Con il Patrocinio - la Notizia · 3 La lunga vita di Don Antonio Ilario Fortunati (1738 - 1830)...

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Con il Patrocinio

Comune Guidizzolo

Comune Moglia

Provincia di Mantova

GVG Gruppo Volontari Guidizzolesi

Parrocchia di Guidizzolo

Parrocchia di Moglia

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La lunga vita diDon Antonio Ilario Fortunati

(1738 - 1830)

Franco Mondadori

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L’autore ringrazia quanti hanno agevolato con piena disponibilità il suo compito, in particolare:Angeli Paolo, Moglia; Mons. Roberto Brunelli, direttore del Museo storico diocesano; Don Gambarelli Augusto, Reggio Emilia; Tosi Sandra; Zangobbi Giovanni, Birbesi; Zo-vetti Guerrina, Cavriana; Cerini Bruno; Scuderi Gilberto, Mantova; Fontanesi Stefania che ha rivisto il testo; Andrea Dal Prato autore delle fotografie e coordinatore del volume.

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Presentazione

Il Centro Culturale San Lorenzo ha tra i suoi compiti statutari quello di promuovere la crescita culturale della comunità locale, anche attraverso la pubblicazione di opere che si pongono l’obiettivo di approfondire la conoscenza su aspetti importanti del nostro presente e del nostro passato.Quest’ultima opera del prof. Franco Mondadori nel proporci la figura di don Antonio Ilario Fortunati, al quale peraltro è anche intitolata la nostra Scuola Media, ci consente di approfondire la conoscenza di un periodo significativo della storia della nostra comunità.Un lavoro encomiabile, quello del prof. Mondadori, condotto come sua consuetudine con meticolosità e rigore. E’ un’opera che colma una lacuna nella ricostruzione della storia locale e ci fa scoprire una figura che ha avuto un ruolo rilevante nella vita della comunità locale dell’epoca.Sono pagine che si leggono con piacere, e non solo da chi ha passione per la storia.Narrano di vicende, grandi e piccole, che lette in un contesto più ampio offrono un quadro delle condizioni di vita di un’epoca che si estende per

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mezzo secolo.S’è detto della comunità locale, cioè Guidizzolo. Ma a ben riflettere la lettura del libro è interessate per il suo carattere culturale in senso ampio. Don Fortunati infatti fu uno studioso, un intellettuale, ebbe corrisponden-ti personaggi eminenti dell’epoca.Guidizzolo non gli ha dato i natali, ma è lieta di tramandarne il ricordo.Un’opera, quindi, che interpreta compiutamente i nostri intenti e della quale siamo grati all’autore.

Graziano PelizzaroPresidente Centro Culturale San Lorenzo

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Prefazione

È opinione corrente tra gli storici d’oggi che le grandi sintesi del comune passato - quelle, per intenderci, dei trattati universali, delle voci enciclopediche, dei libri di scuola - pecchino, quasi inevitabilmente, di generalizzazioni, di approssimazioni, di valutazioni affrettate che non sempre reggono ad accurate verifiche. Pertanto esse vanno costantemente riviste e, se occorre, rettificate alla luce di studi più circoscritti ma più ap-profonditi, in grado di mettere bene a fuoco le singole figure, le situazioni particolari che concorrono a delineare il quadro d’insieme; studi in grado di dare fondamenta certe ai giudizi su specifici momenti storici. Studi, dei cui frutti questo libro offre un esempio. Il professor Franco Mondadori non è nuovo a simili imprese; è ben noto come e quanto i suoi libri abbiano illuminato la storia della mi-nuscola porzione di mondo chiamata Guidizzolo. Se tutte le altre porzioni potessero disporre di altrettanto lume, il racconto di quanto è successo nel mondo intero risulterebbe forse diverso da come lo conosciamo; in ogni caso vediamo qui i riflessi locali di una fase storica tra le più complesse e traumatiche. Nell’arco della sua pur lunga vita, il protagonista del libro ha conosciuto Mantova e il suo territorio soggetti a dominazione stranie-

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ra; ma non solo: li ha visti passare in brevi anni da una consolidata domi-nazione austriaca a quella francese, per poi ritornare all’Austria, di nuovo alla Francia e quindi ancora alla prima, con rivolgimenti politici disorien-tanti, che hanno seminato i germi delle rivolte e poi delle guerre per l’in-dipendenza. Sul piano ecclesiale lui, prete, ha visto la Chiesa squassata da una bufera con ben pochi precedenti, con un vescovo, Antonio Guidi di Bagno, tenacemente teso a garantire l’indipendenza della Chiesa dal regime; il suo successore, Giovanni de Portugal de la Puebla, mosso dagli stessi intenti ma costretto per questo a dimettersi; quello che ne prese il posto, Giovanni Battista de Pergen, arrendersi supinamente alle volontà dell’Austria, e all’arrivo dei francesi subire l’esilio; e dopo di lui la dio-cesi restare per ben sedici anni senza vescovo. Ha visto, don Fortunati, e anzi ne ha subìto in prima persona le conseguenze, la soppressione di tutti i monasteri e i conventi e le confraternite, con la confisca delle loro pro-prietà e di gran parte delle altre destinate al sostentamento del clero e alle opere di carità. Ha visto inimmaginabili mutamenti territoriali, per cui ad esempio, prima di divenire a tutti gli effetti prete mantovano, egli è nato in quella che era allora diocesi di Reggio Emilia ed è divenuto parroco di Guidizzolo allora in diocesi di Brescia.Ma proprio questi travagli hanno messo in luce le sue migliori qualità: il coraggio con cui, a differenza di altri, egli ha saputo restare saldo nella fedeltà alla Chiesa; la tenacia con cui ne ha rivendicato i diritti; l’intelli-genza con cui ha cercato tutti gli spiragli lasciati aperti dalle avverse cir-costanze, per mantenere viva tra il popolo affidatogli la fiammella della fede. E ha trovato anche il tempo e la serenità necessari a coltivare gli studi: quelli funzionali al suo ministero, ma anche, secondo l’impostazio-ne della cultura settecentesca, studi - di cui lasciò spesso memoria scritta - nei più disparati campi del sapere profano, allo scopo scavando negli archivi pubblici e privati, recandosi di persona alla ricerca di altri docu-menti, coltivando relazioni con celebri eruditi. Per studiare, malgrado le ristrettezze in cui i tempi lo costrinsero a vivere si compose una scelta biblioteca, che lasciò per testamento ai guidizzolesi: particolare, questo, che rivela un tratto eloquente dell’amore per la comunità di cui fu pastore per ben cinquantotto anni.Uomo d’eccezione, don Antonio Ilario Fortunati: e se il tempo ne ha ve-lato il ricordo, è da salutare come benemerito questo libro che ce ne resti-tuisce vivi i pregi e i meriti.

Roberto Brunelli

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Antonio nasce il 14 gennaio 1738 a Moglia di Gonzaga, dio-cesi di Reggio Emilia. Primogenito di Benedetto Fortunati e di Pe-droni Margherita. Gli sposi avranno altri figli, nell’ordine Gaetano 1740, Maria Arcangela 1746, Elisabetta Rosa 1748, Maria Teresa I750, Luigi Giuseppe 1753, Fortunato Felice, nato forse a Gonza-ga, paese di Margherita. Padrino di Antonio Ilario al battesimo, lo stesso giorno della nascita, l’eccellentissimo dottor Antonio Codè, medico a Gonzaga. Benedetto era di condizione civile “onesta”, agiata, un possi-dente, in grado e premuroso nel provvedere all’istruzione dei figli. Antonio Ilario all’età di 12 anni fu mandato a Mantova nel collegio dei Gesuiti dove frequentò con profitto i corsi di retorica, filosofia e teologia e dove maturò la “vocazione” alla vita sacerdotale. Poco altro sappiamo degli anni trascorsi a Mantova, soltanto che nel 1763 presta servizio nella chiesa di Santa Caterina. A Reggio Emilia fu ordinato sacerdote dal Vescovo mons.

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Gian Maria Castelvetri il 22 settembre 1764. Celebrò una delle pri-me Messe nella chiesa parrocchiale di San Benedetto di Gonzaga. In quell’occasione il Padre Saverio Bettinelli della Compa-gnia di Gesù compose il sonetto:

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Atto di battesimo di don Antoniuo (A.P.M. 1738)

Sole, che già della funerea benda ti copristi per senso alto di doglia quando sul monte la cruda opra orrenda l’opra compissi ond’è che ancor ti doglia,

Se rimirar del primo oltraggio hai voglia per la stessa divina Ostia l’emenda, e quale onor all’adorata spoglia santo ministro al santo altar ascenda.

Alla sua voce, chè di Dio, l’ardenti per sua gloria nel ciel ferma auree rote, voce sovrana in operar portenti,

che se per Giosuè furono immote, con più ragione ai celestiali accenti frenar tuo corso ed arrestar si puote. 1

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Circa il 1772 don Fortunati è cappellano dell’altare di San Giovanni nella chiesa parrocchiale di Guidizzolo, mansione cui corrisponde “in modo del tutto lodevole”.2

Notizie concernenti la nomina alla parrocchia di Guidizzolo, prima come Vicario, ci sono fornite da lui stesso.3 Fu eletto Parroco Attuale della Cura di Guidizzolo col titolo di Vicario del capitolo dei Padri Olivetani il 3 settembre 1772 e presentato dall’Abate don Giuseppe Maria Tagliavacca al card. Giovanni Molino, vescovo di Brescia, per essere ammesso e approvato. Conseguì la “patente” previo esame l’11 gennaio 1773, riconosciuta e confermata dalla Regia Giunta Delegata di Mantova il 29 gennaio dello stesso anno.4

Dal 1508, per intercessione di Isabella d’Este, con bolla di Papa Giulio II, la pieve di Guidicciolo era unita al Monastero Olivetano di Santa Maria del Gradaro in Mantova. I monaci si erano assunti l’impegno della cura d’anime, ma nel corso degli anni il loro rapporto con la comunità non era stato esente da tensioni. Pertanto don Fortunati, 34 anni, deve affrontare

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Fotografia d’epoca

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una situazione difficile. Il 15 marzo 1773 sotto-scrive per la prima volta il ver-bale nel Libro della Compagnia del SS. Sacramento, d. Anto-nius Fortunati vidit et approba-vit. A seguito delle soppres-sioni degli Ordini religiosi, o meglio della chiusura di loro conventi, volute dall’Austria

negli anni: settanta del XVIII se-colo, il convento di Santa Maria del Gradaro in Mantova fu requisi-to e destinato a caserma. Gli Olivetani furono trasferiti in San Cri-stoforo. Nelle circostanze solenni da Mantova veniva a Guidizzolo l’abate, don Giuseppe Tagliavacca nel 1773 a benedire le nuove campane, per una solenne festa mariana nel 1780, don Giulio Ben-venuti nel 1784 a benedire la rifusa campana del Comune. L’abate Olivetano era il titolare della Parrocchia, a lui spet-tava il primo posto. Di fatto la sua autorità “in loco” era ormai soltanto nominale. Dal 1770 era Vescovo di Mantova mons. Giovanni Battista Pergen, viennese, abile interprete e solerte esecutore della politica giusep-pinistica. Pose attenzione al clero diocesano e alle parrocchie, suoi collaboratori dovevano essere i parroci, scelti tra i sacerdoti secola-ri. Non i religiosi o frati, che ubbidendo all’Ordine di appartenen-za, erano meno controllabili. Mons. Pergen, ligio alle disposizioni imperiali, d’accordo con gli orientamenti giuridiszionalisti, non si dolse delle soppressioni, nè delle ferite che esse apportavano al pa-trimonio della Chiesa. In questa luce è da vedere la nomina di don Fortunati quale Vicario. Al quale la soggezione all’Abate olivetano non garbava. Quando finalmente gli Olivetani lasciarono il governo par-

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Stemma di Mons. Pergen

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rocchiale don Fortunati nel 1803 potè vedersi assegnato il titolo di Arciprete con decreto vescovile del 12 maggio e rico-nosciuta la piena autonomia nel reggere la parrocchia. Con i provvedimenti che avevano colpito la Con-gregazione Olivetana vennero demaniati i terreni di proprietà della parrocchia e quelli delle cappellanie derivanti da lasciti di antiche famiglie.5

Di conseguenza la condizione economica del parroco non era florida, anzi era al limite della povertà. Una pratica per il recu-pero dei beni era stata avviata nel maggio del 1800 quando i deputati dell’Estimo della comunità di Guidizzolo come pure il Priore e Ufficiali della Compagnia del SS. Sacramento diedero l’incarico al dott. Luigi Fiorio di Mantova di promuovere e soste-nere presso il Regio Governo le ragioni della parrocchia sopra i beni costituiti in dote dalla stessa comunità e nel passato goduti dal soppresso e abolito monastero degli Olivetani di San Cristoforo. All’avvocato consegnarono documenti relativi alla pratica e lo abi-litavano ad agire per la felice riuscita della stessa. L’iniziativa non ebbe esito positivo cosicchè i Deputati del Comune nel 1804 inter-vennero prospettando al Ministro del Culto come “questo beneficio parrocchiale e la Chiesa in forza della soppressione degli Olivtani di Mantova hanno sofferto molto. Domandano quindi un aumento di congrua al parroco e un assegno per la manutenzione della chiesa e per le spese di culto.”

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Saverio Bettinelli (1718-1808)

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DON FORTUNATI COLPITO DA SFRATTO A queste “provvidenze” governative” sono da aggiungere i redditi assai modesti di un campo e di un prato posti intorno alla chiesa. Nel 1813 una “bufera” si abbatte su queste pezze di terra e sulla stessa casa di abitazione vendute dal Demanio. Don Fortunati espropriato e sfrattato. Come premessa all’in-tricata vicenda occorre rifarsi a una circolare del Ministero per il Culto in data 12 luglio 1810. Essa assicura ai parroci o coadiutori presso le chiese parrocchiali prima servite da Congregazioni reli-giose una conveniente abitazione. Gli Olivetani di Mantova rimos-si nel 1772 dalla cura parrocchiale acconsentirono a che il Vicario Parroco da essi eletto subentrasse nell’annua pensione e occupasse la così detta Abbazia, antica abitazione parrocchiale, con la riserva di alcuni ambienti in tempo di villeggiatura, e godesse del reddito di alcune striscie di terreno di pochissime tavole attorno alla chiesa e cimitero “il cui frutto è minore di quanto importa il cotidiano man-tenimento dell’Oglio (sic!) a illuminare il SS. Sacramento”. Con la soppressione degli Olivetani di Mantova vengono messi in vendita i loro beni, compresi quelli nel territorio di Guidiz-zolo. Una perizia dell’ing. Baietta circa il 1803 aveva distinto tra i beni di proprietà dei monaci e quelli assegnati al Vicario Fortunati così come aveva suggerito l’economato dipartimentale. Sennonché quando, verso il 1813, il Regio Demanio passò alla vendita di tutti i residui fondi della soppressa Congregazione Oli-vetana vi incluse i numeri di mappa concernenti casa e campicelli. A questa tegola che gli cadde sul capo don Fortunati reagì con forza. e intentò causa al compratore, Luigi Boselli, abitante a Volta e con domicilio legale a Castiglione presso Lodrini Antonio. Non omise don Fortunati di far sentire nei debiti modi le sue ragio-ni. La casa posta accanto alla chiesa ha sempre servito, da tempo immemorabile, a quella chiesa ed è sempre stata goduta e posseduta dal parroco o arciprete incaricato della cura d’anime. Le due piccole proprietà, campo e prato denominato la Bassa di circa pertiche dieci

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circondanti la chiesa e cimitero, sono possedute e godute da 40 e più anni da don Fortunati in qualità di parroco. E’ cosa notoria in Guidizzolo che la casa, prato e campo furono destinati all’uso del parroco e a servizio del culto e sono di assoluta necessità all’uso e servizio medesimi. Don Fortunati so-stiene la cura di parroco da 40 e più anni e per tutto questo lasso di tempo ha sempre abitato, posseduto e goduto, siccome in oggi abita, possiede e gode la casa, prato e campo confinanti con la chiesa e cimitero. Ma! in data 27 agosto 1813 la direzione demaniale gli par-tecipa che il Prefetto ha dichiarato insussistenti le osservazioni pre-sentate dal parroco, non saranno prese in considerazione, anzi il parroco dovrà rifondere al Demanio i carichi pagati dallo stesso e i frutti indebitamente percepiti. Don Fortunati ricorre di nuovo e in sostanza ribadisce gli ar-gomenti già addotti. Le intimazioni minacciate dal Demanio avreb-bero senso se don Fortunati fosse stato in malafede, ma la realtà dimostra il contrario. Sarebbe meno per lui insopportabile vedersi rinserrato in una casuccia peggiore di quella di un bifolco, quale verrebbe ad essere la canonica di Guidizzolo, senza rustico e senza libero ingresso, di quel che lo è una sì odiosa imputazione lesiva della sua onorabilità. La prelodata circolare e la intemerata giustizia del ricorso diventano il solo fortissimo appoggio dell’ossequioso ricorrente, il quale ad altro non tende che a reclamare i propri diritti sulle pezzette di terra, offrendosi tuttal’ più ad assumersi per l’avve-nire le pubbliche tasse prediali dalle quali, in forza della primitiva convenzione, i monaci “allora padroni” andarono sempre immuni. Don Fortunati chiude esprimendo fiducia di essere sollevato dalle sue angustie. Il 18 novembre l’usciere del Tribunale di Castiglione, An-selmo Quintavalle, consegna a don Fortunati il decreto di sfratto sollecitato e ottenuto dal Boselli. Lo stesso Quintavalle il 4 dicem-bre si presenta a ritirarlo, “riservandosi il Sig. Boselli di agire nelle vie indicate dalla Legge”. Col risultato che il giorno 29 l’usciere è

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latore di una citazione. Don Fortunati, Schiavetti Tommaso, Conti Francesco e Mattioli Giovanni cointeressati nella lite sono citati a comparire entro 8 giorni davanti al Tribunale di Castiglione “per sentirsi pronunciare in via ordinaria che l’arciprete Fortunati nel termine che verrà stabilito dal Tribunale dovrà rilasciare all’istante casa, prato e campo posti nel tenore di Guidizzolo”. Il balletto di repliche e controrepliche continua. E don Fortu-nati presenta un nuovo appello. Casa, campo e prato appartengono non ai beni dei soppressi Olivetani, come erroneamente ha ritenuto il Demanio facendo atto di vendita al Boselli con rogito del notaio Bacchi del 15 settembre 1813, ma al parroco, che chiamato dalla

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CASA PARROCCHIALE ABITAZIONE DI DON FORTUNATIL’accesso alla casa è dal piazzale davanti alla chiesa. Una piccola porta nel mezzo del muro di cinta, mette all’orticello e ad una angustissima corte divisa da un marciapiedi in mat-toni.L’andito, col pavimento in quadri e il soffitto d’assi e travetti ha una portella comunicante con il coro della chiesa. Dall’an-dito si passa alla caminata con un camino in cotto così detto alla francese e soglia di marmo. Dalla caminata si passa alla cucina dove il camino ha la soglia di marmo e accanto tre for-nelle in cotto. Nella parete a monte vi è un armadio a muro. Un corridoio immette nella bassa corte. Dalla caminata parte la scala in mattoni che sale al piano superiore. Una camera ad arco, corrispondente alla ca-minata, un’altra pure ad arco comunica con un piccolo locale che si affaccia al coro della chiesa. Di nuovo a piano terra dall’andito si discende alla can-tina divisa in due locali. Ambienti rustici nella bassa corte la legnaia, il fornello per il bucato, la colombaia.

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legge è costretto a difendere questa inattacabile e necessaria do-tazione. La casa fin dal 1488 venne formalmente assegnata dalla competente superiore Autorità alla parrocchia e fin da allora dato e trasferito il reale possesso per sè e di lui successori al parroco secolare don Luigi Redini con Istrumento del 23 giugno dello stes-so anno del notaio... Bertelli fu Alessandro. Se la casa fu in uso e godimento temporaneo dei Padri olivetani ciò avvenne per essere stata la parrocchia loro affidata, e fin quando la parrocchia ebbe come parroco un Padre olivetano, nè la possedette per altro titolo, e non cessò quindi di essere la casa parrocchiale. Nel 1772 l’Autorità austriaca rimuove gli Olivetani dalla cura parrocchiale, la casa fu immediatamente consegnata al secolare parroco vicario don Fortu-nati, ma soppressi nel 1797 gli Olivetani, venne egli creato Parroco assoluto col titolo di Arciprete, come in oggi, in pieno possesso e libero godimento della casa, prato e campo. La causa si protrasse per anni, anche per un nuovo colpo di scena. Il 18 gennaio 1818 con rogito del notaio Agostino Coffani, Luigi Boselli vendette l’Abbazia a don Gianbattista Confalonieri che la acquistò per interesse proprio ed eredi. Don Gianbattista Confalonieri (1784-1855) appartiene a famiglia agiata residente a Guidizzolo in contrada della Fornace (oggi vicolo Volto). Porta il nome del nonno paterno notaio come il padre Barto-lomeo. Una relazione di don Fortunati quando don Gianbattista ha 25 anni lo descrive “sacerdote di costumi propri di un ecclesiastico, modesto, grave, esemplare, studioso, impiegato a insegnare con su-periore approvazione la lingua latina ai giovani. Addetto alla chiesa per le confessioni coadiuva lo zio don Luigi così abilitandosi a succedergli come Curato”. Non risultano reazioni di don Fortunati alla compravendita. Don Confalonieri sarà tra gli esecutori testamentari scelto dal For-tunati che continuò ad occupare la solita abitazione fino alla morte. Morto il Fortunati la questione tornò all’esame. Il 2 giugno 1830 il subeconomo ai beni vacanti don Bettini di Volta domanda alla fab-

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briceria se un “certo tale” abbia in nome proprio acquistato la casa detta Abbazia servendosi di denari di pubblica provenienza al fine di ampliare la stretta abitazione del parroco. In caso affermativo chiede di conoscere la provenienza del denaro impiegato all’acqui-sto. La fabbriceria esigerà dall’acquirente il rogito di compera con la dichiarazione legale di cessione della casa al fine di consegnarla al nuovo parroco che verrà eletto. L’11giugno la fabbriceria risponde con lettera redatta dal Se-gretario notaio Coffani Agostino. Da essa si desume come il 18 gen-naio 1818 con rogito dello stesso notaio Coffani il prete Giabattista Confalonieri acquistò per interesse proprio ed eredi dal Signor Lu-igi Boselli di Volta la proprietà Abbazia. Alla fabbriceria non con-sta le cessione. Quanto al denaro del suddetto acquisto corre voce provenga da oblazioni ed offerte spontanee sia per l’acconto che per il successivo saldo seguito per altro rogito dello stesso notaio 1’ 11 dicembre 1820. Sembra dunque che la proprietà spetti al Con-falonieri. Don Bettini il 21 giugno invita la fabbriceria a convocare il Confalonieri e lo sollocita ad emettere una dichiarazione da cui risulti il modo e con quali mezzi abbia acquistato la casa Abbazia e nel caso i denari fossero stati della chiesa per oggetto di culto debba fornire spiegazioni onde informare le superiori Autorità. La risposta dal tono perentorio del Confalonieri merita di essere trascritta: “Essendo di mia ragione la Casa in cui ha cessato di vivere l’ora defunto nostro Arciprete don Antonio Fortunati fa-cente parte dell’Abbazia da me acquistata dal Sig. Luigi Boselli di Volta a rogito del notaio Agostino Coffani nel gennaio 1818, così invito questa Fabbriceria a fare sgomberare la suddetta abitazione di tutti gli oggetti in essa esistenti e di ragione del Defunto o della chiesa, onde possa io fare della medesima quell’uso che parrà a me conveniente; non ricusandomi perciò di accordare temporaneamen-te alla Fabbriceria la suddetta Casa, se me ne farà regolare istanza, riserbandomi però il diritto di potervi entrare ogniqualvolta mi sarà duopo. Ho l’onore di prospettarmi con distinta stima. Guidizzolo, 21 luglio 1830. Prete Gianbattista Confalonieri”.

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Dopo qualche anno il nuovo Parroco don Giosafatte Benedi-ni convoca per il 23 febbraio 1834 la Fabbriceria dal notaio Coffani per la pubblicazione dell’Istrumento di donazione fatta dal sacer-dote don Gianbattista Confalonieri del locale detto l’ Abbazia fatta alla stessa e ai Parroci pro tempore della Parrocchia. É sorprendente come il Confalonieri sia giunto a tale decisione. Forse perchè i lo-cali dell’Abbazia, in particolare la casa che serviva di abitazione al Fortunati con corticella dalla quale si entrava nella piazzetta della chiesa e cimitero, erano assai ammalorati e necessitavano di costosi interventi. L’Abbazia fatiscente non verrà restaurata e fu lasciata in ab-bandono. Don Benedini abitò in casa d’affitto in via di Mezzo (via Chiassi) fino alla morte nel 1855. Aveva avviato la pratica per la costruzione ex novo di una casa canonica, quella attuale, dove nei primi anni ‘60 entrerà don Andrea Irma.

RIPRENDIAMO ORA LA VICENDA BIOGRAFICA I ministri del Culto e delle Finanze si accordarono per un au-mento della congrua al parroco da lire 2000 mantovane a lire 2400 all’anno, parificandolo agli altri parroci di campagna. Decisero pure un assegno annuo di lire 600 per la manutenzione della chiesa e le spese di culto.6

A Guidizzolo don Antonio trascorrerà tutti gli anni della sua lunga vita. La casa parrocchiale era ben organizzata, con la presen-za delle sorelle, Maria Arcangela ed Elisabetta Rosa, coadiuvate nel corso degli anni da diverse persone di servizio. Giulio Torazzi, domestico tutto-fare, Anna Maria Fantolini, solerte e garrula, sempre in movimento, Francesca Stancari, giova-ne sposa morta a 25 anni nel 1789, umile, seria, obbediente così da essere proposta ad esempio. Margherita Marani stimata da don An-tonio più come una figlia che come ancella, per la sua fedeltà, dote assai rara in ogni tempo. Nella notte del 6 dicembre 1775 nella casa parrocchiale avvenne un furto di stoviglie in peltro, biancheria e altre suppellettili in rilevante quantità. I ladri operarono una breccia

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nel muro. Don Antonio fece diligenti ricerche e riuscì a rintracciare il compratore, uomo di cattiva fama dimorante nello Stato veneto, aiutato da un “basista” guidizzolese del quale non fu possibile ritro-vare l’identità. La refurtiva fu in parte recuperata. Non mancarono i lutti. Nel maggio 1802 a 53 anni per febbre malarica morì la sorella Elisabetta Rosa, vergine consacrata. In luglio venne a mancare la nipote Carolina, figlia del fra-tello Felice, giovane di appena 16 anni. Dopo la morte della zia Elisabetta era stata ospite in casa del farmacista Giovanni Battista Franzoni in via di Mezzo. Il 10 febbraio 1809 morì Maria Arcange-la, “soror dulcissima”, vergine consacrata. Don Antonio, vissuto tanto a lungo, non godette buona salute. Si ammalò più volte, ma delle malattie non si conosce con chiarezza la natura. Fu ammalato nel 1801, nel1809, nel 1810, gravemente infer-mo nel 1814. Nell’autunno del 1802 delega don Luigi Confalonieri, curato junior, e trascorre “patriis Gonzagensibus Laribus” un perio-do di riposo per recuperare la salute da qualche tempo sofferente. Fu questa una delle poche volte che lasciò la parrocchia. Le altre furono assenze brevi, in giornata, come nel 1807 quando a Mantova partecipò ai solenni funerali dell’amato vescovo Pergen, assai benemerito della parrocchia di Guidizzolo. O nei pae-si vicini a leggere e decifrare iscrizioni. Don Antonio avrebbe potuto trasferirsi a Mantova eletto Ar-ciprete di San Leonardo nel 1790, così come in precedenza aveva avuto l’opportunità di concorrere alla parrocchia di San Gervasio, possibilità ambedue rifiutate. Leopoldo Camillo Volta, che pure de-siderava avere l’amico a Mantova, si rallegrò della presa risoluzio-ne: “Ella ne avrà merito presso Dio e presso gli uomini, non avendo ceduto alle lusinghe di un maggior interesse e decoro. Tali sono i sentimenti di tutti che l’amano e la stimano dav-vero”. La nomina vescovile a San Leonardo è del 16 giugno 1790, la rinuncia porta la data del 17 novembre. Il Clero e i Deputati co-munali, a nome di tutto il popolo, avevano indirizzato a don Antonio

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una supplica nella quale lo invitavano caldamente a non lasciare Guidizzolo. Da anni Vicario parroco a nome dell’Abate olivetano, nel 1803 gli fu riconosciuto o restituito il titolo di Arciprete, caduto in disuso dopo la rinuncia alla parrocchia di don Luigi Redini agli ini-zi del ‘500, e riconosciuta, come si è visto, la piena autonomia nel governo della parrocchia. Il 3 maggio 1803 i Deputati comunali Sante Guarnieri, Gian-battista Tazzoli, Andrea Palazzini e il Sindaco Carlo Grassi scrivo-no al Vicario generale della Diocesi mons. Zecchi con l’istanza “a volersi degnare di ridonare al loro Par-roco attuale l’antico suo titolo di Arci-prete”. E alla lettera uniscono una sup-plica a mons. Ve-scovo. Mons. Zec-chi nella risposta ai Deputati li informa che il “Vescovo si è compiaciuto di ade-rire alla loro giusta domanda.” Il documen-to vescovile porta la data del 12 maggio. La morte della sorella Maria Arcangela nel 1809 segnò la fine per don Antonio di uno stretto legame fami-liare.

Gennaio 1830: don Antonio ultranovantenne sottoscrive un atto della Fabbriceria

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Ultrasettantenne don Antonio rallentò l’attività esterna, non quella di studioso. Si fecero sentire i disturbi dell’età e il tremolio della mano rese incerta la grafia. A un confratello scrisse chiedendo la carità di pregare e di implorare la divina misericordia “nel mio non molto lontano passaggio al gran rendiconto della mia vita e ministero”. Scrisse il suo ultimo testamento il 6 luglio 1829, istituendo eredi i nipoti Gaetano di San Nicolò Po e Benedetto abitante a Man-tova. Nominò esecutori testamentari i sacerdoti don Luigi Franzo-ni, don Gianbattista Confalonieri e il signor Gianbattista Tazzoli. Il coadiutore don Giuseppe Fantolini, all’aggravarsi della malattia, gli impartì l’Olio santo, non l’Eucarestia perchè non in grado di deglutire. Don Fortunati morì alle 10 e 30 antimeridiane il 24 mag-gio 1830 nella sua stanza ad arco contigua all’altare maggiore della chiesa, in età di 92 anni e 4 mesi, causa della morte la febbre catar-rale. Il giorno seguente il funerale celebrato da don Giuseppe Gottardi rettore di Birbesi. Dai parrocchiani gli furono resi tutti gli onori possibili. Essi gli dimostra-rono la loro gratitudine ed affetto con una presenza nu-merosa nonostante fossero giorni di grande lavoro ad accudire, a sfogliare i gelsi per nutrire i bachi da seta. Il feretro fu levato da quattro parroci viciniori e col segui-to di molti sacerdoti e frati

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anche forestieri e di tutta la Compagnia del SS. Sacramento portato a spalle uscì dal portone della cosidetta Abbazia o casa parrocchia-le. La processione percorse1a contrada del Verre o Borgo In-feriore, lambì la via del Mercato, proseguì per la Piazza e la via di Mezzo fino alla Chiesa.7

Terminata la funzione di suffragio, la bara fu portata al se-polcro o deposito fatto presso il muro del battistero entrando in chiesa a mano destra “con la lusinga di porvi la lapide sepolcrale” così conclude la cronaca di don Fantolini. Non una lapide con iscrizione, ma venne eretto un monu-mento, in alto il sarcofago, nella parte mediana l’epigrafe con fregio di due fiaccole accese e capovolte. Sotto una lastra basamento. Neoclassico, lo stile dell’epoca. Il testo dell’iscrizione fu attribuito in passato al Morcelli, at-tribuzione errata poichè il Morcelli era morto nel 1821. L’autore del testo potrebbe essere un allievo della scuola dell’illustre epigrafista. Pure la ricerca della committenza e di chi ha disegnato il pro-getto non ha avuto esito. La spesa, probabilmente sostenuta dalla Fabbriceria, non è documentata.

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NOTE1 Saverio Bettinelli Mantova, (1718-1808) ex gesuita, poeta e lette-rato. E’ probabile che il Fortunati sia stato suo allievo. 2 A. S. D. M. Fondo C. V. Serie Visite pastorali, Bozzi 1824. L’altare di San Giovanni Battista con la Cappellania e le rendite di pezze di terra nell’anno 1748 era stato ceduto con testamento alla cura e direzione della Confraternita del SS: Sacramento dal tenente Felice Zappettini la cui famiglia ne aveva il giuspatronato. 3 A.S.D.M. Relazione dello stato della Chiesa di Guidizzolo, vica-riato di Castiglione delle Siviere,18 novembre 1778. 4 L’elezione e approvazione a vicario o parroco attuale di don For-tunati ebbe conferma da un’indagine compiuta dal subeconomo ai benefici vacanti don Bettini, arciprete di Volta mn. 2 giugno 1830.Circa il travagliato rapporto tra il monastero e la comunità di Gui-dizzolo don Fortunati ispirò e scrisse nel 1776 un “Ristretto di Fat-to e di Ragione per la Comunità e Popolo di Guidizzolo contro il Possesso che hanno l’Abate e Monaci Olivetani”. A.S.D.M., Relazioni b. 3, fasc. IV. Cfr. “Carteggio relativo ai vantati diritti dei Monaci Olivetani sui beni e Chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo di Guidizzolo e circa l’opposizione accampata dalla Comunità di Guidizzolo pei detti diritti” e “Carta riguardante il ‘gius’ dei RR. Padri Olivetani detti di Gradaro di Mantova sopra la Chiesa e Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Guidizzolo“A.S. MN Carte Portioli, b. 8, fasc. IV5 Nel 1786 con provvedimento governativo vennero soppresse le cappellanie e demaniati i beni di loro proprietà. Beni immobiliari della Parrocchia di Guidizzolo. Un elenco del 23 giugno 1488, “Copia lnventarij bonorum imo-bilium plebis Guidizoli” ( A.S.M., Archivio del Principato di Ca-stelgoffredo, b. 34, notaio Alessandro Bertelli) concorda con quel-

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lo compilato circa il 1508-’09 quando agli Olivetani fu affidata la Parrocchia e gli stessi furono investiti dei suoi beni. I beni immobiliari, cioè i terreni, assommavano a circa 230 biol-che. L’elenco rinnovato il 7 luglio 1561, conferma le 230 biolche (A.S.M. M.C.A. b. 194, notaio Pomelli Giacomo in Castelgoffredo). Il dato si ritrova pure nel ristretto del 1776, e nella Relazione dello Stato e Circostanze della Parrocchia di Guidizzolo sotto la Vicaria foranea di Castiglione delle Stiviere abbassata sotto il 17 gennaio 1786 (A.S.M., Relazione ecc. b. 3 fasc.I).Le terre (petiam terre ...) possedute dalla Parrocchia erano distri-buite e dislocate in vari appezzamenti derivanti probabilmente da donazioni e lasciti di epoche diverse. Interessano i nomi di campi e contrade, alcuni in uso ancora oggi. Vengono riportati come cu-riosità. Rivi Gambarelli, li lame, Breda mala, Camarione, la Concha, de la Giesia, Salvaricio, Sancto Martino, del Pir, Poza Ridonda, Linariis, Fornacis, Rivi Marij, Ridelli, Ruperis Belle, Pozza Rotonda sive Stradella, Ecclesia, Pozzacarini, delle Motelle, iI Vigro, Paludis, Pratti Moreni, Dosso d’ Aione, Sancti Georgij, il Campo del Mari-none. Per la laboriosa descrizione dei beni posseduti dalla parrocchia si rimanda a Carlo Togliani, Il Principe e l’Eremita, 2009, pagg. 113-117.6 Lettere del 25 e 29 giugno, lettera del 13 luglio 1804, Repubblica italiana, anno III del Subeconomato del Dipartimento del Mincio al cittadino Parroco di Guidizzolo. 7 Via del Verre, oggi via Rizzini; via del Mercato oggi piazza Pezza-ti; via della Piazza oggi via Vittorio Veneto; via di Mezzo oggi via Chiassi.

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“Tu solus sanctus”, fosse divenuto vescovo don Fortunati avrebbe scelto questo motto. E si mantenne sempre fedele al prima-to di Dio. Solida la sua formazione a Mantova presso i Gesuiti. A Guidizzolo deve confrontarsi con due passaggi, quello dal-la reggenza olivetana e quello del cambiamento di diocesi. Infatti il vescovo di Brescia, mons. Giovanni Nani, riuniti i canonici del Ca-pitolo, il 23 dicembre 1784 comunicò il provvedimento di rilasciare alla giurisdizione del vescovo di Mantova undici parrocchie a sud-est del territorio bresciano e confinanti, con la diocesi di Mantova, tra le quali Guidizzolo.1 In questo passaggio è da vedere ancora una volta la volontà del governo, intervenuto direttamente o mediante pressioni sulle autorità ecclesiastiche, mirante a far collimare con le circoscrizioni civili quelle diocesane per meglio controllarle. La diocesi mantovana allargò i propri confini, e se ne compiacque il ve-scovo Pergen che con lettera del 22 maggio 1786 ordinò ai parroci delle parrocchie passate da Brescia a Mantova di festeggiare in per-

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petuo il giorno di S. Anselmo, e non più quello dei santi Faustino e Giovita, patroni di Brescia. Don Antonio si adeguò e cercò di conciliare le due tradizioni. Basti un esempio. Manten-ne l’antica consue-tudine di celebrare il Triduo dei morti nei giorni prece-denti la Quaresi-ma. Un decre-to di Pio VI del 22 gennaio 1779, sollecitato da don Antonio, concesse l’indulgenza plenaria per il Triduo suddetto. Nel 1780 i giorni 8, 9 e 10 aprile, furono giorni di grande festa per la traslazione del venerato simulacro dell’Immacolata a nuovo altare nella chiesa parrocchiale. Dell’avvenimento don An-tonio lasciò una descrizione particolareggiata. Si succedettero nel presiedere le sacre funzioni l’abate Giulio Benvenuti olivetano e don Nazario Muti Arciprete di Castiglione delle Stiviere e Vicario foraneo. Era presente la domenica 9 il conte Giuseppe Cauzzi, con-sigliere delegato, in rappresentanza dell’Autorità civile. Su richiesta del clero e del popolo, ancora una volta mediata da don Fortunati, il Papa acconsentì nel 1797 a trasferire la festa di San Luigi dal 21 giugno all’ultima domenica di settembre, quando meno pressante era il lavoro dei campi.

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L’abate Luigi Valenti Gonzaga

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Di don Antonio sono rimaste preghiere e istruzioni per le varie feste dell’anno. Non si lasciava sfuggire occasione alcuna per rendere più so-lenni le celebrazioni. Così, essendo il card. Luigi Valenti Gonzaga ospite della madre a Castelgrimaldo, invitò il porporato ad ammi-nistrare la Cresima il 15 settembre 1777.2 L’evento, preparato con cura, coinvolse anche i paesi vicini e i cresimati, ragazzi e adulti, furono ben 126. E il 20 ottobre 1811 amministrò la Cresima mons. Francesco Paolucci, vescovo di Fano, che si trovava relegato a Man-tova in domicilio coatto per avere rifiutato il giuramento di fedeltà a Napoleone, giuramento che era stato richiesto ai vescovi dello Stato pontificio.Don Antonio lo invitò a nome del Vicario capitolare Girolamo Trenti. Nè trascurava circostanze propizie a favorire il sentimento religioso. L’abate Morcelli, prevosto di Chiari, aveva ottenuto dal Papa Pio VI il corpo della martire Agape, trovato nel cimitero di Callisto, per la propria chiesa. Don Fortunati, amico del Morcelli, fece sostare la reliquia a Guidizzolo come atto di devozione nel gennaio 1796. Il corpo della martire venne accolto e venerato nella casa della famiglia Guarneri, contigua la chiesa dei Disciplini in via di Mezzo. Il Morcelli ,in un opuscolo dedicato a Santa Agape, narra una conversione miracolosa. Un soldato francese si sarebbe convertito in punto di morte.Ed ecco il racconto di don Fortunati: “Giovanni Descorps, originario di Ambares (Francia), centurione della 30° coorte dell’esercito gallico, di circa 30 anni, allo scopo di riprendersi dalla salute malferma era ospite dell’amico Sante Guar-neri, nella casa dove nel gennaio 1796 aveva sostato il corpo di Santa Agape. Giovanni ricorse a tutte le cure più efficaci e valide dell’arte medica, ma non ne voleva sapere della salute dell’anima. Perciò io, spinto da compassione per quell’anima destinata a rovi-na, mi rivolsi con assidua preghiera a Santa Agape affinchè con la sua intercessione giovasse all’infermo presso Dio misericordioso. E affinchè la casa onorata dal corpo della Martire non venisse disono-

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La Festa Mariana del 1780

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rata dalla morte di un empio. Oh portento della Divina Clemenza! L’infermo a un tratto ravveduto inaspettatamente chiese di me, si confessò, anzi volle che il Viatico gli fosse portato il giorno seguente, domenica, a edifica-zione del popolo. Aggravatosi infine e confortato dall’Olio santo spirò nel bacio del Signore con la morte dei giusti quanto l’umana fragilità lascia conoscere e sperare”. Nella parrocchia erano istituite cappellanie originate da la-sciti o donativi dei fedeli per la celebrazione di Messe a un altare della chiesa. Della cappellania Ranzetti, con terreni verso Cavriana, si hanno poche notizie. Più documentata la cappellania Zappettini con l’altare di San Giovanni Battista e la cappellania all’altare di Sant’Antonio da Padova con la custodia delle Reliquie di juspatro-nato della comunità che ne amministrava i beni. Erano attive Con-fraternite o associazioni di fedeli per l’esercizio di opere di pietà e di carità. I proventi derivavano da offerte o dai redditi di terre-ni affittati. Cappellanie e confraternite caddero sotto la scure delle soppressioni e i loro beni furono incamerati dal governo. Potevano sopravvivere come associazioni di laici devoti. La più antica è la Confraternita del SS. Sacramento. Quella del Rosario è di epoca postridentina con l’altare della Madonna, costruito nel 1739. La Disciplina, il cui movimento risale al XIII secolo, ebbe origine a Guidizzolo negli anni successivi alla visita di San Carlo(I580). Essa provvide nel 1610 a edificare la propria chiesa nella via di Mezzo. Don Fortunati volendosi erigere di nuovo la Confraternita del SS. Sacramento, “olim infeliciter dissoluta” ne scrisse nel 1788 le regole. L’iscrizione aperta a tutti i parrocchiani, l’abito di colore rosso o bianco. Il parroco è a capo della Confraternita, gli ufficiali sono il Priore, un Sotto-Priore, un cassiere, un cancelliere, due in-fermieri. Le regole descrivono il compito di ciascuno: come ammi-nistrare le eventuali entrate, le offerte, le elemosine. Gli infermieri visiteranno gli ammalati e procureranno loro gli opportuni sussidi tanto spirituali quanto corporali.3

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Era costituita pure la confraternita della Dottrina e quella delle anime purganti con altare proprio dove la pala raffigura le ani-me imploranti misericordia. Nel 1780 il Consiglio comunale incaricò don Fortunati di provvedere due nuove urne dove trasferire le reliquie dei santi Mar-tiri. Nelle due urne di legno, dipinte di rosso, ornate all’esterno con opere di rame lavorato e con velatura d’argento, munite di quattro cristalli ciascuna, don Fortunati ripose le reliquie e le sigillò il 3 agosto.4

LA PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI “Essendo questa processione riguardata come trionfale per confondere la perfidia degli eretici e l’incredulità dei miscredenti

Sonetto di Francesco Antonio Coffani (1780)

Sorgi, e fra il plauso trionfale, e ‘l pianto Scorri le adorne vie, Beata Immago Di Lei, che l’aureo Sol ave per manto, Sul crin le Stelle, e al piè la Luna, e ‘l Drago.

Bieca la Morte andò coll’arco infranto, E in van s’ aprì de’ guai l’ampia vorago Qualora all’ara tua sen corse a canto Il popol tuo de’ tuoi favor presago.

L’Ara novella ascendi, e i dì remoti Il doppio lato la vedranno onusta D’un luminoso eletto ordin di voti.

Sì la vedran, Beata Immago augusta, E diran, quanto, i più lontan nipoti, Quella , che l’ erse, alta pietà fu giusta!

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si procuri di concorrere a far co-noscere la solennità trionfale e ciò sarà rimuovendo gli impedi-menti, e nettando la sordidezza e immondizie nelle strade per le quali avrà a passare la proces-sione. Sarà cosa lodevole edifi-cante e commovente spargere le stesse strade d’erbe odorifere e di vaghi fiori sull’esempio di chi intervenne al trionfale ingresso del Divin Redentore nella città di Gerusalemme nella domenica

Reliquiario con il femore di san Defendente

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Urna con le reliquie dei santi Martiri

delle Palme. Non sarà cosa vana ma anzi plausibilissima coprire le mura, o stendere dalle finestre tappeti e coperte più onorevolmente e religiosamente che si può per far conoscere la gratitudine e ob-bligazione che abbiamo di procurare d’onorare e servire il solo Si-gnore e Salvatore nostro, che si degna passando d’onorare le nostre strade.”

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NOTE 1 Con Guidizzolo Brescia cedette Castiglione delle Stiviere, Medole, Solferino, Birbesi, Bocchere, Ostiano, Volongo, Canneto sull’Oglio, Fontanella e Carzaghetto. 2 Luigi Valenti Gonzaga percorse una brillante carriera diplomati-ca al servizio della Santa Sede e ricoprì incarichi di Curia a Roma. 3 Sarebbero passati parecchi anni prima che il desiderio di don An-tonio potesse realizzarsi, fino al 1799, quando l’ I.R. Commissario conte Cocastelli dispose che le Confraternite del SS. Sacramento, già erette nelle chiese parrocchiali e soppresse o dall’Impero o dal-la Cisalpina, fossero ripristinate e venissero restituiti ad esse i fon-di di loro appartenenza, purchè non azionati o venduti. 4 Le reliquie dei santi Martiri pervennero da Roma (Cimitero di Priscilla) nel 1764. La chiesa parrocchiale di Guidizzolo si arricchì pure di una re-liquia del martire San Defendente dono al paese natale dell’avv. Pietro Tazzoli che l’aveva acquistata dal soppresso monastero di S. Elena di Canneto sull’Oglio. Don Fortunati provvide a farla auten-ticare dal Vicario generale capitolare mons. Trenti nel 1811. (Cf. “Camminiamo insieme” “Dic. 1986)

Ricordo della Comunione pasquale 1804

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Nel 1778, riparata la cappella maggiore della chiesa, fu al-largata la Sagrestia secentesa e approntato in essa su iniziativa dei fratelli don Gianbattista e don Francesco Guarnieri il sepolcro dei Sacerdoti. Nei primi anni ‘90 a nord furono costruiti un’ampia sala per i confratelli e un Oratorio contiguo dove celebrare. Sotto la mensa dell’altare il Cristo morto.1

Il 19 luglio 1806 circa le quattro del pomeriggio una violenta bufera di vento fece crollare la facciata superiore della chiesa. Ven-ne ricostruita e ornata e la spesa fu sostenuta in parte dalle offerte dei fedeli e in parte dal ricavato di materiali venduti della chiesa di S. Andrea demolita nel 1804.2 Del 1809 è il nuovo battistero, entrando in chiesa a destra. “Nel dopopranzo della domenica 11 maggio 1788 i signori Giacomo Poli e altri ufficiali della Compagnia del SS. Sacramento convocati in chiesa firmarono il contratto col signor Vincenzo Bertazzoni fale-

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gname con bottega a Mantova per fare il baldacchino sopra l’altare del Santissimo in compimento del legato del signor tenente Antonio Maria Prina da me parroco suggerito”. Cosi scrisse don Fortunati. Il signor Bertazzoni si obbligò a dare il baldacchino entro agosto, lavorato sul modello di quello esistente nella chiesa parrocchiale di Ceresara e della stessa misura; all’arbitrio dell’artefice migliorare il disegno. L’indoratura di oro zecchino veneto, la guarnizione di frangia, cordoni e fiocchi di damasco e seta. Il priore e gli ufficiali si impegnarono a pagare all’artefice lire 3000 di Mantova in tre rate, la prima al principio del lavoro, la seconda a metà dell’opera, l’ultima al compimento. Antonio Prina era morto 1’8 luglio 1786. Per gli addobbi in damasco e seta destinati a tappezzare can-toria, lesene e arcate venne stilata il 27 dicembre 1790 una Scrittura, avente forza di pubblico Istrumento, tra i rappresentanti della par-rocchia e il signor Pietro Brozzoni artefice di damaschi nella cit-tà di Brescia. L’accordo prevedeva la fornitura da parte della parrocchia di sessanta libbre circa di seta lavorata a trama, al prezzo di lire 50 di Man-tova per ogni libbra. Il rimanente del debito sarebbe stato pa-gato in due rate, entro il 1791 e il 1792. Quadri di buo-na fattura arricchirono la chiesa negli anni del ministero pastorale di don Fortunati. I quattor-dici dipinti raffiguranti le stazioni della via Cru-

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L’interno della Chiesa Parrocchiale prima dell’ampliamento

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cis sono opera del pittore don Luigi Nicolini, morto a Mantova nel 1800. Don Fortunati li benedisse il 22 settembre 1793. Gli ovali, attribuiti a Pietro Fabbri, morto nel 1758, olio su tela, “San Francesco di Sales”, “La Madonna e San Gaetano Thiene col Bambino”, “L’Immacolata Concezione”, “S. Andrea Avellino”, “S. Francesca Romana” e “La Maddalena penitente” furono ac-quisiti dal Collegio dei Teatini in Mantova quando il convento fu chiuso a seguito delle leggi di soppressione di fine ‘700. Nel 1807 Pietro Soresina, egregio pittore, originario di Catania e residente a Mantova, si trattenne a Guidizzolo ospite del Fortunati e dipinse la tela “Maria Vergine Immacolata in trono e ai piedi i santi Pietro e Paolo”. Dal 1674 erano venerate le reliquie dei martiri poste entro due urne ornate d’argento e con vetri molati. Don Fortunati nel pro-cedere a una nuova ricognizione procurò, dismesse le vecchie, due

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Guidizzolo, chiesa parrocchiale (1979, graffito di Alessandro Dal Prato)

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urne uguali di legno, dipinte di rosso, ornate all’esterno con opere di rame lavorato e con velatura d’argento e munite ciascuna di quattro cristalli. L’avv. Pietro Tazzoli, giudice conciliatore a Canneto sull’Oglio, acquistò dal soppresso monastero delle monache agosti-niane una Reliquia di San Defendente, custodita in un elegante reli-quiario in legno, munito di due cristalli e ornato nella parte inferiore di una lamina d’argento lavorato a sbalzo e ne fece dono alla chiesa di Guidizzolo, suo paese d’origine. Nel dotare la chiesa, un tempo squallida e povera, di vesti, paramenti e suppellettili utili al culto divino fu molto sollecito il coadiutore don Francesco Tazzoli.3 Molte opere murarie non esistono più così come molti arredi, soggetti all’usura del tempo o in disuso per le mutate esigenze litur-giche. I quadri si possono tuttora ammirare.Delle opere scomparse si fa menzione in quanto don Fortunati le volle “a maggior gloria dell’Altissimo e per il decoro più splendido della sua santa Casa”.

IL PARMIGIANINO Nel 1615 Annibale Conegrani, Commissario ducale a Gui-dizzolo, donava con l’arredo anche il dipinto rappresentante la Ver-gine col Bambino sulle ginocchia, e i santi Giovanni Battista fan-ciullo, e Caterina d’Alessandria alla Confraternita della SS. Trinità per essere collocato nell’Oratorio della medesima costruito cinque anni prima in via di Mezzo (oggi via Chiassi). Estinto il sodalizio il 12 giugno 1786 per volere dell’Imperatore Giuseppe II ( giusto o sbagliato lo sa Dio!) il dipinto venne assegnato alla Confraternita del Sacramento come pala d’altare nella cappella costruita di nuovo e benedetta da don Fortunati il 13 aprile 1794. Secondo gli esperti la tavola (olio su tela,98 x 120) poteva essere riferita alla Scuola di Francesco Mazzoli, detto il Parmigianino. Il quadro necessitava di pulizia e restauro. Don Fortunati interpellò don Alessandro Barozzi di Mantova che suggerì per il restauro don Luigi Nicolini che per la chiesa parrocchiale aveva

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eseguito le stazioni della via Crucis.4

ALLA MEMORIA DI UN AMICO BENEMERITO “Il quadro di San Giovanni Nepomuceno, canonico di Praga e martire del segreto della confessione (XIV sec.), dipinto nel 1728 dall’ Amidei, era venerato con grandissimo onore a Mantova dai soldati tedeschi nella chiesa di San Carlo presso i Chierici regolari della Congregazione di San Paolo Decollato. In seguito, occupata, ahimè! nel 1799 questa città dai fran-cesi, distrutto con molti altri il tempio di San Carlo, questo quadro con la sua magnifica cornice lavorata con maestria, come tuttora si può vedere, fu venduto per la misera somma di 22 monete locali a Giovanni Oliani, uomo pio e insigne letterato, Ministro nello Studio mantovano. Da lui con munifico dono fu dato il 12 giugno 1805 al suo carissimo amico Antonio Ilario Fortunati, parroco di Guidizzolo, perchè nella sua chiesa fosse venerato in perpetuo come da antica tradizione.

Voglia il Cielo si realizzi il suo desiderio!”

LA MADONNA NASCOSTAA Dio Ottimo e Massimo Guidizzolo, Sabato 14 Novembre 1778 In tale giorno, in occasione di essersi riparate le minaccianti rovine di questo Coro e riadattata la Sagrestia, temendosi qualche decreto superiore contrario nell’incontro della sacra Visita pastorale, che si attende il 18 corrente da Mons. Giovanni Nani nostro Vescovo di Brescia, la presente sacra immagine della Beatissima Vergine Ma-ria di antichissima pittura, già un tempo, non si sa per qual motivo, dalla famiglia Bazzoli, per quanto si dice, trasferita dal Venzago, situato nella Parrocchia di Lonato, Diocesi di Verona e in questo muro fissata’ per quel titolo’, che può constare da scrittura, che si pretende conservata un tempo dalla detta Famiglia, ma fino ad oggi

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non ritrovata, nè prodotta, e dalle donne con particolare culto di offerte e di voti molto venerata sotto il titolo di Madonna delle Gra-zie, poté cominciare a dire: “Le tenebre mi avvolgono e le pareti mi nascondono ( Ecclesiastico, 23 - 26)” finchè sorga lo spirito di un nuovo Zorobabele, che compia l’opera nella casa del Signore Dio degli eserciti. Antonio Ilario Fortunati vicario parrocchiale

Perchè l’immagine venne nascosta? Due le ipotesi: o perchè essendo molto venerata, in particolare dalle donne, l’affollarsi dei devoti nel presbiterio contrastava con la presenza reale del Santissimo Sacra-mento o perchè gli abitanti di Castel Venzago, territorio di Lonato, da dove l’immagine proveniva, ne avevano richiesta la restituzione.

La Vergine col Bambino e i Santi Giovanni Battista fanciullo e Caterina d’Alessandria (Scuola del Parmigianino)

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La Madonna delle Grazie

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NOTE

1 La scultura raffigurante il Cristo morto, in legno policromato, è collocabile alla metà del XVIII secolo. 2 L’Oratorio di S. Andrea sorgeva fuori paese sulla strada per Me-dole. Verso la fine del ‘700 fu chiuso per ordine dell’ Autorità civile in quanto era stato profanato da ladri che se ne servivano come ricettacolo di refurtiva. 3 Pietro Tazzoli (1783 - 1847) è il padre di don Enrico, il capo spi-rituale dei Martiri di Belfiore. Don Francesco Tazzoli (1733-1806) è un avo di don Enrico, fratello del bisnonno. 4 La quadrilunga Tavoletta d’eccellente pennello fu restaurata da Monici-Cavallara negli anni ‘80 del secolo scorso con un criterio conservativo per il recupero e il consolidamento dell’originale.

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Nel 1784 Guidizzolo parrocchia conta 1477 abitanti, com-presi 11 preti, le famiglie sono 341, i maschi liberi 167, le femmine 202, coniugati maschi 326, femmine 328. Fanciulli maschi 237, le bambine 206. Il numero degli abitanti in quegli anni varia di poco. Nel 1824 sale a 1691. Nel 1786 a ogni cantonata del paese viene dato il nome della via e alle case vengono assegnati i numeri civici. Il territorio mantovano era diviso in 19 circoscrizioni ammi-nistrative con a capo un pretore, otto più numerose ed estese. Tra le undici preture minori era compresa Guidizzolo con Ceresara. Così fino all’epoca di Giuseppe II, imperatore dal 1780 al 1790. Le magistrature civili, Commissario, Pretore, Sindaco, Segre-tario, Deputato comunale, Cancelliere, Maestro di scuola si susse-guono nel periodo con varie competenze. Con questi personaggi o rappresentanti della Comunità (“spectabilis huius Communitatis”) don Fortunati usò sempre la massima deferenza.

UNA SOCIETÀ PREINDUSTRIALE

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Ma non risparmia giudizio severo ( e ironico) con i prepo-tenti. In via di Mezzo vi era la regia Dispensa del sale (oggi al civ. 54) . Il milanese Moroni Francesco era il “minister”. Malaticcio non si curava, trasandato nel vestire, sgarbato, recava fastidio alla gente per la sua “longobardica” asprezza. Non erano avvertiti contrasti di classe e la popolazione vi-veva protetta, per così dire, sotto l’ombrello dell’Autorità civile ed ecclesiastica. Il lavoro dei campi era il più diffuso. Nell’ agricultura erano impegnati sia i possidenti che i fittavoli. La siccità era la nemica più temuta. Gli artigiani, sellai, ma-rangoni, fabbri, fornivano carri e attrezzi. Importante 1’attività con-nessa con l’allevamento del baco da seta. Tintoria, filatura e tessitura occupavano uomini e donne. Era un lavoro di tipo familiare e si svolgeva negli ambienti

rustici, nelle barchesse, nei cortili. E gli svaghi? Era-no numerose le osterie al punto da dare il nome a una via (oggi via Sol-ferino). Vi sostavano compagnie girovaghe di comici e teatranti. All’osteria approdava di tanto in tanto una ballerina e si esibiva a danzare o a fare l’equi-librista . Giovani e uo-mini accorrevano con disappunto di fidanza-te, mogli e madri.Esercitavano la libera professione il notaio, il giurisperito, il medico,

UNA SOCIETÀ PREINDUSTRIALE

Lavori campestri: aratura, erpicatura, livella-mento del terreno e semina.

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l’aromatario, l’ingegnere, il geometra. I poveri vivevano rassegnati la loro condizione, se miserabi-li, ricorrevano all’accattonaggio. Passava per la strada a mendicare la donna malferma sulle gambe appoggiandosi a due bastoni. Una mamma si portava appresso la bambina di appena otto anni. Una ragazza sordomuta e mezzo scema andava di casa in casa a chiedere l’elemosina. In soccorso dei poveri interveniva la parrocchia, e molti be-nestanti di animo generoso. Lo attesta il ritratto seguente “Diligente madre di famiglia, con la sua parsimonia, aumentò il patrimonio domestico. Mai negò aiuto agli sfortunati, sussidio ai poveri, assi-stenza agli infermi, dote, secondo possibilità, alle ragazze “perico-lanti”. Un quadretto idilliaco? Don Fortunati indulge alla retorica? Comunque sia riflette sempre la realtà. L’avaro mai non desiste dal condurre una vita meschina per mascherare la quanti-tà di oro e argento ac-cumulata. “Perchè? a quale scopo?” C’è chi se la spassa, sperpera l’ere-dità paterna nelle oste-rie e nelle bettole, be-vendo e giocando. E chi è assiduo a feste, danze e baccanali. Non tutti i bam-bini frequentavano la scuola. Molti genitori li collocavano come famigli presso “un pa-drone”, a curare le be-

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Il cantastorie.

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stie della stalla, a sfogliare i gelsi per nutrire i bachi da seta e così a nove, dieci anni. I ragazzetti dormivano nei fienili, nella stalla. Le famiglie abbienti , mandavano i figli a Mantova per proseguire gli studi. Non tutti i giovani erano docili e rispettosi con i genitori. E le mamme a rincorrere, a cercare affannosamente i figli scapestrati. Altri giovani si arruolavano ,con Napoleone, con Fran-cesco d’Austria, secondo il volgere delle vicende politiche. E nelle difficoltà? Con problemi da risolvere? Oltre ai preti la gente comune si rivolgeva per consiglio a persone sagge e stima-te, capaci di conciliare liti e interessi contrapposti . Un anziano è divenuto molesto e importuno per l’età e gli acciacchi? il figlio lo assiste amorevolmente. Don Fortunati loda la sposa, giovanissima, che con umiltà e sottomissione a poco a poco riesce ad addolcire l’animo ostile della suocera e della cognata. Se una donna prestava servizio presso la stessa famiglia come fantesca o ancella per lungo periodo, per oltre trent’anni, don Fortunati la elogiava con parole affettuose. I rapporti di coppia allora come oggi sono una croce e in alcuni casi solo la morte di uno dei due pone termine ai contrasti,

lasciando final-mente libero il coniuge super-stite. Una gio-vane vedova, prossima a ri-sposarsi, dona alla Madonna gli orecchini d’oro ornati di perle avuti dal primo marito. Meno com-

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prensione è riservata ai rapporti extra coniugali. Don Fortunati li accenna con riserbo, non riferisce nomi, protegge l’anonimato usando un linguaggio convenzionale noto a lui solo, scrivendo con lettere dell’alfabeto greco antico. I neonati esposti, dopo il battesimo, venivano portati a Man-tova , in orfanatrofio. Nascite illegittime capitavano anche nelle classi alte. Nel 1828 muore una bambina, frutto di illecito amore. Poichè sono coinvolte persone della oggi si direbbe società bene, interviene l’Autorità comunale e per evitare lo scandalo ne ordina la sepoltura in segreto. Dopo il battesimo, la principale preoccupa-zione del parroco, come lo era nel confronto di neonati in pericolo di morte.

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Li battezzava con l’acqua l’ostetrica, che doveva essere ap-provata e conoscere la formula del battesimo. Se il piccolo sopravviveva veniva poi portato in chiesa dove il sacerdote completava la cerimonia. Persone, fatti, vicende pubbliche e private, rivivono nel la-tino limpido, classico, conciso di don Fortunati. La sintassi è di un’architettura perfetta. Un giorno gli si presenta una scena quale avrebbe potuto descrivere Virgilio. Nel cortile di una famiglia pove-rissima. Una capretta domestica, avendo intuito che la mamma non era in grado di soddisfare la fame della piccina, si avvicina a una bimba di pochi mesi e si appresta ad allattarla. “Matri ad hanc satis nutriendam omnino impoti domestica supplebat capella, quae vix audito infantis vagitu, mox pascuo re-licto, sponte properans ad eam lacte saturandam belle et commode sese adaptabat”. Sembra di leggere Cicerone.

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Il comune di Guidizzolo comprendeva due parrocchie, quel-la del capoluogo e quella della frazione di Birbesi. I parroci, tutti in generale, erano custodi severi dei confi-ni, non era consentito sconfinare dai rispettivi territori, erano quasi gelosi della propria giurisdizione. Lo era pure don Fortunati come dimostra un episodio del 1813. Il 27 aprile avvenne a Birbesi una disgrazia mortale. Moratti Giuseppe, giovane di 24 anni e sposato con Carini Domenica, era intento al lavoro nel mulino di Ressa-to quando improvvisamente fu trascinato dalla velocità delle ruo-te entro l’ingranaggio. L’abitazione del mugnaio si trovava entro i confini della parrocchia di Birbesi, mentre il mulino contiguo, dove avvenne la disgrazia, apparteneva alla parrocchia di Guidizzolo Svolte le pratiche di legge, don Luigi Maltini, parroco di Bir-besi, celebrò il funerale nella sua chiesa di San Giorgio, più vicina di quella di Guidizzolo1. Ma don Fortunati sosteneva una tesi diver-sa, a lui sarebbe spettato celebrare quelle esequie nella sua chiesa.

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Lasciò correre “pro bono pacis’ salvo il diritto suo e dei suoi succes-sori, come ebbe a puntualizzare. Altra questione spinosa e controversa riguardava il diritto del parroco ad assistere “in morte e dopo morte” il parroco vicinio-re. 2 Nel marzo 1784 don Fortunati acconsentì alla richiesta del parroco di Birbesi ammalato che l’aveva pregato di assisterlo e am-ministrargli i Sacramenti. Don Antonio si trattenne presso l’infermo prestandogli ogni servizio sia spirituale che corporale, fino all’ulti-mo respiro di don Paolo Botturi il dopo pranzo del 3 aprile. Era don Fortunati appena uscito dalla stanza del morto quando si presentò il rettore di Bocchere don Gianbattista Bellini scusandosi cortese-mente del suo tardo arrivo. A mezzo di altra persona don Bellini fece con bel modo in-tendere di aver diritto al funerale dell’estinto, escludendo don For-tunati col motivo o pretesto che questi era vicario parroco amovi-bile. Per non accrescere il cordoglio dei famigliari dolenti con una scandalosa altercazione don Fortunati condiscese con poche parole, protestando però che lo”spoglio”, cioè le offerte funerarie, rimanes-sero in deposito fino a chiarimento della questione. Così avvenne parte per amore e parte per forza. Don Fortunati non frappose tempo in mezzo, interpellò il vicario generale mons. Antonio Medici che incaricò di rispondere il cancelliere don Giacomo Pinzoni. Il quale con sua lettera non protocollare riferì come fosse consuetudine della diocesi riservare il diritto ai funerali di un parroco defunto al parroco viciniore, o re-sidente nello stesso comune. La lettera calmò i furori di don Bellini. E lo “spoglio” fu devoluto a totale disposizione di don Fortunati. Avvenne frattanto il passaggio dalla diocesi di Brescia a quella di Mantova. Don Bellini fidando che le costituzioni della diocesi man-tovana fossero favorevoli al suo intento riprodusse la causa del suo preteso diritto al nuovo foro ecclesiastico. Ma ebbe il dispiacere di ricevere decreto contrario il 30 aprile 1785 a firma del vicario gene-rale Carlo Nonio: spettava a don Fortunati quale parroco viciniore

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amministrare i Sacramenti al morente parroco di Birbesi, come di fatto era avvenuto, e gli competeva lo “spoglio” sebbene fosse vica-rio parroco amovibile. Anni dopo la questione si riaccese, lungi dall’essere stata definita una volta per tutte. Nel I8I2 il rettore di Bocchere don Pa-squale Arrisi (don Bellini era stato trasferito a Mariana) con una let-tera del 29 giugno al Fortunati risollevò la “vexata quaestio”. Don Fortunati non si lasciò intimidire e “a costo di uno sforzo del suo naturale carattere pacifico” avrebbe difeso e garantito con la ragio-ne e con la forza la sua competenza e l’avrebbe sostenuta a favore dei suoi successori. La diatriba tornò attuale nel 1825, nel maggio, quando da circa mezz’anno era morto l’arciprete di Cavriana e ancora non era stata raggiunta una decisione circa lo “spoglio” ed elemosine per l’obito di don Turrina. Attori della garbata polemica don Fortunati e il parroco di Solferino Paolo Gaburri. Chi dei due abitava più vicino alla casa del morto? Don Paolo pensò bene di far misurare da due ingegneri la lunghezza della strada che dalla casa canonica di Solferino e dalla canonica di Guidizzolo porta a quella di Cavriana. E ciò senza mira di interesse, solo per conoscere l’esatta distanza. Non era intenzione di don Paolo offendere o recare dispiacere a don Fortunati, agiva solo per curiosità, e perchè l’operazione sarebbe stata di riferimento in altre simili contingenze. E la distanza, minore, risultava favorevole al parroco di Sol-ferino, come facilmente rilevabile dalla perizia. E tutta questa prati-ca per stabilire quale dei due sacerdoti fosse viciniore al parroco di Cavriana. Don Paolo era desideroso soltanto di porre fine a “cosa cotanto rancida” e lo “spoglio” l’avrebbe usato a suffragio dell’Ar-ciprete defunto. Per orientarsi nell’intricata vicenda occorre rifarsi all’anno prima quando don Turrina aveva detto a don Fortunati che a lui più che ad altri apparteneva il diritto allo “spoglio”, al momento della sua morte.

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A causa dell’età avanzata allorchè il “Supremo Padrone” chiamò a sè don Turrina, don Fortunati non si sentì di andare a Cavriana e incaricò di rappresentarlo i parroci di Birbesi e di Castelgrimaldo, e nel caso il funerale fosse stato celebrato da altri, protestassero in suo nome e la protesta fosse scritta nel necrologio. Don Gaburri ri-fiutò di farlo. Don Fortunati ne provò sommo dispiacere, aggravato dal fatto che don Gaburri diede pubblicità alla vicenda. Al vedere poi gli ingegneri effettuare con le catene la misura o lunghezza della strada a Cavriana la gente rideva e si sparsero dicerie indecorose sul conto di don Fortunati. Ma egli scrisse a don Paolo una lettera affettuosa e paterna: “Da altri si dica e si pensi quel che si vuole, da noi si pensi e si faccia quel che conviene. Se io non fossi tanto anziano volerei subito a Solferino per abbracciarla e godere della cara Sua compagnia e far conoscere al mondo che siamo quei confratelli amorevoli che eravamo prima della vertenza accaduta. Anzi venga Lei da me a frugale pranzo nel quale con la presenza di qualche altro confratello si dimostri a tutti la nostra ami-cizia”. Nella diocesi l’annosa questione continuerà ad agitarsi al punto che il vescovo Gianbattista Bellè scriverà ai parroci il 23 maggio 1837 “Le continue querele e le divisioni tra i parroci in oc-casione della morte di uno di loro e che provocano funeste impres-sioni nei fedeli, ci hanno oltremodo amareggiato e spinto alle nostre determinazioni da osservarsi scrupolosamente”. Seguono alcune regole che in sostanza danno la preminenza al Vicario Foraneo.

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NOTE 1 Nell’Atto di morte si legge che il cadavere di Giuseppe, svolte le pratiche di legge, “pro viae commoditate et casus necessitate” fu portato alla chiesa di Birbesi dove furono celebrate le esequie.

2 Sullo “spoglio” o spoglio della cera si erano espressi i Papi Bene-detto XIII nel 1725 e Benedetto XIV nel 1746. Copia dei loro decreti si trovava nell’archivio di don Fortunati.

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“EBBE FAMA DI SCIENZIATO E DI LETTERATO”(A. Bertolotti). Una relazione di curia intorno al 1788 descrive don Fortu-nati “come uomo dotto, zelante, esemplare, sollecito del divin cul-to e di rara pietà”. La sua cultura spaziava non solo nell’ambito delle materie religiose, ma anche in quello delle scienze, dell’ar-te, della storia e della letteratura. Si cimentò anche come scritto-re, ma difficile è ricostruirne la bibliografia, poichè molte sue opere furono interrotte, o sono inedite, mutile, ed altre perdute. Si interessò alla figura della beata Paola Montaldi con l’idea di scri-verne la vita. 1 Fu tra gli associati nel 1827 per la pubblicazione del vocabolario mantovano-italiano di Francesco Cherubini. Con lui il curato don Gianbattista Confalonieri. Tra le opere inedite perchè incompiute rimane il manoscritto “Mantua Sacra” con notizie storiche delle Congregazioni religiose mantovane, e pure inediti i “Documenti spettanti ai preti romiti del-

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la Congregazione di Santa Maria di Gonzaga” da lui raccolti e ar-ricchiti con annotazioni storiche. Questi, in codice cartaceo già custoditi nell’archivio parroc-chiale di San Gervasio sono ora nell’ A.S.D. 2 Di una vita del be-ato Marconi, cui attendeva quan-do fu colto dalla morte, abbiamo solo notizia indiretta. 3

Don Antonio ebbe care e coltivò amicizie assai qualificate. Auto-revoli studiosi lo stimarono e lo consultavano. Forse il Bettinelli fu un suo insegnante. Era corri-spondente di Leopoldo Camillo Volta, l’illustre fondatore della Biblioteca comunale di Manto-va. Presso la biblioteca Teresiana sono conservate 281 lettere indi-rizzate dal Volta a don Fortunati. L’argomento principale è quello della ricerca storica, lo scambio di libri, la corretta interpretazione di antiche epigrafi, la lettura di docu-menti. In una lettera del gennaio 1788 il Volta preferisce l’ipotesi che “Le piacevoli novelle” e “Il giuoco piacevole” siano da attri-buire ad Ascanio Mori da Ceno e non a fra Gervaso Gobbi, o Le-

vanzio da Guidizzolo, come inclinerebbe il Fortunati. Era aperta la discussione. 4 Altro esempio. Nel 1789 il Volta fornisce alcuni chiarimen-

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ti circa l’antica iscrizione guidizzolese del II secolo riguardante il titolo sepolcrale di Marco Servilio che il Fortunati era intenzionato a commentare con uno scritto erudito. Nello stesso fondo della Te-resiana sono incluse 48 lettere del Fortunati, indirizzate a diversi corrispondenti.

“STUDIOSISSIMO DELLA STORIA PATRIA” (B. Arrighi) Avrebbe voluto il Fortunati ripresentare aggiornandolo il vastissimo albero genealogico dei Gonzaga, nel ramo principale e in quelli minori. A tale progetto si accinse con impegno, avrebbe corredato l’albero di notizie, corretto errori. Oltre a rifarsi ad autori del passato, quali il Possevino e l’Agnelli, potè affermare in un suo scritto, una sorta di prefazione, “di aver svisecerato alcuni archivi dei viventi Gonzaga”, attento ad accertare le morti almeno dei pri-mogeniti, ad apporvi un elogio, un epitaffio tolto di sotto ai loro ritratti o sopra alle loro tombe. Minuzie, piccole cose, ma il trovarle e porle al luogo conveniente non è merito di poco conto. Per la lettura delle epigrafi è lo stesso Fortunati a illustrare il metodo da lui seguito. “Con grande sollecitudine mi sono appli-cato a rintracciare tutte le lapidi ed iscrizioni sacre e profane, di avvenimenti e personaggi dei Gonzaga e di altri, le quali servono mirabilmente a dilucidare le Storie e al lettore recano il piacere di rinvenire con più esattezza i tempi dell’edificazione, o dei restauri di una fabbrica, le nascite e le morti di personaggi, l’epoca di me-morabili cose accadute. In questa ricerca non ho io perdonato a fati-ca per rileggerle tutte, non fidandomi se non dei miei occhi per non essere ingannato dagli altri, nonostante fossero corrose dal tempo, o incomode per la loro posizione, o anche astruse per il gotico caratte-re”. Suo maestro nella scienza epigrafica Stefano Antonio Morcelli, abate di Chiari. 5 Nel 1827 don Fortunati pubblicò alcune epigrafi da lui dettate.

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LA LIBRERIA Don Fortunati, sull’esempio del Morcelli, che con tanti anni di studi e risparmi aveva radunata una sceltissima libreria e ancora in vita ne aveva fatto dono al paese di Chiari, lasciò ai guidizzolesi la sua libreria. Nel suo ultimo testamento il 6 luglio 1829 scrisse; “Do e lascio per ragione di legato la mia libreria con li scaffali onde

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sia a beneficio comune, ma però sotto la custodia e cura del Parroco pro tempore della detta parrocchia di Guidizzolo e sot-to la sorveglianza della Fabbri-ceria del luogo”. Una veloce rassegna consente di distinguere tra li-bri di argomento sacro e libri di argomento profano. Tomi di teologia, varie edizioni della Bibbia, i commenti dei Padri, le collezioni di omelie, opu-scoli recanti gli echi di con-troversie e dispute nel mondo ecclesiastico svelano l’uomo tutto d’un pezzo, fedele alla Chiesa, mentre le opere enci-clopediche, i testi di storia, le rassegne letterarie, i libri di scienza e di medicina appartengono all’uomo dotto interessato a varie materie profane. Alcuni volu-mi sono assai pregevoli per rarità o caratteri di stampa. Ci limi-tiamo a citare la “Storia della Letteratura italiana” di Gerolamo Tiraboschi e i libri ‘De stilo inscriptionum latinarum” del Morcelli. La libreria era collocata in una camera con soffitto ad archi nella co-sidetta Abbazia, già abitata dai monaci, abitazione di don Fortunati. Dopo la sua morte seguirono le pratiche di legge per per l’accetta-zione del legato. Venne fatto un elenco dei libri e stimato il loro valore complessivo in Lire austriache 2329,09. Don Benedini in qualità di parroco accettò, per sé, e successori, l’onere della custo-dia della libreria, nella integrità numerica dei volumi elencati il 19 aprile 1836. Si impegnava pure, d’accordo con la fabbriceria, a tro-vare un locale idoneo e sicuro ove collocarla. Forse la casa attigua alla chiesa dei Disciplini, ma l’idea ventilata non ebbe esecuzione e

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anni dopo i libri vennero sistemati nella soffitta della casa canonica di nuova costruzione negli anni 60 dell’800. 6 Dal 2001 i “suoi” libri sono nella nuova biblioteca parrocchiale. Quasi a custodirli lo stesso Fortunati nel ritratto che lo raffigura. Il pittore, anonimo, lo ha rappresentato nell’imponenza di persona dai lineamenti decisi, sguardo fermo, occhi d’aquila. Non si appoggia allo schienale della poltrona riccamente scolpita, ma se ne discosta, in posizione quasi eretta. Tiene tra le mani e mostra un manoscritto con i Salmi. Sul tavolo, ricoperto da un drappeggio insolito decorato di motivi orientali, stanno il campanello, il calamaio, il portapenne, il monocolo, l’anello con il sigillo, il servizio completo per scrivere. Sullo sfondo una scaffa-latura colma di libri, paludata da tendaggio scorrevole. Dal ritratto, di mano sicura e con una scelta determinata dei particolari, emerge un personaggio autorevole, non astratto ma vivo con i “ferri del mestiere” di studioso e di scrittore. Il dipinto reca su cartiglio una scritta latina la cui versione italiana è la seguente: Antonio Ilario Fortunati nato a Moglia di Gonzaga, a 34 anni eletto vicario parroco di Guidizzolo, amò la bellezza della casa di Dio, benefico a molti, e in epoca posteriore furono aggiunte le parole: Caro a tutti i buoni, morì in pace il 24 maggio 1830. Se ne deduce che il ritratto sia stato eseguito su commissione dello stesso Fortunati. Non è noto il nome del pittore.

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NOTE 1 Paola Montaldi nacque a Montaldo, frazione di Volta Mantovana nel 1443. A soli quindici anni entrò nel monastero delle clarisse di S. Lucia a Mantova. Tre volte abbadessa, condusse vita penitente e austera. Mori il 18 agosto 1514. Il suo corpo riposa nella chiesa parrocchiale di Volta Mantovana. 2 La Congregazione dei Padri Romiti di Santa Maria di Gonzaga fu promossa da don Girolamo Redini, ministro e confidente del marchese Francesco Gonzaga, verso la fine del ‘400. Ottennero a Guidizzolo l’Eremo di San Lorenzo. Scrive don Fortunati: “Merita speziale riflesso la circostanza d’ essersi l’Eremo di San Lorenzo conservato in fiore fino a quando si protrasse la presenza dei Pa-dri”. Infatti la Congregazione ebbe vita breve. Gli Eremiti lascia-rono San Lorenzo nel 1578. A.S.D. Relazioni, b.4; A.S.M. carte Portioli b, 8/bis, fasc.2. Nell’ archivio di don Fortunati si trovavano 11 lettere di Girolamo Redini riguardanti la regola della Congregazione da lui fondata. 3 Marco Marconi nasce a Mantova nel 1480. A sedici anni vestì l’abito dei Girolamini nel convento di San Matteo nei pressi del Mi-gliareto. Trascorse nell’Ordine quindici anni nella preghiera, nello studio delle Sacre Scritture, nella mortificazione e nel nascondi-mento. Morì il 24 febbraio 1510. La salma del Beato Marco si trova nella cappella dell’Incoronata nel Duomo di Mantova. 4 Leopoldo Camillo Volta è nato a Mantova nel 1751. Sin da gio-vane si appassiona alla letteratura e alla pittura. Avviato però allo studio delle leggi, conseguì la laurea dottrinale in giurisprudenza. Nel 1776 si recò a Vienna al fine di perfezionarsi nella scienza del diritto. A Vienna contrasse illustri amicizie, tra le quali il poeta cesareo Pietro Metastasio. Il ministro di Maria Teresa barone di Sperges lo incaricò di erigere e di ordinare la Biblioteca mantova-na. Occupò pure incarichi importanti nella vita pubblica, deputato della Cisalpina, ai Comizi nazionali di Lione, 1801, 1802, indetti

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da Napoleone per decidere la Costituzione della Repubblica Cisal-pina acclamata il 26 gennaio 1802. Mori a Mantova nel 1823.Don Gianbattista Casnighi nel 1823 ebbe in regalo da don Fortu-nati un volume con le opere di Ascanio. Don Fortunati aggiungeva alcune memorie e alcuni documenti manoscritti relativi allo stes-so autore. Presso l’archivio di don Fortunati, a cui attinge con frequenza don Carlo Gozzi, era possibile consultare il manoscritto sui principi Gonzaga. Il manoscritto “Vita dei principi Gonzaga”, dopo la lettura, fu dal Gozzi restituito. Per don Casnighi e don Gozzi si rimanda alla bibliografia. 5 Stefano Antonio Morcelli nacque a Chiari, provincia e diocesi di Brescia, il 17 gennaio 1737 da Francesco e Giovanna Rocca. A 14 anni entrò a Brescia nel Collegio dei Gesuiti e dopo due anni mani-festò la volontà di farsi religioso in quella Congregazione. Inviato a Roma frequentò gli studi di retorica, filosofia e teologia. Prese i quattro voti nel 1771, ma sciolta la Compagnia di Gesù il Morcelli a Roma fu ospitato e protetto dal card. Alessandro Albani, che gli affidò la cura della sua biblioteca. Nel 1791 fu chiamato a Chiari a reggere la parrocchia in qualità di prevosto. Il nuovo impegno, svolto con grande sollecitudine non gli impedì di continuare gli stu-di prediletti e la pubblicazione di molte opere dotte di argomento storico e letterario. Già a Roma, nel 1781, aveva pubblicato “De stilo inscriptionum”. All’epigrafia dedicò altri suoi scritti dove il-lustra la tecnica della più elegante e perfetta maniera di comporre iscrizioni. Mori il 10 gennaio 1821. Le sue spoglie mortali, ottenuto il permesso dell’I.R. Governo, furono imbalsamate e deposte presso il corpo della santa martire Agape, per la quale egli ebbe in vita devotissima tenerezza.6 Nell’agosto 1836 l’I. R. Governo approvò il legato della libreria.

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AUSTRIA FELIX Il 29 gennaio 1781 nella chiesa di Guidizzolo il poeta Fran-cesco Antonio Coffani, cancelliere della Comunità, pronunciò un’orazione in morte dell’augustissima Imperatrice Regina Maria Teresa in occasione dei solenni funerali, discorso celebrativo detto con molta enfasi e udito con molta ammirazione. 1 Per tre giorni nel marzo 1790 suonarono le campane in segno lugubre e furono celebrate le esequie a suffragio dell’Imperatore Giuseppe II deceduto il 20 febbraio. Tornarono a suonare all’Ave Maria con suono lugubre le campane per un’ora intera e per tre giorni e si ripetè il rito di suffra-gio per la morte nel 1792 dell’Augusto Imperatore e Re Leopoldo II. Frequenti erano pure preghiere e implorazioni nella guerra inti-mata dai francesi contro l’Austria sia per implorare vittoria sia di ringraziamento per i prosperi successi dell’Impero austriaco e suoi alleati negli anni 1792-1794. Sono gli anni della I coalizione forma-

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tasi contro la Francia rivoluzionaria. Nelle chiese si prega per otte-nere da Dio l’assistenza nei bisogni della guerra che “Sua Maestà il Nostro Pio Sovrano sostiene a difesa della Santa Religione Romana Cattolica, delle Leggi e delle proprietà minacciate dei fedeli suoi sudditi”. Don Fortunati era uomo d’ordine ed eseguiva con scrupo-lo e convinzione questi adempimenti.

UN FATTO D’ORDINE PUBBLICO CON RISVOLTI POLITICI Fin dagli anni ‘60 del XVIII secolo alla Ronda di Giusti-zia della città di Mantova spettava il compito di vigilare e impedi-re attentati notturni, ruberie e altri disordini. 2 Nel 1794 accadde un episodio in sè poco documentato, ma gli atti e i provvedimenti presi dall’Autorità implicitamente lo confermano.Gli avvenimenti della rivoluzione francese erano conosciuti negli stati dell’Impero austriaco. Chi però aderiva o si entusiasmava per gli slogan “Liber-tà Fraternità Eguaglianza” qualora manifestasse i suoi sentimenti incorreva nei rigori della polizia. Alcuni guidizzolesi esaltati (o tra-

viati ?) dalle idee giunte d’Ol-tralpe vennero fermati di notte a Mantova sorpresi ubriachi in abbigliamento egualitario con la coccarda tricolore o seminu-di a cantare e inneggiare alla li-bertà e all’eguaglianza, eccitati anche ad attaccare la Chiesa. Il Delegato di polizia Lu-igi Maria R. li fece arrestare e soggiacere a sequestro perso-nale per sei giorni. La mattina del 24 maggio, dopo esame, li ha liberati con formale precetto per l’avvenire di non molestare alcuno, attendere ai loro rispet-

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tivi mestieri, viver bene e cristianamente, non andare vagando di notte, nè cantare canzoni di qualunque sorta, rispettare la Chiesa e i suoi Sacerdoti, sotto l’irremissibile pena del carcere ed altra mag-giore a norma di legge in caso di contravvenzione o recidiva. Per tentare la loro resipiscenza, qualora la si ritenga possibile, ed essere accertato del loro emendamento li ha precettati sotto la stessa pena a presentare ogni bimestre la fede dei loro costumi redatta dal Par-roco e da un Deputato comunale. E ciò per un anno. Il Delegato informò con lettera don Fortunati perchè quando gli chiederanno tale certificato possa rilasciarlo. I protagonisti del fatto sono nove, dal più anziano Moratti Cesare, 41 anni, sposato con Giacobini Ma-ria, ai giovanissimi Marangoni Giuseppe e Gavarini Giovanni di 18 e 17. Il papà di Giuseppe, Pietro, originario di ricca famiglia mantovana di commercianti, a Guidizzolo era titolare della dispen-sa del sale. Morì a 66 anni nel giugno dello stesso anno 1794. Uomo onesto, mite e paziente nei casi avversi della vita, sopportò le gra-vi “perturbationes” dei figli. L’età degli altri, Gasapini Domenico, Avanzi Giacomo, Simoncelli Stefano, Beltrami Silvestro oscilla tra questi estremi. Don Fortunati li definisce individui sfrenati, atei e materialisti. Ma riserva il giudizio più severo a Giacomo Mutelli e a Leopoldo Zappettini, il primo appartenente a famiglia agiata di professionisti, il padre e il nonno sono notai, il secondo è il discen-dente di antica famiglia che ebbe già il giuspatronato dell’altare di San Giovanni nella parrocchiale. È probabile siano essi la mente, spetti loro il ruolo di capi. Leopoldo era nato nel 1769 e quando il 24 febbraio 1800 sposa in chiesa Levori Pasqua don Fortunati assi-ste o presiede al matrimonio “sebbene malvolentieri” e delega don Luigi Tazzoli a celebrare la Messa e impartire la benedizione nuzia-le con l’augurio che “Dio la confermi e moltiplichi dimentico delle malefatte compiute nell’esecrabile Democratica Repubblica”. E nel 1809 Leopoldo da tempo ammalato ricevette “in qualche modo” gli ultimi Sacramenti. Le sofferenze della malattia, la morte immatura sono viste dal Fortunati quale preclaro esempio della divina vendet-ta per gli spiriti increduli, liberi e indocili.

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Stemma di Francesco II

La Repubblica Cisalpina Stemma di Mons. Trenti

Austria Felix

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NAPOLEONE IN ITALIA Il generale Bonaparte, mandato dal Direttorio francese, scese in Italia nel marzo 1796. Seguirono sei mesi di successi che nessuno avrebbe saputo pronosticare. A metà maggio era già giunto a Mila-no e vi aveva “messo in atto un ingresso degno dei grandi trionfi romani”, entrandovi da Porta Romana su un cavallo bianco, alla testa di un pittoresco corteo di suoi soldati e di prigionieri. Aveva solo 27 anni. In quella primavera e nell’estate l’alto mantovano, per le alterne vicende della guerra e per i vari spostamenti di truppe,fu attraversato da migliaia di soldati francesi e austriaci. Il 30 maggio giunsero a Guidizzolo 16.000 soldati dell’esercito francese, diretti ad assediare la città di Mantova e le popolazioni dovettero pagare il pedaggio di queste temporanee occupazioni militari. Frequenti le requisizioni di fieno e paglia per gli accampamenti, di animali da macellare, di cereali e derrate alimentari, di vino, la consegna for-zata di carri. Dopo la battaglia svoltasi il 3 agosto nel territorio di Casti-glione ai piedi dei colli di Solferino, anche a Guidizzolo si orga-nizzò l’opera di soccorso. L’Oratorio della soppressa Confraternita della SS. Trinità in via di Mezzo fu adattato ad ospedale per i feriti. A un fante tedesco di 50 anni venne amputata la gamba destra. Ma nello stesso ospedale venivano curati anche soldati francesi. Il ca-pitano Giovanni Bulderant, in trasferta da Goito a Brescia accom-pagnando alcuni prigionieri tedeschi, assalito dalla febbre volle fermarsi a Guidizzolo dove fu ricoverato e assistito. Accanto tutta-via ai molti esempi di umana solidarietà, che accomuna francesi e austriaci, la cronaca riporta soprusi e violenze. Nel pomeriggio del sabato 6 agosto una banda di francesi di passaggio a Guidizzolo depredò tutte le famiglie, non eccettuata quella del parroco. E si allontanò dopo aver devastato tutta la zona. La spedizione in Egitto (1798) allontanerà Napoleone dall’Italia per qualche tempo con-sentendo agli Austriaci di riprendere il governo della Lombardia, rifaranno le valigie dopo essere stati sconfitti a Marengo nel giugno 1800. Frattanto tra il 1797 e il principio del 1799 l’Italia andava

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costellandosi di Repubbliche, sotto la protezione della Francia. In Lombardia Bonaparte costituì la Repubblica cisalpina.

MALEDETTA LA CISALPINA Delle mutazioni di Stato don Antonio Fortunati non si mo-stra contento, non forse perchè aborrisca la savia e ragionevole li-bertà civile che per essere favorita dai governi esige prudenza, ma perchè il suo animo è turbato, come ebbe a esprimersi col Morcelli, dal vedere impunemente sovvertite e disprezzate le istituzioni sia civili che ecclesiastiche, pieno il mondo di ribelli e di apostati. E le autorità della Cisalpina a imporre e intromettersi anche nella cose del culto. In nome della Repubblica una ed indivisibile dal Commis-sario del Dipartimento del Benaco nel 24 frimale anno sesto repub-blicano (15 dicembre 1797) venne spedita ai parroci una circolare avente come oggetto la sacra predicazione “primo e più sacro dove-re dei Parroci e dei Vescovi nel culto cattolico. Essa è sempre stata

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esercitata nei primi secoli quando con la più pura morale veniva-no predicati anche i principi della Democratica Eguaglianza.” La circolare prosegue lamentando come invece ora non della buona morale, ma i predicatori trattano di cose politiche, spesso di satire maliziosamente velate contro il Governo. Il Commissario pertanto ingiunge che la predicazione sia fatta dai parroci o viceparroci e solo in caso di necessità, su delegazione del Vescovo, venga affidata ad altro Sacerdote previa approvazione dello stesso Commissario. Non sarà lecito invitare il popolo a fare elemosine nè questue, nè direttamente, nè indirettamente a favore di chi predica. L’11 germinale dell’anno VI repubblicano (1° aprile 1798) il Commissario Monti scrive al cittadino parroco di Guidizzolo: “Mi ha recato grandissima sorpresa l’intendere la scandalosa vo-stra condotta riguardo al predicatore quaresimale. Sono informato che dal pulpito si raccomanda l’elemosina e che la si raccomanda con calore. Immemore degli ordini emanati con la circolare del 24 frimale permettete questo vergognoso abuso in discapito della vera Religione e a danno della popolazione già stata sin ora troppo ag-gravata dalle ecclesiastiche gabelle e requisizioni. Voi vi siete reso responsabile o di negligenza o di trasgressione innanzi alla legge, e a voi viene di nuovo intimato il pronto adempimento di quanto prescritto dalla suddetta circolare. Esaminatela e regolatevi. Salute e fratellanza”. Puntuale ed articolata la risposta del 2 aprile. Don Fortunati non è per nulla sorpreso per l’accusa di negligenza o di trasgres-sione della legge, perchè consente al predicatore quaresimale di raccomandare l’elemosina, e la raccomandi con calore. “Buon per me che siamo in tempi nei quali si fa giustizia alla ragione ,come questo mio popolo acclamò con trasporto tra gli evviva in occasio-ne del solenne innalzamento dell’Albero della Libertà nella passata settimana qui celebrato. 3 E in conseguenza mi giova sperare che questa stessa giustizia verrà pur fatta alla mia ragione approvando la mia condotta”. Secondo l’uso, le offerte raccolte nelle prediche quaresimali, sono sempre state destinate a sussidiare le famiglie più

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bisognose e i poveri sono da sempre uno degli oggetti più teneri e interessanti della sollecitudine del parroco. Non può egli soccorrer-li col suo superfluo, perchè da sei mesi del tutto privo di congrua oppure con le rendite dei legati, perchè da due anni non vengono corrisposte dall’Istituto elemosiniere di Mantova che ne ha i capita-li. Poichè l’Istituto non ha denaro in cassa ritiene, don Fortunati, di non contravvenire alla legge permettendo di raccomandare le ele-mosine destinate chiaramente ai poveri e se il predicatore, il france-scano Bartolomeo Botturi,lo ha fatto con calore è perchè i poveri da soccorrere sono molti. Don Fortunati ha già iniziato la distribuzione delle offerte e continuerà a farlo fino alla Pasqua 16 aprile, senza che un quattrino sia versato a favore del predicatore. Potrà il Commissario certifi-care la verità di queste asserzioni e trovatele sincere non sarà più sorpreso dalla condotta del parroco, trascurerà piuttosto le accuse di persone che “mosse da sola malignità, non certo da patriottico zelo, macchinano per alimentare il disordine e la discordia”. E si sottoscrive col motto “Salute e rispetto”. Nel breve periodo 1799-1800, come già accennato, la II coalizio-ne riporta nel mantovano il governo austriaco. Tutte le conquiste francesi in Italia erano andate perdute, e contro i francesi si sca-tenarono vendette e rancori privati. Scrive don Fortunati: “Con il favore di Dio misericordioso, esauditi i voti dei fedeli, cessata la Cisalpina Repubblica, maledetta da Dio, scomunicata dalla Chiesa, esecrata dagli uomini, tornammo felicemente al faustissimo Impero dell’Apostolica Cesarea Maestà”. E in agosto un solenne Te Deum per essere stati restituiti sotto l’antico dominio austriaco. Alla sera illuminazione e sparo di mortaretti e allegoriche iscrizioni di evviva a Sua Maestà Francesco II. Il marchese Antonio Maffei della Congregazione delegata dello Stato di Mantova il 30 settembre 1799 pubblica un avviso dove invita a festeggiare l’onomastico dell’Imperatore, il 4 ottobre, preceduto da solenne Triduo, “coll’illuminare la sera le abitazioni

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e offrire all’adorabile Monarca, di cui si è sospirato lungamente il ritorno, un nuovo tributo di ossequio e di fedeltà, che sempre più faccia palese la pubblica riconoscenza a quella mano benefica, che l’ha sottratta all’infelice abiezione e allo squallore in cui furono get-tati questa Città e Stato dalla barbarie dei suoi oppressori e ha spez-zate le aborrite catene che strinsero duramente la misera Italia.” La requisizione esorbitante di grano, fieno, vino imposta dal generale Suvarof è ignorata dall’obbligato pubblico tripudio, che però ebbe la durata di pochi mesi. A Marengo il 14 giugno 1800 Napoleone

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MUTAMENTI POLITICI IN LOMBARDIA ALL’EPOCA DI DON FORTUNATILombardia austriaca1796, Napoleone e la prima campagna d’Italia27-7-1797, Fondazione della Repubblica Cisalpina1799, ritorno, con la II coalizione del dominio austriaco1800, 2 giugno, rifondazione della Repubblica Cisalpina ora Repubblica Italiana1802 Napoleone console a vita1804 Napoleone Imperatore1805 Napoleone re d’Italia6 aprile 1814, Fontainebleau, abdicazione di Napoleone. “Rinuncio ai troni di Francia e d’Italia per me e la mia discen-denza”. Napoleone all’isola d’Elba.26 febbraio 1815: Napoleone fugge dall’isola d’Elba: “i cento giorni”22 giugno 1815, dopo Waterloo (18 giugno) II e definitiva abdicazione.5 maggio 1821 Napoleone muore a soli 52 anni nell’isola di S. Elena.1814-1815: con il congresso di Vienna e la Restaurazione il Regno Lombardo-Veneto fa parte dell’Impero Austriaco. Un arciduca con il titolo di Vicere vi rappresenta l’Imperatore.

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sconfisse gli austriaci e di nuovo si ripetè l’occupazione francese con la ripresa della Repubblica Cisalpina. Rievocare pure in suc-cinto tanti bruschi e rapidi mutamenti pone un interrogativo. Come comportarsi con coerenza al cambio di governi, di indirizzi politici, come non compromettersi? Don Fortunati è parroco e non può uscire di scena, nè starse-ne appartato. E con la Cisalpina il rapporto fu burrascoso.

MALEFATTE FRANCESI E UN SACRILEGIO Requisizioni di scorte e granaglie, saccheggio di case, alloggi forzati di militari sono le malefatte dei francesi. A Guidizzolo alcuni uomini furono costretti ad arruolarsi nell’esercito gallico. Una donna, Benati Angela, moglie di Bicelli Giovanni Battista, impazzì a causa “della paura della nefandezza militare francese” e morì nell’ospizio attiguo al convento di S. Maria delle Grazie presso Mantova. I sacer-doti non si recavano a casa degli ammalati e i funerali si celebravano in forma privata e di fretta, non essendoci alcuno che li accompagnasse. Un venerdi, il 19 dicembre, “circa le nove notturne, al ritorno dell’esercito gallico, furono presi da terrore tutti gli abitanti, nel momento che quasi tutte le case furono devastate e spogliate alla maniera dei barbari, non eccetuata la casa parrocchiale cinque volte ripetutamente assalita e saccheggiata”. A quella razzia seguì la notte del 20 un furto sacrilego nella chiesa. Alcuni predoni dell’esercito francese, comportandosi da pa-gani, dopo aver infranto le porte della chiesa, penetrarono in essa e rotta sull’altare maggiore la porticina del Tabernacolo, asportarono tutto ciò che in esso era conservato, e precisamente il SS. Sacra-mento, sia nell’Ostia grande per la Benedizione, sia nelle partico-le consacrate. Il mattino le particole vennero ritrovate dove erano state gettate da mano sacrilega nella pubblica via fuori le mura del Cimitero sopra un mucchio di sassi. Don Fortunati le raccolse con reverenza e le bruciò col fuoco poichè si erano guastate a causa dell’umidità. Napoleone si avvia dal Consolato all’Impero.

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Non per questo cessano i soprusi incontrollati o incontrolla-bili. Ignazio Geminiano nasce dalla violenza di un soldato francese subita da una ragazza venuta dalla provincia di Reggio Emilia a Guidizzolo nel 1801 nella “stagione dei bachi” a sfrondare le foglie dei gelsi. Il bambino, nato alla corte Ridello il 31 gennaio 1802, viene battezzato da don Fortunati il primo febbraio e subito dal Comune fatto portare al Brefotrofio di Mantova. Nonostante gli inni sperticati alla libertà, non era consentito esprimere giudizi difformi dalla linea ufficiale e chi osasse farlo ve-niva censurato e punito. Don Fortunati lo fece schiettamente in più circostanze, tanto che nel marzo 1801 gli fu comminata una multa, una tassa a suo modo di vedere eccessiva, di cento lire milanesi da pagare entro tre giorni a motivo di opinione, come dice la lettera verbale, “a causa di idee in disaccordo con quelle moderne”. Ana-loga disavventura accadde al prevosto di Castelgoffredo e ad alcu-ni reggenti comunali chiamati alla pretura di Castiglione al fine di giustificarsi perchè denunciati come “Nemici del governo francese, aristocratici e persone vendute ai Tedeschi”. Vennero rilasciati quali onesti cittadini, ma non esonerati dalla tassa d’opinione che dovet-tero pagare entro quindici giorni nella somma di due Luigi d’oro a testa.

DON GIUSEPPE AMADORI E I DEPORTATI DELLA CISALPINA Il 14 e il 15 febbraio 1799 si svolse a Mantova la festa dell’Al-bero della Libertà. Tra i presenti al rito simbolico vi è il sacerdote don Giuseppe Amadori, curato a Montanara. Era nato a Guidizzolo il 12 aprile 1743 e, stando alle memorie di don Fortunati, benchè educato e istruito religiosamente, divenne sacerdote senza vocazio-ne e condusse una vita incorreggibile attraverso le circostanze più varie. La sola nota positiva era che diceva la Messa devotamente e a voce chiara. Al profilarsi della reazione austro-russa la sorte mutò segno per lui e per gli altri simpatizzanti giacobini. Nell’estate

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gli Austriaci assediarono e occuparono Mantova. La popolazione scatenò vendette contro i filofrancesi. L’Autorità pur intervenendo a frenare gli eccessi istruì processo contro gli ex giacobini. I loro nomi sono noti come Deportati Cisalpini. I condannati furono condotti a Verona. Incatenati a due a due marciarono in colonna per andare a imbarcarsi sull’Adige. Da Venezia, stanchi e affamati, giunsero in Dalmazia e a Sebe-nico chiusi in un orrido carcere sotterraneo, dove febbri violen-te colpirono anche i più robusti. Trasferiti a Petervaradino con-fusi con condannati per delitti comuni, trascorsero i mesi della prigionia tra durissimi stenti. Con la pace di Luneville (1801) Napoleone ottenne da Francesco II la liberazione dei deportati re-pubblicani (non tutti erano sopravvissuti) e don Amadori potè ri-tornare a Mantova dove però, non riprese il ministero sacerdotale. Questa breve cronaca, che sembra tratta da “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, l’avesse conosciuta non avrebbe commosso don For-tunati. Il suo giudizio, impietoso, sul prete spretato rimane deci-samente severo. Alla morte di Giuseppe, poverissimo, il 15 aprile 1814, lapidario il commento: “Quale visse tale morì. Chi vive male, male muore”. 4

NAPOLEONE IMPERATORE E RE D’ITALIA Nel 1804 Napoleone mediante un plebiscito si fece con-ferire il titolo di Imperatore dei Francesi con diritto ereditario e l’anno seguente il 26 maggio ebbe luogo nel duomo di Milano l’incoronazione a Re d’Italia. E per l’atteso felice avvenimen-to l’orazione “Defende quaesumus Domine” ogni volta che si darà la benedizione del SS. Sacramento e la colletta “Pro Rege” il giorno di Pentecoste e per tutta l’ottava. Il celebrante starà rit-to davanti all’ultimo gradino dell’altare. Questo l’ordine impartito dal vescovo Pergen a mezzo del Vicario Generale mons. Zecchi. “Dio onnipotente per la prosperità d’Italia le ha ridonata la corona nella persona dell’invittissimo Napoleone il Grande, Monarca delle

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Gallie, il quale l’ha riposta sul capo dell’ amato figlio della diletta consorte Giuseppina”. Nel dicembre 1806, l’amabile sposa del Vicerè Eugenio Be-auharnais è in attesa di un figlio. Fervide preghiere e voti per un parto felice, cui seguirà il Te Deum alla nascita del bambino nel marzo 1807. La sposa di Eugenio è Amalia Augusta di Baviera e per sua Altezza la Viceregina si ripeteranno le preghiere nel 1808 e nel 1810 a Dio che “si è degnato di fecondare il talamo dei Principi imperiali Eugenio e Amalia”. Dopo la morte del vescovo Pergen (1807) è il Vicario capi-tolare, mons. Trenti, a impartire ordini perchè nelle chiese si preghi per il Grande Napoleone I e per il principe Eugenio “nostro clemen-tissimo Vicerè. Essi ne sono meritevoli perchè si occupano con tan-to zelo nel conservare il buon ordine, nell’amministrare la giustizia, nel promuovere il pubblico bene”. Così il 27 febbraio 1808. Alcuni parroci dissentono meravigliati che Napoleone da ge-nerale repubblicano, fatto console, quindi Imperatore, abbia sepolto ogni repubblica con la erezione del Regno d’Italia, composto da cir-ca sei milioni di sudditi. Con Ferrara e Bologna rubate alla Chiesa e umiliato il Papa. I francesi portarono in Italia vandalismi e immo-ralità. E come denunciato dal Prefetto in alcune chiese della diocesi si omettono le pubbliche preci per Sua Maestà l’Imperatore e Re. Il richiamo di mons. Trenti a mezzo dei Vicari foranei indusse o illuse il prefetto a pensare che tutti avrebbero obbedito “risparmiando a lui il dispiacere di fare rapporto al governo delle trasgressioni di qualcuno”. Non è da escludere che don Fortunati fosse tra i dissenzienti, ma è poco probabile perchè nel Regno d’Italia napoleonico vedeva ripristinati alcuni valori a lui cari, come la forza delle leggi. La parola Regno gli è assai più congeniale che non la parola Re-pubblica. 5

IL RE DI ROMA Adesto Domine… ascolta, Signore, le nostre suppliche per il

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felice parto della tua serva l’Imperatrice Maria Luisa e nostra Regi-na e con l’intercessione della beata e gloriosa sempre Vergine Maria concedi la grazia che imploriamo. La sera del 23 marzo 1811 furono suonate tutte le campane su ordine governativo per la nascita del Re di Roma, figlio di Napoleone e di Maria Luisa d’Austria. Mon-sieur, madame tornano in uso, vanno scomparendo i rivoluzionari cittadino, cittadina. L’impetuoso spirito francese aveva rovesciato la vecchia monarchia, aveva sperimentato il governo popolare, un esperimento che aveva portato all’ascesa del generale Bonaparte e all’espandersi nel continente del dominio francese. Quello spirito ha fatto il suo tempo, ora c’è voglia di ordine. La domenica 9 giugno don Fortunati battezza un bambino. Napoleone è il nome scelto dai genitori. Alla stessa ora con rito so-lenne da tramandare a perpetua memoria, a Parigi viene battezzato il figlio di Napoleone, baluardo del trono e difensore della Chiesa, centro e perno del mondo. Tanta enfasi dalla penna di don Fortunati non stupisce. Tre anni prima, nel 1808, a Mantova per volere del Vicerè era stata istituita una parrocchia castrense, con sede nella chiesa di San Maurizio e dedicata a un fantomatico San Napoleone martire. In quegli anni molti genitori sceglievano il nome di Napo-leone per i loro figli. 6

“IL RITORNO DI ASTREA” Napoleone rientrato dalla disastrosa campagna di Russia e sconfitto a Lipsia (ottobre 1813)rinunciò incondizionatamente nell’ aprile del 1814 ai troni di Francia e d’Italia. Un’insurrezione po-polare scoppiata a Milano contro i francesi, durante la quale venne assassinato il ministro delle finanze Giuseppe Prina, fornì pretesto all’Austria per occupare (o riprendersi) la Lombardia annettendola al suo impero. Don Fortunati era informato degli avvenimenti dalla “Gazzetta di Milano”. Il 25 maggio il conte Enrico di Bellegarde, commissario plenipoteziario nelle province del cessato Regno d’Ita-lia già appartenute alla Lombardia Austriaca compreso il territorio mantovano, emana da Milano un proclama, dove conferma provvi-

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soriamente gli organismi esistenti per l’ordinaria amministrazioe, mentre dichiara cessata l’attività del Senato, del Consiglio di Stato e dei Collegi Elettorali e proibisce a quanti ne facevano parte riunioni o congressi che non potranno essere giustificati da qualsiasi causa o titolo. E il 27 settembre dalla Curia mantovana arriva al clero e al popolo un Avviso: “Il prossimo 4 ottobre mentre richiama l’annuale festa di San Francesco rappresenta pure alla nostra mente la persona dell’Augusto nostro Sovrano, che ne porta il nome; quel nome, che tra gli evviva di esultanza sincera risuonò su tutte le labbra nella cir-costanza lietissima del nostro ritorno sotto il suo paterno dominio”. Seguono le disposizioni pratiche per la Città e le parrocchie forensi e cioè il suono delle campane e il canto del Te Deum, con tutto l’apparato della pompa religiosa come desidera e come si è espres-so il conte di Bellegarde con il Vicario Capitolare mons. Trenti. Come la gente comune reagisse al frequente invito alla preghie-ra per i governanti è difficile dire. Certamente un affetto schietto legava i sudditi ai principi, gioie e lutti di questi erano condivisi con una immediatezza che oggi ci sorprende, ma che era palese in

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quell’epoca. C’è da aggiungere che il popolino era curioso di matri-moni, nascite e molto indulgente sulla condotta morale dei potenti di turno. Nella frazione guidizzolese di Rebecco il 10 settembre fu celebrata una solenne funzione eucaristica poichè grazie agli Illu-strissimi Imperatori uniti “sanctissimo foedere”, cioè una santa alle-anza, dopo che furono distrutti i vestigi della gallica tirannide, cessò la guerra, e all’Italia furono ridonate serenità e pace. Purtroppo la festa fu funestata da una disgrazia mortale. Bignotti Luigi, giovane di 25 anni e sposo da pochi mesi, mentre lavorava a decorare con festoni la facciata della chiesa fu colpito da una pesante trave caduta accidentalmente. Soccorso e portato in una casa vicina gli fu ammi-nistrata appena in tempo l’Estrema Unzione. Il riassunto degli avvenimenti politici, come appare nel ca-pitolo che qui si conclude, ha lo scopo di illuminare il pensiero di don Fortunati, cresciuto sotto l’Impero austriaco, avverso alla Re-pubblica Cisalpina, più disponibile nei confronti del Regno d’Italia e dell’Impero napoleonico e felice del ritorno dell’Austria. Gli anni della Restaurazione coincidono con l’ultimo periodo della sua lun-ga vita.

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NOTE 1 Francesco Antonio Coffani (Guidizzolo 1751, Castiglione Stv. 1788) notaio e cancelliere della Comunità, poeta arcade, amicissi-mo del Fortunati che di Francesco serbò sempre “dolce memoria”.2 A.S.M. Archivio Gonzaga, Mandati 1765-1767 b. 138 3 “Ecco l’arbor trionfale / A cui scritto intorno sta / In carattere immortale / Eguaglianza e Libertà”. Si ballava e cantava la car-magnola.4 Un libro ora introvabile e pubblicato a Mantova prima della II guerra mondiale esaltava i deportati cisalpini per le sofferenze pa-tite in prigionia. In clima di acceso nazionalismo la propaganda di quegli anni, con una forzatura dei fatti, intendeva legittimare le mire italiane sulla Dalmazia. Ventisette i mantovani reduci dalla prigionia e i loro nomi sono incisi su una lapide murata nell’atrio comunale di Via Roma a Mantova.5 Durante il Regno d’Italia l’emancipazione degli Ebrei, la riduzio-ne dei privilegi feudali, il codice civile, l’istituzione dei licei sono provvedimenti o riforme innegabilmente positive. 6 Il 6 giugno Napoleone proclamò il 15 agosto, giorno del suo com-pleanno, festa di San Napoleone. Ebbe a dire, tra il serio e il faceto, “San Napoleone mi deve molto, e dovrebbe però fare il massimo per me quando sarò nell’altro mondo. Poverino, prima di me nessu-no lo conosceva, tanto che il suo nome neppure appariva nei calen-dari.” Al ritorno dell’Austria la parrocchia militare fu soppressa.Il 6 giugno 1811 il sindaco di Guidizzolo Gianbattista Fantolini invita la fabbriceria a predisporre il Te Deum per la domenica 9, giorno del battesimo del Re di Roma, per manifestare devozione “all’augustissimo nostro Monarca”. L’inno ambrosiano sarà can-tato anche il 7 maggio 1812 nell’anniversario dell’incoronazione di S. M. Napoleone Imperatore e Re. All’alba una salva di artiglie-

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ria annuncerà la ricorrenza memoranda. Così il 15 agosto 1812 e 1813, con l’intervento di sindaco, amministratori, consiglieri, uffi-ciali della Guardia Nazionale. Fu vera gloria? Risponde Pasquino, alla morte di Napoleone: “Fu genio onnipotente, / fece tremare il mondo: / ora è sparito in fondo / all’abisso del niente: / ed è morto di male, / è morto tale e quale / come muore un ciociaro / un papa o un pifferaio”. Abbandonato e dimenticato. Maria Luisa la sera, ap-presa la notizia, si recò ugualmente al lirico di Parma ad ascoltare “Il barbiere di Siviglia”.

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APPARATI DOCUMENTARI

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SUPPLICA 1790: Il Clero, i deputati comunali e il Popolo al reverendo signor Vicario don Fortunati

Il Clero, i Deputati comunali e il Popolo tutto di Guidizzolo non potendo soffrire la perdita che sono per fare di vostra Signoria illustrissima destinata per disposizione di mons. Vescovo ad abban-donare questa Parrocchia per passare al governo di quella di S. Leo-nardo di Mantova, ricordevoli dell’ ottima cura che ha sempre avuta della santa Casa di Dio, della carità e zelo usato nell’ammaestrare il suo gregge e nel procurare sempre la buona unione e la carità frater-na, dell’aver fatto e procurate larghe elemosine per il maggior deco-ro della Chiesa e per il soccorso dei poveri e di tante altre generose e singolari sue azioni, che fece loro concepire il più sincero e forte amore verso di Lei, si presentano supplichevoli affinchè si degni, per quanto possa da Lei dipendere, a non abbandonare il governo della sua fedele parrocchia.

PROCURA 1790: don Antonio Fortunati, vicario della chiesa parroc-chiale di Guidizzolo costituisce come Procuratore don Gaetano Bregantini, vicario economo della vacante chiesa di S. Leonardo in Mantova. Don Bregantini è delegato davanti alla Curia vescovile a di-chiarare che don Fortunati rinuncia “liberamente e spontaneamente, senza riserve e condizioni, alla nomina di Parroco della chiesa di San Leonardo graziosamente data dal Vescovo mons. Pergen il 16 giugno 1790, rinuncia inviata anche per iscritto”.

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EPIGRAFI DETTATE DA DON FORTUNATI

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Già nell’antica casa Parrocchiale

AETERNITATI SACERQUOD

ALOJSIUS CARD (INALIS) VALENTIUS PATRICIUS MANTUANUSCESAREAE ARCHIEP(ISCOPUS) OBITIS LEGATIONIBUS

APUD HELVETIOS ET IN HISPANIA DOMUMRESTITUTUS HEIC PRIVATIM PUEROS PUELLASQUE

POSTQUAM POPULUM IN AEDE SANCTORUM PETRI ET PAULIAPOSTOLORUM) SOLEMNI RITU CHRISMATIS

SACRAMENTO CONFIRMAVIT XVII KAL(ENDAS) OCT (OBRES)MDCCLXXVII. INVITANTE JOANNE NANIO ANTISTITE BRIX(IENSI).

PETENTE ANTONIO HILARIO FORTUNATO EIUSJDEM AEDISVICARIO PAROCHO,

QUI TANTAE PIETATIS MEMORAE(TERNAM) M(EMORIAM) P(OSUIT)

Imperituro e sacro il fatto che / il Cardinale LUIGI Valenti, Patrizio mantovano e Arcivescovo di Cesarea / tornato in patria dopo aver assolte le ambascierie in Svizzera e in Spagna / qui il 15 settembre 1777 / nella chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo / a proprio nome confermò con rito solenne il popolo adulto, fanciulli e fanciulle / con il Sacramento della Cresima. Su invito del Vescovo di Brescia Giovanni Nani e su richiesta di Antonio Ilario Fortunati Vicario Parroco della medesima chiesa, il quale memore di così grande benevolenza pose (questa) eterna memoria.

Luigi Valenti Gonzaga, come già lo zio card. Silvio, Segreta-rio di Stato di Papa Benedetto XIV, percorse una bril1ante carriera diplomatica al servizio della S. Sede e ricoprì incarichi di Curia a Roma. Don Fortunati cogliendo l’occasione del cardinale ospite della madre, Francesca, a Castelgrimaldo, lo invitò ad amministrare la Cresima nella chiesa di Guidizzolo. L’evento fu preparato con cura e coinvolse i paesi vicini. I cresimati furono 126, dei quali 52 di Guidizzolo e 74 di parrocchie vicine, adulti, adolescenti e ragazzi.

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Nella chiesa di Castelgrimaldo è murata una lapide in cui si legge:

ALOJSIO VALENTIO GONZAGA S.R.E. CARDINALI

MANTUA QUOD

EX LEGATIONE HISPANICA IN CASTRUM GRIMOALDUM

APUD FRANCISCAM MATREM DULCISSIMAM SACRO FACTO

XVII KAL(ENDAS) OCTOBR(ES) MDCCLXXVII EUCHARISTIAM POPULO MINISTRAVIT

VINCENTIUS RAPHANINIUS ARCHIPR(ESBITER) BENIGNITATIS RELIGIONISQUE

EIUS MONUMENTUM SEMPITERNUM

A Luigi Valenti Gonzaga, Cardinale di Santa Romana Chiesa, poi-chè dall’ambascieria in Spagna venendo da Mantova a Castelgri-maldo dalla madre carissima Francesca il 15 settembre 1777, dopo la celebrazione della Messa, amministrò l’Eucarestia al popolo, l’Arciprete Vincenzo Rafanino (pose questo) sempiterno monumen-to della sua devota cortesia.

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Il popolo guidizzolese solennemente trasferiva a questo altare a lei dedicato, il 10 aprile 1780, il simulacro dell’Immacolata Vergine Maria, proposto al culto dalla confraternita del SS. Sacramento venerato dalla fede del popolo per le grazie ricevute10 aprile 1780

L’iscrizione ricorda il trasferimento a nuovo altare di un’im-magine o statua della Madonna Immacolata, dopo tre giorni di fe-steggiamenti e al termine di solenne processione. Un sonetto e un componimento in forma di egloga, composti dal poeta concittadino Francesco Antonio Coffani, e una relazione di don Fortunati ricor-dano pure l’avvenimento.Dipinta su lavagna.

IM = IMAGINISVIRG = VIRGINISP = POPULUSG = GUIDITIOLENSIS

Esistente nella chiesa Parrocchiale

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Il 15 Gennaio 1796il venerabile corpo della santa martire Agapeche da Roma veniva trasportato a Chiarifu accolto devotamente in questo luogo.

L’abate Morcelli, prevosto di Chiari, dotto epigrafista e cor-rispondente del Fortunati, ottenne per la propria chiesa dal Papa Pio VI l’insigne reliquia della martire Agape. Questa santa è ricor-

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data nella “Bibliotheca Sanctorum” con poche e incerte notizie. In quegli anni a Roma erano in corso grandiosi lavori di scavi nella catacombe e molte reliquie di martiri venivano richieste dalle varie chiese. Sulla autenticità di parecchie è lecito il dubbio e Agape po-trebbe essere un nome fittizio. Esso significa umiltà o carità e anche convivialità. Don Fortunati, amico del Morcelli, fece sostare la reliquia a Guidizzolo, compiendo, per sè e per la sua comunità, un atto di devozione, che volle tramandare con un’epigrafe. Il luogo indicato è la casa Guarnieri, attigua alla Chiesa dei Disciplini in via di Mezzo, dove la lapide rimase fino agli anni ‘60 del Novecento, quando a motivo della ristrutturazione del caseggia-to, venne affidata alla Parrocchia. Sulla santa martire Agape il Morcelli pubblicò un opuscolo.

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Espiate la colpe dei defunti con la vittima di salvezzaa favore di ognuno offerta quotidianamente e in perpetuosu questo altare maggiore sarà lucrata l’indulgenza(concessa) da Pio VI ponteficemassimo comeda suo rescritto del 23 novembre 1799 dato a Firenzedove ahimè! cosa nefasta, era tenutoprigioniero daifrancesi.

L’iscrizione sembra incontrare tre incongruenze di carattere storico: Florente può essere inteso Firenze? È corretta la lettura di XBIAS con decembres? La data del 23 novembre 1799 è accettabile?Il Papa Pio VI (Angelo Braschi) dal marzo 1799 si trovava in Fran-cia, deportato nella fortezza di Valence, dove morì il 29 agosto. Il successore Papa Pio VII (Barnaba Chianamonti) fu eletto soltanto nel marzo 1800 a Venezia dove si svolse il conclave. Pertanto la sede papale nel novembre 1799 era vacante. Se per Florente si in-tende il locativo Florentiae il rescritto potrebbe essere stato redatto a Firenze dove Pio VI, costretto dai Francesi ad abbandonare Roma fin dal febbraio 1798, era stato trattenuto dieci mesi nella Certosa.L’iscrizione, dipinta su tavola di legno, era appesa in alto a sinistra dell’arco maggiore del presbiterio, demolito negli anni 1969-70.

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Essendo stati recuperati i diritti del presbiterio e dell’altare mag-giore della Chiesa parrocchiale e restituita all’originaria autono-mia la legittima autorità del suo Arciprete, venuti meno in circa tre-cento anni per la discordia dei padri e la prepotenza dei (monaci) beneficiari, il Clero e il Popolo di Guidizzolo nell’anno 1804 fatti consapevoli per ispirazione divina del voto realizzato, a ragione lieti ed esultanti posero (questo) eterno monumento

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Di questa iscrizione esistono tre versioni, una, a stampa, dell’abate Morcelli, la seconda, conservata in Archivio parrocchia-le, con qualche intervento di don Fortunati, la terza, con ulteriori modifiche, corrisponde al testo definitivo. È presumibile che don Fortunati si sia rivolto all’amico Mor-celli, dotto epigrafista, e che successivamente abbia ritenuto di ap-portare qualche modifica. Un esame critico delle tre versioni le mette a confronto. Al generico “guiditiolenses” don Fortunati ha premesso “ne-ocori et municipes” unendo comunitià religiosa e civile. Ha spe-cificato come l’area presbiterale fosse di pertinenza dei monaci olivetani, mentre la manutenzione della chiesa era a spese dei par-rocchiani. Senza negare le discordie “dei padri” ha voluto evi-denziare la prepotenza dei monaci descritti come “diacathocori”, che godevano cioè delle rendite del beneficio parrocchiale e trascu-ravano a volte la cura pastorale. Per comprendere queste sottolineature occorre ricordare come don Fortunati per circa trent’anni, dal 1772, era stato Vicario Parroco, mentre titolare della parrocchia continuava a essere l’abate di S. Maria del Gradaro di Mantova. Il tono dell’iscrizione espri-me l’orgoglio di don Fortunati che fu capace di pilotare, non senza traumi, la difficile lunga transizione dal governo olivetano al clero secolare, sostenuto e in linea per altro con le direttive del vescovo Pergen. L’iscrizione, dipinta su tavola di legno, era esposta a destra dell’arco maggiore del presbiterio.

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Mons. Giovanni Battista De Pergen, vescovo di Mantova dal 1770 al 1807, seguì con grande prudenza il passaggio della cura d’anime dai Monaci Olivetani al clero secolare nella persona di don Antonio Ilario Fortunati, prima Vicario parrocchiale e quindi Parro-co col titolo di Arciprete (1804). L’iscrizione si trovava nella demo-lita sagrestia sulla porta che immetteva nel coro ed era sovrastata da un busto raffigurante lo stesso vescovo.

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Entrando e uscendoricordatevi di Luigi Maltinibenemerito Rettore di questa chiesachecaro agli amici, benefico ai poveri, avverso a nessunomorì il 5 settembre nell’anno della salvezza 1813all’età di 84 anni e mesi 4.

Luigi Maltini nacque a Birbesi nella corte Maltini. Fu Rettore del-la parrocchia natia dal 1784 al 1813. Il necrologio riassume così la sua vita: “fu sacerdote di intensa preghiera, povero tra i poveri, caro agli amici, utile a molti, avverso a nessuno”.Scritto di pugno da don Fortunati il necrologio coincide con il testo dell’epigrafe. Se ne deduce che don Fortunati è pure l’autore del testo epigrafico.Don Maltini fu sepolto il 6 settembre fuori la porta minore della chiesa, luogo da lui indicato nel testamento, così come la volontà di collocare l’epigrafe in marmo sulla parete della chiesa, dove ancora oggi si trova.

B.M. = Bene merentisSeptembr = Septembribusann = annosal = salutisAet = AetatisS = SuaeM = Menses

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Già nella chiesa parrocchiale di Guidizzolo

AD PERPETUAM REI MEMORIAM MONACHI OLIVETANAE FAMILIAE MANTUANAE

OLIM CURIAE HUIUS CUM BONIS DOTALIBUS DIACATHOCHI AEQUO AN IURE INIQUO - DEUS SCIT -

TABELLAM HAC IN FRONTE DEPICTAM JUS EORUM OSTENTANTEM EXTRA FINES

COLLOCAVERANT PRO CERES MUNICIPII FACTI NOVITATE AFFECTI JUS PROPRIUM FORENSE ACTIONE FELICI EXITU

VINDICAVERUNT TABELLAQUE INDE REMOTA SIMULACRUM SERVATORIS CRUCIFIXI

AUGUSTISSIMUM ANNO M DCC XVIII POSUERUNT. QUOD VETUSTATE CORRUPTUM IN MELIOREM FORMAM REDUCTUM

ET RITE PIATUM ANNO SALUTIS M DCCC XX PIO VII PONTIFICE MAXIMO

ECCLESIAE MANTUANAE SEDE IAMDIU VACANTE ANTONIO ILARIO FORTUNATI OCTUAGENARIO CURIONE

NEOCORI ACTUALES FRANCISCUS BERNARDINI MUTI, JO. BAPTISTA FRANCISCI SARACENI, PAULUS FRANCISCI TONOLI

REPOSUERE

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I monaci Olivetani della Congregazione mantovana / un tempo titolari di questa parrocchia e dei beni dotali della stessa - secondo giustizia o ingiustamente - lo sa Dio - / avevano collocato sull’arco maggiore una tavoletta dipinta / che vantava il loro (pre-sunto) diritto fuori dei confini (del presbiterio). I maggiorenti del Municipio / stupiti della novità del fatto/ con un’azione legale dall’esito felice / rivendicarono il proprio di-ritto. Pertanto nell’anno 1718 / dopo aver tolta la tavoletta / po-sero (sull’arco maggiore) l’augustissima immagine del Salvatore Crocefisso. Poichè il medesimo coll’andar del tempo era rovinato lo ricollocarono restaurato a forma migliore / e benedetto secondo iI rito nell’anno della salvezza 1820, durante il pontificato di Pio VII, Pontefice Massimo vacante da tempo la sede della chiesa man-tovana / essendo parroco l’ottuagenario Antonio Ilario Fortunati e fabbriceri in carica Francesco Muti (figlio) di Bernardino, Giovan-battista Saraceni di Francesco e Tonoli Paolo di Francesco. L’area presbiterale era di pertinenza dei monaci, mentre la navata con le cappelle laterali era di spettanza della comunità.

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TESTI EPIGRAFICI ATTRIBUIBILI A DON FORTUNATI

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D. PETRO

ANTIQUO LOCI CUSTODI AEDEM RANC SACRAM

SERVIS B. M. V. ASSIGNATAM HIS DEIN AD D. ALOYSII TRASLATIS

IN ALIOS USUS CONVERSAM PROFANATAMQUE JO. BAPTISTA PALEA

P. P. REDEMIT QUAM

VETUSTATE DEFORMATAM ET FATISCENTEM UTI DIVINO CULTUI REDDERETUR

IN ELEGANTIOREM FORMAM AB INCROATO REFICIENDAM

CURAVIT

D. SS. C. ANNO 1800

Questo tempio sacro - al Divo Pietro, antico custode del luogo, - as-segnato ai Servi della Beata Maria Vergine, - poi, dopo che questi vennero trasferiti nel Convento di S. Luigi - convertito in altri usi e profanato - Giovanni Battista Paglia - redense - e procurò che esso - per l’antica età deformato e cadente - in più elegante forma - fosse da capo rifatto - per essere restituito al culto divino - D. SS. C. - Anno 1800.

Sulla facciata della Chiesa di San Pietro a Castiglione delle Stiviere

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MARTA E TANAE GONZAGAE ALOYSII ILLIUS SANCTI

MATRIS O. VI KAL. MAIAS MDCV

O. H. SS. QUAE

IN TEMPLO MARIANO FF. FRANCISCALIUM LN OBSCURO LOCO PRIMUM HUMATA

ERUTA INDE FUERE ET IN DECORO DEPOSITA ANNO MDCC LXIII

POSTREMUM TEMPIO ILLO HEU EVERSO PER CULTORES ALOYSIANOS

HUC TRANSLATA SUNT XI KAL. JUN. MDCCCIV

O = obiit O = ossa H = hic SS = sita sunt

Di Marta Tana Gonzaga - madre dell’inclito San Luigi - morta il 26 aprile 1605 - riposano qui le ossa - che - nel tempio mariano dei Frati Francescani - in un oscuro luogo prima sepolte, vennero di là esumate e deposte in altro luogo decoroso - l’anno 1763 - infine - essendo ahimè! stato abbatuto quel tempio - qui furono trasportate - per opera di (alcuni) devoti a San Luigi il 22 Maggio 1804.

Castiglione delle Stiviere: nel Duomo di fronte al Presbiterio

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Santuario dedicato al santo sepolcro di nostro Signore Gesù Cristo Redentore / che / dopo la soppressione della Famiglia ago-stiniana / essendo rovinata dal tempo e (poi) del tutto demolita la chiesa di Maria Annunciata Madre di Dio / da una cappella attigua alla stessa / gli abitanti di Medolle / lieti trasportarono insieme con le figure adoranti / al patrio tempio parrocchiale nell’anno 1808 / e ornarono con nuovo magnifico culto nell’anno 1826 / quale devoto ossequio e protezione / per sè, i figli e i posteri.

La chiesa e il convento dell’Annunciata risalgono alla IIª metà del XV secolo. Il convento fu soppresso e indemaniato da Giuseppe II nel 1782. Il Sepolcro, in figure al naturale, in legno e stucco, (opera attribuita al Modanino), venne portato nella chiesa parrocchiale di Medole nel 1808, quando chiesa e convento furono messi all’asta.

Medole: chiesa parrocchiale, nella cappella del compianto

SACRUM SEPULCRO . AUGUSTO

D. N. IESU . CHRISTI. REPARATORIS QUOD

FAMILIA . AUGUSTINIANA . DISSOLUTA ET . ECCLESIA . MARIAE . DEIPARAE . ANNUNCIATAE

VETUSTATE . DIRUTA . ET . PLANE . EVERSA EX . CELLA . EIDEM . ADICTA

UNA . CUM . SIGNIS . ADORANTI BUS INCOLAE . MEDULENSES

AD . PATRIUM . TEMPLUM . CURIALE ANNO . M. DCCC . VIII

LAETI . TRANSTULERUNT ET . NOVO . SPLENDIDIORE . CULTU . ORNAVERUNT

ANNO M . DCCC . XXVI AD VENERATIONEM . ET . PRAESIDIUM

SIBI . FILIIS . POSTERISQUE

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Stanza nella quale S. Luigi Gonzaga / poichè pensava di essere stato cacciato dal padre / nell’anno del Signore 1584 si trattenne santissimamente per qualche giorno / affliggendosi con penitenze e dedicandosi alla preghiera. Fermati, o viandante, e bacia la soglia / qui dove nel 1584 l’illustre San Luigi si ritirò / quando respinto dal padre / per molti giorni percosse il corpo innocente / e supplice implorò Dio che esaudisse le (sue) aspirazioni.

CELLA IN QUA S. ALOYSIUS GONZAGA PUTANS SE A PATRE EPULSUM DISCIPLINIS

CRUCIANS AC ORATIONI INCUMBENS PER ALIQUOS DIES SANCTISSIME SUBITAVIT ANNO DOMINI

1584 SUCCEDE HOSPES

ET DA LIMINI OSCULUM HUC SE ANNO M D LXXXIIII ALOYSIUS ILLE SANCTUS RECEPIT

QUUM A PATRE REJECTUS CORPUSCULUM PLURES IN DIES INSONS PIE ETERE INSTITIT

ET DEUM SUPY PLEX SECUNDUM VOTA EXORAVIT

Questa iscrizione (il testo autografo è conservato nell’Archi-vio parrocchiale), potrebbe essere del Fortunati o del Morcelli. Lapide con epigrafe forse mai collocata nel Convento di S. Maria a Castiglione. Oppure distrutta. Erminio Centi non la riporta.

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Aeditumus: custode del tempio, sagrestano Amita: zia sorella del padreAromatarius: farmacista Ars mercartoria: professione mercantile Ars textrina: tessitura Auriga: cocchiere “Avunculus: fratello della madreBombyx: baco da setaCachessia: deperimento organico cronico Carminare: cardare Cella solaria: soffitta Coementarius: muratore Equile: stalla del cavallo Febris tabifica: epidemia, peste Ferrarius faber: fabbro Faber lignarius: falegname Fossarius: seppellitoreGlos: cognata Globus plumbeus: proiettile da fucileHelluo: ghiottone, dissipatore Inaures: orecchini Latista:Laterarius: mattonaioLues variolarum: varicella, vaiolo Libitinarius: impresario di pompe funebri Margaritum parentum: perla dei genitoriMorbus comitialis: epilessia Morbus pelagrae: pellagra Morus: gelsoNectrix: tessititriceNeotericus: moderno, nuovo

VOCABOLARIO E LESSICO DESUNTO DA AUTORI LATINI E NEOLOGISMI

IL LATINO DI DON FORTUNATI

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Patruus: zio paternoPatruus magnus: fratello del nonnoPersimplex: scemo/aPetauristes: acrobata, funamboloPrivignus: figliastro, figlioccioPulsator titntinnabulorum: campanaroScrutarius: rigattiereSocrus: suocera Subformarius: levamantici Sudor repressus: sudore ritirato Tabinarius:Tignum: trave Vitricus: patrigno

DIZIONARIETTO Caminata: sala provvista di un caminetto. Colletta: Preghiera che il sacerdote recita nella celebrazione della Messa prima delle letture. Congrua: assegno corrisposto dall’autorità governativa o di Stato ai beneficiari di un ufficio ecclesiastico a integrazione delle rendite del beneficio stesso. Fabbriceria: ente che gestisce i beni di una chiesa. Legato: disposizione testamentaria che istituisce redditi per provve-dere a suffragi o altro. Ottava: Periodo di sette giorni che segue a una solennità di cui co-stituisce un prolungamento. Pasquino: nome attribuito dal popolino romano al torso di un’antica statua sulla quale a partire dal XVI secolo autori anonimi appende-vano satire politiche. Ristretto: compendio, riassuntoTenore:territorioVacchetta: registro di forma allungata, in origine rilegato in pelle.

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FONTI ARCHIVISTICHE - Mantova, Archivio storico diocesano: Serie delle visite pastorali relative al periodo. - Guidizzolo, Archivio parrocchiale: Anagrafe (battesimi, matrimo-ni e necrologio). Registri redatti da don Fortunati. Corrispondenza e memorie, carte sparse dello stesso Fortunati. Se-rie di manifesti a stampa, ordinanze, avvisi della Curia e del Gover-no ai parroci, dal 1780 al 1810. - Birbesi, Archivio parrocchiale, Necrologio 1813. - Cavriana, Archivio parrocchiale, Necrologio 1824. - Moglia di Gonzaga, Archivio parrocchiale, Battesimi, dal 1738 al 1753. - Reggio Emilia, Archivio storico diocesano: Ordinazioni sacerdo-tali del 1764. - Mantova, Archivio di Stato: Mille scrittori mantovani, voll. III e IV.- Mantova, Biblioteca comunale teresiana: Lettere di Antonio Ilario Fortunati a Leopoldo Camillo Volta e ad altri corrispondenti.

BIBLIOGRAFIA

- AA. VV. La battaglia di Castiglione del 5 agosto 1796. L’ammini-strazione napoleonica dell’alto mantovano (I796-I799). Associazio-ne colline moreniche, 1996. - G. Baraldi, Notizia biografica di Stefano Antonio Morcelli, Mo-dena 1825. - R. Brunelli, Diocesi di Mantova, ed. La Scuola, Brescia 1986. - A. Caprioli, A. Rimoldi, L. Vaccari, Diocesi di Brescia, ed. La Scuola, Brescia 1992. - G. Casnighi, Raccolta di memorie e documenti riguardanti i tre paesi di Acquanegra, Barbasso e Medole, nel mantovano.

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Brescia, Tip. Bendiscioli, ora editoriale Sometti, Mantova - E. Centi, Iscrizioni latine di Castiglione delle Stiviere,Pavoniana, Brescia 1960. - C. Gozzi, Raccolta di documenti per la Storia di Castel Goffredo, a cura di Cobelli e Vignoli, ed. Sometti, anno 2000. - C. Gozzi, Raccolta di documenti per la Storia patria ed effemeridi storiche patrie, tomo II vol. 3° e 4°, a cura di Cobelli e Vignoli ed. Sometti, MN. 2003; tomo III, vol 5°, MN. 2004. - F. Mondadori, Storia e fede nei secoli, ed. “La Notizia” Guidizzo-lo 1996. - F. Mondadori, Guidizzolo: Epigrafi e iscrizioni, ed. Centro Cultu-rale San Lorenzo, 2006. - P. Pelati, Birbesi, ed. grafiche Ceschi, Quistello 1978. - C. Togliani, Il principe e l’eremita, ed. Sometti 2009.

PERIODICI- Gazzetta di Milano, 8 gennaio 1821. - La Settimana Cattolica, giugno 1915. - La Cittadella, 15 giugno 1980 “Don A. I. Fortunati” di P. Pelati. - Camminiamo insieme, periodico della Parrocchia di Guidizzolo, 1978, 1979, 1986.

ABBREVIAZIONIA. P. G. Archivio parrocchiale di GuidizzoloA. P. C. Archivio parrocchiale di CavrianaA. P. B. Archivio parrocchiale di Birbesi A. P. M. Archivio parrocchiale di MogliaA. S. D. Archivio storico diocesano di Mantova A. S. M. Archivio di Stato di Mantova

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POSTFAZIONE

UOMO DEL SUO TEMPO Il nome di famiglia Fortunati, panitaliano, ma con alta con-centrazione soprattutto nella Lombardia occidentale e in Emilia, de-riva dal ceppo “Fortuna”. Nome ben augurante, presente nel tardo latino, già cognome in età repubblicana, dove “Fortuna” è intesa come sorte in senso positivo. Don Antonio corrisponde bene a que-ste premesse, confermate dalla longevità, dall’esperienza di vigile pastore d’anime, dall’attività di studioso. Gli anni tra ‘700 e ‘800 erano percorsi da particolari fer-menti: le riforme di Maria Teresa d’Austria, la rivoluzione francese, Napoleone, il ritorno degli Austriaci, le Società segrete, i primi moti liberali. Pio VII il 13 settembre 1821 con una lettera apostolica dira-mata ai parroci condannò la Carboneria. Don Fortunati fu attento ai rapidi mutamenti, quando la gente fu sballottata senza tregua da un’ondata politica a un’altra e visse i rivolgimenti più inaspettati. Non è però facile delineare una sua linea coerente in materia politi-ca, anche perchè a partire dal 1815 la documentazione è assai scar-sa. Fu uomo dell’Ancien Régime? Era cauto e prudente di fronte alle novità? Come parroco fu formalmente rispettoso dell’Autorità civi-le, come uomo affidò in forma occasionale giudizi, pensieri e senti-menti ai suoi scritti.

OLTRE LA STORIA LOCALE La biografia appartiene a un genere letterario da alcuni rite-nuto melenso, bollato dallo Strutturalismo come retrò, ma, se non romanzate, oggi le biografie hanno un importante ruolo storico-let-terario e un meritato successo. Questo libro poi rientra nel settore storiografico che suole definirsi “storia locale”, da alcuni decenni in ripresa d’interesse.

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La sua lettura non è riservata a Guidizzolo, dove don Anto-nio rimase 58 anni, fino alla morte, non si rivolge alla sola comunità guidizzolese con la quale Egli identificò la propria vita. Il libro ha la pretesa di essere l’affresco di un’epoca, dove usi e costumi paiono incomprensibili alle epoche successive, ma giustificati nel loro tempo, si prestano a confronti, a riflessioni utili alle epoche successive, fino ad oggi.

LO SCRITTORE Il nome di don Antonio non era ignoto ai guidizzolesi. Glie-lo ricordava il monumento-sepoltura. Nel 1987 gli fu dedicata la Scuola Media. Moglia di Gonzaga, il paese natale, gli ha intitolata una via. Come scrittore può essere collocato tra i poligrafi settecente-schi, a torto o a ragione confinati nel sonno della dimenticanza. Questa biografia lo ha dissepolto dal cimitero dove giaccio-no autori dimenticati e l’ha sottratto “all’invido morso del tempo”.

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INDICE

Presentazione ........................................................................ pag. 5Prefazione ............................................................................. pag. 7

La famiglia, gli studi, l’ordinazione sacerdotale ................. pag. 9Preghiera e liturgia .............................................................. pag. 29Per il decoro della chiesa parrocchiale ............................... pag. 39Una società preindustriale ................................................... pag. 47“Salvo il mio diritto...” ......................................................... pag. 53Lo studioso ........................................................................... pag. 59Il trono e l’altare .................................................................. pag. 67

Apparati documentari .......................................................... pag. 87 Supplica ........................................................................ pag. 88 Procura ......................................................................... pag. 88Epigrafi dettate da don Fortunati ......................................... pag. 89Testi epigrafici attribuibili a don Fortunati ......................... pag. 103 Il latino di don Fortunati .............................................. pag. 108 Dizionarietto ................................................................. pag. 109 Fonti archivistiche ........................................................ pag. 110 Bibliografia ................................................................... pag. 110 Periodici ....................................................................... pag. 111 Abbreviazioni ................................................................ pag. 111

Postafazione ......................................................................... pag. 112

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Finito di stamparenel mese di lugliodell’anno 2010dalla tipografia

Arti Grafiche Studio 83di Verona

Progetto grafico: Claudia Dal Prato Design Studio

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