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2005 Marzo 322 PERIODICO MENSILE - Anno XXXI Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bergamo Pasqua 2005 Omaggio di G. B. Moroni Piove, o sta per piovere. E la pioggia ruberà qualche ora di luce alla giornata. Verrà più svelta la notte, sta- sera. Quei due sono usciti lo stesso. Danno l’impres- sione di conoscere bene il sentiero. Meritano uno sguardo attento perché hanno un grande fascino. Non per il vestito, che è lo stesso per tutti e due. Non per l’oggetto che ciascuno di loro reca e che dovrebbe dare loro una certa onorabilità: il giglio dell’uomo fedele e casto e il disco d’oro del più grande predicatore del secolo. In realtà ciascuno dei due non sa come nascondere il premio, senza offen- dere chi glielo ha attribuito. Quello che da loro tra- pela è piuttosto qualcosa di profondo e di segreto che sembra coincidere con un vivere pacifico, forte. In verità loro stanno alla sua presenza. Questa pianta altissima, questo fiore gigantesco in cui il loro sguardo cerca di affogare, è il Crocifisso. Nessuno dei due s’aspetta il tem- porale o lo squarciarsi del cielo. Questo è avvenuto duemila anni fa, alle tre del pomeriggio. Quel dramma in quanto avvenimento storico si è chiuso. Ma si è chiuso per restare eterno. L’acquazzone, il lampo e il tuono, il velo squarciato, l’acqua torrenziale, simboli che cercano di dirci qualcosa di inaudito (il mistero di un Dio che muore per noi, mistero che le nostre parole non riescono a definire), ora sono diventati finissima pioggia. E’ Pentecoste espressa in miliardi di potenziali goccioline che aspettano solo il contatto con una superficie per rendersi visibili, per rendere bagnata e nuova ogni cosa: “Bagna ciò che è arido”, invocano i due Santi. E noi con loro. E quel corpo lassù, il corpo di Cristo, è stato il corpo più vero mai apparso su questa terra e nella nostra storia: pura capacità di relazione, di incontro, di espansione. E questo suo incontenibile desiderio di raggiungerci, questa sua forza di liberare anche in noi i nostri corpi, noi lo chia- miamo Spirito Santo. Forse siamo di fronte al più bel Crocifisso del ‘500. Crocifisso con i santi Bernardino e Antonio da Padova (Albino)

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PERIODICO MENSILE - Anno XXXIPoste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bergamo

Pasqua 2005

Omaggiodi G.B. Moroni

Piove, o sta per piovere. E la pioggia ruberà qualcheora di luce alla giornata. Verrà più svelta la notte, sta-sera. Quei due sono usciti lo stesso. Danno l’impres-sione di conoscere bene il sentiero. Meritano unosguardo attento perché hanno un grande fascino.Non per il vestito, che è lo stesso per tutti e due. Nonper l’oggetto che ciascuno di loro reca e chedovrebbe dare loro una certa onorabilità: il gigliodell’uomo fedele e casto e il disco d’oro del piùgrande predicatore del secolo. In realtà ciascuno deidue non sa come nascondere il premio, senza offen-dere chi glielo ha attribuito. Quello che da loro tra-pela è piuttosto qualcosa di profondo e di segretoche sembra coincidere con un vivere pacifico, forte.In verità loro stanno alla sua presenza. Questa pianta

altissima, questo fiore gigantesco in cui il loro sguardo cerca di affogare, è il Crocifisso. Nessuno dei due s’aspetta il tem-porale o lo squarciarsi del cielo. Questo è avvenuto duemila anni fa, alle tre del pomeriggio. Quel dramma in quantoavvenimento storico si è chiuso. Ma si è chiuso per restare eterno. L’acquazzone, il lampo e il tuono, il velo squarciato,l’acqua torrenziale, simboli che cercano di dirci qualcosa di inaudito (il mistero di un Dio che muore per noi, misteroche le nostre parole non riescono a definire), ora sono diventati finissima pioggia. E’ Pentecoste espressa in miliardi dipotenziali goccioline che aspettano solo il contatto con una superficie per rendersi visibili, per rendere bagnata e nuovaogni cosa: “Bagna ciò che è arido”, invocano i due Santi. E noi con loro. E quel corpo lassù, il corpo di Cristo, è statoil corpo più vero mai apparso su questa terra e nella nostra storia: pura capacità di relazione, di incontro, di espansione.E questo suo incontenibile desiderio di raggiungerci, questa sua forza di liberare anche in noi i nostri corpi, noi lo chia-miamo Spirito Santo. Forse siamo di fronte al più bel Crocifisso del ‘500.

Crocifisso con i santi Bernardino e Antonio da Padova (Albino)

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Circolano in questi giorni, a targhe alterne, grandi parole, grandistrategie e grandi proposte sull’arte a Bergamo. In questo articoloio mi pongo su un piano più semplice: mi accontento di parlare diarte, di Giovan Battista Moroni e, in particolare, del contesto cheha visto nascere la sua pittura. Ne parlo a gente che conosco, agente abituata ad aspettarsi un po’ di verità in tutte le cose che sifanno insieme. Qui da noi (non ho mai smesso di essere un redo-nese) non c’è festa che non si trasformi anche nella ricerca di unrespiro più profondo, non c’è lutto che non venga reso racconto,compassione e preghiera, non c’è viaggio dei nostri ragazzi chenon assuma anche il desiderio dell’esplorazione (nelle aspettativepersonali, nella storia che riguarda tutti e nel futuro che si va pro-filando). E non c’è Pasqua che non assuma i colori dell’arte.Niente, isolato dal contesto, viene enfatizzato e tanto meno assolu-tizzato. Tutte le cose hanno il sapore del seme. Raramente (peròcapita!) si ha la gioia di accarezzare la spiga. Ma è questione dipochi istanti, perché poi in realtà bisogna ripartire subito a semi-nare.

Fra pochi giorni sarà Settimana Santa, sarà Pasqua. La chiesaminore sta preparandosi ad accogliere delle sculture di un artistavivente e in piena attività. E circa un migliaio di noi farà sosta qui,tra un grande rito e l’altro, per permettere agli occhi e alle mani diaccarezzare e di depositare un po’ di quelle emozioni che la liturgia(e cioè nostro Signore tra noi) avrà saputo suscitare, incanalare esostanziare di verità. Ormai la cosa funziona e gli anni l’hanno col-laudata.

Occasionale invece è la concomitanza con la mostra sul Moroni,aperta al Bernareggi fino al 3 aprile. So che un buon numero diredonesi l’ha già visitata su iniziativa personale; quel che impres-siona invece è che molti ci siano andati in gruppo, così come sonoabituati a ritrovarsi nelle varie forme di partecipazione parroc-chiale. Un museo diocesano non può che provarne un certo orgo-glio. E’ con tutta semplicità che allora tento di presentare un pit-tore, la sua epoca e gli echi che da quel lontano Cinquecento arri-vano ancora, vivi e stimolanti, ai nostri giorni.

Giovan Battista Moroni nasce ad Albino, in una data che attendeancora di essere precisata: 1520-1524. Ha la fortuna di trovarsi nelBresciano, dove la famiglia si è provvisoriamente trasferita permotivi di lavoro (papà capomastro), quando decide di imparare ilmestiere del pittore. Trova come maestro il Moretto (di probabileorigini bergamasche: Ardesio) il quale in contemporanea con ilSavoldo (bresciano) sta operando una rivoluzione pittorica checon il tempo si rivelerà importante. A Bergamo le cose dell’arteintanto sono ferme.

In verità alcuni decenni prima (1513-1525) era passato il cicloneLorenzo Lotto lasciando tra noi alcuni dei suoi più grandi capola-vori. Ma era di un altro pianeta. Perfino a Venezia, sua patria, nonlo capivano. Sia a Firenze, sia a Roma, sia a Venezia i grandidell’arte in ogni opera rappresentavano il mondo intero. I Toscaniavevano la potente capacità di sintesi sostanziata della magia dellaprospettiva, della capacità di rendere solida ogni cosa con il dise-gno e della maestria nell’orchestrare ordine e movimento. I Venetiavevano il segreto del vento, dell’aria e del colore. Non disegna-

Per leggere il Moroni

Stendardo con calice(Pradalunga)

Con il Concilio di Trento la Messa sotto-linea di più il sacrificio di Gesù e menol’essere la sua Cena con noi. Anche lepale d’altare rendono “visibile” il corpoferito e morto di Gesù: quando il sacer-dote alza l’Ostia, questa va idealmente aporsi davanti al corpo sacrificato diGesù. Finita la Messa, le Ostie consa-crate vengono poste nel tabernacolo cheda quel momento viene collocato obbli-gatoriamente su ogni altare, compresosoprattutto l’altare maggiore. Moltifedeli, che si sentono indegni di acco-starsi alla Comunione, possono cosìsostare a lungo in chiesa durante ilgiorno facendo, oltre all’adorazione, laComunione spirituale. Nascono ovun-que o si rafforzano le Confraternite delSS. Sacramento, che rendono splendidigli altari, organizzano le processioni conil SS. Sacramento e aiutano i poveri. Inquesto stendardo, invece del pane,viene fatto contemplare il calice. Essooccupa tre quarti di tutto lo spazio: ilMistero avvolge tutta la vita umana,significata dal piccolo e splendido pae-saggio (lì dentro ci siamo tutti noi!) chesta ai suoi piedi.

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vano. Facevano nascere dalla tela la carne viva capace di trasu-dare anima, avvolgevano i personaggi in uno scenario che sapevafare sposare il cielo con la terra, i boschi e le montagne con le pia-nure, le architetture con le morbide stoffe e con gli incredibili prativerdi. Firenze e Roma (per non parlare di Milano e di Leonardo,che per noi ora sono e restano di là dell’Adda) stavano per chiu-dere il capitolo del grande Rinascimento con le ultime grandi sin-tesi. Erano gli ultimi canti-epopee di un’epoca che, inebriata dallacapacità dell’uomo di fare storia e di far sintesi del mondo, stavamettendo i sigilli a una visione ottimistica dell’uomo, che prestoverrà sentita come utopica e irreale. Lotto era già oltre, aveva giàrotto i sigilli. Aveva le sue domande, i suoi dubbi, le sue preghiere,le sue indagini: nel volto dell’uomo sapeva leggere le tracce dimisteriosi labirinti e nei misteri della fede sapeva commuoversi finoalle lacrime per il Figlio dell’Uomo che lascia schizzare sangue dalsuo costato. E i Bergamaschi si erano lasciati attrarre e ritrarre dalui: se l’inquietudine “trapela”, perché nasconderla? Se il mistero èun mistero d’amore, perché non commuoversi? Ma il Lotto datempo aveva fatto le valigie ed era andato errando, fino a termi-nare i suoi giorni come fraticello nella Santa Casa di Loreto. Nelviaggio aveva fatto sosta e lavorato nei luoghi dove le sue “confi-denze” potevano essere accolte e stimate. E a Bergamo eranorimaste le solite “botteghe” che sfornavano madonne e santi sufondi d’oro. Qualche velleità plastica, qualche ombra nei pan-neggi, ma, in sostanza, niente di veramente umano che venissetoccato da quell’oro.

Savoldo e Moretto, di pura formazione veneta, hanno ora il corag-gio di rinunciare ai bagliori del colore tonale che si fa uno con laluce, di spegnere i riverberi delle splendide stesure coloristichetizianesche, di farsi attenti al miracolo della luce che accarezza lecose. La luce non è spazio e non è neanche il colore delle cose. E’un terzo elemento che viene a visitare. E le cose che visita avan-zano con coraggio da sole, lasciando il “coro” e diventando splen-dide soliste. Moroni parte da qui. Il suo apporto consisterà in unulteriore scavo in questa spietata pulizia dell’occhio che si liberadalla tirannia della mente (disegno fiorentino) e dalla prepotenzadel cuore (emozionante colore tonale veneto).

Risultato? Il realismo bergamasco-bresciano. Nel 1953 il fioren-tino Roberto Longhi (il più grande dei critici del secolo scorso), percontinuare il discorso sul Caravaggio (la realtà delle scene che, col-pite da un raggio violento di luce, ti si fanno drammaticamente“presenti” come “altro da te”, come “non frutto” del tuo pensiero,come domanda che chiede una tua risposta e un tuo coinvolgi-mento), organizza la famosa mostra “I pittori della realtà in Lom-bardia”, mostra in cui, escludendo come “precedenti” Savoldo eMoretto, riserva l’onore dell’avvio a Moroni, presente con 35 opereesposte. Da allora il Moroni, il quasi sconosciuto Moroni, diventaun pittore di livello nazionale. Affiancava il Longhi in questaimportante mostra il giovanissimo scrittore e critico GiovanniTestori. Costui osa ancora di più: Moroni è tra i più grandi del ’500non solo per i ritratti, ma anche per l’arte sacra.

Ancora oggi qualcuno non ci crede. Ancora oggi qualcunopensa che l’aver isolato il ventennio post-tridentino dell’ultimoMoroni per andare alla ricerca della grandezza di questa sua pit-tura sacra, venutasi a maturare proprio in quegli anni, sia opera-

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Madonna con Bambino e le sante Barbara e Caterina (Bondo Petello)

Moroni, tornato da Trento, affronta unproblema che già da anni sentiva: comefare un quadro che aiuti a pregare? Ilibretti di preghiera (come “Esercizi Spi-rituali di S. Ignazio”, appena pubblicati)consigliavano di raccogliersi, immagi-nare un luogo e collocarvi dentro i santie un mistero da contemplare. Questeindicazioni aspettavano di trovare formanei quadri sacri. Moroni ci riesce. Apre lafinestra di casa (siamo ad Albino ) evede la Cornagera. Immagina due Santein primo piano (sorelle maggiori chestanno suggerendoci pose e sguardi) esopra ci colloca la Madonna con Gesù.Lassù c’è il mistero da contemplare enon da indagare. Quaggiù sono le Sante(ormai chiaramente riconoscibili daalcuni simboli: così voleva Trento) aindicarci il mistero, ma – cosa nuova – èstraordinario che sia il paesaggio a sug-gerirci il clima, le emozioni della pre-ghiera. Guarda: un’alba nuova siannuncia laggiù se il tuo sguardo sieleva. Questo è il colore, il paesaggiodella speranza (un grigio, il verde-az-zurro tenuto insieme da splendidi e sotti-lissimi fili di luce): c’è un po’ di sera che,attraversando la notte, diventerà splen-dido mattino. Non adesso, non subito,ma domani sicuramente sì.

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zione destinata al fallimento, o un’operazione troppo alta che soloun’élite può cogliere nel suo significato. Per noi invece questoultimo periodo, detto “grigio” per il modo magistrale di far uso diquesto colore, è il periodo in cui il Moroni ci ha dotati dell’imma-ginario che ha fatto da sfondo a tutta la spiritualità tridentina, cosìcome è stata vissuta a Bergamo fino a qualche decennio fa.

Trento è la città in cui si è svolto (con sospensioni, spostamenti eritorni) il Concilio (1545-1563) che ha tentato di sanare le incom-prensioni con Lutero e i protestanti e di mettere ordine nelle dio-cesi, nelle parrocchie, nella liturgia, dando vita ai Seminari per laformazione dei sacerdoti, all’obbligo di residenza per i vescovi, allecongregazioni romane, al rigido controllo della dottrina, delle pra-tiche religiose, delle immagini sacre… E’ stato un grandissimoConcilio, che nelle sue ultimissime ore di svolgimento ha fatto atempo a dire che è lecito e doveroso far uso delle immagini, mache queste devono essere veritiere, fedeli alla storia e al dettato delVangelo, umili serve della dottrina e della pietà cristiana. A chichiedeva di far distruggere il Giudizio universale di Michelangelo,fresco di pochi anni ma potente, esaltante e devastante comeun’atomica, il Concilio si limita a imporre un po’ di copertura dellenudità. Lo stesso Michelangelo fa a tempo ad ascoltare il verdetto:“Non si preoccupi il Papa: le pitture si aggiustano con poco, luipiuttosto pensi ad aggiustare il mondo”. Di lì a due mesi il grandepittore si spegne e proprio in quei giorni Moroni, tornato adAlbino, dà vita a quella pittura sacra che farà esclamare a S. Carlo,il grande regista dell’applicazione del Concilio nelle nostre terre:“Finalmente una pittura decorosa e bella!”.

Che miracolo ha compiuto il Moroni? Certi miracoli hanno le lo-ro spiegazioni e non chiamano in causa la fede. Il nostro pittore hasoggiornato a lungo a Trento: fiuto da astuto indagatore dei tempi.E’ lì che conosce le idee dei padri conciliari, è lì che trova modo dilavorare, sia ai ritratti sia alle pale sacre, è lì soprattutto che coglie i“segni dei tempi”. Il Cinquecento, il grande secolo d’oro, è in realtàil secolo della grande paura. Quando una civiltà sta per imboccareuna grande curva (invenzione della stampa, scoperta dell’America,nascita degli Stati, dubbi sulle reali intenzioni di Cristo circa la suaChiesa, guerre insensate che hanno più del castigo che della pur mi-nima motivazione, pestilenze che fanno dubitare della bontà stessadell’esistere, le nuove strade che si aprono con la scienza…), curvache non lascia vedere il prosieguo della strada, il terrore che ciaspetti una buca mortale che inghiottirà tutto e tutti è più fortedell’esaltazione di qualcuno che sta sognando il profilarsi di un ret-tilineo su cui si potrà prendere velocità piena. Come spiegare altri-menti l’alto numero di suicidi, il diffondersi di un numero incredibi-le di profeti di sventure e di date che andavano fissando l’imminen-te fine del mondo? Come spiegare il quadro di J. Bosch che pre-senta una “nave dei folli”, apparentemente sensata in ogni suo par-ticolare, ma incredibilmente priva di senso nel suo insieme: il buffo-ne vestito da vescovo, la suora ubriaca e sguaiata che contende a unfrate alticcio una focaccia che pende dall’albero maestro da cui pen-zola un pollo arrosto… mentre un ladro allunga la mano protettodal cespuglio contro cui si è incastrata la barca… mentre uno vomi-ta nell’acqua, nella quale un altro tiene al fresco una piccola dami-giana di vino… Dove andrà la barca? Da nessuna parte, perché trapoche ore si capovolgerà nella corrente del fiume e l’umanità, ebbrae folle, perirà. Non erano questi i discorsi di molti predicatori e non

Ritratti

Nessuno lo mette in dubbio: tra i piùgrandi ritrattisti mai apparsi nella storiac’è il Moroni. Li hai guardati uno a unoquesti personaggi? Se ci fosse qui Tizia-no, ti sembrerebbero tutti vivacissimi eimportanti, e spesso dentro un ambienteo sotto un cielo imponente. Se ci fossequi Lotto vedresti in loro una certa e in-trigante inquietudine: quanti pensieri ine-spressi, quante paure, quanti ricordi,quanti desideri (anche spirituali)! Moroniinvece sembra averli tutti ritratti a casasua, nel suo studio, sotto la stessa luce,sulla stessa sedia. O forse l’aria, il clima ei colori delle loro case sono le stesse di ca-sa Moroni. Quanto hanno in comune traloro! La faccia bergamasca, il quasi-silen-zio, la voglia di esporsi in sincerità. Ap-partengono alla borghesia abbastanzabenestante del Cinquecento: sanno leg-gere, sanno amministrare. Ma sanno an-che che tutto quaggiù è da abbandonare.“Siamo polvere. E tu che ne dici?”, sem-brano le espressioni che escono da loro.Pessimismo? Anche. Ma nonostante que-sto o forse per questo c’è in loro una stra-na forza che li rende solidi, caparbiamen-te tenaci, mai in fuga da se stessi, capacidi lavorare sodo e di sapersi infine serviinutili. La fiducia di fondo è posta in unAltro.

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erano in molti a vedere nella follia addirittura un modo per dire del-le verità che nessuno più sembrava in grado di ascoltare? La gran-de paura della morte, che per due secoli appariva anche sui muricome “danza macabra”, era diventata ora paura della follia, pauranon di ciò che ci aspetta alla fine, ma di ciò che già si sta vivendoora: e cioè il niente, la morte anticipata o peggio l’imminente Giu-dizio e la dannazione eterna. Lutero chiede disperatamente alle pa-role di Paolo una risposta, Trento chiede una dottrina, una Chiesa,un culto e delle regole di vita che diano sicurezza. Entrambi trova-no. A distanza di tanto tempo, pur essendoci divisi e bastonati a vi-cenda (in nome della medicina sicura trovata da entrambi), oggi cisentiamo fraterni nel confessare le comuni paure, la grandezza e il li-mite delle risposte (la sola fede da una parte e l’efficacia dei sacra-menti dall’altra) e la visione ormai chiara dei problemi che una ve-ra evangelizzazione poneva allora e che le due soluzioni non aveva-no avuto il coraggio di affrontare. Gesù Cristo oggi chiede alla suaChiesa (cattolica e protestante) di essere testimone del Vangelo, al dilà della paura: “Non abbiate paura”…: è ora di dire al mondo cheCristo è risorto.

Torniamo al Moroni, che, rientrato da Trento, trova che Venezia, lanuova padrona, ha messo in castigo i filo-spagnoli, tra i quali cisono i suoi committenti abituali. Non resta che stabilirsi ad Albino.Venticinque anni in un piccolo paese, che non è Firenze, né Roma,né Venezia. Ma un grande paese, che ha già trovato e sta vivendoun bell’equilibrio tra un Umanesimo di poca enfasi (si è sostanzial-mente contenti di essere al mondo) e una religiosità che nonchiede sintesi enciclopediche, ma la semplice ed umile disponibi-lità alla volontà di Dio, di cui non si dubita in alcun modo: è Luiche ci ha voluto qui ed è Lui che, essendo la strada in salita, ci dàcome compagno il Figlio Gesù che ci precede con la sua Croce.Evidentemente non sono i morti di fame quelli che possono espri-mersi così, ma anche i morti di fame si vedono arrivare spessodelle “provvidenze” che fanno sentire a loro stessi la vita comebenedizione di Dio e degli uomini. Il tessuto connettivo religioso esociale che tiene insieme tutto e tutti sono le Confraternite. Moronine fa parte da sempre e, alla morte del padre, diventa presidentedella Misericordia, senza mai smettere di ricoprire varie carichecivili di notevole importanza per la vita quotidiana della popola-zione di Albino. E’ un uomo pubblico, che ama e vive a fondo ilsuo paese. Processioni, manutenzioni di chiese, assemblee degliaffiliati, devozioni, raccolta di fondi, elargizioni ai bisognosi, Messedi suffragio…: è questo un frammento di mondo che pulsa di vitaquieta, vivace e sommessa, forte e rassegnata. Vita che riesce agestire gli immancabili drammi, le immancabili incomprensioni ele immancabili feste senza sussulti particolari. A questa vita, che sisente un lembo di terra adagiato sotto un cielo di nuvole (più omeno dense), tra le quali non manca mai uno squarcio in cui lim-pida e chiara sta la Madonna con il Bambino, a questa vita mancaun immaginario. Manca cioè qualcuno che ne faccia l’immagine.Finora qui da noi sono solo i santi e le madonne, tutti occhi, aguardarci dalle pareti delle chiese. Mai gli uomini e le donne diquesta terra. E se vi compaiono, sono figurine disincarnate, senzaossa-carne-mimica-storia. Moroni porta i suoi confratelli (quelliriconoscibili anche nei ritratti) ai piedi del Crocifisso o dellaMadonna. Li veste da santi. Chiede loro di posare “in preghiera ein contemplazione”. Solo nei volti li proietta in quella realtà che

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Ritratto del conte Gian Girolamo Albani(particolare)

Quel libretto, identico nelle misure, nellacopertina in pelle, nei nastrini e nellabordura scura, lo possiamo vedere inmostra alla Biblioteca Angelo Mai. E’commovente vedere una mano d’uomoaccarezzare un libro e fare del proprioindice un segnalibro: vuol dire chequell’uomo ha trovato un punto di riferi-mento per la propria vita. E quando nonè solo il singolo a trovarsi in questa con-dizione, ma è tutto un ambiente a respi-rare profondi valori condivisi, a cele-brare questi valori con riti comuni, arendersi conto che il pezzo di strada sucui ci si è trovati a camminare, pur tra leimmancabili fatiche, è dignitoso ed èfrutto sia di un dono sia di una respon-sabilità, noi ci troviamo di fronte a unaciviltà che ha trovato il suo linguaggioper dirsi, a tutti i livelli: lavoro, cibo,famiglia, arte… e questo splendido, pic-colo e grandioso libretto.

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ancora non hanno, ma che si preparano ad avere con l’eserciziodell’orazione mentale. Solo alla fine e solo dopo la grande provadella morte il loro volto sarà trasfigurato, così come il pittore tentaora di immaginare… ma non troppo. Ma non troppo! Infatti queivolti non sono avulsi dai nostri corpi, dai nostri vestiti, dai nostriparamenti per la Messa e soprattutto dai nostri prati, dai nostriboschi, dalle nostre montagne e dai nostri cieli. In questo gioco direciproche sostituzioni tra i santi e i viventi su questa terra, Moronitalvolta gioca al limite, che è lo stesso confine tra cielo e terra: queisanti Antonio e Bernardino nel Crocifisso di Albino e quegli apo-stoli della Cena di Romano non li abbiamo forse già visti da qual-che parte, tra la nostra parentela, al nostro paese? A questo punto,facendo un esercizio inverso rispetto al solito percorso moronianoproposto correttamente dalla critica, potremmo uscire di chiesa,lasciare la processione e andare a trovare i tanti personaggi ritrattidal Moroni. Se nei quadri religiosi la parte alta, quella dell’icona,era volutamente poco scavata e spesso avvolta nel giallo-oro delfondo e isolata da nuvole e angioletti, e se, al contrario, eraimpressionante la verità degli uomini e delle donne della preghierae del paesaggio-preghiera posti ai piedi dell’icona loro sovrastante,è invece addirittura sconvolgente la verità umana dei ritratti moro-niani. Qui siamo di fronte al frammento. Non cielo e terra. Ma unvolto e delle mani. Eppure contengono tutto. Senza enfasi, senzaemblemi, senza oggettistica particolare, senza finestre, senza pae-saggio. Fino a qualche minuto fa, nessuno di loro parlava; oraperò stanno dicendo qualcosa. Non a parole. E’ uno sguardo fami-liare, feriale, grandiosamente vero. C’è dentro il niente su cui tuttosembra appoggiare e il tutto su cui tutto si può scommettere. Ilsegreto? Forse, forse esso sta in quel libro che molti di loro ten-gono in mano. E forse forse esso sta anche nel fatto che il Moroniconosce bene e prega quello che ci sta scritto.

DON GIUSEPPE SALA

Cristo portacroce e i conti Spini(Albino)

Noi, sulla scia dell’orazione mentale pra-ticata ai tempi del Moroni, potremmoimmaginare di mettere il Cristo porta-croce qui in mezzo ai due coniugi Spini,conti abitanti in Albino. Improvvisa-mente i due avrebbero una storia da rac-contare. E della loro lunga vita matrimo-niale non mancherebbero di dire che lacroce non è mai mancata. Croce comepeso e come forza. Parole dette condignità (vedi le figure diritte), con un po’di reticenza (vedi i volti). In fondo,restano dei bergamaschi poco loquaci.Ma che dignità! E che pazienza! Anche ilCristo potrebbe parlare. Ma i l suosguardo ci basta, e come! E poi, non haneanche il fiato per farlo. Ma che splen-dido questo vestito! E’ un condannato amorte o è un re? O è tutti e due? La suacroce è una ics (x) che abbraccia tutti imali del mondo con estrema dolcezza. Eperché il suo sentiero passa dalle nostreparti, tra le nostre erbe, tra le nostrepiante, sotto i nostri cieli di Valseriana?Tutte queste emozioni (ma chissà quantealtre) non verrebbero a galla se la pitturanon fosse straordinariamente grande:nei colori, nella composizione e negliocchi che la guardano.

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Il discorso cristiano si va frantumando e confondendo nelle no-stre coscienze. La sua logica e la sua articolazione si vanno per-dendo. Compito della predicazione cristiana diventa quello di ri-costruirne la coerenza e la sistematicità. Una delle occasioni perriprendere alcuni temi cristiani di fondo è la predicazione degli“itinerari”, dove si può cercare una continuità e un approfondi-mento dei temi. Nell’itinerario di Avvento del dicembre scorsoabbiamo affrontato l’aspetto “escatologico”, di attesa e speranzache ha l’Avvento. Il racconto cristiano inizia proprio da questoaspetto, ma noi l’abbiamo dimenticato. La riflessione teologica,che ritorna attentamente sui primi testi cristiani, invece, lo sa be-ne; ed abbiamo chiesto alla teologia una mano: essa ci ha aiutato( cfr. J. Moingt: L’uomo che veniva da Dio, Queriniana). Come sipuò immaginare, si è trattato di una predicazione impegnativa; eComunità Redona cerca di aiutarne l’assimilazione permettendodi tornarci su. E’ un percorso che consente di riposizionare tuttoil nostro modo di avvicinare il discorso cristiano.

Il Signore ritorneràun itinerario di predicazione

E. Munch

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Una prospettiva dimenticataIncominciamo il nostro cammino di Avvento aipiedi del Crocifisso, di Cristo Re. Il camminocristiano si àncora nell’evento della Pasqua diCristo: Cristo è colui che “è venuto”, che nac-que da Maria vergine e fu crocifisso per noisotto Ponzio Pilato. È un cammino di comu-nione con la presenza viva e attuale di Cristo:Cristo è colui che “viene” e ci conduce con laforza del suo Spirito attraverso i sentieri dellastoria. Ed è un cammino tutto teso verso il suocompimento: Cristo è colui che “verrà” a giudi-care i vivi e i morti, che mette nel nostro cuorela speranza della resurrezione dei morti e dellavita eterna. Proprio su questa ultima dimen-sione “escatologica” vorrebbe riflettere il nostroitinerario. Il viaggio cristiano è un viaggio versola fine. Le letture e i testi dell’Avvento insistonosu questa dimensione: ci fanno rivolgere versole cose ultime, il ritorno di Gesù e la salvezzafinale. L’Avvento è il tempo dell’attesa ed èdominato dal grido cristiano “Marana-tha”!Vieni, Signore Gesù! E’ sorprendente: prepa-rarci al Natale vuol dire metterci in attesa dellafine, del compimento di tutte le cose.

E’ questa una dimensione che noi cogliamopoco, sentiamo poco. Perché? Perché è fragile innoi la concezione della storia come di un viag-gio che ha un piano, la cui fine è un compi-mento: viviamo un tempo di poca speranza,rattrappito sul presente. E siamo, perciò, pocosensibili al “piano di Dio” che è la salvezzadella nostra storia: piano che ha al centro lavenuta di Gesù Cristo tra noi. Gesù è venutoper porre le basi di questo piano: risorto, stalavorando per portarlo a termine: egli ritorneràvittorioso quando l’opera sarà compiuta. Nonavendo questa concezione della storia, nonessendo in attesa del compimento e del ritornodi Gesù, l’incarnazione e la vicenda storica diGesù, invece di essere un nodo centraledell’architettura del piano di Dio, scivola, nellafesta di Natale, in una ricorrenza esteriore, fol-cloristica e sentimentale; oppure, quando la sivuol sottrarre al folclore e sottolinearne la“verità” cristiana, la si rappresenta al modo

mitologico di una divinità che assume fattezzeumane e si manifesta solo in eventi miracolosi estraordinari.

Diversi modi di raccontare GesùTutto questo, come si intuisce, mette in gioco ilnostro modo di presentare il discorso cristiano,di raccontare la “storia” di Gesù. Il modo diincominciare questo racconto, che didattica-mente nelle nostre comunità incomincia conl’Avvento, è particolarmente importante. Unavolta raccontavamo in un certo modo. Quandotutti credevamo in Dio e in una concezioneprovvidenziale e cristiana della storia era spon-taneo per il nostro catechismo farci partire daDio che manda suo Figlio nel mondo: il Verboche prende carne assume il volto di un bam-bino adorabile e dopo il lungo periodo dellastraordinaria vita nascosta annuncia la veritàdivina e la dimostra con i suoi miracoli fino almiracolo ultimo e più grande che è la resurre-zione dai morti. Ora la situazione attorno aldiscorso cristiano è molto cambiata: non è piùscontata la credenza in Dio e la concezioneprovvidenziale della storia; e si pone in que-stione il rapporto tra il Gesù della storia (perso-naggio della storia, oggetto di racconto da veri-ficare) e il Cristo della fede (personaggiodivino, oggetto di culto e di un discorso reli-gioso: Figlio di Dio, Verbo incarnato). Non siaccetta in maniera scontata la divinità di Gesù,la dottrina cristiana sul Verbo incarnato: si deveripartire dal sorgere del discorso cristiano, dalnascere della pretesa dell’annuncio cristiano.Da dove e da come, del resto, è effettivamentepartito. Gesù non è entrato nella storia e neldiscorso degli uomini quando è nato, comesuppone il nostro racconto ingenuo: egli èentrato nella nostra storia da quando il“rumore” (la notizia o la diceria a seconda deipunti di vista) sorto attorno a lui e la fede cheha suscitato hanno cambiato la storia. Gesù èstato annunciato come risorto e come Signoreprima di mettere il suo personaggio in un rac-conto ordinato e di definire poi l’identità miste-riosa e divina della sua persona. Tutta la fac-

UN RACCONTO CHE COMINCIA DALLA FINE

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cenda di Gesù è cominciatacon un “rumore” sortoattorno a lui: “Colui che voiavete condannato e messo amorte Dio lo ha risuscitato”.

Il rumore da cui tutto è partitoLa storia di questo rumore èdocumentata nei vangeli e ne-gli Atti. Ne possiamo fare unriassunto. Il processo fatto aGesù aveva avuto luogo da di-verse settimane; le folle che untempo egli aveva sedotto ave-vano assistito alla sua condan-na senza ribellarsi; i suoi se-guaci di una volta si nascon-devano e tacevano. Apparen-temente tutto era finito, alme-no per i responsabili. Alcuniiniziati erano venuti a cono-scenza di strani rumori: delledonne, dei discepoli avevanotrovato la tomba vuota, aveva-no visto degli angeli che ave-vano loro annunciato che Ge-sù era “risorto”; alcuni affer-mavano addirittura di averloincontrato e riconosciuto. Maquesti rumori sommessi nonsuscitavano generalmente cheincredulità nei gruppi dei di-scepoli e non erano penetratitra la gente. Ora, un mattinoin cui una folla di giudei devo-ti, venuti a Gerusalemme datutte le parti del mondo, cele-brano la festa di Pentecoste, lanotizia della resurrezione diGesù esplode in pieno giornocome un terremoto. I discepo-li lo annunciano con una sicu-rezza tranquilla come un even-to inaspettato di cui essi sonotestimoni. La notizia si diffon-de con la rapidità di un incen-dio e la città si riempie di mil-le rumori, confusi in tutte lelingue. La gente si raggruppa,la folla si accalca attorno ai di-scepoli: ascoltano la predica-zione di Pietro, si lascianoconvincere senza apparente-mente esigere supplementi diinformazioni e di prove, fannopubblicamente penitenza deiloro peccati, chiedono il batte-simo (At 2). Il rumore non tar-

da ad essere sentito come mi-naccioso dalle autorità chehanno fatto il processo a Gesù:prima arrestano gli apostoli, lipuniscono, proibiscono lorodi parlare nel nome di Gesù;quando però l’opinione pub-blica diventa sfavorevole pergli apostoli e i discepoli, nelmomento in cui i nuovi predi-catori attaccano la legge e tra-scurano le antiche prescrizionisi scatena la persecuzione:vengono fatte alcune esecu-zioni e le loro comunità si di-sperdono (At 6-8). Ma il ru-more non si ferma: in altri luo-ghi (in Samaria prima e poi sufino ad Antiochia) di casa incasa, di città in città, dalle si-nagoghe alle piazze, da unacontrada dell’impero all’altra,il rumore non cessa di diffon-dersi e di allargarsi: “La paro-la di Dio cresceva e si diffon-deva” (At 12,24). Dappertuttoessa produce scombussola-menti. In una famosa città de-gli emissari del Sinedrio met-tono la colonia giudaica con-tro Paolo, accusato di sovver-tire la religione degli antichi(At 17-18); e la popolazionepagana, eccitata dai commer-cianti, scende sulle strade insommossa per difendere lesue divinità (At 19). Le auto-rità locali politiche e religioseintervengono per ristabilirel’ordine pubblico, rinforzandoperò in questo modo la noto-rietà della predicazione cri-stiana. La notizia di questieventi lontani arriva fino a Ge-rusalemme, dove alcuni illu-stri cristiani vivono a fiancodelle autorità del giudaismo.Paolo decide allora di venire adifendersi dalle accuse mossecontro di lui. Egli si trova difronte una folla ostile, scatena-ta, che non vuole sentir ragio-ni (At 21-22): il rumore rag-giunge il suo parossismo, ecorovesciata dell’uragano diPentecoste. Come Gesùtrent’anni prima, Paolo è tra-scinato davanti al Sinedrio, alprocuratore romano e al te-

trarca (At 23-26). Si appella aCesare; e il rumore, al suo se-guito, attraversa il mare. L’af-fare-Gesù ridiviene un affaredi Stato; e non cesserà più diesserlo.

Perché quel rumore fu creduto?Ma quel rumore che creditopoteva avere? Come potevaessere controllato? Perché fucreduto così facilmente?Ovviamente c’era la testimo-nianza degli apostoli: essiannunciavano la notizia affer-mando che Gesù si era mani-festato a loro dopo la suamorte (At 10,40-41) e moltopresto era stato compilato unelenco delle apparizioni chefaceva parte della predica-zione (1 Cor 15,5-7). Questoargomento non è certo di-sprezzabile, ma non basta agarantire il controllo dellafonte. Una notizia così straor-dinaria esigeva, ragionevol-mente, un’estrema riserva; einvece non si vede che gliascoltatori degli apostoli edegli altri predicatori abbianomesso avanti delle grosse dif-ficoltà ad accettarla. Le discus-sioni sul mantenimento o sullasoppressione delle regole diosservanza giudaica, peresempio, ebbero tutta un’altraattenzione. Bisogna dunqueammettere che il rumore si èpropagato senza essere og-getto di un reale controllo,come una comoda favola? Obisogna invece comprendereche quell’annuncio incontravauna grande attesa, una pro-fonda speranza: si inseriva nelpiano di Dio indicato dalleScritture che riguardava lanostra salvezza, la resurre-zione finale dei morti di cui laresurrezione di Cristo era pri-mizia? Dall’attesa della sal-vezza e del compimento rice-veva dunque credibilità e pesola notizia della resurrezione e,di conseguenza, l’interesse perla morte, per la predicazione eper la nascita di Gesù.

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La nostra poca sensibilità all’annuncio cristiano(Cristo è risorto) viene dalla nostra fragile sen-sibilità escatologica: dal nostro essere poco sen-sibili all’attesa delle cose ultime, alla fine delmondo, al giudizio finale, alla riunione sulmonte santo di tutti i popoli, al ritorno gloriosodel Signore. Nell’evento della resurrezione diCristo sta il culmine della rivelazione di Dio afavore dell’uomo, in quanto in essa è rivelato eanticipato il compimento della nostra storia. Edè proprio questo coinvolgimento della nostrastoria e della nostra speranza ciò che ci rendecosì attenti a quell’annuncio. L’annuncio dellaresurrezione ci prende e viene creduto inquanto annuncia l’avvenire che noi aspettiamo,indica la verità della nostra speranza. Avvienecosì sempre: il racconto di un evento cheriguarda altri, che è avvenuto al passato, puòinteressarci solo se esso è in grado di motivarela storia che noi stiamo vivendo, se tocca lenostre scelte e le nostre attese. E’ successo cosìanche all’inizio.

L’annuncio al futuroIl rumore che si diffuse attorno a Gesù sisarebbe spento presto se non fosse risuonata,subito dopo la sua morte, la strana notizia cheegli sarebbe tornato presto. Proviamo a risen-tire il tono dei primi discorsi cristiani. L’indo-mani della Pentecoste, Pietro esorta gli israelitia convertirsi “perché possano giungere i tempidella consolazione da parte del Signore ed eglimandi quello che vi aveva predestinato comeMessia, cioè Gesù. Egli dev’essere accolto incielo fino ai tempi della restaurazione di tutte lecose” (At 3,20-21). Questo annuncio è l’eco delmessaggio degli angeli ai discepoli nelmomento in cui il risorto “fu elevato in altosotto i loro occhi”: “Uomini di Galilea, perchéstate a guardare il cielo? Questo Gesù, che èstato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà ungiorno allo stesso modo in cui l’avete vistoandare in cielo” (At 1,9-11). Gesù stesso nel suoministero a diverse riprese, designandosi come“il Figlio dell’uomo”, aveva annunciato il suoritorno sulle nubi con potenza e gloria per giu-dicare i popoli e riunire gli eletti (Mc 13,26-27).

I primi cristiani amavano contemplare ilSignore Gesù “ritto alla destra di Dio… i cieliaperti” (At 7,55), pronto a tornare sulla terra; eavevano l’abitudine di salutarsi con questogrido di gioiosa aspettativa: “Marana-tha!Vieni, Signore Gesù!” (1 Cor 16,22). I primiscritti cristiani (vedi le lettere di Paolo ai Tessa-lonicesi) sono pieni di questa attesa del ritornoimminente del Signore e sono preoccupati difar vivere questa attesa senza impazienze esenza rilassatezze.

Così è cominciata la predicazione apostolica:come annuncio di speranza, come annuncio delritorno del Signore che è il “senso” della sua re-surrezione. L’evento della resurrezione non ri-guarda solo la fine della vicenda di Gesù; essoriempie il senso di tutta la storia: racchiude in sétutto il futuro del mondo. Si tratta di un eventototalmente diverso dalla resurrezione di Lazza-ro (Gv 11): l’intervento di Dio non è un miracoloche restituisce la vita a uno che era morto, ma èun atto divino di un’investitura conferita a Cri-sto Gesù per un compito, una missione da com-piere, che è quella di condurre a termine la mis-sione che Dio gli aveva affidato mandandolo nelmondo. Entrato nella morte, Gesù Cristo riceveuna nuova esistenza e assume un nuovo compi-to che non lo restituisce al passato del mondo,ma lo costituisce come il suo futuro. La nuovaesistenza trasforma la sua antica presenza nelmondo in una presenza al mondo, in un nuovo edefinitivo faccia a faccia con il mondo: innalzato“alla destra della gloria del Padre” egli è messoin postura di “Signore” (Fil 2,11), in possessodella signoria di Dio sulla storia, predestinato adagire come “capo e salvatore” del suo popolo(At 3,20). La predicazione apostolica proclamache Gesù Cristo è il Signore; Gesù è diventato ciòche doveva essere e non poteva essere che attra-verso la morte: l’avvenire della vita del mondo.La morte è la realizzazione del disegno di Dio, dicui la resurrezione è la continuazione e il trionfomanifesto: “Quest’uomo che secondo il presta-bilito disegno e la prescienza di Dio fu conse-gnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce permano d’empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risu-scitato, sciogliendolo dalle angosce della morte

UN RACCONTO AL FUTURO E AL PLURALE

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perché non era possibile chequesta lo tenesse in suo pote-re” (At 2,23-24). Non era inpotere della morte fermare ilprogetto di Dio, impedire aGesù Cristo di compiere il di-segno di cui era portatore. IlSignore Gesù questo disegnolo porterà a termine. E noi loaspettiamo.

L’annuncio al pluraleL’annuncio del vangelo, che èal futuro, è anche al plurale: ciriguarda. La resurrezione diGesù contiene un “per noi”,un “a nostro favore”: un dise-gno che è il nostro futuro. “Pervoi, per i vostri figli e per tuttiquelli che sono lontani, perquanti ne chiamerà il SignoreDio nostro è la promessa” (At2,39). “E noi vi annunciamo labuona novella: che la promes-sa fatta ai padri si è compiuta,poiché Dio l’ha attuata pernoi, loro figli, risuscitando Ge-sù” (At 13,32). Ciò che è suc-cesso a Gesù (la sua resurre-zione dai morti) riguarda lasperanza nella nostra resurre-zione dai morti (At 23,6).

La credenza che era diffusa(e discussa) ai tempi di Gesùriguardava sempre la resurre-zione generale legata al-l’avvento del regno di Dionegli ultimi tempi; è cosìanche nelle parabole di Gesùsul giudizio finale. La parola“risuscitare” prendeva sensoin questo contesto escatolo-gico della resurrezione gene-rale: i morti risusciterannotutti insieme nell’ultimogiorno. Parlare di un indivi-duo che sarebbe uscito dasolo dal regno dei morti,prima dell’ultimo giorno, nonaveva senso. Per questo lasorprendente resurrezione diGesù venne compresa sponta-neamente come il segno pre-corritore e la primizia dellaresurrezione generale,l’imminenza della fine deitempi e della venuta delregno di Dio. Per questo ivangeli danno uno sfondo

escatologico ed apocalittico airacconti della passione. Mat-teo narra così il momento incui Gesù morì: “La terra siscosse, le rocce si spezzarono,i sepolcri si aprirono e molticorpi di morti santi risuscita-rono. E uscendo dai sepolcridopo la sua resurrezioneentrarono nella città santa eapparvero a molti” (Mt 27,51-53). E’ l’indicazione simbolicadi come la resurrezione fucompresa dai discepoli eannunciata al popolo: comeevento collettivo finale che,prima di pervenire alla suaconsumazione, incomincia arealizzarsi in un momentopreciso del tempo e in unindividuo, in colui che Dio hamandato per aprire e distrug-gere le porte degli inferi.

Questo è il senso messoavanti dall’annuncio della re-surrezione di Gesù: il raccontodi ciò che è successo a Gesù èportatore di un annuncio checi riguarda tutti. E’ un raccon-to al futuro perché riguardanoi, rivolge una promessa eun appello a noi: si è rivelatoqualcosa grazie a Gesù che in-teressa tutta la storia dell’uma-nità, che la mette ineluttabil-mente in cammino verso il suocompimento, che ci coinvolgegià – se noi accettiamo – adaprire il nostro destino allasperanza in questo avvenire. Ilracconto della resurrezione diGesù ribadisce ciò che accadràa noi – in Gesù – se ci lasciamoprendere dentro la sua storia.

La nascita della fedeCosì si è impressa, nei primiapostoli e missionari del van-gelo, l’esperienza della mortee resurrezione di Gesù. Espo-sti ad ogni sorta di sofferenzee di pericoli per il vangelo,confrontati con le minacce e lepersecuzioni a motivo dellatestimonianza resa a Cristo eperché “essi annunciavanonella persona di Gesù la resur-rezione dai morti” (At 4,2), gliapostoli hanno sentito di esse-

re condotti dallo stesso dise-gno divino che aveva conse-gnato Gesù alla morte; e in ta-li condizioni hanno sperimen-tato di essere costantementesostenuti da una forza divinache li rimetteva in piedi ognivolta che stavano per soccom-bere: la potenza della resurre-zione, la stessa che aveva so-stenuto il coraggio di Gesùnella passione e lo aveva strap-pato dalla tomba. Confortan-dosi a vicenda nel sentimentodi ciò che avveniva loro e inloro, e riferendo tutto questoa ciò che era avvenuto a Gesù,gli apostoli hanno fatto l’espe-rienza che Dio li associava aldestino di vita eterna in Gesù,così come partecipavano alsuo destino di morte e alla for-za e al coraggio della sua testi-monianza.

Così si è formato un “noi”credente, soprattutto nel corsodei banchetti eucaristici delleprime comunità; un “noi” chesi è sentito implicato in antici-po nella resurrezione di Gesùe che si è espresso nei raccontie negli annunci che proclama-vano la resurrezione. Ciò che èavvenuto in Gesù si è ripro-dotto in “noi”; e questo “noi”racconta, l’una nell’altra, lastoria di Gesù e quella dei cre-denti, sulla base dell’esperien-za comune che ha saldato in-sieme tanti “io” a quello diGesù. L’affare di Gesù passadal “rumore” alla testimo-nianza di fede quando divieneil “nostro”, quando si fa speri-mentare e annunciare da un“noi”.

Si capisce a quali condizioniil racconto su Gesù può diven-tare il racconto della nostra vi-ta, il racconto in cui mettiamoil senso della nostra vita: acondizione di sentirci coinvol-ti nella speranza e nel futuroche esso apre a tutti noi; a con-dizione di vivere la nostra av-ventura umana ricordandocidi Gesù e, quindi, aspettandoil suo ritorno.

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Un piano di DioNoi dunque diventiamo cristiani perché credia-mo che nel racconto su Gesù (“quel Gesù che voiavete crocifisso Dio lo ha risuscitato”) è incluso ilnostro destino (“tornerà” e “ci salverà”: il rac-conto è al futuro e al plurale). Ma per quale ra-gione io credo a questo racconto e aggiungo ilmio “io” al “noi” dei credenti? Certo, per la con-vinzione e la forza della testimonianza dei disce-poli. Ma che cos’è che garantisce l’origine divinadella loro testimonianza? Paolo, che pure non te-me di proporsi come modello, si guarda bene dalfondare la convinzione dei suoi ascoltatori sullasua: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quelloche anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì peri nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto edè risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture”(1 Cor 125,3-4). Il racconto su Gesù si inserisce inuna tradizione che anch’egli ha ricevuto ed è undato delle Scritture. Che Gesù sia risorto Paolo loha appreso da coloro di cui riferisce la testimo-nianza nella forma di un racconto (“Il Signore èapparso a Cefa e ai Dodici; e in seguito apparve apiù di cinquecento fratelli in una sola volta…”);ma questo racconto non basterebbe a suscitare lafede se non fosse riferito alle Scritture. Esso nonsuscita la fede da solo, come un semplice fattostraordinario, ma in quanto inserito in una sto-ria, in un disegno, in una rivelazione di Dio: inquanto è “secondo le Scritture”. Si legge nel van-gelo di Giovanni che i due discepoli non capiro-no, non credettero perché “non avevano ancoracompreso le Scritture” (Gv 20,9); e nel vangelo diLuca il Risorto rimprovera a due altri discepoli:“Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla paroladei profeti! Non bisognava che il Cristo soppor-tasse queste sofferenze per entrare nella sua glo-ria?” (Lc 24,25). C’è dunque un “secondo le Scrit-ture” che apre all’intelligenza del fatto, e fa com-prendere il fatto nella fede: come una rivelazio-ne. Le Scritture situano il fatto in un ordine, inuna sequenza, in una logica, in un disegno. L’in-telligenza di ciò che è successo a Gesù è legata al-la comprensione del disegno divino che trasfor-ma un evento singolare e individuale (che cometale resterebbe incomprensibile e incredibile) inun evento-che-rivela il disegno di Dio che riguar-da l’umanità intera e la totalità della storia.

La storia e la fede di IsraelePer questo il racconto della storia di Gesù è pie-no di rimandi alle Scritture, di citazioni dell’An-tico Testamento. La storia di Gesù si articola sul-la storia del suo popolo; e la fede in lui dei suoidiscepoli si forma sulla base della loro fede giu-daica anteriore, che essi non hanno dovuto rin-negare per credere in lui, ma al contrario li hacondotti a lui. Perciò la loro predicazione è pienadi citazioni delle antiche Scritture e si ricollegaalle grandi figure del passato di Israele: ad Abra-mo, a Mosé, a Davide. In questo riferimentoall’Antico Testamento non bisogna però cercareannunci chiari e precisi di ciò che sarebbe avve-nuto a Gesù, ma piuttosto un’intelligenza globa-le della vicenda di Gesù come Messia, quale escedalla storia di Israele riletta alla luce del disegnodi Dio (“cominciando da Mosé e da tutti i profe-ti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferi-va a lui”). E’ la fede o la comprensione delle pro-messe fatte da Dio al suo popolo che avrebbe do-vuto persuaderli che la faccenda di Gesù nonpoteva fermarsi nella tomba e che la sua resurre-zione era il sigillo sul disegno di Dio: quello disalvare il suo popolo grazie alla missione di uninviato e di strappare Gesù dalla morte, per assi-curare per sempre il futuro del suo popolo e ditutte le genti.

La promessa o il piano di Dio (che si rivelanelle Scritture e culmina in Gesù) riguarda il fu-turo e il compimento della storia. Il Dio delleScritture è un Dio della storia che dà appunta-mento al suo popolo e alle “nazioni” sempre inavanti, nel futuro. Fin dal primo momento, incui si rivela ad Abramo e lo mette in camminoverso un paese sconosciuto e un destino miste-rioso. Poi, quando di alcune tribù fa un popolo,lo libera, lo nutre nel deserto, gli dona una terra,ne fa un regno in una storia sempre da ricomin-ciare: perché la terra è concupita dai vicini, at-taccata, invasa, deportato il popolo, recuperatanella gioia del ritorno, ma poi di nuovo occupa-ta e il popolo ridotto in schiavitù sulla sua terra.Terra sempre promessa, sempre a-venire. Pro-messa tenuta viva dalla memoria e dalla speran-za. Storia di morte e di resurrezione. Storia reli-giosa e spirituale in cui Israele fa continuamenteesperienza del suo peccato, della sua mancanza

“SECONDO LE SCRITTURE”

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di speranza, della sua incapa-cità a vivere la sua fedeltà allalegge che custodisce la pro-messa; e impara ad attendereun nuovo, definitivo interven-to di Dio: non più solo suglieventi della storia, ma nelprofondo dei cuori, là doveDio avrebbe inciso la sua leg-ge in maniera indelebile eavrebbe effuso il suo Spirito.Questa alleanza nuova ed eter-na avrebbe segnato lo stabilir-si del regno di Dio in mezzo alsuo popolo: regno di giustiziae di pace.

Questa attesa escatologicaera viva ai tempi di Gesù. Siattendeva un profondo rinno-vamento con l’avvento delMessia: nuovo Mosé, perchégrazie a lui si sarebbe conclu-sa l’alleanza nello Spirito; nuo-vo Davide che avrebbe raccol-to l’eredità del suo trono e rea-lizzato le promesse fatte ai pa-dri. L’arrivo del Messia, ac-compagnato dai segni delloSpirito, avrebbe segnato untempo di conversione e di pu-rificazione, preparatorio del“giorno del Signore”, giornodel giudizio e dello stabilirsidel regno di Dio e della sal-vezza arrecata agli uomini.Ciò che sarebbe avvenuto inquesti ultimi tempi inauguratidal Messia era solo intravistoconfusamente attraverso leScritture; ma questo clima (te-nuto vivo dal messaggio pro-fetico e dall’apocalittica) spie-ga la risonanza che ebbe il gri-do del Precursore: “Pentitevi:il regno di Dio è vicino” (Mt3,2). Poi, apparso il fenomenoGesù, bisognava riconoscerein lui il Messia degli ultimitempi; discernere i segni e leopere che compiva e le coseche diceva come segni e operedello Spirito di Dio; accogliereil suo appello alla conversionecome l’eco ultima dei profeti.Bisognava anche passare oltrelo scandalo della sua morte,interpretarla anch’essa comeun segno storico e vedere inGesù l’ultimo dei profeti as-

sassinati (At 7,52). Allora,quando i discepoli annuncia-vano che Gesù era risuscitatodai morti, chi ascoltava nonera invitato a fare semplice-mente un atto di credulità inun fatto miracoloso, ma a com-prendere che questo “doveva”accadere perché si compissein Gesù la speranza di Israelee la speranza di tutti i popoli;e doveva accadere perché sicompia la speranza che abitanel cuore di ogni uomo cheascolta il racconto di Gesù.

La speranza nel cuore dell’uomoIl disegno di Dio trova riso-nanza nel cuore degli uomini.E’ nel nostro cuore il punto sucui si può appoggiare la rivela-zione di Dio e può nascere lafede. C’è in tutti noi un puntodove Dio può sussurrare lasua promessa e dove, quandoarriva la notizia di Gesù, puòessere creduta? Quel punto èla speranza di ogni uomo inun futuro assoluto. Ogni uo-mo esperimenta nella sua vitacome un incessante emergeredella speranza dalla minacciadella morte. Lo sperimentia-mo nella nostra percezione deltempo dove la nostra esistenzaemerge tra il passato che non èpiù e il futuro che non è anco-ra. Lo sperimentiamo nel biso-gno dell’altro, senza il soccor-so del quale precipitiamo nelnon essere. Lo sperimentiamonell’esperienza tragica delledisgrazie e della morte che mi-nacciano la storia degli uominie nella protesta contro la rasse-gnazione e la disperazione. Lanostra vita è tutta sottesa daquesta lotta tra l’essere e il nonessere, tra la vita e la morte; edè sorretta da una forza prodi-giosa di speranza, da un co-raggio di vivere, da una spe-ranza assoluta in una vita sem-pre a-venire; speranza impro-babile, continuamente smenti-ta, e pure incessantemente vo-luta e creduta. Questa forza o“coraggio di vivere” è la stoffa

umana della fede; è ciò che staall’origine del vivere; è il donostesso della vita; voce che ci in-tima di essere e di volere; pa-rola trascendente che ci fa uo-mini, rivelazione della graziache si fa dono all’uomo. Con-sentire a questo coraggio di vi-vere, a questa potenza dell’es-sere, lasciarsi sor-prendere daquesta promessa è la radicedella fede o della speranza.

E’ lì, in quel luogo profondodell’uomo, che la speranzaescatologica – che il popolo diIsraele aveva tratto dalla suastoria e dalle sue “Scritture” –è accessibile ad ogni uomograzie alla sua profonda espe-rienza dell’esistenza. Questaesperienza – passaggio inces-sante dalla morte alla vita –apre l’accesso al senso della re-surrezione di Gesù, nello stes-so tempo in cui prende sensoalla luce di tale evento. Ciò chesi racconta di Gesù – che è ri-sorto, che ha raggiunto il ter-mine illimitato della vita chenoi siamo destinati a raggiun-gere – è in accordo e dà senso aciò che noi sperimentiamo nelprofondo della nostra espe-rienza. E’ accaduto a lui ciòche “doveva” accadere a tutti,ciò che “deve” accadere a noi.Che sia capitato a lui ciò chenon era mai avvenuto prima enon è più avvenuto dopo, è ladivina sorpresa, la buona, sin-golare notizia che non può es-sere che raccontata e creduta.Ma la fede che noi possiamoaccordarle – in quanto questoannuncio di ciò che è accadutoa Gesù parla della vita che ciattende – non è di un’altra na-tura della fede che ci fa vivere,del coraggio di vivere, dellasperanza e dell’attesa del-l’evento nuovo e improbabileche ci è dato in Cristo. Così lanostra fede cristiana nella re-surrezione di Gesù, che con-fessiamo e celebriamo in que-sta nostra assemblea, è motivodi lode a nome di tutti per lasperanza che Dio ha depostonel cuore di tutti gli uomini.

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Una concezione singolareIl Signore è passato tra noi, ha lasciato una pro-messa: lo stiamo aspettando; e, con lui, il com-pimento di tutta la nostra povera e splendidavicenda umana. L’annuncio della resurrezionedi Gesù fa nascere in noi la speranza che unfuturo assolutamente nuovo può essere datoalla storia. Questa speranza finale ci dà fiducianell’uomo; e solo impegnandoci per il futurodell’uomo siamo pronti a credere all’annunciodella resurrezione. Quest’attesa di un futuroassoluto, totalmente nuovo, che si prepara perònella storia, costituisce il pensiero “escatolo-gico” dei cristiani. La speranza finale include lasalvezza della storia. Possiamo sperare non soloin una salvezza per tutti, per ciascuno presoindividualmente e fuori dal tempo e dalmondo, ma in una salvezza della storia: sal-vezza di tutto ciò che ha prodotto il lavorodegli uomini, di tutta l’opera di umanizzazionedel tempo e dello spazio del mondo, del sensoche gli uomini danno agli avvenimenti dellaloro storia con il lavoro, l’amore, la libertà, lasperanza, la sofferenza, la gioia, la rivolta, ilcoraggio, la saggezza… Tutto ciò che ha senso,tutto ciò che fa l’uomo nella storia, ha bisognodi essere salvato, perché non è in nostro poterestrappare ciò che è avvenuto all’irreversibilitàdel passato e procurargli un avvenire nuovo eillimitato. Deve essere salvato anche perchémantenga senso ciò che l’uomo fa. Comepotremmo mantenere il coraggio e la forza dicercare di dar senso a tutto ciò che viviamo sela nostra storia dovesse semplicemente sparirenel niente? Il legame con la storia è necessarioperché la salvezza mantenga un caratteremorale. Non basta a garantire questo legame il“giudizio” di Dio che ricompensa, perdona ocastiga le nostre azioni. Un tale linguaggio haspesso l’effetto di privare l’uomo del suo giudi-zio morale: una salvezza che promettesseall’uomo una vita totalmente nuova in cuiniente sarebbe salvato di ciò che fa e divienenella storia non sarebbe morale, poiché toglie-rebbe all’uomo la responsabilità della storia edel suo destino di soggetto storico. Al contrario,colui che spera la salvezza della storia si senteincoraggiato a iscriverne in anticipo la figuranella storia che vive, poiché scopre tra questa

storia e il suo compimento nel regno di Dio lacontinuità dello stesso disegno divino.

Una concezione biblicaE’ questa concezione “escatologica” della storiache caratterizza la Bibbia e la fede dei giudei.L’attesa di Israele è l’espressione di una spe-ranza invincibile nell’avvenire che nasce e sinutre nel coraggio con il quale questo popoloha superato lungo i secoli prove crudeli, attra-verso le quali ha costruito la sua storia: dal-l’attesa della terra e del figlio al coraggiosoesodo, alla traversata terribile del deserto, allaconquista della terra promessa, alla costruzionedel regno e al suo disfacimento, all’esilio e alritorno, all’oppressione dello straniero eall’attesa del liberatore…

A questo riguardo – tenendo conto della suasorprendente singolarità – Gesù appare come lafigura privilegiata della speranza del suopopolo. Niente lo mostra meglio del suo com-portamento di fronte alla morte: quando il falli-mento del suo ministero è ormai chiaro, nondubita un istante della sua missione; quandotutti lo abbandonano e lo ritengono abbando-nato da Dio, egli è sicuro della volontà e deldisegno divino; quando comprende che dovràpassare attraverso la morte, la affronta nellalibertà e nella determinazione; quando il suopopolo lo rifiuta, egli continua ad esserne soli-dale e accetta di essere messo a morte inragione del suo essere “re dei Giudei”. Ed èperché la sua passione appare come la “figura”della storia dei molti giusti sofferenti e dei pro-feti perseguitati che la sua resurrezione potràessere compresa come la liberazione del suopopolo. Così si manifesta, nel suo comporta-mento, la continuità tra la storia e la salvezzache egli procura.

Nella storia dei cristianiAnche la vita delle prime comunità cristiane èuna buona illustrazione di ciò che deve esserela speranza escatologica. Nonostante la loroattesa di un ritorno imminente del Signore, laloro speranza fa nascere una società nuova, icui tratti dominanti sono la libertà e l’amore fra-terno. E’ impressionante la libertà di questi cri-stiani che, di origine giudaica o greca, si affran-

LA SALVEZZA DELLA STORIA

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cano dai costumi e dalle leggireligiose dei loro popolirispettivi con un coraggio euna lucidità notevoli. Talelibertà assumeva un caratterepolitico nel rifiuto di rendereculto all’imperatore, rifiutoche finirà con lo scuotere lateocrazia romana. Così comecolpisce il potere che ha illoro riunirsi fraterno di for-mare un solo “corpo”, nono-stante le differenze linguisti-che, culturali e religiose; edanche questa fraternità pren-derà una forma politica nelprogetto di riconciliazione delgiudeo e del greco in un solopopolo. Grazie all’iscrizionesociale di questa libertà e diquesta fraternità, qualcosa ditotalmente nuovo prendevafigura nella storia; e i cri-stiani, collegando questa sto-ria nascente alla sua sorgente– il vangelo della resurre-zione di Gesù – vi riconosce-vano una prefigurazione delregno, della resurrezione uni-versale inaugurata da quelladi Gesù.

Molto presto però questoatteggiamento dei cristiani sitrasformò profondamente. Sismise di attendere il ritornodel Signore e la venuta del suoregno sulla terra e la speranzasi rivolse verso il cielo: inveceche Cristo tornasse a noi, sisperava di salire noi verso ilPadre. Questo cambiamentofu dovuto forse alla stanchez-za di attendere un evento chenon si produceva mai; e ancorpiù al fatto che il cristianesimosi diffondeva quasi esclusiva-mente in ambienti pagani edellenistici, formati alla filoso-fia dell’immortalità dell’ani-ma e della sua destinazione al-la vita divina, e caratterizzatidalla diffusione delle religionimisteriche e dalla tensione al-le cose dell’aldilà. Perdendo isuoi legami con la storia diIsraele il cristianesimo pren-deva la figura di una religionedi salvezza (come ce n’eranoaltre) che cerca di consolare

gli uomini delle miserie dellavita e della paura della mortee insegna a disprezzare ciòche passa e a promettere unasopravvivenza in un mondomigliore. La salvezza cristianaè diventata una realtà che so-vrasta la storia, ma non ha piùpromesse per essa. Così è sta-to per tutto il tempo in cuil’uomo si sentiva in esilio suquesta terra: il mondo e la sto-ria non li sentiva suoi perchénon aveva la capacità di domi-narli e di dirigerli; la promes-sa di una vita oltre la mortebastava ad alimentare la fedecristiana.

Poi sono arrivati i tempimoderni. Nella misura in cuil’uomo rimpatriava nel suomondo e nella sua storia, neriacquistava il dominio e lagestione, la salvezza eternapromessa dalla fede, scon-nessa da ciò che gli uominifanno e progettano in questomondo, viene denunciatacome alienante e disumaniz-zante; e suscita sempre menoattesa; arreca una consola-zione più che una speranza.

I nostri giorni vedono unacrisi di questa modernità otti-mista e conquistatrice: siamonella “post-modernità”. Molteattese degli uomini della mo-dernità sono state smentite; ilimiti della tecnica e delle ri-sorse naturali, l’idea di unapossibile fine dell’avventuraumana e della distruzionedell’universo hanno smantel-lato l’idea di un progresso e diun futuro assicurati dall’uo-mo. Il progresso e le speranzestoriche sono andati delusi. Iritorni del “religioso” che siregistrano in Occidente si spie-gano con il bisogno di conso-lare questi fallimenti e di di-menticare la paura del futuro:non generano la speranza esono un camuffamento dellapromessa cristiana. Non si ri-torna comunque alle conce-zioni antiche. La secolarizza-zione e il senso storico, se purfragile, sono ben stabili; la co-

scienza della solidarietàdell’uomo con la sua storia econ il suo universo è rafforza-ta dalla disillusione e dallapaura: ci sentiamo più che mairesponsabili dei fallimentidella storia, del compromette-re il suo futuro, delle disugua-glianze insostenibili che ab-biamo creato nel mondo, dellaresponsabilità che abbiamo diprendere in mano le risorsedella natura, di sfruttarle con“economia” e di distribuirlecon equità. Più prendiamo co-scienza della vulnerabilitàdella storia, della precarietàdel nostro ambiente naturale,della ristrettezza dei marginidi manovra, e più si rafforzain noi il sentimento di appar-tenere al mondo e di dedicarele nostre cure ad esso.

Quale salvezza annunciarein questa situazione all’uma-nità? L’idea di una salvezza inun altro mondo, che rischia disembrare a una diserzione, aun si salvi chi può, non ècapace di mobilitare le ener-gie di quest’uomo, né didonargli speranza; né quindidi sensibilizzarlo alla fede.L’annuncio cristiano deveinserirsi come un senso ritro-vato della salvezza escatolo-gica della storia, come espe-rienza che il tempo della sto-ria che stiamo vivendo ètempo del compimento edella fine. A noi che abbiamoil sentimento di vivere ildeclino di una civiltà e ci tro-viamo confrontati a responsa-bilità e orizzonti sempre piùminacciosi, viene propostol’annuncio cristiano di fareun’esperienza collettiva dimorte e resurrezione, di “spe-ranza escatologica”: di tro-vare nel futuro che è già tranoi i segni del regno di Dio, edi cercare nella speranza enella lotta per il futuro diquesto mondo l’attesa dellecose ultime, delle promesseche ci verranno incontroquando il Signore ritornerà.

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E’ in gioco il nome e l’idea di DioQuesta maniera di accostare il racconto cristianova a toccare l’immagine che noi abbiamo di Dio. Ilracconto cristiano di cui stiamo cercando di co-gliere la logica (quel Gesù che voi avete crocifissoDio lo ha risuscitato e fatto Signore; di là ci mandail suo Spirito per sostenere il nostro cammino nel-la storia; e alla fine ritornerà per stabilire il regnodi Dio e dar compimento alla nostra storia) ha alcentro Dio; meglio, l’atto di nominare Dio. Il nomedi Dio si è iscritto finora nel nostro discorso cosìcome lo troviamo nel racconto che riguarda Gesù.Ma cosa c’è dietro questo nome “Dio”? Quando igiudei ascoltavano l’annuncio “Dio ha risuscitatodai morti quel Gesù che voi avete crocifisso” certoerano sorpresi da questa notizia, ma avevano unaprecomprensione religiosa per la quale il nome diDio non faceva problema, e nemmeno il suo pote-re di risuscitare un morto. Quello che faceva pro-blema era la figura di Cristo, il beneficiario di que-sto intervento divino: un crocifisso. Questo mette-va in discussione la loro idea di Dio: Gesù era sta-to crocifisso nel nome del Dio del tempio, del Diodella legge, del Dio dei padri, del Dio di Israele.Sarebbe stata questa la grande questione dei cri-stiani nei primi secoli: il rapporto di Gesù con Dio,la divinità di Cristo, la Trinità: la questione del Diodi Gesù Cristo.

Il Dio di Gesù CristoVa in maniera completamente diversa per gli uo-mini d’oggi, eredi della tradizione cristiana.Quando riprendiamo lo stesso annuncio non pos-siamo fingere di ignorare che la difficoltà a crede-re inizia proprio con la prima parola, il nome diDio. Da molto tempo questa parola si è un po’ allavolta svuotata di tutto ciò che la tradizione vi met-teva – dell’inesplicabile della natura, dell’arbitra-rio della storia, del terrore del destino –, di tuttociò che era sentito come “sacro” perché non cono-scibile e non dominabile. La parola “Dio” è rima-sta nel nostro linguaggio non più come qualcosadi vivo, ma come una cicatrice del passato; ha per-so il vigore di un nome capace di esprimere la pre-senza di qualcuno. Piaccia o no, “Dio è morto” pertutti coloro – e sono molti – che il suo nominarlonon mette vitalmente in questione. Per molto tem-po “Dio” è stato una credenza scontata: era “det-to” senza essere “annunciato”; non aveva bisognodi esserlo poiché la sua evidenza lo metteva fuori

contestazione. Si “annunciava” invece Gesù, per-ché Gesù esce da una storia; e ciò che si trova inuna storia non può essere inventato, né dimostra-to: solo raccontato.

Veramente il Dio della Bibbia era anch’esso unpersonaggio della storia. Egli apparve ed emerseda una storia come Dio di Abramo, di Isacco, diGiacobbe, come Dio d’Israele: Iavhé. Ma quandoebbe vinto tutti i suoi rivali, si è fatto riconoscerecome il Dio delle origini, Dio creatore del cielo edella terra; e il suo nome proprio e singolare diIavhé (nome di storia) fu trasposto in quello diTheos, nome comune della divinità, nome delPrimo Principio e Sovrano Signore, naturalmentee universalmente conosciuto con questo nome.Così la creazione smise di essere narrata come unracconto – come invece è nella Bibbia -, come ilprimo atto di una storia di salvezza, ed è diven-tata una verità cosmologica, dimostrabile dallaragione; e il nome di Dio divenne una cosa cono-sciuta, oggetto di una credenza iscritta nelprofondo dello spirito umano, comune a tutte letradizioni religiose dell’umanità. Dio non arri-vava più da nessuna parte: era lì; e quando siincontrava il suo nome nel racconto biblico sisostituiva mentalmente a quel personaggio il “giàsaputo” del suo concetto.

Ora che è uscito dalla credenza comune, il nomedi Dio non può riprendere vita nel nostro discorsoche come soggetto di un atto di fede: fede nel Dioche si è rivelato in una storia. Dio oggi ha bisognodi essere annunciato e raccontato, di essere ritro-vato, e anzitutto reintegrato in un racconto in cui èapparso e da dove è uscito. In quale punto di que-sto racconto va ritrovato il nome di Dio? Nella sto-ria di Gesù. Il Dio cristiano è il Dio di Gesù Cristo,colui che ha risuscitato Gesù Cristo. Dio entra nel-la nostra storia attraverso ciò che è raccontato diGesù morto e risorto, innalzato alla destra di Dio:evento alla luce del quale viene reinterpretata lastoria dei “padri” e il senso delle Scritture. Il pro-blema della fede in Dio comincia dunque, per gliuomini della tradizione cristiana, là dove esso sirivela legato all’annuncio e al racconto di ciò che èavvenuto a Gesù, là dove è apparsa ai primi cre-denti – giudei o greci – la novità del “Dio dei no-stri padri”. La rivelazione di Dio avviene nella sto-ria di Gesù. La sua verità piena è dunque ancora a-venire, nell’avvenire di Cristo.

L’A-VENIRE DI DIO

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Un Dio a-venireCome Gesù e grazie a Gesù,Dio è annunciato al futuro. Lasua verità è avvicinata solo nel-la misura in cui riconosciamo lasua novità e non pretendiamodi imporgli l’idea che noi ci fac-ciamo di lui. Quando il nomedi Dio sorge nel racconto di Ge-sù, anche quelli che hannoprofonde idee filosofiche o reli-giose su Dio sono invitati astaccarsene per convertirsi allanovità che questa notizia rac-conta come qualcosa che nonpoteva essere conosciuta primache avvenisse. I giudei furonoimpediti a credere in Gesù dalfatto che credevano di conosce-re bene il “Dio dei nostri padri”e di non dover imparare piùniente; non compresero che la“buona notizia” di Gesù arre-cava loro anche la novità suDio; la prima conversione cheveniva chiesta loro era di con-fessare a se stessi, di fronte aGesù, che essi non conoscevanoveramente Dio. E’ a questa con-versione che ogni uomo è chia-mato quando il Dio dei suoi pa-dri – della sua cultura – si aprealla novità, all’avvenire che Cri-sto ha aperto con la sua resur-rezione e con la promessa di ri-suscitare anche noi nel compi-mento del regno di Dio.

Questo fa capire la maniera divenire di Dio. Il Dio che si rivelanella storia (v. la Bibbia) è un Dioche “appare”: a Abramo, a Gia-cobbe, a Mosé. Appare e scom-pare, impedendo così che si met-tano le mani su di lui, che lo si fis-si in un’immagine, un tempio,una tradizione. Egli si scopre achi lo cerca; ma non lo si trovaperché lo si cerca: è lui che viene,ci precede e lo si può trovarequando ci si rende attenti ai se-gni del suo passaggio. Dio so-pravviene, si rivela sorprenden-temente; e noi lo accogliamoquando non ci chiudiamo su noistessi, ma spiamo ciò che “avvie-ne” di nuovo nella storia; quan-do ci lasciamo sorprendere daciò che accade ogni giorno comeluogo di un evento. E’ così che simanifesta nella resurrezione di

Gesù: l’evento più insolito, nuo-vo, sorprendente – che è avve-nuto una volta sola – è anche ilpiù vicino, il più familiare, per-ché esso opera già nella nostravita di ogni giorno. E così sarà ilritorno di Cristo, quello che co-me una “venuta”, una verità sor-prendente rivelerà la verità diDio e della storia. Nel suo aspet-to manifesto il ritorno di Gesùavrà luogo una volta per tutte altermine della storia, ma nel suoaspetto nascosto e comune la ve-nuta di Gesù si produce ognimomento e si fa attendere ognimomento. Come è del regno diDio che è già all’opera, ma la cuimanifestazione è sempre a-veni-re. Dio appare, viene, si fa cono-scere in ogni momento: ciascunadelle sue venute deve essere ac-colta come se fosse la prima e de-ve essere atteso come se non fos-se mai venuto. Dio è riconoscibi-le in ogni evento e non è mai co-nosciuto nella sua verità. Ce lodice ripetutamente la Bibbia:Dio si fa conoscere come un Dionascosto a cui niente è simile.Ma non si nasconde in ciò che èpiù insolito e lontano, là dovenoi non potremmo mai incon-trarlo: egli si nasconde nel piùvicino e familiare, nella vita enella morte, nell’amore e nellaviolenza; egli ci fa comprendereche c’è lì qualcosa di nascosto, dimolto lontano nel più vicino, dinuovo e insolito nel familiare; ecosì ci dà il desiderio di cercarealtrove e ancora, liberandocidall’idolo che noi siamo tentatidi costruire e dal quale quasisempre veniamo sedotti.

La verità della conoscenza diDio non sta in ciò che noi ne di-ciamo, come di qualcosa chepossediamo: essa sta nell’attodi dire ciò che ci sorprende e ciattira sempre in avanti. E’ la ve-nuta di un evento che fa parla-re, sorprende e dà da parlare,imprevedibile in ciò che ha difamiliare, immenso nella suabrevità, come un lampo, untuono. E’ l’evento di Dio, l’even-to della rivelazione presente enascosta in tutto ciò che ci av-viene e ci dà da cercare. Taleevento lo vediamo all’opera nei

racconti della resurrezione diGesù: in quei racconti Dio nonparla; è raccontato alla manieradi un attore nascosto, autore ditutto ciò che avviene, dell’”av-viene” di tutto ciò che accade aGesù e attorno a Gesù. Il rac-conto gli attribuisce l’eventodella resurrezione di Gesù fa-cendolo parlare in una citazio-ne del profeta: “Accade quelloche predisse il profeta Gioele:Negli ultimi giorni, dice il Si-gnore, io effonderò il mio spiri-to sopra ogni persona” (At2,16). E lo stesso racconto preci-sa che è Dio che fa parlare effon-dendo il suo Spirito:”Essi furo-no tutti pieni di Spirito Santo ecominciarono a parlare in altrelingue, come lo Spirito dava lo-ro di potersi esprimere” (At2,4). La resurrezione di Gesù è,dunque, un evento di rivelazio-ne che ha le tre dimensioni deltempo: qualcosa si produce nelpresente (un evento di parola:tutti possono ascoltare nella lo-ro lingua il mistero); qualcosache è stato annunciato nel pas-sato (profeti e Scritture); e chedeve prodursi negli “ultimigiorni”. Dio non è riconosciutonel momento in cui viene; e tut-tavia egli dà da parlare, si fanominare, mettendo in motoun processo di ricerca di sensoe dando appuntamento nel fu-turo. Dio appare in un eventodi “Spirito”: soffio di vento,soffio di vita, soffio di parola –to neuma – ciò che c’è di più co-mune e di più “neutro”; ma lasua subitaneità imprevedibile –il suo evento di grazia – fa pre-sentire che avviene qualcosa diunico e universale che si va sve-lando come il soffio originariodi tutto ciò che accade, di ognivita e di ogni parola. Dio non èriconosciuto in questa cosa che“voi potete vedere e udire” (At2,33) e in cui in qualche modo èapparso, ma apre gli occhi escioglie le orecchie e le lingueperché noi possiamo avere l’in-telligenza del racconto che ri-vela – nella storia di Gesù e de-gli uomini – la venuta di Dionella nostra storia.

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Abbiamo tenuto molto tempodentro di noi questi pensieri, perpaura che essi, una volta ester-nati, suscitassero non unadiscussione maturante, ma piut-tosto fraintendimenti e divi-sione. Però in questi giorni sututta la stampa si è aperto,intorno al Papa e al suo attualeruolo nella Chiesa, un dibattitocosì acceso e frastagliato cheriteniamo di potere scendere incampo anche noi senza pauredi infrangere quella consegna dirispetto che ci eravamo dati.

È certo che, ad ogni compar-sa del Papa sui mezzi di comu-nicazione audiovisivi, si è attra-versati da sentimenti contra-stanti. Il primo è un senso diammirazione, piena di stupore edi penosa compartecipazione,per la testimonianza fisica of-ferta da questo Pastore vene-rando che interpreta il suo ruolocome una missione inderoga-bile, a costo di sofferenze tantovisibili quanto avvolte nel silen-zio, che la rendono simile ad unvolontario martirio.

Ma subito, anche nei fedelipiù responsabili, il pensierocorre alla Chiesa in forza dellegame teologico e immaginarioche lega il Papa alla Chiesa uni-versale. Così, molti si chiedonose la testimonianza personaledel Papa, tanto eroica, possasupplire all ’ indebolimentonell’espletamento della sua altafunzione di guida. La condi-zione fisica apparente del Papafa nascere l’idea che egli si sia,per così dire, concentrato sulruolo di testimonianza pura, chesi è riservato, di contro alla fun-zione di governo, quasi comeSan Francesco che, alla fine

della sua vita, si ridusse a purotestimone, oltre la stessa Regolada lui ispirata.

Quella testimonianza dà peròadito a perplessità, sempre piùinsistentemente presenti nel-l’opinione pubblica. A grossola-ne voci non si vorrebbe dare cre-dito, ma esse non possono nonapparire sostenute dalla forzaimmediata della visione diretta.Sicché la trasparenza della situa-zione di indebolimento psicofisi-co del Papa dà corpo ad un so-spetto che la Chiesa non sia piùda lui governata e che egli possaessere in qualche maniera etero-diretto nella sua funzione. Lastessa reticenza ufficiale che cir-conda – e qualcuno vorrebbe di-re: “sequestra” – la sua persona,se da un lato esprime un delica-to rispetto, appanna la trasparen-za dell’espressione tipica dellaChiesa, che ha da essere franca epercepibile, e la rende simile aposizioni di regimi del passatoben noti e del conseguente cal-colo “politico”. E, quel che è piùgrave, produce malcelate incer-tezze soprattutto sul ruolo esull’esercizio del Primato (e di lìsulla res stessa del Primato) e siprolunga perfino nel dubbio sul-le possibilità effettive di eserci-zio della infallibilità che, mentreresiste indomita in una fede sem-plice o robusta, rischia di relati-vizzarsi o di vacillare nell’imma-ginario religioso meno fervido.

Non ci appassiona l’indelicatocicaleccio sulla successione. Néci arruoliamo nello stuolo di chichiede le dimissioni del Papa,che vanno lasciate alla sua libe-ra ed autonoma scelta, ancheperché pure in questa condizio-ne il Papa, con la sua stessa figu-

ra, esercita – e lui lo sa – un altoruolo, non solo di testimonianza,ma anche di evangelizzazione.

Si tratta allora di vedere se siapossibile custodire la preziositàdi questa testimonianza del Papae di preservare congiuntamentepieno credito alla sua funzionedi guida e di governo. Questo ri-sultato si potrebbe ottenere, acondizione che la funzione digoverno non fosse lasciata nelsommerso di scelte inespresse oprivatistiche o dipendenti da purcomprensibili simpatie persona-li, ma fosse collocata semprepiù, specie in tali situazioni didebolezza, all’interno d’una re-sponsabilità aperta e collegialedi governo, ben percepibile datutti. Anche qualora il Codice diDiritto canonico non prevedaespressamente una soluzione diquesto tipo, essa è l’unica chepuò sottrarre arbitrarietà alla col-laborazione al governo di un Pa-pa fisicamente debole. Intendia-mo parlare della collegialità epi-scopale (e, tra i Vescovi, quelladei più eminenti quali sono iCardinali), che è idea forte delConcilio e che appare invecesempre più stancamente perse-guita, se non addirittura mal tol-lerata. A noi pare che le moda-lità di affiancamento al governodel Papa in tali condizioni diemergenza non possano esserenella sostanza garantite dallanormale via degli incarichi cu-riali, studiati per l’ordinaria am-ministrazione o, peggio ancora,dalla selezione di alcuni titolaridi essi. La collaborazione do-vrebbe essere assunta da unasollecitudine pastorale più co-mune dentro il Collegio cardina-lizio, quasi da una specie diConsiglio della corona parteci-pato che non configuri l’elezio-ne di “prediletti”. Non si tratta diun rigurgito di “conciliarismo”,perché al Papa spetta comunquesempre l’eventuale decisione ul-

riletture

Grandezza e povertà del Papa

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comunità redona 79

tima. Ma ad altri può e deve le-gittimamente incombere l’oneredi proporla come strada eccle-siale privilegiata e in linea colConcilio. E se l’ipotesi appare so-stanzialmente eccentrica o inat-

Recentemente Piero Fassino hariproposto all’attenzione congiudizio elogiativo la figura poli-tica di Bettino Craxi, mettendo insordina, quasi come un inciden-te di percorso, il ruolo negativoda lui avuto nell’epoca di Tan-gentopoli, nella quale fu con-dannato e si fece esule per gliuni, latitante per la legge. Vienquasi in mente, si licet, quellavalutazione liberale del fascismocome incidente di percorso delliberismo. Le motivazioni che li-berano il giudizio positivo diFassino par di capire che atten-gano essenzialmente all’intui-zione politica del nuovo che fuin Craxi non solo annusata, maintellettualmente avvertita e po-liticamente sfruttata.

Noi qui vorremmo affermare –forse per inveterata abitudine, difigli minori dell ’epoca delleideologie, a cercare coerenzeinterne dell’azione politica dichicchessia – che ci è difficilemarcare una distinzione di queltipo, anche se restiamo convintiche qualsiasi uomo di spicco“sporga” sempre oltre le sue stes-se idee, e che perciò un giudizioglobale debba essere comprensi-vo. Ma se vogliamo restare algiudizio politico, è arduo per noisottrarci al convincimento che ilfenomeno Craxi sia stato delete-rio proprio per l’opera esercitatanella destrutturazione della poli-tica come attività sintetica. Lacrisi della politica in Italia devemolto all’opera di Craxi, più che

tuabile, ciò suona, a nostro avvi-so, a conferma che la collegia-lità, che nel passato aveva susci-tato tante speranze, sta subendodentro la Chiesa un pericolosoindebolimento.

al suo pensiero esplicito, che èsempre stato velato al proposito,per insinuarsi meglio senza dar avedere che radici ideologiche ri-mosse stavano pur sempre alfondo di esso.

Craxi ha avvertito più spedita-mente di altri, arricchiti ma an-che impacciati da bagagli ideo-logici, che era tempo di deideo-logizzare la politica. Tale dei-deologizzazione avrebbe, di persé, potuto liberare una più “nor-male” politica di programma, aldi là delle grandi contrapposizio-ni sistemiche (comunismo, fasci-smo, liberismo…) dell’epoca delpensiero forte, ormai cadute, an-che simbolicamente, con la ca-duta del muro di Berlino. Inrealtà, in Craxi la deideologizza-zione indebolì la politica tout-court e qui indichiamo alcunipunti di forza individuale e dipubblica debolezza della sua po-sizione: 1) attenzione agli inte-ressi societari che, accompagnatiall’indifferenza della ricerca delloro fondamento, sono accoltisenza analisi del loro senso equindi nella logica del desiderioprevalente, non di quello più uti-le; 2) sostituzione del dialogoideologico con il bilanciamentodegli interessi e conseguenteframmentazione dei gruppi inter-medi, donde una concordia so-ciale basata non sulla mediazio-ne degli interessi ma su una alter-nata promozione di essi; 3) ricer-ca del benessere individuale at-traverso un depotenziamento

dello Stato, non ricerca del benecomune per far crescere lo Stato;4) politica del decisionismo cheanestetizza la complessità e creauna personalizzazione spiccatadella politica, donde una politicadi volontà di potenza e l’illusionedi avere una delega incontrolla-bile e superiore a qualsiasi bilan-ciamento dei poteri (superomini-smo); 5) contrattualismo cinicosecondo la logica del lucrare daqualsiasi parte, ora dall’una oradall’altra forza (politica dei dueforni); 6) promozione dell’inter-locutore più forte, non di quello“più virtuoso”; 7) sostituzione diuna politica a basi ideologico-etiche con una politica a base dirivendicazioni economicistiche,che ha portato al gonfiamentoabnorme del debito pubblico(proseguendo la tendenza di unaltro “grande” statista, Andreotti).

Salviamo di Craxi la linea dipolitica estera risentita e gelosadi autonomia, dove la volontà dipotenza del personaggio si spo-sava con un sentimento di auto-nomia nazionale.

L’acuta percezione della finedelle ideologie fu la base dellaascesa politica di Craxi e della no-vità della sua politica. Ma non cisentiamo di identificare la novitàcon la positività, anche perché daquella intuizione potevano deri-vare esiti diversi e più intonati allafinalità della politica come ricercadel bene comune e come attivitàarchitettonica globale.

Su questa base ci risulta an-che difficile scollegare la politicadi Craxi dalle sue “disavventure”giudiziarie, che dipendono dallasua congenita incapacità di di-stinguere il ruolo personale pri-vato dal ruolo pubblico; dall’ideadella insindacabilità giudiziariadel politico; da una politica co-me spettacolare e dispendiosa ri-cerca di consenso (si ricordino “inani e le ballerine”). Ognunopuò vedere quanto di Craxi sia

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Il craxismo rivalutato

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passato in Berlusconi, vero suoerede.

Si stenta perciò a capire comeFassino possa combattere il ber-lusconismo rivalutando il craxi-smo. Non crediamo che l’atteg-giamento del leader diessino di-penda da una spregiudicata tatti-ca elettorale: non è dell’uomo nédella sua storia. Propendiamo in-vece a giudicarlo sulla base del-la sopravvalutazione esclusivadel ruolo deideologizzante diCraxi, che, socialista, ha rinno-vato il repertorio categoriale del-la sinistra italiana, legato a ideegiudicate ormai come stereotipivecchi. Craxi, insomma, avreb-be fornito alla sinistra, anche aquella comunista prima e diessi-na poi, categorie più moderne diapproccio alla società, al di là diquelle vetero-contrappositive dilotta e di classe. Ma a prezzo, anostro avviso, di un inquina-mento radicaleggiante della ca-rica sociale della sinistra italia-na, che, a partire da allora, hacercato sempre più di posizio-narsi nella difesa di diritti indivi-dualistici libertari e non dei dirit-ti “responsabili” sociali dellapersona.

Fassino avrebbe potuto sco-prire quei nuovi panorami ideo-logici e politici anche grazie alpersonalismo, più ancora chetramite il radicalismo craxiano, egrazie al pur suo Berlinguer. Tan-to più se si considera che il dia-logo tra cultura marxista e cultu-ra personalistica si era realizzatoproficuamente, nel nome dellapromozione dell’uomo, all’epo-ca della nostra Costituente. Etanto più che il personalismonon avrebbe preteso che la sini-stra italiana rinunciasse al suobagaglio di socialità diffusa e av-vertita: le “attese della poveragente” del cattolico La Pira pote-vano benissimo allearsi, pur nel-la distinzione delle origini, alleattese dell’umanità subalterna

della sinistra storica italiana.Avremmo perciò preferito cheFassino avesse rivalutato i so-

cialisti veri (che sono tanti) piùche il craxismo che li ha snatu-rati.

decisiva. Siamo sicuri che le ele-zioni in Iraq siano una manifesta-zione di democrazia? Non bastail voto libero ad affermarlo,quando si constata che i partitiche concorrevano a quelle ele-zioni erano tutti impostati su ba-si etnico-religiose (Sciiti, Sunniti,Curdi), non programmatico-poli-tiche (destra, sinistra, moderati,progressisti…). Il che vuol direche la democrazia che là si sta in-staurando è solo nominale e for-male, perché di fatto è sostanzia-ta di foschi annunci di rivalse evendette tribali. E non mancanemmeno il nuovo capo cari-smatico alla Saddam, stavolta dinatura non etnico-politica ma et-nico-religiosa. Insomma, ci tro-viamo di fronte alla creazione, econ l’aiuto occidentale, d’un en-nesimo Stato islamico a forti ten-tazioni fondamentalistiche, dicui non si sente la mancanza e dicui aveva timore la Chiesa.

La democrazia non si esportané, tanto meno, si impone, nem-meno con una guerra vinta (manon chiusa), se non c’è matura-zione democratica nel popolo.Che a volte non passa attraversoelezioni formalmente libere, maattraverso la individuazione diuna classe dirigente e di un meto-do di partecipazione ad una co-stituente paritaria di tutte leespressioni culturali, che stabili-sca le regole d’una casa comunetollerante. Ma questo può essereopera non dei vincitori militari,ma dall’evoluzione culturale estorica di un popolo con l’aiuto diorganizzazioni neutrali sovrana-zionali.

Le recenti elezioni in Iraq sonoservite, oltre che alla determi-nazione del popolo iracheno, arivisitare il senso della “missio-ne” militare. Per lo più assol-vendola a posteriori, dopo i tan-ti lutti che essa ha provocato. Lastampa cosiddetta moderata hatirato un sospiro di sollievo, af-fermando sostanzialmente che“tutto è bene quel che finiscebene”, che in questo caso è pa-rente del più cinico “il fine giu-stifica i mezzi”. Fino ai giudizipiù entusiasti sul ruolo di espor-tatori della democrazia degliUsa e dei loro alleati, tra cuil’Italia, e all’accusa agli opposi-tori di essere amici del terrori-smo e, in Italia, anche “comuni-sti” (compreso il Papa?).

Lasciamo da parte il fatto chela guerra preventiva – ricordia-molo – era stata scatenata pereliminare le armi distruttive diSaddam, mai trovate. Lasciamostare che la guerra preventivaha prodotto più morti delle re-pressioni di Saddam Hussein.Lasciamo stare che si potevacostringere con altri mezzi Sad-dam Hussein a rispettare le sueminoranze interne, mettendo inatto la tattica che ha portato amiti consigli il capo libicoGheddafi, ora quasi corteggiatodall’Occidente. Lasciamo stareche la guerra in Iraq non è an-cora esaurita e che i morti e i di-spersi continuano a fioccarequotidianamente. Lasciamo sta-re tante altre cose, che non cifanno pentire di esserci espressicontro la guerra.

Concentriamoci qui su una ri-flessione soltanto, ma, per noi,

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Elezioni in Iraq

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varsi dal principio di sussidiarietà, essa è quella delladimensione municipale, oggi posta a rischio non piùtanto o solo dall’invadenza statale, quanto da tenta-zioni di un neo-centralismo regionale. La direzioneche si dovrebbe imboccare è invece quella del supe-ramento del dualismo competitivo tra Regioni ed entilocali e della creazione di un sistema istituzionaleintegrato, con Regione “leggera”, competente per lescelte di governo, e Comuni, singoli o associati, sucui si concentrano i compiti e le attività gestionali edamministrative. La centralità del Comune è chiara-mente affermata dalla Costituzione per le funzioniamministrative (art. 118 Cost.), in quanto il Comune ècolto dall’ordinamento come l’ente rappresentativodella comunità di base, di una solidarietà cioè nonulteriormente frazionabile. Vero è che nei grandiComuni il legislatore ha avvertito la necessità di isti-tuire un livello partecipativo ulteriore, la Circoscri-zione, e tuttavia questa non è “ente”, e cioè un sog-getto indipendente, bensì organo del Comune stesso.Le Circoscrizioni non nascono per frammentare lasolidarietà della città, ma per consentire ai cittadini dipartecipare più pienamente alla vita della città.

Soprattutto dopo la recente (2001) riforma dellaCostituzione, la Regione non deve essere ente diamministrazione, essendo la sua funzione precipuaquella di legislazione. Se questo è vero, il riferimentoprivilegiato della Regione è la complessità dei bisognie degli interessi che devono confluire, mediati e ge-rarchizzati, nella legge, più che il governo decisionale.Del resto, sarebbe un’illusione ed anzi una contraddi-zione far posto ai soggetti di autonomia pretendendodi avere come risultato la semplificazione. E invece èdato riscontrare, per la verità già in alcuni articoli dellaCostituzione introdotti con la riforma del 1999, un’evo-luzione delle istituzioni regionali verso la semplifica-zione del quadro decisionale. Si pensi, per le Regioni,alla forma di governo suggerita dalla Costituzionestessa, con elezione diretta del Presidente dellaGiunta regionale ed un rapporto esecutivo-maggio-ranza del Consiglio precostituito e pressoché irrigi-dito, tanto da privare il Consiglio regionale, organolegislativo, di efficaci poteri di controllo politico. Sem-bra cioè che si proponga, anche per la Regione, unmodello di democrazia di “investitura”, meramenteelettorale e intermittente, caratterizzata dalla tenta-zione della delega. In questa temperie, culturale

Il 3 e 4 aprile si vota per il rinnovo del Consiglio regio-nale della Lombardia e per l’elezione del Presidentedella Giunta regionale. In campo, nella nostraRegione, ci sono sostanzialmente le due coalizionipresenti anche sulla scala politica nazionale e cioè ilPolo delle Libertà che, dopo avere scongiurato la pre-sentazione di una lista autonoma del candidato Presi-dente, sostiene la conferma dell’attuale Presidentedella Regione, Roberto Formigoni, ed il centro-sinistra(Ulivo più Rifondazione) che sostiene per la Presi-denza la candidatura di Riccardo Sarfatti. Si tratta,per diverse ragioni, di elezioni particolarmente impor-tanti, sia, in generale, per il forte ruolo che le Regionihanno assunto a seguito delle recenti revisioni costi-tuzionali, sia, in particolare, per la Regione Lombar-dia, per la situazione oggettivamente complessa chevive il proprio sistema socio-economico.

Il ruolo delle Regioni nel quadro della RepubblicaLa nostra Costituzione, sin nel suo impianto origina-rio, valorizzava il decentramento e, tuttavia, perragioni storiche e politiche, il riconoscimento delleautonomie territoriali fu molto lento e contrastato. Ilmodello di decentramento accolto dalla nostra Costi-tuzione, che sta ora evolvendo in una direzione di tipofederale, non è di tipo dualistico e cioè basato sullacoesistenza di due soli livelli di governo, lo Stato cen-trale e le Regioni, ma contempla una pluralità di enti(Comuni, Province, Regioni e Stato), tutti dichiarati,dalla Costituzione stessa, autonomi e parimenti costi-tutivi della Repubblica. La coesistenza di tali autono-mie, che stanno l’una nell’altra quasi fossero dispostesu cerchi concentrici, è problematica se si ragiona intermini di rigida separazione di competenze e di indi-rizzo, esigendo la cooperazione e lo strutturale rac-cordo dei vari livelli di governo. L’autonomia reciprocadi livelli che stanno l’uno dentro l’altro risulterebbecontraddittoria se non la si interpretasse nel sensodell’apertura di ogni livello all’altro, del raccordo e delreciproco completamento. Questa, del resto, è lalogica della sussidiarietà che ispira l’ordinamentocostituzionale e che, assumendo come riferimento lapersona (ed i suoi bisogni), ne descrive il cammino diprogressiva apertura relazionale, senza sposare nes-sun centro di potere in quanto tale.

Ciò premesso, anche in relazione alla storia ita-liana, si può affermare che se una centralità può rica-

Verso le elezioni regionali

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decisione sullo Statuto non venga affrontata dal vinci-tore di turno, qualunque esso sia, come occasione dimortificazione dell’avversario sconfitto, ma come lacostruzione di regole comuni, necessariamente orien-tate alla mediazione e ad un consenso ampio, comesi conviene ad un ente la cui specifica missione èoggi quella di fare le leggi.

Nel merito, abbiamo dunque già espresso la prefe-renza per un modello di Regione che, aperta alla rela-zione con gli altri enti di governo e con il corpo socialedi riferimento, assuma come proprio criterio ispiratoreil rispetto della complessità e la logica della mediazio-ne, valorizzando pertanto le espressioni sociali ed isti-tuzionali rappresentative. Certo è che, in una demo-crazia personalistica, la decisione non può maturaresolo da organi che sono espressione di un principio in-dividualistico di rappresentanza, quali i Consigli regio-nali, soprattutto quando si guardi alla crisi del ruolo ag-gregante dei partiti, bensì deve affiorare da un sistemadi relazioni reali, di comunità che compongono il tes-suto connettivo della Repubblica e, nello specifico, del-la Regione. Vi è dunque l’occasione, da non perdere,di integrare la rappresentanza formale di cui è fornito ilConsiglio regionale. Le direzioni di questa integrazionesono almeno due: l’una verso gli altri livelli di governo,ed è il Consiglio delle autonomie locali, e l’altra verso icorpi sociali ed è il cosiddetto CREL (Consiglio regio-nale dell’economia e del lavoro). Il Consiglio delle au-tonomie locali, in cui siederebbero rappresentanti deglienti locali infraregionali (Province e Comuni), potrebbeessere la naturale sede di raccordo tra l’organo di legi-slazione regionale e i bisogni delle comunità territorialiespressi dagli enti locali; il CREL, rappresentativo deicorpi sociali e degli interessi economici, garantirebbeinvece la partecipazione, aperta e non lobbistica, delleformazioni sociali al processo decisionale. La compo-sizione e il rango di questi due strumenti di partecipa-zione dipendono dalle scelte statutarie e dunque costi-tuiranno utile banco di prova per verificare l’orienta-mento personalistico e pluralistico del Consiglio regio-nale.

La delicata fase lombardaOltre che per le ragioni giuridico-istituzionali che sisono ricordate, le elezioni regionali lombarde cadonoin un momento critico anche per le difficoltà che attra-versa il sistema socio-economico della Lombardia.Quello che, non senza enfasi, viene definito uno deiquattro motori d’Europa, insieme alle regioni RhôneAlpes (Francia), Catalunya (Spagna) e Baden Wuert-tenberg (Germania), appare oggi, per molti aspetti, unmotore in panne. Questa crisi è per un verso struttu-rale e riguarda l’Italia, se non l’Europa, nel suo com-plesso; e, per altri versi, può avere spiegazioni anchein carenze del tessuto socio-economico o in sceltepolitiche non oculate.

Il modello produttivoIn particolare, è ormai tristemente nota la grave crisiche attraversa il sistema produttivo lombardo, dasempre caratterizzato dalla presenza di una moltepli-

prima che politica, rischia di essere sacrificato soprat-tutto il Consiglio, come in genere tutti gli organi dellarappresentanza e della mediazione. Passa l’ideasemplificante dell’ente azienda, portatore di logiche dirisultato e le cui relazioni sono intrattenute attraversol’esecutivo e, in particolare, come spesso si dice, ilsuo governatore.

Per le Regioni è una fase statutariaE, tuttavia, per le Regioni le possibilità di aprirsi alogiche diverse di rappresentanza e di mediazione èoggi possibile. Infatti, la revisione costituzionale inter-corsa nel 1999, pur suggerendo l’assetto di governoche si è appena criticamente descritto, ha ampliatol’autonomia delle Regioni di dotarsi di un proprio Sta-tuto in cui determinare, entro i limiti fissati dalla Costi-tuzione, propri principi di organizzazione e di funzio-namento e la propria forma di governo. Si è apertapertanto una fase di riscrittura degli Statuti in cuialcune Regioni hanno già completato la loro opera edaltre stanno ancora dibattendo.

Certamente la fase statutaria in corso non puòessere sopravvalutata fino ad essere equiparata aduna fase costituente. E’ bene rammentare che i prin-cipi costituzionali sono pienamente vigenti in tutta laRepubblica e ne impegnano tutte le articolazioni,sociali ed istituzionali, comprese le Regioni. Inoltre,come dice la stessa Costituzione, lo Statuto deveessere in armonia con la Costituzione, e questo vin-colo è stato interpretato in senso molto esigente dallaCorte Costituzionale, e cioè come preclusivo oltre chedella “evasione” anche della “elusione” costituzionale.Ed ancora recentemente, di fronte a tendenze disconfinamento di alcuni Statuti già approvati, che pro-clamavano principi non pienamente raccordati a quellicostituzionali, la Corte Costituzionale ha ribadito chegli Statuti regionali non possono contenere principi onorme in contrasto, ma solo ulteriori e coerenti con (ospecificazione di) quelli costituzionali, in relazione allediverse identità storiche e culturali. Sotto questopunto di vista, il personalismo comunitario e la sussi-diarietà da questa impostazione discendente devonorispecchiarsi fedelmente nelle disposizioni statutarie.

Con riguardo al tema della forma di governo regio-nale, che spetta allo Statuto determinare, anche l’ele-zione diretta del Presidente della Giunta e la conse-guente verticalizzazione decisionistica del governoregionale è uno schema perfettamente derogabiledalle Regioni stesse che, se solo lo volessero, benpotrebbero ripensare i rapporti tra organi in modo darestituire centralità alla mediazione che avviene nelConsiglio regionale.

In questa fase di redazione del nuovo Statuto, laRegione Lombardia è in ritardo ed il procedimento èancora alle fasi iniziali. Pertanto, le elezioni regionalisi colorano di un significato ulteriore, perché chi vin-cerà le elezioni, in virtù della legge elettorale, potràcontare su di una maggioranza forte in Consiglioregionale e potrà scrivere lo Statuto e dunque deter-minare stile ed assetto di governo per la Regione. Ciòdetto, si può sin d’ora esprimere l’auspicio che la

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Il sistema della mobilitàUno dei fattori di crisi, se non di decadenza, più evi-denti del modello socio-economico lombardo è peròcertamente quello della mobilità congestionata omeglio dell’immobilità. Ed è ovvio che questo ele-mento si pone come concausa della crisi delleimprese che infatti lamentano l’arretratezza delleinfrastrutture e dunque (ancora una volta) riscopronol’urgenza di un rapporto più serio e solido con la poli-tica. Non bisogna perdere troppo tempo, perché sitratta di fatti sotto gli occhi di tutti, nel rammentare lasituazione della viabilità su strada, intasata in ogniambito con l’ulteriore effetto, nient’affatto secondario,dell’esplosione dell’inquinamento atmosferico. Con-temporaneamente, quasi per effetto a catena, anche ilservizio ferroviario è come imploso, mostrando, conuna serie impressionante di ritardi e disfunzioni, l’arre-tratezza delle linee e di motrici e vagoni. Le proteste(per esperienza: sacrosante) dei pendolari sono ilsegno del punto di esasperazione cui il problema ègiunto. La ricetta che però si propone, dal governodella Regione ed anche da esponenti delle forze pro-duttive, appare francamente inadeguata: si puntanuovamente su cantieri faraonici (che peraltro sem-brano non riuscire mai a partire…), come la BreBeMio la Pedemontana, mentre si trascura o non si investeadeguatamente sul trasporto su rotaia che altrove, inEuropa, è ampiamente utilizzato non solo per le per-sone, ma anche per il trasporto delle merci con undiverso impatto, come è ovvio, di tipo ambientale.

Il welfare lombardoSul welfare lombardo già altre volte ci siamo soffermati.Qui basti ricordare che il principio ispiratore del modellolombardo voluto dalla Giunta Formigoni è stato quellodella libertà di scelta, secondo cui prioritario è creare unassetto pluralistico dell’offerta di servizi di tipo competiti-vo, in cui soggetti privati, lucrativi e non, partecipano coneguale dignità all’erogazione delle prestazioni sociali.L’ente pubblico (il Comune per l’assistenza sociale, leAziende sanitarie e la Regione per la sanità) non produ-ce più direttamente servizi (si parla di esternalizzazionedelle prestazioni), essendo l’erogazione sostanzialmen-te liberalizzata, mantenendo teoricamente una respon-sabilità di programmazione, acquisto e controllo (PAC,secondo un acronimo diffuso) delle prestazioni. L’obiet-tivo insito in questa strategia appare quello della creazio-ne di (quasi) mercati, in cui le strutture erogatrici godanodi un vero e proprio diritto all’accreditamento e dunque dientrare nella rete pubblica di servizi, mentre il compitodella scelta tra esse viene sottratto alla discrezionalitàdell’amministrazione e rimessa direttamente al soggettoutente, trattato da consumatore e dotato di appositi vou-chers. Il modello lombardo presuppone l’autonomia deicittadini consumatori e delle famiglie e corrispondente-mente riduce o rinuncia alla intermediazione, screditatacome segno di paternalismo, dei pubblici poteri.

Si pensi che la Regione Lombardia chiede aiComuni di utilizzare il 70% delle risorse destinate al-l’assistenza sociale sotto forma di vouchers o buoni-assistenza. Questo impegno, a parità di risorse (e

cità di piccole e medie imprese (le PMI), che storica-mente avevano nella flessibilità d’azione e nel bassocosto del lavoro i punti di forza. In sofferenza sonosoprattutto le aziende meccaniche e quelle tessili e lacrisi si manifesta con ripetute cessazioni di attività(oltre 300 fallimenti solo nel 2004), dolorose riorganiz-zazioni e ristrutturazioni e massiccio uso della Cassaintegrazione. Le ragioni comunemente segnalate diquesta crisi sono il calo della domanda e dei consumiinterni (conseguenza anche del caro euro e della per-dita di potere d’acquisto dei salari), la debolezza deldollaro (che favorisce le esportazioni americane epenalizza le esportazioni europee) e soprattutto lacompetizione agguerrita dei Paesi emergenti (per iltessile, ad esempio, è diffusa un’autentica ossessioneper la concorrenza proveniente dalla Cina) che met-tono in campo il guadagno di competitività derivantedall’utilizzo di manodopera abbondante e a basso (senon bassissimo) costo.

Pur riconoscendo la complessità dei mercati e l’esi-genza di affrontare la drammaticità della situazione,occorre anche riconoscere che la crisi è in qualchemodo annunciata e che il celebrato mito delle PMIlombarde, anche nel periodo d’oro, occultava unascarsa propensione all’innovazione di questo generedi imprese che, per le ridotte dimensioni o per scarsalungimiranza, non hanno alimentato attività di ricercavolta ad implementare la qualità del prodotto (diffusoera l’uso dei brevetti in leasing) indispensabile perreggere nel tempo su di un mercato sempre più inte-grato. Così è accaduto che i profitti non fossero utiliz-zati per investimenti produttivi, ma talora (o spesso)per speculazioni finanziarie o immobiliari (la storia deiquartieri di Bergamo ne sta risentendo). Pertanto, conl’ingresso sul mercato di competitori che si avvalgono,in sostanza, delle stesse armi delle PMI (flessibilità,basso costo del lavoro), queste ultime si sono ritro-vate impossibilitate a reggere la concorrenza e a“riscoprire” improvvisamente l’utilità del tanto (fino adora) vituperato intervento statale, sia sotto forma diStato sociale (con gli ammortizzatori che rendonomeno dolorose le riorganizzazioni), sia sotto forma diregolatore dei mercati (con la pressante richiesta diun protezionismo che blocchi i prodotti extraeuropei).

In linea generale, ci pare, e l’osservazione merite-rebbe di essere approfondita, la crisi attuale hamostrato che proprio un sistema produttivo basato supiccole e medie imprese (PMI), anziché sul grandecapitale, ha strutturalmente bisogno di crescere inintegrazione con le istituzioni (che sostengano, adesempio, la ricerca e l’innovazione) e con il tessutosociale e pertanto di uscire dalla logica, tanto spessoinvocata, del liberismo sregolato e dell’antistatalismo.Per le stesse ragioni, l’Italia nel suo complesso stariscoprendo, a sue spese, l’importanza della grandeimpresa, quella cioè che, se non altro per dimensioni,è in grado di produrre ricerca ed innovazione di qua-lità. Un’economia tecnologicamente leggera o preva-lentemente di servizi, dopo un periodo di illusione dipoter rinunciare all’industria, paga inevitabilmentedazio all’integrazione globalizzata dei mercati.

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denza dei destini umani e delle sfere di libertà, siricerchino le necessarie mediazioni all’interno di unprogetto di tipo politico. Lo spazio pubblico non è peròda intendersi formalisticamente come statalistico, macome luogo di confronto e di mediazione in cui entrinoi vari bisogni e da cui esca, per via di mediazioni eti-che, il punto di vista delle comunità. Si tratta dunquedi uno spazio della politica, attività tradizionalmentetrascurata e schivata come inutile o dannosa dal falsopragmatismo imperante nei lombardi. Si comprendeoggi appieno che prosperità economica e coesionesociale sono strettamente avvinte, così come azionesociale ed economica rispetto al ruolo delle istituzioni.

Gli schieramenti in campoGià abbiamo evidenziato che i problemi del sistemalombardo derivano, oltre che da oggettive condizionidi un contesto difficile, anche da scelte strategiche (dimodello) poco oculate. E di queste scelte sbagliate ègiusto riconoscere le responsabilità politiche di chi inquesti anni ha governato la Regione e ne ha esaltatol’originalità di impostazione. La stessa Giunta Formi-goni del resto, soprattutto nella sanità, ma anche nelsistema dei trasporti, si sta accorgendo di scelte sba-gliate e sta tentando affannosamente e tardivamentedi invertire la rotta. Dall’altra parte, c’è un centro-sini-stra che, a livello regionale, appare poco visibile, cosìcome poco noto è il suo candidato per la Presidenzadella Giunta, Sarfatti. Il diverso peso e la diversaesposizione mediatica del candidato del Polo (Formi-goni) rispetto a quello ulivista (Sarfatti) sono indicatividi uno stile diverso di fare politica, l’uno decisionisticoe verticistico, l’altro collegiale e mediativo.

In questi anni con un lavoro non sempre adeguata-mente riconosciuto (anche dai media cittadini...), ilcentro-sinistra ha combattuto le distorsioni del modellolombardo. Il limite del centro-sinistra è stato piuttostoquello di non aver saputo trasformare un’opposizioneistituzionale in confronto sociale, scontando in ciò il di-fetto di radicamento dei partiti che a questa area fannoriferimento nel territorio lombardo. Dal nostro punto divista pare però che, nonostante questi limiti, il centro-sinistra sia più naturalmente portato, per propria impo-stazione valoriale, a riconoscere come centrale il pun-to di vista pubblico sui problemi, quello cioè che ci èparso di poter segnalare come l’urgenza più indifferibi-le per l’uscita dalla crisi.

In ogni caso, il modello lombardo impone, seppurnella gradualità necessaria a sistemi complessi comequello sanitario, una svolta: il problema è se affidarlaai ripensamenti e aggiustamenti di chi quel modelloha sinora orgogliosamente sostenuto o se puntare sudi un’alternativa per propria storia più orientata algoverno pubblico dei processi e del mercato. Comun-que vada, indispensabile appare la partecipazione edil confronto civico dei cittadini lombardi che, al di làdegli slogans, devono tornare a discutere di qualescuola vogliono per i propri figli e di quale sanitàvogliono per i propri malati e, in genere, tornare adinteressarsi dell’ambiente in cui vivono e farannovivere quelli che verranno.

certo le risorse destinate all’assistenza non paiono inaumento), significa inevitabilmente riduzione dei ser-vizi soggettivamente pubblici e spazio aperto ad unacompetizione tra privati, in una logica sempre piùprossima a quella mercantilistica. Per la scuola, laRegione Lombardia ha promosso il discusso buono-scuola, con cui si riconosce un rimborso parziale allefamiglie che inviano i propri figli alle scuole private. Inmateria di assistenza sanitaria, l’orientamento regio-nale si è tradotto nell’impossibilità da parte delle Asldi erogare servizi sanitari, forniti in regime di concor-renza da soggetti (pubblici o privati, in condizione for-malmente paritaria) accreditati. E, tuttavia, questascelta, oltre a non avere mai creato le condizioni diun’effettiva concorrenza (poiché l’erogatore pubblicodoveva tenere aperti servizi in strutturale perdita che iprivati si guardavano bene dall’erogare), ha svilito leAsl a semplice pagatore su mandato della Regione e,inoltre, contrariamente alle attese riposte, ha prodottoun aumento notevole dei costi che ha spinto laRegione stessa a passi indietro rispetto all’accredita-mento “libero” originario e a recuperare per sé unruolo di programmazione.

Proprio dalla sanità stanno dunque affiorando tutti idubbi sul (e tutti i limiti del) modello lombardo di welfa-re. Anche qui non vanno taciuti problemi strutturali (l’in-vecchiamento della popolazione) che però sono statiaggravati da scelte sbagliate. La direzione di riformapiù promettente, rispetto a questo modello evidente-mente in crisi, è il recupero di un legame più stretto traservizi sanitari e territori, con la riconduzione all’internodell’Asl (e, nello specifico, dei distretti) di alcune pre-stazioni di base e, di fronte al fallimento della concor-renza in ambito sanitario, il recupero di un governo delservizio da parte dell’ente pubblico.

Una logica riassuntiva della crisiForse tra i vari aspetti della crisi del sistema Lombar-dia una connessione c’è e risiede, sinteticamente,nell’assenza di un punto di vista comune sui problemi.Intendiamo dire che gli attori economici e il governopolitico regionale hanno mostrato di aderire ad unavisione dell’organizzazione sociale in cui ogni indivi-duo deve essere libero di perseguire le proprie sceltee che il compito delle istituzioni è quello di lasciare ilmassimo di autonomia possibile. L’idea, rivelatasi fal-lace, è che un fascio di scelte individuali, frutto dirazionalità individuali, produca un assetto socialebuono. In questa visione, è evidente che le istituzionie le regole siano state percepite quasi unicamentecome lacci e lacciuoli. Scelte individuali e strategie diimprese dovevavo essere lasciate libere di agire in uncontesto competitivo, da cui avrebbe dovuto uscirepremiata la società nel suo complesso. L’esperienzaha spento molto di questo ottimismo liberistico: è evi-dente che la libera interazione di scelte individuali, inun contesto deregolato, ha prodotto un assettoambientale e sistemico insostenibile e l’emergenzache si pone come ineludibile è la ricostruzione di unospazio pubblico (nel trasporto, nei servizi di cura, nelgoverno del mercato) in cui, riconosciuta l’interdipen-

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Osservando le cifre del rendiconto economico di quest’anno sipossono ricavare notizie interessanti che ci aiutano anche a capirecos’è una comunità. Una prima osservazione è da dove vengono isoldi di una parrocchia. Da tre luoghi: dall’offerta che si mette nelcestino della Messa della domenica; dal piccolo dono che si vuolfare alla comunità quando si celebra un battesimo, un matrimo-nio, un funerale; da lasciti che qualche buon fedele destina intestamento alla parrocchia. Sono iniziative libere che vengonodalla sensibilità e dall’amore di qualcuno per la Chiesa. Unaseconda osservazione: l’incidenza rilevante, e sempre crescente,che hanno le spese di funzionamento e di manutenzione dellestrutture: le “spese generali” ordinarie – e quelle che periodica-mente si impongono come straordinarie – si mangiano una buonafetta delle nostre offerte e tarpano i nostri sogni di fare le cose checi piacerebbe fare con i soldi. Nonostante questo – ed è la terzaosservazione – siamo riusciti quest’anno a destinare abbastanzasoldi alla “solidarietà”, che è senz’altro la destinazione più con-sona e più gratificante per una comunità cristiana. In particolare,siamo contenti perché stiamo imparando a lavorare per piccoliprogetti che spaziano dalla solidarietà internazionale al sostegnodi iniziative che si fanno nella comunità e nel quartiere.Un’ultima osservazione riguarda una preoccupazione: la preoc-cupazione che pochi parrocchiani si rendano conto da vicino delsenso dei soldi in una comunità e che molti crescano senza la sen-sibilità e la coscienza per questa dimensione della loro vita cri-stiana. La preoccupazione è compensata dall’ammirevole atten-zione di alcuni e dai miracoli che essi, come si vede, compiono.

LA PARROCCHIA E I SOLDI

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I SOLDI

USCITE ENTRATE

Ogni anno si arriva a fare il punto dei soldi in parrocchia. Cerchiamo sem-pre di non dare eccessiva importanza al denaro ma indubbiamente lenostre aspettative, i nostri programmi, i nostri progetti devono fare i conticon le disponibilità che ci costringono a definire delle priorità e a riporrealcuni desideri nel cassetto delle cose… a venire. Puntiamo sulle cose cheriteniamo più importanti dal punto di vista pastorale e che nel contempoportino benefici ai più della comunità. Quest’anno si è sostenuta una importante opera di rinnovo della sala Qoe-let con sostituzione di poltroncine, macchina del cinema, altoparlanti ecc.La relativa spesa è stata importante (202.289 euro) e in parte finanziatagrazie a due lasciti di persone particolarmente sensibili (per 125.790 euro)e dalla Associazione Le Piane per 15.000 euro. Inoltre è stata portataavanti una richiesta di contributi al Ministero degli spettacoli su cuinutriamo qualche speranza.All’orizzonte poi si prospettano ulteriori interventi strutturali all’oratorio.Altro impegno non programmato è stato quello riguardante la realizza-zione del rinnovo della piazzetta antistante la chiesina, lavori che si èdeciso di effettuare in quanto il Comune ha chiesto la cessione di alcunispazi per ampliare il marciapiede concorrendo nel contempo a partedella nuova realizzazione. I lavori che finiranno entro marzo ci costeranno50.000 euro circa.Per quanto riguarda il residuo debito in relazione alla ristrutturazionedella casa parrocchiale ci vedrà impegnati per ancora tre anni: attual-mente il debito è di euro 92.186 nei confronti della banca e di euro 40.650nei confronti dei cosiddetti presti-gratis.Scorriamo ora le voci che compongono il bilancio cercando di coglirernealcune componenti.

Contributi solidarietà 32.657,00 Offerte solidarietà 26.335,00

Spese per il culto 7.843,00 Offerte fedeli 60.894,00Sostegno sacerdoti 7.280,00 Offerte per il culto 21.850,00Collaboratrice domestica 11.708,00 Offerte straordinarie 44.752,00

Manutenzioni 24.491,00 Affitti attivi 12.918,00Spese generali 31.711,00Assicurazioni 6.771,00Oneri finanziari 3.657,00 Proventi finanziari 3.322,00Imposte 10.418,00 Proventi straordinari 140.790,00

Ristrutturazione casa parrocchiale 202.289,00 Pro ristrutturazione 5.278,00Comunità Redona 19.082,00 Comunità Redona 24.088,00Oratorio 186.551,00 Oratorio 164.189,00Avanzo di gestione Disavanzo gestione 40.042,00

Totale 544.458,00 Totale 544.458,00

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ANNO 2004

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SOLIDARIETÀ 32.657Le cifre non evidenziano la mole di lavoro ed impegno che viene svoltoper il servizio ai bisognosi ed alla comunità. San Paolo dice che la fedesenza le opere… Esiste una solidarietà tra le parrocchie (ogni parrocchiapaga 1 euro per abitante – la nostra quota è di 6.400 euro – che confluiscein un fondo comune che interviene nelle situazioni di bisogno ed in aiutoa rimborsare interessi per debiti contratti per la ristrutturazione dellestrutture parrocchiali), poi verso le Missioni (3.188 euro) e per il Semina-rio (1.320 euro). Da qui transitano i sostegni finanziari a favore dei progettidi solidarietà della Caritas parrocchiale (a favore di malati AIDS 10.321euro, il progetto Handy 3.314 euro, malati, minori, famiglie bisognose ecc).

SPESE PER IL CULTO 7.843Qui troviamo le spese che servono per le celebrazioni, fiori e candele(2.951), rimborsi per alcuni servizi liturgici (3.964) ecc. Vanno poi rin-graziate tutte quelle persone che gratuitamente garantiscono la puliziadella chiesa e il servizio di sagrestia, nonché l’accoglienza e la organiz-zazione delle liturgie (letture ecc).

SOSTEGNO PER I SACERDOTI 7.280La cifra è quanto la cassa parrocchiale effettivamente esborsa per integrarelo stipendio ai preti che ha una costituzione complessa. Per spiegarci: i no-stri preti fanno vita comune ed hanno una cassa unica che raccoglie tutte leloro entrate. In cambio ricevono dalla comunità, oltre all’alloggio e i servizidi luce, gas, acqua, telefono, uno stipendio. Ogni prete riceve uno stipendiodi circa 8.000 euro l’anno. L'ammontare complessivo dello stipendio dei trepreti è esattamente di 25.283,37 euro; ed è così composto: 12.968,98 dall'Isti-tuto per il Sostentamento del Clero (una cassa comune nazionale formatadall’accorpamento dei vecchi benefici parrocchiali e da una parte dei contri-buti dei cittadini attraverso la destinazione dell’otto per mille); 8.968,64 de-rivanti dall'insegnamento della scuola di religione da parte di don Patrizio;il restante 3.345,75 è garantito dalla parrocchia, per una cifra che è propor-zionale al numero degli abitanti. Al compenso mensile la comunità ag-giunge un accantonamento di circa 1.200 euro annui per ogni sacerdote chevanno a costituire una sorta di accompagnamento di fine servizio nel mo-mento in cui il prete lascerà la parrocchia. A questo sono da aggiungere leofferte libere per la celebrazione delle Messe.

COLLABORATRICE DOMESTICA 11.708La persona che garantisce il servizio della casa e della vita comune deipreti viene stipendiata dalla comunità, in quanto non è al servizio di unsingolo prete ma svolge un importante compito comunitario, che è quellodi garantire la vita comune dei preti e di “presidiare” la casa parrocchiale.

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USCITE

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MANUTENZIONI 24.491Sono diversi interventi di manutenzione ordinaria per la chiesa maggiore(4.391), per la casa parrocchiale (1.645), ma la spesa più significativariguarda le manutenzioni straordinarie dell’oratorio per 14.430 euro.

SPESE GENERALI 31.711Rappresentano tutti i costi di gestione ordinaria delle strutture parroc-chiali. Il riscaldamento delle chiese e della casa parrocchiale per 18.244;l’energia elettrica per 4.807; il telefono per 1.612, oltre alla cancelleria per1.971. Altre due voci che hanno un peso importante sono le assicurazionialle strutture e alle persone per 6.771 e 10.417 per imposte e tasse. Questevoci che sono normalmente considerate di ordinaria amministrazionesommate insieme (45.700 euro) sono pari alle offerte straordinarie (nata-lizie + straord. = 44.700 ) . Come si vede il “funzionamento” delle struttureè la voce più rilevante del bilancio.

ONERI FINANZIARI 3.657Gli interessi che paghiamo in relazione al debito per la casa parrocchialesono di 3.343 anche se vengono poi in buona parte recuperati grazieall’aiuto che viene dalla Curia (che ridistribuisce il fondo solidarietà par-rocchie) per euro 2.974.

RISTRUTTURAZIONE SALA QOELET 202.289Intervento che si è ritenuto doveroso fare su una struttura assai utilizzatada tutta la comunità. I principali costi sono stati assorbiti dalla sostituzionedella macchina di proiezione, poi le poltroncine, le moquettes alle pareti el’aggiornamento degli impianti tecnologici. Stiamo percorrendo anche unastrada di ricerca di contributi statali e qualche speranza la coltiviamo.

OFFERTE FEDELI 60.894Sono i soldi che si raccolgono nelle Messe, all’offertorio. È forse il gestoche, legato all’eucaristia e alla comunione, fa capire meglio il senso deisoldi in una comunità cristiana. Da dove vengono? Da un gesto di gratuitàe di comunione, in risposta alla grazia ricevuta dal Signore. Dove vanno?A formare la comunità, a sostenere la vita della comunità e l'aiuto aipoveri. L'offerta che si fa nella Messa è per ogni fedele un test della suacoscienza comunitaria e del suo grado di appartenenza.

OFFERTE PER IL CULTO 21.850Un’altra cosa bella è che i fedeli, quando celebrano in comunità alcuniavvenimenti importanti della loro vita, cercano di esprimere il loro legamecon la comunità mediante un'offerta. E così, per esempio, in occasione deiBattesimi si sono raccolti 4.335 euro; per le Prime Comunioni e le Cresime2.815; per i Matrimoni 2.850; per i Funerali 8.360.

ENTRATE

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OFFERTE STRAORDINARIE 44.752I fedeli, oltre all’offerta che fanno nell’offertorio della Messa, portano allacomunità delle offerte libere, in diverse circostanze e in diverse forme.Occasione particolare è la colletta natalizia, nella quale è data la possibilitàdi decidere quanto in un anno un singolo fedele intende mettere in comu-nità. La colletta è stata di 28.630 euro.

PROVENTI STRAORDINARI 140.790Come già anticipato in apertura, nel 2004 siamo stati beneficiati di bendue lasciti per 125.790 euro. Vale la pena anche di ricordare che unaforma possibile di donazione è quella di lasciare in testamento ed ereditàbeni diversi a favore della comunità; gesto squisito di amore alla Chiesa ealla sua opera. Anche l’Associazione Le Piane, oltre che gestore della Saladella comunità, ha donato 15.000 euro a favore del riammodernamentodella stessa.

ORATORIO

Uno sguardo particolare merita l’oratorio: anche nella gestione dei soldi sipossono leggere le scelte di attenzione ai più piccoli e alle loro famiglie,agli adolescenti e al quartiere. Il tentativo di far quadrare i conti non sem-pre riesce, come per quest’anno, ma l’oratorio sa che la comunità è sempreattenta e, quando proprio non ce la fa, il sostegno diventa concreto. Il rico-noscimento degli enti pubblici ad alcune attività dell’oratorio si traduce inprogetti condivisi che sono parzialmente finanziati.

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USCITE ENTRATE

Bar 19,727,00 Bar 25.971,00Spese campeggi 16.496,00 Entrate campeggi 19.700,00Redonestate 63.635,00 Redonestate 36.774,00Viaggi culturali 11.222,00 Viaggi culturali 11.065,00Palio/carnevale 6.467,00 Palio/carnevale 0,00Attività diverse 40.323,00 Attività diverse 34.321,00

Spese generali: Proventi diversi 36.358,00Acqua 1.759,00Arredi 4.352,00Cancelleria 2.287,00Enel 1.919,00Telefono 1.160,00 Sub totale 164.189,00Altre 14.634,00

Spese straordinarie 2.570,00Disavanzo –22.362,00

Totale 186.552,00 Totale 186.552,00

ANNO 2004

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INIZIATIVE 157.870Tra le attività dell’oratorio, il capitolo di spesa più significativo è il CRE ( 63.635). I campeggi e i viaggi culturali per gli adolescenti sono costaticomplessivamente 27.718. Le “attività diverse” comprendono la voce“ritiri” ( 10.310), “attività ricreative” ( 5.139) e i progetti realizzati incollaborazione con la scuola e le istituzioni ( 19.342).

SPESE GENERALI 26.681Le spese generali sono tutti quei costi che ogni famiglia sostiene per farfunzionare la casa; la famiglia dell’oratorio ha una casa molto grande:riscaldamento ( 4,356), acqua ed elettricità ( 3.678) e spese di cancelleria( 2.287). Sono comprese inoltre attrezzature che richiedevano la sostitu-zione perché ormai non più a norma di sicurezza ( 4.351). Le spese dimanutenzione straordinaria sono state in gran parte sostenute dalla par-rocchia: l’oratorio ha contribuito per 2.570.

Come sono composte le entrate dell’oratorio? I costi di alcune iniziative, adesempio i campeggi, i viaggi culturali e i ritiri, sono coperti, o quasi, dalcontributo dei partecipanti; per altre attività, come il CRE, le quote dellefamiglie e i contributi degli enti pubblici non sono sufficienti a coprire lespese. Anche il Palio, nonostante il contributo pubblico, rimane una vocenegativa. Alcune iniziative permettono all’oratorio di finanziarsi: il bancovendita, la pesca di beneficenza e la lotteria (complessivamente 7.080).Altre entrate significative sono costituite dalle offerte delle famiglie all’ini-zio dell’anno catechistico ( 3.637) e il saldo positivo della gestione del bar.

COMUNITÀ REDONAAnche quest’anno questo fiore all’occhiello riesce ad autogestirsi man-tenendo il suo impegnativo carattere e senza cedere alle lusinghe dellapubblicità. Le voci di uscita sono sostanzialmente due, quelle di stampa17.848 e quelle di spedizione (788), mentre le entrate sono date dalla sotto-scrizione degli abbonamenti (22.564) e dalle offerte per le foto dei defun-ti (1.343).Sappiamo di proporre un giornale impegnativo. Non lo facciamo perché cipiace essere difficili, ma perché riteniamo che una comunità debba affron-tare seriamente i problemi che la fede oggi pone a una persona che vive inqueste città complicate ed esigenti. E d'altra parte ci pare che alcuni cam-mini che si fanno in comunità vadano documentati per permettere a chivuole riflettere e formarsi di avere uno strumento di lavoro. Questi obiet-tivi, che pure chiedono tanta pazienza e comprensione a molti che magarisi accontenterebbero di cose più facili, sembra che vengano complessiva-mente apprezzati. Così pare di poter leggere il sostegno finanziario che ciarriva. A tutti grazie.

ENTRATE

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USCITE

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Periodico mensile - Anno XXXI - Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bergamo - N. 322 - Marzo 2005 - Autorizz. deltribunale di Bergamo, N. 8 dell'8-6-1974 - Direzione: don Sergio Colombo (responsabile), Franco Pizzolato - Redazione: Roberto Alfieri, Marta Antoniolli, Arturo Bonomi, don Lino Casati, don Michele Chioda, don Sergio Colombo, Stefano Fojadelli, don Tino Galizzi, Sandro Lorenzi, don Patrizio Moioli, Andreina Paris, Serena Paris, Filippo Pizzolato, Franco Pizzolato, Stefania Ravasio, Claudio Salvetti, Graziella Valenza. -Proprietà: Parrocchia di S. Lorenzo Martire - Quartiere di Redona (Bg) - sede: via Leone XIII, 15 - Bergamo - Tel. 035/341545 - Fotocomposizione e stampa: ditta Quadrifolio (Azzano S. Paolo - Bergamo)

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Feste e Ricordi

Anniversari

ELENABRASI† 4-4-1983S. Messaalle ore 18.30del 4-4-2005

ALCESTECRUCIANI† 4-4-1971S. Messaalle ore 18.30del 4-4-2005

DAVIDECONSONNI† 2-4-2003S. Messaalle ore 18.30del 2-4-2005

TERESARAVASIOCERUTI† 29-3-1997S. Messaalle ore 18.30del 29-3-2005

EMILIOCERUTI† 7-4-2002S. Messaalle ore 18.30del 7-4-2005

PANTALEONEGREGIS† 15-3-1993S. Messaalle ore 18.30del 14-3-2005

FLAVIOCALDERA† 1-4-1995S. Messaalle ore 18.30dell’1-4-2005

TOMMASODI MATTEO(di anni 60)† 12-2-2005

ANDREAPACIFICI(di anni 57)† 18-2-2005

DANIELEBOFFA(di anni 58)† 7-2-2005

EMMARESSIAOLIVERO(di anni 94)

MARIOZANDA† 18-3-1980S. Messaalle ore 8del 18-3-2005

LUIGIZANONI(di anni 90)† 10-2-2005

MARIAPALAZZODE MICHELE† 5-4-1995S. Messaalle ore 18.30del 5-4-2005

PIETROSALVI† 6-4-1990S. Messaalle ore 18.30del 6-4-2005

CARLOUBOLDI† 10-4-2004S. Messaalle ore 18.30del 9-4-2005

Defunti martedì 22 marzo

ore 21

in chiesa minore

Vegliadi Musica e Arte

IL CROCIFISSOSPERANZADELL’UOMO

Il martedì della Set-timana Santa èspesso per noi unasera dedicata all’ar-te. Questa volta loscultore GiancarloDefendi porterà tranoi un Crocifisso ealcuni dei suoi dise-gni e delle sue scul-ture. Ci aiuteranno,anche durante igiorni del Triduo, a fermarci un po’ a contemplare i ldramma dell’uomoe la speranza che lacroce di Cristo gliarreca.In quella serataascolteremo ancheuno Stabat Materper quartetto e can-to che il nostro or-ganista Paolo Testaha composto perl’occasione.

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SETTIMANA SANTAmartedì 22 - ore 21

VEGLIA DI MUSICA E ARTE

mercoledì 23 - ore 20,45CONFESSIONE COMUNITARIA

giovedì 24 - ore 21CELEBRAZIONE DELLA CENA

venerdì 25 - ore 21CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE

sabato 26 - ore 21CELEBRAZIONE DELLA RESURREZIONE

domenica 27DOMENICA DI PASQUA

G. B. Moroni:Ultima Cena(Romano di Lombardia)particolare degli Apostoli