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Premio Letterario Tu, Io e i mondi possibili IV edizione racconti sul tema ispirati a: GRUPPO PARROCCHIALE FESTEGGIAMENTI

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Premio Letterario

Tu, Io e i mondi possibiliIV edizione

racconti sul tema ispirati a:

Il Sogno:

dIrIttodI ognI

creatura

parrocchiasanta maria assunta

Casale sul Sile - Diocesi di Treviso

Gruppo parrocchiale FesteGGiamenti

con il patrocinio di

con il contributoe la collaborazione di

Comune di Casale sul sIle

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Gruppo parrocchiale festeGGiamentiParrocchia Santa Maria Assunta - Casale sul Sile

Premio Letterario

Tu, io e i mondi possibiliper un racconto sul tema

“il sogno: diritto di ogni creatura”Casale sul Sile, 25 aprile 2014

con il patrocinio dellaProvincia di Treviso

GiuriaIsidoro Perin (Presidente)

Tiziana ZanardoEmanuela ZamunerAnna Rossit TantinoElisa Barbon Viale

Efri VaccariGianni Busato

Silvia Dalla Libera

LettriceLiliana Gioffrè

SegretarioAngiolino Piva

Presidente del Comitato OrganizzatoreGraziano Sartorato

CoMune di CASAle Sul Sile

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Con grande entusiasmo porto il mio saluto in occasione della pubblicazione degli

elaborati che hanno partecipato al concorso “Tu, io e i mondi possibili”, premio letterario

per un racconto sul tema “il sogno: diritto di ogni creatura”.

non posso che complimentarmi con la Parrocchia di Santa Maria Assunta di Casale

sul Sile per l’energia profusa nell’offrire a giovani e meno giovani l’occasione di mettersi

alla prova, sviluppando un tema delicato e molto importante per la vita di un ‘territorio’.

il bando era diviso infatti in tre categorie: è rivolto agli under 15, agli under 19 e agli

Adulti. ormai un appuntamento consolidato che ha la forte capacità a sensibilizzare a temi

di estrema attualità e che raccoglie sempre molte entusiastiche adesioni.

il tema di quest’anno è peculiare e include in se un implicito inno alla vita. il diritto

di sognare è un diritto imprescindibile della nostra vita, un diritto di tutti.

in un periodo storico particolare e difficile come è l’attuale il diritto al sogno va

coniugato con il diritto ad una buona qualità della vita. le famiglie, le persone in generale

hanno il diritto di poter sognare una vita serena, un lavoro certo, e un futuro sicuro senza

incertezze. inoltre, la libertà di poter ‘sognare’ senza costrizioni è un bene prezioso da tu-

telare. e compito delle istituzioni è proprio preservare questo diritto garantendo giustizia

e sicurezza.

Mi piace sottolineare che questo concorso sia stato proposto da una parrocchia, da

sempre luogo di aggregazione e formazione sia fisica che spirituale.

non mi resta allora che augurare a tutti, organizzatori o partecipanti, la migliore

riuscita nella loro esperienza di vita, anche letteraria.

il Presidenteleonardo muraro

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non posso che plaudere a questa splendida iniziativa del Gruppo Festeggiamenti

della Parrocchia Santa Maria Assunta di Casale sul Sile, arrivata ormai alla sua iV edizione,

con il prezioso sostegno della Provincia, di Centro Marca Banca e della Cooperativa

“Giuseppe Toniolo”.

Tema di questa edizione è il diritto di sognare. Cosa significa? Ci hanno insegnato fin

da piccoli ad essere pratici, realisti, disincantati. Ma a quanti di noi è stato insegnato anche

a sognare? Forse a nessuno, perché la vita, con le sue difficoltà, è una grande nemica dei

sogni: tende a sminuirli, a banalizzarli, spesso a soffocarli.

e tuttavia, soprattutto quando tutti gli altri diritti ci sono negati, il diritto di sognare

rappresenta un’ancora di salvezza che ci permette di intravedere l’alba oltre il buio della

notte. nei periodi più sofferti e drammatici - siano essi personali, sociali o economici - so-

gnare è una risorsa. Quando vediamo che le nostre giuste aspettative per una società più

giusta, per una distribuzione più equa delle risorse, per un rispetto della persona e della

dignità umana, per una salvaguardia dell’ecosistema in tutte le sue articolazioni, quando

tutto questo viene meno, il diritto di sognare ci aiuta a sperare ancora, perché ci proietta in

un progetto di vita migliore.

Per questo invito soprattutto i giovani a guardare al futuro con fiducia, a sognare

come fecero i nostri padri e i nostri nonni dopo le guerre mondiali, cercando di vedere quel

che ancora non c’è e impegnandosi a realizzarlo. Coloro che sapranno inseguire con tenacia

e creatività il loro sogno - piccolo o grande che sia -, coloro che sapranno credere che tutto

è possibile; se lo vogliono veramente, saranno i veri fondatori di una società migliore.

il Sindacostefano Giuliato

CoMune di CASAle Sul Sile

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È un appuntamento ormai atteso, e per il quale anno dopo anno, CentroMarca Banca è lieta di sostenere.

il Premio letterario “Tu, io e i mondi possibili” sceglie per questa edizione un tema che è al centro della vita di ognuno di noi, a tutte le età e in tutte le condizioni economiche e sociali: “il sogno: diritto di ogni creatura”, una frase che raccoglie in sé i desideri, le spe-ranze, i progetti degli esseri umani, il valore del loro essere liberi, di pensare e di credere, nella possibilità di riuscire a realizzare ciò in cui si crede.

il constatare che ogni anno aumenta il numero dei racconti pervenuti ci gratifica, abbiamo dei brillanti giovani autori, che ci mettono fra le mani i loro sogni e ci fanno ca-pire che in questo territorio c’è ancora, fortunatamente, chi ha dei sogni e chi offre loro la possibilità di esprimerli e di realizzarli.

il Presidente

tiziano cenedese

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la Società Cooperativa Giuseppe Toniolo di Conscio con piacere è anche quest’an-no sostenitrice della sempre più importante iniziativa del premio letterario “Tu, io ed i mondi possibili”, giunto alla quarta edizione; segno che l’intuizione è quella giusta e per-mette a molte persone di esprimersi attraverso la composizione letteraria.

il tema di quest’anno è particolarmente coinvolgente: “il sogno: diritto di ogni cre-atura” che ben sintetizza il diritto alla pienezza della vita che è anche quello di coltivare i sogni e di vederli magari divenire realtà.

Quanti sogni negati, quante delusioni, quanti orizzonti rattristati e cupi. È anche da qui che il riscatto sociale può trovare motivazioni e nuove energie. il sogno è del bambino dagli occhi disincantati, lo è dei ragazzi e giovani che guardano al loro futuro spesso trovando porte sbarrate e vicoli ciechi, lo è degli adulti e degli anziani che devono misurarsi con il dipanarsi della quotidianità e di una vita che guarda a sera…

Ma la vita deve essere altro. Tutto ciò che nella vita facciamo deve essere un motivo in più per sognare e guardare avanti.

Anche la Cooperativa nel suo quotidiano operare vuole guardare avanti traducendo i sogni in realtà. erano grandi sogni quelli dei suoi fondatori e lo sono oggi quelli nostri: di noi che oggi abbiamo la responsabilità di essere protagonisti di questo percorso.

Ringraziamo di cuore i promotori, che ripropongono questa bella iniziativa, e quanti vi hanno aderito e contribuito.

Anche i sogni sono la speranza che aiuta tutti a scoprire la gioia delle cose belle.

il Presidentemarcello criveller

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Tra le tante iniziative del “Gruppo Parrocchiale Festeggiamenti” di Casale sul Sile spicca il Concorso letterario “Tu, io e i mondi possibili”, un dono offerto alla Comunità di Casale sul Sile e a tutti coloro che dalla cultura sanno trarre insegnamenti di vita.

il tema di quest’anno “il Sogno: diritto di ogni creatura” obbliga autori e lettori alle domande esistenziali della vita, perché punta alla presa di coscienza della propria storia e di quella degli altri. il futuro, in un mondo sempre più globalizzato, lancia la sua sfida pri-maria: vivere in armonia tutti assieme nella nostra TeRRA.

È lodevole la scelta di far concorrere categorie di Adulti e di Giovani creando così un confronto generazionale che consente costruttive riflessioni.

la crescita del numero di elaborati pervenuti, più che raddoppiati rispetto allo scor-so anno, fa ben sperare per il futuro.

Collaborare ad un progetto così nobile onora ed entusiasma.

Presidente della Giuria

isidoro perin

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il futuro è già il nostro tempo, le ultime generazioni hanno corso così velocemente vedendo le tecnologie diventare la madre del nostro “stile di vita”.

Sempre più mi accorgo quanto tutto sia complicato, come organizzare qualsiasi cosa, pensieri e preoccupazioni ci investono, poi una sera delle tante torni a casa all’imbrunire, ti fermi sull’erba e guardi il cielo, è questo il momento che trovi rifugio nei sogni, fantasti-cando teorie e presagi.

il sogno “qualcosa che non tocchi” formule di vita, colori strani, accensioni, spegni-menti per progetti, semplici desideri che auguro si realizzino per tutti, in modo particolare a chi il futuro lo deve formare, “i nostri ragazzi”.

Credo che della vita dobbiamo cavalcare tutto cio che incontriamo di positivo, con-trapponendoci alla pubblicità negativa che spesso prevale su tutto quello che facciamo di buono.

l’impegno profuso dal Gruppo Parrocchiale Festeggiamenti nel portare avanti que-sta iniziativa, nell’umiltà della nostra coscienza, vuole motivare gli scrittori alla libertà di pensiero e parole, come una forza che alimenti il diritto di un sogno.

nel leggere i racconti noto quante verità di vita vera emergono a testimoniare che la storia la conosciamo per merito di tanti piccoli o grandi scrittori perciò grazie a voi e non smettete mai di scrivere.

Presidente del Comitato organizzatore

Graziano sartorato

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VeRBAle dellA GiuRiA

il concorso letterario “Tu, io e i Mondi Possibili” cresce in fretta. Sono stati ben 67 i concorrenti, che si sono cimentati in un racconto sul tema “il sogno: diritto di ogni creatura”:

- 40 under 15,- 7 under 19,- 20 adulti.

È un orgoglio constatare che alcune Scuole hanno fatto partecipare gli alunni coordinati dal personale docente. ne è uscito così un bel legame tra insegnanti e ragazzi.

Gli under 19 sono stati ancora una volta troppo pochi perché la Giuria potesse esprimere una graduatoria.

Gli adulti si sono espressi con storie profonde, tematiche diverse e con sensibilità.

Alcuni racconti però si sono allontanati un po’ dal tema e altri mancano di una padronanza della grammatica e della sintassi italiana.

un racconto degli under 15 è stato escluso dal giudizio perché troppo lungo e quindi non corrispondente ai requisiti del bando di concorso.

Per la maggior parte tuttavia il livello è senz’altro dignitoso e l’impegno traspare ad ogni riga.

difficile il lavoro della Giuria per i molteplici argomenti trattati che a volte mettevano in luce valutazioni diverse, valutazioni che sono state discusse su ogni racconto, esaminandole da più punti di vista, fino a trovare un giudizio unanime.

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i SeGnAlATi della categoria under 15 sono:

un soGno ostacolatodi Martina Bellio - Ponzano Veneto (TV)

Motivazione: Un sogno affrontato con coraggio e con uno stile di scrittura deciso e maturo.

la Giuria proclama i VinCiToRi della iV edizione del Premio “Tu, io e i mondi possibili”il SoGno: diRiTTo di oGni CReATuRA - categoria under 15:

il peZZo mancantedi eMMa Dalla Mora - Casale sul Sile (TV) 5° classificato

Motivazione: La scrittrice sa cogliere l’essenza del sogno ben oltre le contraddizioni e le paure degli adulti con un racconto fatto di coraggiose contrapposizioni che sottendono una coscienza matura.

il soGno: Diritto Di oGni creaturadi Gioia Vanin - Marcon (Ve) 4° classificato

Motivazione: Una struggente lettera alla mamma che non c’è più per dare aiuto a tutti i bambini del mondo. Una giovane scrittrice già capace di emozionare e coinvolgere.

la nascita Di un soGnodi Beatrice Scarpa - Marcon (Ve) 3° classificato

Motivazione: Il racconto contrappone un mondo fatto di modernità dove l’avere tutto ha reso inutili i sogni, con una terra più povera ma capace di sognare. La sempli-cità della narrazione è un valore aggiunto.

il soGno: Diritto Di oGni creaturadi MatilDe leVi Minzi - Casale Sul Sile (TV) 2° classificato

Motivazione: La lettera entra nell’analisi della discriminazione razziale e la supera con un sogno e una richiesta fiduciosa. Una scrittura tenera e intensa.

un soGno a JohannesBurGdi ilaria paronetto - Treviso 1° classificato

Motivazione: Per realizzare il coraggioso sogno, Rayon fa appello alla fiducia in se stessa e nel mondo che la circonda, nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa da dare e tutti abbiamo bisogno di ricevere. Il futuro potrà riservare grandi soddisfazioni a questa giovane scrittrice.

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CATeGoRiA undeR 19

l’esiguo numero di concorrenti nella categoria under 19 non ha consentito di esprimere una classifica e un vincitore. Tuttavia la GiuRiA ha ritenuto degno di una SeGnAlAzione di MeRiTo il racconto:

oDDio, finalmente aBBiamo il Diritto Di soGnare

di elena colò - Morgano-Badoere (TV)

Motivazione: Una storia coinvolgente ed attuale scritta per trasmettere forti emozioni.

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i SeGnAlATi della categoria Adulti sono:

il soGno Di Giulio

di Maria Marino - Preganziol (TV)

Motivazione: La memoria diventa sogno ma il sogno non sottrae il protagonista al suo destino; lui non si rammarica, accetta. Una storia rispettosa delle stagioni della vita.

un soGno Dorato per la BamBina aZZurra

di aurora cantini - nembro (BG)

Motivazione: Il bosco è luogo di incontri misteriosi. Quello di Azzurra con Irene è uno di questi. Nascerà un’amicizia capace di andare oltre i limiti imposti dalla vita. Un racconto che sa di poesia.

la Giuria proclama i VinCiToRi della iV edizione del Premio “Tu, io e i mondi possibili”il SoGno: diRiTTo di oGni CReATuRA - categoria Adulti:

per te. lo faccio per te

di rita Mazzon - Padova 3° classificato

Motivazione: L’autrice ci accompagna in punta di piedi nel mondo doloroso dell’emargina-zione dove anche un sogno può dare sollievo nell’ora più difficile.

Questioni Di cronaca

di anDrea neGrini - Casale sul Sile (TV) 2° classificatoMotivazione: Un giallo che ci racconta di come un sogno possa tenere accesa la fiammella

della vita. E quando il sogno finisce l’esistenza non ha più il suo filo guida. Una scrittura ricercata per una storia originale.

un Braccialetto per alice

di criStiano Vanin - Conscio di Casale sul Sile (TV) 1° classificatoMotivazione: Storia tragica e delicata, dove il sogno spezzato bruscamente, mantiene il filo

per portare a compimento la promessa. La scrittura semplice appare un gesto rispettoso dei sentimenti e delle emozioni espresse nel racconto.

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Categoria Under 15

Primo classificato

un soGno a JohannesBurGdi ilaria paronetto - Treviso

Rayon amava il suo paese. Amava il parco vicino a casa sua, amava la chiesa dove ogni domenica andava a pregare con la sua famiglia, amava il suo villaggio fuori Johannesburg. Amava guardare le stelle, distesa sulla polvere. l’unica cosa che non amava erano loro. Che avevano distrutto le loro case, le loro chiese, e li avevano cacciati via, via da quello che prima era loro. i bianchi. le avevano tolto tutto.

Rayon era una ragazzina di nove anni, con i capelli neri come la pece, sempre raccolti in mille treccine, che, quando correva, le dondolavano avanti e indietro e lei doveva sempre spostarle con la sua manina piccina, troppo piccola per la sua età. era una bambina molto sveglia e sapeva già molte cose, per esempio sapeva che lei da grande voleva fare l’avvocato. lo aveva deciso a sei anni. Tutta la sua famiglia si era messa a ridere dicendole: “Rayon, siamo in Sudafrica, noi non possiamo fare gli avvocati”. l’unico che la sosteneva era suo fratello Marcon. la bambina voleva molto bene a suo fratello, e lui la ricambiava.

il giorno del suo tredicesimo compleanno Rayon ricevette un regalo da suo fratello: un libro di diritto. era molto difficile, ma con l’aiuto del padre la ragazzina riuscì ad impararlo tutto a memoria, sapeva articolo per articolo, riga per riga, anche le virgole.

la giovane passava ogni momento del giorno a pensare a cosa avrebbe potuto fare da grande, se non l’avvocato... “niente” si rispondeva sempre. Quello era il suo sogno, quello che voleva fare lei, e nessuno poteva impedirglielo, nemmeno i bianchi.

Gli anni passavano, Rayon stava per finire la scuola e un giorno, andando in città con la mamma, passò davanti a una scuola per bianchi, la facoltà di legge.

Gridò a sua madre Crystal: “Mamma, mamma guarda! io studierò in una di queste scuole!”.

la madre la trascinò via di corsa, se solo qualcuno le avesse viste lì davanti, avrebbero potuto arrestarle, e a Rayon lo spiegò un milione di volte mentre andavano in biblioteca, per neri ovviamente. “Rayon, tesoro, quella scuola non è adatta a te” le disse tornando a casa, ma la ragazza in lacrime urlò: “non è adatta a nessuno di noi! non è adatta a noi solo perché

Motivazione della GiuriaPer realizzare il coraggioso sogno, Rayon fa appello alla fiducia in se stessa e nel mondo che la circonda, nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa da dare e tutti abbiamo bisogno di

ricevere. Il futuro potrà riservare grandi soddisfazioni a questa giovane scrittrice.

categoria under 15 PRiMo ClASSiFiCATo15

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PRiMo ClASSiFiCATo categoria under 15 16

siamo diversi! Perché loro devono avere tutto e noi niente?!”. Rayon si mise a correre con il vento che le tagliava la faccia e, sfinita, raggiunse l’ingresso della scuola, si sedette davanti, aprì il libro che aveva preso in biblioteca e ci si tuffò dentro.

non appena la madre la raggiunse, le disse di nuovo con tristezza: “Rayon, non puoi diventare...” ma ella ribattè subito: “io diVenTeRo’ un AVVoCATo!” la madre le accarezzò il viso e, con una lacrima, disse:“Amore, torniamo a casa”.

Rayon, appena tornata a casa, iniziò a scrivere una lettera di ammissione per la Jackford, la scuola per avvocati che aveva visto con la mamma. Per bianchi. la spedì senza pensarci, e quasi se ne dimenticò.

la sua vita procedeva regolarmente, continuava a gironzolare per il suo villaggio con i suoi sogni in testa e con l’immagine fissa di quell’istituto, così grande e bello.

Poi arrivò una lettera dalla Jackford. C’era scritto “non ammessa”. in rosso, a grandi lettere, forse opera di un timbro. non c’era scritto altro, né il perché né il percome. Ah sì, lei era nera, non era degna. nemmeno di una spiegazione, del perché le avevano mandato in frantumi un pezzo del sogno, il Suo sogno.

Allora se ne uscì di casa e si incamminò verso la città. Passeggiando, giocava a calciare i sassolini che incontrava, ma ad un certo punto vide qualcosa di più grosso, leggermente ret-tangolare, non riusciva a capire cosa fosse, perché la luce fioca della luna non aiutava molto. Ma Rayon decise lo stesso di raccoglierlo. era un portafoglio. di un bianco, sicuramente. Si sarebbe cacciata di sicuro nei guai, quando notò un post-it all’interno. “4.30 giovedì incontro con il Presidente” poi un trattino e la parola magica “Jackford”. il portafoglio apparteneva a un professore che insegnava lì! decise così, su due piedi, di raccoglierlo e di portarlo a casa. il giorno dopo sarebbe andata a restituirlo.

i suoi genitori erano su tutte le furie. “Come ti è venuto in mente di raccogliere un portafoglio da terra?! e come sarebbe a dire che andrai a restituirlo?! A un bianco, poi!lo sai che penseranno che l’hai rubato?!”. il padre era infuriato. la madre scoppiò in lacri-me. “Ci arresteranno!”. Ma la ragazza ribatté: “Ma io non l’ho rubato. Ho solo trovato un portafoglio per strada! e poi, perché dovrei averlo rubato? Se sono diversa sono una ladra?”. il padre, sospirando, esclamò: “Se sei nera, sei una ladra” e se ne andò in camera lasciando Rayon a bocca aperta. “io non sono una ladra!” gridò. Scappò in camera sua. Ma, nonostante tutto, il giorno dopo si incamminò verso l’istituto pensando che non sapeva nemmeno come si chiamava il professore; guardò sulla carta d’identità: Bernard leveau.

Arrivata davanti alla Jackford, Rayon fece un respiro ed entrò.

dentro l’istituto era così bello, con scale in marmo e colonne che percorrevano il lato destro della sala, alte finestre sul lato sinistro a illuminare tutto l’atrio; in fondo scorse un bancone in legno e vi si diresse decisa.

“Cerco Bernard leveau, per favore. Ho qualcosa che gli appartiene” disse la ragazza. il ragazzo al banco, bianco ovviamente, le gridò: “Fuori di qui! entro un minuto, altrimenti chiamo la polizia, brutta stracciona!”. Rayon rimase sbalordita. Ma si sentì, poco lontano da lei, una voce maschile: “Si calmi, ragazzo, è solo una giovane che ha bisogno di me”.Ma il ragazzo rispose tutto agitato e infuriato: “Ma, signore, è nera!”. “Vorrà dire che la vedrò fuori da queste mura” disse il professore. Si incamminò verso la porta, la aprì e fece segno a Rayon di seguirlo.

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categoria under 15 PRiMo ClASSiFiCATo17

una volta giunti fuori, il prof. leveau le chiese: “Allora, cos’hai per me?”. lo disse in un modo molto gentile e tranquillo, così Rayon rispose: “Beh, ecco... ieri sera passeggiando ho trovato il suo portafoglio. Ma giuro che non l’ho rubato, lo giuro!” si affrettò ad aggiun-gere. “oh grazie mille, sono sempre molto sbadato” le rispose l’uomo, e Rayon ribatté: “non mi arresteranno vero?”. “Perché mai dovrebbero farlo?” rise il professore. “Perché sono nera, e i bianchi pensano che i neri siano ladri” spiegò Rayon. “Ragazza, qual è il tuo nome?” chiese Bernard, ed ella rispose: “Mi chiamo Rayon, ho 14 anni e voglio fare l’avvo-cato”. il professore si mise a ridere, ma Rayon, seria, chiese: “Perché ride? Che c’è di male?” e il professore rispose: “Rayon, non so se potrai fare l’avvocato”. ed ella subito ribatté: “Perché? Perché no? Mi spieghi. Perché lei, se vuole fare il professore, può farlo mentre io, se voglio fare l’avvocato, non posso?”. Fu allora che il prof. leveau le propose: “Rayon, sei una ragazza sveglia, vuoi fare l’avvocato; io faccio l’insegnante di diritto, e mi hai riportato il mio portafoglio. Voglio sdebitarmi”. Tirò fuori un foglietto, ci scrisse l’indirizzo di casa e glielo porse. “Mercoledì alle tre vieni a casa mia, vieni ad insegnarmi come si fa a inseguire un sogno, io, in cambio, ti insegno il diritto”. Ma Rayon non capiva. “Perché io dovrei insegnare qualcosa a lei? io non posso insegnarle proprio un bel niente!”.

Allora il professore sorrise. “Mi insegnerai, mi insegnerai, e anche molto” e se ne tornò dentro.

il prof. leveau era un uomo molto gentile, abbastanza alto, sulla sessantina. occhi verdi, contornati da un paio di occhiali perfettamente tondi e neri che poggiavano sul suo grande naso molto pronunciato, e infine labbra molto sottili, qualche accenno di barba. i capelli erano neri, come i suoi. “Ma non sono raccolti in mille treccine” pensò ridendo Rayon, portandosi una mano alla bocca per nascondere il suo risolino.

Rimase lì per un paio di minuti, immobile, a pensare a quello che le era successo. Poi, come un fulmine, corse a casa, e raccontò tutto alla sua famiglia. i suoi genitori, all’inizio, erano contrari, ma, pur di accontentarla almeno in quello, la lasciarono andare all’appunta-mento.

Così il mercoledì successivo andò a casa del prof. leveau.

Abitava vicino alla Jackford, in una casetta con il giardino, da fuori il tutto era molto grazioso. una volta entrata, Rayon pensò che la casa del professore era molto diversa dalla sua. intanto, quella era molto più costosa e curata, era una casa per bianchi; entrando si sen-tiva profumo di lavanda, mentre da lei non si sentiva nessun profumo. dalla porta d’ingresso, preceduta da quattro scalini in marmo, si scorgevano due divani disposti a l, che guardavano una grande Tv; lei non aveva la Tv, troppo costosa.

davanti ai divani c’era un tavolino con delle riviste messe in pila perfettamente; a destra una libreria in legno, con i libri in perfetto ordine, nessuno che sporgeva, tutti alla stessa altezza; dava l’idea di essere un uomo molto ordinato e pignolo, il prof. leveau. Ma la cosa che attirò l’attenzione di Rayon fu una piccolissima libreria vicino alla radio: tutti libri di danza, tip tap più che altro.

il professore fu molto gentile con Rayon, come mai nessuno era stato con lei; per lei era tutto strano, perché sua madre e suo padre le avevano detto che i bianchi non sono mai gentili, anzi, sono delle bestie, delle carogne; ma Bernard aveva detto che solo CeRTi bianchi lo erano: la ragazza allora rispose che solo CeRTi neri erano ladri, però incolpavano tutti.

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ogni mercoledì Rayon andava dal professore che le insegnava sempre qualcosa di nuovo. un giorno la ragazza ebbe il coraggio di chiedere a Bernard: “Scusi, ma perché ha tutti quei libri e articoli sul tip tap, signore?” e egli le rispose: “Ti ricordi, Rayon, che ti avevo chiesto di insegnarmi come si insegue un sogno?”. “Sì” fece lei, ancora non capendo a cosa alludesse. “io vorrei ballare il tip tap, nei teatri di tutto il mondo” le rispose. “Mi scusi, ma, se voleva ballare il tip tap, perché è andato a fare il professore? non poteva semplicemente ballare e basta?” chiese la ragazza. “Rayon, vedi? Tu rendi tutto così semplice, ma ormai sono vecchio, avrei dovuto avere il tuo coraggio, ma mi è mancato, così ora ho perso tutto” disse Bernard con malinconia. “non tutto è perduto!” gridò Rayon con allegria, balzando in piedi dalla sedia della cucina. “Potrà ballare almeno una volta, no?”.

e il professore sospirò: “Magari... magari...”. Ma Rayon continuò: “non è mai tardi per un sogno!” e Bernard le disse sorridendo: “È ora di tornare a casa, Rayon, ma anche oggi mi hai insegnato qualcosa”.

le lezioni andarono avanti ancora per molti mercoledì, Rayon diventava sempre più brava, e il prof. leveau voleva sempre di più ballare. un giorno la ragazza gli portò un volantino: c’era su scritto “Tip Tap - Maestri all’opera” e sotto “Teatro di Johannesburg”. Gli disse: “Vada, è la sua occasione!” e il professore si mise a ridere dicendole: “non ne sarei capace, dai, Rayon, non scherzare” ma la ragazza gli ricordò: “Bernard, forse è l’ultima occa-sione, e poi vivrà con il rimpianto di non averci provato”. il prof. leveau rispose: “Rayon, hai ragione... Sei una ragazza molto saggia”.

Così il vecchio professore di diritto fece un provino, e lo presero, e non era nemmeno il più vecchio! Ma Rayon non poté assistere allo spettacolo, era un teatro per bianchi. e lei non poteva entrare, ma si fece raccontare tutto, dalla musica, al brusio, all’inclinazione della luce, fino all’ultimo applauso. il sogno di Bernard si era realizzato, ora toccava a lei.

era riuscita ad entrare alla facoltà di legge, ma per neri, e in pochi anni si laureò col massimo dei voti. Ma continuò a lavorare sempre per i neri e con i neri. non che questo non le piacesse, ma lei voleva lavorare per e con TuTTi.

Questa condizione durò fino a quando nel 1992 nelson Mandela salì al governo. Finalmente Rayon poteva fare quello che desiderava, prendere gli autobus dei bianchi, cam-minare per strada dove voleva e fare il suo mestiere per tutti. diventò un grande avvocato, la prima donna nera avvocato del Sudafrica.

non viveva più in un villaggio, viveva in una casa come quella di Bernard, con quattro gradini all’ingresso e un profumo di lavanda appena entrata, con la Tv e un sacco di libri.

Amava ancora il suo paese. Amava ancora il parco vicino a casa sua, amava ancora la chiesa dove ogni domenica andavano a pregare lei e la sua famiglia, amava ancora il suo villaggio fuori Johannesburg; amava ancora guardare le stelle distesa sulla polvere, amava ancora suo fratello e la sua famiglia, amava ancora il diritto. l’unica cosa che non amava erano loro. i bianchi. no, dai, un po’ amava pure loro.

18PRiMo ClASSiFiCATo categoria under 15

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Secondo classificato

il soGno: Diritto Di oGni creaturadi matilde levi minzi - Casale sul Sile (TV)

“egregio Signor Presidente, probabilmente o meglio, sicuramente lei non leggerà mai

questa lettera, però io avevo bisogno di scriverle queste parole, per il rispetto di me stessa e per quello dei miei figli.

io sono una donna afro-americana, ho 45 anni, vivo in una piccola casa lungo le coste dello stato della Florida. Ho un marito e quattro figli straordinari che stanno lottando per cercare di vivere normalmente in questa nazione che comunque, ai loro occhi, è e resta meravigliosa. Però non è facile, perché hanno qualcosa di diverso da tutti gli altri, una cosa così banale, ma che sta decidendo per la loro la vita: il colore della pelle.

ogni giorno subiscono insulti, violenze e ingiustizie a causa della loro pigmentazione e non ne capiscono il motivo; non è possibile comprendere perché debbano subire tutto questo. Continuano a farmi domande, a chiedermi cosa abbiano fatto di male, cosa abbiano loro di sbagliato; io non so mai che cosa rispondere.

l’altra notte però ho fatto un sogno, un sogno bellissimo, perché i sogni sono qualcosa di stupendo. lo diceva anche il padre dell’indagine onirica, quel professore europeo, che, se non ricordo male, si chiama Freud: ‘i sogni cedono il posto alle impressioni di un nuovo giorno come lo splendore delle stesse cede alla luce del sole’.

i sogni sono irrinunciabili, sono ciò che ci permette di sopravvivere, o, a volte, di vivere più intensamente. in questo sogno, i miei figli andavano a scuola con tutti i ragazzi della loro età, in questo sogno tornavano a casa con una voglia immensa di raccontarmi come avevano passato la loro giornata. non vedevano l’ora di reincontrare i loro amici e di rivivere quelle fantastiche emozioni che avevano provato. in questo sogno potevo lasciare uscire i miei bambini senza la preoccupazione di vederli tornare a casa piangendo, a causa di insulti o di schiaffi che normalmente ricevono. in questo sogno tornavano a casa con il sorriso stampato sulla faccia, stanchi solo per i giochi e per le corse che facevano in giardino insieme agli amici, e non per colpa delle risse a cui spesso sono costretti a partecipare. in questo sogno, alla sera, a tavola, si parlava e si rideva allegramente senza la tensione causata dalle continue domande a cui io e mio marito purtroppo ci ritroviamo spesso a dover rispondere.

categoria under 15 SeCondo ClASSiFiCATo19

Motivazione della GiuriaLa lettera entra nell’analisi della discriminazione razziale e la supera con un sogno e una

richiesta fiduciosa. Una scrittura tenera e intensa.

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in questo sogno potevo dire di avere un marito di carnagione bianca senza essere deri-sa, visto che nonostante ci troviamo nel 1960, i matrimoni misti non sono ancora accettati. in questo sogno era tutto così bello, potevamo prendere gli autobus, entrare nei negozi, nei ristoranti e nei cinema, senza essere considerati come degli animali.

in questo sogno amavamo la nostra gente, amavamo la nostra vita.

Signor Presidente, molta gente mi racconta che lei è una persona davvero speciale, molto aperta, socievole, qualcuno dice che sarà in grado di risolvere qualsiasi problema, grave o meno, ce la farà. le affido queste righe, queste confidenze, la mia rabbia, il mio orgoglio; e lo so che è pesante, ma in mano a persone come lei c’è il futuro delle generazioni che verranno. le affido il mio sogno…”

Ahlam

SeCondo ClASSiFiCATo categoria under 15 20

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Terzo classificato

la nascita Di un soGnodi Beatrice scarpa - Marcon (Ve)

Mi presento sono Matt, sono un normale bambino di dieci anni coi capelli al vento e qualche dentino che manca. Ai grandi do fastidio, mi ritengono un bambinetto chiacchiero-ne, impiccione, vivace e spensierato, ma io dico loro si sono mai visti?

Abito a new York, in centro, proprio vicino ai palazzi di quei “tizi” che si vedono in Tv. Vivo con mamma e papà, ma a dirla tutta non è proprio il mio vero papà, io lo chiamo così ma il mio vero papà io non l’ho mai conosciuto, mamma non mi parla mai di lui.

Comunque dicevo, vivo con mamma e papà, sì insomma ci abito per modo di dire; loro sono sempre fuori casa nei week-end, feriali e festivi, sono sempre a riunioni di lavoro, interviste e conferenze stampa. Vado alla scuola più rinomata del quartiere, sono in 4a ele-mentare e come ogni anno, oggi è il giorno della solidarietà. la signora maestra (lei vuole che la chiamiamo così, sempre) ci ha fatto vedere un filmato sui bambini dell’Africa, quelli che ci sono anche nelle pubblicità alla televisione, ci ha spiegato che sono molto poveri, ma secondo me con tutti i soldi che gli danno per fare documentari e interviste, non lo sono poi così tanto. Sempre la signora maestra poi ci ha dato da scrivere una lettera che verrà inviata a un bambino africano che poi mi risponderà. Che bello! devo raccontargli tutta la mia vita, i miei hobby, i miei sogni… io non so cosa significa sogno, se cerco nel dizionario c’è scritto “Attività psichica che si volge durante il sonno”, ma questa definizione non mi dice nulla. eppure la signora maestra ha detto che avere un sogno è bello, ma io ho già tutto. A cosa mi serve? Ho chiesto proprio questo al mio nuovo amico; gli ho chiesto di spiegarmi cos’è un sogno, magari lui lo sa. il mio amico a distanza si chiama zanzi, non sa scrivere molto bene, forse lui non ha una brava maestra come me. Quando ho letto la lettera di zanzi mi sono messo a ridere, mi sembrava impossibile che vivesse così. Mi ha spiegato che lì in Africa non ci sono le scuole, né i palazzoni, né i giorni della solidarietà, mi ha spiegato che nemmeno lui conosce il suo vero papà perché è morto, mi ha spiegato che nel suo villaggio non piove quasi mai, non ci sono le strade e lui cammina scalzo sui sassi.

Mi ha spiegato cos’è un sogno. “il sogno è uno di quei giochi che sai di perdere, ma giochi lo stesso”. non l’ho capita questa frase di zanzi, è ovvia, anch’io se so di perdere gioco lo stesso perché è divertente, però andando avanti a leggere, questo gioco del sogno comincia

categoria under 15 TeRzo ClASSiFiCATo21

Motivazione della GiuriaIl racconto contrappone un mondo fatto di modernità

dove l’avere tutto ha reso inutili i sogni, con una terra più povera ma capace di sognare.La semplicità della narrazione è un valore aggiunto.

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a piacermi. zanzi dice che il sogno è l’inizio di un viaggio, dice che sognare è bello, dice che i sogni non sono quei filmetti che vedi di notte, ma sono quello che vuoi diventare, quello che vuoi fare, quello che ti permette di farti sorridere pensando a qualcosa di fantastico che solo il destino sa se succederà.

ecco ho deciso. Anch’io voglio iniziare a sognare, è l’unico “mondo” nel quale posso rivelare me stesso senza che nessuno mi giudichi. Ho già trovato il mio primo sogno: voglio andare da zanzi, lì giù nel suo paese. deve essere così bello giocare, correre e sognare tuti assieme. Qui dove abito io non si fa nulla tutti insieme, tutti sono sempre presi e pieni di impegni, forse se ci prendessimo un attimo di pausa e iniziassimo a immaginare, anche qui riusciremmo a sognare. ecco ho trovato il mio secondo sogno: fare in modo che tutti ne nutrano uno.

il sogno è il viaggio più bello di tutta la vita.

TeRzo ClASSiFiCATo categoria under 15

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Quarto classificato

il soGno: Diritto Di oGni creaturadi Gioia Vanin - Marcon (Ve)

Motivazione della GiuriaUna struggente lettera alla mamma che non c’è più per dare aiuto a tutti i bambini del mondo.

Una giovane scrittrice già capace di emozionare e coinvolgere.

Cara mamma, è possibile che sia tutto vero: i mostri nelle favole, i draghi e le streghe?

Perché nella vita reale non ci sono solo principesse cavalli bianchi e principi azzurri.

Mi manchi. Perché te ne sei andata così presto? Perché non sei ancora qui con me?Ci sono già tanti angeli in cielo, e mi hanno portato via anche te, il mio punto di riferimento. Perché fin da piccola mi raccontavi di un mondo perfetto ? non esiste un mondo perfetto, sono tutte bugie, illusioni che ci creiamo da piccoli e che poi, con il tempo, svaniscono. il problema è che a me piacevano quelle illusioni, quei sogni; ma dopo la tua morte, tutto d’un tratto, senza preavviso, quel mondo è caduto in mille pezzi come un vaso di ceramica o un bicchiere di vetro. le illusioni sono svanite e la realtà mi si è presentata diretta e dura.

da bambina sono diventata adulta in pochi secondi.

Mi hanno portato in un orfanatrofio, una specie di prigione, credo che qui io sia con-dannata all’ergastolo. Quella strada da casa all’orfanatrofio, quel silenzio tombale la notte interrotto da qualche pianto di un bambino che poi smetteva da solo, le ore di lezione e la solitudine. Tu eri lì con me? Perché non mi hai inviato un segno, un messaggio?

ora sono abbastanza grande, dieci anni compiuti e voglio ritornare tra le tue braccia.

Tutti i sogni che avevo ora non esistono più, si sono annullati, disfatti, sono volati via insieme a te. Perché non posso sognare come quando ero piccola?

nella mia favola io sono la principessa imprigionata nella torre ma nessuno vuole sal-varmi.

ora non ho sogni. Perché ad una bambina deve essere negato di sognare? ne ha il diritto, nessuno glielo può impedire, eppure è questo che hanno fatto con me e con tutti i bambini dell’orfanatrofio.

ora dove trovo un sogno? Forse nei ricordi, mamma aiutami.

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Angelo mio, dove sono gli uomini con un cuore? Sono solo una bambina che è stata strappata dalla sua casa e portata con forza da tutt’altra parte. Ma io voglio un sogno, un sogno da realizzare, non banale né esagerato, uno tutto mio.

Ma non sono l’unica senza sogni, ad altri milioni di bambini sono stati negati. Forse potrei diventare una specie di presidente che viaggia in tutto il mondo e che visita tutti i bambini che non hanno sogni per suggerigliene uno. Che sogno stupido. non ho fantasia.

non so se in cielo arrivano le lettere ma spero che tu la legga, spero che tu sorrida quando vedrai questa lettera scritta a mano in una pagina di quaderno, spero che l’acqua delle lacrime si sia asciugata durante il viaggio.

Ti assomiglio molto: ho le labbra carnose come le tue e i capelli neri, e la pelle forse troppo pallida, una specie di Biancaneve. Spero di trovare anche io il Principe azzurro per-ché di streghe e cacciatori ne ho abbastanza.

All’orfanatrofio ci dicono di primeggiare su tutto e tutti, di essere egoista per poi avere un lavoro e un futuro. Mi tappo le orecchie. non voglio ascoltare. non voglio diventare così da grande.

i bambini che sono qui con me sono tristi: anche a loro il mondo è diventato grigio troppo presto, una realtà formata da tanti uomini tutti uguali che camminano su e giù per le strade come tanti piccoli soldatini in giacca e cravatta, non si guardano negli occhi e non hanno pietà di nessuno. Mi fa tutto paura: io sono fragile.

Quando posso scappo e corro ai laghetti, un luogo pieno di gente che passeggia. non voglio isolarmi, voglio sentire le risate dei bambini felici, i bambini che hanno un sogno: diventare astronauta, medico,modella o perfino principessa. Forse qualcuno sognerà anche un mondo migliore, coronato dall’ amore e in cui non serva lottare per i diritti di tutti, per-ché non esistano luoghi dove i bambini vengono abbandonati o, se rimangono soli, debbano stare a lungo in attesa di una famiglia straniera che forse non arriverà mai…

È bello vedere una mamma tenere stretto a sé il proprio bambino, scorgere la tene-rezza mentre lo accarezza o semplicemente cogliere la luce dei suoi occhi quando guarda il proprio figlio crescere e diventare grande.

io sto seduta nella solita panchina, sono da sola e tutti mi guardano come se fossi diver-sa. Allora faccio finta di niente e corro via piangendo.

Cara mamma, prima di aiutare me, incarica un angelo di soccorrere prima tutti gli altri bambini del mondo che non hanno goduto dei loro diritti, la possibilità di giocare e di sognare e di avere una famiglia. Sono certa che ci sono migliaia o forse milioni di bambini che stanno peggio di me, che ora sono in una fabbrica sotterranea di tappeti e piangono per-ché hanno già perso la speranza e non credono più nel futuro, quelli che ora vivono in strada e che devono crescere fratelli più piccoli, quei bambini che non hanno l’amore dei genitori perché non ci sono più o perché sono tanto impegnati da non riuscire ad avere pochi minuti per i loro figli, insomma coloro che hanno un cuore che piange.

Cara mamma dì all’angelo di donare loro un pennello per dipingere il mondo con tanti sgargianti colori, dai loro la forza per andare avanti e per non mollare.

Caro angelo mio dai capelli bruni,racconta nel sonno anche a loro le favole che nar-ravi a me, falli sognare perché talvolta il mondo è un incubo ma solo se lo guardi dal lato sbagliato; mamma asciuga loro le lacrime da bambino innocente, stringi forte le loro mani

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categoria under 15 QuARTo ClASSiFiCATo25

stanche per il lavoro e regala loro un abbraccio. incarica un angelo di proteggerli e di non abbandonarli, farli crescere con principi basati sull’ uguaglianza e sull’ amore.

e infine versa una goccia di amore nel cuore di chi ha impedito a tutti questi bambini di sognare. Perché noi siamo il futuro, a noi spetta il compito di cambiare il passato e di creare un nuovo mondo, ma senza sogni tutto questo diventa impossibile.

Mi manchi.

Angelo mio.

Anna.

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Quinto classificato

il peZZo mancantedi emma Dalla mora - Casale sul Sile (TV)

- C’era una volta un regno incantato pieno di allegria e gioia. la gente attendeva con ansia l’arrivo di un principe che sposasse la bella principessa. Tutti sognavano il giorno delle nozze con banchetti, balli e sfarzo ma...

- nonna, cosa vuol dire sognare?

- Vedi, cara, è una parola molto vecchia ormai da tempo scomparsa, non so spiegarti che vuol dire, a sette anni non lo capiresti... ormai sono solo io a usarla.

- Ma come mai non c’è più?

- non c’è più bisogno di lei, è antiquata.

Sofia, dalla poltrona, guardava sbalordita la sua nonna, era ancora molto attiva per la sua età, e in quel momento stava pedalando sulla cyclette in tuta da ginnastica, con tanta foga da far credere che stesse gareggiando con qualcuno di invisibile.

“È mai possibile usare una parola senza saperne spiegare il significato?” Pensò Sofia.

- È sparita prima che nascessi, cara, ora sono vecchia e non so bene, tu sei piccola e non ricordo. dimenticherai presto questa parola come fanno tutti i bambini - disse la nonna come se le avesse letto nel pensiero.

Sofia si avviò fuori salutando, e una volta chiusa la porta alle spalle si fermò a guardare la via. “Che strana è la nonna” e con ingenuità infantile si diresse a casa saltellando.

Com’era incantevole quel posto, quasi come quello della favola con quella strana paro-la, sognare. le scappò una risatina ripensandoci ma non sapeva esattamente perché, non era più strana di altre parole imparate a scuola...

Riprese a guardarsi intorno, la città a quell’ora era molto attiva, i più strani mezzi di trasporto giravano per le strade asfaltate costeggiate da marciapiedi con alberi giganteschi dalle foglie verdi. era proprio bello vivere lì, il posto perfetto per una bambina di sette anni, colorato, allegro. Ma qualcosa mancava, mancava un particolare, un particolare non da poco secondo Sofia ma cosa, cosa?

categoria under 15 QuinTo ClASSiFiCATo27

Motivazione della GiuriaLa scrittrice sa cogliere l’essenza del sogno ben oltre le contraddizioni e le paure degli adulti con

un racconto fatto di coraggiose contrapposizioni che sottendono una coscienza matura.

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era arrivata davanti alla sua casa, accogliente come sempre, calda, pulita. la mamma in cucina a fare le frittelle, il papà in soggiorno a scrivere una email al datore di lavoro. Anche a casa mancava qualcosa, da quando aveva sentito quella parola tutto era incompleto.

- Ciao tesoro - la salutarono i genitori quasi in coro.

- Ciao mami, ciao papi - rispose Sofia, ancora assorta nei suoi pensieri, dirigendosi spensierata fino alla sua cameretta, il suo regno incantato. Si buttò sul letto a faccia in giù e dal bordo vide lì vicino il suo amato puzzle quasi completo. Mancava un pezzo, perso, sicu-ramente perso, chissà dov’era...Gli occhi le brillavano, ecco l’esempio perfetto: mancava un pezzo! Sì, perché mancava un pezzo a tutto: a casa, per strada, dalla nonna, in camera.

Corse in soggiorno urlando: - Manca un pezzo!

i genitori la guardavano, lo aveva detto come se avesse scoperto qualche cosa di straor-dinario, era un peccato rovinare il momento e i genitori la assecondarono:

- Brava piccola, complimenti!

Sofia capì che non avevano capito

- Manca un pezzo a tutto! È come un puzzle bellissimo senza un pezzo!

Continuavano a guardarla con sguardo interrogativo allora si spiegò meglio:

- la nonna mi ha detto una parola strana e dopo, quando sono uscita, ho visto che il mondo era diverso, strano!

non ebbe il risultato atteso e allora corse alla libreria e prese a fatica il dizionario: avrebbe mostrato ai genitori quella parola e loro l’avrebbero capita. Aprì il dizionario e arri-vò alla “S”: “soglia”, “sogliare”, “sogliola”... doveva essere lì invece il libro proseguiva con “soia”, “solaio” e altre parole. Come poteva essere che neanche lì ci fosse la parola strana? i genitori capirono e guardarono anche loro e dissero:

- Che bisogno hai di sognare cara?

Sofia impallidì, come facevano a conoscere quella parola?

- Hai tutto quello che vuoi in questo posto. Se tu ti convinci che sul tavolo in cucina comparirà un biscotto questo comparirà davvero. Funziona così, non serve sognare. Sognare è triste.

- Come è triste? Sognare nella favola della nonna era bellissimo!

- È una favola, Sofia, smettila di sognare o potrà finire molto male. - il tono della mamma era aggressivo. Sofia era sul punto di piangere.

- È così piccola mia, non è mica male il mondo ora: puoi sempre avere quello che vuoi senza sognare. Qui è vietato. - il tono del papà divenne un bisbiglio.

Vietato? Come potevano vietare una cosa così bella e straordinaria? le sembrava di voler sognare da sempre, sentiva di averlo dentro quel desiderio.

- non puoi sognare Sofia, quando sogni le cose non si realizzano come adesso. Quando sogni di avere una caramella se non la ottieni ci rimani male. Siamo un mondo viziato, Sofia, non avere quello che vogliamo ci porta tristezza e tristezza diffusa è uguale a rivolta, e rivolta è uguale a morte. Questo governo non accetta il malcontento.

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categoria under 15 QuinTo ClASSiFiCATo29

Sofia guardava fisso nel vuoto, si sentiva strana. la città, la casa, i genitori perdevano improvvisamente colore.

- lascia stare i sogni - le sussurrò la mamma all’orecchio.

Corse in camera sua ma senza quell’entusiasmo con cui era scesa. Si sentiva cambiata, più matura. entrò nella sua camera. Si buttò sul letto e si addormentò. Per la prima volta nella sua vita sentiva e vedeva con gli occhi chiusi. non era il mondo normale, era più colorato, più bello. Che meraviglia! le sembrava di essere finalmente libera da un peso opprimente.

ecco lo sentiva, stava sognando. non poteva essere altro che un sogno. Ci era riuscita: sognava, sognava, la prima a sognare da generazioni. Fu quasi triste di svegliarsi la mattina dopo ma capì che doveva dire a tutti quanto era bello. uscì di casa, verso la scuola. le strade erano sempre le stesse ma erano più complete. Come poteva riuscire una bambina di sette anni a descrivere un simile cambiamento?

era come se la vita prima fosse stata piatta, invece ora con i sogni ci si muoveva anche quando si era fermi, bastava sognare viaggi incredibili. Quella parola le aveva cambiato la vita. Perché gli adulti non sognavano?era così semplice! A scuola ne parlò con le sue amiche ma non la capivano, come mai?

Tornando a casa pensava, pensava alle parole della mamma e del papà: “il mondo è viziato...i sogni porteranno morte”. Sofia non capiva perché gli adulti temevano tanto le sensazioni di serenità che aveva provato quella sera. decise allora di andare dove tutto era iniziato: dalla nonna. entrò e vide la nonna seduta sulla poltrona con una tazza di tè in mano:

- Ciao nonna, mi dici perché gli adulti non sono capaci di sognare? - chiese schietta. la nonna la guardò, bevve un sorso di tè e sospirò.

- Perché credono sia roba da bambini. Quale adulto sognerebbe essendo consapevole che non si realizzerà il suo sogno? una perdita di tempo.

- Ma cosa sogna un adulto?

- non ne ho idea, nessuno sogna più.

- Bé ti dirò, nonna, ieri ho sognato e ho capito che non serve che tutto si realizzi subito, ma basta che almeno ci pensi.

- non capisco...

- Se sogno di diventare una brava persona, magari non lo diventerò subito ma sapendo di volerlo tenterò di realizzarlo. il sogno è il progetto ma tu lo realizzi.

- È proprio vero che voi bambini siete pieni di idee!

- Sognare per me non è una cosa solo per bambini ma anche per grandi. e non penso che sia giusto vietarlo ma penso che sognare sia un diritto di tutti, senza esclusione.

Sofia sospirò, sentì di aver convinto la nonna. Probabilmente era stata lei ad insegna-re alla mamma quella parola, e probabilmente aspettava che qualche sognatore come lei si facesse avanti.

e chissà... forse la nonna aveva già sognato quel momento... chissà!

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Segnalato

un soGno ostacolatodi martina Bellio - Ponzano Veneto (TV)

ormai sono le tre di mattina e fuori le stelle creano delle immagini che sono solo tue e nessuno te le può rubare, come la coca-cola al bar della scuola o le sigarette nel parchetto sotto casa.

Ma lasciamo stare ciò; mi chiamo luca e ho tredici anni, problemi con la fidanzata che va dietro ad un altro e amici che fanno finta di esserlo, Claudia è l’unica persona che riesce a consolarmi e a capirmi. A parte lei la mia vita non è uno splendore, senza parlare dei miei genitori che si urlano contro e i loro urli rabbiosi si sentono a kilometri di distanza.

Per non parlare della cosa più brutta e noiosa del mondo: la scuola. Sono in terza media, mai bocciato una botta di fortuna, ogni anno con tre materie sotto sono sempre riu-scito a cavarmela, ma quest’anno non è che posso snobbare la scuola come facevo gli anni scorsi, infatti, devo scegliere la scuola superiore e qui arrivano i problemi.

Claudia è stata fortunata i suoi genitori hanno approvato la sua scelta, mentre a me….

io ho un sogno diventare scrittore, mentre mia mamma vuole che vada al liceo artistico, perché anche lei voleva andarci, ma io non me la sento non è la mia scuola!

i professori vogliono che vada a un C.F.P. perché ho molte insufficienze…; insomma ognuno ha la sua opinione niente di male ad averla, ma sono io che devo andare a scuola, e nessuno fino ad ora mi ha mai chiesto la mia di opinione.

Claudia mi dice di non preoccuparmi che le cose si sistemeranno.

Ma il fatto è che ho paura.

ne ho parlato con la prof. di italiano e secondo lei se mi metto d’ impegno posso farcela visto che è l’unica materia in cui vado bene.

Guardando fuori mi chiedo: perché a me? insomma tutti hanno un sogno, ma non deve dipendere dai tuoi genitori.

Motivazione della GiuriaUn sogno affrontato con coraggio e con uno stile di scrittura deciso e maturo.

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Alfredo è un amico di famiglia, lui è stato condizionato da suo nonno che ha una famo-sa azienda tessile e suo nonno gli ha detto che l’azienda sarebbe stata sua un giorno e così ha fatto la scelta del nonno non la sua, adesso non è felice, è depresso, perché? ovvio non era la sua strada.

io non voglio fare questa fine, ma con la situazione precaria del rapporto tra i miei geni-tori ho paura di distruggerla ancora di più. A scuola, lo psicologo addetto all’orientamento, ha detto di parlare con i nostri genitori; io invece ho deciso di parlare con la mia adorata nonna, una donna che per i suoi settantacinque anni è molto sveglia e attiva.

decido di andare da lei un pomeriggio. Appena entro vengo tempestato da baci e abbracci, cerco di allontanarmi, ma la nonna fa kickboxing (strano vero?) e quindi i miei sforzi sono inutili, alla fine mi arrendo e dopo un’ultima stretta mi lascia.

espongo alla nonna il mio problema lei ci pensa su un attimo e poi decide che quella sera avrebbe chiamato i miei per chiedergli se avevo già scelto la scuola, come se non sapesse niente.

Quella sera scoprii che la nonna era un’ottima attrice.

Purtroppo i miei le dissero, senza troppi giri di parole, che sarei andato all’artistico; la nonna non mollò l’osso e chiese se io ero contento di andare al liceo artistico. Mamma e papà erano impenetrabili e andarono avanti per la loro strada e le risposero di sì, che non si doveva preoccupare perché ero bravissimo a disegnare, che i professori del liceo artistico erano bravissimi e che l’autobus che portava a quella scuola passava prorpio davanti casa. la nonna con un tono di voce molto alterato riprese a parlare, chiedendo di lasciar stare l’autobus e la bella scuola, ma di pensare se io fossi realmente felice.

la mamma molto seccata le rispose che loro avevano già deciso.

il piano non aveva funzionato purtroppo, così quella notte, come la notte prima e quella prima ancora, siccome il tormento era troppo, restai sveglio a chattare fu Facebook o a messaggiare con Claudia. l’alba arrivò presto, verso le cinque avevo scritto un messaggio alla nonna che sicuramente lo avrebbe letto visto che si sveglia verso le quattro.

Quella mattina sentii suonare il telefono, un messaggino: era mia nonna! la risposta era un breve ok. Scesi dal letto il più piano possibile e andai in bagno presi il termometro e tornai in camera dove rovistando un po’ trovai l’accendino, lo accesi e riscaldai la punta del termometro, la temperatura iniziò a salire fino a toccare punta 38.5 gradi dopo di che nascosi tutto, mettendo il termometro dentro al pile sperando mantenesse la temperatura. Verso le sette quando la mamma iniziò a chiamarmi le dissi che non mi sentivo molto bene e che mi misuravo la febbre e poi sarei sceso.

Aspettai i consueti cinque minuti e poi tirai fuori il termometro, la temperatura era scesa a 38.2, ma avrebbe fatto comunque colpo sulla mamma.

Mentre io mettevo in atto la scusa del termometro la nonna stava aspettando che la mamma la chiamasse per dirle di badare a me, visto che lei doveva andare al lavoro e fu così che mi ritrovai da solo a casa con la nonna.

Abbiamo parlato tanto, ma alla fine la nonna mi ha detto di non farmi scoraggiare dai piccoli ostacoli, ma guardare oltre.

Alla fine presi una decisione: volevo rincorrere il mio sogno e decisi di parlarne con i miei genitori, con tutte le conseguenze che avrebbe provocato.

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Quella sera mentre mangiavamo la solita minestra di asparagi dissi con voce molto sicura, anche se non lo ero per niente, che avrei fatto lo scrittore e che di conseguenza mi sarei inscritto al liceo classico.

ero deciso a vincere quello scontro.

la mamma quasi sputò la minestra e divenne bianca come il bucato che fa alla dome-nica. Papà invece mi guardò malissimo come se avessi detto un’eresia. il primo a parlare fu papà che mi chiese il motivo di questa scelta così scellerata. Gli risposi, come gli avevo già detto, che era il mio sogno e che o era così o niente. Gli spiegai che dovevo provarci e che sapevo che ce l’avrei fatta. Mamma invece, che aveva ripreso un po’ di colorito, mi rispose con un secco no! io cercai di persuaderla, ma senza alcun risultato. Andai avanti così per una settimana a scongiurarli, ma l’ effetto fu pari a zero. Alla fine intervenne la nonna, lei ci andò giù più pesante di me anche se i miei non fecero una piega.

Ho rinunciato a parlare con loro è come parlare al muro, hanno la loro idea e basta.

Ho una solo possibilità: inscrivermi senza il loro permesso.

Ho fatto questa proposta alla nonna e lei ha accettato di aiutarmi. domani iniziano le iscrizioni, ho paura.

Ma so che è un treno che passa nella mia vita, non posso perderlo, voglio salirci e viaggiare lungo i binari che mi porteranno a diventare uno scrittore; sono pronto a tutto pur di rincorrere il mio sogno, anche se questo significa dar dispiacere alle persone che mi sono accanto.

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categoria under 19 SeGnAlAzione di MeRiTo35

Categoria Under 19

Segnalazione di Merito

oDDio, finalmente aBBiamo il Diritto Di soGnare!di elena colò - Badoere di Morgano (TV)

Motivazione della Giuria

Una storia coinvolgente ed attuale scritta per trasmettere forti emozioni.

Tutto inizia in una corsa disperata, senza nulla da seguire ma con qualcuno che ti insegue e si è completamente smarriti, senza meta. eppure io corro fino a togliermi il fiato, fino a sentire le gambe bruciare ed i polmoni esplodere, ma nonostante tutto io corro. Ho paura, non so più cosa pensare ma in una corsa così frenetica ho solo un pensiero fisso: scappare. non so che fare, forse mi sono persa ma non posso fermarmi e non voglio. Cado, forse sono inciampata sui miei piedi e sento il dolore salire dalle ginocchia fino ai palmi delle mani , scaccio le lacrime: non voglio piangere e così mi rialzo per riprendere la mia corsa ma qualcosa mi trattiene per le braccia. Terrorizzata mi giro e vedo lui…Mi dice solo una parola - Basta - io cerco di rialzarmi ma lui non me lo permette, mi parla ancora - ora è tutto apposto cucciola - e mi abbraccia accucciandosi vicino a me, le lacrime che ho trattenuto per così tanto tempo escono e finalmente riesco ad abbandonarmi a quel senso di sicurezza. È una sensazione strana che mi fa uscire dal mio stato di dormiveglia, non sogno più da molto tempo ormai, come se quel diritto mi fosse stato tolto un’ infinità di tempo fa, un diritto che non ho il coraggio di reclamare nemmeno a me stessa.

È un colpo forte, violento a risvegliarmi come tutti i giorni, da così tanto tempo, dal giorno in cui lui mi ha ingannata dicendo di amarmi, ma i lividi che porto sulle braccia, sul volto, sul corpo raccontano qualcosa di molto diverso dall’amore che manifesta davanti alla sua famiglia; di solito riesco a nasconderli con una buona dose di fondotinta ma ieri ha pro-prio esagerato e qualche debole traccia di viola si vede ancora. Sospiro, questa casa è una prigione per me, dove il mio convivente mi picchia e non mi fa uscire da non so nemmeno io quanto, non voglio nulla da lui “solo” che mi venga resa la libertà che ho perso da così tanto. un altro colpo violento.

- Si, si ho finito! - dico uscendo dal bagno nel quale mi ero chiusa a chiave; una presa ferrea alla gola mi blocca alla porta, sento le sue urla ma non riesco a capire nulla di quello che mi dice, insulti sicuramente. lo guardo con uno sguardo vuoto quasi in attesa di quei pugni che non arrivano, sento le carezze troppo violente sulla mia pelle , io cerco di opporre resistenza non voglio andare in camera… ma lui mi trascina ferendomi, senza curarsi della presa troppo forte sul braccio e del fatto che io cerchi di divincolarmi, perché per lui io sono

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SeGnAlAzione di MeRiTo categoria under 19 36

un oggetto vuoto senza sentimento che appena possibile maltratta. Penso all’uomo che sogno tutte le notti, non so il suo nome ma lo saprei descrivere ha un viso dolce e gli occhi castani, un sorriso quasi fiducioso nel resto del mondo, è lui che mi abbraccia sempre e mi fa spera-re nella fine di un incubo e nell’inizio di un sogno: il mio futuro. non ho famiglia, non ho amici, ho solo un convivente. la sua famiglia sa di tutto ciò, ma tutti loro fanno finta di non vedere i segni di quella violenza sulla mia pelle o le urla che a mezzanotte spezzano il silen-zio.

Mi sto annullando: non parlo, non sogno, non esisto più, sto sopportando questa pri-gionia da quanto tempo? non sono nemmeno sicura di volere una risposta a questa doman-da.

lui ha finito, si rialza e si dirige verso il bagno per una breve doccia dopo andrà al lavoro e rimetterà quella meschina maschera di “brava persona” chiudendomi a chiave e ostruendo ogni possibilità di fuga, di libertà. non una parola gentile, non una carezza, non un minimo di comprensione. Sospiro, accendo la tv e faccio zapping in uno stato di semi-incoscienza e apatia che ormai fanno parte di me. Voglio piangere, voglio urlare, voglio essere felice, voglio sognare…voglio esistere! Voglio sfogarmi e prendere a pugni il muro che ho davanti a me fino a farmi male, ma di lividi ne ho più che sufficienza e mi sento troppo debole. - Credo di essere incinta mamma - queste cinque parole dette da qualcuno dalla televisione mi fanno venire la pelle d’oca e questo pensiero è una folgorazione per me, incinta. non sono un medi-co ma delle piccole cose iniziano ad assumere una forma, ad avere significato:sono incinta! Come ho fatto a non rendermene conto prima? da quanti mesi ho saltato...? non finisco neanche di pormi la domanda che sto sfogliando il calendario un mese, due mesi, tre mesi! le mie mani tremano così forte che non riesco più a leggere le date. e adesso? Che faccio? Cosa ne sarà di questo bambino? il panico è così forte che rimango assolutamente immobile a guardare il muro per un tempo che mi sembra infinito. Perché io? Questo bambino non avrà una bella famiglia, non potrà sognare come tutti i suoi coetanei, non tornerà a casa in un ambiente carico di amore. Senza rendermene conto mi sto accarezzando piano la pancia, la vita. - Ti salverò tesoro mio - sussurro piano, da quanto tempo non parlavo con così tanta calma? - Ti salverò - ripeto con più forza, come se dessi forza anche a me stessa, non solo a lui, il mio piccolino.

All’improvviso, esco dallo stato di torpore che mi ha tenuto prigioniera qui, in questa situazione da così tanto tempo: da quanto sono l’ombra di me stessa? da quanto tempo non riesco più a sognare? il sogno è la più forte manifestazione della speranza e dopo questi anni mi sono resa conto di averlo rinnegato, rinnegando anche me stessa. devo andarmene subito! Voglio tornare a sognare il mio futuro, la felicità un sentimento così lontano da me. l’unico modo che ho per andarmene non sarà indolore, eppure la voglia di finirla con questa vita è così forte che con un sospiro prendo la mia decisione - Sono incinta - sono le uniche parole che pronuncio da così tanto tempo di silenzio. lui è appe-na entrato a casa ha appena aperto la porta e ci sono anche i suoi genitori con lui. Rimane impietrito davanti a me, il silenzio ora, è perfino più assordante delle sue urla. la mia voglia di continuare la mia vita, ora è più forte di quanto avessi mai potuto immaginare. Però il diritto più importante è il suo, del mio bambino a vivere un’infanzia felice e di poter sognare, anche io voglio poter tornare a sognare. ne ho diritto, è un nostro diritto piccolo mio.

Vedo il suo viso trasfigurarsi, quando l’ira prende il sopravvento è sempre così - non è mio! - urla, e dopo come consuetudine, ripartono gli insulti. non ricordo più nulla di quei

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categoria under 19 SeGnAlAzione di MeRiTo37

momenti; so solo che il pavimento era freddo, ed io ero raggomitolata in posizione fetale per proteggere il mio bambino. Mi sento leggera, confusa, ogni tanto uno sprazzo di luce mi ferisce gli occhi.

Mi sento così strana, è come se fossi pesante ma allo stesso tempo leggera.

una voce concitata mi chiama più volte - Sveglia, sei sveglia? - una mano mi sfiora il braccio, mi irrigidisco: non voglio essere toccata - lui è stato arrestato - mi dice una voce in tono dolce - il bambino sta bene, sei in ospedale ora - è davvero tutto finito? non riesco a formulare la domanda, le mie labbra rimangono immobili, fredde. la mia mente inizia a vagare, inizio a sognare il mare, le montagne, i prati e la bellezza delle stelle cadenti: tutte le cose che amo di più, lui è in galera ed io, ho di nuovo diritto a sognare, finalmente. Anzi, ne abbiamo il diritto!

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Categoria adUlti

Primo classificato

un Braccialetto per alicedi cristiano Vanin - Conscio di Casale sul Sile (TV)

il viaggio sembrava più lungo del previsto. Mike si era addormentato dopo aver letto solo poche pagine, mentre Alice era intenta a fissare due gemelli seduti dall’altra parte del corridoio che giocavano col telefonino, cercando di riconoscere le differenze nei due volti come si fa nei giochi della settimana enigmistica. Partire all’alba tutto sommato era stata una buona idea: meno confusione in aereo, colazione abbondante e giornale fresco di stampa. Forse più impegnativo per Mike, abituato a fare sempre tardi la sera per via del suo lavoro, mentre per Alice nessuna novità trovarsi già sveglia alle prime ore del mattino. Anche quella notte non era riuscita a riposare bene, non tanto per la musica del pub dell’isolato vicino a Madison Street, stranamente aperto di lunedì, quanto per quella solita visita ricorrente.

Quella notte si era svegliata ancora una volta di soprassalto, sempre allo stesso punto del sogno, con il cuore in gola e il battito accelerato, con quel desiderio di urlare frenato pochi istanti prima dalla paura di svegliare Mike e le ragazze nell’altra stanza, trovandosi costretta poi a dare spiegazioni. Allora si sedeva sul letto, guardava Mike sempre girato dall’altra parte verso la finestra, si alzava e andava in cucina a prepararsi una tisana, quella alla melissa sembrava la più efficace per calmarla, almeno così aveva imparato. Poi sapeva che non si sarebbe più riaddormentata, ci aveva già provato parecchie volte, ne approfitta-va allora per fare qualche lavatrice o sistemare la cucina. le briciole della sera precedente ancora da raccogliere, la dispensa da sistemare. Quel sogno la turbava, eppure non poteva farne a meno: lo attendeva, sperando ogni volta che potesse concludersi in maniera diversa, si interrompeva invece sempre allo stesso punto lasciandola inquieta. Quella mano tesa trop-po distante che non riusciva ad afferrare, quel braccialetto pendente. la sensazione di avere i piedi incollati sull’asfalto, impediti a fare qualsiasi passo, il casco rotto vicino all’erba del ciglio e l’odore acre di gasolio.

All’aeroporto c’erano zia elide e sua figlia ad attenderli. era la prima volta che Alice tornava in italia dopo quel lontano 1985, non riuscì a trattenere l’emozione nel rivedere la zia dopo così tanto tempo.

categoria adulti PRiMo ClASSiFiCATo39

Motivazione della GiuriaStoria tragica e delicata, dove il sogno spezzato bruscamente, mantiene il filo per portare a compimento la promessa. La scrittura semplice appare un gesto rispettoso dei sentimenti e

delle emozioni espresse nel racconto.

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PRiMo ClASSiFiCATo categoria adulti 40

in macchina guardava fuori dal finestrino, ricordava i campi coltivati, le botti d’acqua per irrigare, vide le distese di viti e le venne in mente quando da bambina aiutava i nonni a portare a termine la vendemmia prima che l’uva diventasse troppo matura.

Già aveva messo in conto che la prima cosa impegnativa da fare sarebbe stata presenta-re Mike a tutti i parenti: una squadra di zii, zie, cugini e cugine che anche lei doveva sforzarsi di riconoscere dopo tutti quegli anni. un affetto ritrovato che doveva agganciarsi a volti in parte nuovi, in parte solo invecchiati.

“Con chi avete lasciato Mary e laura?” chiese zia elide poco prima di sedersi a tavola con tutta la famiglia. lo spezzatino con la polenta pronto vicino ai fornelli aveva riempito la stanza di un profumo che li aiutava a sentirsi a casa. Mike conosceva solo qualche parola di italiano, così Alice passava molto tempo a tradurgli parte delle conversazioni per cercare di renderlo il più possibile partecipe.

“Sono a casa con i nonni. laura oramai è grande, sa arrangiarsi”, Alice sperava così di archiviare l’argomento, ma la cugina Teresa volle approfondire:

“e Mary come sta? Fa progressi?”. Qualche secondo di silenzio, il volto più severo. Alice si sentì costretta a parlare di Mary. la sua sindrome, anche se destinata a peggiorare, sembrava concederle negli ultimi due anni una qualche tregua. erano stati i primi dieci anni quelli più duri. False le speranze di miglioramenti, con le uniche certezze di una malattia che avrebbe legato a doppio filo la famiglia con medici e ospedali, forse per sempre. era soprattutto Alice a farsi carico della figlia, aveva per questo dovuto chiedere un part-time, rinunciando alla possibilità di acquisire una posizione di rilievo nell’agenzia di assicurazione in cui lavorava. Mike troppo impegnato con il suo lavoro, con il tacito compito di guadagna-re almeno il giusto per mantenere la famiglia e le spese mediche della figlia, così onerose in America.

non indugiò troppo a tavola, appena fu possibile chiese di poter salire per andare a riposare, rinunciò al caffè. Al caffè italiano. la stanchezza per il fuso orario fu la motivazione ufficiale, a cui si aggiungeva il desiderio di non raccontarsi troppo, almeno per quella sera. Mike si addormentò subito, non fece neppure in tempo a spegnere il tablet con cui stava controllando a distanza le e-mail di lavoro.

Quando era un po’ giù Alice, prima di dormire, sperava spesso di incontrarlo di nuovo, sapeva del rischio di vivere il solito incubo, ma ogni volta pregava che il sogno potesse con-cludersi in un altro modo. Quella notte non fu diversa: Fabio tornò, quella mano tesa, quel risveglio brusco. Solito copione a cui oramai Alice si stava abituando.

il mattino seguente Alice e Mike cercarono di programmare la giornata: ancora qual-che visita a parenti e amici di vecchia data e una breve gita nel pomeriggio, per permettere a Mike di visitare un po’ dell’italia che conosceva solo dalla cucina di Alice e dai racconti di qualche suo parente.

Alice avrebbe aspettato ancora un po’ di giorni, quelli necessari ad entrambi per ambientarsi, poi però doveva trovare l’occasione giusta per fare ciò per cui era tornata in italia dopo tutti quegli anni. Senza che nessuno lo sapesse, tanto meno Mike.

era il martedì seguente quando Mike chiese di poter rimanere un pomeriggio a casa, aveva bisogno di un paio d’ore per sistemare alcune questioni di lavoro che nel frattempo monitorava attraverso il computer. era l’occasione giusta per Alice.

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categoria adulti PRiMo ClASSiFiCATo41

disse che avrebbe fatto visita a una vecchia zia che abitava a più di un’ora di strada. Scese in centro dal fiorista, acquistò tre gerbere rosse, il fiorista con tono quasi malizioso le ricordò che il rosso si acquista per gli appuntamenti importanti. in effetti aveva ragione, pensò Alice. Poi prese la macchina che Teresa le aveva prestato e via dritta verso quel pic-colo paese che era più di 25 anni che non rivedeva. Persino le mani sul volante pulsavano al ritmo accelerato del cuore. Parcheggiò l’auto sotto al cipresso, entrò dal cancello principale. Si trattava ora di cercare dov’era, impresa non semplice anche se fortunatamente il paese era piccolo, il luogo ordinato, ci si orientava attraverso le date incise sui marmi.

Poco più di un quarto d’ora e lo trovò. Seduta con la testa appoggiata sulla gelida lapi-de e le braccia aperte piangeva. un pianto che sapeva di nostalgia e libertà.

erano anni che doveva farlo: tornare da Fabio, almeno portare un fiore alla sua tomba e salutarlo così per l’ultima volta.

Per troppo tempo aveva cercato quell’incontro di notte, nel sogno che li vedeva prota-gonisti. Ma non andava mai come sperava, rimaneva qualcosa di irrisolto, un rimorso difficile da digerire: Alice non era riuscita a salutarlo per l’ultima volta. doveva farlo ora, davanti alla sua tomba.

Gli tornarono in mente le gite al mare in moto, Fabio davanti e lei seduta dietro lo afferrava stretto per non cadere, per sentirlo suo e basta. Tanti i discorsi fuori dal cancello di casa a travasarsi la vita e i desideri per il futuro. Poi la notizia della partenza: Alice dove-va seguire il padre in America, c’era bisogno di emigrare per cercare fortuna, coltivare la terra non bastava più. Alice dovette crescere in fretta: nell’accettare la decisione del padre, nel fidarsi di Fabio e dei suoi sentimenti, nell’investire altrove. era la festa del Redentore quando Fabio promise ad Alice che l’avrebbe raggiunta qualche mese dopo, per stare con lei e costruire uniti la loro vita. il sogno di un futuro insieme, lontano dalla propria terra ma insieme, questo contava di più. Alice quella notte gli diede il suo braccialetto di cuoio, gliel’avrebbe restituito una volta raggiunta in America, questo era il patto.

Quel braccialetto Alice non lo ha più riavuto. un mese dopo un incidente in moto lì separò per sempre, uno scontro con un tir, Fabio morì sul colpo, sdraiato sull’asfalto. il mondo crollò per Alice quando gli fu comunicata la notizia, una settimana di paralisi, dentro e fuori. Poi cominciò a reagire e decise di tagliare ogni ricordo, per non soffrire. Si impose di non tornare. Per un po’ di tempo la strategia sembrò funzionare: sposò Mike, un uomo così diverso da Fabio, ma era quello che serviva per non correre il rischio di ricordare troppo, non poteva assolutamente permetterselo.

dovette imparare a essere forte, l’affetto di Mike col contagocce e una figlia disabile. Serviva cominciare a volersi bene da sé, senza aspettarsi troppo dagli altri. Con il costante dubbio se ciò la rendesse più tenace o la indurisse alla vita. Poco importava, si va avanti.il suo presente erano Mike, le ragazze, il lavoro, gli Stati uniti.

dopo qualche anno di matrimonio Fabio tornò a farle visita, di notte, dapprima per qualche breve istante, poi in maniera più chiara ed evidente. le prime volte Alice si spaven-tava, arrivò ad aver paura di addormentarsi per non dover ricordare.

Poi si accorse che quel momento poteva essere speciale, lì poteva ritrovare Fabio, lì poteva sperare di essere felice finalmente con lui, mettere da parte per qualche istante il suo presente. Ma il sogno non andava mai come lei sperava. interrotto sempre allo stesso punto.

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decise allora un giorno di fare quello che avrebbe dovuto fare più di 25 anni prima: tornare da lui, portare un fiore alla sua tomba, piangere ricordandolo. Chiedergli di aiutarla a volere più bene alla sua vita, come faceva un tempo, con la stessa dolcezza.

una folata di vento la ridestò dal torpore dei ricordi. Alzò gli occhi, il cielo era azzurro. non c’erano dubbi: Fabio la stava guardando, non c’erano nuvole in cielo a impedirgli la visuale. Alice si sentì abbracciata, non era sola.

il suo passato con Fabio, quell’incontro dopo tutti quegli anni, rimasero il segreto di Alice. la sera furono poche le parole con Mike, un “good night” veloce. lei distesa fissava il soffitto e ripensava alla giornata trascorsa. Si sentiva in pace, con sé e con dio, un peso tolto da dentro, un conto finalmente saldato. Quella notte Fabio tornò, restituì il braccialetto, sorrise ad Alice, si sedette accanto a lei sul muretto dell’orto che quasi scottava per il sole del pomeriggio e parlarono fino al tramonto, interrotti solo dalla voce della mamma che la chiamava a rincasare perché la cena era pronta.

Affrontare la malattia della figlia, il lavoro, il matrimonio ora poteva essere diverso. Alice scopriva un’energia nuova, una serenità ritrovata. Poteva contare sull’alleanza di un destino che non si era spezzato, oltre la morte, così vivo e pulsante in un sogno da sembrare vero. Più vero della nostalgia.

PRiMo ClASSiFiCATo categoria adulti 42

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Secondo classificato

Questioni Di cronacadi andrea negrini - Casale sul Sile (TV)

italia, anno 1994, in una tranquilla città di provincia, come tante.

Domenica 16 Gennaio

«deve essere stato un bel volo» disse Garavaglia accendendosi una sigaretta. Sollevò gli occhi dal lenzuolo che copriva il corpo e li alzò verso la finesta del quarto piano. Come gli altri presenti avrebbe preferito trovarsi altrove in quel momento, ma quale ispettore di Polizia doveva presidiare la scena del crimine finché non fossero state compiute tutte le rile-vazioni del caso. lo stridìo dei freni di un’Alfa e il suono di una portiera richiusa con forza lo distolsero dai suoi pensieri.

«Garavaglia, spegni quella schifezza e spiegami cosa diavolo è successo» tuonò da poco distante la voce del commissario.

Ricciotti, cinquantatré anni portati male, il trench spiegazzato sopra al vestito spezzato fuori moda rappresentava la versione italiana dell’investigatore da serie televisiva, con l’ec-cezione di aver abbandonato da tempo il vizio del fumo e averlo sostituito con quello della liquirizia. Stessi denti gialli, polmoni più sani.

«Buongiorno commissario, quello che vede sotto al lenzuolo è il fu Gualtiero Pezzulli, di anni sessantasette, ragioniere, da poco in pensione. Scapolo, nessun figlio, nessun parente prossimo. una vita ordinaria è dir poco. la porta del suo appartamento al quinto piano era chiusa dall’interno, tutto va nella direzione del suicidio».

Ricciotti fece girare tra le labbra una radicie di liquirizia già ampiamente smangiucchia-ta «Ha lasciato qualcosa? una lettera, una nota?»

«Sì, gli agenti hanno trovato sul frigo di cucina un biglietto scritto a mano che sembra un vero e proprio addio: “il sogno è finito” recita. lo abbiamo messo tra le prove da portare in commissariato»

«Avete provato a interrogare i vicini?»

categoria adulti SeCondo ClASSiFiCATo43

Motivazione della GiuriaUn giallo che ci racconta di come un sogno possa tenere accesa la fiammella della vita.

E quando il sogno finisce l’esistenza non ha più il suo filo guida.Una scrittura ricercata per una storia originale.

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SeCondo ClASSiFiCATo categoria adulti 44

Garavaglia stava per rispondere quando venne bloccato da una signora sulla cinquan-tina che fino ad allora era rimasta in disparte. Grassoccia, con la testa piena di bigodini e imbacuccata in un vistoso cappotto, lo scansò con poca grazia e, avvicinatasi al commissario con fare eccitato, tese la mano verso Ricciotti.

«Piacere commissario, sono la Gianna, vicina di casa del povero Pezzulli»

Garavaglia guardò il commissario sgranando gli occhi e si batté una tempia con l’indice come a dire «questa è matta». Quindi girò le spalle e tornò a coordinare gli altri agenti. di lì a poco sarebbe arrivato il furgone dell’obitorio.

«Mi dica signora» inziò Ricciotti «conosceva bene il Pezzulli?»

«Beh, diciamo che avevamo una rapporto cordiale: il signor Gualtiero era una persona molto riservata, non si vedeva spesso in giro. Però non era un burbero, tutt’altro, anzi. era sempre molto garbato»

«Sa se avesse il vizio del gioco? Potrebbe essersi ucciso per una questione di soldi?»

«di certo non era ricco, però non se la passava male a quanto ne so. Anzi era noto per contribuire generosamente alle raccolte fondi della parrocchia. e spesso e volentieri donava il sangue alla ASl»

«Ammirevole» disse Ricciotti con poca convinzione, masticando il suo rametto di liquirizia. nella sua carriera aveva sentito fin troppe agiografie postume per rimanere impres-sionato.

«Grazie del suo prezioso contributo, signora. Se avremo ancora bisogno di lei le faremo sapere»

la signora Gianna gongolò d’orgoglio per essere finalmente al centro dell’attenzione e ammiccando lasciò cadere un invito:

«Commissario, con questo freddo non sale nemmeno per un caffè?»

«Grazie signora, ma il caffé mi rende nervoso» mentì Ricciotti e, congedatosi, si allon-tanò per tornare alla macchina.

martedì 18 Gennaio

i risultati dell’autopsia confermarono che il gesto era stato lucido e volontario: nessun segno di collutazione, nessuna traccia di alcool o altre sostanze.

Anche la perquisizione dell’appartamento, in cui il Pezzulli viveva da oltre vent’anni, contribuì a disegnare il profilo di una persona ordinata e abitudinaria, senza particolari hobby o aspirazioni. i poliziotti incaricati erano rimasti colpiti dall’enorme quantità di riviste settimanali, per lo più di spettacolo e cronaca rosa, sistemate in rigoroso ordine cronologico su ogni mensola libera della libreria in salotto.

Ricciotti aveva sguinzagliato Garavaglia a raccogliere informazioni sulla vittima pres-so tutti i notabili della cittadina, dal parroco, al direttore della banca, al suo medico della mutua. Tutti avevano confermato la versione della signora Gianna: il Pezzulli era un uomo dalle abitudini morigerate, dalle finanze sane e con una salute di ferro.

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il parroco, don Saverio, si era detto addirittura scioccato, perché reputava Gualtiero un uomo dalla “forte fede interiore” e non riusciva a darsi una spiegazione per il tragico gesto.

in assenza di parenti che ne reclamassero l’eredità o ne curassero le esequie, e visto l’infamante sospetto del suicidio, don Saverio si affrettò a celebrare il funerale a spese della parrocchia e ad archiviare il tutto prima che voci maldicenti arrivassero alle orecchie del vescovo.

inaspettatamente, fu aiutato nel proprio intento da una evento di cronaca: quel giorno si celebravano in Francia i funerali della soubrette Mimì la Rêve (a dispetto del nome d’arte, italianissima e originaria di quelle parti), scomparsa il sabato precedente.

Pochissimi in città la ricordavano ancora, era andata via poco più che diciottenne per cercare fortuna a Parigi, lavorando come ballerina in locali di bassa fama, fino ad essere notata da un impresario teatrale. da lì alla televisione il passo era stato breve e oltralpe aveva conosciuto un discreto successo. Con il finire degli anni ‘60 e della gioventù la sua carriera aveva subito una battuta d’arresto, ma era rimasta sulla scena grazie a piccole parti in teatro e occasionali comparsate in programma di amarcord.

i giornali locali, sempre affamati di notizie dal rilievo nazionale, non avevano perso l’occasione di dedicare una pagina all’illustre concittadina scomparsa, relegando il caso Pezzulli a un trafiletto vicino ai necrologi.

Come prevedibile, quel martedì pomeriggio la chiesa era tutt’altro che affollata.

«Gualtiero non merita di essere ricordato solo per la sua fine» aveva detto il parroco di fronte allo sparuto gruppo di persone intervenute alla cerimonia.

Tra questi Ricciotti, che aveva passato buona parte del tempo a lanciare occhiatacce a un Garavaglia smanioso di uscire dalla chiesa e accendersi una sigaretta. oltre a loro, presen-ti più che altro per dovere istituzionale, erano intervenuti anche una manciata di ex colleghi, qualche condomino e l’immancabile signora Gianna.

Forte di una nuova permanente e della sua consolidata inclinazione a farsi i fatti degli altri, all’uscita del camposanto aveva puntato Ricciotti come un segugio.

il commissario era riuscito ad allontanarsi con una scusa un momento prima che la signora giungesse a distanza di cortesia, facendosi schermo del povero Garavaglia.

Allontanandosi, sogghignò al pensiero dell’agognata sigaretta dell’ispettore irrimedia-bilmente rovinata da una pioggia di domande e decise di festeggiare lo scampato pericolo passando all’attaco di una nuova radice di liquirizia.

Per quanto riguardava lui e la Polizia di Stato, il caso era ufficialmente chiuso.

Domenica 23 Gennaio

Ricciotti faticava a prendere sonno. in assenza di casi interessanti da risolvere e senza particolari incombenze di cui preoccuparsi nei giorni a venire, la sua mente era fin troppo libera di vagare tra i mondi del possibile.

inevitabilmente il pensiero si soffermò sul caso Pezzulli.

Pur non avendolo conosciuto in vita, provava per lui una certa dose di simpatia. in fondo erano entrambi uomini solitari, meticolosi, dediti al lavoro.

categoria adulti SeCondo ClASSiFiCATo45

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SeCondo ClASSiFiCATo categoria adulti 46

Sarebbe finito anche lui come il ragioniere, una volta in pensione? Sarebbe stato desti-nato a spegnersi lentamente nel suo appartamento di periferia o avrebbe trovato il coraggio di farla finita prima? un brivido gli corse giù per la schiena.

il fatto che avesse volontariamente trascorso la passata vigilia di natale di turno in commissariato, col solo Garavaglia che era passato a salutarlo di ritorno dalla messa di mez-zanotte, non faceva ben sperare.

Tentò di scacciare quei pensieri malmostosi. in fondo gli mancavano ancora diversi anni alla pensione e non era tipo da compiere certi gesti eclatanti.

A ben pensarci nemmeno il Pezzulli lo era, anzi a detta di tutti fino a pochi giorni prima era un sorridente pensionato. Perché quel gesto repentino? in fondo erano anni che conduceva una vita fatta di tranquilla routine.

Ricciotti ripensò al biglietto trovato nell’appartamento. A cosa poteva mai riferirsi? Quali segreti desideri poteva mai avere un ragioniere in pensione? e un commissario?

Trascorse almeno un’ora a rigirarsi sotto le coperte finché, stanco di indugiare, si alzò, prese dal cassetto dei medicinali in cucina un paio di pillole di sonnifero e le buttò giù senza acqua, per poi abbandonarsi a un sonno senza sogni.

martedì 25 Gennaio

Come ogni mattina prima di recarsi in commissariato, Ricciotti si fermò a comprare il giornale.

«Buongiorno commissario, il solito quotidiano?» chiese con voce squillante il giovane seduto dentro all’edicola.

«Sì, grazie» rispose Ricciotti sbadigliando. doveva ancora smaltire la nottataccia di domenica.

«Senta commissario, posso chiederle un favore?»

«dica» sbuffò tentando di nascondere il fastidio.

«Si ricorda di quel povero Cristo che s’è ammazzato due settimane fa?»

lo sguardo di Ricciotti si accese di interesse: la stanchezza era come scomparsa.

«Certo, il Pezzulli»

«esatto, il signor Gualtiero. ogni settimana selezionavo per lui una serie di riviste che il lunedì puntualmente passava a ritirare. ora che è morto sa se c’è qualche parente a cui spedirle? Tra l’altro questa volta è davvero parecchia roba, non vorrei mi restassero sul groppone»

«no, purtroppo era solo, temo dovrà trovare un altro modo per piazzare quelle riviste. Ma come mai così tante proprio adesso?»

«Ma come commissario, un uomo di mondo come lei non è aggiornato sulla cronaca? È per via della Revani, raccoglievo tutte le riviste con articoli su di lei. negli ultimi anni si trovava solo qualche ritaglio, ma dopo che è morta...»

«Revani? Mai sentita»

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categoria adulti SeCondo ClASSiFiCATo47

«Ma sì commissario, ne hanno parlato anche al telegiornale. Mimosa Revani, classe 1927, in arte Mimì la Rêve»

Ricciotti ebbe una improvvisa illuminazione e si affrettò a tirare fuori il portafoglio.

«Mi dica quant’è, le prendo tutte io» chiese, sventolando cinquantamila lire. Poi, caricata la pila di riviste sui sedili posteriori dell’Alfa di servizio, partì in tutta fretta verso il commissariato. Forse quella notte avrebbe potuto riposare.

Sulla strada verso l’ufficio fece qualche rapida sosta: l’anagrafe, la scuola, l’appartamen-to del defunto. Più tardi, a pranzo, ebbe modo di raccontare a Garavaglia la sua intuizione.

l’ispettore buttò giù il mezzo bicchiere di vino rimasto, si sfilò il tovagliolo dal colletto e, lanciandolo sul tavolo, fissò il commissario con aria incredula.

«Quindi lei mi sta dicendo che il Pezzulli si è ucciso per amore alla tenera età di ses-santasette anni?»

«esattamente. Stando ai pubblici registri, il Pezzulli e la Revani sono coetanei e si sono diplomati insieme in ragioneria subito dopo la guerra. Probabilmente lui si immaginava avrebbero messo su casa insieme e invece lei fece armi e bagagli per cercare fortuna all’este-ro»

Garavaglia abbozzò un sorrisetto ironico:

«una bella botta, se ci ha messo quasi cinquant’anni per riprendersi»

«non mi sembra il caso di scherzarci sopra. e poi Gualtiero non s’è mai “ripreso”, tant’è che alla fine si è ammazzato»

«diavolo, è incredibile come sia riuscito a coltivare nel segreto la speranza di un ritorno per tutto questo tempo. Possibile che nessuno se ne sia mai accorto?»

«era molto riservato e comunque sono passati tanti anni. l’unico a poter sospettare qualcosa avrebbe potuto essere il ragazzo dell’edicola, ma è troppo giovane per conoscere l’inizio della storia. Comunque ecco spiegate tutte quelle riviste nell’appartamento»

«non credevo si potesse nutrire così al lungo un sentimento tanto profondo, per giunta non corrisposto! Più ci penso, più mi pare assurdo»

«Anche a me, ma vedi Garavaglia, il problema è proprio questo: chi ha una speranza è come se sapesse sempre in che direzione andare e può anche passare la vita a camminare nell’attesa che il suo desiderio si realizzi. Se invece non abbiamo nemmeno un sogno, per quanto irrealizzabile esso sia, cosa campiamo a fare?».

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Terzo classificato

per te. lo faccio per te.di rita mazzon - Padova

le sue parole sono veloci. Adatte a farsi largo tra i rumori del traffico.Fruga tra le immondizie con meticolosità. Come chi ha un mucchio di tempo da spre-

care.Si guarda attorno con gli occhi della disperazione. era un uomo, che aveva un mare di vita in cui nuotare e che ora gli è stato prosciugato

dalla testa.le ore non contano. Conta solo cosa mangiare. dove dormire.nella mappa inculcata sotto pelle lui conosce la planimetria dei posti più sicuri.Arraffa tutta l’indecenza dello spreco lasciato da un mondo troppo occupato a correre.lui al contrario è fermo. Aspetta. ogni tanto chiude gli occhi. Forse per concentrarsi

sulla possibilità che ci sia da qualche altra parte qualcosa di migliore con cui nutrirsi. Pronuncia frasi incomprensibili, che alitano parole senza senso. Bestemmia. Quando

però trova qualcosa di commestibile, urla.Sono gridolini di piacere. la faccia gli sorride.le rughe ricamano percorsi di gioia, mentre la città sordomuta se ne sta nel suo chiasso.Anche se nessuno lo sente, quel grido è per lui importante. È sacro. Sa che stasera avrà

il suo nutrimento.nell’inverno i rumori si levano dagli imballaggi. Acquistano un tono diverso, più forte.d’estate si mescolano coi colori, ma ora nel grigiore della nebbia il suo urlo è spietato.il suo corpo compatto, pesante non lascia traccia sulla pagina aperta della strada.il mucchio di stracci naviga sui marciapiedi.lui ricalca i passi che già conosce. Così la sua storia non ha una trama.le gambe che l’hanno guidato sono sorde, mute cieche. eppure vanno avanti, spinte

dagli odori.Sulla faccia si scorge una scrittura densa, che non lascia spazi.un fitto aggrovigliarsi di emozioni, incartapecorite tra le rughe.

categoria adulti TeRzo ClASSiFiCATo49

Motivazione della GiuriaL’autrice ci accompagna in punta di piedi nel mondo doloroso dell’emarginazione dove anche

un sogno può dare sollievo nell’ora più difficile.

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TeRzo ClASSiFiCATo categoria adulti 50

la pelle strofinata dal vento gelido è carta abrasiva.le venuzze rosse ne richiamano altre. Si risvegliano per il freddo. ne nascono delle

nuove. indicano i paesaggi della sua vita. Formano un reticolato. Raccontano di giorni pas-sati all’addiaccio, di illusioni mal spese, di sconfitte.

le labbra screpolate restano un po’ aperte. Assaggiano l’aria. Fanno finta di berla.lo zaino sdrucito sulle spalle, il cartoccio appena conquistato sono la giusta supplenza

ad un compagno da molto tempo desiderato.Solo. Quattro lettere che spellano le mani. lo scalpello dell’indigenza scava, scuoia la

pelle.Solo. Girovago in una terra straniera che parla un’altra lingua, fatta di suoni per lui

oscuri. un paese convinto di essere nell’oro, ma che è solo avvolto in carta stagnola.Cammina. Soffia dentro le mani.l’umidità annebbia la vista, ma tanto lui sa dove andare.All’angolo della casa ci sono i suoi cartoni.Stasera dormirà lì, come oggi, come domani.lui raccatta i suoi pensieri, con cui tenta di scaldarsi. Ritorna con la mente ad un giorno di aprile, dove lei gli teneva la mano.È un sogno riciclato mille volte. È una visione che si spacca. Si diluisce nella nebbia.le dita, intrappolate nei guanti strappati, escono rosse. Sono boccioli.la gente passa. non si accorge di niente.lui guarda in alto. Fissa il cielo. Vede il sogno prediletto, che lo fa andare altrove.“non ti ghiacciare, amore. Resta. Fammi compagnia. Rimani!”. Si fa piccolo. Si stringe per avere più calore.

Pochi stracci sul corpo. Pochi stracci di ricordi che hanno la consistenza della nebbia.non elemosina neppure uno sguardo.È assente, fino a non capire più dove sia l’inverno, o quel mite sguardo in cui lei gli

arriva soffice in una carezza.Rincantucciato nelle parole pronunciate dalla sua donna, lui trattiene il respiro, lo

butta fuori in una brina che brilla.la sua vita si è inerpicata in salita, poi ha perso fiato. Si è arrampicata con fatica, alla

fine si è arresa.il sentiero su cui aveva imbastito la sua trama è franato.da una bottiglia che scalda, ma che non dà pace, lui ha trovato la sua discesa. ora si trova tra quattro cartoni. Convinto che un sogno l’aiuti ad arrivare a passare la

notte.lo sporco lo custodisce dai malanni. la pelle si è ispessita. Si è fatta dura.il suo animo, tra una bevuta di vino ed una lucidità, vola.Va verso quello che ha perso.la malinconia lo sdoppia. Gli fa credere di stare bene.Si sgrana l’immagine.il corpo sprofonda, ma il sogno resta.

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la carezza impaurita diventa sicura.È una medicina che disorienta il gelo della notte.È una coperta calda di sensazioni.lei avanza. Gli passa vicina. lo tocca.Si siede. Si raggomitola nel suo abbraccio.la durezza del suo braccio allenta la presa.loro adesso sono assieme.Toccamenti leggeri, in cui cerca nelle mani della sua donna di togliersi il peso degli

anni.“dove sei stata, amore mio? Resta”.nelle parole strusciate che hanno perso gli spigoli delle consonanti aspre si piega la

notte. Si inchina.

Si fa scintillante di stelle.i sogni si rincorrono. nel buio si cercano, indicano in scie luminose la strada giusta da

percorrere, ora.Cola dal cielo un film mieloso a lieto fine.lui si lascia andare. Attraversa il fiume dolce. Mentre il dolore al petto lo inchioda alle sue poche cose.l’acqua del sogno non bagna. e’ leggera.e’ lei che glielo chiede di non pensare.Chiuse le pareti alla sofferenza. lei ne getta la chiave.Adesso lui sta altrove.i rancori? Che cosa sono i rancori?i rimorsi? Che cosa sono i rimorsi?Tutto viene pulito da quell’amore fluido, che si alza e fa volare indietro.Si fa presto ad uccidere il tempo, a cambiare l’evolversi delle azioni.Quel giorno, in cui aveva trovato la valigia di lei pronta, lui l’aveva lasciata andare.Adesso no! lui la bacia. le chiede di restare.“non berrò più. Te lo prometto. Resta”.lei allora disfa l’istante della partenza. lo accarezza.le bottiglie dense di liquore e di amarezze finiscono nello scolo del lavandino. “Per te. lo faccio per te, amore mio”.nella bocca sente l’acidità della promessa. deve però reagire, dare una svolta diversa.Quando gli occhi di lei si incrociano con i suoi, sente che le lacrime possono anche

dissetare.Gli bastano per andare avanti e ritrovare la forza per non bere.“Per te. lo faccio per te”.l’acqua del sogno salvifica. le parole martellate con violenza di quel giorno diventano

sussurri.Plasmano la cera della loro unione.

categoria adulti TeRzo ClASSiFiCATo51

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TeRzo ClASSiFiCATo categoria adulti 52

la scena è ripetuta mille volte. in un sogno si può.Si può ricomporre tutto come si vuole.Si ha la possibilità di ritornare indietro, fermarsi, riprendere la scena.lui non sa se sta dormendo, o se sia vero quello che vede.Che importa? l’importante è che le sue sensazioni ritornino vive.l’acqua è limpida. nella notte buia il sogno dà luce, dà calore.“Per te. lo faccio per te”.nel sogno si torna senza pensieri di coscienze, di colpe. il contatto con la sua donna gli toglie ogni peso.devia l’epilogo di quella porta sbattuta. Rimasta per tanto tempo chiusa.il precipizio del bere si è scontrato con l’inevitabile.l’unica via di salvezza in cui da quel giorno ha dovuto credere.no! non è vero! È diverso. lei ora è qui. la sente.Quella voce, con il suo timbro giusto lui la riconosce, non è spenta.il sogno diventa ossessione. i dubbi li deve cacciare giù in fondo. dentro, più dentro di tutto quel vuoto che gli preme il petto, che lo fa contorcere per

il dolore.Sfinito, come un cane frastornato da tante tracce diverse. ecco che ritrova l’odore di

lei.il corpo incollato al suo.Fissata, ancorata alla sua bellezza, la sofferenza scivola, se ne va via.la sua donna è il viatico.l’olio sacro. È preghiera.e questo è ciò che basta.le tempeste passano. Passano i momenti tristi. Ci si accomoda nella poltrona a pensare, a guardare foto liberate da cornici fredde delle

convenzioni ed il sogno arriva. Scalpita. Si accalora. non ha collari, né manette ai polsi.lui cambia posizione. Sta con la faccia in sù. Spinge coi piedi. il cielo sopra di lui gira.Senza telescopio ritrova lo stupore del loro primo incontro. lei arriva sorridente con un nastro tra i capelli… Si allarga la visione. lui assorbe tutto il cielo caduto dall’alto.ora ha la capacità di aumentare l’aria nei polmoni per volare via.la luce del mattino lo trova disteso. Tranquillo. dalla mano stretta a pugno fuoriesce qualcosa. È un piccolo nastro azzurro.

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Segnalato

un soGno Dorato per la BamBina aZZurradi aurora cantini - nembro (BG)

irene sapeva di essere in ritardo e cercò di correre più veloce. A saltelli risalì il ripido sentiero che dalla borgata di Predale l’avrebbe condotta fino al sagrato della chiesa di Ama, sull’Altopiano di Selvino, poi finalmente sarebbe stata in classe. Aveva saltato la messa degli scolari (chissà che predica il parroco alla mamma!) ma proprio non aveva potuto abbando-nare il vitellino nato durante la notte.

Schivando le pozze fangose che intralciavano il passo, residuo di alcuni giorni di piog-gia, raccolse una fascina di ramaglie mentre proseguiva spedita. era ottobre, la stufa in fondo all’aula era già accesa a causa dei primi freddi e ogni alunno aveva il compito di rifornirla quotidianamente di legna, come era d’uso negli anni Cinquanta sulle montagne della Val Seriana, nella bergamasca.

A un tratto irene si arrestò, stupita. Vicino al ponticello di legno che sovrastava il tor-rente Valgua (in verità solo due assi appoggiate dal nonno Mas-cio per l’attraversamento) stava una bambina.

Molte volte i vecchi la sera nella stalla raccontavano di streghe e apparizioni nei boschi pronti a ghermire i viandanti solitari, ma lei sapeva che erano solo storie di fantasia e non ne era spaventata, o perlomeno non molto. irene avanzò cauta ma decisa fino ad affiancare la sconosciuta, poi la guardò. il viso della bimba, di un bianco candore come di latte, (mai visto prima in montagna, dove la pelle era sempre scura per la vita all’aperto), era devastato dalle lacrime che scendevano a fiotti lungo le guance e inzuppavano il leggero vestitino di flanella a fiori. Ma nessuna voce, nessun lamento in quel pianto senza tregua.

non l’aveva mai vista prima, di questo era sicura (tutti si conoscevano sull’Altopiano). Sapeva, per esperienza, che era normale per un bambino di montagna muoversi da solo nei campi o nei boschi per svolgere le varie mansioni e nessun adulto si sarebbe mai preoccupato di che cosa potesse capitargli o dei pericoli che avrebbe incontrato; semplicemente si diven-tava grandi in fretta sui monti e lei stessa a cinque anni aveva percorso per la prima volta da sola il sentiero che portava nella valle sopra gli strapiombi, per raccogliere erba per i conigli.

categoria adulti SeGnAlATo53

Motivazione della GiuriaIl bosco è luogo di incontri misteriosi. Quello di Azzurra con Irene è uno di questi. Nascerà un’amicizia capace di andare oltre i limiti imposti dalla vita. Un racconto che sa di poesia.

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le due bimbe si guardarono fisse, poi dal campanile della chiesa di Ama scoccarono le ore e irene con un balzo fu oltre il torrente.

una mattina in classe entrò il parroco, recando qualcuno con sé: era la bambina del torrente, talmente bianca in mezzo a noi bambini, da sembrare azzurra sotto la pelle. «Cari alunni,» esordì il prevosto, spingendola in avanti. «Questa creaturina non può parlare, ma starà con noi qualche giorno.»

Per irene fu un’angoscia svolgere le lezioni e saperla seduta da sola nell’ultimo banco, dove di solito stavano i somari, quelli con le due orecchie d’asino in testa.

nelle case non si parlava d’altro. «Sono zingari, irene» spiegò la mamma. «Sono giro-vaghi, si spostano con le giostre.»

«Sono peccatori e non cristiani» sbraitò la zia Gesuina. «Ho sentito giù al mercato di Albino che rubano i bambini e fanno magie» concluse con il segno della croce.

irene ascoltava gli adulti e scopriva ogni giorno qualcosa in più della bambina misterio-sa. era senza madre (e già questo era un brutto segno, a sentire i vecchi) e il padre girava per la provincia a vendere statuine della Madonna in occasione delle feste del Rosario. Assalito dai briganti poco sopra l’abitato di Bondo Petello, non aveva potuto far altro che risalire la mulattiera fino al paesello. Stavano alloggiati nel fienile del parroco e l’uomo dava una mano a tagliare la legna nei boschi della Chiesa.

A scuola nessuno le si avvicinava, anzi, i ragazzi grandi trovavano ogni scusa per scher-nirla. un giorno la sua amica (adesso ex amica!!) Carola aveva esclamato: «Mia madre mi ha detto di non toccare quella là, altrimenti anche tu diventi muta.»

Pure la mamma si era accorta del suo tormento. «irene!» le disse una mattina che erano sole in cucina e la piccola non era riuscita a spannare adeguatamente il latte per fare il burro. «in questi giorni ho notato che svolgi i tuoi lavori con meno attenzione e io e il nonno dobbiamo rifare tutto.»

la piccina scoppiò a piangere e raccontò di come fosse in pensiero per la nuova com-pagna.

la mamma capì. «Quella piccola non è una creatura del demonio, è solo muta. Pensa al tuo papà, che adesso è in Francia, lui che parla solo il dialetto bergamasco. Certo all’inizio si sarà espresso a gesti, proprio come se fosse muto. ora tutti lo stimano e lo rispettano per il suo lavoro di taglialegna. Fai del bene e troverai il Bene.»

il giorno dopo irene salì al sagrato prima della messa e si diresse verso il fienile dove viveva la piccina. «io sono tua amica» mimò, facendo il gesto di abbracciarla. la bambina annuì e indicò il suo viso. Anche lei era sua amica. «io mi chiamo irene. e tu?»

la bimba girò il capo cercando qualcosa. Poi levò dalla tasca una fazzolettino azzurro, finemente decorato con perline. lo portò alle labbra e fece il gesto di cullarlo, poi levò la mano al cielo e indicò se stessa. «Sì, tu sei Azzurra. Sei Azzurra come il cielo. noi due insieme formiamo un Sogno!!»

la bambina sorrise trascinandola in una danza festosa e appena suonò il campanino della messa entrarono in chiesa tenendosi per mano. il fatto fece il giro del paese.

Accanto ad Azzurra, che era nata nella prateria e sapeva il linguaggio della natura, la

SeGnAlATo categoria adulti 54

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piccola irene scopriva ogni giorno un mondo tutto nuovo, pieno di mistero ed armonia. dietro un tronco d’albero appariva la tana del guardiano del bosco, vicino ai sassi del tor-rente ecco le impronte lasciate dagli elfi, e poi una foglia caduta recava ancora tracce della rugiada delle fate, o il muschio conservava il tepore del corpicino di un cavallino della luna, magari addormentato durante una della sue errabonde passeggiate notturne. Azzurra non parlava, ma a gesti raccontava a irene l’amore e il rispetto per la montagna e le sue creature nascoste, e insieme, leggere come nuvole, correvano per i prati, una macchia candida e leg-giadra accanto ad una più scura e ardita. Ad irene sembrava quasi di vivere un sogno a occhi aperti, creato appositamente per lei.

Ben presto la bambina cominciò a riferire le storie di Azzurra anche agli abitanti del paese riuniti nelle stalle. irene spiegava che Azzurra non era sorda, solo muta, perciò capiva quello che le veniva detto. Così quando la bambina passava sul sentiero tutti le donavano un saluto, una carezza, un sorriso. era sempre serena e con il suo sguardo azzurro e timido scioglieva anche il cuore più burbero, senza mai mostrare rancore o disappunto. ormai tutti le volevano bene.

eppure a volte irene la sorprendeva persa dietro una nuvola, gli occhi colmi di lacrime trattenute, il fazzolettino ricamato stretto sul cuore, ma se tentava di avvicinarsi Azzurra scappava via, tra i cespugli.

la madre di irene sapeva il perché. «la mamma di Azzurra è morta nel farla nascere e quel fazzolettino è il suo ricordo.»

«e tu come lo sai?»

«Mia mamma, lo sai vero, ha perso due figliolette prima di me. una si chiamava irene, come te. l’altra elisabetta, come me. Appuntate sul corpetto portava sempre due medagliet-te, due angioletti. Mi diceva che portava le sue due bambine sul cuore.»

Purtroppo però l’inverno incombeva e il padre di Azzurra doveva partire. irene si recò dal nonno Mas-cio, che stava piegando dei rami di nocciolo con cui creare archetti per cat-turare gli uccellini nella “passata” autunnale.

«nonno, tu che sai lavorare il legno, sai anche creare degli animali, vero?»

il nonno Mas-cio era un abilissimo artigiano del legno. non aveva mai creato nulla per diletto, solo oggetti utili agli abitanti della contrada, sedie da impagliare, cassetti e mensole, cassapanche e lettini, culle e sedili per i bambini. la bambina era sempre affascinata dalle sue storie.

«i rami di nocciolo o di corniolo sono vivi, hanno un’anima che decidono di donare agli uomini per alleviare le loro fatiche. in ogni legno c’è un cuore che batte, palpita secondo il ritmo di chi se ne prende cura. Sai perché scricchiola la casa, irene?»

le si illuminarono gli occhi.

«Sì, nonno. È il cuore del legno, è il respiro dell’albero che ci avvolge nel suo grande abbraccio.»

il vecchio sorrise. «Proprio così piccola mia. Ma tu hai qualcosa in mente, oggi. dimmi.»

irene gli spiegò l’idea che le frullava per la testa. «Azzurra mi ha detto che nel suo paese

categoria adulti SeGnAlATo55

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le mamme scelgono per i bambini lo Spirito di un animale guida. Ma la sua mamma non ha fatto in tempo a sceglierne uno per lei, così ora che sta crescendo ha paura che senza uno spirito guida rimanga da sola, senza un aiuto, senza amici. il suo papà non può fare niente per lei, perché lui è un maschio e i maschi non hanno potere in queste cose. io però sono una femmina e vorrei aiutarla. Vorrei donarle un capriolo dei nostri boschi, tutto dorato e lucido come sai fare tu. Sarà lo Spirito guida più bello e forte che si conosca. lui la proteggerà e la guiderà perché è veloce e sveglio, sente subito il pericolo e non si perde mai.»

il nonno sentì le lacrime salire agli occhi e capì che ormai la sua piccola nipotina stava diventando grande. Stringendola a sé, le promise che si sarebbe dato subito da fare.

il giorno della partenza, alla presenza di tutti i compaesani che salutavano commossi, irene porse ad Azzurra la bellissima statuina del capriolo: stava seduto tra l’erba appena mossa dal vento, le snelle zampette dagli zoccoletti d’avorio piegate sotto l’addome un poco più chiaro, pronte a balzare in su al minimo rumore, il musetto appena girato verso la padroncina, gli occhioni tondi e dolci, brillanti di vita. il legno era stato lisciato a lungo, fino a creare un mantello di seta che luccicava nel chiarore del giorno. Sembrava uscire dal legno in braccio ad Azzurra.

Al suo apparire la gente levò un’esclamazione di rapito stupore e molti trattennero il respiro. la bambina avvicinò il suo viso al piccolo musetto e fissò il capriolo a lungo, con occhi sognanti.

Quindi, nel silenzio generale, incominciò a danzare, seguendo passi antichi e conosciuti al suo popolo, stringendo l’animaletto tra le braccia, immersa in un mondo di suoni e ricor-di che solo lei, e il suo Spirito Guida, riuscivano a sentire. l’attimo era carico di emozione vibrante, poi Azzurra si inchinò agli abitanti con un gesto di armonioso addio. Finalmente era in pace, finalmente non era più sola. Anche molto dopo che la figurina di Azzurra era scomparsa oltre la curva e l’ultimo paesano si era allontanato, irene rimase immobile, con gli occhi fissi verso l’angolo della mulattiera, come sperando che riapparisse qualcosa, qualcuno, ma sentiva solo le sue lacrime bagnarle il colletto, disperate e dolorose.

la notte stessa, dal suo abbaino sotto il fienile, ad irene sembrò di scorgere un capriolo dorato vicino alla radura, al collo brillava qualcosa di azzurro… o forse era solo un luccichio sulla pietra, un sogno ormai svanito tra i ricordi. da quel giorno il vecchio Mas-cio divenne per tutti “il nonno dei caprioli”. Tanti ne realizzò negli anni che ancora gli restarono da vivere, ma solo per i bambini: per quelli tristi e soli, per quelli piccini e quelli grandicelli, per i vivaci e i timidi. lo si poteva trovare fuori dalla cascina seduto sulla panca di legno, sempre intento ad intagliare una nuova, piccola sagoma, mentre raccontava storie del bosco e di caprioli dorati.

irene non si sposò mai, ma coronò il suo sogno più profondo: divenne una maestra per i bambini sordomuti, a cui portava i caprioli realizzati dal nonno, che donavano musica, luce e gioia alle loro giornate trascorse nel silenzio.

Gli abitanti tornarono alle solite occupazioni, col tempo nuove case sorsero accanto alle antiche cascine, arrivarono i turisti e il benessere, ma del sogno della bambina azzurra e del suo capriolo dorato non si perse mai il ricordo.

SeGnAlATo categoria adulti 56

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Segnalato

il soGno Di Giuliodi maria marino - Preganziol - (TV)

nel fascio di luce solare che taglia l’aria della stanza dove danza, da sempre, la polvere che tutto invade, si aggiunge una lievissima nevicata di peli di gatto:

“Sta buono Meo, smetti di grattarti, che tutto il pelo che perdi s’infiltra nei miei poveri bronchi!”

Giulio, vecchio e stanco come il suo gatto, finge un tono di rimprovero, ma basta guar-dargli gli occhi per vedere l’affettuosa indulgenza verso la bestiola accoccolata sul cuscino della bassa sedia su cui il padrone poggia i piedi.

l’estate fuori è in festa e gli uccelli che abitano in rami degli alberi del suo giardino intonano cori allegri assieme a brusii di innumerevoli insetti. le tendine della finestra soc-chiusa si agitano di tanto in tanto mosse da un’aria tiepida e gentile che invita ad uscire.

“Sono vecchio, ragazzi miei, troppo vecchio per sentirmi in sintonia con il mondo là fuori”.

Giulio si sente più avvolto dal crepuscolo tardo autunnale che dal vibrare della natu-ra nel turgore pieno di vita. le sue gambe restano ricoperte da un pesante scialle di lana, addosso vestiti ancora invernali: ha permesso alla signora Augusta di diminuire soltanto il numero degli strati perché il suo sangue, ormai lento nel fluire, non lo riscalda più.

Sono le dodici, tre orologi a cucù appesi alle pareti intonano le note che lui ha predi-sposto nei meccanismi al loro interno, anni fa quando costruiva giocattoli e ogni altro oggetto in legno, con le sue mani abili e instancabili.

Giulio era stato proprietario e gestore del negozio di giocattoli del suo rione, ma la sua passione non consisteva tanto nel vendere quanto nel costruire giocattoli e aggiustare giocattoli e… regalare giocattoli.

i bambini della sua cittadina, tanti bambini, generazioni di bambini, lo avevano amato.

Fermarsi davanti alla vetrina del suo negozio, passando in rassegna con lo sguardo le piccole meraviglie che vi facevano mostra, era già un grande piacere. Trascinare poi le

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Motivazione della GiuriaLa memoria diventa sogno ma il sogno non sottrae il protagonista al suo destino; lui non si

rammarica, accetta. Una storia rispettosa delle stagioni della vita.

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rispettive madri all’interno, stringendo forte una mano, incuranti della loro resistenza intrisa di accondiscendenza appena mascherata, era l’inevitabile passo seguente.

Quanti giocattoli aveva regalato in vita sua? Giulio non avrebbe saputo dare una rispo-sta, ma sorrideva ancora, dopo anni, della stessa gioia che gli davano allora i gesti della sua quotidiana generosità.

Aveva anche abituato i ragazzini a ricorrere alla sua bravura per aggiustare qualunque cosa, almeno fino a quando il mercato non era stato invaso da oggetti di plastica.

“Me lo aggiusti, Giulio?” lui prendeva in mano il gioco, lo guardava appena e batten-dolo con l’indice diceva:

“Sai cos’è questo?”

“un’automobilina”, rispondeva il bambino di turno.

“no, questa è l’ottava piaga, caro mio. Plastica! Questa è plastica! non posso fare niente”. e non avrebbe potuto avere maggiore desolazione nello sguardo.

Tra poco sarebbe venuta Augusta, la signora bonaria ed energica che lo aiutava da qualche mese, mettendo ordine in casa, preparando il pasto di mezzodì e imponendosi nel cambio dei vestiti che a lui non pareva mai necessario.

nonostante ciò, Giulio si rendeva ben conto da tempo che non era più in grado di vivere da solo e aveva fatto richiesta alla più vicina Casa di Riposo di esservi accolto. la pos-sibilità si era presentata ormai due volte ma lui stava aspettando… non trovava il coraggio di lasciare il suo gatto, neanche affidandolo a mani buone.

“Meo, spicciati a morire, amico mio, altrimenti in Casa di Riposo dovrai andare tu!”

il musetto, che con gli anni si era in parte imbiancato, si sollevava come “annusando” le parole del padrone, uno sbadiglio smodato, accompagnato dallo stiracchiarsi del corpo diventato ormai ossuto, rispondevano silenziosamente mentre i bellissimi occhi azzurri, leggermente strabici, lo fissavano per alcuni istanti prima di socchiudersi di nuovo. Meo era stato uno splendido gatto siamese, intelligente e robusto, piombato in casa di Giulio diretta-mente dalla strada di fronte al negozio di giocattoli, dove un’auto lo aveva investito colpen-dolo di striscio e rompendogli una zampa. due bambine che si trovavano sul marciapiede lo avevano chiamato, strillando, e Giulio era stato così costretto su due piedi a raccogliere il micio e ad ospitarlo ( per l’emergenza, aveva pensato).

“e’ un gatto di razza, sano e forte, ben nutrito, avrà certamente un padrone” aveva detto alle due bambine, e lo pensava davvero.

Ma, dopo averlo fatto curare da un veterinario e aver affisso, con l’aiuto di eleonora, la più grandicella che lo aveva “salvato”, la fotografia di Meo su alberi e vetrine, lasciando indirizzo e numero telefonico, nessuno mai si fece vivo.

Giulio guardava il gatto: “da dove vieni, micione? non puoi esser arrivato fin qui da lontano”. “Meo”, rispondeva la bestiola e Meo divenne così il suo nome.

dopo aver sperato invano che il suo proprietario venisse a riprenderlo, o che l’animale una volta guarito ritrovasse da solo la via di casa, Giulio iniziò a temere queste eventualità perché a Meo si era molto affezionato e perderlo sarebbe stato un grande dispiacere.

Con l’arrivo del micio nella sua vita era iniziata anche l’amicizia con eleonora, nora come a lei piaceva di più. la bambina, che aveva circa dieci anni, prese a frequentare assi-

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duamente , oltre il negozio, anche la sua casa e il loro legame crebbe da simpatia ad amicizia, a vero affetto e chiunque vedendoli assieme avrebbe immaginato un nonno con una nipote.

la prima frase di nora che Giulio rammenti come speciale nel rivelargli la personalità della ragazzina fu:

“Quand’è il tuo compleanno?”

“Perché lo vuoi sapere, curiosetta?”

“Perché ti vorrei fare qualcosa di dolce. io so cucinare i dolci, sai?”

“non ci posso credere! Che cosa mi prepareresti di buono?”

Giulio era divertito, non ricordava nemmeno quanti anni fossero trascorsi dalla sua ultima torta di compleanno, forse era ancora bambino.

“ Vediamo… “ nora si accarezzava il mento in un gesto serio da adulta e lui doveva compiere uno sforzo per non rivelarle quanto gli appariva buffa con quell’aria da donnina.

“Ti potrei preparare la Kaiserschmarren che è facile; ce l’hai l’uvetta?”

“la che..? Bambina mia non smetti di sorprendermi!”

“e’ solo una frittata dolce, a pezzetti. lo sai che ho una nonna tedesca? Beh, non pro-prio, è dell’Alto Adige”.

nel frattempo Meo, a cui era rimasta una lieve zoppia dopo l’incidente, aveva iniziato a trascorrere gran parte del tempo in negozio, dove era diventato motivo di ulteriore gioia e curiosità nei piccoli frequentatori. Troneggiava su di uno sgabello, sulla cui paglia intrecciata affilava quotidianamente le unghie, come un vero oggetto da esposizione. Si lasciava acca-rezzare senza graffiare, oppure acciambellandosi voltando la schiena al pubblico, assumendo l’aspetto di un grosso cuscino di pelliccia. Prediligeva ad ogni modo seguire il nuovo padrone nel laboratorio, la stanza in cui Giulio si rintanava ogni volta che gli era possibile e che aveva la parvenza del negozio di Mastro Geppetto.

Vi aleggiava un buon odore di legno tagliato, trucioli e segatura ricoprivano il pavi-mento e arnesi da falegname e prodotti del suo ingegno si trovavano ovunque, a tutti gli stadi di produzione, nel disordine più totale.

Meo, con un balzo elegante, saltava sul tavolo da lavoro giocherellando con i riccioli che uscivano dalla pialla, “infarinandosi” le zampe e sternutendo quando il suo nasino rosa veniva irritato dalla sottile polvere di legno, o dall’odore fastidioso di colle e vernici colorate.

A nulla erano serviti gli inviti ad allontanarsi per evitare noie: il gatto nutriva per Giulio la reverente devozione di un cane.

ora, trascorso più di un decennio, il vecchio e la bestiola avevano perduto vigore e le energie di qualche anno prima parevano essersi dissolte. l’invecchiamento di entrambi era stato quasi repentino come se il sentimento che legava l’uno all’altro avesse creato una specie di osmosi delle loro vite.

il negozio era stato affittato e il laboratorio tanto amato da Giulio rimaneva chiuso e inutilizzato e, mentre nei primi tempi egli vi si recava per dare un’occhiata con cui rivivere gli anni passati, poi aveva smesso, dato che non ne riceveva che una sensazione sgradevole di abbandono come sempre accade quando si prende atto dell’ineluttabilità della fine.

Giulio e Meo con l’andare dei giorni se ne stavano sempre più sprofondati l’uno in

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poltrona, l’altro sul cuscino di lana ai suoi piedi. Talvolta il micio sembra addirittura essere già morto se non fosse per il lievissimo abbassare e sollevare del fianco in un respiro oramai flebile. Giulio lo tocca con delicatezza con la punta della pantofola e il gatto risponde con il solito ron ron della fusa, come a dire: “sono ancora qui e ti voglio bene”.

“Come posso tradirti, Meo, proprio adesso che sei alla fine? no, davvero non lo meri-teresti!”

Così nei lunghi pomeriggi e nelle interminabili notti, sempre più prese d’assedio dall’insonnia, Giulio si appisola in brevi dormi- veglia intrecciando sogno e realtà. Gli capita sempre più spesso di rivedere brani di vita che fluiscono, liberi da ogni briglia, snodandosi nella mente come un lungo film. i ricordi gli vengono incontro e lui vi si abbandona volen-tieri perché ha l’impressione che ciò accada apposta per tenergli compagnia e aiutarlo così a sentirsi meno triste e meno solo.

Rivisita con la memoria i periodi lontani della sua lunga esistenza che ora, così filtrati, gli sembrano più belli come se la sua mente fosse diventata un setaccio che trattiene i dolori, le delusioni, le aspettative tradite come corpuscoli privi di importanza da gettare in un altro tempo, quello che non gli appartiene più. di sua madre, per esempio, gli vengono incontro solo carezze, la sua voce sottile che canta, il sorriso timido; di suo padre la capacità di risol-vere ogni problema, quella onnipotenza che ogni bambino vede nei propri genitori, Gli amici degli anni belli, ormai morti o dispersi non ricorda dove, sono solidali e divertenti e non gli giunge più nemmeno uno screzio. Anche il ricordo di quando era stato innamorato si affaccia e gli sorride, ...ma è stato tanto tempo fa.

“Meo, tu sogni? io credo che sogni, perché di tanto in tanto fai vibrare un baffo e mi pare anche di vederti sorridere!”

nora, la sua amica bambina, ora è cresciuta ma gli è ancora affezionata. lei e la sua famiglia sono sempre stati presenti e hanno offerto tanti piccoli servizi per sottrarlo a fati-che e incombenze che non avrebbe più potuto affrontare. Gli hanno soprattutto dato calore umano e amicizia.

“ zio Giulio, sei proprio deciso ad andare via di qui? non ti pesa lasciare la tua casa, tutte le tue cose?…”

“no, nora mia, vedrai che non sarà poi tanto male. Tu mi verrai a trovare come fai ora, sarà come prima, solo che tutto avrà un aspetto più ordinato e più pulito, vedrai. e poi sai ai vecchi tutte le cose accumulate negli anni non servono più. i nostri bisogni si riducono come le nostre forze, è tutto preciso e ordinato come ogni altra realtà nel cosmo. non temere, nora, andrà tutto bene!”

Giulio ha già predisposto che la sua vecchia casa vada a lei. immaginare nora abitare le stanze in cui lui ha trascorso tanti anni gli regala una segreta felicità, augurandosi che anche lei condividerà i suoi sentimenti.

Giulio ha un pensiero-sogno sempre più ricorrente: si vede come un albero che sta per essere tagliato per venire trasportato chissà dove. Paventa quel momento e al tempo stesso lo attende come un appuntamento a cui non si può mancare. Ad occhi chiusi e sorrisino a fior di labbra, come il suo Meo, sembra dormire beato mentre il concertino degli orologi a cucù lo avverte che anche questo giorno è passato.

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Poiché aveva sognato sempre

anche da vivo,

quando è difficile trovare

una qualche conferma

ai sogni,

voleva continuare

anche tenendo conto che dopo, invece,

smentirlo sarebbe stata ardua cosa.

Sperava così che con il suo tronco

vuoto di nuovi umori

qualcuno avrebbe potuto

fare qualcosa.

il suo sogno: essere una scrivania,

o anche un tavolo,

o una mensola,

o anche una sedia da giardino,

o anche un pavimento.

in fondo gli era sempre piaciuto

sorreggere gente.

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i partecipanti

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partecipanti cateGoria “unDer 15”

undeR 15 PARTeCiPAnTi

GioRGiA CASARinGAiA PRoToPAPAeMMA dAllA MoRAelenA GiACoMelGAiA uGliAno MARTinA BellioedoARdo PASQuAle PiSCoPoMARiAnGelA duRiGoneleonoRA CiunCiFRAnCeSCo BedinilARiA PARoneTToMATTeo GenTileAlBeRTo BARleTTAdAVide BRiSolinGioiA CuRToloSTeFAno de ConToAleSSiA TRoVòAnTonio CAPuTo eVA zoRziAleSSiA FAlConeAGneSe ToRTAToFedeRiCo PAVAnMARCo FAVARoGioVAnni CiPRiAnAleSSiA doTolideniSe CHiozzoTToeliSA PedRonGioiA VAninBeATRiCe SCARPAMeliSSA ToGneTTiAleSSiA lunARdieliSA SoFiA CAPoneRoAliCe SCHieSARoMATTeo zoRziMATilde FAnTinAToPieTRo PozzoBonMATilde leVi MinziMARiAM YenKenenAdiA RuGiViTToRiA SCRoCCARo

Zero BranCo - (tV)Casale sUl sile - (tV)Casale sul sile - (tV)

PonZano Veneto - (tV)ottaViano - (na)

PonZano Veneto - (tV)PonZano Veneto - (tV)

treViso

PonZano Veneto - (tV)treViso

treViso

Paderno di PonZano - (tV)PonZano Veneto - (tV)PonZano Veneto - (tV)

treViso

PonZano Veneto - (tV)Casale sUl sile - (Ve)

MarCon - (Ve)MarCon - (Ve)MarCon - (Ve)MarCon - (Ve)MarCon - (Ve)

PonZano Veneto - (Ve)Casale sUl sile - (Ve)

MarCon - (Ve)MarCon - (Ve)

Casale sUl sile - (Ve)MarCon - (Ve)MarCon - (Ve)

salgareda - (Ve)MarCon - (Ve)

Casier - (Ve)MarCon - (Ve)MarCon - (Ve)MarCon - (Ve)

riese Pio X - (Ve)Casale sUl sile - (Ve)Casale sUl sile - (Ve)Casale sUl sile - (Ve)Casale sUl sile - (Ve)

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partecipanti cateGoria “unDer 19”

undeR 19 PARTeCiPAnTi

MARiKA FeRRonATo

JeSSiCA AdAMi

loRenzA FuSARi

SilViA BATTAGliA

elenA Colò

RodolFo GlABRo

MARiAPiA CRiSAFulli

BessiCa di loria - (TV)

treViso

treViso

lanCenigo di VillorBa - (TV)

Badoere di Morgano - (TV)

silea - (TV)

Città santa teresa di riVa - (Me)

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partecipanti cateGoria “aDulti”

AdulTi PARTeCiPAnTi67

eliSA BoRin SAlA

AuRoRA CAnTini

RiTA MAzzon

PAolo leiBAnTi

MARiA MARino

iMMAColATA SiMonA MAGGioRe

AleSSAndRo CASAGRAnde

MARliViAnA SCHiliRò

CinziA de AnGeli

GioRGio euGenio PASSAlACQuA

Ael RedRo MeCFoneS (pseudonimo)

MiCHele CARinGellA

AndReA neGRini

RoBeRTo BondÌ

RoSAlBA CAlCAGno

CRiSTiAno VAnin

FABio BARBon

FlAViA PAVAneTTo

AnTonio MiolA

niCole PoVelATo

treViso

neMBro - (Bg)

PadoVa

treBaseleghe - (Pd)

PreganZiol - (tV)

QUinto di treViso - (tV)

ronCade - (tV)

Basalghelle di MansUè - (tV)

Mogliano Veneto - (tV)

traPani

san Biagio di Callalta - (tV)

Paese - (tV)

Casale sUl sile - (tV)

VeneZia

Cogoleto (Ge)

ConsCio di Casale sUl sile - (tV)

sPresiano - (tV)

QUarto d’altino - (Ve)

QUarto d’altino - (Ve)

arCade - (tV)

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Si ringraziano

Via Vittorio Veneto, 108 Casale sul Sile - TVTel. 0422.820338 [email protected]

Hanno collaborato all’iniziativa

PRoVinCiA di TReViSo

CoMune di CASAle Sul Sile

iSTiTuTo CoMPRenSiVo di CASAle Sul Sile

CenTRoMARCA BAnCA

CooPeRATiVA G. Toniolo

il CoMiTATo oRGAnizzAToRe

lA GiuRiA

i VolonTARi del GRuPPo PARRoCCHiAle FeSTeGGiAMenTi

riparazione vendita computer e cartolibreria

Viale delle Industrie, 17 Dosson di Casier - TVTel. 0422.331858 [email protected]

Via Vittorio Veneto, 30 Casale Sul Sile - TVTel. 0422.702580 - Fax [email protected] - [email protected]

c r e a z i o n i i n v e t r o

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Premio Letterario

Tu, Io e i mondi possibiliIV edizione

racconti sul tema ispirati a:

Il Sogno:

dIrIttodI ognI

creatura

parrocchiasanta maria assunta

Casale sul Sile - Diocesi di Treviso

Gruppo parrocchiale FesteGGiamenti

con il patrocinio di

con il contributoe la collaborazione di

Comune di Casale sul sIle