COMUNE DI CALTAGIRONE IV Area · Il Regolamento Edilizio del 1879 Va menzionato il buon regolamento...

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1 COMUNE DI CALTAGIRONE IV Area GOVERNO E SVILUPPO DEL TERRITORIO E DELLA CITTÀ DIRETTIVE GENERALI AI SENSI DELL’ARTICO 3 COMMA 7 DELLA LEGGE REGIONALE 30 APRILE 1991 N° 15 PER LA REDAZIONE DELLA REVISIONE DEL PIANO REGOLATORE GENERALE APPROVATO CON DECRETO N° 265 DEL 12 MARZO 2004 Relazione del Dirigente Antonio Virginia, Architetto Luglio 2013/Maggio 2014

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COMUNE DI CALTAGIRONE

IV Area GOVERNO E SVILUPPO DEL TERRITORIO

E DELLA CITTÀ DIRETTIVE GENERALI AI SENSI DELL’ARTICO 3 COMMA 7 DELLA LEGGE REGIONALE 30 APRILE 1991 N° 15 PER LA REDAZIONE DELLA REVISIONE DEL PIANO REGOLATORE GENERALE APPROVATO CON DECRETO N° 265 DEL 12 MARZO 2004 Relazione del Dirigente Antonio Virginia, Architetto Luglio 2013/Maggio 2014

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Indice Le premesse 1. Le vicende urbanistiche nella storia recente della

città 2 .Il territorio e la città 3. La progettazione dell’ambiente e la riprogettazione

della campagna 4. La popolazione 5. La residenza e i servizi 6. Le strutture economiche 7. I sistemi di movimento 8. Il centro storico della città 9. Le norme del piano 10. Alcune considerazioni riassuntive 11. I temi principali del progetto di piano 12. Il procedimento di legge per la formazione e l’approvazione del piano Appendice L’elenco delle varianti urbanistiche

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Le premesse In conformità a quanto stabilito dall’articolo 3, comma 7 della legge regionale 30 aprile 1991 n. 15 e successive modifiche e integrazioni e dalla Circolare D.R.U. 2/2000 con la quale l’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente ha prescritto che le direttive generali per la revisione del Piano Regolatore Generale possono essere adottate sulla base di un’apposita relazione redatta da parte del Dirigente l’Ufficio Comunale competente, con la presente si individuano e si tracciano i temi che occorre porre a fondamento del nuovo Prg per il governo e lo sviluppo urbanistico della Città di Caltagirone. C’è capitata l’avventura singolare di occuparci di tre piani regolatori generali per la città di Caltagirone, compreso questo, a trent’anni di distanza. Il primo agli inizi degli anni ’80, redatto dall’Ufficio e firmato congiuntamente con l’allora Ingegnere Capo Salvatore Caruso, quando la città era stretta nei confini dettati dal Programma di Fabbricazione del 1974 ed aveva fame di case e di crescita urbana. Con quel primo piano urbanistico la città si diede organicamente le direttrici per il futuro sviluppo, e la sua forma per come ci arriva oggi. Con quel piano si tentò, non senza qualche risultato, di dare alcune risposte ad una richiesta che non era solo “fisica”, di aree edificabili, di case e di servizi, ma di crescita e di sviluppo complessivo, alle quali la comunità calatina ambiva, forte di uno spirito civico molto alto e di una struttura sociale in movimento. Quello spirito civico che viene dall’orgoglio, delicato e tollerante, di chi sa di appartenere a un luogo di particolare qualità, e che accomunava l’intera comunità. L’orgoglio di chi ha una innata capacità di riconoscere la bellezza dell’ambiente, l’armonia delle configurazioni urbane e naturali e la loro arcana corrispondenza, la grande qualità architettonica che la città e il territorio hanno continuato ad esprimere per secoli, quasi senza sosta. La struttura sociale era in movimento perché dal dopoguerra in poi la società calatina aveva cominciato a rappresentare se stessa all’esterno, per conquistarsi un ruolo di guida e riferimento nel territorio più vasto di

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questa parte della provincia catanese, con vitalità e intraprendenza. In questa situazione di voglia di sviluppo si era verificata una mirabile coincidenza di intenzioni e di comportamenti tra il governo della città e il governo fisico del territorio tramite il piano urbanistico generale: il primo Prg di Caltagirone. Il piano successivo, quello avviato nel 1989 e approvato nel 2004, rimasto privo di “paternità” politica, perché la sua gestazione è avvenuta nel mentre della fine della cosiddetta “prima repubblica”, pensato inizialmente per proiettare la città in una dimensione provinciale si è poi limitato a riconfermare il precedente, con i necessari aggiornamenti e facendo propri i programmi e i piani urbani innovativi e di settore nel frattempo intervenuti. Nelle pagine che seguono, con questo narrativo, si cercherà di fornire utili indicazioni per la formazione delle nuove direttive. 1. Le vicende urbanistiche nella storia recente

della città Richiamare la storia di un luogo, di un territorio, così com’è degli uomini che di quei contesti ne sono gli artefici, può venire in aiuto a chi ne eredita il testimone nel governo di processi futuri. Da quegli inizi degli anni ’80 si sono succedute tante amministrazioni, e una nuova generazione di individui si è affacciata all’impegno politico, che quei fatti non conoscono. Ed è questo lo spirito col quale di seguito, seppur sinteticamente, si riportano alla memoria i fatti e i piani che nel tempo hanno avuto un ruolo nella formazione e nello sviluppo urbano della città, e delle coscienze. Il Regolamento Edilizio del 1879 Va menzionato il buon regolamento edilizio del 1879, quando la città passa in pochi anni da poco più di 30 mila abitanti ad oltre 40 mila, e bisogna impegnare nuove aree all’edificazione tra quelle più esterne, ma interne all’allora limite urbano, senza smarrire la qualità della forma urbana che via via si andava definendo, così come poi è arrivata fino a noi con l’attuale limite del centro storico. Il Piano “Sturzo” Per le ragioni che si dirà di seguito una particolare menzione merita quello che comunemente viene identificato come il “Piano Sturzo”, che prende il nome da un personaggio che per Caltagirone, e non solo, ha

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contato molto. Un uomo che nei primi anni del ‘900 è stato Sindaco di questa città: Don Luigi Sturzo. In quegli anni Don Sturzo mise mano ad un progetto urbanistico forse il più ambizioso che la città da allora abbia mai avuto: gettare le basi per costruire la nuova Caltagirone, la città moderna. Una città che andasse oltre a quelli che allora erano i suoi confini. Quelli della città antica, che sono poi gli stessi confini di oggi, del nostro centro storico. Un centro storico che ha avuto delle mura formidabili che lo hanno protetto e salvato. Le sue mura sono state sia l’eccezionalità delle condizioni orografiche e altimetriche del suolo, che nel tempo hanno segnato i margini e il limite della città, e- perché non dirlo?- le sue mura sono state anche la qualità dei suoi cittadini. Una comunità che da sempre è stata consapevole della magica atmosfera che vi è in questo territorio, grazie al felice rapporto tra paesaggio, campagna e città costruita. Una consapevolezza che ha prodotto nella comunità calatina un alto senso di responsabilità e un’attenzione particolare per i processi di sviluppo e di trasformazione fisica della città. Processi segnati da una grande qualità del fare. Infatti, se la crescita della città non avesse rispettato quei limiti e quelle “mura”, sia quelli fisici, sia quelli culturali, ed anzi li avesse violati, la conseguenza sarebbe stata la rottura di quel magico equilibrio; avrebbe causato danni forse irreparabili per la stessa sopravivenza della città antica in cui tutti oggi, con giusto vanto, si identificano. Occorre ricordare che la città dei primi anni del ‘900 era anche una città che viveva una condizione di sovraffollamento che già doveva preoccupare non poco gli amministratori dell’epoca. Sturzo con fervida immaginazione coglie per tempo questi aspetti e pensa di dare alla città uno sbocco verso sud, verso le aree più favorevoli e pianeggianti. Nasce così il piano “Sturzo”. Un piano che trovava la sua applicazione in quel triangolo di terra attaccato per un vertice alla porta sud della città consolidata, mentre gli altri due erano protesi verso ciò che allora doveva apparire come una terra di frontiera, un orizzonte, oltre il quale c’era l’ignoto, ma, come spesso succede, anche il futuro. Un triangolo, un “triangolo di terra”. Una forma geometrica perfetta, quasi la metafora di un’idea, di un pensiero di progresso. Il piano “Sturzo” prevedeva una mescolanza di funzioni e di attività diverse: villini, abitazioni, opifici, magazzini, servizi, organizzati attraverso un sistema di tre assi viari rettilinei, che delimitavano l’intera area del piano rafforzandone la forma triangolare.

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Le nuove strade diventavano anche l’occasione per estendere quel rapporto speciale con il paesaggio, prevedendo vedute e punti panoramici lungo i due versati su cui si affacciava la città: quello di levante verso l’Etna, e quello di ponente verso la piana e il mare di Gela. Ma c’è un altro fatto importante che non va dimenticato, e che per le cose di cui oggi ci stiamo occupando c’interessa da vicino: il piano “Sturzo”, infatti, definiva e dava dignità urbana al collegamento tra la città consolidata e la nascente stazione ferroviaria Valsavoia-Catania-Piazza Armerina, inaugurata nel 1892. Quello di “Sturzo” è stato un vero e proprio progetto urbano che ha segnato in maniera forte i modi d’essere e i processi di crescita dell’intera città; un progetto che ha determinato la stessa forma urbana della città per come oggi la vediamo. Un progetto che ha dato a quest’area il ruolo di cerniera della città, di polo centrale per la successiva espansione regolata dai futuri piani. Insomma un progetto che ha gettato il seme della nuova Caltagirone. Richiamare il piano “Sturzo” è un fatto importante, non solo per la sua vicenda storica, ma per gli aspetti di modernità e di attualità che ancora oggi presenta. In fondo se ci si pensa bene quando “Sturzo” decide di spostare verso il basso il baricentro della città utilizza gli stessi meccanismi e gli stessi materiali urbani che adesso utilizziamo nel progettare nuovi pezzi di città: la ripolarizzazione degli spazi la previsione e la valorizzazione di strade importanti che attraversino e colleghino parti significative della città; la previsione di funzioni e di servizi eccellenti, diversificati e mescolati tra loro; l’attenzione per le eccelse condizioni ambientali del luogo.

Il Programma di Fabbricazione Degli anni tra il ’70 e ’80 è il Programma di Fabbricazione (PdF), approvato con il Decreto Assessoriale Regionale n. 126 del 30.09.1974, redatto dall’Architetto palermitano Marcello Terrasi, rimasto privo di effettiva esecutività perché orfano dei necessari e propedeutici adempimenti. In precedenza dopo l’emanazione della legge Mancini, la n. 765 del 06.08.1967, che aveva innovato il regime edilizio ed urbanistico, l’edificazione era invece regolata dalla delimitazione di cui alla legge n. 865/71 (deliberazione della G.M. n. 959 del 19.09.1972 e del

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Consiglio Comunale n. 15 del 05.03.1974), che delimitava il centro urbano dalle aree esterne agricole. Per superare i limiti e le rigidità del PdF e per aderire all’invito della Regione con le deliberazioni del consiglio comunale n 87 del 23.03.1979, n. 99 del 11.07.1980 e n. 107 del 09.05.1981, vengono adottati il Piano regolatore generale (Prg) e le prescrizioni esecutive, sempre affidati all’Architetto Terrasi. Piano che la Regione restituisce con il parere contenuto nel voto n. 348 del 30.11.1982 del Consiglio Regionale dell’Urbanistica (C.R.U.), invitando il comune alla rielaborazione totale, ai sensi dell’art. 4 della legge regionale n. 71/1978. Il Piano Regolatore Generale del 1984 Con la richiesta della Regione nasce l’incarico al nostro Ufficio Tecnico per la rielaborazione totale del Piano “Terrasi”, di fatto un nuovo piano, che ha dato luogo al Prg del 1984, redatto il 19 luglio 1983, adottato dal Consiglio Comunale sempre nel 1983 e approvato dalla Regione con il D.A. n. 134 del 05.05.1984. Di questo piano si è già accennato nelle premesse. Qui si segnalano solo alcuni dati relativi alle previsioni sull’aumento della popolazione e delle abitazioni, utili per i successivi ragionamenti sulle dinamiche insediative di questo nuovo piano.

Il dimensionamento e le previsioni del Prg del 1984

A) Popolazione residente al 1979: abitanti 37.000 B) Incremento Demografico all’anno 2000: abitanti

10.500 (500 ab./anno) C) Tasso semplice di incremento annuo: 500/37.000 x

100 = 1,351% D) Tasso semplice di incremento ventennale: 13,51%

x 20 = 27% E) Popolazione prevista per il 2000: abitanti 47.500 F) Distribuzione della popolazione nel territorio

comunale anno 1979 Centro Storico…………………….abitanti 20.000 Zona “B……………………………abitanti 12.000 Zona Agricola e Case Sparse…..abitanti 4.250 Frazioni……………………………abitanti 750 Totale…………………………….abitanti 37.000

G) Calcolo del fabbisogno abitativo teorico all’anno 2000 Incremento demografico di previsione vani 10.500 Ridistribuzione interna della popolazione vani 6.000

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Totale vani 16.500

H) Distribuzione dei nuovi vani previsti nelle diverse zone Zona “B”……………………………….vani 1.500 Zona “C”……………………………….vani 8.710 Zona “C1”……………………………..vani 530 Zona P.E.E.P…………………………vani 5.490 Zona “C2”……………........................vani 200 Frazioni………………........................vani 550 Totale nuovi vani……………………vani 16.980

I) Futura distribuzione teorica della popolazione nel territorio comunale all’anno 2000 Zona “A” (Centro Storico)………..abitanti 15.000 Zona “B”……………………………abitanti 15.500 Zona “C”…………………………...abitanti 8.710 Zona P.E.E.P……………………...abitanti 5.490 Zona “C1”………………………….abitanti 530 Zona “C2”………………………….abitanti 200 Zona “E” agricola e case sparse…abitanti 1.220 Frazioni – Abitanti 1.300

Totale……………………………..abitanti 47.950 Previsioni che, come spesso è successo nel fare urbanistica, la realtà delle cose ha disatteso anche per il Prg di Caltagirone del 1984. La crescita di oltre 10 mila abitanti in 20 anni non c’è stata, e alla fine del ventennio di previsione (1980/2000) la popolazione è rimasta pressoché stabile, con un lieve incremento di poco più di 1000 abitanti. Il previsto tasso semplice di incremento annuo del 1,35%, che presupponeva una crescita sostenuta che però non c’è stata, si è invece attestato a poco più dello 0,20%. L’aspettativa della città sulla base di quella previsione, e anche della successiva col Prg del 2004, era sia la conquista della dimensione provinciale, con l’istituzione della Provincia Regionale del Calatino, sia divenire sede di università, della facoltà di architettura e di altre discipline. Ma come sappiamo così non è stato: Caltagirone non è divenuta provincia e la facoltà di architettura è stata assegnata a Siracusa. Quelle previsioni hanno invece comportato l’occupazione di vaste aree ai fini edilizi, con la conseguente estensione del limite urbano della città, che ha richiesto robusti interventi e costi di urbanizzazione, non sempre sostenibili per la comunità. I Piani di Recupero del Centro Storico e il Piano Quadro del Centro Storico Con il piano del 1984 si rimediò a una corretta individuazione e perimetrazione del centro storico,

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riconoscendo il valore della sua unitarietà. Inoltre così come previsto dalla legge urbanistica siciliana furono individuate tre ampie aree da recuperare ai fini urbanistici ed edilizi con appositi piani di recupero. Tant’è che poi con l’incarico all’Architetto Cesare Ajroldi e al suo gruppo dell’Università di Palermo tali piani di recupero furono redatti ed approvati ai sensi della L.457/78 e della L.R.86/81, con il decreto assessoriale regionale n.205 del 22/4/86; piani recepiti e fatti propri dal Prg del 2004. Le zone individuate come da recuperare e interessate dai piani di recupero, scelte tra quelle in cui più forte era il degrado e l’esodo di popolazione sono state: 1) S.Giorgio (tra via Regina Elena, via dei Greci, via Moschitta, via Botteghelle, largo Pianiolo, via Palmiciano, via Di Bernardo); 2) Madonna del Ponte (tra via Cappuccini, via Cavallitti, via S.Luigi, Circonvallazione di Levante, via Conceria, via Galvano); 3) Madonna della Neve (tra via S.Pietro, via Acquanova 1ª, via Acquanova, via Scattiola, via Pollicino). Con i piani di recupero furono messe in campo un compendio di norme verbali e disegnate in apposite schede analitico-progettuali che dettano sia linee di carattere generale valide per tutte le unità edilizie, sulle modalità di intervento (sui prospetti, sulle coperture, le pavimentazioni stradali, sulle scalette di accesso alle unità edilizie, sul consolidamento statico, ecc…), sia precisi indirizzi su ogni singola unità edilizia o su gruppi di unità; norme tutte di grande rilevanza per il processo di recupero di queste aree urbane, che vanno tuttora prese in utile considerazione. La individuazione delle zone di recupero prima, e la redazione dei piani di recupero dopo ha reso possibile negli anni un cospicuo intervento di recupero da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Catania (Programma Costruttivo n.193/CT legge 67/88), che ha interessano alcune unità comprese nelle aree sopra richiamate, per un finanziamento di circa 26 miliardi delle vecchie lire, che ha consentito la sistemazione di circa 400 alloggi. A questi alloggi si sono poi aggiunti quelli recentemente recuperati ricadenti sempre in dette zone con un intervento diretto del Comune, con cofinanziamento dello Stato, della Regione e del Comune stesso (cosiddetto intervento ex Cer). Coevo ai Piani di Recupero è il Piano Quadro del Centro Storico, entrambi figli di quella fervida stagione di collaborazione con l’Università di Palermo e con

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importanti architetti che hanno rassegnato alla Città significativi progetti il cui valore va ben oltre il tema in se: il progetto di riuso della Galleria Coperta di Giuseppe Samonà, il progetto per trasformare in Teatro l’Ex cinema Politeama Ingrassia di Pasquale Culotta, il progetto di riuso dell’Ex Ospedale delle Donne di Paolo Marconi, il progetto di riuso dell’Ex Corte Capitanale di Giuseppe Pagnano, il progetto di recupero dei Fontanoni dell’Acqua Nuova di Giuliano Leone, per citare alcuni. Il Piano Quadro, redatto dall’Architetto Giuliano Leone nel 1984 pur non essendo uno strumento che abbia valore normativo di legge sotto il profilo urbanistico (non è un piano particolareggiato, né un piano di recupero), ha comunque rappresentato e rappresenta un compendio di regole-guida per una maggiore attenzione e tutela del centro storico, utile per chiunque voglia intervenire. Regole che poi il Piano regolatore del 2004 ha recepito per ciò che era possibile. Il Piano Regolatore Generale del 2004 Il Prg del 2004 nasce nel 1989 quando un gruppo di professionisti palermitani, coordinati dal Prof. Leonardo Urbani, viene incaricato della revisione del Prg del 1984. L’idea è quella di apportare alcuni aggiustamenti al precedente piano, migliorandone e puntualizzandone alcuni temi progettuali. In un momento in cui per la città non è ancora svanita la prospettiva di diventare Provincia Regionale. Si è già detto che il piano “Urbani” ha una lunga gestazione, dovuta non solo alle procedure introdotte dalla nuova legge urbanistica n. 15 del 1991, ma principalmente al radicale cambio amministrativo e politico che la città ha con le elezioni del 1993 che, com’è noto, per la prima volta comportano l’elezione diretta del sindaco. Il piano nella sua veste definitiva viene adottato dal consiglio comunale nel maggio del 2000, con la deliberazione n. 55, e viene approvato dalla Regione con il Decreto Dirigenziale n. 265 del 12.03.2004. Come si vedrà di seguito anche le previsioni di dimensionamento di questo piano risentono di un eccessivo “fervore”, smentito poi dalla realtà dei fatti. Infatti gli oltre 44 mila abitanti al 2015, previsti nell’arco temporale 1993/2015, certamente non ci saranno, se al 2011 la popolazione censita è stata di poco più di 38 mila abitanti (38.123), ed oggi quella anagraficamente residente è pressappoco la stessa. Il piano, invece, sta determinando un ulteriore spreco di territorio ai fini edilizi, spostando ancora in avanti

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verso la campagna il limite urbano, e ulteriori costi per le urbanizzazioni, a fronte di una stagnazione del settore che si protrae oramai da diversi anni.

Il dimensionamento e le previsioni del Prg del 2004

A) Popolazione residente al 1993: abitanti 37.450 B) Incremento Demografico all’anno 2015: abitanti

7.356 (334 ab./anno) C) Tasso semplice di incremento annuo: 334/37.450 x

100 = 0,89% D) Tasso semplice di incremento ventennale: 0,89% x

22 = 19,58% E) Popolazione prevista per il 2015: abitanti 44.806 F) Distribuzione della popolazione nel territorio

comunale anno 2015 Centro Storico…………………...abitanti 15.000 Zona “B”………………………….abitanti 22.455 Zona “C”………………………….abitanti 4.254 Prescrizioni Esecutive…………..abitanti 3.097 Totale…………………………….abitanti 44.806

G) Calcolo del fabbisogno abitativo teorico all’anno 2015 Incremento demografico di previsione vani 7.356 Ridistribuzione interna della popolazione vani 3.000 Totale vani 10.356

H) Distribuzione dei nuovi vani previsti nelle diverse zone Zona “C”………………………………vani 4.254 Prescrizioni Esecutive……………….vani 3.097 Altre Zone……………………………..vani 3.005 Totale nuovi vani…………………….vani 10.356

Il Piano dei Parcheggi Una menzione particolare, e qualche parola in più, merita il Piano dei parcheggi, previsto dall’allora legge regionale n. 22 del 1987, per l’importante ruolo che ha giocato nelle strategie di sviluppo urbano e di modernizzazione della città, e per la conseguente realizzazione di fondamentali equipaggiamenti, qual è il parcheggio scambiatore multipiano “Santo Stefano”. Il Piano dei parcheggi, approvato con la deliberazione del Consiglio Comunale del 3 febbraio 1988 n. 133, originariamente in variante al Prg del 1984, è stato poi successivamente aggiornato e riapprovato con la deliberazione n.66, del maggio 2000. Il Piano dei parcheggi conferma e sposta più avanti alcuni dei punti salienti della strategia urbanistica che in quegli anni la città si era data nel campo della

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mobilità e delle trasformazioni urbane: con il Prg del 1984, il Piano dei parcheggi, e con progetti urbani successivi, quali quelli per la sistemazione e la trasformazione degli ingressi alla città, da nord e da sud, per il sistema delle risalite meccaniche (scale mobili, ascensori,….), per la mobilità urbana, per gli interventi di riqualificazione urbana. Idee, progetti e piani che hanno trovato poi una ulteriore e più vasta cornice di programmazione urbanistica nel 1999 con il PRUSST e nel 2001 con Urban 2. Ma qual era l’idea forte del Piano dei parcheggi ? Era quella di distribuire i parcheggi, di diversa capacità e tipologia funzionale, lungo tutto l'arco del perimetro del centro storico, lungo i margini, localizzandoli così in aree esterne e meno dense, cosicché essi potessero assolvere anche alla funzione di "scambiatori" tra i diversi modi della mobilità, e potessero riceversi i diversi flussi veicolari provenienti sia dall'interno che dall'esterno della città. Gli obiettivi che così ci si prefiggeva, che oggi andrebbero riverificati, possono riassumersi così: - la massima agevolazione ai bisogni di sosta e d'accesso di quanti con il centro storico hanno relazioni, evitando però, nel frattempo, l'appesantimento e il congestionamento del traffico urbano attraverso un'accettabile pedonalità e un ragionevole trasporto pubblico; - la localizzazione in maniera diffusa dei parcheggi e dei sistemi di risalita meccanizzati, senza escludere così parti consistenti della città dai positivi effetti che tali "fuochi" potevano accendere nella struttura urbana, in termini di rivitalizzazione urbanistica, sociale ed economica; - Il perseguimento di migliori condizioni di vita per i residenti nel centro storico, e di migliori condizioni di fruizione turistica; - la pedonalizzazione, pur nel rispetto delle esigenze dei residenti e degli operatori economici, d’aree, strade e piazze, con il conseguente recupero ambientale di tanta parte della città storica (oggi degradata dall'eccessiva e talvolta asfissiante presenza di traffico privato e di auto in sosta). L'uso di diversi strumenti di selezione e contenimento del traffico individuale, la creazione di nuove strutture viarie, di sosta e di trasporto pubblico, la modificazione d’inveterate abitudini dei cittadini nell'uso del mezzo privato, dovevano costituire, ad un tempo, la premessa e la condizione necessaria per raggiungere l'obiettivo di una città che recuperasse un più elevato valore di qualità urbana e che riassumesse la funzione

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di luogo, quale contesto essenziale e reale del vivere sociale. Si diceva di come con il Piano dei parcheggi si è voluto affrontare uno dei temi centrali del fare città: il tema del limite e del margine, uno dei temi della città costruita, ma anche una delle condizioni emergenti nella città contemporanea. Che per Caltagirone vuole dire il rapporto con il paesaggio e con le strade di circonvallazione lungo i bordi del costruito: l'architettura del limite come tema per un progetto di trasformazione. Ed è sul filo di tale ragionamento che la realizzazione del parcheggio “Santo Stefano” finanziato dalla Regione da lì a poco, divenne l’occasione non solo per dare una risposta ad una domanda funzionale specifica, ma anche una formidabile e, tutto sommato, rara occasione per ripensare un pezzo di città, affinché la città stessa potesse continuare e riaffermare meglio il proprio ruolo vitale. Con il piano dei parcheggi, in effetti, oltre a dare risposte alla necessità di dotare la città di capienti aree e spazi di sosta, che liberassero il centro storico dalle macchine e riducessero al minimo gli spostamenti a piedi, si è colta l’occasione per ripensare e riprogettare i bordi del tessuto urbano storico; e ciò non solo, e non tanto, perché questi bordi fossero privi di significato e ancora non definiti, ma per renderli più accessibili dall'esterno e metterli ancor più in comunicazione con i luoghi più interni, introducendo modi d'uso e funzioni nuove e diverse. In tale contesto dal punto di vista del progetto di trasformazione, centrale è il ruolo che ha e deve continuare ad avere il rapporto con il paesaggio, da sempre affidato a mirabili scenari e punti panoramici. Una marcata altimetria segna e connota, infatti, la scena urbana della città e il territorio vasto degli Erei in cui essa è insediata; territorio nel qual è al centro e in posizione dominante e arroccata, a "cavaliere" tra la piana di Gela e di Catania. Si tratta, insomma, ancora oggi di intervenire progettualmente nei luoghi dove, per la compresenza di paesaggi significativi e di particolari corrispondenze tra le varie componenti della struttura fisica e le loro vicende storico-culturali, vi è un valore in qualche modo memorabile, che va svelato con nuovi sistemi organizzativi e nuove forme dello spazio. Ad un osservatore attento non sfuggirà che questo territorio ha un rapporto intenso e di profonda compenetrazione ed armonia con la città di Caltagirone, e che le quinte naturali che circondano in ogni direzione il centro storico non sono solo, di per se

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stesse, memorabili eventi scenografici, ma le tracce che concorrono a svelare il codice genetico di questo paesaggio naturale e costruito. Ne’potrebbe sfuggirgli l'orgoglio e la passione civica, tollerante e delicata, dei cittadini di Caltagirone, capaci istintivamente di riconoscere la bellezza dell'ambiente, l'armonia delle configurazioni urbane e naturali e la loro arcana corrispondenza, ed anche la grande qualità architettonica che la città e il territorio hanno continuato ad esprimere per secoli, quasi senza sosta. Dunque, non bastano la magica atmosfera nel rapporto tra paesaggio rurale e città storica, e la consapevolezza di appartenere a un luogo di particolare qualità per essere certi che esso si preserverà nel tempo, se insieme a questo valore non si è capaci di mettere in campo processi e progetti di trasformazione e, a volte, di ricostruzione. Ed è attorno a queste considerazioni, dicevamo, che a partire dai primi anni del 1980 è stata messa a punto un'ambiziosa strategia urbanistica che puntava a dotare la città di infrastrutture importanti e aperte al territorio e di trasformare parti significative della città a partire dalle aree di margine. L’Ufficio ha avuto la fortuna e il privilegio di partecipare a quel processo e sappiamo quanto consenso, interesse, passione, speranza e capacità di immaginazione abbia suscitato nella città. Molti di quegli interventi sono stati attuati, ma molto rimane ancora da fare se si vuole raggiungere l'obiettivo finale, che è quello di traghettare la città in questo nuovo millennio e in Europa, rendendola moderna e in grado di liberare le energie potenziali che già esistono ma non sono riconosciute, e di predisporre i "luoghi" dove questi eventi futuri potrebbero collocarsi e svilupparsi in modo armonico. Ambiziosi e molteplici erano dunque gli obiettivi di questo complesso programma, che se per un verso procede faticosamente e lentamente, dall'altro può ben contare su importanti traguardi raggiunti e sulla realizzazione di opere significative che lasciano ben sperare. Le Varianti per gli ingressi della città e il Piano “Gregotti” Sul finire degli anni ’90, nel mentre il nuovo Prg del 2004 stentava ancora ad essere approvato, una ulteriore e fondamentale tappa sul cammino di quella strategia urbanistica qui accennata è stata quella della variante urbanistica per gli ingressi della città, da nord e da sud. Nel 1998 prendendo spunto dall’esigenza che aveva l’Amministrazione di dare una

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sede definitiva e funzionale al mercato del sabato e di costruire nuovi locali decentrati per gli uffici comunali, studiammo una variante urbanistica più estesa, strategica, su un’area di oltre 15 ettari a sud della città ai lati del vecchio scalo ferroviario, attaccata ad uno dei vertici del triangolo del Piano “Sturzo”. Una variante che poi il consiglio comunale ha recepito e che è stata inserita nel nuovo piano regolatore allora ancora solamente adottato. L’importanza del ruolo strategico e strutturale di quest’area era diventata ancor più rilevante e attuale negli anni ’70 con la dismissione della vecchia ferrovia e l’apertura della linea per Gela, e con il conseguente spostamento della stazione e la soppressione del tracciato per Piazza Armerina. Ed è proprio su questo tracciato che negli anni ottanta s’innesta un pezzo del nuovo e importante sistema delle circonvallazioni. Con lo spostamento della ferrovia si libera e si scongela un insieme di aree che formavano un cuneo d’ingresso alla città in un suo punto interessante e mediano. Aree che però non erano mai state indagate e progettate per dar loro una forma e una funzione adeguate; ma che per fortuna fino ad allora, e anche oggi, sono rimaste inedificate com’erano. Neppure i due piani regolatori che la città ha avuto, quello del 1984 e quello adottato nel 2000 avevano previsto alcunché di significativo, congelando di fatto tutto e rinviando a successivi approfondimenti (anzi con quello del 1984 era stata prevista una zona artigianale per fortuna mai decollata). Solo il piano urbano dei parcheggi del 1987 aveva individuato in quest’area una grande attrezzatura pubblica di livello strategico: un parcheggio interrato scambiatore, (un posto dove si lascia l’automobile e si prosegue con mezzi pubblici). C’era dunque la necessità e l’urgenza di dare a queste aree un progetto di architettura urbana. Ma è’ chiaro che ciò di cui avevamo bisogno non era un piano qualsiasi, ma un buon progetto guida che partendo dal piano “Sturzo” fosse capace di dare nuove risposte alle esigenze della città, raccogliendo e rilanciando i temi, i ragionamenti, e i progetti urbani attorno ai quali in quegli anni si stava lavorando: le questioni della città antica e del suo recupero e riuso; il sistema della mobilità, dei parcheggi tangenti, posti lungo il perimetro della città; le risalite meccaniche, le scale mobili e gli ascensori urbani; il sistema delle porte d’ingresso alla città; la questione dell’ambiente naturale, del turismo accogliente, degli equipaggiamenti e degli interventi strutturali e dei grandi servizi. Occorreva dunque un progetto di grande tensione e qualità che affrontasse uno dei

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temi nuovi con il quale ancora oggi tutti dobbiamo inevitabilmente confrontarci: il tema della città contemporanea. Un tema che richiede una nuova idea di spazio in grado di riprogettare il suolo delle nostre città anonime; una nuova spazialità che ovviamente non può più essere quella che ha sostenuto fin qui la costruzione della città storica compatta. La variante infatti si basava su tre principi, confermati puntualmente dallo studio Gregotti che ha poi redatto il Piano particolareggiato: 1. fare di quest’area una vera e propria “porta” urbana d’ingresso da sud alla città, con modificazioni dell’assetto viario e del disegno del suolo anche profonde, ma rispettandone però i suoi codici genetici originari; una volta da qui si entrava in treno nella città, mentre adesso da qui si continua ad entrare, ma è cambiato il mezzo, che è più dinamico, l’automobile; 2. fare di quest’area una occasione per una ripolarizzazione delle funzioni, delle relazioni e degli spazi dell’intera struttura urbana della città; un’occasione cioè per ripensare alle relazioni intercorrenti tra le diverse parti della città; l’area infatti come dicevamo è in una posizione mediana tra la città antica e quella contemporanea (è a poche centinaia di metri dal centro storico e nel contempo è incastonata in un’ansa della città nuova); 3. fare di quest’area un polo di servizi eccellenti, diversificati ed intersecati, e aperti al territorio, con una mescolanza di attività pubbliche e private che funzionino per l’intero arco della giornata, costruendo edifici che esprimano un linguaggio architettonico contemporaneo: uffici comunali e altri uffici pubblici (allora si pensava al catasto, al genio civile, al palazzo per la provincia del calatino), il mercato del sabato, i parcheggi interrati, il parco, le piazze, l’auditorium, le attività commerciali, il centro comunale di protezione civile, un albergo che avrebbe realizzato un privato, ecc. Tutto ciò in un’area in cui vi era già la presenza della nuova stazione ferroviaria, della stazione delle corriere, e di importanti servizi e strutture private. Prendendo a prestito una felice definizione della legge urbanistica della regione ligure chiamammo quest’area distretto di trasformazione. Perché questo era ciò che si voleva fare, trasformarla, con un progetto di architettura urbana, per destinarla a nuovi usi, nuove funzioni, con nuove configurazioni spaziali. Un’operazione complessa e delicata che richiedeva una visione e un’esperienza dei problemi urbani e della città più variegata e, perché non dirlo, più internazionale di quella che poteva esserci nella

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nostra realtà. Da qui la strada per arrivare allo studio Gregotti Associati di Milano che di queste aree ne ha redatto il Piano particolareggiato, consegnato nel 2002, fu breve. Perché se queste operazioni non si fanno bene, se non si capiscono bene i segni, i codici genetici di un’area, la sua memoria, e non si è capaci poi di trasformarli in progetto coerente, prima o tardi s’innescheranno fenomeni di rigetto, un po’ come succede per gli individui. Anche il piano dello Studio Gregotti agisce su un limite della città, su un’area di margine, anzi su un’area divenuta marginale e residuale dopo la dismissione dello scalo ferroviario. Anche questo piano, infatti, ha la strada di circonvallazione tra i materiali fondamentali del progetto. I Programmi integrati e negoziati Infine, per completare il quadro delle vicende urbanistiche che hanno interessato nel recente passato Caltagirone, occorre richiamare alla memoria la “stagione” dei programmi di riqualificazione e sviluppo urbano e territoriale fondati sul principio dell’urbanistica negoziata con i privati, promossi e finanziati dal ministero e dalla regione, sulla base di criteri di premialità, che anche qui da noi hanno avuto tanta applicazione; interventi che molto spesso come viene riconosciuto da più voci hanno svuotato e stravolto i piani regolatori. Diversi sono stati, infatti, i programmi di riqualificazione, attuati anche con il contributo dei privati, che hanno interessato la città e il territorio. Tra questi occorre ricordare il Programma di Recupero Urbano (PRU), della fine degli anni ’90, che ha interessato, com’è noto, i due ambiti urbani di Fisicara-Viale Europa e del Quartiere Semini, finalizzato a trasformare tessuti urbani consolidati e degradati, anche a causa della notevole presenza di edilizia residenziale pubblica, per favorire una più equilibrata distribuzione dei servizi e delle infrastrutture e migliorare la qualità ambientale e architettonica dello spazio urbano, eliminando condizioni di abbandono e di degrado edilizio, ambientale e sociale. Il PRU è stato attuato grazie ad un forte finanziamento pubblico, proveniente dai fondi ex Gescal, e a risorse finanziarie provenienti da soggetti privati ai quali sono stati offerti in cambio vantaggi urbanistici. I successivi programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio (PRUSST), promossi anch’essi dal Ministero dei lavori pubblici, hanno interessato invece un ambito più vasto, con l'obiettivo di realizzare, all'interno di quadri programmatici

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organici, interventi orientati all’ampliamento e alla riqualificazione delle infrastrutture, all'ampliamento e alla riqualificazione del tessuto economico-produttivo-occupazionale della città, e al recupero e alla riqualificazione dell'ambiente, dei tessuti urbani e sociali. E poi a seguire gli altri programmi, dei quali si segnalano i più importati, anch’essi finalizzati al recupero, alla riqualificazione e a promuovere lo sviluppo del territorio, per mezzo dei quali sono state realizzate diverse opere e infrastrutture pubbliche e che hanno comportato alcune varianti urbanistiche: - i PIT (Progetti Integrati Territoriali), costituiti da un complesso di azioni intersettoriali, collegate tra di loro e finalizzati ad un comune obiettivo di sviluppo del territorio; - Urban 2, un programma di “rigenerazione urbana” promosso dall’Unione Europea che ha finanziato interventi volti a rilanciare lo sviluppo e a migliorare la qualità della vita e dell’ambiente urbano; - Leader II, promosso dalla Commissione Europea per lo sviluppo endogeno, integrato e sostenibile delle aree rurali. Su questi programmi occorre dire che essi molto spesso sono stati solo strumento per ripartire risorse finanziarie in un territorio e non “veicoli” di vero sviluppo, mancando in quei territori vere e proprie strategie di sviluppo, soppesate e condivise. Così come la presenza del privato è servita spesso solo a sostenere, e a documentare, una richiesta di finanziamento (faceva più punteggio), perdendo così l’occasione di un reale e concreto coinvolgimento, fin dall’inizio dell’universo imprenditoriale (i soli che sanno fare e fanno impresa), ai programmi e alle scelte di sviluppo di quei territori. Per quanto riguarda Caltagirone un’esperienza significativa e che ha dato buoni frutti è stata quella dei programmi di riqualificazione urbana (Pru); infatti, cosa sarebbe oggi l’area di Viale Europa senza la presenza delle strutture di terziario che negli anni sono state realizzate (negozi, uffici, locali di ristoro, shopping centers,…) ? Relativamente alle varianti urbanistiche già avviate in questi anni si fornisce un elenco in appendice, affinché il nuovo piano urbanistico le assuma tra i materiali del progetto urbano, recependo o meno quelle ancora in corso di approvazione da parte della Regione. Inoltre, il nuovo piano dovrà essere l’occasione per correggere gli errori materiali riscontrati dall’Ufficio nella cartografia del piano del 2004.

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Si deve infine segnalare quanto è stato fatto dalla precedente Amministrazione, in termini di adempimenti e di atti, prima all’odierno procedimento che riparte dalle Direttive Generali. La precedente Amministrazione, infatti, in previsione della scadenza dei vincoli quinquennali del Prg del 2004 (il 12 marzo del 2009) aveva già avviato l’iter formativo per la revisione del piano, affidando nel 2008 l’incarico all’Area V Tecnica del Comune (determina n. 953/08). L’Ufficio conseguentemente, sulla base delle Direttive Generali approvate dal Consiglio Comunale con la deliberazione del 20 luglio 2010 n. 61, aveva provveduto a redigere lo schema di massima del piano trasmettendolo al Consiglio Comunale con la proposta di deliberazione del 12 novembre 2011 n. 82; proposta che però non è arrivata in aula per l’approvazione del Consiglio Comunale perché ritirata dall’Amministrazione con la nota del 18 febbraio 2012 n. 8909. Relativamente alla procedura di acquisizione della Valutazione Ambientale Strategica (VAS), avviata dall ‘Ufficio nel novembre del 2011, questa si è limitata al rapporto preliminare e pertanto, per come si dirà più avanti, non si è conclusa ai fini di un compiuto pronunciamento dell’organo consigliare sullo schema di massima. 2 . Il territorio e la città Si è sempre pensato che la sola ricchezza di Caltagirone fosse il centro storico, ma da qualche tempo ci si va persuadendo che l’altra grande ricchezza è il territorio. Perché se si vogliono svelare i caratteri di una città e i suoi processi di formazione non si può prescindere dal ripercorrere la sequenza delle trasformazioni avvenute in quel territorio. Tra territorio e città, infatti, a Caltagirone come dappertutto, esiste un rapporto di corrispondenza che è frutto di processi profondi, di tempi di consenso e tempi di conflitto, anni di strette interrelazioni e periodi di abbandono, comunicazioni intense e sorde incomunicabilità, che tuttavia ha generato sistemi organizzativi e forme dello spazio che si rispecchiano reciprocamente. E’ sorprendente la corrispondenza di qualità e di disegno, dunque di bellezza, che vi è anche a Caltagirone tra le trame del suo paesaggio naturale e quelle dei suoi insediamenti umani e la città. Superata l’urgenza di preservare l’integrità della città, partendo dal suo centro storico, com’è è stato fatto

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con il piano del 1984 e del 2004, occorre ora partire dall’altro polo della “corrispondenza”, rovesciando il cannocchiale e guardando la città dal territorio. Si tratta per Caltagirone di un procedimento apparentemente inedito, che partendo dal territorio può aprire la strada ad un nuovo modo di comprendere e di trasformare l’oggetto della pianificazione, superando le rigidità proprie di un certo modo di fare urbanistica ereditato dalla cultura dello “zoning” ancora tanto applicato, tra queste solo per dirne alcune: la rigidità delle destinazioni d’uso e delle tipologie edilizie a cui si assegna un ruolo demiurgico nella costruzione della città; la rigidità nel modo di stabilire la dotazione dei servizi, parametrata astrattamente, che è pesante e immanente, e molto spesso risulta non sostenibile per una comunità; la retorica che sottende la pratica della “protezione dell’ambiente naturale e della campagna”, perché il più delle volte viene perseguita solo con l’imposizione di vincoli tanto implacabili quanto friabili, invece di assumere l’ambiente naturale quale parte importante dei processi di trasformazione e affidargli ruoli attivi, e perciò progettarlo. Un’accurata lettura del territorio di Caltagirone svelerà ancor più di quanto si sa già la grande ricchezza di eventi e di stratificazioni che lo caratterizzano: i boschi, la vegetazione, i campi coltivati, i sistemi collinari, i poggi e i crinali, i valloni, i fossati e i canali, i calanchi, la trama dei sentieri e delle trazzere, i sistemi di grande valore architettonico, i mulini, le masserie, le chiese, le torri, le strutture agrituristiche sempre più numerose, etc. Ed è una strategia che parta dal paesaggio, e che progetti e riprogetti l’ambiente naturale, con la collaborazione di geologi, ecologi e storici, quello che il nuovo piano urbanistico deve proporsi, per combattere l’abbandono e il degrado delle nostre campagne e per promuovere la conoscenza, la cultura e lo sviluppo. 3. La progettazione dell’ambiente e la

riprogettazione della campagna Nell’affrontare il tema del paesaggio e della campagna il nuovo piano urbanistico dovrà confrontarsi con le direttrici del Piano paesistico e ambientale regionale, verificandone gli assunti generali così da poter cogliere le specificità di questo territorio; le informazioni più precise che ne scaturiranno potranno, ad un tempo, confermare o meno la portata e l’efficacia delle proposizioni regionali, e adeguare alla

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specificità del territorio di Caltagirone alcuni strumenti di tutela che già esistono. Con il piano del 2004 sono stati già introdotti alcuni strumenti applicati alla tutela ambientale che ora vanno ulteriormente ri-definiti in termini fisici e normativi, ruotandone, per alcuni, il senso. E’ così per i “poggi”, i “crinali” e le “balconate”, quali punti panoramici, per gli “scenari panoramici” e per il “parco”. Per i punti panoramici o sequenze di punti e quindi linee occorrerà ristabilire il senso storico della rotazione: luoghi dai quali non solo si vede, ma si è visti, pervenendo così ad una scena panoramica ancora più significativa di quanto lo è in se. Per gli scenari panoramici la rotazione è di allargarne il senso della percezione seguendo lo scorrere del tempo: scene che si sovrappongono o che si moltiplicano secondo un gioco analogico, o per memoria di come sono state descritte o rappresentate nel tempo da scrittori, pittori, incisori e artisti. Per le aree a parco, che il piano del 2004 ha previsto troppo estese, occorrerà superare la nozione restrittiva per la quale nulla in esse si può consentire se non natura. Viceversa queste aree a parco devono divenire un luogo sottoposto sì a regole e controlli speciali, ma dove non è vietata qualsiasi cosa ma è consentito quello che si considera appropriato e caratterizzante, attribuendogli così un ruolo attivo che lo rende partecipe del processo di sviluppo dell’intero territorio. La ricognizione delle aree a parco urbano già previste dovrà pertanto segnalare cosa va mantenuto e aggiunto, e cosa va tolto, sulla base di alcune valutazioni: la effettiva fruibilità; la capacità di definizione della struttura urbana, quella storica e la sua periferia, come una cintura verde, a garanzia della compenetrazione tra abitanti e natura e per attenuare i rischi del loro reciproco distacco, evitando che la città continui a crescere la dove non deve; la capacità di contribuire, con azioni progettuali, alle numerose “ricuciture” dei brani di tessuto di margine che non si sono mai saldati, degli spazi aperti che sono rimasti isolati e trascurati, della vecchia espansione con quella tumultuosa e più recente. Segnaliamo alcuni dei temi che il nuovo piano dovrà affrontare, ad altri si accennerà nel prosieguo di questa esposizione, altri ancora scaturiranno dal dibattito che ci auguriamo animerà la città. La valorizzazione della forte valenza paesaggistica delle pubbliche “balconate” che ad est si affacciano sull’Etna e sulla piana di Catania, e ad ovest sul mare di Gela.

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La creazione di un Parco territoriale naturalistico e paesaggistico lungo la Vallata del Signore, che da C.da Molona si estende fino al mare di Gela. La definizione di un “corridoio ecologico” quale spazio di territorio naturale e/o antropizzato, a partire dal vallone di Santa Caterina fino alla valle di Terrana, per costituire un unicum con il bosco di Santo Pietro. La pianificazione del territorio comunale extraurbano attraverso l’individuazione d’invarianti territoriali che dovranno costituire l’ossatura dello sviluppo sostenibile del territorio ed essere collegati mediante itinerari e percorsi tematici, che si estendano oltre la città, così da valorizzare non solo il patrimonio artistico della città, ma anche il patrimonio naturale, paesaggistico e archeologico del nostro territorio (i beni culturali, le aree boschive e fasce sottoposte alla normativa regionale ed al decreto Melandri, i manufatti prodotti dalla cultura agraria, le aree archeologiche, i vecchi mulini, i grandi invasi, il centro storico, ed altri fatti che si ritengono meritevoli di valorizzazione). La valorizzazione del parco archeologico di Monte San Mauro, con la contemporanea ripresa di nuove campagne di scavo.. La realizzazione di un parco urbano lineare lungo la Via Dante Alighieri. La regolamentazione del frazionamento fondiario delle aree in verde agricolo, stabilendo una superficie minima, in modo da evitare la ulteriore frammentazione del territorio principalmente nelle vicinanze del centro abitato, prevedendo pertanto il lotto minimo su cui potrà essere presentata la proposta edificatoria inserendo inoltre elementi per temperare quanto previsto dall’art. 22 della legge regionale 71/1978. La regolamentazione delle aree periurbane fortemente antropizzate che hanno perso le caratteristiche e i requisiti di ruralità con strumenti di recupero paesistico ambientale anche con i requisiti di cui alla legge regionale 37/1985. La salvaguardia degli aspetti paesaggistici ed ambientali attraverso la conservazione degli elementi caratterizzanti l’assetto ambientale legato alla tradizione delle colture e utilizzo di essenze e materiali tipici della zona (delle aree suburbane e agricole) con la conservazione delle tipologie edilizie presenti. La possibilità di consentire, nel rispetto dei criteri generali del piano e dello sviluppo sostenibile e dell’interesse pubblico, la realizzazione di attrezzature

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turistico ricettive anche in zona agricola, con particolare riferimento a strutture dal ridotto impatto ambientale (camping, agriturismo, villaggi, attrezzature sportive e di corredo, ecc.). La conferma o l’individuazione di almeno un’area per la realizzazione di discarica pubblica per inerti, un’area per lo stoccaggio di rifiuti speciali provenienti dalla raccolta e rottamazione di veicoli a motore e una o più aree per lo stoccaggio dei prodotti provenienti dalla raccolta di rifiuti differenziata (quest’ultima previsione coerentemente al nuovo modello che l’Ente intende darsi per il servizio di igiene urbana). La previsione di un’area per la costruzione di un canile comunale da affidare alle associazioni animaliste, per ridurre gli ingenti costi del servizio oggi affidato all’esterno a privati e per eliminare il randagismo che in determinati periodi dell’anno è ragguardevole. Il nuovo piano dovrà inoltre valutare il reinserimento delle aree limitrofe al centro abitato, stralciate per motivi geologici con il vigente piano regolatore, sempreché ci siano le condizioni fisiche di edificabilità e se il dimensionamento del nuovo piano lo consentirà; analogamente dovrà fare per le aree escluse dall’edificazioni per motivi archeologici, nel caso in cui la competente Soprintendenza ne riconosca la fattibilità e sempre nel rispetto del dimensionamento del piano (oggi nelle zone archeologiche non è di fatto possibile l’insediamento di attività produttive e agricole perché l’indice dello 0.01 mc/mq non è derogabile). 4. La popolazione Gli abitanti del territorio di Caltagirone raggiungevano quasi le 45.000 unità tra il 1951 e il 1961 e ora sono di appena 38.000. Ancora più forte è il calo di popolazione del centro storico che negli anni ha perso progressivamente e in maniera esponenziale abitanti. Un fenomeno, quest’ultimo, che sembrava rallentato e, ad un certo punto, in controtendenza, e che invece in questi ultimi anni ha ripreso intensità. La situazione demografica è dunque preoccupante anche perché i dati sulla popolazione comunale ci dicono che gli anziani prevalgono sempre più sui giovani e che la percentuale dei giovani che lasciano la città senza più tornarci per studiare o in cerca di lavoro dopo gli studi è altissimo. E spesso si tratta di giovani che mantegono la residenza a Caltagirone pur

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vivendo altrove, alterando il dato sulla effettiva popolazione che vive nel comune. Gli effetti di questo invecchiamento nella città si vedono sempre di più perché le strade e le piazze sono poco frequentate se non dalla popolazione adulta e nei fine settimana dai soli ragazzi delle medie e delle scuole superiori. E si vede soprattutto in campagna dove non c’è più gente per coltivare i campi e provvedere alla manutenzione degli artefatti e dei manufatti. La questione della popolazione si presenta dunque come un problema di soluzione difficile legata a diverse variabili. La popolazione diminuisce e invecchia per cause naturali, quindi bisognerebbe intervenire mettendo in campo alcune azioni di sviluppo che la facciano crescere e ringiovanire, altrimenti il deterioramento del territorio procederà e la popolazione diminuirà ancora. Caltagirone ha bisogno di aumentare i suoi abitanti ed è una cosa possibile perché oggi si può vivere, e si può investire, anche in posti molto lontani dalle grandi città. Occorre però che questi centri abbiano una buona capacità attrattiva e siano ben infrastrutturali, e occorre che si diano una concreta e condivisa strategia di sviluppo economico:una città ben ordinata e organizzata, e con uno sviluppo economico credibile, è anche capace di richiamare non solo forti investimenti finanziari, ma anche nuova popolazione, fermando l’esodo migratorio altrimenti prevedibile. Qual è allora la soglia demografica che ci deve proporre di raggiungere per Caltagirone? Molto dipenderà da come si affronterà il tema dello sviluppo economico e della riorganizzazione amministrativa dei territori, alla luce della nuova riforma che ha abolito le Provincie ed ha istituito i liberi consorzi tra Comuni, ma la soglia non potrà certamente essere quella del 47.000 abitanti previsti dal piano del 1984, né quella dei 44.000 abitanti previsti dal piano del 2004. Chi ha conoscenza delle cose di questa città e di questo territorio, per averla indagata o per averla amata vivendoci o osservandola con la giusta distanza, fissa questa soglia intorno ai 40.000 abitanti, ritenendola quella più prossima a ché la città con il suo equipaggiamento di servizi risponda meglio alle esigenze di chi la abita. Una stima che perciò ha una apparenza ragionevole e di buon senso; valutazioni più sofisticate, delle quali il nuovo piano dovrà comunque essere corredato, porteranno con buona provabilità allo stesso risultato. Il dato dei 40.000 abitanti è realistico anche alla luce del lieve incremento di circa 750 unità che ha subito la

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popolazione di Caltagirone tra i due ultimi censimenti (2001/2011), che proiettato nel ventennio di dimensionamento del nuovo piano (2013/2033) determina un tasso semplice di incremento annuo del 0,20%, e del 4% nel ventennio. Partendo pertanto dagli attuali 38.123 abitanti censiti nel 2011 (37.373 nel 2001), applicando tali tassi semplici d’incremento si arriverebbe ad una popolazione nel 2033 di circa 39.600 (+ 1.500). La stabilizzazione dei tanti extracomunitari presenti in città e la rinnovata, e auspicata, capacità attrattiva di Caltagirone nel territorio dovrebbero poi colmare la misura arrivando ad approssimare il dato dei 40 mila abitanti. E’ bene dire che il nuovo piano deve assumere i 40.000 abitanti non come un traguardo, ma piuttosto come una sfida: non tanto e non solo per il raggiungimento di quella quantità, ma per recuperare quello stato di qualità che quel numero evoca nell’immaginario di gran parte dei caltagironesi. Come si sa, le sfide possono vincersi o no, e nel dimensionamento della crescita urbana la storia ci dice che per lo più i piani hanno sempre fallito, perciò occorre tenersi cauti perché è pericoloso prevedere una crescita eccessiva in assenza d’indizi certi che la giustifichino. Altrimenti, e in assenza di contromisure, il rischio è che l’espansione proceda per frammenti sparsi che corrodono il paesaggio e accrescono ulteriormente gli sprechi di urbanizzazione, come sta già avvenendo a Caltagirone. Ma i rischi di una crescita squilibrata sono anche quelli di una certa confusione che genera estraniamento sociale, perdita dell’identità e offuscamento del senso della città, per tradizione molto chiaro a Caltagirone. 5. La residenza e i servizi Il piano del 1984 aveva accettato di favorire l’espansione della città per dare una risposta all’urgente bisogno di case che vi era, superando quei limiti fisici che quasi naturalmente la comunità si era data sul finire degli anni ’60, e affidando ad una sua auspicata e sollecita revisione (un nuovo Prg) una pianificazione più meditata. Il piano del 2004 non è stato però in grado di dare quelle risposte che ci si attendevano, per le ragioni già accennate. L’obbligo di dare risposte alla notevolissima richiesta di aree per l’edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata e agevolata convenzionata, da parte di cooperative e da parte dello Iacp, e le tante varianti urbanistiche conseguenti ai diversi programmi di

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riqualificazione urbana integrati e negoziati, hanno inoltre finito per scardinare del tutto il piano del 2004, svuotandolo di senso. In poco tempo la periferia ha cominciato a dilagare occupando quasi tutte le aree ancora libere, assumendo i caratteri di una conurbazione non sempre ordinata e equipaggiata adeguatamente, insignificante architettonicamente, priva di qualità urbana e centri di attrazione. Ogni zona di questa conurbazione, anche quelle meno recenti, hanno oggi bisogno di essere riqualificate, con un insieme di interventi minuti per completarla, equipaggiarla e darvi significato. Le parti della città contemporanea, quasi sempre monofunzionali (solo residenza), devono costituire per il nuovo piano urbanistico un grande tema di riprogettazione, cosicché smettano di crescere in modo congestionato e costipato e comincino invece a crescere in modo organico ed integrato, con una mescolanza di funzioni e di servizi, costituendo insediamenti di dimensione misurata e compatibile con i caratteri del paesaggio. Non è la crescita urbana che necessariamente deve essere messa in discussione, perché potrà essere sempre incrementata con una variante quando ce ne sarà bisogno: occorre invece ragionare non tanto sul modello di espansione, ma soprattutto sul modello di sviluppo, puntando su una crescita diversa da quella che ha prodotto qui, a Caltagirone, come altrove, anonime periferie, e che sia anche capace di escogitare nuove configurazioni e tipologie edilizie diverse che diano risposta a domande finora inevase: la casa unifamiliare, gli alloggi per le giovani coppie, le residenze per coppie anziane, la casa con bottega e con laboratorio, gli ostelli per i giovani studenti e per i giovani viaggiatori, ecc. Si dev’essere consapevoli che seppur in presenza di una ridotta crescita demografica e di una sensibile crisi economica, andiamo verso un uso del suolo intenso: un suolo già urbanizzato, che presenta dunque condizioni economiche favorevoli per gli investimenti. Il nuovo piano deve pertanto mirare sia a portare a reddito quelle parti di territorio urbano adesso sottoutilizzate, sia alla rifunzionalizzazione di alcune parti della città, in termini di aree e di edifici. Le parti della città contemporanea devono costituire un grande tema di riprogettazione, cosicché si possa dare significato e senso ai tessuti urbani periferici privi di qualità. Oltre che nelle ricuciture delle aree periferiche di margine, in quelle da enucleare casomai perequativamente con la revisione delle aree per

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servizi pubblici obbligatori, la crescita urbana dovrà interessare anche le frazioni. Le Frazioni Le frazioni di Caltagirone com’è noto sono presidi territoriali con grandezza variabile, dai 100 abitanti di Santo Pietro ai 400 abitanti di Piano San Paolo e ai 500 abitanti di Granieri, dotati di alcuni servizi importanti: la chiesa, le scuole rurali, le delegazione municipali, le sedi di associazione, le forze dell’ordine, gli istituti assistenziali, i distaccamenti della Forestale, e di altri servizi in fase di realizzazione come il cimitero di Granieri. Nel passato le frazioni avevano una loro precisa identità che hanno rischiato di perdere col massiccio abbandono delle campagne e la migrazione verso la città. Più recentemente si è registrata invece una ripresa con un’inversione di tendenza, dovuta a diverse ragioni e tra queste una certa ripresa dell’agricoltura (per esempio la messa a dimora di pescheti nella frazione di Piano San Paolo), e la salubrità dell’ambiente in cui si trovano. Il nuovo piano deve registrare queste tendenze e sostenerle, prevedendo in ciascuna frazione quote di espansione residenziale commisurata alle loro possibilità di accoglierle senza dover cambiare la loro struttura morfologica e i loro rapporti con l’ambiente circostante. Sia per la frazione di Piano San Paolo che per quella di Granieri esistono già un insieme di studi, di progetti urbani e di suggerimenti contenuti nei due piani particolareggiati adottati dal Consiglio Comunale e rimasti inapprovati dalla Regione, redatti dall’Ufficio rispettivamente nel 2007 e nel 2005, che il nuovo piano dovrà assumere con i necessari aggiornamenti. E’ bene ricordare che i due piani particolareggiati sono stati sviluppati attraverso un processo partecipativo che ha consentito la condivisone di gran parte delle scelte fatte. E’ emerso che popolazione ha rivendicato per il proprio territorio un ruolo autonomo e una maggiore visibilità rispetto all’insieme del territorio vasto di Caltagirone; un ruolo che trae origine dall’essere comunità storicamente coese, omogenee, e con una precisa identità sociale ed economica. Tra i momenti più significativi del processo partecipativo avviato con la popolazione di Granieri, ma lo stesso è stato anche per Piano San Paolo, un particolare rilievo ha avuto l’indagine svolta mediate il questionario distribuito a tutte le famiglie. Il questionario è stato consegnato personalmente, famiglia per famiglia, nelle proprie abitazioni, alle quali

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sono stati illustrati i contenuti e le finalità del questionario; le risposte e le riflessioni sugli interrogativi posti sono state raccolte nello stesso momento, sotto forma di interviste. Si è potuto così avviare un utile confronto diretto, che è poi continuato in forma più allargata con le assemblee pubbliche, dibattendo sugli esiti del questionario, che tanta eco ha avuto in quelle comunità. Si è registrata una partecipazione convinta ed estesa, che in tanti casi si è trasformata in un’occasione per raccogliere storie di vita vissuta. Un cenno a parte bisogna farlo per la frazione di Santo Pietro, minuscolo borgo posto su un grande altopiano sabbioso solcato da valloni che assieme al territorio circostante costituisce la Riserva Naturale Orientata Bosco di Santo Pietro. La riserva, che è adagiata su un'area caratterizzata da vaste pianure, altipiani, colline, vallate e torrenti, è stata istituita nel 1999 e ricopre una superficie di 6559,38 ettari che ricadono prevalentemente nel comune di Caltagirone e per una piccola parte in quello di Mazzarone ed è la seconda per estensione in Sicilia dopo il bosco di Ficuzza nel palermitano. Il territorio della riserva, che gode di condizioni climatiche favorevoli per la vegetazione presente e per la vicinanza del mare, racchiude anche interessanti testimonianze antropiche legate all’agricoltura tradizionale, in cui particolare rilevanza assumono i mulini, come il Poli, il Ramione e degli Archi. Nell’area della riserva sorgono la Stazione Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia, il Museo della Macchia Mediterranea, il Centro di Recupero Testuggini, e un importante presidio sanitario e ospedaliero. Sono presenti anche testimonianze e nuclei storici di valore; le due chiese, di Santa Maria di Betlemme, di origine medioevale, e di Santa Maria dell'Idria, degli inizi del secolo scorso, e diverse masserie. L’auspicato sviluppo della frazione e del borgo, che ci si attendeva con l’istituzione della riserva, non c’è stato e l’intero territorio vive oggi una condizione di abbandono e di isolamento, accresciuto dalla recente dismissione del centro di riabilitazione motoria che occupava l’importate e bel padiglione ospedaliero che si trova a pochi passi dal borgo arrivando da sud. Per Santo Pietro il nuovo piano dovrà indagare a fondo le trame di questo territorio, svelandone criticità e potenzialità in un’ottica di sviluppo coerente e sostenibile, attraverso azioni di recupero e d’innovazione, per avere più aree per l’uso pubblico, rendendo compatibili i diversi interessi in gioco, e

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valutando anche la possibilità di prevedere edilizia residenziale e strutture ai fini turistici. Il piano urbanistico della metà degli anni ’80 del 1900 del compianto Prof. Dario Sanfilippo, che però suscitò alcune critiche, può essere un interessante “crocevia” per avviare un ragionamento sul borgo di Santo Pietro e sulla Riserva, da allargare necessariamente a tutti i soggetti che su questo territorio esercitano un ruolo e hanno un interesse pubblico, costituendo una cabina di regia. Il nuovo piano urbanistico dovrà prevedere le aree per l’edilizia residenziale pubblica (Erp), ex legge 167/62, ad integrazione di quelle già previste nel piano del 2004, sulla base del reale fabbisogno per il prossimo decennio, e prevedendole nella misura minima di legge. I servizi La revisione dell’impianto delle aree per i servizi pubblici previsto nel vecchio piano, siano essi di livello residenziale che di interesse cittadino ed oltre, dovrà dar luogo ad un piano dei servizi che risponda per ognuno di essi ad alcuni fondamentali requisiti: la sostenibilità economica e gestionale e la temporalità di realizzazione, segnalando dove e come l’intervento sussidiario del privato investitore può innestarsi; la qualità dell’offerta in se e delle sue configurazioni fisiche e spaziali; la capacità di essere parte di una strategia di riqualificazione e rigenerazione urbana che punti ad una mescolanza di cose e funzioni, piuttosto che separare e dividere, e a proteggere la città da crescite incontrollate. La verifica degli standards per i servizi pubblici di cui al D.M. 1444/68 deve essere orientata a prevedere aree e attrezzature che non servano solo a raggiungere le quantità minime di legge, ma siano distribuiti in aree idonee ed in maniera ottimale nel territorio urbano con particolare attenzione agli spazi di socializzazione di quartiere. Lo stesso processo itinerante e penetrante tra lettura della realtà e progetto delle trasformazioni utile per la residenza dovrà pertanto applicarsi a ciascuna delle attività che si svolgono nel territorio di Caltagirone. Perciò ogni manifestazione della vita individuale e associativa che richiede organizzazione e forma di spazio dovrà essere considerata sempre in relazione a tutte le altre, nella rete di azioni e retroazioni che le tiene insieme, le caratterizza e le rende significanti o meno. Il nuovo piano, infatti, dovrà confrontarsi, segnalando soluzioni, con il problema di come eliminare la

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settorializzazione tra i vari fatti fisici che compongono e costituiscono la città, che è figlia della cultura dello zoning che, come si è già detto, qui come altrove è uno dei limiti della società contemporanea. Per i servizi e le attrezzature più importanti e per i fatti urbani più salienti il nuovo piano dovrà fornire indicazioni progettuali per il ridisegno degli spazi aperti ed edificati, con soluzioni anche architettoniche (schede-progetto). Nell’ottica di una più generale economicità e ottimizzazione dell’uso delle risorse la riorganizzazione delle aree da destinare a servizi pubblici, in particolare delle attrezzature sportive, dovrà mirare ad impianti minimi, di base e di quartiere, prendendo in considerazione anche le attrezzature esistenti presso gli edifici scolastici, prevedendone il recupero, l’integrazione e l’uso aperto a tutti e, pertanto, considerandole e includendole tra quelle a standard. Per la città nuova si segnalano alcuni temi che il nuovo piano urbanistico dovrà assumere come materiali di progetto. Il piano particolareggiato “Gregotti” per l’ingresso sud della città. A nostro modo di vedere quello della Gregotti Associati è un piano importante per la città che merita di essere recepito dal nuovo piano urbanistico, con le eventuali variazioni e aggiornamenti. Come detto il piano agisce su uno di quei luoghi della città profondamente segnati dalla storia e dalla cultura urbana; un luogo discreto appunto, la cui trasformazione siamo certi estenderà i propri effetti a intorni sempre più ampi e generali, e tendenzialmente all’intera città e al territorio. Ci sono alcuni fatti che stanno interessando questa vasta area del triangolo “Sturzo” che meritano attenzione e che accrescano l’importanza del piano “Gregotti”: l’accresciuto ruolo direzionale e commerciale che il Prg del 2004 ha favorito in quest’area; la presenza dell’Ex cineteatro Metropol di cui si dirà appresso; la ferrovia che vive una crisi endemica e che se riconvertita potrebbe assumere invece anche la funzione di metropolitana leggera per collegare parti urbane della città, e diversi centri del calatino, come si dirà nel paragrafo relativo alla mobilità. Fatti che, evidentemente, oltre ad interessare Caltagirone interessano l’intero territorio del calatino. Ci sembra che queste siano ragioni sufficienti per poter affermare che in questo pezzo di città, in questo “triangolo di città” del piano “Sturzo”, risieda uno dei codici genetici originari della città stessa, certamente della città contemporanea. Ed è per questo che a

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nostro modo di vedere è da qui che anche oggi bisogna ripartire, come allora, agli inizi del ‘900, per ripensare la città, per attrezzarla ai nuovi compiti e per farla più bella, da quello che è uno dei luoghi speciali della città. Sapendo però che non è più di crescita e di espansione che la città ha bisogno, ma di trasformazione e di riorganizzazione di ciò che esiste. E’ bene ricordare che grazie al piano “Gregotti” è stato possibile realizzare con un finanziamento regionale l’area per la protezione civile che è anche un’area per manifestazioni fieristiche all’aperto, com’è già accaduto. Quest’importante infrastruttura è rimasta però priva di un suo fondamentale presidio, per altro già previsto nel piano, indispensabile per una sua piena funzionalità, sia per l’uso di protezione civile, sia per l’utilizzo ad area fieristica o per manifestazioni all’aperto, che quanto prima va realizzato: l’edificio di servizio che doveva sorgere ai piedi della collinetta del “Paradiso” e che doveva ospitare gli uffici del centro operativo comunale di protezione civile, i magazzini dove stoccare per l’emergenza i presidi di protezione civile, i bagni pubblici, la postazione dei vigili urbani e una caffetteria. Ma c’è un altro aspetto di questo piano sul quale da tempo come si è già accennato si sta lavorando e che ci interessa molto: il tema della condizione del limite e di margine di un luogo. Il limite come tema di architettura di volta in volta diverso a secondo dei modi di essere di quel limite e di quel margine, e come strumento di interpretazione per riconoscere e identificare un luogo. Un tema attuale nel dibattito sui processi di trasformazione della città antica e contemporanea. In fondo il limite e il margine non sono da sempre condizioni connaturate all’essere stesso della città? Certamente lo sono; fin da quando i confini e i margini di un luogo erano segnati solo da semplici solchi tracciati sulla terra, solchi che però avevano una loro sacralità; ai solchi si sono poi sostituite le mura e le porte della città costruita; le stesse mura dell’intervento neoclassico. Ed oggi qual è il limite e il margine della città contemporanea? Sono le strade di circonvallazione e gli spazi periferici senza forma, privi di segno e di valori iconografici. Per Caltagirone i suoi limiti e i suoi margini sono la natura orografica del suolo, sono il paesaggio che la cinge da ogni lato, sono le circonvallazioni che di queste condizioni naturali ne interpretano il senso. Circonvallazioni che infatti conservano ancora intatto il proprio ruolo, perché delimitano un’area rispetto ad un centro; perché, come dicevamo, rappresentano un

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elemento iconografico forte che segna e significa il limite. La strada che si è intrapresa è di lavorare su un programma urbanistico che nello stesso tempo tenda ad equipaggiare meglio la città di infrastrutture e di servizi aperti al territorio, e a trasformare parti significative della città, a partire, appunto, dalle aree di margine. Da qui sono nati il progetto per il grande parcheggio scambiatore sotto Santo Stefano, il sistema dei parcheggi e delle scale mobili, da quest’idea è nata l’esigenza stessa del piano “Gregotti” che, a suo modo, è un piano esemplare di come l’architettura del limite può diventare tema per un progetto di trasformazione urbana. Ci piace pensare, e ne siamo convinti, che il piano della Gregotti Associati s’innesti la dove il piano di “Sturzo” si è attestato, e che tra i loro protagonisti ci sia un simbolico, passaggio del testimone, verso un traguardo comune. Quello di una città i cui eventi spaziali mutano con il tempo e con gli uomini, ma al cui centro rimane sempre l’uomo e le relazioni tra gli uomini. Perché i buoni progetti e le buone architetture sono sempre capaci di mettere in relazione lo spazio con il tempo, il tempo degli individui, quello che scandisce la storia degli uomini e delle cose. Crediamo che questo è un piano che potrà segnare una tappa importante della storia della nostra città, e che verrà ricordato a lungo. Si tratta di opere, quelle realizzate e quelle da realizzare, non solo come risposta specifica ad un’esigenza, ma anche come una formidabile e rara occasione per ripensare un pezzo di città, insufflando nuova energia, perché la città stessa possa continuare e possa riaffermare meglio il suo ruolo vitale. L’Ex Cine Teatro “Metropol”. Per il “Metropol” d’intesa e in collaborazione con la Provincia si segnala un riuso a Centro per la Cultura. Un luogo dove ci s’incontra liberamente, dove ci siano libri e ci sia spazio anche per tante altre cose: laboratori destinati alla musica, al teatro, alla letteratura, sale per esposizioni, coffee shop, ecc. Un organismo vivo, al centro della città, tra la parte antica e nuova, che accenda un fuoco d’interesse culturale in tutta Caltagirone ed oltre. L’area del Poggio Fanales e dell’Ex autostazione degli autobus, in Via Benedetto Scillamà, oggi sede degli uffici della Condotta Agraria. In questa parte della città il Poggio Fanales, che è al centro del triangolo “Sturzo”, costituisce un formidabile punto panoramico da equipaggiare adeguatamente (anche con un intervento di un privato) per renderlo attrattivo;

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un luogo che oggi seppur vive uno stato di degrado e di abbandono è frequentato da tanti ragazzi. E con l’abbattimento dell’edificio che ospita la Condotta Agraria, ma anche quello che ospita l’Ufficio del lavoro (entrambi affaticati dal tempo), si libererebbe un’area per una bella piazza da dove poter accedere al Poggio tramite una risalita meccanica (un ascensore). Si verrebbe così a creare un ulteriore e interessante accesso al Poggio in prossimità della Via Secusio, a pochi passi dalla Via Principessa Maria, dall’Ex Caserma dei Carabinieri oggi sede di museo e dall’Ingresso sud della Villa comunale: ciò formerebbe un interessante sistema di aree pubbliche e di interesse pubblico. Nulla impedisce che il disegno della grande piazza così determinatasi possa comprendere anche un nuovo e moderno edificio che ospiti questi Uffici regionali, ma anche parcheggi interrati e lo stesso ascensore urbano. Lo Stadio comunale “Agesilao Greco” e la piazza antistante. L’area dello stadio e della piazza possono costituire un interessante contesto per un processo di rigenerazione urbana e riuso, e una interessante occasione per degli investimenti privati. Il nuovo piano urbanistico dovrà indagare a fondo queste condizioni e segnalare con appropriatezza destinazioni d’uso, regimi di utilizzo e configurazioni fisiche; valutando l’esigenza dello spostamento altrove dello stadio o viceversa il suo mantenimento inglobandolo in una nuova struttura, e indicando per la piazza antistante il disegno che migliori la circolazione delle auto e renda possibile la formazione di una grande superficie coltivabile per un giardino urbano. Le aree lungo il Viale dell’Autonomia, comprese tra la Via Gaspare La Rosa, Via Vittorio Emanuele Orlando e Via Mazzini. Si tratta di un insieme di aree che costituiscono un'unica “insula”, da sempre vincolate e destinate a servizi pubblici e, in assenza di interventi, rimaste così com’erano. Se da una verifica dovesse risultare che per questa zona lo stato dei servizi è sufficiente, anche con il minimo dello standard di legge, è di buon senso valutare una diversa destinazione per queste aree e farle partecipare alle dinamiche urbane di completamento della città; escludendo la residenza che oggi, come si è detto, non è nell’ordine delle cose che servono, andrebbero valutate quelle destinazioni d’uso finalizzate a migliorare l’offerta di servizi privati, ma di uso pubblico: un mercato rionale coperto, uffici, parcheggi e garage, locali per lo sport, di svago e di ristoro, ecc. La presenza di parcheggi e garage proprio sul retro del palazzo “Bellini” favorirebbe poi

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la possibilità di pedonalizzare e sistemare a giardino l’omonima piazza, perseguendo così l’idea di ridisegnare l’alveo del Viale Mario Milazzo per sottrarlo alle auto a favore di una accogliente pedonalità e di una sequenza di piazze-giardino. Un Piano per l’Infanzia. Al Sud come a Caltagirone la presenza degli asili nido è molto bassa perché coprono solo 3 bambini su 100. Il nuovo piano urbanistico dovrà farsi carico di un programma credibile, fisico, temporale e finanziario, per potenziare i servizi e le infrastrutture per l’infanzia, partendo dal potenziamento degli asili nido, anche con il coinvolgimento della finanza privata, in modo da ottenere maggiori posti di lavoro e più attenzione ai bambini che nascono in famiglie svantaggiate. La Biblioteca comunale. L’attuale sede è del tutto inadeguata per l’assenza degli spazi necessari per una biblioteca moderna e di livello cittadino ed oltre. Mancano gli spazi propri interni per il suo corretto funzionamento (depositi, magazzini, ecc), e mancano o sono inadeguati i servizi per l’utenza (sale di lettura, salette di consultazione tematiche, caffetteria, ecc). Il nuovo piano urbanistico deve pertanto interrogarsi e dare risposta a questa fondamentale attrezzatura che attesta della qualità civile e culturale di una comunità. L’Ex cineteatro Metropol di cui si è già detto potrebbe essere una soluzione, anche per l’arricchimento che ne deriverebbe per la mescolanza di tante altre attività culturali. Un’altra possibilità potrebbe venire dalla realizzazione del grande edificio-ponte (che scavalca la Via Cristoforo Colombo), previsto dal piano particolareggiato “Gregotti”, che offrirebbe buoni spazi, ottima collocazione nel contesto urbano, parcheggi, e la presenza a pochi passi dell’auditorium anch’esso previsto dal piano particolareggiato. Il Cimitero monumentale. Seppur l’attenzione verso il cimitero non interessi direttamente un piano urbanistico, l’occasione della sua formazione può però può contribuire a ribaltare l’amnesia che di cui oggi soffre la città verso questo bene, e segnalare quelle azioni che possano favorire la valorizzazione e la conoscenza dell’immenso patrimonio storico, artistico e architettonico che esso racchiude: con il recupero e l’affidamento delle cappelle storiche abbandonate; la realizzazione della chiesa del Paradiso a conclusione dell’impianto a Croce del Nicastro, tramite un concorso internazionale di progettazione; l’inserimento di questo bene negli itinerari turistico-culturali e non solo di quelli di Caltagirone, prevedendo anche adeguati servizi e attrezzature, e

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perché no una biblioteca tematica sui luoghi di sepoltura, ecc. 6. Le strutture economiche Come si sa il sistema economico è causa ed effetto delle attività. Bisogna allora osservare che a Caltagirone il sistema economico è diventato incerto e fragile perché poggia quasi esclusivamente sul pubblico impiego. Se il Comune e l’Ospedale sono stati i grandi datori di lavoro, che hanno consentito di superare senza scosse sia la crisi generata dall’abbandono della campagna, dall’emigrazione e dalla perdita di popolazione, sia le crisi finanziarie più recentemente, essi hanno però sottratto energie a tutte le competenti e raffinate attività intellettuali e manuali che distinguevano la società caltagironese. Il rifugio nella sicurezza dell’impiego pubblico, favorito da un accumulo di reddito aggiuntivo da parte del coniuge, hanno prodotto una perdita dello spirito imprenditoriale e del gusto dell’innovazione che potrebbe avere ancora più gravi conseguenze nel prossimo futuro se dall’esterno venissero decise manovre restrittive e decurtazioni degli organici pubblici, come sta avvenendo con l’attuale crisi economica e finanziaria. Il sistema economico di Caltagirone deve diventare uno dei temi centrali del nuovo piano urbanistico, senza sciupare occasioni per renderlo molteplice. Consapevoli però che gli eventi economici devono essere anticipati da quelli culturali. Un piano urbanistico non può certo riparare le strutture economiche, trasformare in plurifunzionale un’economia divenuta radicalmente monofunzionale, com’è accaduto a Caltagirone. Il nuovo piano urbanistico può però impegnarsi per svelare la precarietà di questa situazione, descrivendo gli squilibri spaziali che essa produce, delineare situazioni alternative capaci di liberare le energie potenziali che già esistono, predisporre i “luoghi” dove queste situazioni alternative possono collocarsi e svilupparsi in modo armonico. L’agricoltura. Nonostante la notevole estensione del territorio comunale, l’agricoltura a Caltagirone è diventata un’attività marginale, fatta salva qualche eccezione specie, come si diceva, nelle frazioni. Lo scarso interesse s’imputa spesso alla qualità non eccellente del suolo da non rendere conveniente il coltivarlo, anche se non esistono suoli irreparabilmente sterili.

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Diversi segnali fanno credere invece che il suolo di Caltagirone può essere particolarmente fertile per colture che gli siano proprie. In molti settori dell’agricoltura caltagironese operatori intraprendenti e acculturati potrebbero scavare redditizie nicchie di mercato: si pensi in quello delle erbe officinali, o delle colture arboree da legno pregiato o da sughero per l’edilizia, o delle produzioni agricole biologiche o biodinamiche, o degli impianti sericoli e di micorizzazione, ecc. Si tratta di colture che non invadono l’ambiente e risultano compatibili con le caratteristiche del territorio agrario di Caltagirone e con le aree a parco e le aree della riserva di Santo Pietro; contesti rurali che godono già del supporto di infrastrutture territoriali leggere e diffuse, da rendere ancora più efficienti recuperandole. Colture e attività che richiedono contributi di ricerca scientifica, di sperimentazione e d’informazione che potrebbero essere portati avanti da corsi universitari, ma anche le scuole superiori di specializzazione post maturità, così poco numerose in Italia, che con altri laboratori e centri di ricerca potrebbero dar vita ad un “Parco Scientifico” (il Politecnico del Mediterraneo), che il nuovo piano urbanistico dovrà allocare con intelligenza. L’industria. L’industria a Caltagirone è un fatto non rilevante e non endogeno. L’area di sviluppo industriale che sorge all’ingresso sud della città lungo la Catania-Gela vive non da ora una condizione di difficoltà, per la chiusura o la delocalizzazione altrove di diverse aziende. L’equipaggiamento e l’infrastrutturazione, se recuperati e resi più funzionali alle moderne esigenze, assieme alla posizione geografica dell’area, possono però offrire ancora buone opportunità. La riforma regionale delle ASI già avviata può accompagnare e sostenere questo processo. A patto però che l’attenzione si sposti verso lo sviluppo di unità produttive leggere ad alto valore aggiunto e orientate all’impiego di tecnologie avanzate. A queste attività produttive Caltagirone può offrire un ambiente fisico e culturale distensivo e stimolante, con opportunità residenziali non congestionate, e operatori che conservano nel loro codice genetico le attitudini dell’artigianato e cioè del lavorare intelligente e motivato. Queste attività richiedono indispensabili contributi di ricerca scientifica, tecnologica, di sperimentazione e di informazione, che potrebbero essere affidati alla vicina università di Catania con la

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realizzazione di quel “parco scientifico” di cui si diceva prima trattando dell’agricoltura. Le attività terziarie e il commercio. Negli ultimi anni, caduta la prospettiva della Provincia del Calatino, lo sviluppo delle attività terziarie ha avuto un rallentamento ed una perdita di senso. Il nuovo piano urbanistico, forte della recente e nuova prospettiva dei liberi Consorzi tra i Comuni, dovrà proporsi di sviluppare questo settore favorendo, ad un tempo, sia la formazione di reti capillari che innervino tutti i contesti e i tessuti urbani della città, sia accendendo alcuni importanti “fuochi” d’interesse in alcuni punti strategici della città e del territorio, con attenzione al settore della convegnistica, del quale Caltagirone può diventare uno degli snodi importanti sull’asse trainante di Catania-Taormina-Siracusa, offrendo opportunità e servizi adeguati con utili ritorni anche nel campo del turismo. Come dappertutto il commercio si è sviluppato rapidamente e, in alcuni contesti, caoticamente, adeguandosi ai nuovi modelli di consumo e privilegiando le grandi strutture. Questo ha prodotto cambiamenti nel costume e discontinuità nelle reti di distribuzione in termini di posizione urbana e territoriale. Ed ha prodotto modifiche nelle configurazioni fisiche e spaziali della città. Il nuovo piano urbanistico, in uno con il piano commerciale, dovrà leggere tali fatti e colmare le lacune, con la consapevolezza che il commercio si qualifica se si irrobustiscono le attività locali con le quali è correlato. Il piano dovrà pertanto tenere conto delle indicazioni contenute nella L.R. 22.12.99 n. 28 per quanto riguarda la disciplina del commercio individuando anche le aree da destinare a mercati su aree pubbliche di tipo giornaliero, periodico o fisso. Per le attività produttive esistenti il nuovo piano urbanistico dovrà accogliere, compatibilmente con l’assetto generale del territorio e con la tutela dell’interesse pubblico, le richiesta di varianti da parte dei titolari di attività produttive, se conducenti a potenziarle e ad incrementare l’occupazione di nuove unità. L’artigianato. Di artigiani che lavoravano e producevano con eguale impegno intellettuale e manuale alla fattura di un’opera, dal principio alla fine, a Caltagirone fino agli anni 60 ce ne erano molti. Poi l’artigianato ha cominciato a decadere essendo scesa rapidamente la richiesta delle sue prestazioni e in tanti hanno trovato

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sicurezza economica nel pubblico impiego o sono stati costretti a banalizzare i loro mestieri. Sono gli artigiani ceramisti è l’artigianato della ceramica che ancora resiste con le tante botteghe che costellano il centro storico; un comparto economico e culturale da sempre importante e fondamentale per Caltagirone che vive però una crisi di “asfissia” culturale e di mercato. Per ridare “ossigeno” alla ceramica caltagironese bisogna ricordarsi della “terapia” che Luigi Sturzo adotto agli inizi del novecento. Egli, infatti, di fronte alla perdita di significato e la progressiva marginalità dell'intero comparto, raggruppò gli ultimi epigoni (quei grandi maestri d’arte che altrimenti si sarebbero “estinti” senza lasciare eredi), e mise su la Scuola di Ceramica. Capì, insomma, che nessuno da solo, neanche Lui che era Sturzo, avrebbe potuto da solo dare una spinta propulsiva e che questa poteva venire solo dalla energia che poteva sprigionarsi dall'interazione fra i soggetti che a vario titolo potevano dare un contributo di idee, di azione. Proiettata a oggi, in un mondo globale dove tutti viviamo, la “terapia” non può che essere l’avvio di un processo di internazionalizzazione del settore, dove la tradizione non si esaurisca con una consuetudine figurativa da ripetere all’infinito, ma piuttosto sia capace, com’è sempre stato, di rigenerare quest’arte con competenza e cultura. Occorre dunque favorire una maggiore contaminazione e maggiori scambi culturali con altre realtà, e occorrono pertanto i luoghi fisici perché questi avvenimenti si realizzino, che il nuovo piano dovrà segnalare e individuare. Alcuni temi. Caltagirone capitale europea della cultura ceramica e della terrecotte. La festa della ceramica, da svolgersi contemporaneamente in più città, per valorizzare e promuovere attraverso scambi culturali la nostra produzione artistica e favorire la formazione (un campus internazionale) e nuovi sbocchi di mercato. Il rilancio della Biennale della Ceramica, anche gemellandosi con Faenza per alternarla di anno in anno tra le due città, dandogli magari una valenza internazionale, con particolare attenzione alla produzione dei paesi del mediterraneo. La nuova sede di Sant’Agostino del Museo Regionale della Ceramica in via di completamento, che richiede interventi di recupero e riqualificazione dell’intorno urbano, ma anche azioni più ampie per la riorganizzazione delle strutture museali per poli e percorsi d’interesse e per assicurare i collegamenti e l’accessibilità dall’esterno della città.

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L’artigianato a Caltagirone non è però solo quello ceramico. Qualcosa è rimasto, di fatto, e soprattutto in forma di una sopita attitudine collettiva che viene da lontano, sono mancate però le occasioni propizie perché torni a manifestarsi. Il nuovo piano urbanistico deve porvi rimedio perché né il piano del 1984, né quello del 2004 hanno dato risposte compiute all’esigenza che vi era di aree artigianali; le sole aree reperite sono risultate poco funzionali con processi di trasformazione complicati non condivisi con gli operatori e dagli esiti incerti. Il nuovo piano nelle scelte di localizzazione territoriale delle aree artigianali e commerciali dovrà definire i livelli d’interesse e di utilizzo tra queste e quelle disponibili nell’Ex ASI, affinché sia favorita una molteplicità di offerta aderente a ognuna delle reali esigenze di chi opera a Caltagirone. In proposito si è già osservato che il territorio di Caltagirone è adatto ad accogliere piccoli insediamenti di industria avanzata e di tecnologia leggera, attività che hanno bisogno di addetti che hanno caratteristiche simili in termini di competenze a quelle dell’artigianato. E lo stesso si può dire per alcuni tipi di produzione agricola fondati sulla ricerca e su colture speciali, e su alcuni ambiti del terziario se connessi ad attività produttive complesse e articolate. E’ un recupero dell’artigianato caltagironese, anche indiretto con una molteplicità di azioni, che il nuovo piano deve promuovere perche si creino le condizioni che lo possano resuscitare. Il turismo. Il turismo è una delle poche energie endogene sulle quali Caltagirone deve direttamente contare. Dagli anni ’60 il suo flusso è via via aumentato, senza mai divenire una realtà economica significativa e senza mutare il suo carattere, che è di essere incostante, stagionale e prevalentemente giornaliero e addirittura di poche ore. Caltagirone certamente non è Pompei o Siracusa e non ha il mare (quello di Gela però è visibile da più punti ad occhio nudo !). Caltagirone però è altrettanto famosa, e potrà esserlo ancora di più, per la rarissima testimonianza vivente della lunga storia millenaria del modo di fare città, e per la lunghissima e sempre viva tradizione del fare ceramiche. Caltagirone è anche geograficamente favorita per la sua posizione di crocevia dei maggiori flussi turistici dell’isola e per appartenere al Val di Noto patrimonio dell’Unesco. Gli sforzi che sono stati fatti in questi anni non sono stati sufficienti per allungare il flusso turistico, irrobustirlo e renderlo più stabile, forse perché è

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mancata la piena consapevolezza delle risorse che la città e il suo territorio hanno e la capacità di saperle rivendicare adeguatamente. La bellezza e l’eleganza trattenuta delle sue configurazioni spaziali, figlie di una natura aristocratica, insieme ai suoi capolavori artistici, architettonici e paesistici è quanto Caltagirone può offrire ad un turismo residenziale, colto e di piccolo gruppo: di chi visita i luoghi perché riconosce la qualità che hanno. Un turismo che sia creativo ed esperienziale, che solleciti emozioni, perché come amava dire Herry Miller la destinazione di un viaggio “non è mai una località, ma piuttosto un modo di vedere le cose”. A questo tipo di turismo dotato di spirito critico Caltagirone è adatta per sua vocazione intrinseca, ma non ha ancora la promozione e l’equipaggiamento necessari per favorirlo ed accoglierlo in modo adeguato. Se ben pianificato il turismo può diventare un grande motore economico per Caltagirone, partendo da tre risorse locali: le dotazioni culturali e naturalistiche; le conoscenze scientifiche; il cosiddetto “saper fare”. A questo comparto il nuovo piano urbanistico dovrà quindi dedicare il massimo di attenzione e di sforzi, assumendolo come strategico per lo sviluppo economico della città, colmando le lacune che ci sono con una molteplicità di azioni che coinvolgano l’insieme del territorio. Un settore, infatti, che in Italia vale oltre il 10 per cento del Pil, e che dà occupazione a due milioni di persone e muove ogni anno oltre 100 miliardi di euro. Un settore che però è in crisi perché poco competitivo, a causa delle infrastrutture non sempre all’altezza, la mancanza di un cervello pensante ed uno scarso utilizzo di internet. Così è pure per il turismo siciliano, in crisi e poco competitivo, che avrebbe bisogno di più infrastrutture, e che andrebbe orientato verso settori specifici che, proprio in tempi di crisi, possono garantire la sopravvivenza, come il low cost e i giovani. Da noi, infatti, non esistono i cosiddetti budget hotel, le catene con servizi spartani e tariffe contenute, che tanto successo hanno in Francia e Spagna. Così come sono una rarità gli ostelli della gioventù, che magari non portano soldi a palate, ma formano i viaggiatori di domani e che in Sicilia sono quasi inesistenti. L’atteso avvio nei giorni scorsi dell’aeroporto di Comiso, il realizzando porto turistico di Gela e le conclamate realtà archeologiche di Piazza Armerina,

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Aidone e Morgantina sono fili di una rete che aspetta di essere indagata e strutturata; ve ne sono infatti ragioni storiche e ragioni che attengono all’oggi e al domani: le comunicazioni marittime, le ceramiche, l’agricoltura (Gela conta oltre 5000 addetti in questo settore), la balneazione, gli itinerari turistici diversificati (quello greco, medievale e barocco), i grandi musei, le scuole d’arte, l’artigianato, i trasporti, ecc. Gli insegnamenti scientifici. Un’altra questione di rilievo è quella degli insegnamenti scientifici destinati ad avere nel prossimo futuro un ruolo fondamentale per lo sviluppo del paese Italia. Tramontata la stagione che ha visto disseminare facoltà universitarie un po’ dappertutto, anche in città di modeste dimensioni in grado però di assicurare consensi politici elevati, Caltagirone può giocarsi una chance nel settore degli insegnamenti tecnici e scientifici, post diploma, per una serie di ragioni: da qualche tempo questi insegnamenti non hanno più bisogno di essere vicini alla grande industria delle grandi città, anzi, al contrario, traggono vantaggio dall’essere decentrati in luoghi che offrono tranquillità alla ricerca e occasioni di sperimentazioni sul posto, e il territorio di Caltagirone può offrire molto in tal senso; come si è già accennato Caltagirone per rinnovare le sue strutture economiche ha bisogno di un forte contributo di conoscenze di livello elevato e questi insegnamenti possono fornirlo. E’ evidente che la riuscita di un tale progetto ambizioso dipende da una molteplicità di eventi e di soggetti, il nuovo piano urbanistico, oltre a discuterlo, può intanto accogliere le implicazioni spaziali della sua eventuale attuazione, segnalando le aree per la realizzazione di un Parco scientifico (il Politecnico del Mediterraneo). Assieme agli insegnamenti scientifici non va trascurato l’altro fondamentale “braccio”, della formazione, quello artistico. L’istituzione dell’Accademia di Belle Arti colmerebbe un vuoto e offrirebbe agli studenti dei tre Istituti d’Arte di Caltagirone, Gela e Comiso una prospettiva di ulteriore qualificazione. Per il comparto della ceramica offrirebbe uno “spettro” culturale più ampio, per la contaminazione tra i diversi modi di sentire e di essere dell’arte che può offrire l’Accademia. Una prospettiva, quella dell’Accademia, e quella di puntare sull’arte, che assieme alle altre prospettive, il nuovo piano urbanistico deve sollecitare, per combattere la rassegnazione e lo scoraggiamento

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proprie di quelle città che sanno cosa hanno perso ma ignorano quale sarà il loro domani; Caltagirone ha compreso non da ora che l’arte è ricchezza che porta ricchezza, è profumo di vita, è possibilità di coltivare l’utopia; idea stile e qualità. 7. I sistemi di movimento Il territorio di Caltagirone seppur crocevia di importanti infrastrutture viarie di livello interprovinciale e regionale vive oggi di fatto una condizione di isolamento. Né l’avanzamento dei tratti dei lavori della strada statale a scorrimento veloce LicodiaEubea-A19 Palermo-Catania sembra al momento scongiurare l’aggravarsi di questa condizione. Questa strada, infatti, nata per agevolare il territorio del ragusano per raggiungere Palermo, perderà questa finalità non appena sarà realizzata la quattro corsie in project financing Catania-Ragusa. E d’altra parte, sull’altro versante, con il completamento della Siracusa-Gela la storica strada siracusana 124 che attraversa Caltagirone perderà importanza. E’ partendo da qui che il nuovo piano urbanistico deve individuare, disvelandoli, i problemi e i limiti che vi sono e segnalare i rimedi. E’ molto provabile che questa analisi porti ad avere più attenzione alla fitta rete stradale che già innerva questa parte della Sicilia, che dev’essere rivista e migliorata, per favorire i collegamenti anche con mezzi diversi, pubblici e privati, e studiata per individuare le opportune e necessarie intersezioni con la viabilità più robusta. Si tratta di capovolgere il punto di vista e considerare le strade non solo come un tramite che ci fa spostare da un punto all’altro nel minor tempo possibile, ma anche come componenti fondamentali del paesaggio. Così era stato nel passato e bisogna tornare a tenerne conto; il territorio di Caltagirone e la Sicilia tutta, ne sono testimonianza di questo modo di fare e ancora ne portano i segni fecondi. Questo non vuol dire che le grandi strade non bisogna farle, ma che bisogna farle il meno possibile e solo se sono necessarie e sostenibili, perché rispondono a reali e attuali esigenze non risolvibili diversamente, e sempre con molta sensibilità progettuale nei confronti dell’equilibrio del paesaggio. Così non è sempre, anzi molto spesso si assiste ad un paradosso: l’attenzione al paesaggio e all’ambiente diminuisce al crescere degli investimenti. Come accade col realizzando tratto di strada Anas, la cosiddetta Libertinia di cui si diceva

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prima, che passa a valle della città sul versante di levante, stravolgendo irreversibilmente il paesaggio con la bella veduta verso il centro antico, oltre ad essere un doppio della esistente bretella della via di fuga. E’ auspicabile che per quest’opera il nuovo piano urbanistico segnali e suggerisca quali interventi di mitigazione porre in essere al più presto responsabilizzando l’Anas dei relativi lavori e costi. All’ingresso nord della città le aree del mai avviato mercato ortofrutticolo di C.da Molona possono costituire un importante infrastruttura di interscambio territoriale per chi transita da Caltagirone, con attività e servizi diversi, anche un albergo. Da qui possono partire e transitare alcune linee del servizio pubblico di pullman. Da qui, ripristinando il vecchio tracciato ferroviario, potrebbe partire un trenino che attraverso i “calanchi” e le gallerie che le forano, porterebbe al centro storico, ai piedi del quartiere dei Cappuccini. Qui, infine, coltivando l’utopia, potrebbe nascere la stazione da dove far partire una cabinovia, o una monorotaia, che lungo la vallata del Signore, da destinare come si è detto a parco naturalistico, raggiungerebbe in poco più di una decina di minuta Gela e il suo mare che è visibile ad occhio nudo. Il nuovo piano urbanistico dovrà disegnare l’assetto dell’ingresso nord alla città, rimasto pressappoco come si presentava 100 anni fa, assumendo nel progetto alcuni dei fatti che nel frattempo sono intervenuti in quest’area e nell’intorno per favorirne il dialogo e l’integrazione: il recupero della fornace Hoffman; il parco San Giorgio; la nuova sede del Museo Regionale della Ceramica, a pochi passi, sul Monte Sant’Agostino; gli imbocchi di alcune strade che portano dritte al cuore del centro storico e alle circonvallazioni esistenti; l’arrivo del previsto tratto di strada per il completamento del braccio di ponente della circonvallazione, che se realizzato potrà consentire l’ingresso da basso al parcheggio multipiano di Santo Stefano che dista poche centinaia di metri da quest’ingresso nord alla città, ecc. Dell’ingresso sud e delle previsioni progettuali che già ci sono, si è già accennato trattando diffusamente del Piano Gregotti, che il nuovo piano urbanistico dovrà assumere con gli eventuali aggiornamenti. Se non dovesse andare in porto la tanto attesa trasformazione in quattro corsie della strada statale 417 Catania-Gela, per la quale l’Amministrazione Comunale sta premendo sulla Regione, acquista maggiore realismo l’ipotesi, già accennata prima, di utilizzare alcuni tronchi della tratta ferroviaria Catania-Caltagirone-Gela come metropolitana leggera a

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servizio di una vasta area geografica ed urbana, magari affidandone la gestione ad una società pubblica e privata e utilizzando per il trasporto di passeggeri e merci coppie di navette leggere; prospettiva peraltro già contenuta tra le previsioni del vigente Prg. Il rinnovato utilizzo di queste tratte e la riconversione delle desolate stazioni ferroviarie porterebbero benefici diretti e indiretti ai cittadini e alle loro comunità di fare rete. Almeno quattro potrebbero essere le fermate d’interesse urbano per Caltagirone: la stazione ferroviaria con l’adiacente autoparco e il previsto parcheggio del Piano Gregotti; lungo la galleria sotto la Via Dante Alighieri in corrispondenza dell’Ex Cine Teatro Metropol, oggi della Provincia; in prossimità del Palazzetto dello Sport di Viale Autonomia; in corrispondenza del Palazzo di Giustizia e del polo commerciale del Viale Europa. Seguendo i criteri di buona progettazione prima accennati il nuovo piano urbanistico dovrà proporre soluzioni definitive per tre operazioni viarie di dimensione piuttosto rilevanti per il contesto in cui devono innestarsi. La prima riguarda il collegamento tanto atteso tra il quartiere dei Semini, con i suoi 3000 ed oltre abitanti, e il resto della città. Il nuovo piano dovrà pure affrontare la viabilità minuta e minore di questo quartiere, oggi alquanto confusa e insufficiente, in particolare prevedendo l’allargamento della Via Cappuccini Vecchi che porta alla nuova Chiesa parrocchiale, oggi del tutto inadeguata, e individuando quei percorsi pedonali con cui raggiungere più direttamente i centri focali del quartiere. L’altra riguarda il prolungamento della Via Magellano fino ad incrociare la strada per Santo Pietro per chiudere l’anello del margine sud della città già previsto nel Prg del 1984. La terza, come si diceva, riguarda il completamento della nuova circonvallazione di ponente con i due innesti, verso nord e verso a sud (a sud va chiarito come si risolve il prolungamento in corrispondenza del “muro” dell’Istituto Maria Ausiliatrice). Non ci pare che siano necessarie altre operazioni importanti sulle grandi strade, se non di rettifica o di svincolo per agevolare la circolazione e renderla meno caotica, ma è naturale che il nuovo piano urbanistico nel suo iter formativo e costitutivo potrà arrivare a conclusioni diverse. Invece il nuovo piano urbanistico dovrà occuparsi molto, anche in termini di normativa, della rete stradale minore per restaurarla e

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renderla più efficace, non solo in termini funzionali ma anche paesaggistici. Altrettanta attenzione andrà rivolta alla rete dei percorsi pedonali che solcano il territorio e costituiscono una grande ricchezza, perché svelano le parti più arcane del paesaggio, le congiunzioni più complesse tra orografia e flora e permettono di raggiungere manufatti che testimoniano l’esperienza e l’intelligenza di quei luoghi. Il nuovo piano urbanistico dovrà poi confrontarsi con il piano dei parcheggi e con il piano di circolazione, segnalando gli opportuni aggiustamenti in relazione a quanto è stato già realizzato e previsto, in termini di parcheggi, presidi di risalita (scale mobili, ascensori urbani), rotatorie, ecc. Puntando molto su una rete di piste ciclabili, seppur minimale ma che sia concretamente realizzabile, ultimamente tanto invocata e attesa dalla comunità di caltagironesi. Inoltre nel ridisegnare alcuni alvei stradali centrali (il Viale Mario Milazzo, ma non è il solo) si dovrà favorire una migliore fruizione pedonale e, come detto, la ciclabilità in tutta sicurezza. Per il parcheggio “Santo Stefano”, con i suoi quasi 500 posti tutt’oggi scarsamente o per niente utilizzati, l’occasione del nuovo piano urbanistico dev’essere quella di avviare un ragionamento su un diverso modo di gestione, rivedendo o concludendo l’attuale concessione al privato, e immaginando che possa divenire una delle attrezzature di un organico sistema dei diversi modi della mobilità cittadina gestita unitariamente: zone blu, parcheggi, bus navetta, ecc. Anche le aree circostanti l’Ospedale richiedono una riorganizzazione, sia in termini funzionali, sia di disegno e sia di funzioni, per dare un ingresso più adeguato all’Ospedale stesso e per risolvere diversamente il sistema della mobilità e della sosta. E l’occasione del nuovo piano urbanistico sembra propizia per metterci mano, partendo dall’area compresa tra la Via Portosalvo, il complesso edilizio della Casa di Riposo (Ipab), e il prolungamento di Via Vespucci: l’idea è di un parcheggio ipogeo, nel sottosuolo, collegato con un tunnel con l’ospedale, che liberi la soprastante area oggi a parcheggio per destinarla a giardino. Un assetto che oltre a favorire una sosta più comoda e migliori collegamenti permetterebbe, come si accennava, di riorganizzare l’intera area, lberandola dalle macchine, di rivedere i limiti della recinzione dell’ospedale per favorire una migliore integrazione urbana e dare così un ingresso più consono a questa importante presidio sanitario rispetto a quello oggi tanto congestionato e defilato. Anche per il robusto complesso edilizio dell’Ipab

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questa nuova sistemazione potrebbe rappresentare un’occasione per ripensare un diverso sistema di accesso e di collegamenti tra l’interno e l’esterno, magari in previsione di nuovi usi e funzioni. Analogamente a quanto si è già detto per il versante est, anche per il versante ovest dell’Ospedale occorre che il nuovo piano urbanistico indaghi e segnali quanto c’è da fare per assicurare un ingresso da questo lato, partendo dalla già prevista bretella viaria di collegamento tra la Via Portosalvo e la Via Santa Maria di Gesù, che il piano del 1984 in maniera lungimirante intuì per il crescente traffico che ci sarebbe stato in quest’area. Si è già detto delle isole ecologiche e dei centri di raccolta per i rifiuti solidi urbani; qui si vuole segnalare che la loro localizzazione non è indifferente ai sistemi della mobilità, e che pertanto dev’essere pure indagata e scelta alla luce dell’assetto della viabilità che il nuovo piano urbanistico si darà, oltre che, naturalmente, in modo tale che non si creino conflitti con l’ambiente naturale ed urbano (specialmente con i tessuti residenziali), com’è accaduto nel recente passato. La dorsale lungo il trincerone della ferrovia Catania-Gela potrebbe dar vita a un viabilità pedonale e ciclabile, tramite una sovrastruttura leggera in acciaio per formare un sistema di aree pubbliche pedonali e verdi. Il nuovo piano urbanistico dovrà anche segnalare le azioni e le configurazioni necessarie per la riqualificazione dell’ingresso sud alla città, a partire dall’uscita lungo la scorrimento veloce Catania-Gela fino alla Via Sfere, illuminandola e prevedendo piazzole di sosta panoramiche. Analogamente dovrà fare per il miglioramento della viabilità di collegamento con il nuovo aeroporto di Comiso, passando per Granieri e Mazzarrone. 8. Il centro storico della città Si è già detto come negli scorsi decenni il centro storico di Caltagirone sia stato interessato da un processo di degrado fisico e sociale, causato dal calo della tensione abitativa dovuta prevalentemente all’esodo dei ceti sociali più forti e produttivi verso le zone più nuove della città. Fenomeno che ha determinato un generale abbassamento del livello d’interesse verso il centro storico, con conseguente invecchiamento della popolazione residente, costituita in gran parte da anziani e in misura minore da giovani

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coppie e immigrati, che oggi trovano conveniente, dal punto di vista economico, la scelta di un alloggio in questo contesto. Da più di uno studio emerge, infatti, la particolare concentrazione di popolazione anziana nel centro storico, equivalente al 45% circa della popolazione anziana calatina, a fronte di una popolazione residente nel centro storico che è appena un terzo rispetto a quella complessivamente insediata nell’intero Comune. Un fenomeno, quello dell’esodo dal centro storico, che però da qualche tempo è in controtendenza. Diversi infatti sono i segnali che incoraggiano e fanno ben sperare per una ripresa d’interesse verso questa parte della città. Però non sono ancora sufficienti gli sforzi che si stanno facendo sul fronte del recupero della residenzialità e dei connessi servizi alla residenza. Come si diceva, grande rilevanza dal punto di vista socio-economico è da attribuire all’attività turistica richiamata dalla secolare tradizione dell’artigianato della ceramica che pone il centro storico di Caltagirone in grande rilievo sul piano artistico e culturale a livello nazionale ed internazionale. In effetti, è il turismo la nuova frontiera verso la quale si sono mossi gran parte dei processi di sviluppo economico della città, ma anche della Regione siciliana, intercettando finanziamenti non solo nazionali ma anche quelli strutturali europei. E’ questa una delle sfide in cui anche Caltagirone è impegnata attraverso un processo di completamento e trasformazione qualitativa delle strutture urbane. Significativo è il dato delle presenze turistiche a Caltagirone negli scorsi anni, che hanno visto registrare un aumento costante del 10% dal 1998 al 2008, con una presenza alberghiera di circa 30000 persone all’anno ed una presenza complessiva di visitatori di circa 150000 persone: dati che devono aiutare a combattere incredulità e rassegnazione e a far fare di più per il futuro, sostenuti da una favorevole stagione che il centro storico continua a vivere dal punto di vista dei finanziamenti pubblici per infrastrutture e servizi. Al centro storico si è voluto dedicare un paragrafo a se perché è in questo contesto urbano, come succede per quasi tutti i centri storici, che risiede il luogo degli irraggiamenti e dei riflessi che percorrono tutto il territorio: la rappresentazione simbolica della sua cultura. Quanto è stato fatto per il centro storico in questi anni, sia in termini di vincoli, quelli strettamente necessari per salvaguardarlo, ma principalmente i progetti e le azioni di recupero, quelli realizzati e quelli solo

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enunciati, ha riacceso l’interesse della città e reso i cittadini consapevoli che questo patrimonio urbano non era vecchio ma antico, ricco di valori e denso di significati ancora vivi. Oggi si tratta di continuare a riaccendere l’immagine della città partendo da qui e, come si è già detto, dal territorio e dall’ambiente naturale, a sostegno di un nuovo modello di sviluppo urbano e territoriale che il nuovo piano urbanistico deve incoraggiare. Le direttive di salvaguardia e valorizzazione del centro storico dovranno puntare inoltre all’obbiettivo di creare le condizioni per il raggiungimento di standards abitativi adeguati alle mutate esigenze e comunque rispettosi dei caratteri storico-urbanistici di questo contesto. Il nuovo piano urbanistico deve proporsi la dotazione di un compendio d’idee progettuali (schede-progetto), riproponendo quelle che già ci sono insieme ad altre nuove, che indaghino per parti il centro storico iniziando dalle aree e dai punti di margine, dove appare indispensabile intervenire con perizia urbanistica ed architettonica. In tal senso devono essere censiti e salvaguardati tutti gli spazi inedificati ed i belvedere per essere successivamente valorizzati con interventi di recupero, e devono essere segnalati tutti gli edifici e quei manufatti che ostruiscono le vedute e gli scorci panoramici e che deturpano il decoro urbano, proponendo gli opportuni e necessari interventi di adeguamento e, nel caso, prevedendone la demolizione. In questa prospettiva alcuni temi possono essere già segnalati. Intanto l’esigenza di aggiungere vitalità al vero centro del centro storico, e ridare un nuovo volto alle sue piazze centrali. Un intervento che non può esaurirsi nel dibattito che ha animato la città qualche tempo fa tra chi chiedeva la collocazione di una fontana nella Piazza del Municipio e chi chiedeva invece una statua o qualcos’altro, pescando un po’ alla rinfusa nella storia di Caltagirone. Non ci si può dividere tra chi vuole la fontana e chi no, e neppure tra chi la vorrebbe antica e chi moderna. Posta così la questione porterebbe fuori strada. Un’esigenza che invece va affrontata riconducendola al tema che le è proprio: quello di ridare forma e funzione allo spazio fisico della città. E’ tempo infatti che il sistema delle piazze e degli spazi che formano il centro del centro storico siano ripensati, in termini fisici unitari (figurativi e spaziali), e in termini di ruolo, sociale e simbolico: piazza del Municipio, piazza Umberto, piazza Innocenzo Marcinnò, volta Libertini, discesa

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Sant’Agata, discesa del Collegio. In proposito alcuni temi di riflessione possono essere già suggeriti per il nuovo piano urbanistico, per altro già segnali tempo fa all’Amministrazione. Il primo. La piazza di un centro storico italiano non è una piazza qualunque. E’ un mondo speciale. E come tale va trattata nel riprogettarla. Perché è sempre frutto di regole precise, seppur diverse da luogo a luogo e da città a città. Essa appartiene ad un mondo fisicamente compiuto, architettonicamente definito, chiuso. Non è un semplice slargo, ma uno spazio cinto da una compatta corona di edifici monumentali, religiosi, civici, residenziali, la cui impronta definisce un vuoto stabile, fermo, antico. Ma è anche un mondo aperto, generoso, animato dai comportamenti mutevoli di chi la percorre, vi sosta, vi lavora. Nel quale può succedere che rituali collettivi e private consuetudini cedano il posto a pratiche improvvise e sorprendenti. E’ un luogo fortemente simbolico, mentale, da tutti condiviso, al di là del grado di cittadinanza, dove la vita degli individui s’impiglia con la memoria collettiva, lievitando la storia. E’ questo è un punto essenziale. Il secondo. La piazza storica è un mondo speciale perché è fatto di relazioni, di rapporti fisici interdipendenti: perché è frutto di un disegno urbano che tende all’unitarietà. Per la ridefinizione di Piazza del Municipio il campo di attenzione, e del progetto, andrebbero, pertanto, rimodulati in relazione all’insieme di piazze e di vuoti che vi sono tutt’intorno. Che formano un sistema e un contesto urbano molto particolare e di grande qualità: il volto del cuore del nostro centro storico. Al posto di un’unica e grande piazza, qui si è generato un sistema di piazze e di vuoti, anch’esso mirabile “monumento” (le piazze del Municipio, Umberto, Innocenzo Marcinnò, Ex Pescheria, la Scala Santa Maria del Monte, la Discesa del Collegio, via degli Studi, Volta Libertini, ecc). Il terzo. Affinché un’idea di cambiamento, immaginata come progetto, non cada nel vuoto della pura assenza di impedimenti, dove tutto è possibile, sono necessarie regole e strumenti ben definiti e accuratamente scelti. Nella consapevolezza che l’uso di uno strumento, piuttosto che un altro, porta a conseguenze e risultati diversi. Se si vogliono raggiungere buoni livelli di qualità, lo strumento è quello del progetto che attiene alle opere dell’arte, all’architettura e al disegno urbano, affidato a mani esperte ed esteso ad un contesto fisico ampio, del quale le due Piazze, del Municipio ed Umberto, come detto sono parte.

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Occorre completare e migliorare gli interventi avviati sul finire degli anni ’80 di recupero delle aree di margine che cingono da levante e da ponente l’intero contesto del centro storico per riorganizzarle a giardino e ad orti urbani e, quando vi è la possibilità ed è necessario, prevedendo la presenza di attrezzature leggere, a formare una cornice arricchita da una “costellazione” di punti panoramici fisicamente definiti da e verso la città. Tra questi interventi se ne segnalano alcuni per i quali da tempo si è già avviata una riflessione progettuale: - l’area attrezzata per i camper nell’area sotto Sant’Orsola lungo la circonvallazione di ponente; - un piccolo parco o addirittura un edificio per servizi pubblici municipali che sfrutti il terrapieno dell’area che lascerà libera la demolizione dell’ex scuola materna in disuso e pericolante di Via Amoroso a ridosso del parcheggio Cappuccini a levante; - la sistemazione dell’intera area dei fontanoni del Gagini nel quartiere dell’Acquanuova, affinché diventi un luogo da visitare e da esperire con continuità; - la sistemazione delle aree ai due lati del tratto più a nord di Via Regina Elena immaginando sul lato nord l’estensione del parcheggio esistente più a valle e sull’altro versante un sistema di risalita verso il colle di Sant’Agostino, che è il punto più alto della città; - l’individuazione di un corollario di interventi per facilitare la buona riuscita del realizzando ascensore urbano a servizio del parcheggio dei Cappuccini, ecc. Lo stesso vale per le tante aree più interne al tessuto urbano del centro storico a cui dare un senso e un disegno. Tra queste: - l’area compresa tra il vecchio Carcere, i resti del Castello e Via Monsignor Gerbino, già indagata progettualmente un po’ di anni fa, in occasione di un concorso nazionale sui parcheggi, che potrebbe essere destinata a parcheggio e a giardino e collegata pedonalmente ai tessuti minuti più in basso in prossimità dell’Ex Carcere; - un parcheggio oggi tanto utile per l’imminente apertura nell’edificio di Sant’Agostino della nuova sede del Museo Regionale della Ceramica. E poi la richiamata area del colle di Sant’Agostino in parte occupata dal grande serbatoio idrico comunale, che potrebbe costituire un vero e proprio miradores attrezzato per la bella vista da cui si gode e un luogo di ristoro all’aperto del contiguo Museo Regionale della Ceramica; - l’area che costituisce il tessuto urbano compreso tra la Via Carcere e la Via Stovigliai dove sono ancora

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presenti due antichi forni a legna a pozzo per la cottura delle terrecotte che potrebbe diventare un luogo d’interesse turistico, un museo all’aperto. Quanto alla residenza il punto non è certo quello di aggiungere nuovi edifici, (sarebbe d’altra parte impossibile in una zona “A”), ma di recuperare e difendere la residenza che vi è. Compito del nuovo piano urbanistico sarà di inserire nel tessuto del centro storico con discrezione e gradualità, ad un tempo, sia nuove attività per il turismo e il tempo libero, sia quelle azioni che possono bloccare l’emorragia di popolazione verso altre zone della città. Per il Centro storico il nuovo piano urbanistico deve contenere una disciplina di dettaglio direttamente operativa basata sul metodo dell’analisi e della classificazione tipologica delle unità edilizie cosicché, a secondo dei casi, potranno consentirsi sia interventi di restauro e risanamento conservativo volti a recuperare e valorizzare le originarie caratteristiche storico-artistiche di quel patrimonio edilizio, sia interventi di trasformazione conservativa che permettano anche la ristrutturazione edilizia nel rispetto delle caratteristiche tipologiche dell’edificio originario e tali da adattare esternamente gli edifici all’ambiente circostante. Per le zone più degradate dovranno essere previsti dei Piani particolareggiati di recupero edilizio redatti nel rispetto dalla vigente normativa, e nel rispetto della circolare n. 3-DRU del 11.07.2000. In dette zone, ferma rimanendo la tipologia edilizia originaria, che dovrà essere tutelata e, nel caso, addirittura recuperata, se nel tempo ha subito variazioni con l’aggiunta di superfetazioni, si dovrebbero consentire fusioni di unità abitative contigue che permettano la realizzazione di abitazioni più idonee alle odierne esigenze familiari per migliorare la vivibilità dagli alloggi. Affinché l’ipotesi del reinserimento di abitanti nel centro storico risulti credibile occorrerà puntare su interventi di recupero del patrimonio edilizio abbandonato o sotto utilizzato con interventi pilota, sia di iniziativa pubblica che privata, in grado di dimostrare che è possibile il reperimento di alloggi e di servizi all’interno di questo contesto che, quindi, può rappresentare un’alternativa alla nuova edificazione o alla ricerca di alloggi nelle zone di espansione di recente formazione. Gli interventi, i vincoli e gli incentivi che il nuovo piano proporrà dovranno tendere, appunto, a difendere il diritto della popolazione a disporre più di quanto oggi

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accada, in termini di spazi aperti pubblici, di servizi, di miglioramento complessivo delle condizioni di abitazione. Una più forte residenzialità farà anche sviluppare nel centro storico le attività di servizio e di vicinato: il commercio, l’artigianato, ecc. Quanto al già accennato intervento di recupero ai fini residenziali da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Catania che, com’è noto, ha già interessato circa 400 alloggi in tre diversi quartieri del centro storico, due sono gli esiti di questo intervento che il nuovo piano urbanistico deve assumere per porvi rimedio. Il primo è la mancata realizzazione di quasi tutte le opere di urbanizzazione che i piani di recupero prevedevano in questi contesti, in termini sia di sottoservizi, sia di spazi pubblici aperti, di pavimentazioni, di edifici per servizi; una carenza che rischia di “minare” la ragione stessa di quel recupero, vanificandone gli effetti, in termini di condizioni di abitazione. Il secondo riguarda i modi, in termini fisici, di configurazione e di materiali, in cui è avvenuto il recupero delle unità edilizie, che ha portato a risultati estranei all’ambiente del centro storico di Caltagirone. Il nuovo piano sia in un caso sia nell’altro dovrà porsi l’obiettivo di salvaguardare e difendere l’intero ambiente urbano della città storica, equipaggiandolo dei necessari servizi, proponendo regole sul come fare. Al traffico urbano e a una mobilità sostenibile il nuovo piano urbanistico dovrà dedicare attenzione, per favorire il decongestionamento e nuovi modelli di spostamento e per consentire la creazione di zone a traffico limitato, evitando la sosta disordinata nelle strette vie del centro storico con la realizzazione di piccoli parcheggi automatici anche all’interno dei diversi tessuti storici, a servizio delle residenze per migliorarne la vivibilità. Migliori condizioni di vivibilità ne centro storico devono essere perseguiti anche consentendo l’insediamento di attività commerciali ed artigianali compatibilmente con i valori del contesto e i caratteri degli edifici che dovrebbero ricevere dette attività. Un altro impegno che il nuovo piano urbanistico dovrà assumere nei confronti del centro storico è di segnalare gli accorgimenti per un programma di manutenzione costante e di grana sottile, che restituisca gradualmente dignità e qualità allo spazio urbano, occupandosi di quei dettagli dell’armatura urbana spesso trascurati (frammenti decorativi, edicole votive, fontanelle, selciati, cordonature stradali, ecc), oltre che della sicurezza e dell’efficienza dei servizi primari (acqua, fognatura, illuminazione, ecc).

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La riqualificazione, infatti, oggi riguarda sempre meno il fatto urbanistico e più invece il fatto dell’ordinaria amministrazione (le manutenzioni). Il tema della manutenzione è la vera emergenza che abbiamo oggi. Le nostre città sono diventate più vecchie che antiche. E le manutenzioni costano. Ma la grande manutenzione costa molto di più della piccola e ordinaria manutenzione (è un concetto economico elementare, ma fondamentale). Per le fronti degli edifici che si affacciano sulle principali strade il nuovo piano dovrà analizzarle accuratamente e proporre un progetto unitario di finitura e colore. Agendo sui comportamenti culturali e progettuali molto si può fare per conservare un accettabile livello di gusto nei modi in cui gli edifici, e i negozi e le botteghe, si affacciano sulle piazze, sulle strade e sugli spazi esterni del centro storico. Ci sono poi alcune questioni rimaste aperte ed altre in divenire che riguardano alcuni interventi significativi sia su spazi urbani, sia sulla destinazione di alcuni edifici pubblici importanti, con cui il nuovo piano urbanistico deve confrontarsi e suggerire soluzioni. Se ne segnalano alcune. La Scala Santa Maria del Monte è da anni il monumento più frequentato dai turisti e grazie alla bella illuminazione curata da Piero Castiglioni anche da tanti giovani la sera. Anni fa il compianto Giuseppe Samonà chiamato ad occuparsi della Galleria Coperta “Luigi Sturzo” ebbe l’intuizione d’immaginare qualcosa che ad un tempo arricchisse l’attrattività della Scala e fosse anche di aiuto a chi ha difficoltà a superare un così forte dislivello e a chi deve usarla ogni giorno perché vive nei vicoli che l’attraversano: una scala mobile o un ascensore urbano. Il nuovo piano urbanistico dovrà suggerire cosa fare. Altrettanto il nuovo piano dovrà fare per la Galleria “Sturzo” sciogliendo definitivamente il nodo della sua destinazione: ripristinare l’antico Teatro Garibaldi, invocato da alcuni caltagironesi, o migliorarne le condizioni affinché diventi realmente la hall d’ingresso alla città com’è stato pensato con i recenti lavori di ristrutturazione o, infine, realizzare il bel progetto del richiamato Giuseppe Samonà redatto sul finire degli anni ’80 con il figlio Alberto? Ed ancora, che destinazione dare all’edificio che sorge all’interno della Villa comunale ed ospita il Museo Regionale della Ceramica quando questo si sposterà definitivamente nella nuova sede di Sant’Agostino? Potrebbe diventare la sede permanente della fondazione della Biennale della

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Ceramica e il luogo dove si svolgono tutte le attività espositive e convegnistiche; gli spazi ci sono, anche all’aperto, il luogo è di particolare pregio e ben posizionato e servito da parcheggi. Per l’ex Carcere è da qualche tempo che si sta ragionando sulla possibilità di utilizzarlo ai fini di una particolare ricettività residenziale turistica alla quale prima si accennava: un sorta di ostello, moderno e funzionale, per il turismo giovanile, ma anche per chi (una compagnia teatrale o una band) avesse bisogno per un mese o più mesi di un luogo e di spazi particolari ed evocativi (prima era un è stato un convento) per preparare o allestire una stagione teatrale o un concerto; la particolare tipologia del complesso edilizio favorisce questa destinazione e il cortile interno coperto con una struttura metallica leggera costituirebbe la grande sala che manca per gli eventi. Inoltre questa particolare destinazione accenderebbe un fuoco d’interesse in questo parte del centro storico animandola e connettendola agli altri rilevanti fatti urbani all’intorno (il Museo Regionale della Ceramica, i forni di Via Stoviglia, la Scala Santa Maria del Monte, la Via San Bonaventura, ecc). Anche per l’altro grande complesso edilizio di Piazza Marconi, un tempo convento, poi ospedale e oggi in fase di dismissione da parte dell’Asp3 di Catania, occorrerà interrogarsi come può meglio partecipare a una strategia di sviluppo economico della città. Potrebbe essere destinato all’insegnamento e allo studio di diverse discipline tecniche e scientifiche a cui si accennava prima: un politecnico autonomo, da frequentare dopo la maturità dove s’insegnano le varie scienze nelle loro applicazioni pratiche. Ci sono anche qui le condizioni funzionali ed urbanistiche per quest’uso, e la presenza a due passi della Villa comunale offrirebbe un luogo dove poter studiare all’aperto o prendersi qualche ora di svago immersi nella natura e nella quiete. Per la Fornace Hoffmann occorre dare ulteriore senso al Museo tecnologico dei laterizi, prevedendone il completamento con quegli edifici dove poter svolgere le connesse attività didattiche ed educative, ma anche la sistemazione esterna cogliendo la particolarità e la panoramicità del luogo. Un “ponte” pedonale, frutto di un concorso di progettazione, potrebbe poi collegare questo luogo al Parco San Giorgio scavalcando la strada che li divide e divenendo simbolicamente una “porta” d’ingresso.. E ancora, l’intervento per liberare il bel fronte principale della Basilica di San Giacomo abbattendo il

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piano della canonica che incombe sul sagrato. Quanto perderebbe la canonica in termini di superficie, potrebbe essere recuperato a pochi passi da lì, affrontando il tema del completamento della stecca edilizia di Via Duca degli Abruzzi, perché interrotta qualche anno fa a causa dell’abbattimento di alcune unità edilizie pericolanti, insieme al tema più volte richiamato e centrale degli scenari panoramici visto che la demolizione ha generato una bella veduta verso la campagna, deliziosa e nitida. Infine, e non per ordine d’importanza, occorrerà individuare dove, in quale edificio storico, trasferire il Museo del Presepe che non può che trovare sede nel centro antico della città. Mentre l’attuale edificio che lo ospita (l’ex biblioteca) potrebbe costituire uno padiglioni della Biennale della Ceramica, interno alla Villa Comunale. Del parcheggio “Santo Stefano” si è già detto qualcosa nel capitolo della mobilità; tanto atteso perché si potesse avviare un sistema alternativo di mobilità nel centro storico, puntando sulla pedonalizzazione di alcune sue parti, che però da quando è nato è in una condizione di quasi totale sottoutilizzazione senza essere mai entrato nel sentire e negli usi dei caltagironesi, né dei turisti. Il nuovo piano urbanistico deve farsi carico di questo importante equipaggiamento, evitando che si possa ascrivere nell’elenco delle opere inutili e degli sprechi. Il nuovo piano dev’essere invece l’occasione per tessere un nuovo modello di circolazione integrato anche qui nel centro storico, partendo da questo e dagli altri parcheggi realizzati lungo i due versanti, superando l’attuale modo congestionato divenuto insopportabile per tutti. 9. Le norme del piano La revisione della normativa e delle regole edilizie (norme di attuazione e regolamento edilizio) deve diventare l’occasione oltre che del loro naturale aggiornamento e della inevitabile rispondenza al nuovo piano urbanistico, anche l’occasione di una riscrittura meno dura e tortuosa, con norme scarne e di interpretazione il più chiara possibile. Questo contribuirà a superare la situazione d’impaccio e di apprensione che assai spesso si manifesta tra i cittadini di fronte a ogni piano urbanistico quando è presentato ai consessi amministrativi e pubblici per essere presentato e approvato.

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Se in un piano non si può fare a meno delle notazioni verbali, queste però possono essere scritte perché siano comprensibili a tutti, a chi ha un interesse diretto come a chi non l’ha, evitando le prescrizioni e i divieti a favore della persuasione e suggerendo di volta in volta cosa è meglio fare e spiegandone i motivi. Una migliore conoscenza dei fatti aiuta ad avere consapevolezza che il territorio è un bene comune per definizione e che ogni azione sbagliata che produce il suo squilibrio va a svantaggio di tutti. Oltre a una più diffusa e intelligente conoscenza del piano da parte di tutti l’apparato normativo dovrebbe basarsi non tanto sui soli parametri e indici metrici, quanto sulla individuazione dei particolari aspetti qualitativi che si intende perseguire, evidenziandone gli esiti delle singole situazioni: un compendio di schede-progetto o progetti-guida che si intersecano con la normativa per esplicitare le potenzialità del piano e segnalare e suggerire condizioni e opzioni urbanistiche e architettoniche. In definitiva ciò che si indica è un corpus normativo che privilegia la norma disegnata (disegno-norma), più evocativa e persuasiva di quella prescrittiva. Alcuni aspetti innovativi, almeno per Caltagirone, per non essere stati mai considerati e perseguiti con la dovuta tenacia, vanno segnalati subito. Per prima cosa la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria (strade, parcheggi, verde, sottoservizi) che non possono che essere realizzati prima della costruzione degli edifici e del rilascio della concessione edilizia. E tra queste opere un risalto dev’essere dato alla configurazione naturale o naturalistica: prima di costruire gli edifici devono essere messi a dimora alberi e siepi, e dev’essere organizzato il terreno per formare una configurazione protettiva che assicuri l’inserimento armonioso nel paesaggio. Inoltre, insieme con questo, occorre che per questi beni naturalistici siano definiti i livelli di godimento nell’uso (privato, condominiale e collettivo) e, di converso, i livelli e i ruoli di responsabilità per la cura e la manutenzione, cosicché si assicuri qualità, durata ed economie per la collettività. Con gli stessi livelli di responsabilità e con le stesse ragioni di convenienza collettiva occorrerà che il nuovo piano urbanistico affronti il tema della raccolta dei rifiuti, per suggerire norme e attenzioni che favoriscano per ogni contesto urbano e per ogni edificio la possibilità di attuare concretamente ed utilmente un servizio porta a porta e una differenziata spinta.

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Il nuovo piano dovrà anche assegnare particolare attenzione al tema delle energie rinnovabili e alle nuove tecnologie per il risparmio energetico, coniugandolo al tema del recupero del patrimonio edilizio esistente e della sostenibilità energetica ed economica collettiva; puntando sulla ecosostenibilità edilizia e bioedilizia e sulla incentivazione per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente e nuovo che offrano un maggiore impiego di tecnologie volte al contenimento del consumo energetico e alla produzione di energia per autosostentamento e non. Si è già detto che una caratteristica che fa di Caltagirone un luogo mirabile è la compenetrazione tra città e paesaggio, resa evidente dalle quinte panoramiche che incorniciano la città, e che su questo il nuovo piano urbanistico deve intervenie. Perciò rispetto al passato anche sul piano delle norme il piano dovrà caratterizzarsi per un diversa attenzione verso la campagna, il territorio aperto e il paesaggio, con un compendio di norme virtuose capaci di tutelare e salvaguardare questi beni. Il nuovo piano urbanistico inoltre dovrà confrontarsi con gli apparati normativi che in questi anni la Città si è data attraverso regolamenti, per segnalare se e cosa va modificato o aggiunto: il regolamento che disciplina i mezzi pubblicitari privati e l’occupazione di aree pubbliche, del 1998; il regolamento che disciplina il verde pubblico e privato, del 2002; il regolamento che disciplina l’installazione dei chioschi del 2004; il regolamento che disciplina l’installazione delle apparecchiature radioelettriche per la telecomunicazione, del 2009; il manuale per l’ornato pubblico che disciplina gli interventi per salvaguardare e difendere l’intero ambiente urbano della città storica, tutt’ora all’esame del consiglio comunale. La normativa del nuovo piano dovrà anche disciplinare i criteri e i parametri in deroga per la realizzazione in zona agricola di nuovi edifici o l’ampliamento di quegli esistenti a favore dei nuclei familiari con presenza di componenti affetti da grave disabilità motoria permanente, evitando il lungo e complesso iter burocratico fin’ora seguito che richiede ogni volta una singola variante urbanistica approvata dalla Regione. Il nuovo piano deve affrontare altri due importanti questioni oggi non rinviabili nel fare urbanistica: le questioni legate alla finanza di progetto che assegnano anche ai privati la titolarità nel concorrere alla realizzazione dei servizi e delle infrastrutture pubbliche e di uso pubblico, e la questione del reperimento delle aree per i servizi pubblici a standard

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che oggi avviene con lo strumento dell’esproprio per pubblica utilità, che tanti problemi e costi sociali ha dato e da. Due questioni che solo apparentemente si presentano separati, ma che in realtà costituiscono due strade diverse per pervenire a unico obiettivo: assicurare alla città i servizi di cui ha bisogno affinché sia una vera comunità. Per la finanza di progetto il nuovo piano urbanistico dovrà segnalare per quali opere pubbliche o di interesse pubblico potrà essere avviata questa procedura, e in quale contesto, in termini di configurazioni spaziali, destinazioni d’uso e ritorni economici. Per l’acquisizione delle aree per i servizi di urbanizzazione obbligatori (le aree a standard previste dal D.M. del 2 aprile 1968 n.1444), si aprono diversi scenari sui quali va avviato un ampio confronto e fatte delle scelte, alla luce della vigente normativa urbanistica della Regione siciliana. Pertanto si segnalano di seguito tre possibili modi di procedere, che non si escludono tra loro, applicabili al nuovo piano urbanistico, fornendo alcune necessarie considerazioni. - L’espropriazione per pubblica utilità a tutti nota, che ha creato non pochi problemi sia ai proprietari delle aree vincolate e sia agli Enti esproprianti che ne hanno dovuto fare ricorso, a causa dell’incertezza sui tempi e sull’entità dell’indennizzo figlie entrambe della mai risolta questione del regime dei suoli in Italia. Una procedura che nonostante sia fonte di interminabili liti giudiziarie e di pesanti indennizzi a carico degli Enti, viene però ancora diffusamente utilizzata dalla stragrande maggioranza dei Comuni siciliani per l’assenza di una legislazione alternativa. - La perequazione, uno strumento nato nell’ambito delle scienze economiche che da qualche anno viene utilizzato in urbanistica per superare le lungaggini e le incertezze dell’espropriazione. Diversamente da altre Regioni qui da noi in Sicilia la perequazione non trova alcuna cornice normativa e regolamentare di legge e di riferimento e, pertanto viene pochissimo utilizzata per le inevitabili controversie amministrative e giuridiche alle quali si va incontro sia con la Regione, che in definitiva deve approvare il piano, e sia con le imprese e con i privati costretti a procedure lunghe e complicate e vantaggi non sempre visti come tali, oggi e resi ancora meno appetibili a causa della grave crisi economica e del settore edilizio. - La terza strada, per la quale si protende, può essere definirla del “buon senso”, perché registra e attualizza alcuni fatti: le difficoltà economiche-finanziarie dei

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Comuni; le reali condizioni dell’equipaggiamento dei servizi che a Caltagirone è soddisfacente e che pertanto non richiede tante altre aree da vincolare, anzi vi è la possibilità di liberarne diverse; la possibilità di utilizzare comunque l’espropriazione per pubblica utilità, con moderazione e solo quando non se ne potrà fare a meno, perché è un’opera strategica e perché vi è un finanziamento pubblico; la possibilità di ovviare alle obiezioni di incostituzionalità relative alla perequazione; il forte scarto al quale si è già accennato tra popolazione residente e la popolazione effettivamente presente nel territorio che aiuta a considerare sufficiente lo standard anche al minimo di legge; la possibilità di favorire con tempi certi e celeri la trasformazione urbana di aree rimaste inutilizzate e abbandonate a causa dei vincoli che si protraggono da decenni, affidando al privato la realizzazione di servizi e attrezzature di uso pubblico (non residenza perché non è di questo che c’è bisogno), tramite piani di utilizzazione e contratti o accordi convenzionali di scopo, ma sempre d’interesse pubblico. Per fare questo occorrerà come prima cosa verificare che per ogni zona omogenea del piano la dotazione dei servizi pubblici di legge sia soddisfatta, anche al minimo dello standard prescritto (almeno 18 metri quadrati per abitante). A tale fine si è già avuto modo di accennare alla possibilità di includere tra le aree a standard anche quei servizi (per esempio quelli sportivi) che seppur interni ad edifici scolastici o pubblici possono essere recuperati per integrarli in quei contesti urbani, nell’ottica di una economicità e ottimizzazione dell’uso delle risorse. Dopodiché occorrerà decidere quali destinazioni dare a queste aere, dopo aver valutato cos’è meglio per ogni area e per ogni contesto, in termini di fabbisogno, di configurazioni fisiche, funzionali e di rispetto ambientale. Questo potrà avvenire per tutta o per una parte dell’area liberata dal vincolo, in rapporto ai livelli di soddisfacimento dello standard di legge. Come si diceva non è poi da escludere la possibilità di ricorrere a una perequazione “leggera” caso per caso e applicata a contesti circoscritti; una procedura da intendere non come un fatto giuridico (che sostituisce una legislazione che non c’è ancora), ma come un insieme di regole snelle da inserire tra le norme tecniche di attuazione del piano che disciplinano i modi e le condizioni per ogni singolo intervento. 10. Alcune considerazioni riassuntive

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Dagli ultimi studi emerge che in Italia per i prossimi 10/20 anni il fenomeno urbano riprenderà consistenza. Alcune parti delle città collasseranno, mentre altre decolleranno, sviluppandosi sempre di più. Bisogna scegliere dove investire, in quale parte di città, perché la città è un fatto economico rilevante, che richiede investimenti. Per fare queste scelte è necessario intanto avere una buona conoscenza ed esperienza della città in cui si vuole intervenire. Ed è questo infatti il primo compito che il nuovo piano urbanistico deve proporsi per Caltagirone, e per farlo occorre che tutti siano coinvolti, non solo gli urbanisti e gli architetti, e che tutti partecipino a questo processo. Tramontata la prospettiva della costituzione della nuova Provincia del Calatino, e tramontate le Provincie stesse, almeno per la Sicilia, l’impegno più prossimo per Caltagirone è quello della costruzione del libero Consorzio tra Comuni, sulla base di appartenenze territoriali omogenee, per ripartire dal basso e poter gestire meglio, ed a minor costo, gran parte dei servizi pubblici a rete. In tal senso la territorializzazione dello sviluppo dev’essere anch’esso uno dei temi centrali che il nuovo piano dovrà affrontare e che richiede, appunto, un progetto territoriale finalizzato all’integrazione di funzioni, di risorse, di consenso. Un progetto che riconosca Caltagirone quale centro e capoluogo urbano di questo territorio e che, pertanto, impegni la nostra città a darsi un programma strategico poliennale di rinnovo e di sviluppo urbanistico. Un progetto che coinvolga ed esalti tutte le energie e le intelligenze presenti sul territorio per fare di Caltagirone una città attraente e produttrice di cultura e conoscenza, qual è stata nei secoli; una città dove l’arte e la cultura siano ricchezza che porta ricchezza, siano profumo di vita e possibilità di coltivare l’utopia, e siano idea, stile e qualità del vivere, perché oggi il bello è un’utopia indispensabile. Una città che sia la città del ricordo ed anche una coerente città del futuro, dove tutto si rinnova ma senza perdere il senso della tradizione. Dove la presenza del passato continui ad essere, com’è stato nei secoli, fattore di identità e di cultura, perseguendo quell’orizzonte che dà senso e direzione al vivere quotidiano. Una città che nello stesso tempo affronti le scommesse oggi irrinunciabili sulla strada del progresso, sui temi dello sviluppo, del lavoro, della qualità urbana, della crescita civile e che costruisca i presupposti perché possa proporsi come Città d’Europa, e perché no come uno dei “cuori” per il

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rinascimento dell’arte contemporanea euro-mediterranea; un luogo dove a un tempo si fa arte contemporanea e si attraggono gli artefici dell’arte contemporanea (non sola arte ceramica), capace di attrarre intelligenze e i nuovi flussi finanziamento. Se è questa l’ambiziosa sfida che aspetta Caltagirone per uscire dall’isolamento e per recuperare una propria identità, la sua sorte non può essere di certo delegata solo ad un nuovo piano urbanistico che deve tutt’oggi rispondere ad una legislazione urbanistica siciliana vecchia e non più al passo con i tempi delle trasformazioni urbane e dell’odierna realtà economica, sociale e materiale. Infatti, con le procedure in atto vigenti, che per l’approvazione di un piano prevedono un lungo e complesso iter burocratico, non c’è certezza che un piano possa dare i risultati assegnati e attesi. Per Caltagirone la formazione del nuovo piano, a partire già dalle Direttive generali, può allora rappresentare l’occasione per accendere l’interesse della città sul suo futuro e per scrivere una sorta di carta delle idee e dei principi fondativi che devono guidare il programma di rigenerazione e trasformazione della città, recuperando il vero significato e valore di questo strumento urbanistico: uno strumento costitutivo di beni spaziali di cittadinanza. E se assieme a questa riflessione con il nuovo piano si potrà disporre di un certo numero di progetti (di schede-progetto a cui magari far seguire concorsi di idee e/o concorsi di progettazione), permeati dalla ricerca della qualità in termini di configurazioni fisiche, di architettura e di disegno urbano, si ridurrà il rischio di interpretazione inesatta delle scelte di piano, e si assicurerà meglio il raggiungimento degli obiettivi sperati, perché essi costituiranno veri e propri piani attuativi e, nel caso, utili indirizzi per varianti di settore (il piano Gregotti lo è). Perché piano e progetti non sono due poli inconciliabili, in realtà sono inscindibili, ed è un errore separarli come è stato in passato perché mette in crisi quel principio di correlazione che è indispensabile al loro successo. Non si può pianificare senza progettare e cioè immaginare quell’evento e farlo già vivere visivamente comunicandolo agli altri, né si può progettare senza conoscere e interpretare il contesto nel quale si agisce progettualmente: non si può fare a meno né dell’una né dell’atra cosa. I contenuti della trasformazione o della rigenerazione urbana del nuovo piano devono essere quelli dello sviluppo sostenibile, che metta in relazione tra di loro diverse problematiche: ambientali, economiche, sociali e culturali. Temi come la protezione ambientale,

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l’inclusione sociale, il deficit di cittadinanza, la creatività e l’innovazione devono essere parte integrante per una nuova idea della città contemporanea. Il nuovo piano urbanistico deve sforzarsi perché Caltagirone recuperi quel ruolo che le è proprio di capoluogo del territorio del Calatino, e perché possa diventare competitiva nel panorama regionale e nazionale e, perché no, internazionale. Un piano che favorisca la costruzione di un nuovo sistema economico della città, partendo innanzitutto dalla propria tradizione e dalla propria cultura, che è seme e radice per qualsiasi ipotesi di sviluppo economico, sociale e civile. Un piano che come si diceva proietti la città di Caltagirone saldamente nel futuro, affinché possa diventare una moderna città europea. Un piano urbanistico che vada oltre il limite comunale e coinvolga gli altri Comuni, per costruire un sistema identitario del territorio del Calatino. Un piano che punti non sull’espansione, ma sull’idea di sviluppo sostenibile (più abitanti sì, ma senza estendere oltre il già esteso perimetro urbano), per favorire una crescita più ordinata e maggiori economie nell’erogazione dei servizi; una strategia cioè che tenda al punto zero, per rendere autosufficiente in termini di servizi ed infrastrutture ogni parte della città, ottenendo minori sprechi e minor inquinamento a vantaggio di un uso del tempo dei cittadini più produttivo in senso sociale, culturale ed economico. La revisione del piano dovrà pertanto essere finalizzata prioritariamente al riequilibrio del territorio urbano prevedendo l’integrazione dei servizi, delle infrastrutture e delle attrezzature necessarie per il soddisfacimento dei bisogni dei suoi abitanti, puntando con decisione alla qualità dell’insediamento urbano, sia nelle sue parti storiche che in quelle più recenti e sia nelle aree di espansione, configurandosi come un programma di riqualificazione e trasformazione urbana, che si caratterizza per il superamento delle scelte generiche a vantaggio di un’azione differenziata sul territorio: un piano di progetti qualificati capace di far vedere come la struttura urbana cambia, o può cambiare, realmente, e in tempi certi, in senso qualitativo e secondo indirizzi veramente innovativi. Un piano, come si è già riferito, che affronti e che dia risposte al sistema vincolistico degli espropri tramite un insieme di procedure di evidenza pubblica, anche di tipo perequativo, che offra a tutti opportunità d’investimento.

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Un piano che indaghi e sveli le risorse dell’intero territorio, non solo quello urbano, ma anche quello naturalistico, e dove la nuova edificazione dovrà avvenire nelle aree già previste come edificabili nel vigente piano per completarne le previsioni. Un piano dove le parti della città moderna costituiscano un grande tema di riprogettazione, per dare significato e senso ai tessuti urbani periferici privi di qualità. Un piano che preveda le necessarie infrastrutture e le aree per i grandi servizi, per proiettare Caltagirone in una dimensione sovracomunale. Un piano coordinato con gli altri strumenti di programmazione perchè sia anche un buon mezzo di offerta per una corretta strategia di marketing urbano. Ciò che serve non è un piano fatto di sole carte che rimangono in un cassetto a uso solo dei tecnici e degli specialisti, piuttosto un piano nel quale, diversamente da quello del 2004, tutta la città si riconosca perché frutto di un puntuale e concreto processo democratico e partecipativo; un piano costruito con la partecipazione di tutti e da tutti condiviso, cittadini, imprenditori e operatori economici, istituzioni. Sul versante operativo il disegno complessivo del nuovo piano deve partire dal sistema delle aree di margine recuperate e degli scenari panoramici. Perché i meccanismi di tutela e riqualificazione ambientale così innescati consentiranno di affrontare il problema della pianificazione e della rigenerazione delle aree urbane in maniera del tutto differente dall’usuale; non più basandosi su ipotesi demografiche o sociologiche spesso discutibili, ma semplicemente individuando qual è il carico urbanistico, la soglia critica entro la quale è possibile un armonico rapporto tra i processi insediativi, l’urbanizzazione e la tutela dell’ambiente In sintesi un piano di sviluppo sostenibile che deve essere costruito su tre assi strategici: la rigenerazione urbana sostenibile, la creazione di un sistema di mobilità sostenibile, la riqualificazione e la valorizzazione del centro storico e delle aree ambientali e la promozione di un turismo sostenibile. . Il raggiungimento di questi obiettivi rimanda a due questioni fondamentali su cui si è già insistito: un miglioramento delle condizioni economiche della comunità nel suo insieme ed una robusta disponibilità di risorse da destinare alla riqualificazione e rigenerazione della città e del territorio. Si tratta di due condizioni, in particolare la seconda, che per la

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congiuntura economica-finanziaria che oggi viviamo, impongono all’Amministrazione Comunale una scelta chiara, che consiste nel coinvolgere attivamente i privati nel processo di riqualificazione e rigenerazione della città. Questo si può fare con meccanismi adeguati, con una partecipazione governata dalla pubblica amministrazione, mettendo al centro il piano con le opportunità d’investimento che offre: partendo dai progetti, dal dialogo, dal valore delle cose in campo, per arrivare a contratti di concessione. Per la buona riuscita del piano, in termini di costruzione e di risultati, molto dipende, infatti, da come si affronterà quest’obiettivo fondamentale. A questo fine potrebbe tornare utile il meccanismo “perequativo” già sperimentato con buoni risultati in occasione del richiamato Programma di Recupero Urbano (PRU): infatti, per il cambio di destinazione di alcune aree da servizi pubblici (eccedenti lo standard o che avevano perso l’interesse pubblico) a servizi privati di uso pubblico (Zone “F”), il privato si è fatto obbligo, tramite un contratto di concessione, di realizzare alcuni servizi (per taluni cedendo pure le aree), e al pagamento di un contributo minimo straordinario (CMS), calcolato sulla differenza di valore che il terreno acquisiva con la variante urbanistica di destinazione. Per Caltagirone occorre però anche altro, è necessario uno slancio creativo ideale, fortemente ancorato alle potenzialità su cui si è già insistito, e alla volontà di perseguire obiettivi "alti", uscendo dal localismo e ricercando quei sostegni esterni che solo un progetto importante e credibile può ottenere. Caltagirone può aspirare a ottenere una grande attenzione regionale, nazionale, europea ed anche mondiale, se quanto c’è da fare lo si affronta per gradi, con convinzione, senza renderlo condizione unica del processo di trasformazione auspicato. Infine, com’è noto per la redazione del piano l’Amministrazione ha già incaricando il nostro Ufficio Urbanistica tramite la costituzione di un apposito Ufficio del Piano; un Ufficio che nelle intenzioni si propone di essere non solo un luogo fisico, ma soprattutto mentale, dove professionalità interne all’Ente e professionalità e competenze esterne lavoreranno assieme per elaborare le proposte e i progetti urbani da sottoporre alla Città. Partner privilegiato sarà l’Istituto di Urbanistica dell’Università di Catania con i suoi tanti studenti e giovani appena laureatesi, magari caltagironesi, ai quali si offre la possibilità di fare un’esperienza significativa.

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11. I temi principali del progetto di piano Si sono volute qui tratteggiare solo le principali questioni tra quelle sopra segnalate, con l’intento di sollecitare con la formazione del piano a un’ulteriore conoscenza del territorio, puntuale e penetrante; una sintesi che tuttavia può essere utile per rappresentare i grandi temi con i quali il nuovo piano urbanistico dovrà confrontarsi e dare risposte. Le criticità Una città che dagli anni ’80 in poi e fino ad oggi è cresciuta molto rapidamente, con una notevole occupazione di suolo a fronte di una stagnante crescita di popolazione, ottenendo così una notevole misura tra i metri quadrati di area urbanizzata occupata per abitante, che è segno di spreco edilizio e urbanistico. Un’urbanizzazione a rete (viaria, fognaria, etc.) assai estesa, che richiede alti costi di manutenzione e che in alcuni contesti e tessuti è carente in termini qualitativi e funzionali. Un’edilizia frammentata e di scarsa qualità urbana, fortemente segnata da una cospicua presenza di edilizia residenziale pubblica (Erp), che si è rivelata incapace di contribuire alla costruzione dello spazio urbano collettivo e di dialogare con la natura del luogo. Un territorio che oltre ad essere eccessivamente urbanizzato presenta una costellazione di edilizia, in buona parte abusiva, che si è propagata in maniera tentacolare nella campagna oltre la città, a volte anche distante da essa, con inevitabili conseguenze sui servizi da garantire (mobilità, viabilità, rifiuti, ecc). Un Centro Storico straordinario, con accentuati fenomeni di degrado e di abbandono (anche se è l’unica realtà che forse, seppur a fatica, cominci a invertire la fase negativa). Una situazione socio-demografica di evidente stallo e di possibile limitatissima crescita della popolazione nei prossimi anni, con prospettive di ulteriore invecchiamento della popolazione. Una realtà economica monofunzionale e in forte affanno, con gravi perdite di posti di lavoro in tutti i settori, specialmente in quello delle costruzioni che tenderà ad acuirsi nei prossimi anni, e tuttavia con buone potenzialità nei settori del terziario, del turismo legato alla cultura, dell’artigianato, dell’agricoltura innovativa, della piccola industria tecnologicamente avanzata, e del direzionale.

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Un patrimonio artistico, culturale e monumentale di grande valore che attende di essere valorizzato in se e ancor più divenendo parte di un contesto più ampio e organizzato in rete che comprenda territori e città d’arte di questo versante della Sicilia. Un equipaggiamento di servizi e attrezzature ancora insufficienti per il rilancio dell’economia e del turismo, mentre quanto già c’è, non fa ancora “rete” e porta i segni della provvisorietà nel rapporto tra manufatto e destinazione. Un territorio esteso denso di storia e di valori ambientali e paesaggistici straordinari tuttora poco o per niente valorizzato. Una mobilità caotica e invasiva che mina l’attrattività e l’accoglienza che la città deve esercitare e offrire. Gli obiettivi Il sistema economico di Caltagirone deve diventare uno dei temi centrali del nuovo piano. L’arresto dell’espansione urbana (si dovrà ridefinire il margine del centro urbano, mediante la sua perimetrazione, che dovrà anche svolgere la funzione di riequilibrare una città che si è molto allungata verso sud). La riqualificazione e la rigenerazione della città esistente e contemporanea (si dovrà puntare alla ridefinizione e omogeneizzazione delle periferie mediante l’adozione di un disegno riconoscibile e legato alla struttura urbana esistente e con la previsione d’infrastrutture e servizi adeguati; ogni zona dovrà essere indagata in maniera puntuale e definita nei dettagli, riducendo così le superfici dei comparti con la definizione degli isolati). La valorizzazione ambientale e dei "segni" storici del territorio. La valorizzazione del patrimonio storico della città e del suo centro antico. Una mobilità urbana sostenibile che riduca l’uso delle automobili a favore di mezzi alternativi (bus-navette, bici, ecc), e di una pedonalità accettabile. Un più robusto e organico equipaggiamento dei servizi e delle attrezzature, specialmente quelli di livello urbano e aperte al territorio. Il percorso progettuale di formazione del piano Per la realtà contingente che Caltagirone oggi vive il percorso che si suggerisce per la formazione del nuovo piano, è di tipo “tentativo”: un metodo che partendo dalle condizioni date, di territorio, di realtà socio-economica e politico-amministrativa, sia in grado

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di scandagliarle a fondo e che tenti di darvi più risposte, più soluzioni, ricercando quella più appropriata, quella più ragionevolmente e concretamente possibile. A questo fine si segnalano alcune delle “tappe” che il progetto del nuovo piano non può eludere nel suo iter formativo per un sufficiente processo conoscitivo. La genesi del processo formativo della città fisica. Il riconoscimento delle valenze ambientali e paesaggistiche del territorio. L’analisi dei problemi di funzionamento del sistema infrastrutturale. L’identificazione dei bisogni in termini di servizi e grandi impianti urbani. L’identificazione dei caratteri costitutivi della morfologia urbana (la città per parti), che dovrà dar luogo a una normativa specifica dell’esistente, area per area, in modo da garantire processi di rinnovo, di riqualificazione, di mantenimento. L’identificazione dei tessuti urbani trasformabili e dei tessuti consolidati, non modificabili. La dislocazione “tentativa” dell’equipaggiamento del piano, per i principali servizi e attrezzature. La compilazione di progetti preliminari nelle aree trasformabili (schede-norma), che partendo dai bisogni di infrastrutturazione e rigenerazione urbana, siano in grado di "sondare" i luoghi, interpretandone le particolarità e le valenze, e di stabilire gli aspetti normativi del progetto, il rapporto pubblico-privato, le cessioni dal privato al pubblico, le condizioni morfologiche dell’intervento. L’identificazione delle valenze ambientali e paesaggistiche del territorio, tale da poter pervenire a un progetto ambientale che potrà innervare di se l’intero contenuto del nuovo piano urbanistico, e assumere pertanto il valore di scelta strutturante. 12. Il procedimento di legge per la formazione e l’approvazione del piano La procedura è quella prevista dalle leggi regionali n.71 del 27.12.1978 e n. 15 del 30.04.1991, e dalla circolare D.R.U. n. 2 del 2000 con la quale l’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente ha emanato gli indirizzi riguardo all’applicazione della sopra citata legge 15/91 per la formazione degli strumenti urbanistici generali e attuativi. Le istruzioni per la documentazione necessaria per la formazione del piano e per la successiva trasmissione alla Regione (numero e tipologia degli elaborati, numero di copie, pareri, attestazioni, pubblicazioni,

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avvisi, ecc) sono state dettate invece dalla circolare n. 2 del 25.09.1998. La stessa circolare e i successivi aggiornamenti dettano pure le indicazioni per la compilazione dello studio geologico generale e quello agricolo-forestale; studi entrambi propedeutici allo schema di massima e da redigere in parallelo alla VAS di cui si dirà appresso. Le diverse fasi di formazione del piano in ambito comunale sono rese sinteticamente di seguito. 1. Le Direttive. Il primo atto è la Delibera Consiliare di adozione delle direttive generali da osservarsi nella stesura del piano. La delibera dovrà essere corredata da un’apposita relazione redatta dal competente Ufficio Urbanistica Comunale. Il consiglio comunale, oltre alla relazione dell’Ufficio, potrà altresì acquisire suggerimenti e indicazioni mediante conferenze con le forze culturali, sociali, sindacali, imprenditoriali e produttivi locali, che, perché operanti nell’ambito del territorio comunale, sono direttamente interessate alle scelte di pianificazione che il comune andrà ad adottare. Ovviamente, dati i tempi assegnati dalla legge n.15 per la formazione dei piani regolatori generali e quelli finora già trascorsi, e necessario che tale procedura sia svolta in tempi brevi. La delibera oltre che dalla proposta formulata dall’Ufficio dev’essere munita del parere favorevole riguardo alla regolarità e sotto il profilo di legittimità, resi rispettivamente dal Responsabile del Servizio e dal Segretario Comunale. La delibera deve contenere, infine, la certificazione del Segretario Comunale circa la data d’inizio della pubblicazione, dell’avvenuta pubblicazione all’Albo Comunale, e la presentazione di eventuali opposizioni. Unitamente alla delibera dovranno essere trasmesse le opposizioni eventualmente presentate contro l’atto. 2. La VAS. Il secondo atto è l'avvio della procedura riguardante la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) introdotta da una normativa comunitaria, segnatamente la Direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27/06/2001 che afferma all’art. 4 comma 1: ” La valutazione ambientale di cui all'articolo tre deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma e anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa.”.

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Il Dlgs n 152/2006, che recepisce la direttiva 2001/42, afferma inoltre nell’art. 4 comma 3: ” La procedura per la valutazione ambientale strategica costituisce, per i piani e programmi sottoposti a tale valutazione, parte integrante del procedimento ordinario di adozione e approvazione. I provvedimenti di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono nulli”. Affinché il nuovo piano sia “adottabile e attuabile”, è necessario che sia sottoposto a “Valutazione Ambientale Strategica”. La VAS (Valutazione Ambientale Strategica) rappresenta uno strumento per l’integrazione delle considerazioni ambientali nella pianificazione, per sviluppare la comprensione degli effetti ambientali degli interventi programmati, per incrementare la razionalità delle decisioni e per favorire iter trasparenti e partecipativi, coerentemente con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delineati con le Strategie di Lisbona e di Göteborg. Può essere,quindi,definita come un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte – politiche, piani o iniziative nell’ambito di programmi – ai fini di garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti, affrontate in modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale e poste sullo stesso piano delle considerazioni di ordine economico e sociale. L’Articolo uno della Direttiva 2001/42/CE in materia di VAS definisce, infatti, l’obiettivo di "garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile". Per “valutazione ambientale” s'intende l'elaborazione di un rapporto concernente l’impatto sull’ambiente conseguente all’attuazione di un determinato piano o programma da adottarsi o da approvarsi, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del rapporto ambientale e dei risultati delle consultazioni nell'iter decisionale di approvazione di un piano o programma e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione (D.L.vo 152/06 e s.m.i art.5, comma 1, lettera “a”). La Regione Sicilia finalmente ha chiarito con Circolare del 12 giugno 2012, n.3/DRU/2012 che " nell'ordinamento regionale l'adozione e l'approvazione di strumenti urbanistici richiede la Valutazione Ambientale Strategica di cui al decreto legislativo n.4 del 16.01.08".

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E' stata cosi abrogata, con la legge regionale n.26 del 9 maggio 2012 art.41, la legge regionale del 6/2009 art.59 che era stata sottoposta a censura da parte della Comunità Europea, perché in contrasto con la Direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo. La VAS, quindi, è uno strumento che accompagna fin dall’inizio tutto l’iter del PRG, e ne costituisce una parte integrante del procedimento di adozione e approvazione. E' chiaro, infatti, che l’applicazione del procedimento di VAS a un piano già definito e giuridicamente formato attraverso l’adozione e l'esame delle osservazioni da parte del Consiglio comunale svilisce il ruolo della VAS, riducendola a uno strumento di verifica, il più delle volte formale e privo di reale efficacia e fa venir meno il suo contributo d’innovazione metodologica nella costruzione dei processi di pianificazione. Ed è del tutto evidente, anche sotto l’aspetto giuridico e delle responsabilità personali, che in assenza della VAS il Consiglio Comunale si troverebbe a esprimersi su un atto che a quella data non è completo, perché suscettibile di modifiche e cambiamenti dovuti proprio all’acquisizione successiva della VAS. Pertanto prima della delibera di adozione dello schema di massima si dovrà avviare il procedimento di VAS. Poiché la Regione Siciliana a oggi non si è ancora dotata di una propria norma in materia di VAS, il “PRG” in questione dovrà seguirà l’iter procedurale del D.L.vo n. 4 del 16.01.08 e s.m.i., il quale prevede le seguenti fasi: l’elaborazione del rapporto preliminare e del rapporto ambientale (art. 13); lo svolgimento di consultazioni (art. 14); la valutazione del rapporto ambientale e gli esiti delle consultazioni (art. 15); la decisione (art. 16); l’informazione sulla decisione (art 17); il monitoraggio (art. 18). 3. Lo Schema di massima. La terza fase è la Delibera Consiliare delle determinazioni sullo schema di massima. La delibera dovrà essere corredata dalla proposta e dai pareri come previsti per la delibera sulle Direttive e dovrà contenere la stessa certificazione del Segretario Comunale. Unitamente alla delibera saranno trasmesse alla Regione le opposizioni eventualmente presentate avverso l’atto a seguito della sua affissione all’Albo Comunale. Mentre non è più certo che oltre

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alla deliberazione vadano trasmessi pure gli elaborati dello schema di massima; da alcuni recenti pronunciamenti dei competenti uffici regionali per piani di altri Comuni sembrerebbe di no. 4. L’adozione del Piano. Il quarto momento è la Delibera Consiliare di adozione del Piano Regolatore Generale, delle Prescrizioni Esecutive e del Regolamento Edilizio Comunale. La delibera dovrà anch’essa essere corredata dalla proposta e dai pareri indicati per la delibera sulle Direttive e, analogamente, dovrà contenere la certificazione del Segretario come per le fasi precedenti. La richiamata circolare n. 2 del 25.09.1998, alla quale si rimanda, prevede poi gli ulteriori e obbligatori adempimenti a carico del Comune per la trasmissione del piano alla Regione, anche quelli per la procedura riguardante le opposizioni e le osservazioni al piano: avvisi, pubblicazioni, certificazioni, parei, ecc. Per i Comuni sismici, com’è Caltagirone, occorre il parere reso dall’Ufficio del Genio Civile sulla compatibilità delle previsioni del Piano Regolatore Generale con le condizioni geo-morfologiche del territorio; tale parere è preventivo e pertanto dev’essere acquisito prima dell’adozione del piano. 5. Le opposizioni e le osservazioni. La fase dell’adozione del piano si completa con la Delibera Consiliare di controdeduzioni sulle osservazioni e opposizioni che dovrà essere corredata del parere e dall’attestazione come per gli altri atti.

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Appendice

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L’elenco delle varianti urbanistiche 1. Variante art. 44 delle NTA (approvata con decreto regionale); riguarda la modifica di alcuni parametri urbanistici per le Zone “C3”. 2. Variante cimitero di Granieri (approvata in attesa dell’emissione del decreto regionale); riguarda la traslazione dell’area cimiteriale). 3. Variante Via Gela (approvata con decreto regionale); riguarda la variante di un’area in Zona A2.4, tessuti urbani di margine, in area per servizi pubblici di quartiere, in scuola materna. 4. Variante Cusmano (approvata in attesa di decreto regionale); riguarda l’esecuzione della sentenza del Tars n.1662/2007 di modifica dell’area a parcheggio in Zona “B1” e sede stradale. 5. Variante Coop. Serena (proposta accantonata e sostituita con quella prevista con il piano delle alienazioni); riguardava il cambio di destinazione da verde sportivo pubblico ad area per edilizia residenziale pubblica, Erp. 6. Variante zona “B3 (adottata dal Consiglio Comunale, in fase d’istruttoria da parte dell’ARTA); riguarda la modifica dell’art. 40 delle norme tecniche di attuazione per consentire l’edificazione nelle aree libere della Zona “B3”. 7. Variante art. 18 Regolamento Edilizio e art. 13 Norme Tecniche di Attuazione (adottata dal Consiglio Comunale e trasmessa all’ARTA, ritirata per carenza di documentazione e motivazioni); riguarda la modifica di alcuni parametri urbanistici relativi alle pertinenze.

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8. Modifica art. 89 punto 2 Regolamento Edilizio (adottata dal Consiglio Comunale in attesa di procedere alla pubblicazione); riguarda la modifica dell’altezza utile interna per i locali a piano terra in zona “A2”. 9. Variante Piano di Recupero via Cavallitti e via Pisciaro(adottata dal Consiglio Comunale, in fase di istruttoria da parte dell’ARTA); riguarda il piano di recupero per detta area ai sensi della legge 457/78. 10. Variante Parcheggio Santo Stefano del tracciato stradale di accesso al parcheggio (approvata con decreto regionale). 11. Varianti per le aree in zona agricola destinate a nuovi edifici o all’ampliamento di quegli esistenti a favore dei nuclei familiari con presenza di componenti affetti da grave disabilità motoria permanente (zone C6). 12. Variante “Piazza Gagini-CasaSturzo” (in istruttoria); riguarda la variazione di destinazione della piazza a zona “F23” per museo. 13. Variante esatta localizzazione della sede stradale di via Fisicara (adottata dal Consiglio Comunale in attesa di procedere alla pubblicazione); riguarda il corretto riposizionamento cartografico di detta Via. 15. Variante via Carlo Alberto dalla Chiesa (in istruttoria); riguarda la previsione di prolungamento di detta Via fino alla Via Magellano. 16. Varianti contenute nel piano delle alienazioni (varianti dalla n° 1 alla n° 7, comprese nella Delibera di C.C. n° 20 23.05.2011): variante n° 1 - non approvata dall’ARTA, - ubicazione-Contrada Romana, - censito in catasto al foglio n° 160 Particelle n° 10-200-275-461-462, - superficie disponibile complessiva mq 14.191, - destinazione attuale-Scuola dell’Obbligo (PRU), - destinazione prevista-C4 Aree di espansione per l’edilizia pubblica convenzionata; variante n° 2 - non approvata dall’ARTA, - ubicazione-Via Madonna della Via e Via Pirandello,

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- censito in catasto al foglio n° 109 Particelle n° 1359-1360-1046-1047-1326-1323-1301-1228- 976, - superficie disponibile complessiva mq 4.144, - destinazione attuale-Verde Sportivo, - destinazione prevista-Area per impianti di distribuzione carburanti e per servizi annessi; variante n° 3 - non approvata dall’ARTA, - ubicazione-Via Madonna della Via e Via Magellano, - censito in catasto al foglio n° 109 Particelle n° 955-760, - superficie disponibile complessiva mq 6.272,00, - destinazione attuale-Verde Sportivo, - destinazione prevista-C4 Aree di espansione per l’edilizia pubblica convenzionata; variante n° 4 - approvata con decreto, - ubicazione-Contrada Molona, - censito in catasto al foglio n° 43 Particelle n° 172, - superficie disponibile complessiva mq 38.471, - destinazione attuale-F22 Attrezzature Annonarie - destinazione prevista-D2.1 Aree per attività commerciali ed artigianali; variante n° 5 - non approvata dall’ARTA, - ubicazione-Via degli Oleandri - censito in catasto al foglio n° 138 Particelle n° 47-48-50-299-121, - superficie disponibile complessiva mq 51.544, - destinazione attuale-F17 Attrezzature sociali e assistenziali, - destinazione prevista-C4 Aree di espansione per l’edilizia pubblica convenzionata; variante n° 6 - non approvata dall’ARTA, - ubicazione-Viale Europa, - censito in catasto al foglio n° 109 Particelle n° 1173, - superficie disponibile complessiva mq 2.990, - destinazione attuale- Attrezzature Civiche, - destinazione prevista-B2 Aree sature di recente edificazione;

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variante n° 7 - approvata con decreto, - ubicazione-Via Pietro Novelli, - censito in catasto al foglio n° 110 Particelle n° 511, - superficie disponibile complessiva mq 1.800, - destinazione attuale-Scuola Media, - destinazione prevista-Attrezzature per il culto.