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GESTIONE DELLE COMPETENZE: COME E PERCHÉ?
Ferdinando MaraschiniUniversità di Udine
1. CONCETTI DI COMPETENZA, STRUMENTI ANALITICI E STRUMENTI GESTIONALI:
UN PROBLEMA DI COERENZA
Il successo della nozione di "competenze" si è accompagnato a un uso estensivo ed
eclettico e a "una sovrapproduzione di modelli e di approcci" (Grandori, 1999).
Non è obiettivo di questa nota contribuire a una migliore definizione della nozione di
competenze, che anzi può trovare la sua "ricchezza e per conseguenza utilità" proprio
nel "suo voler dire e poter significare molte cose diverse" (Maggi, 2001). Non è
specifico obiettivo della nota neppure quello di discutere i limiti concettuali della
nozione di competenze come prevalentemente viene utilizzata.
Il punto di vista qui assunto è quello della "gestione" delle competenze, cioè degli
obiettivi e delle modalità degli interventi gestionali che si rifanno alla nozione di
competenze. L'attenzione è posta quindi soprattutto sugli strumenti (analitici e
operativi), sulla loro natura, sul loro impiego e sulla loro efficacia. La constatazione da
cui partiamo è che, invece, in materia di competenze, non si è fatta sufficiente
attenzione proprio alla questione cruciale della coerenza fra gli obiettivi, i concetti e gli
strumenti utilizzati.
Data la pluralità (e la confusione) degli approcci, una riflessione sui possibili "usi"
gestionali del concetto e del metodo delle competenze deve rimettere in discussione
1
l'unitarietà della nozione stessa di "gestione delle competenze", non tanto per ragioni
teoriche, ma proprio perché fondamentalmente diverse sono le aree di intervento in cui
si fa ricorso a qualche nozione di "competenza". In luogo di una pretesa definizione
unitaria, è quindi essenziale evidenziare la varietà degli ambiti e degli obiettivi
manageriali (o anche scientifici) a cui è finalizzata l'analisi delle competenze.
1.1. Le diverse aree problematiche
E' possibile innanzitutto distinguere le varie aree problematiche in cui più spesso si
ragiona in termini di competenze, muovendo però da esigenze diverse.
1.1.1.Competenze come idoneità delle persone rispetto alle attività
Parlando di "idoneità delle persone" è innanzitutto evidente il riferimento alle
problematiche di selezione. Anche altri problemi tipici di gestione del personale
possono essere visti nella stessa logica, in quanto contenenti, in modo più o meno
evidente, un riferimento a qualità personali che segnalano "attitudine": valutazione del
potenziale, innanzitutto, e poi sentieri di carriera, problemi di formazione e di sviluppo
e altro.
1.1.2.Competenze come apporto o contributo della persona
Fondamentalmente diversa deve essere considerata ogni logica che faccia riferimento
alle competenze come criterio rilevante per la gestione della relazione di lavoro nella
sua dimensione di scambio (contributi vs. incentivi). La discriminante fra l’una e l'altra
logica è costituita dall'entrata in gioco della retribuzione. Più in profondità, la
differenza appare segnata dalla crescente difficoltà a tenere ferma una netta distinzione
fra "persona" e "attività", fra ciò che la persona apporta di per sé e ciò che le è richiesto
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dall'organizzazione. Il nodo da sciogliere è allora quello fra posizione, prestazione e
competenza, come concetti concorrenti nel definire-valutare-misurare l'apporto
dell'attore.
1.1.3. Competenze come "patrimonio" dell'organizzazione
Ancora sostanzialmente diversi vanno considerati gli approcci che arrivano all'analisi
delle competenze intendendole come risorse cognitive dell'organizzazione, nelle diverse
possibili valenze di investimento da effettuare o di capacità da sviluppare-valorizzare-
utilizzare.
In questo senso, l'area di intervento definita come "gestione delle competenze" tende a
identificarsi con la salvaguardia e lo sviluppo del patrimonio cognitivo
dell'organizzazione. Il centro dell'attenzione si sposta quindi su "competenze"
tipicamente "organizzative", mentre il riferimento alle qualità personali e alle
prestazioni professionali resta rilevante solo indirettamente, in chiave strumentale.
Questa eterogeneità di oggetti e di livelli di intervento impone di per sé una questione di
congruità di metodi e strumenti. Data la varietà degli oggetti considerati, i "metodi delle
competenze" non possono che essere numerosi e differenziati quanto i nodi
problematici con cui le analisi e gli interventi si confrontano. Sembra però opportuno
integrare questa prima griglia richiamando anche altri due ambiti problematici, che
fanno entrambi riferimento al cambiamento organizzativo, osservato però da prospettive
opposte:
- frequentemente si è fatto ricorso al "metodo delle competenze" per gestire situazioni
di cambiamento e di ristrutturazione, come valore unificante e come principio guida
di complessi interventi organizzativi;
3
- le competenze, d'altra parte, sono spesso divenute sinonimo di un modello
organizzativo emergente ("basato sulle competenze", appunto) o sono state utilizzate
per indagare l'evoluzione delle forme organizzative nella transizione verso
un'economia della conoscenza (Camuffo, 1998; Comacchio, 1999).
1.2. Strumenti di analisi e di gestione delle competenze
Per valutare la congruità e l'appropriatezza degli strumenti utilizzati nell'analisi delle
competenze, occorre preliminarmente esplicitare le dimensioni più rilevanti per
caratterizzare in un senso o nell'altro qualsiasi metodologia di analisi o di intervento:
- un primo ordine di considerazioni ovviamente rilevante è quello del rapporto
costi/benefici: costi, in senso lato, significa anche tempi, difficoltà di impiego,
esperienza e capacità professionali richieste, controindicazioni di varia natura;
quanto ai benefici, occorrerà chiedersi quali variabili lo strumento consente di
cogliere, e in che misura, rispetto ad altri strumenti più o meno onerosi.
- Considerando più specificamente gli strumenti di raccolta e di elaborazione delle
informazioni sulle competenze (test, interviste, ecc.), assumono importanza
sostanziale molte altre questioni solo apparentemente tecniche. Ogni strumento, per
sua natura, è predisposto a rilevare certe informazioni piuttosto che altre; usando
strumenti analitici diversi, quindi, sto in realtà indagando competenze diverse.
- Ogni strumento, infine, si porta dietro il quadro teorico in cui è stato concepito.
Occorre quindi consapevolezza delle categorie che si stanno "usando", del quadro in
cui ci si muove, degli assunti impliciti e soprattutto delle dimensioni della realtà che
resteranno (quasi per definizione) ignorate. Perché è stato creato il (un) metodo delle
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competenze? In quale ambito disciplinare? Fissare "paletti" di questo genere è
necessario per evitare di usare gli strumenti per obiettivi che sono fuori dalla loro
portata.
Una ricerca empirica sulla "gestione delle competenze" dovrebbe quindi procedere con
la selezione e valutazione di esperienze significative, osservando gli strumenti utilizzati,
in funzione degli obiettivi specifici. In questa sede, pur utilizzando molti spunti offerti
dalla "pratica", si farà schematicamente riferimento a un caso esemplare e al modello
teorico più diffuso (assunto come stereotipo di gestione "competency based"), cercando
di "smontare" il modello nelle sue categorie logiche e di valutare l'utilizzabilità dello
strumento concettuale a fronte delle diverse possibili aree di analisi e di intervento.
2. UN CASO ESEMPLARE
2.1. CESAP spa (Centro studi, analisi e prove) si è storicamente costituita come
struttura di supporto tecnologico al servizio di un grande gruppo a partecipazione
statale1.
Nel suo sviluppo, l'attività di CESAP ha assunto una configurazione molto articolata:
- sia per aree tematiche di ricerca;
- sia per fasi/livelli, dalla ricerca di base allo sviluppo e alla gestione di impianti
pilota, a interventi di consulenza e di servizio alle altre società del gruppo;
- sia infine per dislocazione territoriale delle unità operative.
L'organico complessivo si avvicina alle duemila unità. Il livello di specializzazione è
molto elevato (oltre il 60% di laureati). Elevata anche l'esperienza specifica (anzianità
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aziendale e di ruolo e livelli formali di qualificazione).
Per certi aspetti CESAP può essere inteso come una costellazione di centri di eccellenza
tecnologici, molto focalizzati, ciascuno dotato di solide connessioni sia con i
committenti sia anche con la comunità scientifica. Frammentazione e stabilità
connotano quindi la struttura complessiva.
Negli anni 90, i processi di ristrutturazione dell'universo delle partecipazioni statali
coinvolgono anche la realtà CESAP. Lo scorporo di alcune unità, il blocco e il
ridimensionamento degli organici sono il segno più evidente di una condizione di
incertezza profonda. La contrazione del mercato captive impone una ridefinizione delle
strategie e degli ambiti di attività, in direzione sia della ricerca pubblica, sia di
un'attività "di mercato", su commessa, con vincoli nuovi di tempi/costi/qualità.
Le modalità di gestione consolidate (fortemente decentrate, "omeostatiche" e
"garantiste") non si adattano a una prospettiva di riconfigurazione complessiva, in cui
sono in discussione non solo priorità e prospettive delle diverse linee di ricerca, ma
anche la sopravvivenza/riconversione di ciascuna unità (nonché ovviamente
l'organigramma, che assume un significato particolare in questo caso, trattandosi
appunto di una costellazione di mondi fortemente autoriferiti e autoorganizzati).
Data la natura delle attività, il cambiamento organizzativo in CESAP si prospetta
innanzitutto come cambiamento nella gestione delle risorse umane ("... la governabilità
delle organizzazioni knowledge intensive passa attraverso ... forme di coordinamento
[lontane dal] modello gerarchico funzionale ... Compito del manager è innanzitutto
quello di predisporre condizioni propizie alla valorizzazione delle R.U."). Con il
supporto della consulenza, la funzione del personale mette quindi allo studio un
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"Progetto di sistema di gestione e sviluppo delle R.U." in cui, fin dall'inizio, si assume
come tema centrale la valorizzazione delle competenze ("scopo finale è quello di
selezionare, diffondere, sviluppare e premiare le competenze utili al successo
dell'organizzazione").
2.2. Come risulta dalla cospicua e accurata documentazione del progetto2, dentro
l'ipotesi unificante di valorizzazione delle competenze sono però consapevolmente
contenuti e intrecciati profili e problemi differenti.
2.2.1. In primo luogo si tratta di identificare la natura del cambiamento (innanzitutto
culturale) che si prospetta e la natura dei comportamenti (competenze) che dovranno
essere sviluppati/valorizzati per farvi fronte, attingendo alle esperienze pregresse ma
adeguandosi a criteri gestionali diversi dal passato.
L'obiettivo di fondo è quello di riattivare le capacità di "autosviluppo" delle persone,
determinanti in un ambiente caratterizzato da capacità professionali elevate e articolate
e da diffusa autoregolazione delle attività. A fronte della situazione di incertezza e di
crisi, l'ipotesi è che un atteggiamento attivo possa essere recuperato creando le
condizioni propizie:
- "esplicitando con chiarezza quelle che sono le aspettative dell'azienda";
- rendendo disponibili occasioni e strumenti di sviluppo delle competenze;
- responsabilizzando il management sulla valutazione e lo sviluppo delle risorse.
2.2.2. Contemporaneamente è urgente rimettere mano ai sistemi istituzionalizzati di
riconoscimento delle capacità professionali, in particolare al sistema di inquadramento:
struttura del sistema di qualifiche, regole di incentivazione e mobilità professionale,
procedure di valutazione.
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Nella fase precedente, il sistema di inquadramento aveva assunto caratteri fortemente
garantisti: estesa contrattualizzazione, prevalenza di automatismi, negoziazione
aggregata dei riconoscimenti professionali (per categorie, contingenti, erogazioni
medie, ecc.). Nei limiti consentiti da un sistema di relazioni industriali che risente di
modelli tipici della ricerca pubblica, l'obiettivo è quello di fissare criteri di valutazione
meno formalistici (più articolati nei contenuti e più aderenti alle caratteristiche
personali e ai contributi individuali) e di ricreare spazi e procedure di valutazione in cui
risulti centrale la responsabilità del management.
2.2.3. L'ampiezza dei processi di riconversione avviati in CESAP richiede infine una
visione aggregata delle risorse professionali esistenti e dei loro impieghi attuali e
prospettici.
Ciò significa innanzitutto impostare un sistema informativo adeguato, ricombinando
basi di dati e software esistenti in una logica unitaria, orientata a permettere il confronto
fra "competenze disponibili” e “fabbisogni”, al servizio di processi decisionali collocati
sia a livello direzionale (ipotesi strategiche, simulazioni alternative) sia a livello
gestionale (impegni, coperture).
2.3. L'intervento sulle competenze in CESAP si sviluppa nell'arco di alcuni anni,
promosso e monitorato dall'alta direzione, combinando risorse interne e esterne e
combinando momenti di analisi a momenti operativi. La complessità dell’intero
processo di cambiamento organizzativo e i suoi esiti vanno oltre l'orizzonte di questa
nota. Limitandosi all'uso che viene fatto del concetto di competenze e agli strumenti
predisposti, sono riconoscibili almeno tre momenti.
2.3.1. Nell'anno 1, parallelamente ai molti interventi di tamponamento delle
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emergenze, il massimo investimento è rivolto all'individuazione di un modello di
"competenze distintive" che possa essere assunto come base del nuovo corso.
Gli strumenti analitici per l'indagine sulle competenze, in questa prima fase, sono
prevalentemente quelli desunti dalla teoria più ortodossa (à la Boyatzis):
- riferimento ai superior performers, uso di BEI e Repertory grid;
- competenze come caratteristiche delle persone e come dinamiche di comportamento
(ben distinte dalle conoscenze specialistiche e dai compiti, attuali o pregressi);
- orientamento primario allo sviluppo (selezione e formazione)3.
Per altri versi, la distanza dell'esperienza CESAP dal metodo ortodosso (à la Boyatzis)
si rende già evidente nel quadro generale dell'intervento, soprattutto nel riferimento
dell'analisi non alla specificità dei "job", ma agli orientamenti strategici generali
perseguiti e al cambiamento culturale prefigurato ("Contenuti del modello di
competenze che individuano comportamenti organizzativi coerenti con la strategia del
cambiamento ... Modello di competenze come elemento centrale per il riorientamento
della cultura organizzativa"). Di conseguenza:
- sono "distintive" le competenze riferibili alle "aree di eccellenza", o comunque
strategicamente prioritarie (core) per l'impresa;
- il modello di competenze è fondamentalmente unico, non molto articolato in
indicatori specifici o differenziato (per linee di attività, livelli, ecc.)4;
- nel modello di competenze individuato sono largamente presenti i "valori" comuni
(proxy dell'adesione e del coinvolgimento nel cambiamento), seguiti dai
"comportamenti organizzativi" (pure sostanzialmente comuni in quanto sono
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l'antitesi della precedente situazione di frammentazione e di autoreferenza) e infine
da competenze/”know how”, tendenzialmente predittive di risultati superiori in
particolari attività/posizioni.
Il modello di competenze così concepito è in qualche misura anche un manifesto
programmatico, privilegia la formulazione di una linea guida sull'analisi di requisiti
contingenti, e (coerentemente) si fonda in larga parte sugli orientamenti strategici e
organizzativi del management piuttosto che su procedimenti induttivi (sui job).
Sempre nell'anno 1, l'inserimento in CESAP di un pacchetto significativo di nuovi
tecnici e ricercatori (10% sull'organico) diviene l'occasione per sperimentare il modello
delle competenze come strumento gestionale: il piano di formazione sviluppato per
l’inserimento dei neoassunti evidenzia infatti caratteri innovativi nei contenuti
(competenze distintive individuate), e anche nei processi di apprendimento e di
accompagnamento (modalità didattiche, tutorship, ecc.).
2.3.2. Nell'anno 2 vengono a maturazione impegni contrattuali pregressi relativi
all'inquadramento (classificazione, passaggi, ecc.) e quindi alla definizione e
valutazione delle competenze espresse. I contenuti degli interventi sull'inquadramento
sono in larga misura vincolati dagli accordi, e così i criteri e le procedure decisionali.
Parallelamente agli interventi vincolati, il management CESAP decide però di
procedere da subito anche ad avanzamenti legati alla valutazione delle capacità
individuali. In questo spazio, contrattualmente definito e regolato ma relativamente
1Alcuni elementi anagrafici sono stati modificati nella stesura del caso.2Da cui sono tratte le precedenti e successive citazioni.3La distinzione fra i diversi possibili impieghi del metodo delle competenze non emerge in modo chiaro dalle enunciazioni di intenti, ma è esplicita e consapevole nelle indicazioni applicative.4Certamente è anche questione di onerosità delle analisi (che sono in parte rinviate a tempi migliori), ma è innanzitutto una scelta esplicita di politica del cambiamento: incisività, priorità chiave, valori comuni, ecc.
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discrezionale, il management decide di fare uso anche dell'analisi sviluppata sulle
competenze distintive, sia pure solo a complemento dei criteri tradizionali.
Nella valutazione a tappeto di tutto il personale, la scheda di valutazione delle
prestazioni è affiancata da una scheda di rilevazione individuale che riproduce
puntualmente il modello già individuato di 11 competenze. La rilevazione delle
competenze intende arricchire il processo di valutazione (e comprende momenti di
sensibilizzazione e formazione dei valutatori), ma non assume rilievo diretto per le
proposte di avanzamento (il possibile inquinamento fra performances e competenze è
avvertito come rischio).
Con intenti di semplificazione, per l'utilizzo del modello delle competenze entro una
procedura generalizzata di valutazione del personale, vengono adottati criteri operativi
che hanno implicazioni significative sull'impiego dello strumento:
- le competenze rilevate sono le stesse, attraverso tutte le differenti aree professionali;
- la valutazione delle competenze individuali è rimessa al giudizio dei superiori;
- per ogni competenza la misurazione è riferita a una scala ordinale su quattro livelli
(grosso modo: negativo, sufficiente, buono e eccellente), con implicito riferimento
ad attese relative a quella posizione, piuttosto che a standard predefiniti e
confrontabili;
- l'omogeneità dei criteri di giudizio è perseguita esplicitando una distribuzione media
attesa dei giudizi (10/40/30/20) e un successivo intervento di "armonizzazione".
I risultati dell'abbinamento della rilevazione delle competenze alla valutazione delle
prestazioni si prestano, ex post, a considerazioni di segno diverso:
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- considerazioni positive per quanto riguarda l’arricchimento del processo valutativo,
in cui le competenze hanno contribuito, come negli intenti, a stimolare la riflessione
sui punti di forza e di debolezza relativi a ciascun valutato ( in questo senso la
rilevazione non ha determinato reazioni negative, né del personale, né del sindacato);
- ampie riserve sull'attendibilità complessiva della rilevazione in termini di
misurazione delle competenze: la distribuzione delle misure rispecchia quella tipica
dei giudizi di "merito" (85% fra buono e eccellente); le differenze di competenze
medie rilevate non sembrano comunque rispecchiare "oggettivamente" la natura
specifica dei vari ruoli, ma risultano influenzati da altre variabili, con esiti aggregati
contraddittori.
Un'ulteriore applicazione (più limitata, ma anche più spinta e più problematica) del
modello di competenze come strumento di valutazione/ricompensa viene sperimentata
coinvolgendo un assessement center in un processo di selezione interna ai fini del
previsto passaggio di alcuni tecnici alla categoria superiore. Il riferimento rigoroso alle
competenze distintive (e non al cursus honorum) come indicatore di prestazioni
superiori manifesta in questo frangente un effetto quasi sovversivo, forse non messo in
conto e comunque difficilmente gestibile.
2.3.3. Con il progressivo maturare in CESAP di nuove linee di azione, con il parallelo
consolidarsi di un nuovo gruppo dirigente, nell'anno 3 il tema delle competenze viene
proiettato sui progetti di ristrutturazione e sui futuri impegni della società.
Riprende quindi slancio il progetto di analisi delle competenze, ma stavolta in chiave
più quantitativa, di "censimento" del patrimonio di risorse professionali presente in
CESAP e di proiezione sui "fabbisogni". Il disegno perseguito in realtà è più
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complesso, perché si tratta anche di valutare la criticità/unicità delle competenze, o al
contrario le duplicazioni, il loro impiego più o meno efficiente, le possibili emorragie e
i processi di riproduzione delle competenze esistenti. L'ottica essendo comunque non di
individuazione e sviluppo (autosviluppo) di competenze delle persone, quanto di
rilevazione e riallocazione di risorse professionali esistenti (necessarie)
nell’organizzazione, il presupposto di qualsiasi azione sulle competenze diviene un
sistema informativo efficace e (ancora più a monte) un linguaggio sintetico e unificato,
in grado di imbrigliare l'incontenibile diversificazione interna delle attività.
Si ritorna quindi sull'impostazione del "sistema delle competenze" e sulla nozione stessa
di competenza, rivedendole in funzione di un "sistema di pianificazione e sviluppo delle
risorse umane". Molti aspetti vengono ridefiniti di conseguenza:
- scopo primario dell'analisi è "rilevare il patrimonio di know how" dell'impresa;
- le "competenze espresse" sono di fatto identificate con "l'insieme delle conoscenze e
delle esperienze che costituiscono il bagaglio professionale" delle persone, che "si
deducono dal concreto svolgimento dell'attività" (mentre gli aspetti di
"comportamento organizzativo" restano indistinti sullo sfondo);
- anche le "competenze potenziali" sono oggettivate come "competenze professionali
aggiuntive, possedute dalle persone perché espresse in attività precedenti";
- coerentemente, oggettivi sono tutti gli elementi che contribuiscono a definire il
profilo individuale di competenza: posizione, specializzazione tecnica, campo di
attività.
L'operazione di censimento si presenta in superficie come una laboriosa impresa di
codificazione e riversamento di fonti diverse in un sistematico who's who aziendale.
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Problemi apparentemente tecnici, di affidabilità delle fonti e di snellezza delle
codifiche, toccano in realtà problemi sostanziali di autorappresentazione e quindi di
identità tecnico-professionale delle persone e dello stesso CESAP: le difficoltà emerse
nel lavoro di codifica e di sintesi delle competenze nascondono in realtà la difficoltà di
superare la pura riproduzione di una realtà frammentata in una miriade di esperienze
irripetibili, per proiettare le risorse così oggettivate sui "fabbisogni" definiti dalle
priorità assegnate dal management al processo di ristrutturazione.
2.4. Mentre la fase 3 dell'analisi delle competenze in CESAP procede (nello sforzo
di individuare un codice in cui possano riconoscersi le persone, l'azienda e anche i suoi
interlocutori esterni), cominciano a delinearsi i contorni di una fase 4, in cui il sistema
delle competenze rappresenti non solo un repertorio cui attingere per verifiche di
budget, proiezioni e simulazioni, ma l'ordito ("circuito") dei processi di circolazione
delle conoscenze necessari alla loro riproduzione e sviluppo. Anche se gli strumenti
della nuova fase sono ancora tutti da definire, appare già chiaro che essi non potranno
venire dall'alto come quelli della precedente fase di "censimento", perché sarà
essenziale l'iniziativa diffusa delle persone, e quindi l'apertura di forti spazi di libertà
dal basso.
L'anno 3 delle competenze in CESAP si è appena chiuso. L'oggetto teorico
"competenze", importato dal consulente, è stato avidamente assorbito, usato, rielaborato
pragmaticamente, poi di fatto spiazzato da altre "competenze" (altri strumenti analitici,
altri interventi gestionali). Tale è però la distanza dall'impostazione concettuale
ortodossa di partenza (e tale la rapidità e la nettezza di certi passaggi) che non di
adattamenti contingenti si deve ragionare, ma di congruenza o incongruenza fra lo
strumento concettuale e gli obiettivi via via perseguiti.
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3. ASSUNTI CONCETTUALI E STRUMENTI DEL METODO DELLE COMPETENZE
NELLA LINEA MC.CLELLAND/BOYATZIS/SPENCER &SPENCER.
Questa tradizione di pensiero tende a presentarsi come "movimento delle competenze".
Da dove viene questo "movimento" e (prima ancora di vedere verso dove si dirige) da
cosa prende le distanze? L'ambito disciplinare di provenienza è quello della psicologia
del lavoro, e tutti i riferimenti da cui muovono i contributi alla MC/Bo/S&S hanno a
che fare con tematiche di selezione. Proprio da un certo modo di fare selezione (e
formazione) questa linea si vuole distinguere e allontanare, in quanto né i test, né le
interviste, né, a maggior ragione, i concorsi sembrano in grado di distinguere le persone
più capaci da quelle meno capaci, e quindi di predire prestazioni efficaci in specifiche
attività. ("This is what traditional education, grades, test scores and credentials do not
do: predict actual performance ...").
3.1. Persone differenti fanno la differenza
In questa formula può essere espresso l'assunto centrale dell'intera teoria delle
competenze, in questa impostazione; si assume cioè che esistano differenze di
prestazioni riconoscibili, sistematiche e rilevanti, nello svolgimento di ogni specifica
attività e che tali differenze siano correlate a caratteri insiti nelle persone e riconoscibili
ex ante (evidenti i legami con la logica della selezione). Inequivoca in questo senso è la
definizione di competenze come “underlying characteristic of an individual that is
causally related to ... superior performance in a job or situation”.
Caratteristiche "di un individuo" significa proprie della persona, di alcune persone (non
della situazione o del compito); implica immanenza, implica un certo grado
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(tendenzialmente elevato) di stabilità. La definizione delle competenze come
"underlying characteristics" allude alla profondità, a qualcosa che sta sotto e viene
prima delle sue variabili manifestazioni, allude a una radice ("... competency is a fairly
deep and enduring part of a person's personality ..."). Viene però introdotta anche
un'idea di "spessore" delle competenze, e quindi di diversi "livelli" a cui ciascuna
competenza può manifestarsi: tutti i livelli di competenza appertengono alla persona e
descrivono dinamiche di comportamento ricorrente, ma lo spessore considerato è molto
ampio, dalle dinamiche profonde dei motivi e dei tratti agli strati più superficiali delle
dinamiche operative e professionali ("skill"). La questione ha implicazioni di grande
rilievo per una gestione delle risorse umane "basata sulle competenze", perché si tratta
di vedere se le competenze vanno essenzialmente riconosciute o possono essere
artificialmente prodotte dalla gestione con efficaci azioni mirate.
3.2. Solo i comportamenti dei migliori identificano i comportamenti migliori
Le competenze "richieste" in un'attività specifica non possono essere attendibilmente
desunte da analisi astratte delle attività o da teorie consolidate, e neppure possono essere
identificate affidabilmente dagli attori stessi, riflettendo sulla propria esperienza. Cosa
sia migliore o superiore lo possono dire solo i fatti, e quindi i risultati reali di
comportamenti (e caratteristiche) realmente sperimentati. La competency theory opta
per un procedimento assolutamente induttivo: le caratteristiche personali che
permettono di predire risultati significativamente migliori sono solo quelle desumibili
ex post, evidenziando le differenze fra i soggetti che esibiscono risultati migliori e gli
altri (anche panel di esperti operanti in condizioni controllate producono invece
indicazioni non attendibili).
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Indurre le competenze distintive dal comportamento degli individui che effettivamente
ottengono i risultati migliori, d'altra parte, implica che i soggetti "superiori" possano
essere identificati senza ambiguità. Per dare fondamento al metodo delle competenze,
devo sapere molto bene chi sono i migliori in ogni data attività: si tratta, come è
intuibile, di un'esigenza di metodo che pesa fortemente sulle possibili aree di intervento
in chiave di gestione delle competenze.
3.3. Solo il comportamento predice il comportamento
Come evidenziare le caratteristiche degli individui che ottengono risultati superiori in
specifiche attività? Il particolare strumento analitico proposto (Behavioral event
interview) è inteso come rilevazione di scampoli di tessuto vitale (fatti, pensieri e
sentimenti, non valutazioni) intatti, significativi, analizzabili e misurabili. Si tratta poi
di evidenziare tutte le dinamiche di comportamento caratteristiche (e quanto di
ciascuna), per poter computare le distinzioni statisticamente significative fra i migliori e
i non migliori. Qualunque dinamica di comportamento potrà essere assunta come
"competenza distintiva", purché si tratti di una caratteristica della persona (non di
elementi del task o dell'ambiente organizzativo) e sia statisticamente validata.
3.4. L'organizzazione esiste
Con il termine "job" la teoria si riferisce al modo in cui l'attività lavorativa e il suo
contesto si specificano a livello dell'individuo; job è tutto ciò che richiede il suo
contributo e richiede quindi l'espressione delle sue competenze, sottolineando così
esplicitamente la contrapposizione fra la persona e le cose da fare.
L'organizzazione esiste di per sé, esiste di fronte alle persone. Persone e job sono trattati
come oggetti contrapposti, in una logica che è soprattutto di abbinamento ("match") e/o
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di corrispondenza ("fit").
L'organizzazione è poi intesa come realtà riconoscibile, cioè sufficientemente
definibile, stabile, articolata in componenti tipici; "modello" di competenze relativo a
un job significa che il job è di per sé sufficientemente definito da implicare "requisiti"
definibili.
L'organizzazione infine è un dato, un elemento esogeno; non è un problema o è il
problema di altri. Nel filone Mc/Bo/S&S le problematiche organizzative sono
accuratamente espunte dalla problematica delle competenze; la nozione di "job" è
appunto lo snodo logico che permette di segnare la demarcazione, mantenendo adeguata
attenzione al dato organizzativo, ma evitando ogni commistione.
4. AREE DI INTERVENTO E CONGRUITÀ/APPROPRIATEZZA DEL METODO
4.1. Ipotesi 1
Il metodo delle competenze inteso alla Mc/Bo/S&S può trovare impiego utile in tutto
l'ambito in qualche modo riferibile a decisioni di "selezione". Costi e difficoltà di
utilizzo fanno tuttavia ipotizzare l'impiego rigoroso del metodo delle competenze non
come prassi di selezione corrente, ma solo in situazioni tali da giustificare un
investimento rilevante.
L’ipotesi di permanenza nel tempo delle motivazioni e degli schemi di comportamento
fondamentali, induce a privilegiare le logiche della selezione per una parte rilevante
delle competenze ("The rule is: selection is prepotent over training ..."). La nozione di
"selezione" va comunque intesa in accezione ampia, come confronto fra persone date e
attività possibili/future, includendo quindi forme di selezione interna, valutazione del
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potenziale, interventi di formazione e sviluppo.
4.1.1. L'integrale utilizzo del metodo delle competenze, a partire dalla fase analitica e
"induttiva" può essere ampiamente giustificato per affinare i "profili" di selezione
relativi alle attività caratteristiche. Potrebbe trattarsi dei profili attitudinali relativi a
singole mansioni molto specifiche o potrebbe anche trattarsi di sottoporre a verifica gli
stereotipi consolidati nella selezione di figure di rilievo più generale. Il metodo analitico
delle competenze utilizzato a fini di selezione presenta alcuni limiti, a partire dalla
difficoltà di individuare "job" sufficientemente definiti e ricorrenti, su cui sviluppare
affidabilmente il procedimento analitico e induttivo. Un investimento sull'analisi delle
competenze potrebbe comunque dare risultati paganti, soprattutto quando si tratti di
mansioni con caratteri particolari, o anche quando si tratti di attività in cui i
comportamenti individuali possono emergere con particolare rilievo.
4.1.2. Utilizzo dei risultati di analisi pregresse
Il metodo delle competenze può fornire supporto ai processi di selezione anche in
assenza di investimenti specifici nella fase analitica e induttiva, in quanto l'applicazione
estensiva del metodo ha prodotto un insieme di analisi relative alle capacità distintive
correlate al successo in molte attività tipiche (modelli "generici" di competenze per le
attività manageriali, per attività di vendita con diverse caratteristiche, ecc.). Ancora più
indirettamente, un contributo della competency theory alla selezione può essere
individuato nei "dizionari" delle competenze (e negli "indicatori comportamentali" in
essi evidenziati) che forniscono un linguaggio e una serie di stimoli utili per tradurre le
attività lavorative in profili individuali coerenti.
4.1.3. Processi di valutazione del potenziale e di selezione interna
19
Anche in questo ambito (sviluppo, percorsi di carriera, ecc.), il metodo delle
competenze può essere considerato, in generale, un'impostazione coerente rispetto alla
natura dei problemi. Rimangono alcuni problemi aperti sul piano operativo:
- Una valutazione delle competenze individuali adottata come prassi aziendale
generalizzata e ricorrente può assumere tutta l'impostazione e il lessico delle
competenze, ma difficilmente potrà tenere fermi altri aspetti essenziali del metodo:
riferimento (statisticamente validato) alle caratteristiche distintive dei superior
performers per ogni job; misurazione delle competenze individuali non rinviata
semplicemente alle valutazioni del merito espresse dai superiori.
- Il ricorso agli assessement center per la valutazione delle competenze (a parte i
problemi di costo) sembra in genere privilegiare la diagnosi delle caratteristiche
individuali rispetto alla validazione dei modelli di competenza. Resta inoltre da
valutare l'impianto generale del sistema di carriera cui l'assessement è applicato.
- Le possibilità di impiego utile del metodo delle competenze sul versante della
formazione potrebbero invece derivare proprio dall'approccio analitico induttivo,
ancorato alle caratteristiche dei superior performers. Il metodo delle competenze può
infatti stimolare il ricorso a forme pianificate di assegnazione e affiancamento e a
strumenti formativi innovativi.
4.2. Ipotesi 2
L'estensione del metodo delle competenze alla valutazione del contributo apportato
dalle persone all'organizzazione, e quindi ai sistemi di ricompensa (retribuzione,
avanzamenti, qualifiche, ecc.), comporta forzature dell'impianto teorico originario e
seri problemi negli strumenti operativi. La concettualizzazione stessa delle
20
competenze come caratteristiche delle persone, ben distinte dalle attività, si adatta
poco alla logica di scambio fra incentivi e contributi insita nei sistemi premianti. Gli
strumenti di misura utilizzati dovrebbero poi essere radicalmente rivisti, per adattarli
a un concetto di competenza più prossimo alla valutazione dell'apporto
dell'individuo. Dove il problema delle competenze è considerato nel suo significato
più specifico, è invece probabile che sia mantenuta la separazione fra gestione delle
competenze e gestione retributiva.
Il punto di partenza delle proposte di competency based pay è l'esigenza, largamente
avvertita, di sistemi di valutazione e retribuzione più personalizzati e più qualitativi:
- personalizzati, per cogliere il percorso individuale di sviluppo di ogni lavoratore, per
rispondere ai suoi interrogativi di miglioramento e focalizzarne gli sforzi sulle
priorità strategiche dell'organizzazione;
- qualitativi, perché in un ambiente imprevedibile né i job né gli standard di risultato
sono misure attendibili quanto i "right behaviors" e perché in molti casi il modo di
lavorare conta più della posizione ("person makes the job").
Nei fatti, l'idea di sistema retributivo "basato sulle competenze" tende quindi a includere
ogni sforzo teso a imprimere connotati "soggettivi" ai sistemi di gestione e retribuzione.
La stessa nozione di "competenze" finisce per assumere un significato molto estensivo,
per cui può essere valutato e retribuito come competenza ogni dato personale rilevante,
dalla "disponibilità a collaborare" alla “polivalenza”.
L'incongruenza fra l'impianto teorico di MC/Bo/S&S e le problematiche retributive ha
radici profonde, a partire dall'idea di separare nettamente l'analisi della persona da
quella del job. Per misurare l'apporto dell'attore ai processi organizzativi in termini
21
personalizzati e qualitativi, in chiave di "competenze dimostrate" nel lavoro, sarebbe
necessario fare uso di un concetto diverso di competenza che (riunendo in qualche
modo persona e situazione lavorativa) sappia descrivere e "misurare" come la persona si
inserisce nei processi decisionali dell'organizzazione, percorre tappe significative, fa
propri contesti e schemi di riferimento, modifica la sua collocazione nella divisione del
lavoro, stabilisce rapporti di coordinamento e di scambio con altri.
E' certamente possibile impostare i sistemi di valutazione/inquadramento/retribuzione
su base "soggettiva", valutando in particolare le capacità professionali espresse
nell'attività di lavoro, soprattutto in situazioni in cui prevalgono "prestazioni implicite"
[Costa, 1997]. I sistemi basati sulla "professionalità", con le molte luci e ombre legate
alla loro concreta applicazione, testimoniano la possibilità, ma anche la difficoltà, di
legare in un unico sistema coerente la gestione dello sviluppo professionale e la
gestione dello scambio retributivo5.
Lo sbocco più "naturale" dell'applicazione del metodo delle competenze in materia
retributiva sembra però un altro: l'impianto logico sottostante rimane sostanzialmente
quello di un sistema per "mansioni", mentre il carattere impersonale e deterministico del
sistema viene corretto allargando la "band" retributiva connessa a ogni
mansione/punteggio (fascia retributiva ampia che diviene poi spesso lo spazio per
rinnovate prassi di valutazione del merito)
4.3. Ipotesi 3
L'attuale interesse per l'individuazione e lo sviluppo delle competenze distintive
5Il riferimento alla nozione di competenza come capacità professionali dimostrate e il rapporto stretto fra la retribuzione e lo sviluppo di queste competenze/professionalità si ritrovano comunque al centro di alcuni importanti modelli di "gestione delle competenze" adottati nella pratica e nella consulenza (vedi ad es. il glossario proposto da Boccalari, 1995).
22
dell'impresa, e in generale la ricerca di soluzioni efficaci a problemi di knowledge
management, possono facilmente trovare nel metodo delle competenze quelle
proposte metodologiche, quella strumentazione gestionale e quel lessico articolato di
cui si avverte la necessità. Lo sviluppo tecnico dei data base e dei sistemi esperti
dedicati avvalora ulteriormente l'ipotesi di utilizzare il metodo delle competenze come
strumento per la gestione e il controllo delle competenze di impresa. Sono quindi
ipotizzabili consistenti interventi in questa direzione, di cui sarà interessante
verificare gli sviluppi. La differenza di riferimenti e di obiettivi fra i due universi di
"competenze" fa però prevedere difficoltà nell'impiego di questi strumenti
concettuali, e quindi molti aggiustamenti e ripensamenti in corso d’opera.
Il metodo delle competenze in alcune proposte è ritenuto utilizzabile non solo in un
approccio micro (capacità individuali), ma anche a livello dei fabbisogni aggregati e
prospettici di risorse umane dell'intero sistema organizzativ6: verifica, salvaguardia e
adeguamento del patrimonio complessivo di capacità detenuto dall'organizzazione,
anche in previsione di "future needs" o di eventuali "change in strategy".
Il passaggio intermedio, e cruciale, è quello del censimento sistematico dei fabbisogni e
delle disponibilità di competenze (facilitato dallo sviluppo di sistemi esperti e data base)
esteso a tutta l'organizzazione o quanto meno a tutte le sue componenti critiche.
4.3.1. E' evidente il valore che può essere attribuito a una simile ricognizione analitica
delle capacità esistenti ai fini della verifica e del presidio delle capacità operative
disponibili.
6Anche in contributi teorici meditati e per altri versi molto cauti [Camuffo; 1996 e 1997] è presente l'idea che il concetto di "competenze" possa rappresentare "un tentativo decisivo di ripensare le politiche di gestione delle risorse umane nei contesti organizzativi emergenti." e che esso possa essere "utilizzato come principio fondatore di politiche di gestione dell'intero ciclo di vita professionale ..." .
23
- L'obiettivo della salvaguardia e dello sviluppo delle capacità distintive
dell'organizzazione sembra però richiedere un approccio che va molto al di là del
"metodo delle competenze", la cui logica si limita al riscontro puntuale fra i
"requirements" e le caratteristiche delle persone. Le competenze che il metodo può
cogliere sono essenzialmente quelle che trovano riferimento nelle sue limitate unità
di analisi (i singoli job e persone), non tanto le competenze "organizzative" cui fa
riferimento la letteratura sul vantaggio competitivo.
- Quando l'analisi riguarda le capacità distintive di un'organizzazione, si può inoltre
supporre che le competenze “richieste” siano desunte dalle scelte consapevoli del
management e che il problema reale sia in primis un problema di cambiamento
organizzativo, e solo indirettamente di caratteristiche delle persone.
- Infine (e soprattutto) in un'ottica di sviluppo delle capacità distintive di impresa
vanno considerati come elementi centrali il bagaglio di esperienze specifiche, le
conoscenze tecniche e l'expertise, cioè proprio quell'insieme di elementi che il
metodo delle competenze intende ridimensionare a favore di altre dimensioni del
comportamento. Cambiando la nozione di competenza, tutti gli strumenti di analisi e
gestione delle competenze dovrebbero però essere aggiustati di conseguenza.
4.3.2. Passando dalle capacità e attitudini individuali alle capacità distintive
dell'organizzazione occorre riconsiderare anche le modalità di governo complessivo dei
processi di analisi e gestione delle competenze.
Ragionando in termini di knowledge management, le condizioni di sfondo devono
essere configurate in termini di: intelligenza e conoscenza distribuita e di pluralità di
attori, portatori di letture della realtà e di obiettivi soggettivi differenziati.
24
Non è realistico allora immaginare una mente centrale capace di piena consapevolezza
delle competenze richieste e di pieno governo delle risorse umane, e dunque capace di
operare quel "matching" che dovrebbe essere il punto di arrivo dell'intero metodo delle
competenze. Sarà invece opportuno attivare processi molto più decentrati di
circolazione delle conoscenze, sia con meccanismi interni di quasi mercato, sia,
soprattutto, aumentando le possibilità di comunicazione e interazione fra gli attori.
4.3.3. Lo sviluppo di sistemi informatizzati di identificazione/reperimento/allocazione
delle risorse e capacità presenti nell'organizzazione sembra comunque essere uno degli
aspetti più significativi degli interventi in atto in tema di competenze. In proposito si
possono avanzare alcune ipotesi (tutte da verificare):
- sostanziale allontanamento dalle categorie concettuali e analitiche della teoria
psicologica delle competenze, a favore di "competenze" desunte dall'analisi delle
scelte strategiche e dei processi organizzativi;
- sviluppo di sistemi di codificazione/retrival di skill molto specifici, conoscenze
tecniche, esperienze professionali significative;
- semplificazione e più precisa focalizzazione del sistema nelle imprese esposte a
continue riallocazioni del personale (repertorio delle persone per temi critici, più che
analisi approfondita e universale dei job);
- abbandono o scarso utilizzo del sistema nelle altre imprese (oppure utilizzo limitato
al sostegno delle prassi usuali della direzione del personale)
- impiego di sistemi decentrati per lo sviluppo di specifiche conoscenze/competenze
(forum, comunità virtuali, biblioteche e repertori, ecc.) organizzati per aree
tematiche (anziché per job/persone), orientati a facilitare la comunicazione e non a
25
contabilizzare disponibilità umane contro requirements.
4.4. Ipotesi 4
Il riferimento alla nozione di "competenze" è particolarmente frequente in condizioni
di profonda ristrutturazione, riferibili ad esempio a privatizzazioni, liberalizzazioni o
fusioni, o comunque in situazioni di riorientamento strategico, in strutture molto
stabilizzate e improntate a modalità burocratiche di gestione. In questi casi, la
connessione del cambiamento organizzativo alle "competenze" sembra indicare un
rilevante cambiamento culturale atteso e una ridefinizione della composizione
professionale e della composizione dei gruppi dirigenti.
4.4.1. Di fronte alla prospettiva di un profondo riorientamento strategico e di
conseguenti rivolgimenti organizzativi, l'idea di "competenze" in molti casi sembra
assumere rilievo come "segnale" e come nuovo principio di legittimazione:
- segnale che la situazione chiede all'organizzazione di mettere in campo capacità e
energie nuove, diverse da quelle espresse in passato;
- segnale che le vecchie regole non sono più in vigore, che le posizioni acquisite
(carriere) e i diritti acquisiti sono rimessi in gioco, che nuovi criteri di valutazione
presiederanno alla ricomposizione professionale e manageriale;
- allusione alle potenzialità aperte dal cambiamento e sollecitazione delle energie
potenzialmente disponibili.
4.4.2. Il cambiamento organizzativo, pur "basato sul metodo delle competenze", non
trova in esso specifici criteri, metodi o strumenti di progettazione organizzativa, salva
l'adozione di una filosofia organizzativa molto generale, che intende privilegiare i
contenuti discrezionali e i risultati, rispetto ai contenuti prescritti e alle norme.
26
- La definizione delle competenze richieste avviene allora a valle di una progettazione
organizzativa (più o meno articolata ed esplicitata) che tipicamente assume una
logica lineare (molto tradizionale), da ambiente/strategie a strutture/processi, a
ruoli/posizioni, a competenze richieste/disponibili.
- Il maggior accento sulle competenze (sulle persone), rispetto al passato, dipende in
parte da un dato generale di minore stabilità e robustezza delle strutture, che
controllano meno i comportamenti delle persone, e anzi sembrano richiedere una
diffusa capacità di gestire. Negli interventi di ristrutturazione questo aspetto risulta
poi molto accentuato, per il fatto che non si cercano persone per coprire posizioni,
ma si cercano persone per costruire ex novo qualcosa spesso ancora da inventare.
4.4.3. Fra gli strumenti di analisi delle competenze vengono privilegiati strumenti
diversi dalla BEI, più capaci di evidenziare le opzioni del management (è ad es. il caso
della "repertory grid"). I costrutti sulle competenze ricavati per questa via risulteranno
più aderenti al progetto manageriale di cambiamento: la definizione del "modello di
competenze aziendale" diviene allora un complesso lavoro di interpretazione e di
apprendimento collettivo per approssimazioni successive.
4.4.4. A fronte di un'ipotesi di cambiamento che implichi un mutamento culturale e
una ricomposizione professionale (e manageriale), fra le “competenze” assume rilievo
particolare il committment verso gli obiettivi dell'impresa. Committment assume qui il
significato di "orientamento verso il cambiamento", di atteggiamento intenzionale, di
scelta di campo; non una competenza fra le altre, "a lato delle altre", ma qualcosa che
dà il segno alle altre competenze e imprime un (più o meno marcato) carattere politico
all'analisi delle competenze in situazioni di cambiamento organizzativo.
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4.4.5. In linea generale è ipotizzabile che interventi di questo tipo presentino una
"parabola" molto accentuata. L'idea di competenze infatti non è utilizzata per
consolidare e riproporre comportamenti di successo, in continuità con il passato, ma è
usata al contrario, per marcare una rottura e un allontanamento dai sentieri noti. I
risultati più sicuri sembrano, ancora una volta, quelli conseguibili nell'area della
selezione (e della formazione). Dal punto di vista delle competenze, il cambiamento
organizzativo è innanzitutto "cambiare le teste". Cambiate le teste (alcune teste, perché
altro non si può, né via "hiring and firing", né via "training and developement"),
riemerge con forza il problema di come condurre a compimento il cambiamento
organizzativo avviato.
4.5. Ipotesi 5
Il metodo delle competenze non è nato per studiare come cambiano le organizzazioni
produttive. Per le sue categorie concettuali, strumentazione e linguaggio, il metodo è
di per sé predisposto all'analisi di situazioni organizzative specifiche, supposte date e
stabili. Attraverso l'individuazione delle specificità, poi, è anche possibile cogliere le
differenze (e le non differenze) fra le situazioni, rilevare le variazioni e pervenire a
generalizzazioni a livelli superiori. Dalle caratteristiche dei comportamenti delle
persone è possibile inferire caratteristiche più generali delle organizzazioni.
E' quindi possibile usare il metodo delle competenze come uno strumento per studiare
la varietà delle forme organizzative e per comprenderne l'evoluzione. Il carattere non
organizzativo e statico di tutto l'impianto concettuale delle competenze limita però
severamente i possibili risultati di questi percorsi di ricerca.
4.5.1. La teoria delle competenze non ha carattere propriamente organizzativo:
28
- Nessuno specifico modello organizzativo è privilegiato, o (ancora meno) proposto
dal metodo delle competenze (salvo affermare che le caratteristiche delle persone
hanno comunque importanza essenziale ai fini della performance); job e competenze
non sono concetti antitetici ma, ovviamente, complementari.
- Il rapporto significativo fra una data condizione organizzativa e certi comportamenti
efficaci viene osservato e misurato, non spiegato.
- Nell'analisi delle competenze il cambiamento organizzativo è un riferimento solo in
quanto causa ricorrente di misfit fra job e competenze esistenti.
Risalire allo studio dell'organizzazione partendo dall'analisi delle competenze appare
quindi un percorso arduo e non esistono ponti teorici precostituiti.
4.5.2. Un modello di competenze validato statisticamente per via induttiva, con
riferimento a condizioni organizzative date, è una conoscenza concreta, del caso
particolare ("a particular job within a specific organizational environnement").
- Lavorare su campioni ampi e articolati, operando medie e totali sui dati, invece che
aumentare la rappresentatività dei risultati, rischia di ridurne il significato, rischia
cioè di portare a conclusioni scontate, per cui i migliori sono quasi sempre migliori
quasi in tutto (salvo alcuni risultati a sorpresa che si ha poi difficoltà a spiegare o
anche solo a riferire a condizioni determinate).
- Una estensione della validità dei risultati sembra piuttosto perseguibile (almeno
induttivamente) operando sulla peculiarità dei singoli casi, evidenziando le
differenze e le configurazioni ricorrenti di competenze in casi diversi.
4.5.3. In estrema sintesi, l'obiettivo del metodo delle competenze è quello di
individuare e riprodurre modalità di comportamento che si sono dimostrate efficaci.
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In questa sintesi è resa evidente la vocazione del metodo a cercare modelli nei
comportamenti passati, nel già noto o perlomeno nel già praticato, magari
inconsapevole. Tutto il procedimento è impostato in questa logica e quindi è
predisposto a cogliere e valorizzare il main stream (sia pure individuato selettivamente
nei "superior performers") non le soluzioni innovative e i percorsi evolutivi.
- L'idea stessa di "superior performers" rinvia a sistemi di valutazione delle
prestazioni che hanno radici nell'esperienza passata e che potrebbero non evidenziare
i comportamenti efficaci emergenti. Il metodo è quindi predisposto a rilevare
l'invarianza dei modelli di competenza, anziché la loro evoluzione.
- Nello stesso senso operano i "dizionari" delle competenze. Il dizionario, operando
come codice di lettura dei comportamenti rilevati, predispone il metodo a mettere
in luce aspetti che si sono già rivelati significativi in passato. Il metodo non
impedisce, anzi incoraggia, l'arricchimento del dizionario con voci nuove e
"specifiche", ma lascia questo compito alla sensibilità dell'analista/intervistatore.
L'evoluzione delle forme organizzative tende quindi a sfuggire alle maglie dei
procedimenti analitici del metodo delle competenze, che non sembra predisposto né a
coglierla né a interpretarla.
4.5.4. Quando l'obiettivo di una ricerca sulle competenze è quello di cogliere la varietà
e l'evoluzione delle forme organizzative emergenti, non ci si può aspettare che le novità
organizzative siano intercettate semplicemente attraverso una corretta applicazione del
metodo delle competenze (che è stato concepito con obiettivi diversi).
Nulla autorizza a ipotizzare una diretta corrispondenza fra nuove forme organizzative e
nuove competenze: pur se il cambiamento organizzativo prosegue intensamente,
30
sospinto dall'evoluzione della tecnologia e del sistema economico, nessuna inferenza
diretta sembra possibile sulle caratteristiche delle persone. La connessione fra
evoluzione del sistema e comportamenti "competenti" delle persone è inevitabilmente
molto mediata; per studiarla è necessario perlomeno uno sforzo preliminare di
teorizzazione che arrivi a formulare qualche ipotesi circa i comportamenti rilevanti, su
cui poi focalizzare la rilevazione empirica (e la sua codifica).
Se poi il tema delle competenze viene inquadrato in una visione dell'organizzazione
come "produzione di conoscenze", diventa ancora più pressante la necessità di disporre
di ipotesi teoriche intermedie di carattere specificamente organizzativo.
Il rapporto fra "conoscenze" e "competenze" è sempre un punto molto delicato. In
particolare, in un'ottica di economia della conoscenza, il circuito di produzione e
circolazione della conoscenza attraversa molte fasi, livelli e soggetti diversi, che non
possono essere letti semplicemente in termini di competenze delle persone. Occorre se
mai mettere a punto ipotesi più mirate sui nuovi circuiti di produzione e circolazione
delle conoscenze e poi passare a individuare anche le possibili "competenze" individuali
implicate dal loro funzionamento.
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NOTE
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