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RIUNIONI INTERPARLAMENTARI Conferenza informale dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea Bratislava, 6-7 ottobre 2016 n. 70 5 ottobre 2016

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RIUNIONI INTERPARLAMENTARI

Conferenza informale dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea

Bratislava, 6-7 ottobre 2016

n. 70

5 ottobre 2016

Camera dei deputati XVII LEGISLATURA

RIUNIONI INTERPARLAMENTARI

Conferenza informale dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea

Bratislava, 6-7 ottobre 2016

n. 70

5 ottobre 2016

Il dossier è stato curato dall’UFFICIO RAPPORTI CON L’UNIONE EUROPEA ( 066760.2145 - [email protected]) ________________________________________________________________ I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

I N D I C E

ORDINE DEL GIORNO

SCHEDE DI LETTURA 1

PREMESSA 3

IL DIBATTITO SULLE PROSPETTIVE DELL’UE 5

• Il contesto europeo 5

• Recenti iniziative 6

• Il dibattito sulle prospettive dell’UE 6

LA BREXIT 11

• Recenti sviluppi 11

• La disciplina del recesso dall’UE ex art. 50 del TUE 12

IL PROBLEMA DELLA CRESCITA ECONOMICA E I DIVARI ALL’INTERNO DELL’UE 15

LE POLITICHE MIGRATORIE E L’ASILO 19

BRATISLAVA PARLIAMENTARY SUMMIT

Informal Meeting of Speakers of EU Parliaments

“Let’s Get to Know Each Other Better”

6 – 7 October 2016, Bratislava

Draft programme

Thursday, 6 October

Arrival of delegations (accommodation)

18:25 Departure of delegates from the hotels to Bratislava Castle

Note: Transfer by minivans.

18:45 Arrival of delegates to Bratislava Castle

18:50 Departure of Heads of delegations from the hotels to Bratislava

Castle

Note: Transfer by limousines.

19:00 Arrival of Heads of delegations to Bratislava Castle

Welcome by the Speaker of the National Council of the Slovak

Republic Mr. Andrej Danko

Handshake & Welcome drink

Venue: Representation premises of the Bratislava Castle

19:20 Walk to the Baroque Garden (depending on weather)

19:30 Official dinner “Slovakia Through All Senses” with a cultural

programme

22:00 End of dinner

Departure to the hotels

Note: Transportation of Heads of delegations by limousines and

delegates by minivans.

Friday, 7 October

8:20 Departure of delegates from the hotels to Reduta Philharmonic

Hall (security checks)

Note: Transportation by minivans, except for the delegates

accommodated in the Radisson Blu Carlton Hotel.

8:40 Arrival of delegates to Reduta Philharmonic Hall

8:40 Departure of Heads of delegations to Reduta Philharmonic Hall

Note: Transportation by limousines.

8:50 Arrival of Heads of delegations to Reduta Philharmonic Hall

Doorstep (Media opportunity)

Handshake and welcome by the Speaker of the National Council

of the Slovak Republic Mr. Andrej Danko*

9:00 – 10:30 Session I – Current Challenges: Threats to European Unity,

Bridging the gap between the EU and its citizens

Venue: Conference Hall

Tour de table (Media opportunity)

10:30 – 11:00 Family photo (Heads of delegations only) and Coffee Break

* Please note that the handshake will be covered by the host broadcaster and the host photographer

only, due to capacity reasons. Neither members of the delegation nor media representatives will have

access. All Media opportunities of the event are livestreamed at http://www.eu2016.sk/sk/livestream.

11:00 – 13:00 Session II – Future Goals: Role of National Parliaments,

Internal cohesion of the EU, Globally Engaged Europe

Venue: Conference Hall

13:00 – 13:30 Press Conference of the Speaker of the National Council of the

Slovak Republic, Speaker of the House of Representatives of

Malta and President of the Riigikogu of Estonia

13:00 – 14:30 Buffet lunch

Departure of delegations

Exit doorstep (Media opportunity)

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Schede di lettura

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PREMESSA

La Conferenza informale dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE di Bratislava è

stata organizzata su iniziativa del Presidente del National Council della Slovacchia, Andrej Danko, in reazione al risultato del referendum britannico dello scorso giugno.

All’incontro sono stati invitati i Presidenti dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo. Ad esso parteciperanno il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e i rappresentanti di 26 Camere di 23 Stati membri.

Scopo dell’incontro è svolgere una discussione aperta ed informale sull’attuale situazione e sul futuro dell’Unione europea, al fine di attribuire ai Parlamenti un ruolo attivo nel dibattito già avviato a livello di Capi di stato e di Governo.

L’incontro si articolerà in due sessioni: la prima relativa alle sfide attuali dell’UE, e in particolare alle minacce all’unità europea e al superamento del gap tra l’Unione europea e i suoi cittadini; la seconda agli obiettivi futuri, con particolare riferimento al ruolo dei Parlamenti nazionali, alla coesione interna dell’UE e ad un’Europa impegnata sul piano globale.

In ciascuna sessione si svolgeranno interventi introduttivi (per una durata di 4-5 minuti ciascuno) da parte dei Presidenti che abbiano espresso tale intenzione, seguiti da un dibattito strutturato nella forma di una tavola rotonda.

In relazione alla natura informale della Conferenza, il Parlamento slovacco non ha predisposto note di orientamento e l’incontro non sarà registrato. Al termine della Conferenza il Presidente del National Council svolgerà una conferenza stampa.

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IL DIBATTITO SULLE PROSPETTIVE DELL’UE

Il contesto europeo

Il confronto sulle prospettive dell’integrazione europea è al centro di una serie di dinamiche che non necessariamente appaiono tra loro concordi e muoversi nello stesso senso di marcia.

Da una parte la discussione sulle prospettive dell’UE ha subito una improvvisa accelerazione per l’esito inatteso del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE.

Tale accelerazione ha però fino ad ora riguardato la necessità di avviare un dibattito, ma la discussione non pare ancora avere identificato un percorso condiviso di uscita dallo stato di crisi dell’UE nella direzione di eventuali modifiche del suo assetto istituzionale, quanto piuttosto la necessità di un rafforzamento delle politiche dell’UE in alcuni ambiti quali: migrazione e controllo delle frontiere esterne, sicurezza interna ed esterna, inclusa la difesa, lo sviluppo economico e sociale.

Per altro occorre osservare che, in prospettiva, lo stesso negoziato che dovrà essere condotto dall’UE con il Regno Unito rischia di “drenare” energie e spunti alla discussione sulle prospettive dell’UE.

Occorre, inoltre, richiamare che i cicli elettorali in alcuni grandi Stati membri (Francia, con le elezioni presidenziali previste ad aprile e maggio 2017 e Germania, con le elezioni politiche previste per il settembre 2017) rischiano di prolungare, fino alla loro definizione, una situazione di sostanziale stallo in merito all’avvio di iniziative concrete. Senza contare che l’esito di tali elezioni potrebbe spostare in un senso o in un altro gli attuali orientamenti in merito prospettive di integrazione europea in Francia e Germania.

Si ricorda, inoltre, che il 4 dicembre prossimo si prevede la ripetizione delle elezioni per il Presidente della Repubblica in Austria, il 15 marzo 2017 le elezioni politiche nei Paesi Bassi e ad ottobre 2017 nella Repubblica Ceca.

In tale contesto l’Unione europea si trova attualmente a fronteggiare due ordini di “shock asimmettrici” nelle politiche dell’UE.

Da un lato l’emergenza provocata dalla crisi migratoria di rifugiati provenienza sia dalla Siria che dall’Africa Sub sahariana e dalla mancanza di una chiara politica europea volta a fronteggiare in modo comune tale fenomeno, che ha un impatto maggiore su alcuni paesi rispetto ad altri (in primis Italia e Grecia), sia per la collocazione geografica sia per la maggiore disponibilità in termini di solidarietà di alcuni rispetto ad altri.

Dall’altro la diversa capacità di alcuni Stati membri di ritrovare percorsi di crescita economica equilibrata, dopo la crisi economica iniziata nel 2008, e la mancanza di accordo sulle modalità con le quali sviluppare a livello europeo

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politiche economiche in grado di rilanciare uno sviluppo economico e sociale equilibrato in tutto il continente europeo, superando alcune rigidità delle politiche europee di consolidamento fiscale e di bilancio.

Recenti iniziative

I Capi di Stato o di Governo dei 27 Stati membri dell'UE si sono riuniti a Bratislava per avviare una riflessione politica sull'ulteriore sviluppo di un'UE con 27 Stati membri. In tale occasione è stata approva una dichiarazione ed una tabella di marcia per i prossimi mesi.

I leader hanno concordato la dichiarazione e la tabella di marcia di Bratislava, in cui sono delineati gli obiettivi e misure concrete per i prossimi mesi.

Gli obiettivi riguardano i tre ambiti: • migrazione e frontiere esterne; • sicurezza interna ed esterna inclusa la difesa; • sviluppo sociale ed economico, giovani.

E’ previsto che i lavori proseguano nell’ambito delle prossime riunione del Consiglio europeo. È prevista una nuovo Vertice informale dei 27 Capi di Stato e di Governo a gennaio del 2017 a Malta.

Il processo di riflessione dovrebbe concludersi alla riunione di Roma nel marzo 2017, in occasione dell’anniversario dei 60° anni dei Trattati di Roma.

Il dibattito sulle prospettive dell’UE

Già immediatamente dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) si è avviato un articolato dibattito sulle prospettive dell’integrazione europea che negli scorsi mesi, anche in risposta alla crescente diffusione di sentimenti antieuropeisti o euroscettici, ha registrato diversi sviluppi.

In estrema sintesi, si sono evidenziati due approcci profondamente differenti sul tema dell’avanzamento dell’integrazione:

a) per un verso, quello di chi ritiene che occorra proseguire nella direzione intrapresa con la creazione dell’Unione europea per arrivare ad una piena integrazione politica (in questi termini si pronuncia la Dichiarazione del 14 settembre);

b) per altro verso, quello di chi ritiene che le condizioni oggettivamente assai differenziate evidenziatesi in taluni ambiti inevitabilmente comportino un maggiore ricorso allo strumento delle cooperazioni rafforzate per creare all’interno dell’Unione aree più omogenee. Nel corso dei recenti mesi sono state avanzate varie proposte di riforma le

quali si connotano tuttavia per l’assenza di un coerente e complessivo

…e le cooperazioni rafforzate

Integrazione politica

Le principali iniziative

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disegno strategico, laddove di volta in volta viene posto l’accento sulla necessità di riforme di ordine ordinamentale ed istituzionale o su riforme riferite a singoli ambiti delle politiche europee.

Si intende qui fare riferimento ai seguenti documenti: • la relazione "Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa"

(cosiddetta relazione dei cinque Presidenti) presentata il 22 giugno 2015, ed elaborata dal Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in stretta collaborazione con il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, il Presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, il Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz;

• la dichiarazione di Roma “Più integrazione europea: la strada da percorrere” del 14 settembre 2015, cui hanno aderito 15 Camere;

• i progetti di relazione in corso di esame presso la Commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo e in particolare: il progetto di relazione intitolata “Migliorare il funzionamento della costruzione dell’UE sulla base del potenziale del Trattato di Lisbona”, degli onn. Bresso e Brok (PPE); la bozza di progetto di relazione (non ancora formalmente presentata) dell’on. Verhofstadt intitolata “Possibile evoluzione e adeguamento dell'attuale struttura istituzionale dell'Unione europea”;

Proposte di modifica dell’assetto istituzionale e delle regole di funzionamento dell’UE

In materia sono state prospettate, in sintesi, le seguenti proposte: • procedere verso una maggiore integrazione politica dell’UE, che

potrebbe condurre ad un’Unione federale di Stati, perseguendo il trasferimento di maggiori poteri alle istituzioni dell’UE e un ruolo più ampio dei Parlamenti nazionali nel processo decisionale dell’UE (Dichiarazione di Roma);

• formalizzare l’esistenza di un assetto dualistico dell’UE, composto da un largo gruppo/nucleo di Stati intenzionati a proseguire ulteriormente l’integrazione europea sulla base del metodo comunitario e una più piccola costellazione periferica di Stati non desiderosi o non capaci di proseguire il percorso di integrazione. Agli Stati che decidessero di collocarsi in tale ultimo gruppo dovrebbe essere concesso uno status di membri associati all’UE (Progetto di relazione Verhofstadt);

• modificare il sistema di revisione dei Trattati, eliminando l’attuale l’obbligo di ratifica da parte di tutti gli Stati membri e prevedendo che eventuali modifiche ai Trattati possano entrare in vigore se ratificate da una maggioranza qualificata di almeno i 4/5 degli Stati membri e

Unione Federale di Stati

Unione a due velocità

Revisione dei Trattati

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abbiano ottenuto il consenso del Parlamento europeo (Progetto di relazione Verhofstadt);

• unificare la carica di Presidente del Consiglio europeo dovrebbe essere unificata con quella del Presidente della Commissione europea (Progetto di relazione Bresso-Brok);

• abolire i casi di votazione all’unanimità in seno al Consiglio, generalizzando il ricorso alla votazione a maggioranza qualificata (Progetto di relazione Bresso-Brok);

• attribuire formali poteri di iniziativa legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio dell’UE, ques’ultimo qualificato come ”seconda Camera” (Progetto di relazione Verhofstadt);

• introdurre un più chiaro, semplice e giusto sistema di risorse proprie dell’UE, superando l’attuale sistema fondato su contributi degli Stati membri in proporzione del PIL e prevedendo il passaggio dalla votazione all’unanimità a quella a maggioranza qualificata (Progetto di relazione Verhofstadt).

Governance economica

In materia sono state prospettate, in particolare, le seguenti proposte: • a lungo termine, istituire, attraverso un Ministro europeo delle finanze,

combinando i ruoli esistenti del Presidente permanente dell'Eurogruppo e del Vice-Presidente della Commissione incaricato per gli Affari economici e finanziari (Relazione Bresso–Brok e Progetto di relazione Verhofstadt);

• garantire la rappresentanza unica della UE/eurozona nell'ambito del Fondo monetario internazionale (FMI), della Banca mondiale e delle altre istituzioni finanziarie internazionali (Relazione dei cinque Presidenti e Progetto di relazione Bresso-Brok). La Commissione europea ha già presentato una proposta in tal senso;

• creare una struttura amministrativa del bilancio e del tesoro dell'UE simile al Budget Office del Congresso americano per supportare la funzione del Ministro europeo delle Finanze (Progetto di relazione Bresso - Brok);

• integrare il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) e il Meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, ESM, cd. “fondo salva-Stati”) nella cornice giuridica dell’UE (Relazione dei cinque Presidenti e Progetto di relazione Bresso-Brok);

• dotare la Banca centrale europea dello status di prestatore di ultima istanza, attribuendole quindi i pieni poteri di una Banca centrale federale (Progetto di relazione Verhofstadt);

Le principali iniziative

Risorse proprie

VMQ

Iniziativa

legislativa al PE

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• rafforzare il coordinamento delle politiche economiche mediante l’adizione di un Codice di convergenza da applicare a tutti i 28 Paesi membri dell’UE, recante linee guida vincolanti (Relazione dei cinque Presidenti, Progetto di relazione Bresso–Brok e Progetto di relazione Verhofstadt);

• istituire un comune servizio del debito, sulla base dell’impegno degli Stati membri dell’eurozona a realizzare riforme strutturali volte a ridurre la percentuale del rapporto tra debito e PIL verso la soglia del 60% (Progetto di relazione Verhofstadt);

• completare l’Unione bancaria con l'istituzione del sistema comune di assicurazione dei depositi (Relazione dei cinque Presidenti, e documento del Governo italiano e PE – Progetto di relazione Verhofstadt).

Verso una maggiore cooperazione europea nel settore della difesa

Negli scorsi mesi si è registrata una costante intensificazione del confronto politico sul tema del rafforzamento della cooperazione europea nel settore della difesa e della sicurezza.

Da ultimo, l’esito del risultato del referendum sull’uscita del Regno unito dall’UE, uno dei paesi che in passato aveva manifestato resistenze allo sviluppo di piene capacità dell’UE in termini di difesa e sicurezza che non fossero sotto l’ombrello della NATO, ha rilanciato alcune iniziative (promosse in particolare Francia, Germania e Italia) per rafforzare la cooperazione europea in materia di difesa.

La prospettiva di un rilancio della difesa europea allo stato appare l’unico “cantiere” di natura istituzionale che è possibile avviare a Trattati vigenti, sulla base di tutta una serie di disposizioni già vigenti e che non sono state ancora pienamente sfruttate.

Il Vertice informale dei 27 Capi di Stato e di Governo (ad esclusione del Regno unito) che si è svolto a Bratislava il 16 settembre 2016 ha approvato una dichiarazione sul futuro dell’UE e una tabella di marcia nella quale, in particolare, il settore della sicurezza esterna e della difesa, si prevede che il Consiglio europeo di dicembre 2016 adotti una decisione su un piano di attuazione concreto in materia di sicurezza e difesa e sui modi per utilizzare al meglio le possibilità offerte dai trattati, in particolare in materia di capacità.

Nell’ambito della discussione sulle modalità con le quali rilanciare la cooperazione europea nel settore della difesa sono state avanzate, in particolare, le seguenti proposte:

• utilizzare pienamente le disposizioni dei Trattati in merito alla cooperazione rafforzata tra gruppi di Stati membri in materia di difesa;

Cooperazione rafforzata

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Si ricorda che il Trattato di Lisbona ha previsto forme di cooperazione rafforzata specifiche per il settore della difesa. Il Trattato sull’ UE prevede che gli Stati membri che rispondono ai criteri più elevati di capacità militari possono stabilire una cooperazione strutturata permanente nell’ambito dell’Unione;

• creare una struttura permanente, sorta di quartier generale unico, per organizzare le missioni civili e militari, che agisca in maniera complementare con le strutture NATO;

• promuovere un maggiore coordinamento nei processi nazionali di sviluppo e pianificazione delle capacità nell’ambito di una procedura volta a configurare un Semestre europeo per la difesa che, in analogia con il semestre europeo di coordinamento per le politiche economiche, promuova il coordinamento delle politiche di pianificazione nazionali in materia di difesa;

• rilanciare la cooperazione nell’industria europea per la difesa, anche attraverso inventivi fiscali e finanziari, ed istituire un Fondo europeo di difesa per progetti di ricerca ed innovazione in tale ambito;

• migliorare le capacita di risposta rapida dell’UE.

Quartier generale UE

Semestre europeo difesa

Industria per la difesa e ricerca

Capacità di risposta rapida

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LA BREXIT

Recenti sviluppi

Il Primo Ministro, Teresa May, ha annunciato il 2 ottobre 2016, in occasione della conferenza annuale del Partito conservatore, che il Governo inglese intende avviare il processo di recesso dall’UE ex art. 50 del TUE entro fine marzo 2017.

Il processo dovrebbe quindi concludersi entro fine marzo del 2019 (a meno che il Consiglio europeo non decida all’unanimità di prorogare tale termine).

Si ricorda che a maggio/giugno del 2019 si prevede lo svolgimento delle elezioni del Parlamento europeo per la legislatura 2019-2024.

Secondo quanto riportato dai quotidiani britannici, nell’ambito di una riunione di gabinetto dedicata alla Brexit svoltasi il 31 agosto, il Primo Ministro britannico May avrebbe indicato l’intenzione del Governo britannico di:

• mirare ad un accordo con l’UE che ridia al Regno unito il pieno controllo delle sue frontiere, con particolare riferimento alla migrazione di cittadini dell’UE e allo stesso tempo garantisca la forme di accesso privilegiato del Regno unito al mercato interno;

• negoziare un accordo ad hoc, non quindi basato sull’esempio di accordi già esistenti quali tra l’UE e la Norvegia e la Svizzera;

• escludere lo svolgimento di un ulteriore referendum; • escludere la possibilità che il Parlamento britannico abbia diritto

di voto in merito alle procedure connesse all’attivazione dell’art.50 del TUE.

A seguito della comunicazione del Governo del Regno Unito della rinuncia ad esercitare il previsto turno di Presidenza del Consiglio dell’UE per il secondo semestre del 2017, il Consiglio dell’UE ha modificato l’ordine dell’esercizio della Presidenza del Consiglio dell’UE. Il turno del secondo semestre del 2017 sarà esercitato dall’Estonia (che originariamente avrebbe dovuto esercitare il turno di Presidenza il primo semestre del 2018).

Il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha nominato il 27 luglio 2016 Michel Barnier, negoziatore capo incaricato di guidare la task force della Commissione che dovrà preparare e condurre i negoziati con il Regno Unito a norma dell'articolo 50 del TUE.

Il Consiglio dell’UE ha istituito una propria task force per i negoziati sulla Brexit a capo della quale ha nominato Didier Seeuws

Il Parlamento europeo ha nominato l’on. Guy Verhofstard (BE, Gruppo ALDE), capo negoziatore per il Parlamento europeo per i negoziati sulla Brexit.

L’on. Verhofstadt ha annunciato, il 4 ottobre 2016, nel corso di una conferenza stampa a Strasburgo, che il Parlamento europeo approverà a marzo/aprile

Modifica dell’ordine di esercizio della Presidenza del Consiglio UE

Negoziatori per Commissione, Consiglio e PE

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2014 una risoluzione volta a definire la posizione del Parlamento europeo nei negoziati tra la UE e il Regno unito.

La disciplina del recesso dall’UE ex art. 50 del TUE

L’art. 50 del Trattato sull’UE (TUE), introdotto dal Trattato di Lisbona, disciplina l’ipotesi di recesso volontario e unilaterale di un Paese membro dall'Unione europea (UE).

In base al citato art. 50 del TUE, il Paese dell’UE che decide di recedere deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione.

Si ricorda che fin tanto che il processo di recesso non è completato, il Regno unito rimane membro dell’UE con tutti i diritti e le obbligazioni che da ciò derivano.

Va inoltre rilevate che l’art. 50 non contiene disposizioni relative a limiti temporali entro i quali uno Stato membro debba notificare l’intenzione del recesso dall’UE. Tale decisione resta dunque una prerogativa dello Stato membro interessato.

E’ comunque stabilito, quale norma di chiusura, che in mancanza di accordo tra il Consiglio e lo Stato membro interessato, i Trattati cessino di essere applicabili a tale Stato due anni dopo la notifica del recesso. Il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato interessato, può peraltro decidere all’unanimità di prolungare tale termine.

L’accordo volto a definire le modalità del recesso è concluso a nome dell'UE dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo.

In tal caso, si richiede una maggioranza qualificata più elevata di quella prevista in via ordinaria (pari al 55% dei membri del Consiglio): la maggioranza richiesta, infatti, è pari ad almeno il 72% dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti (20 su 27 Stati membri), che totalizzino almeno il 65% della popolazione di tali Stati (288 milioni su un totale dei 444 milioni dei 27 Stati membri).

Lo Stato membro che recede non può partecipare alle deliberazioni adottate dal Consiglio europeo o dal Consiglio dell’UE ai sensi dell’articolo 50 del TUE che lo riguardano.

A differenza del processo di adesione, il recesso di uno Stato membro non necessità di essere ratificato da parte degli Stati membri.

Una interpretazione del combinato disposto dell’art. 50 e dell’articolo 218 del TFUE, relativo alla conclusioni di accordi tra l’Unione e i paesi terzi, induce a

Art. 50 del TUE

Accordo per le modalità del recesso

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ritenere che l’accordo di recesso debba necessariamente essere distinto dall’accordo che definisce le future relazioni tra lo Stato recedente e l’UE.

Mentre il primo accordo è un accordo tra l’UE e uno dei suoi Stati membri, da considerarsi non misto (quindi non sottoposto a ratifica da parte dei Parlamenti nazionali degli Stati membri), il secondo accordo è tra l’UE e uno Stato ormai terzo, soggetto alla ratifica da parte dei Parlamenti nazionali di tutti gli Stati membri dell’UE: si trattarebbe, infatti, di un Trattato misto, in quanto coinvolgerebbe le competenze dell’UE e degli Stati membri.

I due accordi, benché distinti e con modalità di entrata in vigore differenti (rispettivamente senza e con ratifica da parte dei Parlamenti nazionali) dovranno però prevedere disposizioni transitorie al fine di garantire la continuità giuridica tra un regime e l’altro ed evitare un vuoto normativo.

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IL PROBLEMA DELLA CRESCITA ECONOMICA E I DIVARI ALL’INTERNO DELL’UE

La crisi economica e finanziaria esplosa nel 2007 ha prodotto effetti

duraturi e pesanti sui sistemi produttivi, sull’occupazione e sul tenore di vita di molti Paesi dell’Unione europea. I dati sono eloquenti: il prodotto interno lordo ha subito un forte rallentamento e, in taluni Paesi, una marcata decrescita.

In linea generale, la decrescita è stata più accentuata nell’Unione europea rispetto ad altre aree (USA e Cina, fonte: Eurostat):

2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 UE-28 +0,3 -4,2 +2,1 +1,6 -0,5 +0,2 +1,4 +2,0 USA -0,4 -3,5 +2,5 +3,0 +2,2 +1,5 +2,4 +2,4 Cina +9,6 +9,2 +10,6 +9,5 +7,7 +7,7 +7,3 n.d.

In particolare, l’area euro ha registrato un andamento meno positivo di

quello dell’UE-28, come risulta dai seguenti dati (Fonte: Eurostat):

Variazione PIL 2008-2013 UE-27 -1,2% Eurozona -1,6% Francia +0,4% Germania +4,3% Grecia -26,6% Italia -8,3% Spagna -5,6%

La crisi, quindi, ha provocato un consistente aumento dei divari tra gli Stati

membri dell’UE, che si evidenzia, in particolare, confrontando i dati del PIL pro-capite nel 2007 e nel 2015 (fatta 100 la media UE, fonte: Eurostat):

2007 2015

UE-27 100 100 Eurozona 108 106 Francia 107 106 Germania 117 125 Grecia 92 71 Italia 105 95 Spagna 103 92

Variazione PIL 2008-2013

I divari tra i Paesi dell’UE

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Le risposte dell’UE alla crisi

Anche con riferimento all’occupazione, si è registrato un drastico aumento

della percentuale di disoccupati rispetto ai livelli pre-crisi (2007), con la significativa eccezione nella Germania (Fonte: Eurostat):

2007 2015 UE-27 7,2% 9,4% Eurozona 7,5% 10,9% Francia 8,0% 10,4% Germania 8,5% 4,6% Grecia 8,4% 24,9% Italia 6,1% 11,9% Spagna 8,2% 22,1%

Il rilancio della crescita all’interno dell’area euro è stato affidato essenzialmente a politiche sul lato dell’offerta, basate sul risanamento delle finanze pubbliche e sulla realizzazione di riforme strutturali in grado di migliorare la competitività dei singoli Paesi membri e dell’area euro nel suo complesso. Peraltro, occorre osservare che le riforme strutturali, che producono effetti nel medio-lungo termine, non hanno un carattere anti-ciclico e sono dunque poco efficaci in una fase economica, come quella attraversata dall’eurozona, caratterizzata da deflazione.

Sul lato della domanda, gli interventi dell’UE non sono stati tempestivi e comunque di carattere non strutturale o al di fuori del quadro istituzionale dell’UE in quanto tale. Al contrario di quanto è avvenuto in altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove la politica monetaria espansiva ha iniettato, già nel 2009, 800 miliardi di dollari con l’American Recovery and Reinvestment Act.

Come esempio di soluzione innovativa, al di fuori del quadro giuridico dell’Unione europea, occorre citare il Meccanismo europeo di stabilità (ESM, cd. “fondo salva-Stati”), stato istituito con un apposito accordo intergovernativo che non ha coinvolto tutti gli Stati membri. Considerazioni in parte analoghe possono essere fatte per il programma Quantitative easing di acquisto di titoli di Stato e obbligazioni del settore privato da parte della BCE per un importo fino a 80 miliardi di euro mensili, avviato nel marzo 2015 con l’obiettivo di riportare il tasso di inflazione a un livello ritenuto fisiologico (2% annuo), al fine di contrastare l’attuale fase deflazionistica e di stabilizzare il mercato dei titoli di debito pubblico soggetti a consistenti attacchi speculativi.

Il QE si è comunque rivelato il più massiccio intervento in chiave anticiclica assunto nell’ambito dell’Unione europea, non comparabile, per le

I dati sulla disoccupazione

Il Quantitative easing

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Il Piano Juncker

dimensioni delle risorse impegnate, al citato “fondo salva-Stati”, che ha una disponibilità finanziaria iniziale di 500 miliardi di euro,

Le operazioni di QE, unitamente all’azzeramento dei tassi di interesse operato dalla stessa BCE, hanno immesso massicce dosi di liquidità sui mercati finanziari, che potrebbero determinare rischi speculativi qualora l’eccesso di liquidità gonfiasse le valutazioni di taluni titoli azionari anziché essere orientato ad investimenti produttivi.

Al fine di stimolare la domanda interna e favorire la ripresa, a beneficio di tutta l’eurozona, negli ultimi mesi da più parti è stata segnalata l’opportunità che i Paesi che hanno margini di bilancio, in quanto registrano un elevato surplus delle partite correnti (nel caso della Germania, il surplus ha raggiunto nel 2015 l’8,2% del PIL), adottino adeguate politiche di investimento.

Al riguardo, si ricorda che il calo generalizzato e significativo degli investimenti negli anni della crisi ha interessato tutti i Paesi più avanzati, ma in particolare l’eurozona, dove si è registrato una diminuzione pari al 15% circa rispetto al picco del 2007. Il calo è stato particolarmente pronunciato in Italia (-25%), Portogallo (-36%), Spagna (-38%), Irlanda (-39%) e Grecia (-64%).

Da parte sua l’UE ha istituito il Fondo europeo per gli investimenti strategici (cd. “Piano Juncker”) che, analogamente al QE, presenta un carattere fortemente innovativo: infatti, a fronte di un aumento atteso egli investimenti nell’ordine di circa 315 miliardi di euro nel triennio 2015-20181, è stato attivato un sistema di garanzie che coinvolge la Banca europea per gli investimenti (BEI) per soli 5 miliardi di euro e il bilancio dell’UE per soli 16 miliardi di euro, che dovrebbero innescare un effetto leva con l’intervento di investitori privati.

Il “Piano Juncker” ha finora finanziato progetti per 22,3 miliardi di euro, che dovrebbero mobilitare un totale di 127,2 miliardi di euro di investimenti (pari al 40% dell’importo preventivato).

Sulla scorta di questi risultati, la Commissione europea ha presentato, il 14 settembre scorso, una proposta per prorogare in termini di durata e potenziare in termini di capacità finanziaria il Piano Juncker, con l’obiettivo di mobilitare 500 miliardi di euro di investimenti entro il 2020.

Secondo le stime della BCE, la ripresa degli investimenti delle imprese sarà piuttosto contenuta nei prossimi due anni (rispettivamente, +3,1% nel 2016 e +3,3 nel 2017).

Tali dati sembrerebbero confermare l’esigenza di una politica di investimento molto più massiccia di quella prevista dal Piano Juncker: del resto, la stessa

1 Gli investimenti dovrebbero concentrarsi sui seguenti settori: infrastrutture; ricerca, sviluppo e innovazione; istruzione e formazione, sanità, tecnologie dell’informazione e della comunicazione; sviluppo del settore energetico.

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Commissione europea ha quantificato in 1.000 miliardi di euro fino al 2020 il fabbisogno di investimenti nei settori dei trasporti, energia e telecomunicazioni, a fronte dei quali risultano stanziati nel bilancio dell’UE soltanto 33 miliardi.

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LE POLITICHE MIGRATORIE E L’ASILO

Da diversi anni l’Unione europea registra un’eccezionale ondata di flussi migratori provenienti da Paesi terzi, determinata dalle persistenti condizioni di instabilità politica ed economica che affliggono varie aree prossime ai confini dell’UE. In particolare, il 2015 ha registrato un record di migranti che hanno attraversato il Mediterraneo approdando in Europa dopo aver percorso le due rotte principali del Mediterraneo orientale e centrale.

Nel 2015 circa 850 mila migranti, principalmente cittadini siriani (ma si registrano anche cittadini iracheni e afgani) in fuga dai conflitti in atto nelle loro terre hanno raggiunto soprattutto la Grecia dopo esser transitati in Turchia. Si tratta per lo più di migranti in viaggio verso l’Europa al fine di ottenere una qualche forma di protezione, avendo sofferto situazioni di compressione dei loro diritti fondamentali se non proprio azioni di persecuzione.

Nello stesso anno un secondo flusso (circa 150 mila migranti) ha riguardato invece cittadini provenienti per lo più da Stati africani costretti ad abbandonare i rispettivi paesi, talvolta in quanto bisognevoli di protezione internazionale (è il caso ad esempio di molti dei cittadini eritrei), oppure, in moltissimi casi, semplicemente alla ricerca di condizioni socioeconomiche migliori (cosiddetti migranti economici). Tali migranti solitamente percorrono la rotta del Mediterraneo centrale, ovvero risalgono l’Africa fino alla Libia (territorio particolarmente favorevole alle reti degli scafisti a causa della persistente incertezza politico-istituzionale), da dove si imbarcano verso le coste italiane (non mancano, tuttavia, casi più sporadici di partenze di migranti dalle coste dell’Egitto).

Il trend del 2016, pur registrando flussi più contenuti (302 mila migranti; di questi oltre 166 mila sono sbarcati in Grecia e circa 132 mila in Italia; 4 mila in Spagna), conferma che ancora non sono state affrontate in maniera efficace le cause profonde dell’immigrazione e che la questione inizia ad assumere caratteri strutturali non più eludibili da parte dell’Unione europea e più in generale dell’Occidente sviluppato. Urge un intervento il più rapido possibile considerato che viaggi transmediterranei si sono spesso tradotti nella perdita di vite umane: nel 2015 sono scomparse 3.800 persone, mentre i morti/dispersi sono già 3.500 nei primi nove mesi di questo anno.

L’emergenza dei migranti e il forte peso che di riflesso sta gravando sui sistemi di asilo degli Stati membri (circa 600 mila domande di prima istanza nel 2016) hanno indotto questi ultimi e le Istituzioni europee ad assumere una serie di iniziative straordinarie volte in linea di massima a: • proteggere maggiormente i confini (sia nazionali che extra UE);

In tal senso devono considerarsi sia la decisione da parte di molti Stati membri di reintrodurre i controlli alle rispettive frontiere interne, con una sostanziale sospensione dello Spazio Schengen la cui proroga è stata autorizzata dall’Unione europea, sia l’istituzione (recentemente disposta dalle Istituzioni legislative europee ed il cui lancio è previsto per il 6 ottobre 2016) di una Guardia costiera e di frontiera europea sotto l’egida di una nuova Agenzia europea che (dotata di

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poteri più incisivi) sostituirebbe l’attuale Frontex, ai fini di un controllo più rapido ed efficace dei confini esterni dell’UE.

• redistribuire il peso dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri in modo da alleviare quelli più esposti alle migrazioni o quelli che comunque registrano il più alto numero di richiedenti asilo; In proposito devono richiamarsi: i programmi di ricollocazione (per 160 mila richiedenti asilo) e di reinsediamento (22 mila) adottati dall’UE per ripartire più equamente tra tutti gli Stati membri le richieste di protezione, misure che però hanno finora trovato scarsa attuazione data la riluttanza di molti Stati membri a rispettare gli impegni presi in sede di Consiglio dell’UE. In particolare, secondo la Commissione europea, al 28 settembre 2016, dall’Italia sono stati effettivamente ricollocate in altri Stati membri 1.196 persone, a fronte di circa 3.809 posti messi a disposizione dagli altri Stati membri, e di un impegno accettato in sede di Consiglio (perciò vincolante) di circa 35 mila richiedenti asilo; dalla Grecia sono state effettivamente ricollocate 4.455 persone, a fronte di circa 9.776 mila posti messi a disposizione dagli altri Stati membri, e di un impegno assunto in sede di Consiglio UE che li vincolerebbe alla relocation di 63 mila richiedenti asilo. La Commissione ha da ultimo proposto una riforma complessiva del regolamento Dublino, con la quale, pur confermando il principio dello Stato di primo approdo, ha, tra l’altro, introdotto un meccanismo correttivo ai fini di una ripartizione più solidale della competenza a trattare le domande di protezione internazionale. Il meccanismo prevede, in estrema sintesi, delle quote proporzionali di riferimento di richiedenti asilo assegnate a ciascuno Stato membro. Ove un determinato Stato oltrepassi il 150 per cento della propria quota di domande di asilo, ha diritto alla ricollocazione dei richiedenti in eccesso presso altri Stati membri. La proposta sta incontrando molteplici resistenze da parte di alcuni Stati membri. Si segnala, infatti, che avverso la proposta hanno espresso pareri motivati (recanti dubbi, oltre che sul merito della proposta, sul rispetto del principio di sussidiarietà): la Camera dei deputati della Repubblica Ceca; l’Assemblea nazionale ungherese; la Camera dei deputati rumena; il Consiglio nazionale della Repubblica slovacca. Anche le due Camere del Parlamento polacco sono in procinto di adottare un parere motivato sulla proposta;

• avviare una politica migratoria più incisiva per i profili della cosiddetta dimensione esterna, volta a neutralizzare le cosiddette cause profonde della migrazione, che si traduce in sostanza nella collaborazione con i paesi terzi di origine e di transito, allo scopo di prevenire ed evitare gli imbarchi verso l’Europa, anche tramite programmi di cooperazione allo sviluppo. In questa logica si inserisce la proposta presentata, lo scorso aprile, dal Governo italiano “Migration compact: contributo a una strategia UE per l’azione esterna

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sulla migrazione”, che prevede, tra l’altro, la creazione di un nuovo Fondo europeo per gli investimenti nei Paesi terzi volto a finanziare progetti ad alto impatto sociale e infrastrutturale; lo sviluppo in particolare dei Paesi africani – secondo il Governo italiano – potrebbe essere altresì agevolato tramite l’emissione di obbligazioni UE – Africa che faciliterebbero l’accesso ai mercati dei capitali. Successivamente, le proposte italiane hanno trovato parziale riscontro nel documento della Commissione europea del giugno 2016, recante un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi di origine e di transito mirato ai problemi della migrazione, necessariamente sostenuto da una ingente quantità di risorse da investire a carico del bilancio UE e dei bilanci degli Stati membri;

• rafforzare le politiche volte ad incentivare la migrazione legale in UE. Vengono in considerazione a tal proposito la proposta di riforma della direttiva Carta blu per lavoratori altamente qualificati e il piano UE per l’integrazione dei migranti.

Merita infine ricordare l’accordo UE-Turchia, perfezionato dalla dichiarazione

comune del marzo 2016, recante una serie di misure attinenti a profili diversi, che a partire dallo scorso maggio hanno agito da deterrente alle partenze, pressoché interrompendo il flusso di migranti lungo la rotta Turchia–Grecia.

Tale accordo, in estrema sintesi, prevede il rimpatrio in Turchia di tutti i nuovi migranti irregolari giunti in Grecia (compresi i richiedenti asilo le cui domande sono state dichiarate inammissibili); l’impegno dell'UE al reinsediamento entro i confini UE di un siriano proveniente dalla Turchia per ogni siriano rinviato dalle isole greche in Turchia; la previsione di uno strumento finanziario UE a favore della Turchia per la gestione dei profughi siriani (attualmente vi sarebbero circa 2,7 milioni di siriani in Turchia) inizialmente pari a tre miliardi di euro (uno a carico dell’UE, due a carico degli Stati membri,) ai quali – secondo la citata dichiarazione - dovrebbero aggiungersi ulteriori tre miliardi entro la fine del 2018.