Conferenza S.B. Mons. Fouad Twal

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Se ci sarà pace a Gerusalemme, ci sarà pace in tutto il mondo Carissimo Mons. Francesco Beschi, Carissimi amici delle ACLI di Bergamo, Carissimo Don Massimo e amici della Parrocchia di LONGUELO, Carissimi fratelli e sorelle, Un grazie sincero per avermi invitato a partecipare a questo importante momento di riflessione promosso dalle ACLI di Bergamo. Grazie per la serietà del vostro impegno e per la competenza nell’affrontare argomenti complessi e ricchi di contenuto. Per meglio inquadrare il tema da voi proposto, ho individuato due scenari: il primo è più orientato agli eventi ecclesiali e sfide che stanno segnando il cammino della nostra Chiesa , il secondo è socio-politico ed internazionale; questi due momenti saranno preceduti da una breve presentazione generale e da alcuni cenni storico-ecclesiali. Presentazione generale Per i cristiani in Terra Santa si trovano i luoghi più importanti della “storia della salvezza”. Sono i luoghi dell’Incarnazione del Figlio di Dio, della sua nascita, della sua predicazione, crocifissione e risurrezione. Sono “luoghi santificati dal suo passaggio terreno”, come li ha definiti Benedetto XVI all’Angelus dell’8 marzo 2009. A Gerusalemme sono accaduti gli avvenimenti più importanti della nostra storia; lì il cielo ha toccato la terra, lì sono 1

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Vi proponiamo l'intervento di Mons. Fouad Twal, Patriarca di Gerusalemme, di venerdì 5 ottobre alla Chiesa Parrocchiale di Longuelo dal titolo "Se ci sarà pace a Gerusalemme, ci sarà pace in tutto il mondo".

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Se ci sarà pace a Gerusalemme, ci sarà pace in tutto il mondo

Carissimo Mons. Francesco Beschi,Carissimi amici delle ACLI di Bergamo,Carissimo Don Massimo e amici della Parrocchia di LONGUELO,Carissimi fratelli e sorelle,

Un grazie sincero per avermi invitato a partecipare a questo importante momento di riflessione promosso dalle ACLI di Bergamo. Grazie per la serietà del vostro impegno e per la competenza nell’affrontare argomenti complessi e ricchi di contenuto.

Per meglio inquadrare il tema da voi proposto, ho individuato due scenari:il primo è più orientato agli eventi ecclesiali e sfide che stanno segnando il cammino

della nostra Chiesa, il secondo è socio-politico ed internazionale; questi due momenti saranno preceduti da una breve presentazione generale e da alcuni cenni storico-ecclesiali.

Presentazione generale

Per i cristiani in Terra Santa si trovano i luoghi più importanti della “storia della salvezza”. Sono i luoghi dell’Incarnazione del Figlio di Dio, della sua nascita, della sua predicazione, crocifissione e risurrezione. Sono “luoghi santificati dal suo passaggio terreno”, come li ha definiti Benedetto XVI all’Angelus dell’8 marzo 2009.

A Gerusalemme sono accaduti gli avvenimenti più importanti della nostra storia; lì il cielo ha toccato la terra, lì sono state pronunciate parole mai udite prima: “Perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Non è qui, è risorto” (Lc 24,5).

In questo senso, Gerusalemme è veramente una città unica al mondo ed è il centro dell’universo. Viverci è già una grazia, ma è anche una responsabilità e un impegno, perché tutto ciò ci riporta al mistero centrale della nostra salvezza. Sulle pietre di quella città Gesù stesso pose i suoi piedi, e prima di Lui, Abramo, i Profeti, i Patriarchi; e dopo di Lui i suoi discepoli, gli apostoli, i primi cristiani, i cristiani delle varie generazioni fino ad oggi. Le stesse pietre su cui hanno camminato e camminano ebrei, musulmani e cristiani. Gerusalemme è, infatti, il luogo sacro per eccellenza per tutti i cristiani, ma lo è anche per i credenti delle principali religioni monoteistiche. Basti pensare che in un solo chilometro quadrato ci sono luoghi unici e d’immenso valore storico, culturale e religioso, come il Santo Sepolcro, il Monte del Tempio, meglio conosciuto come la Spianata del Tempio, il Muro del Pianto, la Cupola della Roccia e la Moschea “al-Aqsā”.

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La città vecchia di Gerusalemme è caratterizzata da otto porte, ognuna con una sua storia particolare1. Dentro le sue mura, Gerusalemme è composta da quattro quartieri, costitutivi della città già da molti secoli: musulmano, ebraico, cristiano e armeno. D’altronde, la grande città, che ufficialmente ha meno di novecentomila abitanti, è diventata negli ultimi anni ampiamente cosmopolita. Gli abitanti però sono in larghissima maggioranza israeliani e arabi musulmani.

E’ a Gerusalemme che è nata la prima Chiesa, “Madre di tutte le Chiese” (san Giovanni Damasceno)2. A Gerusalemme è nata la nostra storia di cristiani, lì sono le nostre radici, lì sono rivolti gli sguardi di tutti i credenti, anche di quanti vivono nei paesi in conflitto, lì si uniscono le nostre aspirazioni e le nostre paure, lì trova pace la nostalgia del ritorno di tutti gli esiliati di questa terra.

Gerusalemme è il cuore del mondo. In questa città fatta di ebrei, di arabi e di pochi cristiani, si parlano tutte le lingue del mondo, anche nella liturgia. Essa è un vero crocevia di popoli, di culture e di religioni. E questa è la sua vocazione che noi siamo chiamati a vivere, nonostante tutte le difficoltà che ci troviamo di fronte, che di epoca in epoca dobbiamo affrontare con nuovo slancio, con nuove e più forti motivazioni.

***Cenni storico-ecclesiali

La Diocesi di Gerusalemme, risalente al primo secolo, fu elevata a Patriarcato durante il Concilio di Calcedonia, nel 451. In seguito alla conquista della Città Santa da parte dei Crociati, nel 1099, fu istituito il Patriarcato Latino di Gerusalemme, dal 1374 al 1847 semplice sede titolare3.

Fu Papa Pio IX che, il 23 luglio 1847, in una particolare congiuntura storica4, ristabilì la sede del Patriarcato Latino con la lettera apostolica Nulla celebrior, di cui riportiamo alcuni passi:

«Nessuna città fu più celebre per religioso culto di Gerusalemme, nessuna regione fu frequentata dai Cristiani con più illustri manifestazioni di devozione della Palestina ... Ciò che costituisce propriamente e principalmente la eccellenza di Gerusalemme è il ritrovarsi in essa quel glorioso sepolcro nel quale il Nostro Salvatore rimase, dopo la Sua morte, racchiuso per tre giorni e dal quale il terzo giorno, trionfando, con mirabile prodigio, della Sua morte, risuscitò per Sua virtù e confermò la divinità della Religione da Lui istituita ... Ciò spinse in ogni epoca il popolo cristiano a venerare e curare quei luoghi ... Dopo Nostra matura deliberazione, abbiamo approvato il disegno della medesima Congregazione (di Propaganda Fide), ed abbiamo deciso di condurlo senza indugio alla desiderata attuazione. Pertanto, per autorità di Dio Onnipotente e 1 Porta di Sion o Porta del Profeta Davide, Porta dei Magrebini, detta anche “Dung Gate”, Porta della Misericordia (Porta d’Oro, fatta chiudere da Solimano), Porta dei Leoni (detta anche di Santo Stefano), Porta di Erode (o Porta dei fiori), Porta di Damasco, Porta Nuova e, infine, Porta di Giaffa.2 Riferimenti precedenti nel Concilio Costantinopolitano del 381.3 Si veda l’articolo di P. Pieraccini, “La comunità cattolica di Terra Santa dalle crociate al crollo dell’Impero ottomano (1099-1917)”.4 Per quanto concerne le motivazioni che portarono alla ricostituzione del Patriarcato Latino di Gerusalemme, si veda l’opera di P. Pieraccini, Il ristabilimento del Patriarcato Latino di Gerusalemme e la Custodia di Terra Santa, Cairo-Jerusalem, 2006.

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dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, ripristiniamo in Gerusalemme l’esercizio della giurisdizione del Patriarca Latino ... ».

In seguito, Fu Papa Leone XIII ad orientare nel 1887 la “Colletta per la Terra Santa”, già in uso dai tempi antichi, ad una volta l’anno, e precisamente al Venerdì santo. Una spinta decisiva la diede in seguito Paolo VI con la sua Esortazione Apostolica Nobis in animo del 25 marzo 1974. Ancora oggi le offerte vengono distribuite per il 65% alla Custodia, che provvede alla cura di gran parte dei Luoghi Santi, mentre il restante 35% viene destinato alla Congregazione per le Chiese Orientali, la quale lo distribuisce tra diverse istituzioni locali, tra cui anche il Patriarcato Latino.

I Papi da sempre si sono preoccupati di considerare Gerusalemme e i Luoghi Santi per il loro valore intrinseco, al di sopra delle divisioni e delle contese. Ben presto si volle giungere alla salvaguardia dei Luoghi Santi, alla libertà di accedervi per tutti i fedeli delle tre religioni, parlando di un corpus separatum, affidato alla tutela internazionale. Pio XII invitò tutti i cattolici del mondo a pregare e ad adoperarsi per far sì che i politici e i governanti si persuadessero a dare alla Città Santa e ai luoghi vicini una conveniente sistemazione giuridica internazionale5.

Il giovane Don Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, come voi ben sapete, venne personalmente in pellegrinaggio in Terra Santa nell’ottobre 1906, in qualità di segretario personale di mons. Radini Tedeschi, Vescovo di Bergamo. CI lasciò un’ampia documentazione, pubblicata in seguito sull'«Eco di Bergamo», e anche altri scritti, tra cui un diario, in cui raccontò con semplicità e profondità la sua esperienza. Da Papa si preoccupò di operare per lo sviluppo della pace, tema a cui dedicò anche la sua ultima enciclica.

Paolo VI fu il primo papa a visitare la Terra Santa dai tempi apostolici, nel gennaio 19646, come ricordato al termine della seconda sessione del Concilio7. Il suo viaggio fu un appello alla riconciliazione e all’instaurazione della pace, che diede fin da allora dei frutti notevoli, se ricordiamo lo storico incontro e abbraccio con il patriarca Atenagora.

Quando nel 1967 scoppiò la terza guerra arabo-israeliana, Paolo VI chiese di far cessare le armi in nome dell’inviolabilità di Gerusalemme. Continuò a chiedere molte volte uno statuto speciale e garanzie di diritto internazionale per la Città e per tutti i Luoghi Santi. La Terra Santa e Gerusalemme furono per lui “patrimonio spirituale di tutto il mondo”, ed allo stesso tempo luogo della comunità dei fedeli locali: “Questa terra benedetta è divenuta in certo modo il patrimonio spirituale dei cristiani di tutto il mondo ... Ma quella è pure la terra in cui, accanto ai santuari ed ai luoghi Santi, esiste ed opera una Chiesa vivente, una comunità di credenti in Cristo. È una comunità che, nel corso della storia, ha subito innumerevoli prove ed è stata soggetta a dolorose vicissitudini: le divisioni interne, le persecuzioni dall’esterno e, da qualche

5 Basti ricordare le encicliche "Auspicia quaedam" del 1 maggio 1948, in cui, con lo sguardo rivolto verso i popoli in conflitto, si parla "della concordia tra le nazioni”, la "In multiplicibus curis" del 24 ottobre 1948 e la "Redemptoris nostri" del 15 aprile 1949.6 Nella storia sembra che, oltre a Pietro, fossero nativi di questi luoghi Evaristo, quinto Vescovo di Roma dal 96/99 fino al 108 d.C., nato a Betlemme da una famiglia ebraica ellenizzata e convertitosi a Roma al Cristianesimo e Teodoro I, papa dall’ottobre 642 a maggio 649, nato a Gerusalemme e distintosi nella lotta contro gli eretici monoteliti, condannati dal Concilio di Costantinopoli del 681.7 “Vogliamo recarci, se Dio ci assiste ... in Palestina, per onorare personalmente, nei Luoghi Santi ove Cristo nacque, visse, morì e risorto salì al Cielo, i misteri primi della nostra salvezza: l’Incarnazione e la Redenzione. Vedremo quel suolo benedetto, donde Pietro partì e dove non ritornò più un suo successore”. Paolo VI, Discorso a chiusura della seconda sessione del Concilio, 4 dicembre 1963.

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tempo, l’emigrazione ... Questi nostri fratelli, che vivono dove è vissuto Gesù e che, attorno ai luoghi Santi, sono i successori della prima antichissima Chiesa, che ha dato origine a tutte le Chiese, hanno dei meriti preziosi davanti a Dio, ed un alto credito spirituale, con tutti noi: essi partecipano, in modo quotidiano, alle sofferenze di Cristo ... se la loro presenza venisse meno, si spegnerebbe presso i Santuari il calore di una testimonianza vivente, ed i Luoghi Santi cristiani di Gerusalemme e della Terra Santa diverrebbero simili a musei”8.

Fu pellegrino di pace: nei pressi della Porta di Damasco, salutando le autorità locali mentre si recava verso il Santo Sepolcro, si espresse così: “Chiedete con Noi, con i vostri desideri e le vostre preghiere, la concordia e la pace su questa Terra, unica al mondo, che Dio ha visitato. Chiediamo qui insieme la grazia di una vera e profonda fratellanza tra tutti gli uomini, tra tutti i popoli”9.

Fu il Beato Giovanni Paolo II a recarsi nei luoghi santi in occasione del Giubileo del 2000, evento indimenticabile. Già in precedenza, molte volte aveva parlato di Gerusalemme. In un’occasione forse non molto nota, a Otranto nel 1980, collegandosi al significato del martirio, e al bisogno di essere spiritualmente vicino a tutti coloro che soffrono violenza a causa della fede, si era volto a guardare alle regioni dell’Oriente, là “dove ebbero origine storica le tre grandi religioni monoteistiche, cioè il cristianesimo, l’ebraismo e l’islam ... La regione del Medio Oriente è pervasa da tensioni e contese, col rischio sempre incombente del riesplodere di nuove guerre. È doloroso rilevare che spesso gli scontri si sono avuti seguendo le linee di divisione fra gruppi confessionali diversi, sicché è stato possibile per alcuni, purtroppo, alimentarli artificiosamente facendo leva sul sentimento religioso. I termini del dramma medio-orientale sono noti: il popolo ebraico, dopo esperienze tragiche, legate allo sterminio di tanti figli e figlie, spinto dall’ansia di sicurezza, ha dato vita allo stato di Israele; nello stesso tempo si è creata la condizione dolorosa del popolo palestinese, in cospicua parte escluso dalla sua terra. Sono fatti che stanno sotto gli occhi di tutti […] preghiamo perché Gerusalemme, anziché essere, come è oggi, oggetto di contesa e di divisione, divenga il punto d’incontro, verso cui continueranno a volgersi gli sguardi dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani, come al proprio focolare comune; intorno a cui essi si sentiranno fratelli, nessuno superiore, nessuno debitore agli altri; verso cui torneranno a dirigere i loro passi i pellegrini, seguaci di Cristo, o fedeli della legge mosaica, o membri della comunità dell’islam10.

Benedetto XVI annunciò il suo pellegrinaggio in Terra Santa all’Angelus dell’8 marzo 2009: “Compirò un pellegrinaggio in Terra Santa per domandare al Signore, visitando i luoghi santificati dal suo passaggio terreno, il prezioso dono dell’unità e della pace per il Medio Oriente e per l’intera umanità”11.

Poco prima di lasciare Israele al termine del suo viaggio ripetè: “Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra!

Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento. Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini

8 Paolo VI, Esortazione Apostolica Nobis in animo del 25 marzo 1974. 9 Paolo VI, Saluto alle Autorità locali - Ingresso in Gerusalemme per la Porta di Damasco.10 Giovanni Paolo II, Omelia nel ricordo dei martiri di Otranto, Otranto (Lecce) 5 ottobre 1980.11 Benedetto XVI, Angelus dell’8 marzo 2009, sul sito vaticano.

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internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente.

Che la ”soluzione dei due stati” divenga realtà e non rimanga un sogno. E che la pace possa diffondersi da queste terre; possano essere “luce per le Nazioni” (Is 42,6), recando speranza alle molte altre regioni che sono colpite da conflitti. Una delle visioni più tristi, per me, durante la visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi reciprocamente e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione”12.

Lo stesso Benedetto XVI, nell’Esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente”13 che ci è stata appena consegnata in Libano durante la sua recente visita apostolica, riprende il tema di Gerusalemme e della pace. Al N. 10 si dice: “La Chiesa sostiene e incoraggia ogni sforzo in vista della pace nel mondo e nel medio oriente in particolare. In diversi modi, essa non risparmia gli sforzi per aiutare gli uomini a vivere in pace e favorire anche l’arsenale giuridico internazionale che la consolida. Le posizioni della Santa Sede sui differenti conflitti che affliggono drammaticamente la regione, e quella sullo Statuto di Gerusalemme e dei luoghi santi sono largamente conosciute. Tuttavia, la Chiesa non dimentica che, prima di tutto, la pace è un frutto dello Spirito (cfr Gal 5, 22), che non bisogna cessare di chiedere a Dio (cfr Mt 7, 7-8).

La riflessione sulla missione di pace di Gerusalemme fu particolarmente approfondita dal mio diretto predecessore, Mons. Michael Sabbah, ottavo patriarca di Gerusalemme dalla ricostituzione e primo patriarca palestinese. Nel corso dei suoi vent’anni di episcopato, anni difficili, segnati dalle conseguenze della prima e seconda intifada e dalla costruzione del muro, dedicò alla pace e alla giustizia un gran numero di omelie e diverse lettere pastorali, basti ricordare “Domandate pace per Gerusalemme” in occasione della Pentecoste del 1990, dopo due anni di intifada, e “Cerca la pace e perseguila” del 1998.

Egli non mancò di sottolineare il carattere particolare di Gerusalemme, di una città in cui “C’è sempre un mistero. Non sono solo uomini che si combattono. C’è Dio, c’è il mistero di Dio e il combattimento degli uomini può cessare solo se si arriva a scorgere questo mistero. E’ una città santa: anche se diventa capitale politica d’Israele o della Palestina, non potrà esserlo come un’altra capitale qualunque, come Il Cairo, Parigi, Londra. Perché qui è avvenuto qualcosa per l’umanità intera. E Dio vi risiede in permanenza. C’è una presenza, c’è un mistero. E tutti qui si imbattono in questo mistero. Io credo che questa sia una delle ragioni per cui gli uomini si combattono in questa città. Perché non si arriva a percepire questo mistero, ad accettarlo e ad entrare nella sua logica. Si crede in Dio, ma si segue la logica degli uomini”14.

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Eventi ecclesiali e sfide che stanno segnando il nostro cammino

12 Benedetto XVI, Congedo, aeroporto internazionale Ben Gurion-Tel Aviv, 15 maggio 2009.13 Benedetto XVI, Esortazione Post-sinodale “Ecclesia in Medio Oriente”, Viaggio Apostolico in

Libano, 14-16 settembre 2012. 14 Y.T. D’Orfeuil, Pace su Gerusalemme, Conversazioni con il Patriarca Michel Sabbah, Bologna 2003, 242.

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La vita della Chiesa Universale e, in essa, delle Chiese del Medio Oriente, è orientata attorno ad alcuni momenti che hanno segnato e stanno segnando il cammino; basti pensare alla recente visita del Santo Padre in Libano, con la consegna dell’esortazione post-sinodale, e, davanti a noi, al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione e all’Anno della Fede. E questo tenendo conto di un nuovo contesto di riferimento, che vede, in negativo, lo sviluppo di nuove recenti manifestazioni anticristiane in Terra Santa e, in positivo, lo sviluppo della nuova università del Patriarcato Latino a Madaba (AUM), in Giordania, che da un anno a questa parte ha iniziato l’attività.

Ripartire da Gerusalemme incontro all’Anno della Fede, siginifica saper cogliere l’evento centrale: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto” (Mc 16,6).

Il Sepolcro vuoto, che richiama ancora oggi tanti pellegrini da ogni parte del mondo, ci carica di questa grande responsabilità, di essere qualificata comunità viva,“pietre vive” che testimoniano la loro fede con il sacrificio quotidiano scelto o imposto, con le privazioni, e anche subendo spesso delle ingiustizie sociali.

Ripartire da Gerusalemme, oggi, significa per ciascuno di noi prestare maggiore attenzione alla Famiglia, all’Eucaristia, all’Annuncio in forme nuove della Parola. Le Chiese del Medio Oriente stanno vivendo con entusiasmo una stagione di rinnovamento che non ha precedenti, grazie anche alle recenti visite di due Papi - Giovanni Paolo II nel 2000 e poi, a più riprese, Benedetto XVI -, grazie al Sinodo Speciale per il Medio Oriente, per noi Vescovi e per le nostre Chiese una “nuova Pentecoste”. Riuniti allora per la prima volta in Sinodo intorno al Santo Padre Benedetto XVI, con la presenza anche di rappresentanti delle Chiese ortodosse e comunità evangeliche, e con invitati ebrei e musulmani, abbiamo riscoperto insieme le nostre radici cristiane, le nostre radici di Chiesa fondata sulla testimonianza viva degli Apostoli, che partirono da Gerusalemme per andare ad evangelizzare il mondo intero. Eredi di tutto ciò che di prezioso ci è stato trasmesso, anche noi siamo chiamati a fare altrettanto. E infatti, alcune delle nostre Chiese non cessano, ancora oggi, di offrire martiri a causa della fede.

Le sfide che ci troviamo ad affrontare sono tante: la prima viene da noi stessi e dalle nostre Chiese ancora divise. Ciò che Cristo ci domanda è di accrescere la nostra fede, di rafforzare la comunione all’interno di ciascuna Chiesa e tra le Chiese cattoliche di diversa tradizione, di pregare per l’unità di tutti i cristiani per realizzare la preghiera di Cristo: “perché tutti siano una sola cosa”.

La seconda sfida viene dall’esterno, dalle condizioni politiche, dalla situazione di insicurezza nei nostri paesi e dal pluralismo religioso.

Siamo consapevoli del conflitto israelo-palestinese. Il popolo palestinese soffre le conseguenze dell’occupazione israeliana, che fa male all’,occupante come fa male all’,occupato: mancanza di libertà di movimento, presenza del muro di separazione, dei posti di blocco, dei prigionieri politici, demolizioni di case, crisi economica e sociale e presenza di migliaia di rifugiati. Abbiamo riflettuto anche sulla paura in cui vivono gli Israeliani. Siamo preoccupati per le iniziative unilaterali che rischiano di mutare la demografia di Gerusalemme e il suo statuto.

Nelle nostre riunioni e preghiere abbiamo ricordato i cristiani uccisi, le sofferenze del popolo iracheno e siriano, della Chiesa, dei suoi figli espulsi e dispersi per il mondo. Abbiamo riflettuto sulle relazioni tra cristiani e musulmani che vivono in uno stesso paese: siamo chiamati ad essere cristiani nelle e per le nostre società del Medio Oriente, ad essere parte integrante delle nostre società, contribuendo alla costruzione dei nostri paesi, collaborando con

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tutti, musulmani, ebrei e con gli altri cristiani15. Tutti siamo interpellati dalla Parola di Dio, che ci invita ad ascoltare la voce di Dio “che annunzia la pace per il suo popolo, ... per chi ritorna a lui con tutto il cuore” (Sal 84,9).

Il ricorso alla religione deve portare ogni persona a vedere il volto di Dio nell’altro e a trattarlo di conseguenza secondo l’amore che Dio ha verso di noi.

Sin dagli inizi del mio ministero come Patriarca, ho ricordato che la Chiesa di Gerusalemme è una Chiesa che si identifica sia con Cristo nella sua passione sul Calvario, sia con la speranza che scaturisce dalla Sua tomba vuota. Al centro della città di Gerusalemme continua ad esserci la tomba vuota, da dove sgorga la vita del Risorto, la vita del futuro, primizia della Gerusalemme celeste:

“Prima di noi, il Signore ha conosciuto i più duri drammi umani e provato le più amare sofferenze ... Ha percorso le strette vie di Gerusalemme portando la sua croce, cadendo diverse volte e rialzandosi sempre ... Si è lasciato sotterrare e calpestare, come il chicco di grano che si semina e muore. Noi pure, in quanto popolo, Chiesa e individui, sappiamo quali croci, quali sfide e quali difficoltà ci attendono ... Il nostro popolo di Terra Santa, come tutti i popoli del Medio Oriente, non cessa di gemere e di soffrire attendendo l’ora della sua liberazione, l’ora della sua resurrezione, perché la sua via crucis continua ancora. E tuttavia, com'è breve la distanza che separa il Golgota dal Sepolcro vuoto, così noi sappiamo che è corta la distanza dalla morte alla Resurrezione. Per questo non c’è motivo alcuno di aver paura”16.

Non temiamo, anche se negli ultimi tempi si sono registrati diversi episodi anticristiani, gesti di vandalismo contro luoghi consacrati al culto e cimiteri che sono stati bruciati e profanati. Questi incidenti non hanno nulla a che fare con la religione, ma provengono da frange estremiste dell’una e dell’altra parte, e minacciano la coesistenza pacifica e la sicurezza dei cittadini.

A settembre, a Latroun, tra Gerusalemme e Tel Aviv, è stata bruciata la porta della conosciuta abbazia trappista di Latroun, nota per la sua atmosfera di preghiera, tolleranza e comprensione interreligiosa, e scritte anticristiane in lingua ebraica, sono state tracciate sui muri. Le reazioni di condanna e le espressioni di solidarietà con i monaci, sono state numerose da parte di persone di tutte e tre le religioni. I Vescovi cattolici di Terra Santa hanno chiesto alle autorità israeliane di intervenire per porre fine a questi atti sconsiderati e per assicurare, nelle scuole israeliane, una educazione al rispetto. Allo stesso modo negli ultimi mesi sono comparsi graffiti anticristiani in ebraico su altre chiese cristiane di Gerusalemme, mentre nei pressi di Betfage ,alcuni alloggi cristiani sono stati attaccati da lanci di pietre da parte di giovani musulmani ...

Sebbene si tratti di episodi non usuali, sono diventati più frequenti, e ciò mi spinge a rivolgere da questa città, a voi e a tutti i cristiani italiani, un accorato appello a non lasciarci soli. Venite in Terra Santa. Venite in gran numero a visitare i luoghi santi, venite per amore, venite per fede, venite per umana solidarietà. Venite e sostenete le nostre opere, i nostri progetti, in modo particolare ,quelli che riguardano l'istruzione, le nostre scuole, l'università di Madaba in Giordania che lo stesso Benedetto XVI ci ha incoraggiato ad aprire con un augurio di pace.

15 Cf. Messaggio al termine dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, Roma 10-24 ottobre 2010 -La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: Comunione e testimonianza, 2- 3.

16 F. Twal, Basilica del Santo Sepolcro, Allocuzione, 22.6.2008.

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Di fronte a tali spacevoli episodi mi sembra, infatti, che ci sia il bisogno di sottolineare con rinnovata urgenza soprattutto l’importanza dell’educazione alla pace. La pace di domani si misurerà dall’energia che ciascuno metterà oggi nell’educazione dei nostri figli, educazione alla tolleranza e al rispetto reciproco. Ribadisco così il fondamentale ruolo educativo della famiglia ma anche delle nostre scuole e università, frequentate da cristiani e musulmani, al fine di preparare veramente i giovani musulmani e cristiani a diventare persone mature, capaci in futuro di assumersi ruoli di responsabilità e forse anche di guida nei diversi ambiti.

L’Università di Madaba ha iniziato l’attività un anno fa e per il 2012-2013 è previsto l’avvio di diversi corsi accademici, (tra cui le lingue araba ed inglese, biotecnologie, economia aziendale; vari settori di ingegneria, di chimica, di grafica pubblicitaria, di scienze alimentari e altri ancora). Ma a cuore c’è soprattutto l’intento di favorire una educazione alla pace.

Puntare sull’istruzione e sulla formazione intellettuale ci permetterà di superare i pregiudizi, di allargare gli orizzonti, di rendere i giovani più aperti e tolleranti. Ciò li aiuterà a spezzare gli incantesimi creati da vecchie e nuove ideologie.

***Scenario socio-politico ed internazionale

È in atto una crisi del mondo occidentale che investe ogni campo della vita sociale. La “globalizzazione”, fenomeno neoliberale che ,attraverso alcuni centri di potere, impone i suoi interessi a livello internazionale, è spesso una “americanizzazione” in senso negativo della cultura mondiale che ha colpito prima l’Europa e che ora si sta trasferendo anche nel mondo arabo. L’egemonia di alcune potenze si è rafforzata negli ultimi anni con una crescente, anche se non sempre palese, subordinazione dell’asse europeo.

L’insieme delle varie trasformazioni ha portato o porterà l’Europa, normalmente attenta alle problematiche dei “vicini di casa” del Medio Oriente, a ripiegarsi su se stessa, per “ leggere” la sua crisi, studiarne le trasformazioni, valutarne gli effetti, individuarne le vie di uscita. Tutto ciò cercando di non subire la sconfitta o la sconfessione del prestigio storico conquistato in campo internazionale.

In un contesto solo territorialmente differente da quello occidentale classico si inserisce ad un certo punto la cosiddetta “primavera araba”.In arabo al-Thûrât al-Arabiyy, letteralmente andrebbe tradotto con ribellioni arabe o rivoluzione arabe. È un termine non coniato dal popolo o dai protagonisti, ma dai giornalisti, utilizzato per lo più dai media occidentali, per indicare una serie di proteste e agitazioni cominciate già durante l'inverno 2010/2011 e in parte tuttora in corso nelle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa. I fattori che hanno portato alle proteste sono l'assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e le condizioni di vita molto dure, che in molti casi rasentano la povertà estrema.

Dopo la Tunisia, la protesta si è spostata in Egitto, in Libia e poi in Siria. Nel mondo arabo, i regimi cambiano solo se l’esercito entra in gioco. È accaduto in Tunisia e in Egitto. La Libia ha rappresentato un’eccezione: lì c’è stato l’intervento armato dei paesi occidentali. Ma, mi domando, come mai questi paesi si sono accorti solo dopo più di quarant’anni chi fosse realmente Gheddafi? Bisogna dirlo chiaramente: spesso sono in questione gli interessi internazionali, di potere e di dominio, cui tutto il resto va sottomesso. Così la situazione in Siria ha assunto proporzioni drammatiche, non perché il regime sia peggiore degli altri, ma perché questo paese è attualmente diventato scacchiera privilegiata di interessi internazionali, cui

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viene sacrificata la vita di tanta gente. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria crisi umanitaria: tante le vittime e tanti i rifugiati. In Giordania sono stati accolti moltissimi rifugiati siriani, e così in Libano ed in Iraq.

Così la stessa primavera araba rimane una realtà di non facile lettura. Mentre in un primo momento, positivo, non c’era fanatismo o coloritura politica, col tempo la situazione è cambiata e purtroppo, il futuro è ancora incerto. Ci auguriamo che la comunità internazionale, sempre più consapevole della gravità della situazione, possa fare di più per il bene dei cittadini, siano essi cristiani, drusi, ebrei o musulmani.

Anche in Terra Santa la situazione socio-politica, non è tra le migliori a motivo della già citata occupazione israeliana e delle sue conseguenze, cui faceva accenno anche L’Instrumentum Laboris del Sinodo sul Medio Oriente, al n. 3217, molto specifico, e al n. 118: “Da decenni, la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, e l’egoismo delle grandi potenze hanno destabilizzato l’equilibrio della regione e imposto alle popolazioni una violenza che rischia di gettarle nella disperazione”.

Forse non tutti sanno che per alcuni cristiani della nostra Diocesi, il semplice recarsi ai Luoghi Santi di Gerusalemme costituisce un problema. Le Parrocchie della Palestina possono organizzare i loro pellegrinaggi solo dopo aver ottenuto dei permessi speciali rilasciati dalle autorità militari israeliane. Per i cristiani di Gaza, del Libano, della Siria e dell’Iraq è quasi impossibile riuscire a raggiungere i Luoghi Santi. Le parrocchie della Giordania, il “polmone del Patriarcato”, necessitano anch’esse di visti speciali. Pur essendoci dialogo con le autorità israeliane, l'ostinazione su talune posizioni non lascia intravedere spiragli di luce. Oggi noi continuiamo a soffrire per il semplice fatto di abitare in questa terra.

Si stanno però affermando nuove forme di dialogo, collaborazione e studio con alcuni Rabbinati. Stiamo studiando attentamente, come Patriarcato, assieme ai rabbini israeliani, e in collaborazione con il Pontificio Consiglio per il Dialogo con gli Ebrei, la possibilità di organizzare per la fine di aprile del 2013, in occasione del 50esimo della morte del beato Giovanni XXIII, vostro amato concittadino,una conferenza internazionale sulla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, magari in collaborazione anche con la Fondazione “Giovanni XXIII” di Bergamo, con la quale si è già dato corso a dei colloqui col sostegno della Santa Sede.

In tale complessa situazione qual è la posizione della Chiesa? Secondo quanto espresso dal cardinale Jean Louis Tauran,Presidente del Consiglio

Pontificio per il Dialogo intereligioso , in una conferenza di inizio dicembre 2011 18, i conflitti relativi a Gerusalemme sono tutti legati alla sua unicità universalmente riconosciuta. Secondo tale autore, quando parla di Gerusalemme, la Santa Sede non intende separare “la questione 17 Instrumentum laboris n. 32: L’occupazione israeliana dei Territori palestinesi rende difficile la

vita quotidiana per la libertà di movimento, l’economia e la vita sociale e religiosa (accesso ai Luoghi Santi, condizionato da permessi militari accordati agli uni e rifiutati agli altri, per ragioni di sicurezza). Inoltre, alcuni gruppi fondamentalisti cristiani giustificano, basandosi sulle Sacre Scritture, l’ingiustizia politica imposta ai palestinesi, il che rende ancor più delicata la posizione dei cristiani arabi.

18 Card. Tauran,Conferenza tenuta ad un Convegno presso l’Istituto francese di Roma, 2 dicembre 2011.

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dei Luoghi Santi dalla questione di Gerusalemme”. Negli ultimi cinquant’anni, infatti, è emersa anche la cosiddetta "dimensione politica" di Gerusalemme, “in un complesso di situazioni che sono sorte in materia di controllo territoriale”. Le preoccupazioni espresse negli interventi dei Pontefici non potevano dunque trascurare questo aspetto. “Il fine è quello di evitare che la Città Santa diventi un campo di battaglia, e che non diventi, così com’è oggi, un caso di manifesta ingiustizia internazionale ... Gerusalemme Est è occupata illegalmente”. Pertanto, come affermato dal Cardinale, “La Santa Sede è ... interessata a questo aspetto e ha il diritto e il dovere di esserlo, soprattutto per quanto riguarda la questione politico-territoriale che rimane irrisolta ed è causa di conflitto, ingiustizia, violazioni dei diritti umani, restrizioni della libertà religiosa e di coscienza, paura e insicurezza personale. È ovvio che la preoccupazione più immediata per la Santa Sede riguarda la dimensione religiosa, alle altre questioni politiche, economiche, ecc., essa si interessa per la loro incidenza morale”19.

Così, se da una parte la Santa Sede non ha alcuna competenza per entrare nel merito delle dispute territoriali fra le nazioni, d’altra parte ha il dovere morale di far presente alle parti in dialogo o in conflitto, l’obbligo di risolvere le controversie in maniera pacifica, secondo i principi di giustizia ed equità.

Nel caso di Gerusalemme, entrambi gli aspetti, quello religioso e quello politico e territoriale sono e restano strettamente legati. La S. Sede desidera pertanto che la Città Santa venga rispettata per quello che è in sé e non piuttosto per ciò che dovrebbe essere. E Gerusalemme è un tesoro di tutta l'umanità20.

Qualsiasi soluzione unilaterale affermata con la forza non potrà mai essere una soluzione. D’altra parte non c’è impedimento alcuno a che Gerusalemme diventi simbolo e centro nazionale di entrambi i popoli che la richiedono come capitale.

Una cosa sembra certa: fino a quando non si troverà una risposta alla questione politica di Gerusalemme, la pace e la convivenza in Terra Santa, in Medio Oriente e, oserei dire, in tutto il mondo, non potranno realizzarsi.

CONCLUSIONI

Due sono le sfide a cui noi cristiani - e così pure gli ebrei, musulmani e drusi - ci troviamo di fronte quando pensiamo al nostro contributo nella società: parlare di pace e praticare la pace. Ciò implica anche dire una parola di verità ai forti che opprimono o seguono politiche che vanno contro gli interessi del Paese, e anche a quanti rispondono all’oppressione con la violenza.

Il cristiano ha un contributo speciale da apportare nell’ambito della giustizia e della pace. È nostro dovere, pertanto, denunciare con coraggio la violenza da qualunque parte essa provenga, e suggerire una soluzione che non può che passare per il dialogo. Come cristiano, rimango ottimista, perché la nostra speranza è ancorata nella Gerusalemme celeste. La parola “Gerusalemme”, che ritorna ben 771 volte nel testo sacro, in circostanze e contesti svariati, alla fine compare nell’Apocalisse per svelarci il disegno di Dio sulla sua amata città: “Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,2).

19 Ivi.20 Ivi.

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La pace in Terra Santa è possibile perché è frutto della preghiera. Il salmo 122 ci chiede di pregare per la pace di Gerusalemme. Se il Signore ci chiede di pregare, è perché una risposta c’è. Lui è coerente con se stesso. Non può nello stesso tempo chiederci di chiedere la pace per Gerusalemme e rispondere che non può concederla. È possibile però che non abbiamo pregato abbastanza; è possibile che il Signore tardi a rispondere perché ci sta preparando una sorpresa che va al di là di tutte le nostre aspettative, così come ci ha sorpresi spesso nella storia della Chiesa.

La pace, carissimi, è possibile in Gerusalemme e per Gerusalemme, essa dovrà essere al tempo stesso dono di Dio e impegno dell’uomo, grazia dal cielo e frutto della terra.

Gerusalemme rappresenta uno snodo verso la pace in un più ampio contesto, allora dobbiamo alzare le nostre braccia al cielo e seppur con il cuore carico di mortificazioni subite a causa della violenza, chiedere con insistenza e con fede il dono della pace.

Questo è l’unico modo per costruire veramente la pace, sia nei cuori che fra i popoli. Chiudo con la preghiera con cui lo stesso Benedetto XVI, pellegrino di pace a

Gerusalemme, ha invocato la pace su questa città:

“Dio di tutti i tempi,in occasione della mia visita a Gerusalemme,la “Città della Pace”,patria spirituale di ebrei, cristiani e musulmani,porto al tuo cospetto le gioie, le speranze e le aspirazioni,le prove, la sofferenza e il doloredi tutto il tuo popolo in ogni parte del mondo.Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe,ascolta il grido degli afflitti, di chi ha paura,di chi è privo di speranza;manda la tua pace in questa Terra Santa,nel Medio Oriente,in tutta la famiglia umana;muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome,perché percorrano umilmenteil cammino della giustizia e della compassione.“Buono è il Signore con chi spera in Lui,con colui che lo cerca!” (Lam , 3,25)21

Bergamo, 5 ottobre 2012 +Fouad Twal, Patriarca Latino

21 Benedetto XVI, Preghiera al Muro Occidentale di Gerusalemme, Martedì, 12 maggio 2009.

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