Conferenza :vita al Fronte e nel paese Cartina del fronte ...Porreca... · Gatti – generale e...

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Conferenza :vita al Fronte e nel paese Cartina del fronte italiano Nel maggio del 1915 la frontiera tra Italia e Impero austro - ungarico correva lungo la linea stabilita nel 1886 al termine della 3° guerra d’indipendenza e dell’annessione del Veneto: era un confine prevalentemente montuoso. Toccava il punto più basso in corrispondenza del Lago di Garda,ma in molti punti sfiorava i 4000 m. di quota. La particolare morfologia dei monti imponeva al confine un andamento assai irregolare con forti e frequenti dislivelli. Il fronte si stabilizzò più o meno su questa linea,dividendosi in due teatri di guerra :uno più propriamente alpino composto dal saliente trentino e dalla cresta cadore- carnica (Adamello Tarvisio),il secondo carsico isontino (da Tolmezzo fino al mare). Il fronte più propriamente di montagna si estese dall’Adriatico al passo dello Stelvio per 650 Km e ,per le sue caratteristiche ,impegnò, per quasi tutta la durata del conflitto , i soldati in una “guerra verticale”combattuta fra le cime. Il terreno roccioso,le avversità climatiche dovute alle alte quote determinarono il modo di condurre le azioni e programmare le strategie. La condotta iniziale della guerra fu lenta,incerta e eccessivamente prudente e questo permise all’esercito austriaco di rafforzare le difese già esistenti e di impegnare le posizioni più alte e di più facile difesa. La sfida diventò dunque ,subito, occupare posizioni sopraelevate, attraverso camminamenti percorsi con carichi pesantissimi .I sodati italiani, con un tasso di militarizzazione molto basso , un addestramento non troppo approfondito se non a volte addirittura approssimato e un armamento,almeno all’inizio, fortemente inadeguato,dovettero inoltre abituarsi ad un ambiente

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Conferenza :vita al Fronte e nel paese

Cartina del fronte italiano

Nel maggio del 1915 la frontiera tra Italia e Impero austro -

ungarico correva lungo la linea stabilita nel 1886 al termine della

3° guerra d’indipendenza e dell’annessione del Veneto: era un

confine prevalentemente montuoso.

Toccava il punto più basso in corrispondenza del Lago di

Garda,ma in molti punti sfiorava i 4000 m. di quota. La particolare

morfologia dei monti imponeva al confine un andamento assai

irregolare con forti e frequenti dislivelli.

Il fronte si stabilizzò più o meno su questa linea,dividendosi in

due teatri di guerra :uno più propriamente alpino composto dal

saliente trentino e dalla cresta cadore- carnica (Adamello –

Tarvisio),il secondo carsico isontino (da Tolmezzo fino al mare).

Il fronte più propriamente di montagna si estese dall’Adriatico al

passo dello Stelvio per 650 Km e ,per le sue caratteristiche

,impegnò, per quasi tutta la durata del conflitto , i soldati in una

“guerra verticale”combattuta fra le cime. Il terreno roccioso,le

avversità climatiche dovute alle alte quote determinarono il modo

di condurre le azioni e programmare le strategie. La condotta

iniziale della guerra fu lenta,incerta e eccessivamente prudente e

questo permise all’esercito austriaco di rafforzare le difese già

esistenti e di impegnare le posizioni più alte e di più facile difesa.

La sfida diventò dunque ,subito, occupare posizioni sopraelevate,

attraverso camminamenti percorsi con carichi pesantissimi .I

sodati italiani, con un tasso di militarizzazione molto basso , un

addestramento non troppo approfondito se non a volte addirittura

approssimato e un armamento,almeno all’inizio, fortemente

inadeguato,dovettero inoltre abituarsi ad un ambiente

estremamente difficile :venti

fortissimi,temporali,fulmini,temperature sotto zero,scariche di

pietre e valanghe,la neve che ne limiterà ,in modo drammatico ,i

movimenti,isolando i presidi,impedendo i rifornimenti,aggravando

la fame patita dai soldati. Si valuta che sul fronte di montagna,

circa 2/3 dei morti furono vittime degli elementi e solo 1/3 delle

azioni militari dirette :ma i primi furono ignorati e non considerati

tra i caduti di guerra il che comportò,a guerra finita, diverse

conseguenze negative anche per le famiglie.

Dopo solo alcune settimane dall’intervento in guerra,anche gli

stati maggiori dell’esercito italiano si resero conto che il conflitto

non era ormai più quello preparato per decenni.

I mezzi di difesa predisposti non riuscivano a vincere le resistenze

dell’esercito nemico,l’offesa e l’iniziativa si infrangevano sulla

difesa austriaca,gli uomini,di fronte al fuoco,non riuscivano a

rompere,se non per pochi metri, la linea difensiva nemica.

Era la morte definitiva della “bella guerra” romantica e

garibaldina :d’ora in avanti la protagonista indiscussa sarebbe stata

la “trincea “.

Le trincee :

Testo : “Erano partiti sognando un’altra guerra :bivacchi pieni di

canzoni in mezzo ai campi o in piena montagna,marce forzate

sotto la canicola…pattuglie temerarie…scontri turbinosi di masse

in campo aperto ,inebriante franchezza del

combattimento…balenio di spade e sorrisi di bandiere,gridi di

dolore e urla eroiche e la conquista nello spazio di un ritornello,la

vittoria nel giro di una canzone ! Un altro destino li aspettava al

varco :una guerra…incolore,squallida e umiliante,una lotta

sorda,clandestina e taciturna ,una sofferenza opaca e desolante,

una morte oscura,lenta e disperata.” (Paolo Giacomel -Avanti

Savoia )

Nel nostro immaginario “guerra di trincea” e “Prima guerra

mondiale” sono diventati sinonimi,perché fu proprio nella Grande

Guerra che l’interramento della fanteria nelle trincee venne eletto

a sistema ,trasformando profondamente le modalità degli scontri e

delle attività belliche.

Cosa erano le trincee?

Nelle intenzioni iniziali erano scavi rudimentali che dovevano

servire da base di partenza in attesa dello sfondamento. Invece

furono utili per il primo soccorso dei feriti e ospitarono i soldati in

attesa del successivo assalto,ma quando ci si rese conto che la

guerra non avrebbe avuto un’avanzata rapida le trincee divennero

stabilmente casa,fortificazione,cortile,ospedale,cucina e purtroppo

anche cimitero di migliaia di soldati.

Oggi delle trincee non restano che poche tracce .Poco è stato fatto

per preservarle e questo per una scelta precisa avvenuta nel primo

dopoguerra e proseguita con il fascismo :affidare la memoria della

Grande guerra ai sacrari monumentali e agli ossari per celebrare

con la dovuta enfasi l’eroismo,il sacrificio, la vittoria, cancellando

però le sofferenze quotidiane e la durezza disumana del conflitto.

La trincea era uno stretto fossato profondo circa 2 metri,altrettanto

largo ed esteso per diversi chilometri, scavato con enormi sforzi

senza perforatrici meccaniche, sulla dura rocca calcarea, armature

e fascine di vario tipo ne sostenevano le pareti, sul suolo spesso

graticci per non muoversi dentro l’acqua stagnante,ma che non

reggevano alle precipitazioni che ne allagavano buona parte.

Specie sull’Isonzo la trincea si trasformava alla prima pioggia in

un mare di fango rossiccio:

Testo : “In quei giorni di pioggia l’uomo diventa come un rettile

che si muove e si striscia nel fango. Pare incredibile,con le gambe

sepolte nel fango stanno i soldati appoggiati a gruppi l’uno

accanto all’altro col fucile tra le gambe,trovando

sonno……Sembrano uomini di creta,nessuno dei suoi cari

riconoscerebbe in loro i propri figli: sembrano

salvatici”(Giancarlo Romiti – Uomini di creta –Diario)

La conformazione della trincea dipendeva da molti fattori ma in

genere c’era una parte in scavo e una parte fuori terra costituita da

muretti di pietre ,tronchi,sacchetti a terra per fermare i proiettili.

Elementi caratteristici dell’iconografia della Prima Guerra

Testo : “Poi arrivò il sacchetto a terra. Chi ha inventato questo

amico fedele del combattente,questo alleato sicuro,che sostituisce

la pietra e che non lascia vani e ,dove è messo, non si muove più”

(Lucio Fabi –Gente di trincea )

Era inoltre composta da più linee,una dietro l’altra sia da una

parte che dall’altra del fronte e le due trincee erano divise dalla

tristemente famosa “terra di nessuno”dove non potevano

addentrarsi le squadre di soccorso e i feriti restavano abbandonati

al loro destino di morte sicura.

Testo : “Dinanzi al reticolato e alla trincea,verso il nemico, si

estendeva fino all’altro reticolato e all’altra trincea,la squallida

“terra di nessuno”. Di giorno la breve striscia era deserta. L’erba

non vi cresceva più. Se un uccello l’attraversava ,sperduto,non

cantava e spariva,gridando di sgomento. Più triste diventava

quando l’ombra saliva,viva e terribile,perché sembrava che uscisse

dal profondo e si diffondesse a poco a poco nel cielo.” (Angelo

Gatti – generale e scrittore della Prima Guerra Mondiale -_La

guerra senza confini)

Una principale debolezza del sistema era l’assenza di mobilità per

le truppe , le enormi difficoltà di spostamento dei mezzi e i

problemi di approvvigionamento. I fanti erano costretti a pesanti

servizi di trasporto verso le retrovie e anche il cibo raggiungeva

gli avamposti solo a prezzo di pesanti corvée. Ogni spostamento

era una tortura fra lo stato del suolo,il carico, le avanzate

notturne,il dedalo dei cunicoli. Il cosiddetto “labirinto” .

Comprendeva le trincee ma anche

camminamenti,scorciatoie,osservatori . Percorsi tortuosi e

rinforzati per evitare il fuoco nemico.

Testo :”un’idea fissa sopravvive a tutto: arrivare ,fermarsi

finalmente da qualche parte,non importa dove,ma fuggire alla

costrizione e al capriccio tortuoso di questo budello in cui ci si

trova” (testimonianza di un veterano).

E in questo labirinto, i feriti rannicchiati in teli tirati, distesi in

brande intrasportabili perché troppo larghe per i cunicoli,dovevano

spesso ,con un calvario indicibile,guadagnare da soli i posti di

soccorso.

Il popolo della trincea.

Nel corso della Guerra circa sei milioni di soldati furono

richiamati alle armi. Al fronte si passò da un minimo di un

milione all’inizio a più di due milioni nell’ottobre 2017.

Due dati emergono .Il primo è che, nella prima chiamata alle armi,

più della metà dei coscritti fu riformata per motivi fisici ,segno

questo di una grande diffusione in Italia della malnutrizione e

della miseria. Naturalmente ,con il prolungarsi del conflitto, gran

parte dei riformati e rivedibili fu richiamata al fronte.

Il secondo dato è che il 62 % apparteneva al mondo contadino o ai

ceti più bassi urbani e un terzo era analfabeta. Fu proprio questa

gente a sopportare materialmente le sofferenze del conflitto.

Per risolvere la carenza di ufficiali ,i giovani studenti e i borghesi

con una certa istruzione venivano mandati ai corsi ufficiali, gli

operai specializzati era addetti all’industria bellica :il popolo delle

trincee risultava quindi composto nella quasi totalità da proletari

in maggioranza provenienti dalle campagne ,inquadrati da ufficiali

di complemento provenienti dalla piccola e media borghesia e

sommariamente addestrati.

Testo : “Il nostro esercito ,composto da gente umile, obbediente

sino alla remissione,devota e fedele all’autorità, era lo specchio

del popolo di allora :contadini, artigiani e operai per lo più

analfabeti” (testimonianza anonima)

Inadatta la preparazione ,assolutamente inadatto

l’equipaggiamento :partiti nel “ maggio radioso” con le sole

dotazioni estive,convinto il Comando supremo e il governo che la

guerra si sarebbe conclusa in pochi mesi, i soldati si ritrovarono

nella neve dei 3000 metri o nei pantani delle quote basse e nel

freddo dell’inverno con scarpe di legno e divise inadeguate

Testo : “Tornano dal fronte, per i pantani delle

strade,interminabili carovane di fanti imbottiti di cenci,

inzaccherati,sfiniti,come dinastie di zingari” (Comisso –Giorni di

guerra)

Testo :”Di fronte alle piaghe prodotte dal gelo e dalle calzature

approssimative ai soldati non restava che fasciarsi i piedi con

stracci e bende :un espediente da barboni ,che tuttavia qualcuno

volle interpretare come ingegnoso espediente per andare

all’assalto senza far rumore “ (Lucio Fabi –Gente di trincea )

Testo : “le calzature soprattutto denunciavano diverse

manchevolezze .Non tenevano l’acqua, la tomaia era troppo

rigida,i chiodi delle suole..piagavano i piedi di eserciti

che…continuavano a spostarsi a passo di marcia. In questo

contesto appare meno incomprensibile che scarpe e stivali fossero

il più ambito bottino e che molti soldati ,per questo, dopo la

battaglia si aggirassero nella terra di nessuno ..tra i cadaveri “

(Lucio Fabi)

Tutto ciò provocò congelamenti spesso curati con lo stesso grasso

con cui si lucidavano le calzature. Le stesse borracce per l’acqua

erano di legno e le tende per dormire inutilizzabili in caso (molto

frequente ) di pioggia.

I soldati entrarono in guerra con i i chepì e i berretti ornamentali

tipici dell’Ottocento che non fermavano certo le pallottole

nemiche. Solo alla fine del 1915 apparvero gli elmetti ed il

passaggio non fu scevro di problemi di adattamento al nuovo

copricapo che i soldati trovavano scomodo,alimentando la satira:

Testo: “L’elmetto,caro mio, serve a diminuire le ferite alla testa

aumentando quelle al naso. Infatti tutte le volte che fai un salto

,l’elmetto ti batte sull’osso del naso e ti tocca metterci un cerotto”

(I consigli del caporal Piglio- La tradotta)

Contro i reticolati nemici ,per aprire varchi e permettere assalti,il

sistema più semplice era l’uso delle pinze tagliafili ma queste,

almeno all’inizio, erano poco più che cesoie da giardino che non

riuscivano a recidere i fili austriaci spessi 2 centimetri .Così le

missioni avevano un alto grado di rischio con pochi risultati.

Bisognava strisciare come serpenti,evitare mine e tagliole , per

finire poi facili bersagli quando bisognava alzarsi per tagliare i

fili.

Per quanto riguarda i livelli più alti,il popolo della trincea non era

formato da ufficiali di carriera , per lo più utilizzati in incarichi

lontani dal fronte. In trincea l’esercito massa era guidato dagli

ufficiali di complemento. E questo già sembrava una

contraddizione :

Testo : “Pareva una fatalità che quei signori che erano nati per

fare la guerra ,perché avevano scelto la carriera militare ,la guerra

non la facevano…perché la trincea era riservata al proletariato

dell’ufficialità,come era fatta per i servi della gleba tra i soldati “

(Personeni –La guerra vista da un idiota )

La distanza che così si palesava isolò i comandanti dalla realtà del

conflitto e di fatto spaccò l’ufficialità in due : quella che al fronte

combatteva e quella che nelle retrovie comandava. Distanza fisica

che equivaleva a distanza psicologica : per i soldati gli ufficiali

non combattevano la loro stessa guerra. Nonostante questo ci

furono una minoranza di soldati di carriera che riuscirono a

conquistarsi la fiducia e la stima dei propri soldati,interpretando il

proprio ruolo come guide di uomini e non solo come redattori e di

piani e compulsatori di regolamenti. Alcuni ,davanti alle stragi e ai

morti cui assistevano ogni giorno e di cui si sentivano responsabili

, non ressero all’angoscia e scelsero il suicidio

Testo : “ Il prode Colonnello Pedrocchi…,visti i suoi bersaglieri

quasi tutti morti,nel ricevere la notizia del cambio, si è sparato

dicendo “Ah, io non mi allontano dai miei soldati “ “(Monelli –Le

scarpe al sole – diario di un combattente)

Ma quelli veramente vicini all’esercito di massa furono gli

ufficiali di complemento reclutati al momento della mobilitazione

e scelti in modo fortemente disuguale .

Dai laureati avanti con gli anni, ai giovani studenti, a pacifici

padri di famiglia e ai professionisti più disparati. Tutti o quasi con

un addestramento affrettato e nessuna esperienza di guerra,ma non

si poteva fare a meno di loro ed essi fornirono tutti i quadri del

piccolo comando. Essi ebbero un ruolo fondamentale di “cuscino”

tra i soldati e gli ufficiali professionisti, portando nelle trincee una

ventata di umanità e una buona dose di etica e di valori.

Si trovarono con i soldati ad affrontare reticolati e mitragliatrici,

con loro videro morire l’immagine della guerra dell’iconografia

risorgimentale,pagarono un prezzo altissimo oltre che con la

morte, anche in patologie psicologiche e mentali. A farli resistere

fu di certo anche il rapporto forte e solidale con i propri uomini.

Testo :”Altri morirà per l’Italia volentieri

O forse qualcuno per risolvere in qualche modo la vita

Ma io per far compagnia a questo popolo digiuno

Che non sa perché va a morire

Popolo che muore in guerra perché”mi vuol bene”

“per me “ nei suoi 60 uomini comandati

Siccome è il giorno che tocca morire

( Piero Jahier – da “Canti di soldati”- Poeta combattente

volontario negli Alpini )

Accanto al popolo delle trincee si mossero i cappellani militari,

Fu Cadorna ad istituire il Vescovo castrense che aveva il compito

di preparare e dirigere i cappellani militari ,all’inizio poche

decine poi ,alla fine della guerra,oltre duemila. Scaraventati nelle

trincee ,impreparati a quello che trovarono, divisi tra fedeltà al

Vangelo e all’Istituzione,conobbero bene le condizioni disperate

dei soldati e fecero il possibile per portare loro conforto spirituale

e materiale. Il loro impegno per la diffusione di pratiche religiose

e materiali devozionali si incontrò con il patrimonio di cultura

popolare che i fanti portarono in trincea, intriso di superstizione

,producendo una sorta di ibrida mescolanza esaltata dallo stato di

alta tensione che si viveva e dalla continua vicinanza della morte.

I cappellani militari svolsero un efficace ruolo di supplenza alle

carenze dello Stato,nel campo dell’assistenza ai soldati,negli

ospedali da campo ,nella Case del soldato e vissero un’esperienza

lacerante nel conciliare il messaggio evangelico con gli orrori

delle pratiche di guerra.

Testo : “ I soldati ammassati tra gli alberi….formano quadrato

attorno ad un altarino messo su casse di cartucce dove poggia un

taccuino che è un messale e un portauovo che è un calice. Il

cappellano ha ricoperto con una tunichetta nera la sua divisa

grigia da soldato su cui campeggia un gran croce rossa. Durante la

messa l’artiglieria infuria abbattendosi a volte nei pressi del

campo. Pensieri brutti. Messa da requiem.” (Zapponi –Diario)

Un ruolo fondamentale per le sorti del conflitto al fronte lo ebbero

anche le donne e tra queste alcune figure particolari ,che

passarono però in secondo piano nei libri di storia.

Oltre alle Crocerossine ,la cui figura entra spessissimo

nell’iconografia della grande Guerra , che si presero cura dei feriti

,dei mutilati e dei moribondi dando la loro opera nelle pericolose

retrovie e negli ospedali da campo,è qui d’obbligo ricordare le

“portatrici “ della Carnia :eccezionali donne di umili origini che

con il loro contributo per mesi permisero agli alpini di mantenere

le loro posizioni

La linea del fronte ,in questa parte, non era collegata con

magazzini e depositi militari e quindi il trasporto doveva essere

svolto a spalla, su strada .Essendo tutti gli uomini validi impiegati

sul fronte ,furono le donne a rispondere all’appello del Comando

logistico del Genio e il numero arrivò ben presto alle 2000 unità.

Questo gruppo composto di donne dai 12 ai 60 anni ,tutti i giorni

all’alba e a volta anche di notte per le emergenze .si caricavano

sulle spalle le gerle riempite di munizioni ,provviste e altri

materiali per un peso che raggiungeva i 30/40 chili e partivano

senza guide, scalando la montagna con marce massacranti su

dislivelli che arrivavano a 1200 metri e sotto il costante fuoco

delle artiglierie ,in qualsiasi condizione atmosferica con calzature

di pezza o zoccoli di legno .Cantavano per vincere la paura e

,camminando, lavoravano a maglia . A volta ,nel viaggio di ritorno

,trasportavano i feriti o i caduti. In questa zona, nel marzo 1916

,una di queste donne ,Maria Plozner Mentil di 32 anni ,madre di 4

bambini e moglie di un combattente su un altro fronte fu colpita a

morte da un cecchino .La sua salma nel 37 fu traslata accanto ai

1700 soldati caduti nel tempio ossario di Timau e nel 1997 il

Presidente Scalfaro le conferì la medaglia d’oro al valor militare

alla memoria.

Ma non è male ricordare qui quelle donne che vissero della guerra

nella maniera forse più brutale e dura :le prostitute. I casini

militari in Italia furono istituiti sin dal primo mese di guerra .Nella

provincia di Udine si parlava di “ operaie, modiste ,sarte che

concedevano i loro favori a chi sappia destar loro simpatia”.

Queste donne di “dubbia moralità” vennero immediatamente

allontanate dalle zone di guerra e internate ,dal momento che

questa libertà femminile distraeva i soldati e sovvertiva l’ordine.

Così si decise di istituire case di tolleranza sorvegliate e

frequentate solo da militari.

Ma la quotidianità era molto diversa dai racconti dei militari. I

casini furono anche “ campi di concentramento della lussuria”.Il

reclutamento avvenne all’inizio tra le file delle prostitute

professionali,ma poi ,in misura crescente tra le molte donne ,

soprattutto giuliane ,friulane e trentine che avevano dovuto

lasciare i campi e le case essendo cadute nella miseria più nera .

La prevalenza di donne proletarie era nettissima ,con largo apporto

di serve ,domestiche operaie e più raramente contadine. Sulla loro

testa pendevano pericoli e minacce ,correndo il rischio di vedersi

incriminate anche di “spionaggio” o addirittura di essere complici

di una “guerra batteriologica” per la propagazione delle malattie

veneree

.Vita in trincea

Niente era facile in trincea, in un modo sottosopra dove nulla era

come in tempo di pace.

Le condizioni fisiche ,logistiche , il freddo ,la paura , la fame , la

sete,la malattia ,il dolore .il senso di oppressione e di chiusura

intorno, l’attesa dell’attacco e della morte:tutto questo era la vita

quotidiana del soldato.

TESTO: “Qua si soffre il freddo,fame,non abbiamo nemmeno

dell’acqua da bere e se ne avessi un solo bicchiere lo pagherei

anche 50 centesimi,anche magari sporca…..e in questi giorni non

si può avere nemmeno del rancio e non vi parlo nemmeno di

vestirmi e di spogliarmi e…sono in trincee che sembra impossibile

che si possa essere delle genti umane,perché nemmeno le bestie

non starebbero” (Enrico Conti –Diario)

La fame : non mancavano i viveri nei magazzini delle retrovie, e

per gente abituata a diete molto frugali avere la carne una volta a

settimana e alimenti di lusso come il caffè e la cioccolata era

segno di agiatezza. Ma non tutto filava liscio, i rifornimenti al

fronte erano difficili,il cibo arrivava una volta al giorno e non

sempre e spesso freddo insipido,scarso ,nonostante il protocollo

prevedesse razioni abbondanti e nutrienti . Quasi sempre ,così ,i

soldati pativano la fame. Anche perché l’abbondanza significò

penuria per alcuni e spreco per altri .Il cibo passava per troppe

mani e l’accaparramento era all’ordine del giorno.

TESTO:.”mangiava bene chi aveva conoscenze in cucina…”

Ma più terribile della fame era la sete . Il rifornimento idrico nelle

trincee era un problema di difficile soluzione : l’acqua occupava

spazio ,era pesante e difficile da trasportare e ,durante i

combattimenti ,diventava un bene preziosissimo.

I soldati,disperati, si dissetavano con il liquido di raffreddamento

delle mitragliatrici e dei radiatori delle trattrici con il rischio di

morire avvelenati,succedeva spesso che bevessero l’acqua che

ruscellava tra i cadaveri e dalle pozzanghere con le conseguenze

che si possono immaginare. Senza acqua non c’era igiene

personale e la sporcizia e la promiscuità forzata favoriva il

proliferare dei parassiti infestanti, topi, pidocchi e cimici anche

loro facenti parte del “popolo delle trincee” e dell’iconografia

popolare del Guerra.

Soprattutto i topi convivevano felicemente con i soldati in trincea:

TESTO :”Questa notte fu la sagra dei topi .Certi topi slavi,grandi

come gatti,con code interminabili,correvano sulle

panche,passeggiavano sul viso,venivano persino a leccare le

labbra. Non riesco a spiegare come questa notte si sieno dati

convegno proprio qui tutti i topi del Carso. Impossibile chiudere

gli occhi :topi di qua ,topi di là,topi che sbucano dai crepacci,che

scendono dalla scaletta ,che guizzano e saltano da una parte

all’altra “(Soramel –Due anni di guerra-combattente del fronte

dell’Isonzo)

Si viveva tra i topi e con accanto i cadaveri dei compagni che non

potevano essere sepolti .Chi non moriva negli attacchi rischiava la

morte per infezioni e contagi. Del resto la semplice permanenza in

trincea era una malattia :oltre agli assalti e a tutte le affezioni

immaginabili ,il tifo mieteva vittime e diverse migliaia furono i

casi di colera.

La sanità fu approntata per i feriti, ma queste patologie

aumentarono enormemente il numero dei malati e i medici di

guerra (altra figura del popolo delle trincee) si trovarono ad

affrontare ,negli ospedaletti da campo , situazioni da incubo,sfiniti

davanti a compiti superiori alle loro forze e alle forniture mediche

che avevano.

E poi,in ogni momento ,dominava la paura. Il cecchino prima

di tutto:il costante terrore di essere colpiti ad ogni movimento,ad

ogni sporgersi dalla trincea.

TESTO :”Dovevamo essere prudenti ad ogni istante Avevamo di

fronte reparti di tiratori scelti che non sbagliavano un colpo

.Tiravano sempre alla testa e con pallottole esplosive”(Lussu –Un

anno sull’altipiano)

E cosa significava poi trovarsi sotto il fuoco dell’artiglieria

,centinaia di cannoni che sparavano per ore a tappeto?

Un’esperienza spaventosa,indimenticabile per chi la subiva e ne

usciva indenne.

TESTO:”la caverna d’improvviso ha una scossa, poi un’altra e

un’altra ancora. Da questo momento è tutto un fremito,un

tremito,un sussulto. Passano minuti,un’ora,un’altra ora,altre ore e

la terra continua a tremare…schegge di ferro e di pietra si

riversano dall’apertura ,rimbalzano sulla scala,sulle pareti

strappano i fili del telefono…” (Gasparotto-Diario di un fante)

Ma delle tante attese e delle tante angosce nessuna era più

straziante di quella del prossimo attacco. Come dire :l’attesa della

morte. Non una morte sicura ma probabile o l’attesa di un dolore

atroce,di una mutilazione. Il calcolo era presto fatto :la prossima

volta tocca a me.

L’attesa poteva essere di minuti, di giorni o di ore,poi l’ordine

arrivava e si realizzava al grido di “Avanti Savoia”.Si andava

incontro alla morte né si poteva tornare indietro perché dietro la

massa dei soldati c’erano ufficiali e carabinieri :chi non usciva per

l’assalto veniva giustiziato sul posto

.

TESTO:”Un ufficiale ,dopo aver consultato l’orologio

comandò”baionette in canna!”…Gli uomini che avevo vicino si

fecero pallidi in viso e i loro occhi divennero come quelli dei pazzi

e le loro bocche mute. Si guardavano senza parlare,qualcuno

baciava immagini e foto tratte dal portafoglio ….Una tremenda

fucileria del nemico li accolse,li investì,li disperse tutti prima che

giungessero al reticolato nemico.

Dopo un quarto d’ora pochi sopravvissuti rientrarono alla trincea

di partenza”(Tenente X –Glorie e miserie della trincea- Giuseppe

Comelli )

Gli assalti furono un vero massacro : per conquistare pochi metri

di terreno morirono in 4/5 anni migliaia di uomini

La giustizia al fronte

In queste condizioni ,con il prolungarsi di una guerra che non

sembrava portare da nessuna parte,ma imponeva sacrifici,morte,e

frustrazione ,senza vittorie che infondessero entusiasmo,i soldati

si sentivano vittime di una enorme ingiustizia al confronto degli

“imboscati” e del resto degli italiani. Nessuno si preoccupò,

almeno nei primi anni, di fornire sostegno psicologico,sollevare il

morale, dare motivazioni ,accendere entusiasmi, lavorare sul senso

di quella Guerra in termini di propaganda diretta e di spirito di

patria.

L’unico sistema a cui si ricorse fu la giustizia, militare nelle

retrovie, ma sommaria al fronte.

La giustizia amministrativa dei Tribunali militari si occupò nelle

retrovie di reprimere ogni atto che mettesse a rischio la coesione

dell’esercito e la volontà di combattere, cercando di recidere i

legami,ritenuti nefasti ,tra i soldati e il fronte interno. Si

condannava con durezza il disfattismo, la disobbedienza e il rifiuto

della guerra,si controllavano i soldati a riposo, si comminavano

4/5 anni di carcere per un ritardo di due giorni dal rientro di una

licenza.

Davanti al nemico, invece, dove serviva agire in modo immediato

e duttile,si ricorreva alla giustizia sommaria:dalle punizioni

corporali,alla condanna al carcere,alla pena di morte

Testo: “C’è una cosa che mi ripugnava allora e che non ho mai

saputo accettare di questa guerra:il nessun valore dato alla vita

umana ,alla sua dignità. Spesso i soldati,come punizione e perché

la cosa servisse di monito, venivano legati a un palo e lì frustati a

sangue alla presenza di tutto il reparto”( Giovanni Michelucci –

Testimonianza)“

L’esercito italiano fu quello che comminò il più alto numero di

anni di carcere,che portò più soldati di fronte ai tribunali militari.

E’ stato inoltre calcolato che tra l’ottobre del 1915 e l’ottobre del

1917furono eseguite circa 140 esecuzioni capitali per i motivi più

disparati.(ma il numero risulta essere molto più alto secondo altre

fonti :750) Più la Grande Guerra andava avanti , più gli episodi di

crudeltà si moltiplicavano . Ovunque si verificassero disordini,

piccole proteste o episodi di insofferenza si assistette a condanne

a morte. E nel caso di reato commesso da un gruppo dei soldati si

passo addirittura alla decimazione .

FUGGIRE DALLA TRINCEA ?

Da tutto questo molti sarebbero voluti fuggire,moltissimi rimasero

a fare il proprio dovere, molti altri cercarono una strada per uscire

da quell’inferno o per evitarlo. La prima forma di fuga era la

diserzione e sotto questa parola furono considerate non solo il

passaggio al nemico ma anche l’abbandono del posto di

combattimento,la resa, il sonno durante il turno di sentinella,la

disobbedienza o l’indisciplina.

Passare al nemico poteva però rivelarsi e si rivelò quasi sempre

una scelta tragica. Dei 600.000 soldati caduti in mano austriaca ,ne

morirono in prigionia circa 100.000 ,la maggior parte per

denutrizione ,freddo e maltrattamenti. Si disertava anche per

tornare a casa. Scelta rischiosissima e pericolosa perché i

carabinieri controllavano retrovie,stazioni,strade e incroci e la

condanna era la morte. La diserzione più facile era quella del non

rientro dalle licenze contando sull’aiuto e l’omertà della famiglia e

dei compaesani. Ricordiamo che molti casi che furono etichettati

come “diserzioni” non lo furono (come i prigionieri catturati nella

rotta di Caporetto e accusati di essersi consegnati al nemico ). Per

molti di questi è stata da tempo richiesta la riabilitazione.

Disertare era una via, imboscarsi un’altra, simulare un’altra ancora

.

Molti soldati si finsero malati:

Testo :”Uno dei metodi più in voga era mettersi delle foglie di

tabacco sotto le ascelle:ciò procurava violenti attacchi di

febbre.”(Celestino Panati –Testimonianza )

Si auto inflissero ferite:

Testo:”Io per il grande spavento non sapevo più cosa mi

facevo,dicevo tra me: qui bisogna morire…ed io pensai di mettere

il fucile in posizione di sparo e ,cociuto, volevo ferirmi ad una

mano per poi eclissarmi in ospedale ma lo spirito santo non mi ha

concesso,perché se fosse stato di spararmi a bruciapelo poteva

subentrare il tetano ,mi avrebbero riconosciuto e mi avrebbero

mandato alla fucilazione” (Faustinelli-Diario)

Simularono malattie mentali :

TESTO:“ La malattia mentale rappresentava una forma di

fuga,l’estremo rifugio per i soldati che non avevano altro mezzo

per sottrarsi all’inesorabile meccanismo della guerra, alle angherie

dei superiori ,al pericolo di vita “ (A:Gibelli- storico -la Grande

guerra degli italiani)

La repressione fu durissima e le pene severissime, ma non

riuscirono a stroncare il fenomeno e la lotta tra autolesionisti e

giustizia militare durò per tutta la durata del conflitto.

L’ultima e definitiva possibilità per “fuggire “ dalla trincea fu il

suicidio. Soldati che non avevano il coraggio di imbrogliare,che

mantenevano orgoglio,onestà e dignità ma che avevano esaurito

ogni capacità di sopportare scelsero di abbandonare

volontariamente quella vita

TESTO :”Quello di venir fuori da quell’inferno era del resto il

desiderio di ciascuno di noi. Qualcuno trovava la libertà in un

gesto inconsulto:il suicidio. Fu ciò che fece un mio . Legato una

funicella per un capo al grilletto del fucile e l’altro all’alluce del

piede ,si puntò la canna nel mento poi uno strattone e …fine di

ogni preoccupazione”(Mariano Montelpare- Testimonianza)

Ma ,solo in pochi casi ,nell’esercito dei combattenti, il rifiuto e

l’indisciplina raggiunsero il carattere della ribellione collettiva.

Ebbe sempre una dimensione parziale ,individuale o di piccolo

gruppo. Chi si rivoltava ,disertava o disobbediva lo faceva per

riparare ad un’ingiustizia subita o semplicemente perché non ce la

faceva più. Mancava la componente politica,la coscienza della

forza che i soldati rappresentavano . Una notte di rabbia,uno sfogo

cruento e poi tutto tornava come prima.,Questo non significava

che l’esercito fosse tranquillo ma solo che i tempi non erano

maturi.

“Il grido fu pace, non rivoluzione “ (Lucio Ceva)

In conclusione possiamo chiederci : ma cosa spinse tanti e tanti

uomini a continuare a combattere nonostante tutto questo?

Secondo Freud con la guerra l’uomo scoprì il piacere della

distruzione e della violenza bruta. Secondo moltissime

testimonianze i soldati combatterono perché costretti, altro peso

ebbe di certo la rassegnazione ,quasi un annullamento della

volontà. Ma certamente , e le testimonianze lo confermano,giocò

anche una spinta morale che non ha destinatari astratti :Dio e

Patria ,ma guarda ai compagni .Si combatte per fedeltà ai più

vicini,per non lasciarli soli ,forse per salvarli. E’un cameratismo

che nasce dal mondo stesso delle trincee .Nella quotidianità della

sofferenza condivisa uomini diversi finiscono per somigliarsi e

sentirsi FRATELLI

“Di che reggimento siete ,

fratelli ?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante

involontaria rivolta

dell’uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli”

Ungaretti 1916

SECONDA PARTE

(I° Slide )Il Fronte interno

Gli abitanti delle retrovie.

Nelle retrovie gli abitanti dei paesi e dei villaggi hanno dovuto

convivere per tutto il periodo della guerra con la presenza costante

dei militari. Ai due milioni di civili si sommarono da maggio

1915 a ottobre 1917 4 milioni di soldati :fu un problema non

indifferente .La macchina militare era certamente ingombrante e

ed i soldati si resero, a volte, protagonisti di eccessi e violenze.

Molti di loro ,quando giunsero nelle retrovie venendo da un lungo

periodo in prima linea ,a stretto contatto con la morte , si

portavano dietro stress, nervosismo, disperazione ,la dedizione di

molti all’alcool portava spesso a risse ,violenze e attenzioni troppo

esplicite nei riguardi delle donne dei paesi. Non rare furono le

violenze sessuali .

Testo :” Come le consoleremo queste povere bimbe friulane che

dentro due anni di guerra ,coi centomila giovanotti che sono

passati sotto la finestra ,furono condannate a sperimentare le

infinite maniere –una per una- che l’uomo ha di lusingare,di

rubare il meglio,di tradire,di scappare e di mancare alla parola

data?” (A.Baldini –Nostro Purgatorio- Scrittore surrealista e

combattente)

Episodi che si moltiplicarono e divennero ancora più gravi in quei

luoghi che fino a pochi mesi prima facevano parte dell’Impero

Austriaco. Le popolazioni dimostrarono freddezza se non aperta

ostilità nei confronti dell’esercito italiano.

Testo :” Persino nei centri che avevano una fama di nazionalismo,

i soldati trovarono strade deserte e imposte chiuse” (Thompson –

La guerra bianca – scrittore inglese)

Testo :”Nei primi giorni di guerra un soldato della cavalleria si è

avvicinato al nonno(friulano) e guardandosi nervosamente intorno

gli ha chiesto “ Dove sono i nemici?”

“Voi siete i nemici” gli ha risposto l’uomo”(Unia –

L’undicesima battaglia)

Un atteggiamento che sorprese non poco i soldati, infarciti di

propaganda patriottica che esaltava la volontà di quelle terre di

essere da noi “liberate”

Testo :” Io penso che i soldati italiani siano stati ingannati .Perché

avevano dietro il “ andate a liberare i fratelli”.Ma quando

parlavano con loro nessuno li capiva “ ( Thompson)

Moltissime furono le persone costrette a lasciare le loro case in

questi territori e poi inviate in internamento nell’Italia

meridionale.

Testo:”I contadini allontanati dalla loro terra erano come

naufraghi. Nessuno piangeva ma i loro sguardi erano come

assenti……Era il convoglio del dolore. La nostra colonna cessò i

canti e si fece silenziosa.”(Lussu –Un anno sull’altipiano)

Testo :”Ma quando fui sul punto di far uscire quei poveri borghesi

composti solo di vecchi ,ragazzini e donne ,il mio sentimento

dovette lottare tra fierezza di soldato e compassione. Ma questa mi

vinse…. non ebbi il coraggio di mandarli fuori e fui costretto ad

andare dal tenente e lasciare a lui l’incarico.

Io pensai a casa e dicevo: se avessero a casa nostra a fare così….”

(Agasso -Cari genitori… da Famiglia Cristiana)

A CASA NOSTRA : LA GUERRA NEL PAESE

Vista dalla trincea e alle sue spalle, si estendeva per i soldati il

paese felice chiamato “casa”. Se la guerra era il mondo capovolto

dove era giusto morire e uccidere,la casa era il mondo dritto dove

tutto era come doveva essere,era la famiglia ,il paese, la terra. Più

il conflitto si faceva atroce ,più “la casa” sembrava un luogo

paradisiaco.

In realtà ,a mano a mano che le risorse di denaro e di attrezzature

industriali messe in campo per finanziare la guerra nei primi tempi

si andavano esaurendo ,lo sforzo bellico non poteva avvenire che a

spese della popolazione civile,il cui tenore di vita andò via via

abbassandosi .Quindi le condizioni di vita della popolazione

subirono ,a partire dal 1916 ,un doloroso giro di vite.

La guerra coinvolse tutta la popolazione civile ,donne e bambini

compresi:le abitudini, il lavoro,i rapporti sociali e la cultura

cambiarono notevolmente rispetto al periodo pre-bellico con la

nascita del Fronte Interno.

Testo:”Tutti ,a qualsiasi categoria sociale e condizione

professionale appartenessero ,dovevano sentirsi impegnati senza

riserve “ ( Gibelli-La grande guerra degli italiani)

Lo sforzo economico :

Viene promossa ,prima di tutto, la Mobilitazione Industriale :si

crea un a vera e propria compenetrazione tra Stato ,divenuto il

maggiore committente, e industria che cresce e prospera al di fuori

delle leggi del mercato. In Italia tra il ’15 e il’17 i profitti della

siderurgia crebbero dal 6,30 al 16,55 quelli dell’industria

automobilistica dall’8,2 al 31,51 Ovunque vi furono incrementi

simili e ovunque esplose il deficit dello Stato. Per sanarlo si

ricorse a rastrellare i risparmi privati attraverso prestiti volontari,

lanciati con grandi campagne pubblicitarie. .Il regime di

mobilitazione industriale italiano ebbe inoltre un un’impronta

autoritaria ,permettendo un ferreo controllo sulla forza lavoro ma

lasciando ampia facoltà ai maggiori gruppi capitalistici di

perseguire i propri profitti. Gli operai specializzati,necessari alla

produzione, pur se non inviati al fronte erano comunque

“mobilitati” e sottoposti alla disciplina militare.

Gli industriali furono tacciati di essere dei “profittatori di guerra”

di essere dei “pescecani” ,vi fu la denuncia di “speculatori” e

“accaparratori” che speculavano sulla guerra provocando

l’aumento dei prezzi e carenza di viveri.

Donne nel Fronte interno

Da subito iniziò la riorganizzazione produttiva :fabbriche

ingigantite,nuovi stabilimenti,ritmi di lavoro pesantissimi. Ma

l’aumentato bisogno di manodopera si scontrava con la necessità

di

coprire le esigenze del fronte nel prolungarsi di una guerra che

richiedeva sempre nuovi soldati .Così,con gli uomini impegnanti

sui teatri di guerra,le donne entrarono in settori prima per loro

preclusi e dalle poche migliaia censite all’inizio della guerra , le

lavoratrici divennero 23.000 alla fine del 1915,89.000 alla fine del

1916, 175.000 alla fine del 1917 e circa 200.000 al termine del

conflitto.(Ecco un commento di Ugo Ojetti,(giornalista

politica,fondatore e collaboratore di diverse riviste italiane

)commento un po’ paternalistico…)

Testo :” la fiumana delle donne penetra, gorgogliando e

frusciando ,nei luoghi degli uomini :campi,fabbriche….Talune è

vero,assomigliano a bambini ,specie quando ancora ne hanno di

propri,si stancano ,si distraggono,sospirano,litigano,s’impuntano,

minacciano,strillano. Ma le più insomma, sono preziose e s’ha

bisogno di loro…La donna è prima di tutto un essere pratico il cui

lavoro sociale è preziosissimo”

Donne in fabbrica,donne alla guida degli autobus,donne negli

uffici,donne in agricoltura :tutte immagini che rompevano con

l’idea di un mestiere “femminile”

Le donne si trovarono per la prima volta ad occupare ruoli

considerati esclusivamente maschili ad assumersi responsabilità

“pubbliche” ad essere “visibili” fuori dalla casa e dal

“focolare”.Tutto questo rappresentò un allarme per il senso

comune e fu guardato con diffidenza ,come un attacco all’ordine

naturale se non un vero e proprio “attentato alla moralità” .

Pur se gli impieghi delle donne erano sempre impieghi a termine,a

parità di mansioni, pagati meno di quelli maschili, e anche se

sempre le donne dovevano lavorare e nello stesso tempo

provvedere alle esigenze quotidiane delle loro famiglie, in

situazioni difficilissime, verso di loro le reazioni popolari furono

malevole. Al sarcasmo sulla condotta morale delle operaie in

fabbrica si accompagnava l’astio per quelle donne colpevoli di

ricoprire un posto in cui qualcuno avrebbe potuto imboscarsi.

Segnali questi che il problema non era la competizione per il

lavoro,ma, in realtà, il panico davanti alla possibilità di

cambiamenti nei ruoli sessuali.

Testo :”Indubbiamente la grande guerra è per gli uomini un lungo

trauma …caricatura mortificante dell’immagine della guerra virile

e trionfante,negazione di tutti i valori della cultura occidentale.

Sprofondati nel fango e nel sangue….in attesa del momento

mortale…vittime talvolta di malattie femminili come

l’isteria,vivono la guerra come una regressione e un’impotenza

pubblica e privata. Quando essi correvano all’assalto ,le donne

aspettavano religiosamente. Ora che ,in loro assenza ,esse

accedono allo spazio e alle responsabilità pubbliche per far girare

la macchina della guerra,hanno paura di essere spossessati e

traditi” (Thébuad -storico)

Tuttavia ,a guerra finita ,le donne furono licenziate in massa e

dovettero lasciare i loro posti ai reduci ,chi riuscì a conservare il

proprio posto dovette subire una forte ostilità e opposizione da

parte dei lavoratori maschi e dei giornali fortemente maschilisti

dell’epoca.

Testo:” Si chiese alle donne di ritirasi in disparte e riprendere la

loro vita domestica e ridare agli affetti familiari la loro indiscussa

importanza “

Testo :”Sono convinto che le donne italiane, da che è scoppiata la

guerra, abbiano dato un esempio meraviglioso di patriottismo,di

abnegazione e di intelligente energia. Confido che alle molte

benemerenze acquistate vorranno aggiungere quest’altra,non meno

degna delle loro virtù :di non complicare i già

numerosi,urgentissimi,gravosi problemi della guerra e del

dopoguerra risollevando inopportunamente e prematuramente la

questione dei diritti della donna “ (Federzoni. Parlamentare

nazionalista)

Ma nonostante questi tentativi di “rientro” delle donne ai loro

compiti familiari ,procreativi e materni ,un seme era stato gettato.

Le prospettive cambiarono ,la rigidità dei costumi si allentò e

soprattutto la consapevolezza delle donne era cambiata. La loro

nuova forza non svanì ,nonostante l’avvento del fascismo e la sua

lunga durata. .La rivoluzione culturale rimase solo in attesa di

compiersi e forse ..non si è ancora veramente compiuta, ma questo

fa parte di un’altra conferenza !

LA VITA CIVILE

Testo:”…mia nonna ,soprattutto nei mesi invernali,quando

tornava dal lavatoio, insieme alle altre donne, tornava in casa a

scaldarsi e raccontavano della Grande Guerra…Parlavano del

passato, del freddo patito quando erano piccole ,dei soldati che

potevano essere i loro mariti ,figli, fratelli e che combattevano in

mezzo alla neve e al gelo e delle donne che ,a casa, filavano la

lana delle pecore per loro e confezionavano ghette,sciarpe, calze.

Morivano in tanti e ,quando in paese arrivava uno sconosciuto ,si

sapeva che avrebbe portato brutte notizie,che un proprio caro non

sarebbe mai più tornato! Non c’era nulla da mangiare si faticava a

vivere e si sopravviveva solo di quello che producevano i propri

orti. Iniziò una grande carestia ,ma anche nel bisogno nessuno

indietreggiava .C’era una grande solidarietà e rispetto reciproci. Ci

si riuniva nelle stalle ,riscaldandosi con gli animali e risparmiando

le candele,ci si incoraggiava a vicenda e si pregava tantissimo…”

(testimonianza privata)

Al momento dell’entrata in guerra il parlamento accordò al

governo i pieni poteri .Ne derivò una crescente autonomia della

burocrazia, la drastica riduzione della lotta politica ,una rigida

censura e un rafforzamento del controllo poliziesco .I poliziotti si

recavano fin dentro le stazioni centrali alla ricerca di disertori e

spie.

Testo:” Con il passar del tempo la sorveglianza politica aumentò

in modo significativo …i poliziotti assistevano a tutti gli spettacoli

della città senza fare eccezioni…(Testimonianza)

.

Si diffuse così anche un’atmosfera di sospetto e di delazione ,in

particolare sul “nemico interno”.Ogni comportamento anche

marginale che poteva essere interpretato come antipatriottico era

duramente represso ,le misure persecutorie furono intensificate

contro i comportamenti cosiddetti disfattisti,ossia tutte le

manifestazioni anche minime di malcontento ,incertezza e

sfiducia.

Testo:”Un operaio condannato per non aver aderito alla

sottoscrizione del prestito nazionale perché “la guerra non l’ho

voluta”,un altro condannato a tre anni per aver detto “accidenti a

questa guerra”,un prete incriminato per non aver voluto battezzare

una bambina con il nome Italia, e così via…”( Bavendamm ,

storica tedesca–Il nemico in casa-)

Visti dalla parte della società civile,i mutamenti della sfera

pubblica portano ,in tempo di guerra ,ad una tale riduzione dei

diritti civili e politici da rendere il cittadino molto simile ad un

militare e l’assottigliamento di questa distinzione e di quella tra

fronte interno e fronte bellico, riguarda un po’ tutti gli aspetti della

vita,in particolare le condizioni materiali.

Anche dove la guerra non arriva materialmente ne arrivano gli

effetti :per la grandissima maggioranza delle popolazioni inizia

presto il caro vita,il razionamento alimentare e dei combustibili,la

penuria di beni essenziali ,il mercato nero,la carestia. A questo la

mobilitazione industriale cercò di porre rimedio ,ma con

accorgimenti caotici e segnati da rallentamenti burocratici. Le

risorse si andavano esaurendo, e quelle che rimanevano erano

indirizzate al rifornimento del fronte, perciò il tenore della

popolazione civile fu sempre più compresso. Già nell’estate del

1916 la razione di pane dei soldati era ridotta da 750 a 600

grammi giornalieri e per i cittadini erano introvabili diversi generi

alimentari,mentre ,per la scarsità del grano ,fu immesso sul

mercato il cosiddetto “pane di Stato”,mal lievitato, greve di acqua

e crusca e venduto raffermo. Prostrazione e malattia furono

l’inevitabile conseguenza di tutto questo.

Si ridusse il consumo di carne a tre giorni settimana ,divennero

introvabili generi considerati come semi- voluttuari come il caffè

,il cacao e lo zucchero.

Minacciosa e foriera di gravi conseguenze fu la crisi provocata

dalla ridotta importazione del carbone : venne intensificata

l’estrazione nazionale di lignite a basso potere calorifico

disboscando intere montagne, ridotta l’erogazione del gas nelle

città, soppressi moltissimi treni.

Testo :” le città durante la guerra erano grigie. Il paesaggio urbano

si fece sempre più cupo,riflettendo l’umore degli abitanti in preda

all’angoscia per il destino dei loro cari” (Jay Winter –Le città)

Tra il 1916 e il 1917 si ebbero moltissime agitazioni contro la

guerra : a Torino, a Firenze, a Mantova .Soprattutto

manifestazioni spontanee di donne che chiedevano il ritorno dei

loro cari e l’aumento dei sussidi. Le agitazioni in Italia, nelle

fabbriche, furono comunque decisamente minori rispetto a quelle

di altri paesi in conflitto, forse a causa dell’annullamento del

potere dei sindacati, del forte controllo e della repressione o della

debolezza della disomogenea classe operaia e dell’attività di

propaganda contro gli operai “imboscati” e i loro “alti” salari

contrapposti agli operai e ai contadini che morivano in trincea.

Testo:” L’imboscato saldo,saldo

Nel suo ufficio fuma al caldo

Ed espone ardito il petto

Contro il fuoco,al caminetto” (da la Tradotta )

Testo:”Mamma,perché nascondi quel figlio tuo, quel mio fratello

alla furia della battaglia?

Perché gli fai gittare in faccia il nome infamante di

IMBOSCATO?

Per risparmiarlo forse?

T’inganni, mamma….No! c’è bisogno di TUTTI i tuoi figli,

di TUTTI i miei fratelli per vincere!” (manifesto di

propaganda)

LA PROPAGANDA

Tra il 1914 e il 1915 si ebbe in Italia un’imponente campagna di

stampa a favore dell’entrata in guerra .L’ala interventista degli

ambienti industriali e economici finanziò i principali organi di

stampa per spingere il governo ad entrare in guerra a fianco

dell’Intesa. Dichiarata la guerra e convinti che il conflitto sarebbe

stato breve ,gli interventi del governo per l’assistenza e la

propaganda rimasero per lungo tempo sporadici e casuali.

Solamente successivamente,con il governo Boselli furono istituiti

due ministeri ,uno per la propaganda e uno per l’assistenza.

Alle carenze dello Stato supplirono molte Associazioni con fini di

educazione nazionale e di assistenza che si coordinarono poi con i

Ministeri.

Gli strumenti della propaganda furono di diverso tipo:

le cartoline : all’ inizio prevalsero i temi sulla necessità

dell’intervento,sul ricordo dei fasti del

Risorgimento,sull’odio per il nemico e l’esortazione retorica

di poeti e letterati, ma con il passare dei mesi queste

immagini furono sostituite da rappresentazioni cupe e tristi,

dolorose e sacrificali :vedove e orfani piangenti ,soldati

provati da un nemico crudele.

Manifesti e locandine :furono usati sia per la pura

propaganda che per quella dei prestiti. I primi ricorsero alle

parole e al disegno scoprendo il valore della grafica con uno

stile linguistico imperativo e conciso. I secondi si riferirono

alla situazione del momento e al fronte interno invitando al

risparmio,a dare il proprio aiuto per abbreviare le sofferenze

dei combattenti,al richiamo al dolore delle vedove e degli

orfani, all’accusa del dito puntato del fante o del mutilato con

la stampella .

In molti manifesti si adatta alla propaganda di guerra anche la

natura,come “patria-natura” ,rappresentata ,in

contrapposizione ai luoghi della guerra, come

bucolica,serena, autentica e soprattutto“propria”.Luogo di

radici e tradizione .E’ per difendere questa “patria “ perfetta

che si chiede agli uomini di morire. In questo luogo ,dopo la

morte, si potrà tornare per trovare una sepoltura degna e

serena.

Un altro simbolo ricorrente è la” patria –donna” :c’è la

madre-patria, austera e sofferente il cui corpo è minacciato

dal nemico invasore e le patrie –ragazze decisamente sensuali

e in attesa del soldato-vincitore. In Italia (e nei paesi cattolici)

a volte è presente la figura della Madonna ,protettrice e

consolatrice dei soldati combattenti e poi bimbe e fanciulle

da proteggere e salvare,ma soprattutto madri ,madri

patriottiche che invitano i propri figli a partire per la guerra

contro un nemico che minaccia la Patria intesa come

Famiglia.

Testo :” La patria è la mamma che sta al di sopra di tutte le

mamme “ (testo scolastico)

I giornali :

Testo : “La guerra non si può pensare muta” (Paolo Orano-

giornalista,prima socialista poi del Partito d’azione aderì poi

al fascismo.Volontario)

Testo:”Anche le parole sono in armi “( Corriere della sera-

1915)

Un altro elemento utile per controllare l’opinione pubblica e

indirizzarne gli umori fu la censura dei giornali. In tutti i

paesi belligeranti fu applicata con rigore.

Ecco un commento ironico di un editorialista francese.

Testo :”Purché non si scriva né dell’autorità, né del

Governo,né della politica o del numero dei morti e

nemmeno…..dei feriti e delle atrocità….si può stampare

qualunque cosa sotto gli occhi di due o tre ispettori della

censura ! ( Capus –Le figaro)

I corrispondenti di guerra ,che conoscevano bene la

situazione del fronte, si trovarono nella scomoda situazione di

doverla tacere al pubblico ,spesso deformando, se non

addirittura falsificando la realtà per seguire i suggerimenti

delle autorità ,desiderose di presentare al pubblico un quadro

ottimistico dei fatti ,ad un pubblico che,peraltro, in verità era

spesso ansioso di leggere , a sua volta, le notizie e buone e

non quelle cattive .Pur avendo la vaga sensazione di essere

ingannati ,i lettori cercavano conferma delle loro illusioni

,per scacciare dalla mente immagini troppo angoscianti.

La censura della stampa viene istituita in Italia già nel

maggio del 1915. Per non rischiare il sequestro, i giornalisti

sottopongono le notizie e gli articoli alla censura preventiva e

,in poco tempo, il bavaglio alla stampa è completo.

L’Associazione Nazionale della Stampa lo accetta senza

opposizioni e dichiara addirittura la propria disponibilità a

una militarizzazione dei propri inviati “ Una resa

incondizionata” “la definirà lo storico Isnenghi .

Testo:” Ci sta innanzi una sola condizione di esistenza ed

essa non comporta che un solo dovere :la disciplina….Oggi

cessa per tutti gli italiani la legittimità della discussione e

della critica, cessa anche per noi….” ( da La stampa)

Ma queste condizioni portarono poi conseguenze nel

dopoguerra, screditando molte testate giornalistiche e

giornalisti. E furono in molti coloro che si adoperarono poi

per correggere l’immagine morale della stampa alterata da

quattro anni di conflitto.

Testo:”Travisavamo le nostre impressioni su questa o quella

fase della lotta ,colorandole con la certezza di fondo che

sopravviveva alle illusioni…Abbiamo fatto tacere la nostra

ragione per lasciar parlare solo la suprema voce del cuore…la

vera ragione della nostra impostura era l’istintivo bisogno di

ingannare noi stessi ,una sete,quando tutto sembrava perduto

,di sperare ancora” ( Corrispondente di guerra)

Cinema e fotografia:

Fin dall’inizio della guerra l’immagine assume un ruolo

centrale nella propaganda e uno sviluppo senza precedenti.

Produzione e diffusione raggiungono le proporzioni di un

fenomeno di massa,tanto il pubblico dimostra di essere avido

di vedere quel che succedeva al fronte. Naturalmente

l’autorità tentò subito di prenderne il controllo e di utilizzarle

per irreggimentare l’opinione pubblica. Fotografia e cinema

diventarono dunque ,per la prima volta,tecniche di

propaganda. Nelle retrovie ,in particolare, i cineasti

autorizzati tentavano di mostrare aspetti della vita al fronte

con intenti patriottici,scene aneddotiche che tenevano lontana

la morte o le immagini troppo crude . Tutto questo veniva

poi riprodotto nei cinegiornali che saranno sempre sottoposti

a censura ,e i cadaveri saranno eliminati dallo schermo per

non spaventare il pubblico e non far assistere alle famiglie dei

soldati ad insopportabili scene di morte. Era preferibile

attenuare l’inconfessabile verità offrendo al pubblico una

visione edulcorata.

La demonizzazione del nemico:

Lo scoppio della guerra rinnova le antiche paure e i cliché

legati alla figura del nemico “primitivo e brutale” .

Durante la prima guerra mondiale cambia profondamente il

significato del concetto di “nemico”: da nemico come “iustus

hostis” ,cioè legittimo e con il quale si può quindi

raggiungere una pace concordata, secondo la tradizione

ottocentesca, a nemico straniero,criminale, eticamente

delegittimato e che va dunque semplicemente annientato. La

guerra si trasforma così in un affare etico in cui i giusti

combattono per sconfiggere i criminali,gli ingiusti,i malvagi.

Testo:” Soldati d’Italia !Tutti gli occhi guardano a voi in

questo momento,tutti i cuori sono sospesi ai vostri cuori.

Sono in pericolo le vostre madri, le vostre sorelle,le vostre

spose,i vostri figli,le loro case, le loro chiese, i loro campi! Se

le orde dei barbari riescono a rompere la barriera dell’esercito

italiano le rovine più spaventose e la più abietta schiavitù

minacciano la sacra terra d’Italia.!Ovunque sarà incendio

,morte e distruzione: la rabbia tedesca e austriaca farà della

più bella terra del mondo un paese devastato,desolato,

violentato “

(Appello del Comitato di propaganda Patriottica )

L’identificazione del nemico con il “Male”ebbe sicuramente un

valore essenziale per il fronte interno : demonizzando e

criminalizzando l’Altro, si tenta di giustificare la necessità di

combatterlo. Questi procedimenti hanno lo scopo di condurre

anche una guerra dell’immaginario che ha un peso

fondamentale nel coinvolgimento della popolazione nelle sorti

del

conflitto,istillando nelle coscienze l’abitudine alla

contrapposizione totale tra “noi” e “loro”.

Testo:”la propaganda politica si fonda molto spesso sulla

divisione della realtà in bene e male,amico ,nemico e ciò è

tanto più vero nei casi di guerra…Il legame tra elemento

morale ed elemento fisico diventa essenziale: la bruttezza e la

deformità servono a descrivere una più profonda e sostanziale

bruttura morale e l’enfatizzazione dei misfatti del nemico

hanno l’obiettivo di accrescere l’odio nei suoi confronti e di

legittimare i sacrifici che il conflitto richiede. L’immagine ed il

linguaggio si fanno crudi e brutali,incitano all’odio.”

(A.Ventrone)

Il nemico venne spersonalizzato,ridotto ai suoi attributi più

immediati e caratteristici (come l’elmo a punta dei tedeschi che

da sé bastava a incutere spavento) e connotato da

comportamenti brutali e incivili:diventa un animale da preda

,un’entità disgustosa e grottesca .Molte le cartoline che

rappresentano il nemico coperto di escrementi, con gli organi

sessuali in vista o illustrano stupri di guerra e sodomie.

Nella propaganda italiana ,che molto si riferisce ai valori e ai

miti del Risorgimento,fu in particolare il nemico austriaco ad

essere rappresentato come un barbaro irriducibile, difensore di

un’enorme prigione di popoli oppressi

Testo estratto da un manifesto di propaganda “Dal

proclama di un generale austriaco :”Soldati! Il buon vino e le

belle donne d’Italia ci aspettano!” NO! Turpissima genia!

Tutta l’Italia è in piedi per

ricacciarvi nelle vostre tane !”

Cinegiornali e riviste illustrate,in particolare, si incaricano di

accreditare l’idea di una “guerra barbara”condotta dal

nemico,mostrando un numero sempre maggiore di immagine

garantite come reali. Le riprese servivano a denunciare

saccheggi,razzie,distruzioni

Testo:”…. adatte a mantenere vivo in noi il sacro odio per

barbari e assassini!” (settimanale cinematografico)

Questa martellante e continua demonizzazione del nemico

penetrò così profondamente nelle coscienze da diventare un

tratto culturale che influì non poco (insieme alle rivendicazioni

territoriali e economiche) sull’atteggiamento implacabile dei

vincitori al tavolo di pace e sul radicarsi di una visione anche in

termini razziali dell’Altro ,visione che tanta nefasta influenza

avrà negli anni successivi.

I Bambini e la guerra:

Nella prima guerra mondiale,essendo un guerra totale,i bambini

come l’insieme delle popolazioni civili diventano protagonisti a

tutti gli effetti del conflitto,diventano un settore del fronte

interno,sia in quanto oggetti che in quanto attori della

mobilitazione.

La barriera protettiva che di solito esclude i bambini

dall’universo combattente e dalle violenze della guerra è

abbattuta fin dall’inizio della Grande guerra. L’infanzia è

“brutalizzata” e resa violenta dalla cultura di guerra .Non può

sfuggire alla guerra ,alle sue realtà più crude e dolorose , né ai

discorsi di mobilitazione elaborati per loro nei rispettivi paesi. I

bambini non avrebbero potuto ignorare la guerra perché essa

penetrò in tutti gli aspetti della loro vita,persino nei giochi ,nei

libri e nella scuola.

Innanzitutto i bambini sono argomento per la mobilitazione :è

per loro che si combatte, è per il loro avvenire che ci si

sacrifica fino alla morte. Così la loro figura è presente in modo

massiccio nelle immagini di propaganda per incitare allo sforzo

comune,ai prestiti di guerra,per evocare le atrocità del nemico.

Ma non solo supporto alla cultura di guerra rivolta agli adulti, i

bambini sono anche specifici destinatari di tematiche studiate

apposta per loro : si tratta di istillare una morale patriottica

che li faccia sentire “piccoli soldati” che contribuiscono alla

vittoria, facenti parti di un popolo , di una nazione .

Bisogna “rivelare” la guerra ai bambini ed è necessario

mostrargliela dettagliatamente :il fronte,gli armamenti,gli

alleati,le tappe della vittoria ma anche la vita quotidiana,i

sacrifici per il cibo,le ferite,l’igiene ,la morte. Ed anche il

nemico: imparare a conoscerlo e ad odiarlo come

l’incarnazione del Male.

Per loro,”soldatini del fronte interno”, il lavoro pedagogico è

anche in funzione di un controllo sociale :per essere all’altezza

di questo compito devono essere bambini

modello,buoni,bravi,studiosi. E se questo viene chiesto ai

maschietti che un giorno saranno soldati , alle femmine in più

viene chiesto di occuparsi della casa ,dei fratelli più piccoli,di

aiutare la madre sola e con il marito al fronte,insomma di

essere quelle “vere donnine” , adulte anzitempo.

Ai bambini è raccomandata parsimonia e sacrificio attraverso

cartoline e manifesti:

Testo “Non consumare troppo le scarpe per saltare a corda, non

sprecare la carta facendo macchie sui fogli, non consumare lo

zucchero….”

Testo:”Ti lagni della tua vita? Facciamo volentieri qualche

sacrificio anche noi pensando ai nostri soldati!”

Vettori di questa cultura di guerra per l’infanzia sono prima di

tutto la scuola e i divertimenti. Maestri e giocattoli si

impongono come i migliori e i primi agenti per integrare i

piccoli nella guerra .I programmi scolastici sono rielaborati alla

luce del conflitto e la scuola assume il ruolo di tramite per

l’esaltazione nazionale ,la condanna del nemico,fino alla

distorsione della storia stessa. Le stesse aule saranno decorate

con i colori della patria.

Testo :” Coraggio, soldati d’Italia!Coraggio ,valorosi difensori

delle Alpi,coraggio sentinelle dei nostri mari! Difendetela

come difendereste vostra madre,dagli attentati di un cattivo che

volesse insultarla o ucciderla. Coraggio,soldati d’Italia! I

fanciulli di tutte le scuole italiane sono con voi,in questi

momenti “ (dettato assegnato agli esaminandi della sezione

14/15)

Ci saranno attività extracurricolari legate alla guerra,i bambini

si faranno tramite per sottoscrizioni,ottenendo medaglie.

Testo :” Nostro padre ha dato la vita per voi ,voi non negherete

il denaro. Sottoscrivete!”

Giochi,giocattoli,romanzi giornalini,album ecc…Tutti i

passatempi infantili saranno contaminati dal discorso della

mobilitazione, con un messaggio massiccio rivolto a entrambe i

sessi e a tutte le età :bambole –soldato, bambole-infermiere,

mini carri armati, armi di tutti i tipi, divise confezionate con la

stessa stoffa di quelle dei padri.

Testo “Non si può mica esser tutti soldati

Specie quando si è piccoli/né marciar con fucile e spada

armati

Ma possiam tutti quanti essere davver soldati nello

spirito/utili e prodi con fervor sincero

Come fanno i soldati” (Corriere dei Piccoli –gennaio

1915)

A questi due vettori si uniscono la religione e la famiglia con

una mobilitazione più diffusa e più sistematica. La religione

veicola un’esaltazione della guerra come “crociata”,i bambini

sono spinti a pregare per la vittoria e per la salvezza del paese e

dei combattenti, incoraggiandoli con pellegrinaggi,offerte, atti

di contrizione. La famiglia interviene attraverso i padri

combattenti che,nelle lettere che inviano dal fronte, li esortano

ad essere giudiziosi,diligenti e persino a sacrificarsi

,contribuendo alla loro precoce responsabilizzazione.

I bambini sono vittime indirette :quasi tutti hanno un padre,un

fratello ,un parente al fronte,moltissimi rischiano di rimanere

orfani o di vedere stravolto il loro nucleo familiare .Loro

saranno i primi ad esperire un lutto di massa. Gli orfani di

guerra sarà una nuova tipologia di bambino da aiutare, una

categoria a sé stante.

Durante la Guerra i bambini saranno forza lavoro per sostituire,

nei campi e talvolta in fabbrica, gli uomini al fronte, per aiutare

le madri a sostenere la famiglia in difficoltà. I bambini sono

soprattutto “testimoni” di guerra .Nei loro disegni,diari e lettere

raccontano ed evidenziano alcune costanti :la fame,l’attesa,la

paura, la tristezza,ma anche che la vita continua con la scuola i

giochi, le malattie Ed anche appare una certa “sacca di

resistenza “ alla guerra

Testo:”mentre salivo le scale ,parlavo con la mamma ,mi

diceva che forse la guerra si sarebbe presto conclusa “Sì!-dissi

con slancio- che finisca !Non importa come ,ma che finisca!”

(testimonianza da” Memorie di una ragazza”)

I bambini del 1914 sono però anche gli adulti del 1940. Si

tratta perciò di un’intera generazione che ,per due volte,si è

dovuta confrontare con la guerra :violenza reale e fisica della

fame,dei bombardamenti, dei lutti. Così molte delle

rappresentazioni del loro immaginario ,createsi durante il

primo conflitto, sono poi state riesumate nel secondo:la paura

del nemico-mostro già vissuto,delle violenze e della morte.

Solo che adesso loro stessi sono “classe 1940”: soldati

combattenti.

Testo da “Il mondo di ieri” di Stefan Zweig “…Noi che nel

nuovo secolo abbiamo imparato a non lasciarci più sorprendere

da alcuno scoppio di brutalità collettiva, noi che da domani

aspettiamo più atroci eventi che dell’ieri, siamo ben più scettici

circa la perfettibilità degli eventi.”

Il Crollo demografico

Solitamente si pensa alle conseguenze demografiche delle

guerre per l’aumento della mortalità che generano, ma in realtà

i conflitti hanno un impatto altrettanto notevole su altri

componenti demografici,come la nuzialità e la natalità.

La grande guerra è un esempio molto interessante in questo

senso , proprio per la brusca riduzione dei matrimoni e per le

mancate nascite durante il conflitto, con un effetto frenante

della crescita della popolazione italiana che si è trascinato per

decenni.

La nuzialità:

Testo :”Il richiamo sotto le armi di milioni di uomini e il

disagio economico causato dalla guerra ,esercitano

un’influenza immediata ,nel senso di una diminuzione della

nuzialità” (Mortara- storico)

Infatti il tasso di nuzialità crollò nell’ Europa in guerra da circa

sette milioni ogni mille abitanti a meno di tre nel periodo di

guerra,anche se ,a fine guerra ci fu,un ampio recupero dei

matrimoni “perduti”.Per non restare nubili,le donne

cominciarono a sposarsi con uomini della stessa età o più

giovani, anche perché gli uomini più maturi, erano già morti.

Aumentarono anche le seconde nozze.

La natalità :

Nessuno sforzo , da parte di nessuna autorità, poté impedire lo

schiacciamento della vita. Ne è indice l’andamento

demografico che in Italia ebbe un bilancio negativo (più morti

che nati) per tre anni consecutivi ,1917/18/19 .Tra il 1915 e il

1919 vi furono circa un milione di nascite in meno rispetto al

quinquennio precedente. In alcune zone della Toscana nascono

meno della metà dei bambini che ci si poteva aspettare in base

alle medie prebelliche.

Ma i richiami di massa e la riduzione dei matrimoni non

bastano a spiegare crolli del genere : forse bisogna anche

metter in conto una diffusa rinuncia a far figli sotto l’effetto

della guerra legata anche ad una diffusa mortalità neonatale

,date le condizioni di vita, e all’effetto della spaventosa

epidemia detta “la spagnola”.Appena un bambino su quattro

riesce a superare l’anno di vita.

La mortalità :

Il numero di morti nel primo conflitto mondiale fu enorme ,sia

per le perdite dovute alla guerra di trincea,sia per il

coinvolgimento della popolazione civile. Nel periodo

prebellico la mortalità in Italia era in discesa. Lo storico

Mortara sottolinea che tale tendenza si interruppe bruscamente

:nel periodo bellico il tasso di mortalità arrivò a sfiorare il 40

per mille .La speranza di vita si ridusse di 10 anni fino a

toccare nel 1918 i 30 anni e mezzo per gli uomini e i 32 per le

donne. E’ possibile inoltre pensare che la sovramortalità di

molte persone, in particolare anziane, non sia riconducibile

solo a cause legate alla guerra, ma piuttosto al fatto che

,davanti alla perdita di figli e nipoti si siano lasciati morire per

il dolore o questo ne abbia accelerato il decesso.

Testo:”occorre dunque ,per dare una spiegazione soddisfacente

ad un simile fenomeno,appellarsi allo shock psicologico

indotto dalla sofferenza tra i più anziani e soprattutto i nonni”

(Rouzeau e Becker – La violenza,la crociata e il lutto)

La riduzione della natalità e il forte aumento della mortalità

ebbero conseguenze sul lungo periodo per decenni : un effetto

“eco” che arrivò fino agli anni sessanta e a cui si soprapposero

i disastri e i lutti della seconda guerra mondiale .Le poco

numerose generazioni nate durante la prima guerra mondiale

attraversarono le difficoltà e le tragedie della seconda nel pieno

della loro età riproduttiva…

IL LUTTO E L’ELABORAZIONE DEL LUTTO

L’esperienza di tutti coloro che restavano a casa fu anzitutto

l’esperienza di una perdita ,di un abbandono. Si perdevano

,temporaneamente o per sempre ,i mariti,i fratelli ,i figli. Si

perdevano il reddito, la sicurezza. Si entrava in un lungo,

indefinito periodo di solitudine ,di attesa,di sospensione

angosciosa. L’attesa di notizie dal fronte,come l’attesa di un

ritorno a casa ,magari momentaneo,era una condizione

estenuante ,snervante che poteva senza dubbio rappresentare

l’origine di una profonda sofferenza.

Testo :”Al momento della partenza …..al centro della sala

,accanto a una sedia rovesciata,la mamma era accasciata sul

pavimento,in singhiozzi. Io la raccolsi ,l’aiutai a sollevarsi. Ma

non si reggeva più da sola,tanto ,in pochi istanti si era disfatta.

Tentai di dirle parole di conforto,ma si struggeva in lacrime “ (

Lussu - Un anno sull’altopiano)

Poteva giungere da un momento all’altro la notizia di un lutto,

temuto per mesi o per anni, e ciò poteva essere l’occasione

traumatica in cui ansie che si erano accumulate esplodevano in

crisi nervose. D’altra parte anche chi poteva riabbracciare figli,

mariti, padri doveva affrontare il trauma del loro ritorno :il

trauma del ritorno di uomini profondamente cambiati, a volte

traumatizzati dalla vita di trincea,dall’esperienza di una morte

di massa, oppure feriti, mutilati, ciechi.

Testo:”Ogni anno tra la prima e la seconda guerra mondiale,

morirono uomini per le ferite riportate o per le malattie

contratte. Per molte persone il lutto ebbe inizio dopo anni

passati a prendersi cura di ex combattenti. Grandissima parte di

questo servizio ripetitivo e poco piacevole,venne prestato

all’interno delle famiglie e non ne è rimasta traccia “(Winter-

Lutto e memoria)

L’esperienza del lutto colpì di certo in modo più forte le donne

,in modo tanto forte da essere difficilmente comunicabile .

Testo :Una donna che perde il marito si chiama vedova, ma

come si chiama una donna che perde suo figlio ?”

Testo:” Le componenti fondamentali della tragedia che

attraversò l’esistenza delle madri,……sono qui riassunte : dalla

muta rivolta provata al momento della partenza dei figli

all’impossibilità di dare voce a questo sentimento , al

ripiegamento su se stesse al momento del lutto …”(D’Amelia )

Qualsiasi perdita in tempo di guerra rimanda ad un dolore

intenso. Appena il morto è identificato la terribile notizia è

comunicata alla famiglia.

Testo:”…era il sindaco che comunicava una triste notizia , che

suo marito era morto in battaglia,che la patria lo piangeva con

lei e che ne era fiera. Lucie non lo aveva udito,ma si era alzata

e gli tendeva la mano con molto rispetto,la nonna si era alzata

in piedi e ripeteva “Mio Dio!” ….”(Camus)

La specificità del lutto di guerra è nella solitudine

dell’agonizzante perché ,nella stragrande maggioranza dei casi,

le famiglie non hanno potuto assistere e accompagnare

l’agonia dei morenti .Per coloro che se ne vanno, la morte è

sinonimo di solitudine e per coloro che restano è bisogno di

sapere : le circostanze precise della morte, le sofferenze

patite…. Domande che rimangono spesso senza risposta e che

acuiscono il dolore e la difficoltà dell’elaborazione .La

formalità e l’essenzialità delle lettere militari con cui si veniva

informati della morte del parente generava il bisogno di

Testo:”..condividere gli ultimi momenti ,di sapere quello che

sapeva lui e almeno per un attimo provare quello che aveva

provato “ (Jay Winter)

Testo:”…nella morte di massa il corpo e il nome sono

separati:a corpi senza nome,corrispondono nomi senza

corpi”(Gibelli)

Testo:”Quanto poi alla morte del povero Colombo inutile che

continuate a rammentarmelo. Persuadete pure i suoi genitori

che come già dettovi e nuovamente vi ripeto che lo vidi io con i

miei occhi cadavere e io pure tengo un piccolo crocifisso per

ricordo come altri oggetti come l’orologio ,il portafoglio che li

tiene un altro amico…” (Testimonianza)

Vivere il lutto significa raccogliere tutte le tracce lasciate dallo

scomparso:tutti gli oggetti ,gli stessi abiti militari, diventano

veri e propri oggetti devozionali. Le fotografie in particolare

rappresentano lo spazio fisico che il defunto tende a occupare

nella vita e nell’ambiente di guerra e poi le lettere che aveva

scritto, le cartoline che aveva inviato :tutto compone un lascito

da tramandare alle future generazioni e un gesto simbolico di

ricomposizione dei suoi resti insepolti.

Testo:”E’ come se questi morti in grigio – verde continuassero

ad aggirarsi inquieti ,impedendo alla mente di volgersi altrove”

(Gibelli-L’officina della guerra)

DA LUTTO PRIVATO A LUTTO PUBBLICO:

Il lutto non poteva non generare il mito. Era un fattore troppo

grande ,troppo importante,troppo evidente per non essere

sfruttato dai governi al fine di costruire e rafforzare un

consenso che rischiava di spegnersi con il passare dei mesi e

con l’aumentare della violenza sui campi di battaglia .I defunti

diventano martiri , sono lo spirito della redenzione nazionale e

ad essi si rivolge la stessa Nazione per salvaguardare il loro

sacrificio e i valori riscoperti attraverso la guerra : loro sono

l’immagine del cittadino modello e la rappresentazione di

nuovi valori.

Si troveranno forme varie di commemorazione collettiva. I

simboli usati nella decorazione dei monumenti , la struttura

usata per i cimiteri di guerra ,la cui costruzione iniziò già dal

1915, i complessi rituali per l’inumazione della salma del

Milite Ignoto,rappresentano da subito elementi fondamentali

atti a formare una religione civile in tutti gli Stati Europei.

Testo :”Commemorare era un gesto politico :non poteva essere

un atto neutrale e i monumenti ai caduti si fecero portatori di

messaggi politici sin dai primi giorni di guerra “(Jay Winter )

In Italia ci sarà una specifica forma di celebrazione tra il

pubblico e il privato : la pubblicazione di opuscoli dedicati ai

caduti e destinati alla cerchia familiare e amicale.

Testo:” Il culto dei morti si manifesta in opuscoli

commemorativi e si situa nel punto di intersezione tra il

pubblico e il privato…tra famiglia e nazione, superamento

esistenziale della crisi e strumentalizzazione politica “(Dolci e

Janz-“Non omnis moria”)

Poco a poco il dramma umano vissuto direttamente, diventa

condiviso dall’insieme della società e in alcuni momenti

particolari, come la fine del conflitto,ha un’eco maggiore,

momenti in cui, anche chi non è stato colpito da un lutto ,

percepisce la crudeltà di queste vite spezzate

Testo :”Ciò che ci ha colpito di più in questo giorno ,è veder

piangere,in mezzo all’allegria e all’eccitazione generale, le

nostre compagne ,quelle che avevano perso il padre in guerra.

IN quel momento ho capito quanta sofferenza significasse la

guerra…e questo proprio nel giorno in cui la guerra era

finita”(Pernoud)

Dalla diffusione di un sentimento di dolore collettivo nascerà

quel binomio diritti//doveri costitutivo della situazione sociale

delle persone in lutto:il diritto ad essere aiutate ,ma anche il

dovere di mostrarsene degne. In nome dei caduti, in nome di

una società che se ne assume collettivamente il lutto, bisogna

mantenere un comportamento irreprensibile sul modello della

vittima. Qualsiasi comportamento disdicevole sarà censurato.

Tutte le forme di santificazione del lutto saranno invece

esaltate a cominciare dagli orfani, piccoli eroi in erba , pronti a

tutto per vendicare il padre morto per la patria.

Ma questa “enfatizzazione nazionale “del lutto è davvero un

mezzo efficace per i sopravvissuti? Si tratta davvero di una

risposta alle aspettative delle famiglie affrante e disorientate

dal lutto? Presto cominciarono a formarsi due posizioni

divergenti :da un lato lo Stato che enfatizzava le virtù delle

famiglie che avevano saputo superare con onore e forza gli

orrori e i dolori della guerra e così le rappresentava nei

momenti pubblici ,rimandando un’immagine esclusivamente

etica e che sublimava, in una cornice pubblica, un dolore

privato; dall’altro le famiglie che invece ,non potevano in toto

trasfigurare il loro personalissimo cordoglio nel concetto di

sacro sacrificio per la patria,si racchiudevano nel loro dolore

incomunicabile,si sentivano in qualche modo e alla fine

estranee alle manifestazioni esterne, alla loro retorica, al loro

“rumore” eccessivo così lontano dal loro triste , duro, solitario

percorso quotidiano.

E resta la domanda : come è possibile elaborare un lutto? E

soprattutto come elaborare il lutto di un eroe?Come accettare la

morte di uomini giovani accettando quindi un’inversione del

naturale corso generazionale? Forse la principale caratteristica

di coloro che ebbero parenti caduti fu quella di essere alla

perenne ricerca di una nuova possibile identità, difficile se non

a volte impossibile da raggiungere .Sarà possibile per loro un

giorno vivere fuori dal lutto patologico? E come si potrà

raccontare un simile cordoglio se non si riuscirà ad

affrancarsene ?

Testo:”Forse potrà sembrare assurdo, ma viene da chiedersi -

e la domanda non è del tutto priva di fondamento - quanti

discendenti di coloro che avevano perduto un familiare

durante la guerra del 1915/18 sarebbero stati effettivamente

“altri” senza il lungo dolore del lutto ?” (Rouzeau e Becker)

Il filo rosso che lega Fronte e Fronte interno non sono solo le

lettere, i rapporti di ricordo e nostalgia, le licenze,i ritorni e gli

addii definitivi. Quello che lega questi due “mondi”,che ne fa

una sola cosa nella narrazione della guerra è che ,dalla Prima

Guerra mondiale, scompare la distinzione tra civili e

combattenti :è in questa che il peso della massa dei cittadini,il

loro morale il loro sostegno allo Stato in guerra, sono efficaci

per il buon esito del conflitto quanto le capacità offensive,di

sacrificio, di valore degli uomini che combattevano sui vari

fronti.

Testo:”La prima Guerra mondiale fu la prima guerra

democratica della storia…..in ciascuno dei paesi

interessati,vale a dire nell’Europa intera,colpisce l’universalità

dei cittadini…E’ una guerra democratica perché è fatta di

numeri :dei combattenti, dei mezzi, dei caduti. Ma per questo

motivo più che una vicenda militare è una vicenda civile :più

che un combattimento di soldati è una prova subita da milioni

di persone strappate alla loro esistenza quotidiana” ( Francois

Furet- storico francese)

La prima guerra mondiale è la prima guerra TOTALE. Totale

perché viene meno ogni residua distinzione tra Stato,società e

individuo.

Testo:” La mobilitazione totale non è una misura da seguire,

ma qualcosa che si compie da sé: essa è l’espressione della

legge misteriosa e inesorabile a cui ci consegna l’età delle

masse e delle macchine…La disponibilità alla mobilitazione

era presente in tutti i paesi :la Prima Guerra Mondiale è stata

una delle guerre più popolari che la storia abbia

conosciuto”(Junger-filosofo e scrittore tedesco ,volontario)

Mobilitazione totale e guerra totale e si corrispondono : la

guerra non è più solo lo scontro diretto con l’esercito nemico

ma la distruzione di tutto ciò che lo supporta e lo sostiene,

dunque della stessa popolazione civile:i civili divennero gli

obiettivi diretti e a volte principali della strategia militare,

perché il nemico doveva essere demonizzato, odiato,

disprezzato. La violenza vuole le sue regole e nessuna guerra

che fa appello a sentimenti nazionali di massa può avere un

carattere limitato.

La guerra divenne “impersonale”:uccidere o ferire divennero

piano piano, ai più alti livelli, conseguenze remote di premere

un pulsante o muovere una leva .La tecnologia cominciò a

rendere invisibili le vittime .

Testo:”Di fronte ai cannoni non c’erano vittime ,ma cifre

statistiche,al suolo non c’erano persone ma obiettivi” (

Hobsbawm-Il secolo breve)

Testo :”Il comandante di una squadriglia aerea che a notte

fonda impartisce l’ordine di bombardare ,non fa alcuna

distinzione tra militari e civili e la nuvola letale di gas passa

come un’ombra su ogni forma di vita “ (Junger)

Scrive Altiero Spinelli :

“Il 4 novembre è una data che ricorda il

momento in cui l’Italia è uscita dalla

tradizione del Risorgimento

ed ha

imboccato la politica delle conquiste

nazionalistiche.

Il 4 novembre dovrebbe essere quindi

considerato,se fossimo persone serie, una

data di lutto per noi e

una data di

lutto per gli austriaci “

,