dalla Corte,secondo la quale “l’azione di annullamento deve potersi esprimere nei confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni che miri a produrre effetti giuridici”,appare invero inequivocabile. Impugnabili sono gli atti definitivi. Sotto tale profilo non sono impugnabili gli atti preparatori in senso proprio in quanto e nella misura in cui,non modificano la posizione giuridica del destinatario e salvo a farne valere i vizi in sede di impugnazione dei relativi atti definitivi.E’ viceversa impugnabile l’atto con cui la Commissione comunica di aver archiviato definitivamente una denuncia di violazione delle norme di concorrenza. Sono altresì impugnabili gli atti che autorizzano o approvano la conclusione di un accordo,anche allorché ciò avvenga mediante una deliberazione che resta consegnata solo in un processo verbale.La Corte ha affermato che “l’atto con cui la Commissione ha inteso concludere l’accordo deve poter costituire oggetto di un ricorso per annullamento”;e ciò appunto perché “l’esercizio delle competenze devolute alle istituzioni della Comunità nel campo internazionale non può essere sottratto al controllo giurisdizionale di legittimità previsto dall’art 230 del Trattato.Tra gli atti impugnabili anche quelli adottati dal Parlamento (LEGITTIMAZIONE PASSIVA),se ed in quanto anch’essi idonei a produrre effetti vincolanti per i terzi. Soltanto con il Trattato di Lisbona è stato esteso il controllo della Corte sugli atti adottati dal Consiglio europeo,nonché degli organi e organismi dell’UE,a condizione che essi siano produttivi di effetti giuridici nei confronti di terzi.L’impugnabilità degli atti del Consiglio europeo è giustificata dal fatto che questo organo è stato ricompresso tra le istituzioni dell’UE (art 13 Trattato UE). Legittimati ad impugnare gli atti dell’UE sono anzitutto e comunque gli Stati membri,anche rispetto ad atti destinati ad altri Stati membri o a individui. La legittimazione è attribuita unicamente allo stato e non anche alle sue eventuali articolazioni decentrate,quali le regioni o i comuni:le une e gli altri possono impugnare un atto dell’UE solo in quanto persone giuridiche alle condizioni di cui all’art 263 4°comma e dinanzi al Tribunale. Legittimati all’impugnazione sono altresì il Consiglio,la Commissione e il Parlamento. Il Trattato di Maastricht ha introdotto una specifica ipotesi di azione di annullamento per violazione del diritto,sul ricorso del governatore della Banca Centrale di uno stato membro,ovvero,del Consiglio direttivo della BCE,relativamente alla rimozione dello stesso governatore. Questa sembra essere l’unico caso in cui un atto nazionale può essere impugnato direttamente dinanzi alla Corte di Giustizia,nonché l’unico caso in cui lo stesso atto può essere impugnato anche da un organo dell’UE,quale il consiglio direttivo della Banca.Possono impugnare gli atti dell’UE i singoli,persone fisiche o giuridiche,in primo grado dinanzi al Tribunale e in secondo grado,per motivi di diritto,dinanzi alla Corte.

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Art 263 anche uno Stato terzo può agire.

Il singolo non è legittimato ad impugnare tutti gli atti. Può impugnare le decisioni a lui specificamente indirizzate:il singolo può impugnare atti di cui non sia il formale destinatario e persino regolamenti,alle condizioni che tali atti lo riguardino direttamente e individualmente,vale a dire che sia identificato o identificabile quale destinatario sostanziale dell’atto e che vi sia un nesso di causalità tra la situazione individuale e la misura adottata.Quanto alla circostanza che il ricorrente deve essere direttamente riguardato,dalla giurisprudenza si evince che ciò si verifica quando l’atto dell’UE incida direttamente sulla posizione giuridica del singolo,senza lasciare ai destinatari alcun potere discrezionale e senza che ai fini della sua applicazione sia necessaria una ulteriore attività normativa.Relativamente al requisito dell’individualità,è stato ribadito a più riprese il principio che “chi non sia destinatario di una decisione può sostenere che questa la riguarda individualmente soltanto qualora il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali,ovvero,di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità,e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari”.Il Trattato di Lisbona ha realizzato l’auspicata revisione delle condizioni di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti dai singoli,persone fisiche o giuridiche,sancendo espressamente il loro diritto di impugnare gli atti regolamentari che li riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione (art 263 TFUE).Il termine per l’impugnazione è di 2 mesi a decorrere dalla pubblicazione dell’atto,ovvero,dalla sua notificazione al ricorrente,in mancanza e come criterio residuale e subordinato,dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto effettiva conoscenza.I vizi che possono essere fatti valere sono quelli tradizionali del contenzioso amministrativo:incompetenza,violazione di forme sostanziali,violazione dei Trattati o di norme relative alla sua applicazione,sviamento di potere.L’incompetenza,che spesso rimane assorbita dalla violazione “di legge” comprende sia l’incompetenza (relativa) dell’istituzione che ha adottato l’atto,sia l’incompetenza (assoluta) dell’UE in quanto tale.La violazione delle forme sostanziali comprende il difetto di motivazione,la mancata consultazione di un’altra istituzione o di un organo dell’UE allorché espressamente prevista,nonché,l’errata individuazione della base giuridica,ogni qual volta abbia conseguenze sulle condizioni di adozione dell’atto.La violazione di legge comprende la violazione,oltre che di norme di Trattati e di diritto derivato dell’UE,anche dei principi generali consolidatisi nella giurisprudenza della Corte,nonché,delle norme che comunque vincolano l’UE,come le norme internazionali convenzionali e consuetudinarie.Lo sviamento di potere si verifica quando l’amministrazione,nel ambito della discrezionalità di cui gode,esercita un determinato potere allo scopo esclusivo o almeno determinante di raggiungere fini diversi da quelli per il quale il potere in questione lo è stato conferito o da quello dichiarato;ciò deve risultare da “indizi obiettivi,pertinenti e concordanti”. Lo sviamento di potere comprende anche lo sviamento di procedura,cioè,il caso in cui una determinata procedura venga utilizzata a fini diversi da quelli per i quali è stata istituita e per far fronte alle circostanze del caso di specie.Il giudice dell’UE esercita un controllo giurisdizionale completo sulla legalità dell’atto.Il ricorso proposto al giudice dell’UE non ha effetto sospensivo;l’art 278 TFUE prevede la possibilità di chiedere alla Corte,in via cautelare,la sospensione dell’atto impugnato. La Corte può,inoltre,ordinare le misure provvisorie,diverse dalla sospensione,che ritiene necessarie (art 279).L’ordinanza cautelare del Presidente del Tribunale è impugnabile dinanzi alla Corte,con i limiti analoghi a quelli posti all’impugnazione di una pronuncia ordinaria del giudice di primo grado.Quanto alle condizioni che giustificano un provvedimento cautelare,esse non si discostano molto da quelle richieste in ogni latitudine,nel rispetto dell’idea che vuole tale provvedimento finalizzato ad evitare che l’effetto utile della sentenza definitiva sia vanificato dal tempo occorrente per renderla.L’esito del giudizio è,in caso di accoglimento del ricorso,l’annullamento dell’atto impugnato,in particolare la dichiarazione che l’atto è “nullo e non avvenuto”,secondo la terminologia dell’art 264. L’annullamento dell’atto produce quindi,fatte salve le eccezioni di cui subito si dirà,effetti EX TUNC.

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La sentenza di annullamento,che è efficace dal giorno in cui è pronunciata,ha l’effetto della cosa giudicata,sia in senso formale che sostanziale,beninteso relativamente ai punti di fatto e di diritto che siano stati effettivamente definiti dalla sentenza.La sentenza della Corte comporta per l’istituzione che l’aveva adottato l’atto annullato l’obbligo di prendere le misure necessarie per darvi piena esecuzione. L’istituzione interessata è tenuta a prendere tutti i provvedimenti,ma anche solo quelli,che l’esecuzione della sentenza di annullamento impone. Lo stesso art 264 prevede al 2° comma,la facoltà per la Corte di stabilire gli effetti dell’atto che devono essere considerati come definitivi. La Corte può,dunque,dichiarare che l’annullamento di un atto,sia esso parziale o totale,abbia effetti EX NUNC invece che EX TUNC;o che addirittura conservi i suoi effetti fino a quando l’amministrazione avrà modificato o sostituito con un nuovo atto quello impugnato.Sebbene il precedente art 231 del Trattato CE si riferiva ai soli regolamenti,la Corte aveva esteso la possibilità offerta dalla disposizione in questione anche alle ipotesi di annullamento di una direttiva,ovvero,di una decisione,richiamandosi a motivi di certezza del diritto,compatibili a quelli che intervengono nel caso di annullamento di taluni regolamenti.L’art 264 prevede che “la Corte,ove lo reputi necessario,precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”.Il principio della certezza del diritto,che costituisce a ben vedere la ragion d’essere dell’art 264,è infatti un principio di applicazione generale,valido per il caso di annullamento di tutti gli atti che incidono sulla posizione giuridica dei destinatari,ivi comprese le direttive,che non solo possono avere un effetto diretto,ma in ogni caso costituiscono un riferimento obbligato in sede d’interpretazione delle norme nazionali.

L’azione in CarenzaIl ricorso in carenza è uno strumento che tende a porre rimedio alla illegittimità inattività di un’istituzione dell’UE o della BCE. Tale strumento consente di mettere in discussione il comportamento del Parlamento europeo,del Consiglio europeo e della Commissione,nonché,della BCE,allorché tali istituzioni o organi,in violazione del Trattato,si astengano dal pronunciarsi. L’art 265 TFUE prefigura uno strumento d’impugnazione autonomo rispetto a quello disciplinato dall’art 263,anche se ad esso logicamente collegato.Il ricorso in carenza riguarda non l’ipotesi di un rifiuto,che è pur sempre un provvedimento,ma quella di illegittimità assenza di decisione.Perché il ricorso sia ricevibile,occorre che l’istituzione o l’organo cui è rimproverata l’inerzia sia stato formalmente invitato a prendere posizioni,in breve ad adottare le misure richieste;una tale messa in mora deve intervenire,a giudizio della Corte,entro un termine “ragionevole” a partire dal momento in cui appare chiaro che l’istituzione o l’organo in questione non ha intenzione di agire. Dal momento della messa in mora,l’istituzione o l’organo dispone poi di un periodo di 2 mesi per prendere posizione;trascorso invano tale periodo,l’autore della messa in mora può introdurre il ricorso,a sua volta entro un termine di 2 mesi.L’assenza di decisione deve essere attuale e permanere anche durante tutto il corso della procedura;se infatti l’istituzione o l’organo risponde alla messa in mora che gli è stata indirizzata,adottando l’atto voluto dal richiedente,la procedura ex art 265 diventa senza oggetto.Non è possibile dopo la scadenza di tali termini,la revoca o la modificazione di un atto,per poi,in caso negativo,introdurre un ricorso in carenza dinanzi alla Corte.Il ricorso in carenza può essere introdotto anzitutto dagli Stati membri e dalle istituzioni in relazione a qualunque ipotesi di astensione che integri una violazione dei Trattati.A differenza delle istituzioni e degli stati membri,il singolo può agire in carenza solo quando l’istituzione abbia omesso di emanare nei suoi confronti un atto che non sia una raccomandazione o un parere.La Corte ha rivelato molta prudenza,escludendo che il singolo possa agire in carenza rispetto ad un atto rivolto agli Stati,rispetto ad una proposta della Commissione,rispetto a decisioni comunque destinati a terzi.E’ stata comunque riconosciuta ai singoli la possibilità di ricorrere nelle ipotesi in cui essi possano considerarsi direttamente e individualmente riguardati dagli atti relativamente ai quali deducano la carenza dell’istituzione.Nell’ambito di una procedura fondata sull’art 265,il ricorrente che sia uno Stato membro,ovvero,un singolo,ha anche la possibilità di chiedere ed ottenere provvedimenti provvisori ai sensi dell’art 279 TFUE,ove ricorrano le condizioni già ricordate a proposito dell’azione di annullamento.

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Si noti che la sentenza di accoglimento del ricorso in carenza corrisponde ad una pronuncia di mero accertamento,che non esclude la proposizione di un’azione di responsabilità extracontrattuale ex artt 268 e 340 TFUE,nell’ipotesi in cui il comportamento omissivo dell’istituzione dell’UE abbia cagionato un danno.L’eccezione d’invaliditàL’art 277 TFUE prefigura questo ulteriore mezzo per far valere l’illegittimità di un atto di portata generale adottato da un’istituzione,organo o organismo dell’UE. Si tratta di una eccezione incidentale,che le parti possono sollevare nel corso di una procedura già attivata per altri motivi dinanzi alla Corte,al fine di far dichiarare l’inapplicabilità dell’atto di cui si tratta facendo valere,anche dopo che sia trascorso il termine d’impugnazione previsto per il ricorso di annullamento,gli stessi motivi previsti dall’art 263.La sfera di applicazione dell’eccezione d’invalidità era nel Trattato CE formalmente limitata ai regolamenti,mentre nel TFUE è stata estesa a tutti gli atti di portata generale.La possibilità di sollevare un’eccezione di invalidità mira essenzialmente a rimediare ai limiti posti dall’art 263 alle possibilità di impugnazione offerte ai singoli in relazione agli atti dell’UE aventi portata generale.L’eccezione d’invalidità non può essere utilizzata per eludere l’onere della tempestività dell’impugnazione,dovendo restare viceversa un mezzo offerto al singolo,per contestare la legittimità di un atto dell’UE,nella sola ipotesi in cui gli sia preclusa ogni altra possibilità.E’ evidente tuttavia che allo Stato membro,così come al singolo,è comunque preclusa la possibilità di sollevare un’eccezione d’invalidità rispetto ad una decisione individuale di cui esso sia il destinatario.Sulla premessa dell’autonomia della procedura ex art 258 TFUE rispetto alle azioni ex artt 263 e 265,è stato ribadito anche rispetto a tale ipotesi,che lo Stato non può eccepire in via incidentale l’illegittimità di una decisione di cui sia destinatario in una procedura per un inadempimento consiste nella mancata osservanza di quella stessa decisione;e che l’unica eccezione riguarda l’ipotesi di atto viziato in modo così grave ed evidente da essere inesistente.Non esiste alcuna presa di posizione della Corte circa l’ipotesi che nel corso di una procedura d’infrazione lo stato membro cui è contestato l’inadempimento sollevi un’eccezione di invalidità rispetto ad un regolamento. Ad uno stato membro che ha eccepito in via incidentale l’illegittimità di alcune disposizioni di una direttiva per giustificarne la mancata trasposizione,la Corte ha opposto con ferma chiarezza l’inammissibilità dell’eccezione sollevata.L’effetto di un eventuale accoglimento dell’eccezione d’invalidità è l’inapplicabilità dell’atto e non già il suo annullamento. La conseguenza pratica per l’istituzione che l’aveva adottato è che procederà comunque alla sua modificazione o all’occorrenza alla sua abrogazione.

L’azione di responsabilità extracontrattualeLa competenza della Corte in materia di responsabilità extracontrattuale dell’UE,e di conseguente risarcimento dei danni (art 268 TFUE),va anch’essa collegata alla funzione di controllo sulla legittimità degli atti dell’UE.La disciplina del TFUE,prevista dall’art 340 2° comma,si limita ad imporre all’UE di risarcire,conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri,i danni causati dalle sue istituzioni,ovvero,dagli agenti nell’esercizio delle loro funzioni. Il 3° comma dell’art 340 estende questa disciplina ai danni causati dalla BCE e dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni.La competenza della Corte sussiste solo quando il danno sia stato cagionato da un’istituzione dell’UE o dai suoi agenti,ovvero,dalla BCE o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni. Per contro,la competenza appartiene esclusivamente ai giudici nazionali quando risulti che il danno allegato è stato prodotto da organi nazionali,sia pure in conseguenza dell’applicazione di una normativa dell’UE.La Corte ha progressivamente elaborato il criterio della competenza efficiente,in base al quale è il giudice nazionale a dover essere adito qualora sia nella condizione di statuire utilmente. Ciò vale anche quando la normativa dell’UE,preveda una competenza vincolata per l’amministrazione nazionale,con la conseguenza che l’eventuale illecito è sicuramente imputabile alla Commissione.Quanto al rapporto tra mezzi interni di ricorso e azione di responsabilità dinanzi alla Corte di Giustizia,il sistema nel suo insieme deve funzionare in modo da garantire in ogni caso la protezione giurisdizionale del soggetto leso. Ne consegue che,se in via di principio l’azione di responsabilità è residuale rispetto ai mezzi interni predisposti per l’annullamento di misure e atti nazionali,tali mezzi devono assicurare al singolo di restare comunque indenne delle conseguenze dannose dell’illegittimità dell’atto.

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Un altro aspetto di rilievo attiene al rapporto tra l’azione di responsabilità e l’azione d’annullamento ex art 263 TFUE,ovvero,il ricorso in carenza ex art 265. In un primo momento,sembrò prevalere un criterio di severità e in definitiva una lettura restrittiva dell’art 268 in relazione all’art 340. Più tardi,la Corte ha invece affermato che l’azione di danni rappresenta un “rimedio autonomo distinto dagli altri mezzi sia quanto alla funzione che quanto alle condizioni di esercizio “che tengono conto del suo oggetto specifico”.L’azione di danni non può essere il mezzo per neutralizzare gli effetti di un atto lesivo quando tale obiettivo può venire ugualmente raggiunto attraverso una normale azione di annullamento,sia essa diretta,sia essa nazionale con rinvio pregiudiziale di validità alla Corte.L’eventuale dichiarazione di illegittimità resta puramente incidentale e non produce gli effetti propri dell’azione di annullamento o della pregiudiziale di validità.Le condizioni della responsabilità extracontrattuale dell’UE e del conseguente obbligo risarcitorio sono state più volte precisate nella giurisprudenza della Corte:l’illiceità del comportamento dell’istituzione,un danno effettivo ed un nesso di causalità fra il danno e il comportamento dell’istituzione. Nell’ipotesi che il danno derivi da un “atto normativo che implica delle scelte di politica economica,la responsabilità della Comunità per il danno che i singoli possono aver subito in conseguenza di questo atto sussiste unicamente in caso di violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare i singoli.”.Il danno,poi,deve essere in un certo senso individualizzato,ciò che non si verifica quando l’atto investe categorie molto ampie di operatori economici e le sue conseguenze,anche pregiudizievoli,risultano molto attenuate al livello dei singoli.Sulla responsabilità patrimoniale degli Stati membri per violazione del diritto dell’UE,la Corte,nell’indicarne le condizioni,ha con insistenza precisato che non devono essere diverse,a parità di situazioni,da quelle che sono richieste per la responsabilità delle istituzioni,in quanto la tutela dei diritti attribuiti dal diritto dell’UE non può variare in funzione della natura,nazionale o dell’UE,dell’organo che ha causato il pregiudizio. Il risultato è che anche la responsabilità extracontrattuale delle istituzioni dell’UE ricorre quando:la norma violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli,la violazione sia grave e manifesta,sussista il nesso causale.La responsabilità dell’UE per gli atti normativi che implicano scelte di carattere economico sussiste unicamente in caso di violazione grave e manifesta di una norma superiore intesa a tutelare i singoli.In relazione poi al nesso di causalità,è appena il caso di aggiungere che tale requisito sussiste soltanto nelle ipotesi in cui il comportamento contestato costituisca la causa certa e diretta del danno e non quando questo ultimo sia soltanto “una lontana conseguenza” dell’azione od omissione dell’istituzione.La giurisprudenza della Corte in materia di liquidazione del danno è altresì costante nel ritenere ammissibile la domanda di interessi moratori,che decorrono dalla sentenza che accerta la responsabilità dell’UE,in quanto dichiarativa dell’obbligo di risarcire il danno. Il tasso d’interesse è fissato senza alcun riferimento al tasso legale vigente nello stato membro del ricorrente,in genere tra il 6 e l’8%.

Il Contenzioso in materia personaleLa competenza a conoscere delle controversie tra l’UE e i suoi agenti appartiene alla Corte,nei limiti e alle condizioni determinati dallo Statuto del personale o risultanti dal regime ad essi applicabile. Tale competenza,prevista dall’art 270 TFUE è stata esercitata in primo grado dal Tribunale a partire dall’ottobre 1989 fino al 2005,anno in cui è stata devoluta al Tribunale della Funzione Pubblica.Tale organo giurisdizionale è disciplinato dalla decisione istitutiva ed in relazione alla sua competenza in materia di contenzioso del personale hanno continuato a trovare applicazione le previsioni contenute nello statuto dei funzionari,nonché,i principi elaborati nel corso degli anni dalla Corte di Giustizia e dal Tribunale. Il Tribunale della Funzione Pubblica è competente a conoscere tutte le controversie che afferiscano al rapporto d’impiego:assunzioni,condizioni di lavoro,trattamento economico e benefici sociali,disciplina delle carriere.Il regime del contenzioso della funzione pubblica è disciplinato dagli artt 90 e 91 dello statuto del personale,che prevedono,in primo luogo,una specifica procedura precontenziosa,tranne nell’ipotesi in cui venga impugnato un atto che l’amministrazione non ha il potere di annullare o modificare.La ricevibilità del ricorso è subordinata alla circostanza che il ricorrente abbia un interesse ad agire e che l’atto impugnato,che può finanche rivestire forma verbale,sia tale da arrecargli pregiudizio.

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Il termine per agire è di 3 mesi,che decorrono dal giorno della notifica della decisione che statuisce sul reclamo.Quanto al merito,il ricorso può essere diretto,conformemente all’art 91 dello statuto,ad ottenere sia l’annullamento di un atto,sia il risarcimento dei danni derivanti da un atto o da un comportamento dell’istituzione di cui si tratta.

L’impugnazione della sentenza del TribunaleL’art 256 TFUE prevede la possibilità che tutte le azioni siano trattate in primo grado del Tribunale,fatta eccezione per i rinvii pregiudiziali,almeno fino a quando non troverà applicazione l’art 256 par. 3,che prevede che si possa attribuire al Tribunale la competenza a conoscere delle questioni pregiudiziali in materie specifiche,verosimilmente coincidenti con quelle i cui ricorsi diretti saranno devoluti alle camere giurisdizionali o comunque di natura tecnica,determinate dallo statuto della Corte di Giustizia.La competenza del Tribunale riguarda anche i ricorsi individuali contro atti adottati non da istituzioni,bensì da altri organi istituiti da atti dell’UE di diritto derivato e dunque rientranti nel sistema dell’UE in senso ampio.Il trasferimento di competenze al Tribunale ha inteso contribuire ad un miglioramento del livello di tutela giurisdizionale complessivamente offerto dal sistema dell’UE,in particolare con riguardo alla tutela dei singoli.La cognizione del Tribunale si sostituisce in primo grado nelle competenze che il Trattato attribuiva alla Corte rispetto alle azioni attivate da ricorsi individuali e in taluni casi dagli Stati membri:di annullamento,in carenza,di responsabilità extracontrattuale.E’ ben possibile che la Corte ed il Tribunale siano contemporaneamente chiamati a decidere su ricorsi aventi lo stesso oggetto,che sollevino le stesse questioni d’interpretazione,ovvero,mettano in discussione la legittimità di uno stesso atto. La norma dello statuto della Corte (art 54) consente varie soluzioni. Il Tribunale potrà sentire le parti,sospendere la procedura e attendere la pronuncia della Corte. Il Tribunale può scegliere di spogliarsi della causa,declinando la propria competenza e lasciare che sia la Corte a decidere. Può altresì accadere che sia la Corte a sospendere la procedura dinanzi ad essa pendente. Quest’ultima soluzione assicura alle parti il doppio grado di giudizio,senza per questo pregiudicare la decisione del Tribunale.L’impugnazione della sentenza di primo grado può essere proposta entro 2 mesi dalle parti,principali e intervenute. Gli stati e le istituzioni possono impugnare una sentenza del Tribunale indipendentemente dalla loro presenza nella procedura dinanzi al Tribunale,con la sola eccezione delle controversie dei funzionari.L’impugnazione deve essere diretta a rimediare ai pretesi errori in diritto della sentenza di primo grado. Essa deve indicare espressamente i punti della sentenza impugnata di cui si chiede l’annullamento perché viziati.Si tratta non tanto di un giudizio di appello,in cui si possono rivisitare anche i fatti,bensì di cassazione. I vizi censurabili sono l’incompetenza del Tribunale,i vizi di procedura che hanno causato pregiudizio al ricorrente,nonché,la violazione del diritto dell’UE. Al giudice di secondo grado è stata lasciata una cognizione finalizzata all’eliminazione degli errori di diritto che possono pregiudicare la coerenza dell’ordinamento e l’uniformità di applicazione delle norme. L’errore di diritto deve comprendere non solo l’errore nell’interpretazione della norma o nella identificazione della norma applicabile,ma anche l’errore nella qualificazione giuridica dei fatti accertati e/o delle fattispecie che comporti l’applicazione della norma ad una fattispecie non regolata.La Corte ha affermato la propria competenza a verificare se le prove assunte dal Tribunale siano state acquisite regolarmente e se i principi generali del diritto e le norme di procedura in materia di onere e di produzione della prova siano stati rispettati. Solo un profilo più sostanziale,la Corte si è riservata la facoltà di sindacare lo “snaturamento degli elementi di prova”.Altro elemento che può dar luogo a qualche difficoltà è il vizio di motivazione della sentenza impugnata. La mancata previsione espressa di tale vizio nell’elencazione che dei vizi censurabili con l’impugnazione ai sensi dell’art 58 dello Statuto non può certo condurre ad escluderne la sua qualificazione come ipotesi di violazione del diritto dell’UE.La Corte ha anche apprezzato un motivo d’impugnazione fondato sulla eccessiva durata della procedura svoltasi dinanzi al Tribunale e dunque in violazione di un principio generale di diritto –l’art 6 della

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Convenzione di Roma sui diritti umani- considerato alla stregua di norma relativa all’applicazione del Trattato.La Corte,in base all’art 119 del regolamento di procedura,può dichiarare il ricorso manifestamente irricevibile ed anche manifestamente infondato,con semplice ordinanza e “sentito” l’avvocato generale.La sentenza della Corte che accoglie l’impugnazione comporta l’annullamento della pronuncia del Tribunale.La Corte,peraltro,può essa stessa decidere la controversia,”qualora lo stato degli atti lo consenta”;se il dispositivo della sentenza del Tribunale appare comunque fondato il ricorso deve essere respinto. In caso contrario,la Corte rinvia la causa nuovamente al Tribunale perché quest’ultimo decida.La Corte potrà decidere nel merito la controversia soltanto allorché i fatti risultino integralmente accertati nella fase del giudizio già svolta di fronte al Tribunale.

La revocazione,il riesame,il rinvioLo statuto della Corte (art 44) prevede l’istituto della revocazione della sentenza,applicabile alle pronunce sia del Tribunale che della Corte entro il termine di 10 anni dalla data della sentenza (MEZZO STRAORDINARIO DI RICORSO). Avverso la sentenza pronunciata in contumacia è prevista l’opposizione,da proporsi entro un mese dalla notifica della sentenza;il procedimento segue lo stesso rito di quello ordinario.Nel sistema giurisdizionale dell’UE è altresì previsto l’istituto del riesame delle sentenze del Tribunale,di difficile qualificazione e classificazione giuridica,anche se presenta delle analogie con il ricorso nell’interesse della legge. L’art 256 par. 2-3 TFUE prevede che le decisioni emesse dal Tribunale sui ricorsi proposti avverso le decisioni delle camere giurisdizionali,nonché,le decisioni emesse su questioni pregiudiziali possono essere oggetto di riesame da parte della Corte di Giustizia,alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo Statuto procedura d’urgenza che può trovare applicazione sia nei ricorsi diretti che in quelli indiretti a condizione che sussistano gravi rischi che l’unità o la coerenza del diritto dell’UE siano compromesse.L’art 62 dello Statuto ha affidato al primo avvocato generale l’iniziativa di proporre alla Corte il riesame della decisione del Tribunale.Nelle ipotesi in cui “la Corte di Giustizia costati che la decisione del Tribunale pregiudichi l’unità o la coerenza del diritto dell’UE,essa rinvia la causa dinanzi al Tribunale che è vincolato ai punti di diritto decisi dalla Corte”. Può anche accadere che la soluzione della controversia emerga,in considerazione dell’esito del riesame dagli accertamenti in fatto sui quali è basata la decisione del Tribunale. In quest’ultima ipotesi,la Corte statuisce in via definitiva,sostituendosi la sua soluzione a quella del Tribunale.L’istituto del rinvio è strettamente correlato al trasferimento di alcune competenze pregiudiziali dalla Corte al Tribunale,in quanto esso troverà applicazione soltanto se e quando verranno effettivamente affidate al Tribunale siffatte competenze. Il nuovo testo dell’art 256 TFUE attribuisce al Tribunale la facoltà di disporre un rinvio alla Corte “ove ritenga che la causa richieda una decisione di principio che potrebbe compromettere l’unità o la coerenza del diritto dell’UE”.

Il controllo giurisdizionale sulla corretta applicazione del diritto dell’UE negli Stati membri. La procedura d’infrazioneIl controllo mira a garantire l’armonia del sistema giuridico dell’UE considerato nel suo insieme e rispetto alle sue diverse articolazioni normative.La procedure d’infrazione si collega al ruolo attribuito alla Commissione di custode della corretta applicazione,da parte degli Stati membri,dei Trattati e degli atti dell’UE (art 17 TUE). Nel sistema dell’UE l’ipotesi normale è che la procedura sia attivata dalla Commissione nei confronti di uno Stato membro,ai sensi e per gli effetti di cui all’art 258 TFUE.La procedura d’infrazione è sostanzialmente diretta a porre termine alla violazione del diritto dell’UE e pertanto a far si che il comportamento dello Stato membro si modifichi e sia coerente con il dettato delle norme conferenti,prima ancora e più che all’accertamento dell’infrazione. Essa consiste all’evidenza nella violazione di una qualsiasi obbligazione che incomba su di uno Stato membro.

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L’inadempimento può consistere in un comportamento o in un atto normativo o in una pratica amministrativa o,spesso,nell’aver omesso di dare formale attuazione ad un obbligo dell’UE:si pensi al caso tipico della mancata o non corretta o non tempestiva trasposizione di una direttiva.La procedura d’infrazione ha in primo luogo una fase precontenziosa,che si svolge su impulso e comunque sotto la responsabilità della Commissione.Se all’esito di una verifica la Commissione ritiene che un’infrazione sia stata commessa dallo Stato membro,la stessa invia a quest’ultimo una lettera di messa in mora,che è una prima contestazione degli addebiti.Il passo formale ulteriore della Commissione,se non ritiene adeguate le osservazioni dello Stato membro,è l’invio a quest’ultimo di un parere motivato nel quale sono specificate le infrazioni che ancora si ritengono commesse e gli elementi di diritto e di fatto che sostengono la contestazione;ed è specificato altresì il termine entro il quale lo Stato membro è tenuto a mettere fine all’inadempimento.La lettera di messa in mora e il parere motivato costituiscono passaggi obbligati della procedura d’infrazione,in quanto valgono a definire l’oggetto della controversia e a soddisfare l’esigenza del contraddittorio cui è ispirata anche la fase precontenziosa.Rappresenta in primo luogo una garanzia fondamentale ed una condizione essenziale per la legittimità della procedura d’infrazione complessivamente considerata. In secondo luogo,la funzione di questa fase è anche quella di stimolare per quanto possibile una soluzione non giudiziaria,in modo da realizzare comunque il fine sostanziale della procedura d’infrazione,che consiste nel far venir meno l’infrazione stessa.Se entro il termine fissato nel parere motivato lo Stato membro non si adegua a quanto richiesto dalla Commissione,quest’ultima può presentare un ricorso alla Corte di Giustizia.L’inadempimento deve essere rigorosamente provato dalla Commissione e non può essere fondato su presunzioni.Se quel termine è trascorso senza che lo Stato abbia adempiuto,sussiste e permane l’interesse pieno della Commissione a portare lo Stato dinanzi alla Corte,con la conseguenza che quest’ultima,investita della causa,è tenuta a giudicare,con la sola eccezione della rinuncia all’azione da parte della stessa Commissione.Il rinvio pregiudiziale è un procedimento del tutto autonomo rispetto alla procedura d’infrazione e dunque il suo esperimento non può limitare il potere della Commissione di proporre il ricorso previsto dall’art 258.La Corte ha affermato la propria competenza ad adottare misure cautelari,in virtù dell’art 279 TFUE. L’ordinanza cautelare della Corte,nella misura in cui ingiunge allo stato membro un certo comportamento ed in particolare l’immediata sospensione di una normativa o di una prassi nazionale,finisce con l’avere una portata addirittura più incisiva o almeno più immediatamente efficace rispetto alla sentenza definitiva.La procedura d’infrazione è condotta nei confronti dello Stato membro,in quanto è allo Stato unitariamente considerato che l’inadempimento viene attribuito.Art 259 la stessa procedura può essere attivata da uno Stato membro,per veder riconosciuto l’inadempimento di un altro Stato membro. Nella fase precontenziosa lo stato investe la Commissione della sua doglianza;e all’istituzione competono gli stessi adempimenti della procedura normale,la lettera di messa in mora e il parere motivato.Art 271 il Consiglio d’amministrazione della BEI può proporre ricorso alla Corte,assumendo in tal caso gli stessi poteri d’iniziativa di cui dispone la Commissione ai sensi dell’art 258,per far constatare la mancata esecuzione,da parte degli stati membri,degli obblighi derivanti dallo Statuto della Banca.

Effetti della sentenza di inadempimento e sanzione pecuniariaGli effetti di una pronuncia della Corte all’esito di una procedura d’infrazione sono prefigurati dall’art 260 TFUE. La sentenza testualmente “riconosce” che lo Stato è inadempiente rispetto ad una o più obbligazioni che gli derivano dai Trattati,ovvero,da un atto dell’UE.Gli Stati dichiarati inadempienti sono comunque tenuti a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza impone:all’occorrenza,abrogare o introdurre una norma nell’ordinamento,trasporre una direttiva,modificare una prassi o quant’altro.La pronuncia che accerti l’incompatibilità con i Trattati di una legge nazionale comporta per lo Stato l’obbligo di modificarla,adeguandola alle esigenze del diritto dell’UE;l’obbligo per i giudici di garantire l’osservanza della norma europea così come interpretata dalla Corte,determinando anche i diritti che i singoli ne traggono. Il Trattato di Maastricht ha aggiunto,nello stesso art 260 la previsione di una sanzione

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pecuniaria per l’ipotesi che uno Stato membro non abbia adottato le misure necessarie per dare esecuzione ad una sentenza che riconosce l’inadempimento. La procedura d’infrazione può essere reiterata,ma in tal caso la Commissione chiede alla Corte anche la condanna dello Stato al pagamento di una somma forfetaria,ovvero,di una penalità di mora. La prima ipotesi ricorre nei casi di inadempimento puntuale e isolato,mentre la penalità di mora dovrebbe riguardare casi di mancata abrogazione o adozione di norme.Il Trattato di Lisbona ha aggiunto un’ulteriore novità,prevedendo che la Commissione possa direttamente richiedere nel primo ricorso alla Corte,ex art 258 TFUE,di condannare lo Stato inadempiente al pagamento di una sanzione pecuniaria.L’inadempimento nella maggior parte dei casi non è voluto,ma è causato da vischiosità strutturali dei sistemi nazionali di adeguamento:il rimedio naturale è dunque l’annullamento di un atto e l’eventuale risarcimento per i singoli. La Corte ha peraltro avuto l’occasione di pronunciarsi sulla portata della competenza della Commissione,nonché della propria:la decisione ultima spetta alla Corte,la quale nell’esercizio del potere di cui all’art 260 TFUE,non è vincolata alla posizione assunta dalla Commissione.In base agli artt 280 e 299 TFUE la sentenza della Corte è titolo esecutivo all’interno degli ordinamenti nazionali,con apposizione della relativa formula in base alla mera verifica di autenticità da parte dell’autorità competente.Indipendentemente dalla sanzione pecuniaria,la sentenza che accerta l’infrazione non è affatto priva di conseguenze. La conseguenza è,per i giudici e le amministrazioni nazionali,un obbligo di non applicare la norma nazionale dichiarata dalla Corte incompatibile con il diritto dell’UE,ma direttamente le norme europee che siano provviste dell’effetto diretto,così come interpretate dalla Corte nella sentenza. La Corte Costituzionale ha da parte sua riconosciuto che l’interpretazione della norma dell’UE,compiuta attraverso una sentenza della Corte di Giustizia resa in sede di procedura d’infrazione,ha la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate;si impone al giudice la non applicazione della norma interna configgente e l’applicazione della norma dell’UE provvista di effetto diretto,così come interpretata dalla Corte di Giustizia.Occorre segnalare talune significative previsioni contenute nell’art 6 della Legge Comunitaria 2007,che sono state inserite nell’art 16-bis della Legge 4 Febbraio 2005 n.11. Tali previsioni sono finalizzate ad una più efficace e consapevole applicazione delle norme dell’UE da parte degli enti territoriali e degli enti pubblici,nonché,ed evitare che l’inadempimento da parte di questi ultimi determini degli oneri a carico del bilancio dello Stato.

Controllo giurisdizionale e cooperazione tra giudice nazionale e giudice dell’UE. Funzione e oggetto del rinvio pregiudizialeNel sistema di controllo giurisdizionale sulla corretta ed uniforme applicazione del diritto dell’UE in tutti gli Stati membri,un rilievo decisivo ha assunto la cooperazione tra Corte di Giustizia e giudice nazionale.Nella patologia dei rapporti giuridici a fare applicazione del diritto dell’UE,direttamente,ovvero,nella forma dell’atto nazionale imposto da una normativa europea,è principalmente il giudice nazionale.E’ in questa prospettiva che va messo a fuoco il meccanismo del rinvio pregiudiziale prefigurato all’art 267 TFUE,che dà al giudice nazionale la facoltà,e se di ultima istanza l’obbligo,di chiedere alla Corte di Giustizia una pronuncia sull’interpretazione,ovvero,sulla validità di una norma dell’UE quando siffatta pronuncia sia necessaria per risolvere la controversia di cui è stato investito.Di fronte alla possibilità o accertata rilevanza di una norma dell’UE per la soluzione della controversia,può essere utile o necessario al giudice nazionale avere una risposta ai seguenti possibili interrogativi: quale sia la corretta interpretazione e con essa la portata della norma dell’UE;se la corretta interpretazione della norma dell’UE precluda o no l’applicazione di un atto amministrativo,di una legge e persino,eventualmente,di una norma costituzionale dello Stato membro; se la norma dell’UE rilevante sia valida ed efficace.

Le due ipotesi corrispondono al rinvio pregiudiziale d’interpretazione e rispettivamente di validità delle norme dell’UE.L’art 267 TFUE ha attribuito alla Corte una competenza generale in materia pregiudiziale,eliminando le differenze prima esistenti tra i meccanismi di tutela giurisdizionale del diritto comunitario e quelli della

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cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. L’unica eccezione alla competenza della Corte è rappresentata dalla “validità o proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell’applicazione della legge di uno Stato membro o l’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna” (art 276 TFUE).La funzione essenziale del rinvio pregiudiziale è di realizzare una interpretazione e quindi una applicazione del diritto dell’UE uniforme in tutti i Paesi membri,in modo che esso abbia dovunque la stessa efficacia;è necessario che le norme dell’UE ricevano la stessa chiave di lettura,e di conseguenza le stesse possibilità di applicazione in tutti i Paesi membri.Alla Corte di Giustizia spetta l’ultima parola in ordine all’interpretazione del diritto dell’UE;e solo in questo senso la sua competenza può anche considerarsi esclusiva. In prima battuta e comunque in via normale è il giudice nazionale ad applicare e ad interpretare il diritto dell’UE.La seconda funzione del rinvio pregiudiziale d’interpretazione è pertanto quella di verificare la legittimità di una legge nazionale o di un atto amministrativo o anche di una prassi amministrativa rispetto al diritto dell’UE. Il meccanismo è complesso,in quanto la sentenza del giudice nazionale che accerta la legittimità o meno della norma nazionale che accerta la legittimità o meno della norma nazionale consegue ad un’interpretazione del diritto dell’UE da parte della Corte di Giustizia. In fatto all’esito del procedimento,articolato sulla cooperazione tra giudice nazionale e Corte di Giustizia,si è realizzato pur sempre un sindacato sulla legittimità della norma nazionale rispetto al parametro dell’UE.Il controllo della Corte sulla legittimità di norme e atti nazionali,anche se indiretto,è stato subito e con chiarezza affermato come momento fondamentale del sistema di tutela dei diritti che il singolo vanta in forza del diritto dell’UE. Va ricordata la pronuncia Van Gend en Loos a proposito dell’art 30 TFUE,disposizione che vieta agli Stati membri di introdurre negli scambi intracomunitari nuovi dazi doganali e di aumentare quelli esistenti,di cui si assumeva la violazione da parte dei Paesi Bassi.L’obiezione era che per sindacare le infrazioni degli Stati membri,nella forma di normative nazionali incompatibili con il diritto dell’UE,il Trattato aveva predisposto il meccanismo della procedura d’infrazione di cui agli artt 258 e 259,sicchè,il singolo non poteva pretendere di pervenire allo stesso risultato provocando un rinvio pregiudiziale del giudice nazionale.La Corte rispose con chiarezza che limitare la possibilità di far valere la violazione di una norma dell’UE e quella offerta dalla procedura d’infrazione equivarrebbe a lasciare i diritti dei singoli “privi di tutela giurisdizionale diretta…La vigilanza dei singoli costituisce d’altronde un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli artt 169 e 170 (ora artt 258 e 259) affidano alla diligenza della Commissione e degli Stati membri.Quando un singolo ritiene di subire un pregiudizio per effetto dell’applicazione di una norma o di una prassi nazionale assunta come incompatibile con il diritto dell’UE,può far valere tale incompatibilità e provocarne l’accertamento in 2 modi. Il primo è quello della segnalazione alla Commissione,che a sua volta deciderà se attivare o meno la procedura d’infrazione ex art 258;il secondo è quello di chiedere al giudice nazionale dinanzi al quale sia stata portata la controversia di procedere al rinvio pregiudiziale d’interpretazione ex art 267.Non è escluso che si proceda contestualmente nei due modi,stimolando sia l’apertura di una procedura d’infrazione da parte della Commissione,sia un rinvio pregiudiziale da parte del giudice,con il risultato che alla fine si potranno avere 2 sentenze della Corte,una d’inadempimento ed un’altra formalmente d’interpretazione ma sostanzialmente anch’essa d’inadempimento. L’una tende all’accertamento di una violazione da parte del diritto nazionale,l’altra ad una lettura della norma dell’UE dalla quale potrà eventualmente dedursi una incompatibilità di una norma nazionale.La terza funzione del rinvio pregiudiziale consiste nel completare il sistema di controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti dell’UE. Dinanzi al giudice nazionale può essere messa in discussione o la norma dell’UE direttamente applicabile,ovvero,la base giuridica dell’atto dell’UE o del comportamento dell’amministrazione nazionale. Lo scopo può essere quello di farne valere l’illegittimità,ovvero,di farne accertare definitivamente la contestata legittimità,in entrambi casi chiamando in causa la Corte di Giustizia. Solo alla Corte di Giustizia spetta dichiarare l’eventuale illegittimità dell’atto;il giudice nazionale,invece,può solo confermarne la legittimità,fatta salva l’ipotesi di una procedura nazionale di natura cautelare. In quest’ultimo caso,il giudice nazionale può sospendere l’applicazione di un atto interno

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di attuazione di un atto dell’UE,e così facendo in sostanza sospendere egli stesso in via provvisoria l’applicazione dell’atto dell’UE,con l’obbligo tuttavia del rinvio pregiudiziale alla Corte.L’ipotesi del rinvio pregiudiziale di validità rientra a pieno titolo nell’esercizio della funzione di controllo giurisdizionale sugli atti dell’UE devoluta alla Corte.Il rinvio pregiudiziale di validità completa il sistema dei rimedi giurisdizionali predisposti per la tutela dei diritti del singolo rispetto agli atti posti in essere dalle istituzioni dell’UE.Più problematica è l’ipotesi di un atto che il singolo abbia mancato di impugnare direttamente dinanzi alla Corte di Giustizia e di cui il giudice nazionale chieda alla Corte di accertare la validità. Nell’ipotesi che il singolo sia il destinatario formale dell’atto,rileva la regola generale che preclude al singolo come ai ricorrenti privilegiati,di rimettere in discussione l’atto dopo la scadenza dei termini d’impugnazione. Relativamente all’ipotesi che il singolo NON sia il destinatario formale dell’atto e che pertanto la sua legittimazione all’impugnazione diretta sia almeno problematica,c’è stata qualche evoluzione nella giurisprudenza.La Corte ha precisato che quando il singolo sia “indiscutibilmente” legittimato,pur non essendone il formale destinatario,ad impugnare l’atto con ricorso diretto,il giudice nazionale deve considerare l’atto dell’UE come definitivo,con la conseguenza che non vi sono le condizioni per procedere al rinvio pregiudiziale di validità.L’oggetto del rinvio pregiudiziale è quanto mai ampio. Per il rinvio d’interpretazione si tratta di tutto il sistema giuridico dell’UE,dai Trattati istitutivi agli accordi di associazione,dagli atti delle istituzioni,anche quelli non vincolanti,ai principi generali del diritto dell’UE.Gli atti sottoposti alla verifica di validità sono quelli posti in essere dalle istituzioni dagli organi e dagli organismi dell’UE:il Trattato di Lisbona,oltre a ricomprendere la BCE tra le istituzioni dell’UE,ha esteso la competenza del giudice dell’UE agli atti compiuti dagli organi e dagli organismi dell’UE.Si tratta di tutti gli atti impugnabili con il ricorso diretto ex art 263,dunque,gli atti vincolanti,nell’ottica e con l’approccio sostanziale già sottolineato. Anche i vizi che possono essere l’oggetto dell’accertamento della Corte corrispondono a quelli rilevanti ai fini dell’azione di annullamento ex art 263.

Condizioni soggettive e oggettive del rinvio pregiudizialeIl rinvio pregiudiziale può essere deciso da qualunque giudice nazionale:amministrativo o penale,civile o tributario o del lavoro,purchè si tratti della giurisdizione di uno Stato membro.Sono stati esclusi dalla nozione di giurisdizione ai sensi dell’art 267 TFUE la pubblica accusa,come il Procuratore della Repubblica Italiana;gli arbitri o gli organi la cui composizione sia lasciata interamente alle parti della controversia,ma non la giurisdizione nazionale che è chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale ecc ecc..Sono stati,viceversa,compresi nella nozione di giurisdizione il giudice cautelare;il giudice italiano dell’ingiunzione e il giudice istruttore ecc ecc..La Corte di Giustizia in un primo momento aveva compreso nella nozione di giurisdizione l’organismo spagnolo che tutela la concorrenza,mentre successivamente ha escluso che la Commissione ellenica per la concorrenza possa sollevare un rinvio pregiudiziale,vuoi per la sua mancata di indipendenza dal potere esecutivo,vuoi perché i procedimenti avviati dinanzi a tale organismo non necessariamente si risolvono in una pronuncia di carattere giurisdizionale.La nozione di giurisdizione comprende evidentemente tutti i giudici degli stati membri. E’ stata negata la qualità di giurisdizione ai sensi dell’art 267 al Tribunale in sede di volontaria giurisdizione ed in particolare di omologazione di società commerciali,con l’argomento che in quel contesto l’organo non è chiamato a risolvere una controversia.Di qualche rilievo è stata l’attribuzione della qualifica di giurisdizione al Consiglio di Stato anche nell’esercizio della sua funzione consultiva,in particolare quando è chiamato a dare il suo parere in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato,con l’argomento che di fatto si tratta di un parere vincolante.Per la Corte dei Conti,indipendentemente dal contesto funzionale in cui opera il rinvio,si è viceversa fatta valere l’esigenza di verificare precisamente tale contesto funzionale. Si è sottolineato che un organo può essere in alcuni casi qualificato come giurisdizione ed in altri tale qualità non gli può essere riconosciuta,in particolare quando non esercita funzioni giurisdizionali. La conseguenza è che quando la Corte dei Conti

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esercita una funzione di valutazione e di controllo successiva dell’attività amministrativa non è considerata una giurisdizione ai fini del rinvio pregiudiziale.Problema specifico è se la Corte Costituzionale possa essere compresa nella nozione di giurisdizione ai sensi dell’art 267;il giudice costituzionale non è il giudice della controversia nel contesto di un incidente di costituzionalità,mentre lo è il giudice a quo. E’ quest’ultimo che dovrà decidere,nel caso dovessero porsi contestualmente il problema di legittimità costituzionale e quello di compatibilità dell’UE,a quale rinvio dare la precedenza.Diversa è l’ipotesi che il giudice costituzionale sia egli stesso il giudice che definisce la causa,come nei casi di giudizio di legittimità costituzionale in via principale e di conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni,ove è anche giudice di unica ed ultima istanza,sì che sarebbe obbligato al rinvio in virtù del 3° comma dell’art 267.In questi giudizi la Corte Costituzionale costituisce una giurisdizione nazionale,poiché è l’unico giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia e contro le sue decisioni non è ammessa alcuna impugnazione (ai sensi dell’art 137 Cost.).La valutazione sulla necessità del rinvio e dunque della pronuncia pregiudiziale della Corte ai fini della decisione della causa spetta di regola al giudice nazionale. Egli per conoscenza diretta dei fatti e degli elementi di diritto rilevanti,è nella condizione migliore per valutare la pertinenza delle questioni di diritto dell’UE sollevate dalla causa.La regola è quella ancora riaffermata dalla Corte,secondo cui il principio della cooperazione tra Corte di Giustizia e giudice nazionale e della conseguente ripartizione di competenze,esclude che la Corte possa “sindacare la motivazione del provvedimento di rinvio e la pertinenza delle questioni ivi contenute”. Tale regola non è priva di eccezioni,anche rilevanti;e di qualche contraddizione.La Corte ha sottolineato anche la necessità che nel quesito pregiudiziale siano espresse con chiarezza le ragioni per cui il giudice nazionale considera necessaria la pronuncia della Corte.La stessa Corte ha confermato di dover esercitare una “particolare vigilanza” quando la questione pregiudiziale sia diretta a far valutare la compatibilità della normativa di un altro Stato membro con il diritto dell’UE.La Corte ha escluso di potersi pronunciare in presenza di questioni puramente ipotetiche o non obiettivamente necessarie al giudice nazionale per risolvere la controversia dinanzi ad esso pendente o comunque senza un collegamento sufficiente con l’oggetto della causa,in quanto lo scopo del sistema del rinvio pregiudiziale non è quello di ottenere un parere del giudice dell’UE in questioni generali ed ipotetiche,ma quello di contribuire a risolvere una controversia effettiva ed attuale.In terzo luogo,la parsimonia nella motivazione del rinvio era stata sempre tollerata dalla Corte,più di recente è stata la ragione sufficiente per far dichiarare irricevibili talune domande pregiudiziali. Si è sollevato che le indicazioni troppo scarne e imprecise fornite dal giudice nazionale nell’ordinanza di rinvio,mancando di definire il quadro di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni sollevate,non consentono alla Corte di fornire un’interpretazione utile del diritto dell’UE,così come non consentono agli Stati membri ed alle altre parti interessate di svolgere puntuali osservazioni sulla controversia.La stessa Corte si è dichiarata competente a pronunciarsi sull’interpretazione di norme dell’UE anche quando la fattispecie non è regolata dal diritto dell’UE,ma dal diritto nazionale,in quanto quest’ultimo operi un rinvio a disposizioni di diritto dell’UE perché sia determinato il contenuto o l’interpretazione delle norme (nazionali) applicabili ad una situazione puramente interna;o anche nel caso in cui la norma in questione riproduca pressoché testualmente una norma dell’UE.Quando la norma dell’UE come tale non è applicabile e dunque non ne è necessaria l’interpretazione ai fini della definizione della controversia dinanzi al giudice nazionale,manca la base giuridica della competenza della Corte ai sensi dell’art 267 TFUE.

Facoltà ed obbligo di rinvioIl Giudice nazionale che non sia di ultima istanza ha la facoltà di sottoporre alla Corte un quesito pregiudiziale ogni volta che la risposta è indispensabile per giudicare della controversia dinanzi ad esso pendente.Il giudice che ha rivolto il quesito alla Corte deve essere lo stesso che ne riceverà la risposta.

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In sede di giudizio di rinvio dalla Corte di Cassazione,il giudice conserva la facoltà di attivare il meccanismo pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia se ritiene sussista un problema di validità o di interpretazione di norme dell’UE.Quando,invece,si tratta di un giudice di ultima istanza inteso come giudice le cui sentenze non siano soggette ad impugnazione,egli ha l’obbligo di operare il rinvio. L’obbligo del rinvio pregiudiziale,in particolare quello in via generale imposto al giudice di ultimo grado,può in alcuni casi venir meno. Non c’è obbligo di rinvio quando la questione sia “materialmente identica” ad una già sollevata e già decisa in via pregiudiziale dalla Corte,ovvero,vi sia comunque una giurisprudenza costante sul punto.Si è ammessa un’eccezione per l’ipotesi in cui la risposta al quesito non alimenti alcun ragionevole dubbio interpretativo. Il giudice nazionale,in tal caso,deve essere convinto che la stessa evidenza si imporrebbe ai giudici degli altri Stati membri. Nella prospettiva di una tutela giurisdizionale piena ed effettiva,nell’ipotesi di omesso rinvio di una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte di una giurisdizione nazionale di ultima istanza,si potrebbe prefigurare,ai sensi dell’art 6 CEDU,una violazione dei diritti fondamentali ad in equo processo e ad un giudice precostituito per legge,richiamati anche dall’art 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Ad avvalorare tale conclusione,soccorre l’art 19 TUE che,con specifico riferimento al diritto fondamentale al giudice precostituito per legge,attribuisce ai giudici dell’UE il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e applicazione dei Trattati stessi.L’obbligo di rinvio è poi assoluto nel rinvio pregiudiziale di validità,nel senso che ricorre anche quando l’invalidità sia stata dichiarata per un atto del tutto analogo,fatta salva la sospensione cautelare dell’atto.La Corte,in base all’art 104 del regolamento di procedura,può seguire una procedura semplificata sulle domande pregiudiziali,che si chiude con un’ordinanza,senza trattazione orale e senza conclusioni scritte dell’avvocato generale. Le ipotesi in cui è possibile tale procedura sono 3: quando la questione sia identica ad una già definita; quando sia desumibile con chiarezza dalla giurisprudenza; quando la soluzione non alimenti alcun ragionevole dubbio.A queste ipotesi si affianca un procedimento pregiudiziale d’urgenza che può essere applicato esclusivamente nei settori di cui al Titolo V della parte terza del TFUE,relativo allo spazio di libertà,sicurezza e giustizia.La decisione del rinvio è solo del giudice,che può operarlo anche d’ufficio,tant’è che si parla di procedimento “da giudice a giudice”.Anche se nel corso della procedura emergono fatti diversi da quelli rappresentanti nell’ordinanza di rinvio del giudice nazionale,è solo in funzione del contenuto di questa e dei quesiti formulati che la Corte deve costruire la propria decisione.

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