Compagnie Cacciatori

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1 Le Compagnie Cacciatori dei Reggimenti di Fanteria d’Ordinanza Nazionale del Regno di Sardegna Reclutamento – Equipaggiamento – Tattica Giovanni Cerino-Badone Mon grand-père était gendarme, Mon père était lieutenant. J’ai deux frères dans l’avant-garde, Les deux autres sont au Piémont; Et moi qui me nomme La Tempête, Je suis chasseur de renom. Chant militaire dit “La Tempête” 1. La formazione delle Compagnie Cacciatori. 1.1 Le Milizie Valdesi. I confini occidentali del Regno di Sardegna al termine della Guerra di Successione Spagnola coincidevano con lo spartiacque alpino. Se da un lato era stato raggiunto uno degli obiettivi strategici di Vittorio Amedeo II, ossia l’eliminazione delle enclavi o teste di ponte francesi “al di qua delle Alpi”, dall’altro si apriva il dibattito su come difendere le nuove frontiere. Una rete di nuove fortezze fu eretta a chiusura dei principali solchi vallivi, garantendo ottime basi logistiche alle forze che avrebbero dovuto agire in questo complesso e difficile teatro operativo. Restava solo da comprendere come combattere efficacemente una battaglia sulle Alpi. L’esercito sabaudo non era alieno a operare in territori montuosi; sin dal XVI secolo si era scontrato con le truppe del Regno di Francia in Savoia, nelle Valli Susa, Chisone e Varaita, accumulando una serie di esperienze pratiche che non furono mai dimenticate, specie nella scelta dei materiali d’artiglieria e nell’armamento individuale. Ad esempio già nel 1685 i reggimenti del duca di Savoia abbandonarono la picca per adottare intieramente il moschetto; le operazioni di controguerriglia, portate contro le comunità valdesi della Val Lucerna, avevano rivelato l’inutilità pratica delle lunghe armi d’asta, di fatto inutilizzabili su stretti sentieri o nelle fitte boscaglie. Allo stesso modo per i materiali d’artiglieria si sviluppò negli arsenali piemontesi una certa attenzione nella produzione di pezzi di piccolo calibro trasportabili anche a quote relativamente alte o in postazioni fortificate mal servite da strade 1 . Le campagne alpine che seguirono la Battaglia di Torino (7 settembre 1706) avevano dimostrato la capacità della fanteria sabauda di saper operare con efficacia sul fronte alpino, sia in occasione della ben congeniata offensiva del 1708, che nella Battaglia del Gran Vallone, combattuta in Val di Susa il 16 settembre 1711, a oltre 2400 metri di quota. In tali operazioni era risultato validissimo l’utilizzo, come fanteria leggera, e quindi slegata dalle tattiche lineari dei reparti regolari, della Milizia Valdese. I valdesi, riappacificatesi con la 1 Entro il 1702 erano stati fusi dal primo fonditore Francesco Hamonet di Tours pezzi curtò disgiunti, ossia pezzi da 12 e 18 libbre con la canna separata in due sezioni, unite tra loro mediante chiavi e chiavette di ferro. Questo progetto fu poi ripreso nel 1744 dall’ingegnere Ignazio Bertola per realizzare i suoi cannoni scomponibili; STERRANTINO 1993, p. 246.

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Elite light troops of the sabaudian army in the late XVIII century

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Le Compagnie Cacciatori dei Reggimenti di Fanteria d’Ordinanza Nazionale del Regno di Sardegna

Reclutamento – Equipaggiamento – Tattica

Giovanni Cerino-Badone

Mon grand-père était gendarme, Mon père était lieutenant.

J’ai deux frères dans l’avant-garde, Les deux autres sont au Piémont;

Et moi qui me nomme La Tempête, Je suis chasseur de renom.

Chant militaire dit “La Tempête”

1. La formazione delle Compagnie Cacciatori. 1.1 Le Milizie Valdesi. I confini occidentali del Regno di Sardegna al termine della Guerra di Successione Spagnola

coincidevano con lo spartiacque alpino. Se da un lato era stato raggiunto uno degli obiettivi strategici di Vittorio Amedeo II, ossia l’eliminazione delle enclavi o teste di ponte francesi “al di qua delle Alpi”, dall’altro si apriva il dibattito su come difendere le nuove frontiere. Una rete di nuove fortezze fu eretta a chiusura dei principali solchi vallivi, garantendo ottime basi logistiche alle forze che avrebbero dovuto agire in questo complesso e difficile teatro operativo. Restava solo da comprendere come combattere efficacemente una battaglia sulle Alpi. L’esercito sabaudo non era alieno a operare in territori montuosi; sin dal XVI secolo si era scontrato con le truppe del Regno di Francia in Savoia, nelle Valli Susa, Chisone e Varaita, accumulando una serie di esperienze pratiche che non furono mai dimenticate, specie nella scelta dei materiali d’artiglieria e nell’armamento individuale. Ad esempio già nel 1685 i reggimenti del duca di Savoia abbandonarono la picca per adottare intieramente il moschetto; le operazioni di controguerriglia, portate contro le comunità valdesi della Val Lucerna, avevano rivelato l’inutilità pratica delle lunghe armi d’asta, di fatto inutilizzabili su stretti sentieri o nelle fitte boscaglie. Allo stesso modo per i materiali d’artiglieria si sviluppò negli arsenali piemontesi una certa attenzione nella produzione di pezzi di piccolo calibro trasportabili anche a quote relativamente alte o in postazioni fortificate mal servite da strade1.

Le campagne alpine che seguirono la Battaglia di Torino (7 settembre 1706) avevano dimostrato la capacità della fanteria sabauda di saper operare con efficacia sul fronte alpino, sia in occasione della ben congeniata offensiva del 1708, che nella Battaglia del Gran Vallone, combattuta in Val di Susa il 16 settembre 1711, a oltre 2400 metri di quota.

In tali operazioni era risultato validissimo l’utilizzo, come fanteria leggera, e quindi slegata dalle tattiche lineari dei reparti regolari, della Milizia Valdese. I valdesi, riappacificatesi con la

1 Entro il 1702 erano stati fusi dal primo fonditore Francesco Hamonet di Tours pezzi curtò disgiunti, ossia pezzi da 12 e 18 libbre con la canna separata in due sezioni, unite tra loro mediante chiavi e chiavette di ferro. Questo progetto fu poi ripreso nel 1744 dall’ingegnere Ignazio Bertola per realizzare i suoi cannoni scomponibili; STERRANTINO 1993, p. 246.

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Corona, sin dal 1704 avevano dato in Val Chisone molto filo da torcere alle forze di occupazione del duca de La Feuillade, costringendo le sue forze a rinchiudersi entro complessi campi trincerati2 o a ritirarsi sul fondovalle, impedendo loro di occupare stabilmente le valli Germanasca e di Lucerna, futuro santuario delle deboli forze ducali durante la sortita di Vittorio Amedeo II da Torino assediata. I miliziani assalivano colonne di rifornimenti, truppe isolate, e risultarono ottimi nell’esplorazione e nella ricognizione. Le bande valdesi, composte mediamente da una cinquantina di armati, erano assai ben organizzate; prendevano il nome dal Capitano che le comandava, avevano nei loro ranghi talvolta un Capitano in seconda, un Luogotenente, un Alfiere, Sergenti, Caporali, soldati semplici e tamburi come un reparto di fanteria regolare3.

Dal momento che il principale avversario rimaneva il regno di Francia, sembra che il concetto di truppa leggera in Piemonte venisse a coincidere con l’idea della truppa da montagna e, di riflesso, con la Milizia Valdese.

Vittorio Amedeo II, tranne nella breve guerra del 1718 combattuta in Sicilia contro la Spagna, non impiegò più il suo esercito. Il figlio Carlo Emanuele III prese parte alla Guerra di Successione Polacca (1733-1735), ma, combattendo nella Pianura Padana al di fuori dei confini del Regno una guerra offensiva, decise di non levare le milizie, tanto meno quella valdese.

Ben diversamente accadde nella Guerra di Successione Austriaca (1741-1748), quando le milizie furono attivamente impiegate. Questo tipo di truppa dimostrò tutti i suoi innegabili pregi, specie durante la campagna del 1744 mentre l’esercito del principe di Conti assediava Cuneo: le forze irregolari sabaude furono in grado di intercettare i convogli francesi e distruggerli, incendiare ospedali, depositi, foraggi e annientare posti di guardia isolati, creando gravi difficoltà alla logistica dell’esercito franco-spagnolo impegnato in un difficile assedio. Allo stesso modo sulle Alpi si distinse per una serie di incursioni in profondità nel territorio nemico un corpo composto da circa 2000 miliziani valdesi, comandati dal capitano Jean Baptiste Rouzier4. Questo ufficiale e i suoi uomini, in parte armati con carabine rigate5, fornirono un’eccellente truppa leggera all’esercito sabaudo, specie durante le campagne alpine del 1743, 1744, 1745 e 1747.

Tuttavia, nonostante queste buone prestazioni, la milizia dimostrò molti limiti in quanto forza combattente attaccata all’armata;

- Mancanza di coordinazione con le forze regolari. Coordinare i movimenti di masse di truppe regolari con quelli dei miliziani era assai più complesso di quello che si può pensare. Si comprese questo fatto probabilmente già nel gennaio del 1743, durante la ritirata dalla Savoia. I Micheletti spagnoli, schierandosi in ordine sparso nei boschi che si stendevano sui fianchi dei solchi vallivi dell’Arc e dell’Isere, attaccarono i distaccamenti di retroguardia della colonna sabauda, comandata dal luogotenente generale Barone de Lornay, a Moutiers, Saint Jean de Maurienne e Saint Andrè. I Valdesi, circa 1500 uomini comandati dal maggiore Vaudenet, brillarono per la loro assenza, costringendo il De Lornay a distaccare 3 compagnie di granatieri (le due del Reggimento Guardie e una del Reggimento Mondovì) per sloggiare i Micheletti dalla loro posizione6. In seguito, da un punto di vista tattico, si preferì utilizzare le truppe leggere come forza di disturbo nelle retrovie nemiche oppure come schermo a truppe schierate, o in fase di schieramento, su una linea di

2 Il principale di questi complessi fortificati campali fu il campo trincerato del Laz Arâ, edificato sul colle che pone in comunicazione una valle secondaria della Val Chisone, la Valle di Pramollo, con la Valle Germanasca, uno dei santuari della guerriglia valdese. Le fortificazioni non furono come di consuetudine abbattute, e il campo, detto “del Duca de la Feuillade”, è ancora oggi visibile nella sua interezza, raro esempio di opera campale degli inizi del XVIII secolo; PONZIO 2003, pp. 93-151. 3 Per una descrizione delle compagnie della milizia valdese durante la Guerra di Successione Spagnola vedi ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 10, Etat des Compagnies Vaudoises du 17 avril 1705. 4 Per un biografia del capitano Jean Baptiste Rouzier si rimanda all’appendice di questo lavoro. 5 L’Arsenale di Torino fornì, specie durante la campagna del 1744, significativi quantitativi di armi rigate alle Milizie Valdesi; ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 3, 1730-1746, pp. 179, 186, 188, 198, 206, 208. 6 D. MINUTOLI, Relation des Campagnes faites par S.M. et par ses Généraux avec des Corps Séparés dans les années 1742 et 1748, BRT, Ms. Mil. 111, Vol. I, p. 214.

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fortificazioni campali, come avvenne ad esempio il 7 ottobre 1743 sul versante nord di Pietralunga durante la Battaglia di Casteldelfino, o ancora all’Assietta il 19 luglio 1747.

- Lacune tattiche nella guerra di pianura. La campagna del 1745, il cui punto culminante fu la Battaglia di Bassignana (27 settembre 1745), vide una netta supremazia dei Micheletti spagnoli nei confronti della Milizia Valdese. La fanteria leggera spagnola fu in grado di accerchiare di fatto la Brigata Piemonte7, la quale si salvò dall’annientamento solo grazie alla fermezza del suo comandante, Alexander Guibert de Sissac8, alla disciplina della truppa e all’intervento di truppe in appoggio dall’esterno della sacca. Il parziale armamento a canna rigata, che dilatava alquanto i tempi di caricamento, e la scarsa conoscenza e praticità dei luoghi, rendevano i reparti valdesi scarsamente utilizzabili in combattimenti sulle colline e le pianure che si estendevano nella parte orientale degli stati di terraferma del Regno di Sardegna. Sempre a Bassignana, specie nelle fasi finali del combattimento, mancò totalmente un reparto di fanteria leggera destinata a coprire l’arretramento dell’ala sinistra sabauda, che subì in tale occasione gravi perdite.

La Guerra di Successione Austriaca dimostrò chiaramente che occorreva disporre sul campo di battaglia di un corpo di fanteria leggera perfettamente inquadrato con i reparti di linea, come loro disciplinato, in grado di intervenire rapidamente e con una buona coordinazione con le altre forze impegnate.

Testimone della Battaglia di Bassignana, evento che influenzò notevolmente i futuri sviluppi dell’esercito sabaudo, fu il principe di Piemonte Vittorio Amedeo che non dimenticò questa mancanza tattica in quello che sarebbe dovuto divenire in futuro il “suo” esercito.

1.2 Un primo esperimento; la Legione Truppe Leggiere. Nel 1773 diveniva re di Sardegna Vittorio Amedeo III. Memore di quanto aveva visto a

Bassignana 27 anni prima, il Re incaricò il luogotenente colonnello del Reggimento Saluzzo, Gabriel Pictet, di levare una Legione Truppe Leggiere. Si trattava di un esperimento; sebbene concepito come un corpo militare destinato ad operare come fanteria leggera, ossia slegato dalle rigide tattiche delle fanteria di linea, esso era in realtà una vera e propria guardia di frontiera destinata a porre freno alla piaga del contrabbando. Effettivamente se ne avvertiva la necessità; partendo dalle sue basi poste in Savoia, il famoso fuorilegge Louis Mandrin e i suoi 77 compagni effettuarono tra il 2 gennaio e il 26 dicembre 1754 ben 6 vere e proprie “campagne” in territorio francese, in Franche-Comté, Bourgogne, Auvergne, Forez, Velay e Rouergue senza che le truppe sabaude potessero, o intendessero, arrestarli. Mandrin fu infine arrestato in territorio savoiardo l’11 maggio 1755, dopo che le forze francesi avevano varcato il confine, violando la sovranità del Regno di Sardegna senza troppe ambasce.

Se non altro per l’umiliazione subita, occorreva almeno porre rimedio al via vai di contrabbandieri, fuorilegge e disertori che vivevano sfruttando le larghe maglie dei controlli confinari. Durante il regno di Carlo Emanuele III erano inviati ciclicamente reparti di militari, specialmente granatieri, a controllare i posti di confine o a rastrellare dai fuorilegge zone particolarmente sensibili, specie in Savoia o lungo la linea di confine con la Repubblica di Genova, ma non fu mai presa in considerazione l’idea di creare un apposito corpo destinata a contrastare la piaga del contrabbando.

Il 5 ottobre 1774 Gabriel Pictet fu ufficialmente incaricato di organizzare la Legione Truppe Leggiere. Promosso colonnello della Legione già il 20 ottobre dello stesso anno, Pictet formò i 7 Composta dai 2 battaglioni del Rgt. Piemonte e dal 1°e 2° battaglione del Rgt. Guibert. 8 Alexandre Guibert de Seissac (1677-1746), già distintosi alla Battaglia di Pietralunga nella difesa della linea Pietralunga-Battagliola-Punta del Cavallo (7-8 ottobre 1743), era stato da poco promosso Luogotenente Generale. Alla testa del reggimento da lui levato, il 27 settembre 1745, sulle alture di Montecastello tra Bassignana e Alessandria, mentre difendeva il centro della linea piemontese, fu raggiunto da un colpo di fucile al femore che gli spezzò la gamba. Impossibilitato a muoversi, fu fatto prigioniero. La ferita risultò essere piuttosto grave, tanto che il comandante sabaudo fu rilasciato in poco tempo sulla parola. Si spense l’anno seguente a Torino per gli effetti del trauma; CERINO BADONE 1998, pp. 33-51.

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quadri secondo un metro di giudizio e selezione che, più tardi, fu adottato per la levata delle Compagnie Cacciatori. Scelse gli ufficiali che reputava più preparati militarmente e culturalmente; questi gentiluomini dovevano setacciare poi le province del Regno alla ricerca del materiale umano adatto. I soldati ed i sottufficiali dovevano saper leggere, scrivere, far di conto, e nel contempo essere agili e resistenti alla fatica.

Che non fosse un’impresa facile trovare soldati di tale levatura fisica ed intellettuale lo dimostra il fatto che la 1° compagnia fu riunita nella Piazza di Casale solamente il 7 maggio 1776. Dodici giorni dopo, il 19 maggio, fu formata la 2° compagnia, nei quartieri della Cittadella di Torino. Il 25 dicembre del 1776 la Legione Truppe Leggere era organizzata in due battaglioni di 4 compagnie ciascuno. Soddisfatto del lavoro sin qui svolto, nel 1778 Vittorio Amedeo III promuoveva Gabriel Pictet brigadier generale.

Il Regio Viglietto del 20 aprile 1779 portò a dodici le compagnie del corpo, oltre alla levata nella Città di Voghera di una compagnia di riserva per il reclutamento e l’addestramento degli uomini. A sottolineare il fatto che ormai si pensava alla Legione Truppe Leggiere come ad un reparto di polizia piuttosto che ad una forza militare vera e propria, con il Regio Viglietto del 19 luglio 1781 si decretava la soppressione dei battaglioni e sanciva l’indipendenza delle singole compagnie, in modo tale che esse potessero espletare al meglio la loro funzione di guardia confinaria e daziaria. Ognuna delle compagnie era così composta,

- un Capitano; un Capitano Tenente; un Tenente; un Sottotenente effettivo; un Sottotenente soprannumerario9; un Sergente di compagnia; tre Sergenti di squadra; un Sergente soprannumerario; due Caporali di squadra; tre Primi Caporali di camerata; tre secondi Caporali di camerata; sei Appuntati; un Cadetto10; un volontario; due Tamburini11; un Piffero12; un vivandiere; un infermiere; 73 soldati.

Tuttavia con il Regio Viglietto del 22 giugno 1786 la Legione fu riorganizzata come Brigata, forte di 4 battaglioni, ognuno di 4 compagnie di fucilieri, oltre a due compagnie granatieri, una di cacciatori e una compagnia di riserva13. Sin dal 1776 era prevista anche la levata di un reparto a cavallo, utilizzando il personale e le cavalcature del Reggimento Dragoni di Sardegna. Dopo molti rinvii e ritardi, nell’agosto del 1792 questo progetto veniva finalmente ripreso ed in parte attuato, per essere sospeso una volta iniziate le operazioni belliche contro la Francia a partire dal settembre dello stesso anno. Gli esigui reparti sin qui organizzati furono impiegati come staffette ed esploratori.

1.3 Vittorio Amedeo III e la levata delle Compagnie Cacciatori. La Legione Truppe Leggiere, creata come un corpo di fanteria leggera, fu dirottata sin dal

momento della sua creazione verso funzioni di guardia confinaria e daziaria. Si trattava senza dubbio di una necessità avvertita e improcrastinabile, e la Legione assolse egregiamente il suo compito. Restava tuttavia il problema di dotare i battaglioni della fanteria di linea di uno schermo di fanteria leggera. La Guerra di Indipendenza Americana (1775-1783) stava dimostrando tutta l’efficacia delle formazioni di “leggeri” che operavano in appoggio alle formazioni dei reparti di linea. In particolare, destinato ad ispirare numerosi reparti simili in tutta Europa, si distinse il corpo di Jäeger dell’Assia del capitano Johann Ewald. Costui intuì le difficoltà intrinseche nel comandare in linea aperta l'intera formazione a sua disposizione; nel 1777, appena sbarcato nelle Indie Occidentali, aveva a sua disposizione 5 compagnie appiedate e una a cavallo, per un totale di circa

9 Presente solo nella 12° compagnia. 10 Presente nella 1°, 2°, e 3° compagnia. 11 Tre nella 5°, 6°, 9°, 10° ed 11° compagnia. 12 Il Piffero era presente solo nella 4°, 5°, 6° e 7° compagnia. 13 Il 7 aprile 1795 la Legione fu suddivisa in due reggimenti, 1° e 2° Reggimento Legione Truppe Leggiere, ognuno composto da due battaglioni di 5 compagnie l’uno. Per una biografia di Gabriel Pictet, fondatore del corpo, si rimanda all’Appendice del presente lavoro.

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500 uomini. Preferì, pertanto, operare con una singola compagnia, circa 80 uomini, e spesso anche con meno, per avere sotto controllo l'intera formazione impegnata al momento del combattimento14. La massa di uomini che la Legione Truppe Leggiere poteva mettere in campo mal si adattava a simili tattiche; la levata delle compagnie granatieri e cacciatori nel 1786 sancisce l’affermazione di tale reparto come un vero e proprio Reggimento di linea, piuttosto che di un reparto di fanteria leggera.

Ma più che i resoconti della Guerra di Indipendenza Americana fu determinante l’esperienza che l’esercito sabaudo maturò nel 1782.

La corte di Torino, per aggirare l’isolamento diplomatico che perdurava dalla fine della Guerra di Successione Austriaca, aveva accettato di entrare stabilmente nel patto di sicurezza borbonico, il cosiddetto “Patto di Famiglia”15, e di coordinare la propria politica italiana con quella francese. La svolta avvenne con le triplici nozze, volute da Luigi XV e celebrate nel 1771, 1773 e 1775, delle Principesse sabaude e del Principe di Piemonte con due fratelli e una sorella del futuro Luigi XVI. Seguì poi una formale alleanza segreta siglata a Versailles l’8 aprile 1775 con la quale il Regno di Sardegna rientrò di fatto sotto il protettorato francese16. In questo contesto, nel luglio del 1782 un corpo di 3000 soldati piemontesi aveva concorso, aggregato a 3000 bernesi e 5000 francesi, alla forza multinazionale comandata dal generale von Lentulus intervenuta a Ginevra per ristabilire il governo patrizio. Comandati dal conte Francesco Ferrero della Marmora, i piemontesi e le altre forze d’occupazione rimasero di presidio nella città elvetica sino al maggio del 178317.

Questa operazione militare, la prima di una certa entità per l’esercito sardo dal 1748, mise direttamente a contatto i militari piemontesi con le forze dell’alleato francese. L’esercito gigliato non era più quello dell’Assietta e, analizzando le gravi mancanze che si erano manifestate durate la Guerra dei Sette Anni (1756-1762), era stato riplasmato e trasformato in una efficiente e disciplinata macchina bellica, come ebbe modo di dimostrare nella guerra contro l’Inghilterra che stava allora volgendo al termine. I reggimenti d’oltralpe sin dal 25 marzo 1776 (Ordennance de le Compte de Saint Germain) furono organizzati su due battaglioni, ciascuno composto da quattro compagnie di fucilieri di 116 uomini e due compagnie, una di granatieri e una di cacciatori, di 101 elementi18. Ogni reparto, pertanto, era in grado di disporre di un proprio contingente di truppe leggere, senza dover richiedere il supporto di altri corpi staccati.

Non è da escludere che, nell’attuare la riforma dell’esercito del 1786, i rapporti dell’operazione militare di Ginevra abbiano consigliato Vittorio Amedeo III ad adottare qualcosa di simile. Oltretutto, così facendo, avrebbe adeguato le proprie forze armate sul modello di quanto avveniva in quelle del suo maggiore alleato, il Regno di Francia appunto.

Con il Regio Viglietto del 22 giugno 1786, Vittorio Amedeo III, tramite il suo ministro della Guerra, generale Giuseppe Ruffinotto Coconito di Montiglio, decise la levata delle Compagnie Cacciatori nei Reggimenti di Fanteria d’Ordinanza Nazionale19.

2. Le compagnie cacciatori dei Reggimenti di Fanteria d’Ordinanza Nazionale; organizzazione, organico, reclutamento, addestramento.

2.1 Organizzazione e organico delle Compagnie.

14 Sulle tattiche adottate dal capitano Ewald vedi Diary of the American War 1979. 15 Siglato a Parigi il 16 agosto 1761. 16 ILARI-PAOLETTI-CROCIANI 2000, pp. 81-83. 17 GUERRINI 1902, p. 532. 18 SUSANE 1874, I, p. 284. 19 Le Compagnie Cacciatori furono levate anche nei Reggimenti di Fanteria Svizzera (Vallese, Bernese, Grigione), Allemanna (Real Alemanno) e Straniera (Chiablese). Rimane da comprendere se tali compagnie furono levate anche nei reggimenti di fanteria svizzera di nuova formazione, Bachmann, Zimmermann e Peyer im Hoff.

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Il Regio Viglietto del 22 giugno 178620 organizzava i Reggimenti di Fanteria d’Ordinanza Nazionale piemontesi in modo analogo, almeno sulla carta, ai loro corrispettivi francesi. Ciascun reparto, forte sul piede di guerra di 1090 uomini21, era impostato su due battaglioni; ognuno di questi era a sua volta formato da 4 compagnie (Capitana, Colonnella; Capitana, Maggiora; Capitana, Luogotenente Colonnella; Capitana, Maggiora), riunite in due “centurie”. In forza a ciascun battaglione vi era una Compagnia Granatieri e, elemento del tutto nuovo, una Compagnia Cacciatori o, come venivano definiti, “cacciatori-carabinieri”.

Gli uomini, rifacendosi a quanto era avvenuto nel 1735 e nel 1737 durante la formazione delle Compagnie Carabinieri nei reggimenti di cavalleria e dragoni, non furono raggruppati in una unità autonoma, ma furono ripartiti tra le varie compagnie di fucilieri. Ciascuna compagnia disponeva di un proprio piccolo stato maggiore;

- Compagnia del 1° Battaglione. Stato Maggiore; 1 Capitano o Capitano Tenente; 1

Sottotenente; 1 Trabante; 1 Furiere; 1 Sergente di Compagnia, di Plotone o Soprannumerario; 1 Corno da Caccia;

1° Centuria, Compagnia Capitana, 1 Caporale e 5 Cacciatori; 1° Centuria, Compagnia Colonnella, 6 Cacciatori; 2° Centuria, Compagnia Capitana, 1 Caporale e 5 Cacciatori; 2° Centuria, Compagnia Maggiora, 1 Caporale e 5 Cacciatori. - Compagnia del 2° Battaglione. Stato Maggiore; 1 Tenente; 1 Trabante o Furiere; 2 Sergenti di

Compagnia; 1 Corno da Caccia; 1° Centuria, Compagnia Capitana, 1 Caporale e 5 Cacciatori; 1° Centuria, Compagnia Luogotenente Colonnella, 6 Cacciatori; 2° Centuria, Compagnia Capitana, 1 Caporale e 5 Cacciatori; 2° Centuria, Compagnia Maggiora, 1 Caporale e 5 Cacciatori; Complessivamente le due piccole compagnie erano formate da 59 uomini; 1 Capitano, 1

Luogotenente, 1 Sottotenente, 3 Trabanti e furieri, 3 Sergenti di compagnia, 6 Caporali, 2 Corni, 42 cacciatori.

Anziché disporre di un tamburo o di un piffero, si preferì dotare i cacciatori di un corno. Questo strumento a fiato consentiva una migliore trasmissione degli ordini alla truppa schierata in ordine sparso di quanto non potesse fare un flauto traverso o un tamburo. A ogni comando corrispondeva una breve sequenza di note, ascoltando le quali i soldati sapevano già da subito cosa eseguire pur non udendo direttamente la voce del loro superiore.

Che si dovesse trattare di una compagnia d’elite, al pari dei granatieri, lo si comprende dall’addestramento particolare al quale gli uomini erano sottoposti, dall’equipaggiamento e da particolari dell’uniforme. Le compagnie cacciatori e granatieri erano le uniche nei reggimenti di fanteria piemontese, sia nella fanteria d’ordinanza nazionale, che in quella provinciale così come nei reparti esteri, a portare al fianco il sabro, la corta spada da fanteria ricurva.

Come i granatieri i cacciatori avranno, oltre alla distinzione dei loro gradi, un gallone ondulato sulle maniche al di sotto dei

paramani22.

20 ASTO, Sezioni Riunite, Carte Antiche d’Artiglieria, Vol. 21, p. 474. Il testo integrale è pubblicato anche in AMATO-DUBOIN 1865, Tomo 27, Vol. 29, pp. 1647-1654. 21 I conteggi e le cifre dell’organico dei reggimenti di fanteria d’ordinanza nazionale sono riportati nell ’Etat d’un Regiment d’Ordonnance de la Nation, le 5 juin 1790, ASTO, Azienda generale d’artiglieria, Carte antiche d’Artiglieria, Volume XVI. 22 Supra nota 20.

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L’unica differenza tra le due compagnie stava nel fatto che i granatieri portavano la decorazione sul paramano, i cacciatori al di sotto dei paramani, ossia sull’avambraccio.

La paga annuale (78 lire) risultava essere maggiore rispetto a quella di un fuciliere ordinario (69 lire), ma inferiore a quella di un granatiere (87 lire)23.

2.2 Reclutamento e addestramento dei quadri e dei soldati. Nell’indicare i criteri di selezione dei quadri fu tenuto presente quanto era stato fatto, con buoni

risultati, durante la levata della Legione Truppe Leggiere. Il Regio Viglietto del 22 giugno 1786 pretendeva infatti che;

gli ufficiali dei cacciatori saranno proposti dal colonnello, il quale avrà l’attenzione di scegliere per questo

servizio coloro i quali crederà abbiano maggiore attitudine, senza guardare l’anzianità24.

Gli ufficiali dei cacciatori dovevano essere in tutto tre per reggimento; un Capitano o un

Capitano Tenente, un Luogotenente e un Sottotenente. La loro selezione doveva essere il più possibile oculata, in quanto avrebbero dovuto a loro volta selezionare, addestrare e comandare gli uomini di un corpo di fanteria destinato a combattere sia in linea che in ordine aperto, capace di muoversi velocemente, trincerarsi dietro fortificazioni campali allestite dagli stessi cacciatori, nonché di sviluppare un intenso e preciso fuoco di fucileria.

Si voleva una compagnia composta di soggetti lesti e robusti, di fedeltà riconosciuta, e i posti di cacciatore saranno dati in ricompensa per

la loro intelligenza e le loro azioni. L’addestramento dei soldati, i quali potevano essere rinviati alle compagnie d’origine se si

dimostravano inadatti a servire nelle Compagnie Cacciatori, era piuttosto intenso. Innanzitutto occorreva abituare a mantenere in efficienza la propria arma, quindi si passava ad addestrare gli uomini alla marcia ma soprattutto al pas de vitesse, e a radunarsi prontamente. Il pas de vitesse, o passo accelerato, prevedeva passi di 69 cm con una cadenza di 120 per minuto.

Ma il lavoro maggiore e più importante doveva essere effettuato nell’addestramento del cacciatore al tiro;

(l’ufficiale) si procurerà allo stesso modo di addestrare degli eccellenti tiratori, e insegnerà loro a tirare al

bersaglio. Si comincerà, per ottenere questo fine, insegnando loro a tirare a palla nel modo in cui li si giudicherà capaci, seguendo i punti qui sotto.

Si farà preparare un bersaglio, di larghezza dalle 12 alle 14 once, e alto da 42 a 4825

; sarà tinto di nero a l’altezza dello stomaco di un uomo, si tingerà di bianco una parte quadrata di 6 o 8 once, nel mezzo della quale si farà fare un tondo nero di poco più di un’oncia di diametro, e nel suo mezzo si avrà ancora un punto bianco della grandezza circa di un pezzo da trenta soldi per meglio apprezzare la giustezza del colpo, e decidere con maggiore fondamento l’abilità del tiratore.

Si pianterà quindi il bersaglio a mezza portata di fucile per cominciare a tirare da quella distanza. Per impedire che i colpi s’incartino, si spiegherà a chi dovrà tirare la maniera di mirare senza baionetta e l’effetto

sulla portata dell’arma quando è più o meno spostata, farà fare più prove per sapere se ha compreso, gli farà osservare che per quel poco che la canna non è puntata verso la giusta direzione, i colpo s’incartano a destra e a sinistra, e che per mirare correttamente deve avere l’occhio sinistro chiuso, l’occhio destro percorre tutta la lunghezza

23 AMATO-DUBOIN 1865, Tomo 27, Vol. 29, p. 1672. Stato delle paghe fissate da S.M. per li bass’ufficiali e soldati del reggimento di fanteria di Ciablese. Le stesse differenze si ritrovano nelle paghe degli ufficiali. Un Capitano dei cacciatori guadagnava all’anno 1283 lire, contro le 1394 di un Capitano dei granatieri e le 1172 di un Capitano di fanteria di linea. Lo stipendio di un Capitano di fanteria provinciale si abbassava a 383 lire. 24 I corsivi di questo capitolo, se non specificato in nota altrimenti, sono tratti da; vedi supra nota 20. 25 Ossia, utilizzando la larghezza e l’altezza massima consentita di 14x48 once, 60x200 cm. Un’oncia piemontese corrisponde a mm 42,8846.

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della canna (senza che sia piegato a destra e a sinistra) e dovrà avere il punto di mira proprio davanti alla punta dell’arma.

Dopo aver insegnato al cacciatore come si doveva impugnare l’arma per un tiro di precisione, si

insegnava al soldato come colpire il bersaglio. Occorreva far comprendere alla truppa come a distanze differenti la canna del fucile doveva essere elevata a differenti angoli;

Successivamente si farà capire al cacciatore che tirando da vicino, vale a dire a una distanza di una ventina di

trabucchi, prima che il peso della palla l’abbia fatta abbassare, se tira senza baionetta si farà mirare un poco sotto la punta, e con la baionetta un poco ancora sotto, e che più è lontano, più deve alzare la punta del fucile.

I tiri avvenivano a una distanza di 30 trabucchi (92 metri). Si insegnava al cacciatore come

caricare correttamente l’arma, come disporre nel miglior modo polvere, carta e palla di piombo, come sparare e soprattutto mirare con o senza baionetta, in appoggio o liberi. La lacuna maggiore, in questa vera e propria scuola di tiro, stava nel fatto che non si insegnava al soldato come colpire un bersaglio in movimento26.

Le esercitazioni a fuoco duravano tre giorni consecutivi e dovevano essere svolte un mese all’anno, con un consumo di 11 o, al massimo, 13 cartucce.

Il R.V. prevedeva anche che

per indurre i cacciatori a fare progressi, S.M. accorda i premi qui sotto indicati che saranno distribuiti secondo quanto qui di seguito indicato, e consegnati dall’Ufficio Generale del Soldo su indicazione dell’ufficiale dei cacciatori che ha sovrinteso l’esercitazione, con l’approvazione del colonnello o del comandante del corpo. L’ufficiale dei cacciatori farà fare questa esercitazione sotto i suoi occhi, e terrà nota di tutti coloro i quali hanno tirato, annotando coloro che saranno meritevoli di qualche premio e dell’entità del premio.

In base ai colpi messi a segno erano stabiliti i seguenti premi in denaro, i quali erano

progressivi in base alla qualità del tiro; Colui che […] colpirà tre volte consecutivamente il bersaglio, avrà due soldi e mezzo. Colui che colpirà nel gran bianco [ossia nel quadrato bianco] avrà cinque soldi. Colui che colpirà il nero nel mezzo [del bersaglio] avrà quindici soldi. Colui che colpirà il piccolo bianco nel mezzo avrà trenta soldi. Colui che colpirà nel corso dell’esercitazione tre volte il piccolo nero e tre volte il bersaglio, avrà un premio di sei

lire […] e sarà dichiarato tiratore e ne porterà i distintivi. Questo distintivo si doveva aggiungere al già stabilito gallone dei cacciatori; I cacciatori avranno, oltre alla distinzione dei loro gradi, un gallone ondulato sulle maniche al di sotto dei

paramani, e coloro i quali si distingueranno in qualche prodezza, o saranno dichiarati tiratori, saranno anche fregiati di un doppio gallone in base alla relazione che l’ufficiale farà al colonnello, la quale sarà inviata alla segreteria di guerra.

Tra le dotazioni affidate ai cacciatori troviamo la corta sciabola da fanteria, il sabro. Lungi

dall’essere considerata una semplice arma decorativa o da parata, il sabro fu impiegato piuttosto spesso durante la Guerra delle Alpi, specie durante gli innumerevoli colpi di mano, assalti notturni e incursioni in territorio nemico nelle quali i reparti di cacciatori furono spesso coinvolti. Un’arma bianca nelle mani di un soldato inesperto diveniva più un inutile fardello che non un efficace strumento per offendere. Dal momento che solo quattro compagnie, le due granatieri e le due cacciatori, disponevano di simile equipaggiamento, non è da escludere a priori l’idea che esistesse un minimo di pratica all’uso del sabro. Maestri di scherma, che sappiamo curare l’addestramento

26 Al contrario di quanto avveniva, invece, in altri eserciti. Vedi, ad esempio, per l’esercito russo dello zar Paolo I ZHMODIKOV 2003, Vol. I, p. 14.

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dei reggimenti di cavalleria, avrebbero potuto allo stesso modo insegnare ai soldati dei reparti di fanteria un determinato numero di colpi, per forza di cose il più semplici e letali possibile.

Il 24 agosto 1786 la regia segreteria stabiliva di reclutare musici per suonare i corni da caccia nelle Compagnie Cacciatori27 e il seguente 19 settembre furono rese note le indicazioni necessarie sui criteri di selezione del personale. Si chiedeva di accettare

soltanto quelli che abbiano qualche prenotizia di musica, buona disposizione per impararla, siano in buono stato

di servizio, robusti, ben fatti, di bella figura e disinvolti per le marcie28.

Anche nella selezione della musica la regia segreteria si preoccupava di collocare nelle

Compagnia Cacciatori personale fisicamente prestante e adatto a lunghe marce. L’esame di selezione doveva essere condotto addirittura da Gaetano Pugnani, primo violino della cappella regia e direttore della musica militare con Regia Patente del 17 agosto 1786. Si faceva infine notare che nel caso il suonatore avesse tenuto un’ottima ed irreprensibile condotta e avesse dimostrato buone doti musicali, il soggetto poteva aspirare ad un posto di trombetta in un reparto di cavalleria.

3. Equipaggiamento 3.1 Ascia La bandoliera dei cacciatori aveva la possibilità di alloggiare una piccola ascia a un taglio, come

già avveniva presso le Compagnie Granatieri. L’ascia, assai meno voluminosa ed ingombrante rispetto a quella utilizzata dagli zappatori, era collocata in una guaina di cuoio cucita all’altezza del fianco sinistro ed era utilizzata per abbattere ostacoli passivi, quali palizzate, porte, cavalli di frisia, ecc., ma anche, come vedremo in seguito, per costruire improvvisate fortificazioni campali.

3.2 Sabro Nel 1774 l’esercito del Regno di Sardegna aveva in dotazione tre principali modelli di sabro: - da Sergente; - da Granatiere; - da Sergente del Reggimento Guardie. Il primo modello, adottato anche dai Sergenti Maggiori, Caporali e Caporali Maggiori, aveva la

guardia in ottone a due branche con bordino, l’impugnatura di legno rivestita di cuoio legato con filo d’ottone intrecciato e la lama scanalata arricchita dal motto Vive le Roi de Sardaigne incisa sul recto e un’aquila coronata sul verso.

Il secondo modello, in dotazione anche a tutti i cacciatori, pifferi, tamburi e fucilieri del Reggimento Guardie e ai volontari dei reparti provinciali, differiva dal primo solo per la lama più larga.

Il terzo modello, per i Sergenti del Reggimento Guardie, aveva il pomo foggiato a testa di aquila e l’impugnatura ricoperta di filo argentato.

All’elsa dei sabri era annodata la dragona, costituita da un laccio doppio di cordone. I granatieri, i cacciatori, i musicanti e le compagnie della Legione degli Accampamenti le avevano di lana turchina.

Il sabro piemontese era una impressionante arma bianca da fanteria; era composto di una lama ricurva estremamente appuntita ad un solo filo lunga 62 cm, mentre una guardia in ottone

27 AMATO-DUBOIN 1865, Tomo 27, Vol. 29, pp. 1659-1660, Regio Viglietto del 24 agosto 1786. 28 AMATO-DUBOIN 1863, Tomo 26, Vol. 28, pp. 2324-2325. Lettera della regia segreteria di guerra che partecipa le sovrane determinazioni per servizio dei corni da caccia.

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proteggeva buona parte della mano del fante. Il sabro adottato dall’esercito sabaudo e impiegato anche dalle Compagnie Cacciatori era un’eccellente arma per il combattimento corpo a corpo.

Tuttavia si rivelò essere troppo pesante e troppo ingombrante nelle marce effettuate durante le campagne affrontate sui difficili fronti montani della Guerra delle Alpi. Ulteriore disagio era dato dal disegno della cintura che, stretta alla vita, recava il portasabro ed il portabaionetta; questo elemento della buffetteria scaricava i pesi sui fianchi, risultando piuttosto scomodo nei movimenti. Durante gli ultimi due anni di guerra non era raro imbattersi in soldati sabaudi, specie quelli appartenenti all’artiglieria, ai “corpi speciali”, alle unità provinciali e della milizia, abbandonare la vecchia cintura portasabro per adottare il più pratico modello francese, con una bandoliera di cuoio passante sulle spalle29.

3.3 Armi da fuoco; perché si adattò il fucile Mod. 1782 anziché carabine a canna rigata. Il R.V. del 22 giugno 1786 affermava che i cacciatori avranno provvisoriamente l’armamento degli altri soldati; S.M. si riserva di determinare il modello di carabina

che si dovrà loro distribuire in seguito. Alle compagnie fu così distribuito il fucile modello 1752 con canna tonda, già in dotazione a

tutta la fanteria d’ordinanza nazionale, mentre gli ufficiali mantennero l’elegante, ma costoso, fucile modello 1774.

Costruito in oltre 95.000 esemplari, il fucile Mod. 1752 risultò essere una delle migliori armi del XVIII secolo, degno di essere paragonato con il contemporaneo e più famoso Brown Bess britannico. Ammirato e invidiato all’estero, il fucile piemontese fu preso a modello da vari eserciti stranieri, soprattutto dal Regno di Francia per realizzare il Fusil d’Infanterie modéle 1754. Durante i cinquant’anni di vita operativa fu modificato, come vedremo tra poco, solo nelle forme del calcio. 39546 fucili di tale modello, a due ordini o a canna tonda, erano disponibili nel 1792 allo scoppio delle ostilità.

Sebbene si trattasse di un’ottima e robusta arma per la fanteria, mal si adattava alle necessità dei cacciatori. Il 29 giugno 1786 si rilevava infatti che;

L’altezza e spessore della costa di bosco che si eleva nella parte superiore d’essa culatta, impedisce al soldato di

applicare l’occhio alla mira, e non gli permette di aggiustare il colpo al segno, che occorresse di prefiggere, onde premendosi d’ovviare a simile inconveniente, siamo entrati nella determinazione di fare modificare detta montatura in guisa che venga affatto tolto

30. La cassa dei fucili fu modificato e il calcio ridotto di volume. Le Compagnie Cacciatori furono

le prime a beneficiare di questo cambiamento; Incomincerete pertanto a fare fin d’ora eseguire detta modificazione sul numero dè fucili, di cui dovranno essere

munite le Compagnie di Cacciatori di ciascun Reggimento31.

Dopo una travagliata fase di progettazione, il fucile Mod. 1782 iniziò a essere distribuito ai

reparti; la prima unità ad esserne equipaggiata fu il Reggimento di Fanteria Svizzera Rochmondet, il 19 marzo 1789. La consegna del nuovo armamento terminò proprio alla vigilia della Guerra delle Alpi, quando il 19 maggio 1792 il fucile Mod. 1782 fu distribuito ai Reggimenti di Fanteria d’Ordinanza Nazionale La Marina e Sardegna.

29 Sui sabri piemontesi si veda GOBETTI-DONDI 2001, pp. 15-45. Sulle modifiche alle buffetterie; Ritratto del conte Birago di Borgaro, Museo Storico Nazionale d’Artiglieria; Milicien Volontarie de la Ville de Turin, 1793-1796, ALES 1989, p. 220. 30 ASTO, Sezioni Riunite, Regi Viglietti e Dispacci, Regio Viglietto del 29 giugno 1786. 31 Supra nota 30.

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Destinato a sostituire l’ordinanza precedente, quest’arma da fuoco risultava essere, nonostante i numerosi esperimenti e prove, poco più di uno sviluppo del fucile modello 1752. Baionetta e bacchetta erano stati migliorati, l’acciarino irrobustito, ma le piastre non garantivano la stessa tenuta dei modelli precedenti. Casse, guarnizioni e metodi di produzione erano gli stessi. Il fucile Mod. 1782 poteva essere paragonato al modello prussiano 1782 e all’austriaco 1784, ma era totalmente surclassato dal suo diretto antagonista, il fucile francese modello 1777, arma nuova ed in continua evoluzione, nonché dai fucili britannici modello 1792 e dall’austriaco modello 1798.

Nel settembre del 1792 i cacciatori affrontarono il nemico armati con il fucile Mod. 1782 e relativa baionetta, ossia con una miglioria di quell’arma che sei anni prima era stata loro distribuita provvisoriamente. Si era comunque determinato, probabilmente sin già dai mesi seguenti la levata delle Compagnie Cacciatori, di non fornire alcuna carabina particolare, tanto meno rigata, ai soldati di tali unità. Le ragioni di questa scelta furono piuttosto complesse, in parte dettate da considerazioni di ordine tattico, in parte di ordine politico-strategico.

Ben vive nella memoria dei militari sabaudi erano le tragiche e sanguinose battaglie sostenute dalle Compagnie Carabinieri dei Reggimenti di Cavalleria e Dragoni32.

Cinquanta uomini selezionati in ciascuno dei reparti montati furono dal 27 dicembre 1737 equipaggiati con carabina rigata. Dopo un pessimo esordio alla Battaglia di Camposanto (8 febbraio 1743), i carabinieri, raggruppati in un corpo di 300 uomini, furono attivamente impiegati sulle Alpi; il 16 luglio 1744 ebbe inizio, in Val Varaita, la Battaglia di Pietralunga. Lo scontro, tra una colonna francese di appoggio e il grosso dell’esercito sabaudo, si protrasse per due giorni, con perdite piuttosto elevate. L’azione fu caratterizzata da numerosi scontri locali, il più sanguinoso dei quali fu quello avvenuto alla Ridotta di Monte Cavallo; al termine dei combattimenti, il 19 luglio 1744, la linea piemontese di Casteldelfino era di fatto frantumata, mascherando la reale direttrice offensiva del Principe di Contì, il quale riuscì a forzare gli sbarramenti piemontesi della Valle Stura di Demonte e dare inizio all’investimento della Piazza di Demonte e della Piazzaforte di Cuneo.

I primi scontri avvennero il 17 luglio, alle sei e tre quarti del mattino, quando il distaccamento del brigadier generale François Chevert discese dal campo di Celiol scontrandosi con il distaccamento del tenente colonnello Charles Antoine Roi del Reggimento piemontese di Fanteria Svizzera Roquin. Trincerate nelle baite della località La Gardetta di Sant’Anna erano appostati 600 granatieri di vari reggimenti e tutti i 300 uomini delle Compagnie Carabinieri inviate di rinforzo la mattinata stessa dal loro presidio al Colle del Buondormir. A La Gardetta i piemontesi avevano trasformato in fortilizi una decina di baite, aprendo nei muri le feritoie necessarie per poter sparare con le armi individuali. Le case si coprivano l’un l’altra e rendevano impossibile il transito verso il fondovalle e verso il Colle del Buondormir, l’obbiettivo dell’attaccante. I 1500 uomini di Chevert (1 battaglione del Reggimento Brie e 4 compagnie granatiere dei Reggimenti Poitou, Contì e Provence) assalirono subito le posizioni sabaude, espugnarono la prima baita fortificata, ma ne restavano da occupare ancora una decina, dalle quali i piemontesi sviluppavano un intenso fuoco di interdizione. Chevert si ritirò quel poco per organizzare gli uomini e preparasi a dare l’assalto ad un’altra baita quando fu raggiunto dal Conte di Danois e dalla Brigata Poitou (formata dai 3 battaglioni del Reggimento Poitou). François Chevert cedette il posto ai nuovi arrivati e si portò sulla destra della valle per aggirare la posizione e tagliare ogni via di fuga al nemico. Il tenente colonnello Roi ordinò immediatamente la ritirata, lasciando in retroguardia i 300 carabinieri. L’idea dell’ufficiale era quella di impegnare da lontano il nemico e, approfittando della maggiore portata delle carabine, tenere il più a lungo possibile a distanza la colonna avversaria. Purtroppo per i

32 Nel 1735 esistevano i Reggimenti di Cavalleria Piemonte Reale e Savoia Cavalleria. Quindi vi erano i seguenti Reggimenti di Dragoni; Dragoni di Piemonte, Dragoni di S.M., Dragoni del Genevois e, dal 28 novembre 1736, il Reggimento Dragoni della Regina. Ogni reparto contava, in tempo di guerra, 662 uomini suddivisi in uno Stato Maggiore e 10 compagnie raggruppate a loro volta in 5 squadroni, la cui forza media era di 130 cavalieri. In Sardegna era stanziato il piccolo corpo dei Dragoni di Sardegna, forte di 3 compagnie. Le difficoltà maggiori per il Regno di Sardegna nel mantenere in efficienza questi reparti non stava tanto negli equipaggiamenti quanto nelle cavalcature, non esistendo un efficace struttura di rimonta all’interno del Regno.

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carabinieri il movimento aggirante del brigadiere Chevert aveva di fatto separato la retroguardia dal grosso in ritirata;

Questi carabinieri, tuttoché gente scelta nei reggimenti dè dragoni e cavalleria, trovandosi incalzati da vicino dà

nemici, e non potendo che poco o niente servirsi delle loro carabine, a cagione, che non essendo stati provvisti di palle volanti, ma avendo solamente palle grosse da far entrare a tutta forza nella canna della loro arma da fuoco, gli conveniva perciò consumare molto tempo, dopo aver in principio con assai buon ordine sostenuto la ritirata, nella quale avevano di già perduti da 30 a 40 uomini stati loro uccisi, si diedero alla fine a salvarsi precipitosamente allora che si videro dalla summentovata colonna tagliata la comunicazione cogli altri che precedevano: e non cercando più ognun di loro che a scampar se stesso, chi per una via e chi per l’altra, di quelle rupi si fuggirono, e giunsero in parte a Bellino, dopo aver lasciato prigionieri nelle mani dei nemici 80 circa dè loro frà i quali molti feriti

33. La tattica di impiegare i carabinieri in retroguardia poteva costare molto cara. L’idea di coprire

una massa di uomini in ritirata con un reparto armato di fucili a canna rigata, ossia più lenti da ricaricare rispetto alle normali armi a canna liscia, continuava a rimanere ben radicata nel comando sabaudo. Si reputava più vantaggioso una maggiore gittata rispetto alla celerità di tiro, senza soffermarsi sul fatto che la truppa che doveva operare in retroguardia così armata non arrivava a contare che tre centinaia di uomini.

La sconfitta di Bassignana del 27 settembre 1745, oltre a segnare il punto più basso della campagna del 1745 per le armate del Regno di Sardegna, rappresentò il canto del cigno per le armi rigate piemontesi. Sull’ala sinistra dello schieramento piemontese la cavalleria del cavaliere Della Manta fu costretta a ripiegare davanti alla continua pressione dei reparti spagnoli che stavano guadando il Tanaro. A proteggere la ritirata fu inviato il tenente colonnello Della Villa con i soliti 300 carabinieri. Se non altro in questa occasione, manovrando piuttosto abilmente e appoggiandosi ai valloni che interrompono la pianura di Bassignana, il Della Villa riuscì a ritardare il più possibile l’avanzata del nemico, sino a quando, sul ciglione di Cascina Grossa, i suoi carabinieri, assaliti di fianco e di fronte da qualcosa come 20.000 spagnoli, furono annientati e lui stesso fatto prigioniero. Avvenuto questo gli attaccanti poterono sorprendere lo squadrone di coda della colonna piemontese in ritirata, uno dei cinque presenti del Reggimento Dragoni di Piemonte, che venne mandato letteralmente in pezzi perdendo 160 uomini e 2 bandiere.

Le perdite di uomini e materiali sofferte dalle Compagnie Carabinieri erano state sino ad allora tra le più alte dell’Armata Sarda, quasi del 100%.

I gravi rovesci subiti dalla truppe a cavallo armate di carabina rigata condizionò molto lo sviluppo di tali armi in Piemonte, dove il loro impiego rimase sempre estremamente impopolare. Conclusa vittoriosamente la Guerra di Successione Austriaca l’esercito del Re di Sardegna sembrò dimenticare i problemi tattici e tecnici che le armi rigate avevano posto. Le carabine furono nuovamente distribuite ai Carabinieri che tornarono ad essere suddivisi tra le compagnie di cavalleria. Nel 1751 Carlo Emanuele III decise di rinnovare l’armamento dell’Armata, e le carabine rigate furono ritirate ai reggimenti di Dragoni e sostituite col fucile liscio Mod. 1751. Di carabine rigate non si parlò più per vari decenni; la diffusione di tali armi rimase limitata a pochi reparti di cavalleria e alle solite armi da posta da utilizzare in fortezza, proprio mentre in Europa si facevano i primi esperimenti di reparti totalmente equipaggiati con carabine rigate.

Quali furono le ragioni di tali scelte? Innanzitutto pesava ancora il ricordo della pessima prova data dai carabinieri nella Guerra di Successione Austriaca. Vittorio Amedeo III, all’epoca principe di Piemonte, aveva comandato personalmente il Reggimento Dragoni del Genevois, detto per questo Dragoni di S.A.R., in vari occasioni tra le quali a Bassignana nel settembre del 1745. Si ricordava piuttosto bene, quindi, quanto avevano sofferto le compagnie armate di carabina rigata. Le Compagnie Cacciatori, levate in seno ai Reggimenti di Fanteria d’Ordinanza Nazionale con lo

33 GALLEANI D ’A GLIANO 1840 p. 129. Lo scontro, prolungatosi dalle sei e tre quarti del mattino sino a mezzogiorno, costò ai francesi un centinaio tra morti e feriti, contro le circa 250 perdite piemontesi. Duecento di queste furono i prigionieri, tra i quali un Maggiore e dodici tra Capitani e Luogotenenti. Vedi anche SAINT-SIMON 1770.

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scopo di fornire un reparto di tiratori scelti ai reparti di linea, nonostante la denominazione ufficiale di Carabinieri Cacciatori non furono mai armati con carabine rigate.

Le armi rigate, se impiegate nelle giuste condizioni, avrebbero potuto rappresentare per l’esercito del Regno di Sardegna ottime armi per la guerra da montagna. Un tiratore appostato su una rupe, un costone roccioso o anche una vetta, poteva tenere sotto tiro un’ampia porzione di territorio, grazie anche alla gittata dell’arma rigata a lui affidata. La lentezza del caricamento, considerata in pianura una grave limitazione, non costituiva un eccessivo problema a causa della difficoltà del territorio. Un attaccante avrebbe dovuto percorre un terreno accidentato, spesso in salita, prima di giungere in prossimità del tiratore. Ora, data la conformazione geografica degli stati sabaudi, una guerra combattuta sulle montagne sarebbe stata una guerra contro la Francia; ma questi non erano di certo i sentimenti della corte sabauda, la quale prevedeva futuri conflitti nella penisola italiana. Pensando di combattere una guerra nella Pianura Padana, si decise di enfatizzare, a ragione, la potenza e la quantità del fuoco dei battaglioni di fanteria, a scapito della gittata e della qualità del tiro. Per tale ragione le carabine rigate ebbero una diffusione pressoché minima nell’esercito sabaudo dell’ultimo quarto del XVIII secolo. Ai tecnici piemontesi non mancava la conoscenza di quanto avveniva all’estero, specie nelle produzioni di armi da fuoco a canna rigata: il cavalier Napione aveva effettuato numerosi viaggi in Germania e Austria, visitando arsenali e manifatture, maneggiando personalmente le ottime carabine rigate in dotazione agli Jäeger imperiali. Lo stesso dicasi per il cavaliere di Robilant e per il cavaliere di Salmour. Questi tecnici e accademici intelligenti semplicemente avevano cancellato, o avevano ricevuto ordine di cancellare, le armi rigate dai loro programmi. Nella Guerra delle Alpi i cacciatori dei reggimenti dell’esercito sabaudo e le formazioni di cacciatori volontari non utilizzarono mai le belle carabine rigate, corte e maneggevoli, potenti e precise e munite di alzo regolabile, adottate dagli Jäeger imperiali sin dal 175934.

4. La Tattica. 4.1 Gli anni dal 1786 al 1792. Formate le Compagnie Cacciatori occorreva ora comprendere come impiegare

vantaggiosamente sul campo di battaglia queste nuove unità d’elite. Non furono però realizzati trattati o distribuiti ordini su come impiegare tatticamente i cacciatori. L’organizzazione e la suddivisione dei singoli uomini nelle compagnie della fanteria di linea fa supporre che si pensasse di impiegare i cacciatori come sino ad allora si erano impiegati i carabinieri nei raparti a cavallo.

I compiti delle Compagnie Cacciatori, dunque, potevano essere sostanzialmente così riassunti; - Compiere azioni singole e di gruppo con tiri di precisione a lunga distanza per

scompaginare le file dei nemici avanzanti; - Compiere azione singole e di gruppo con tiri in rapida successione per la difesa ravvicinata

di settore. Tutto questo evitando di ripetere gli errori che alla vigilia della Guerra di Successione Austriaca

erano stati commessi. I carabinieri dei reparti montati inizialmente non erano stati riuniti in alcuna compagnia o corpo autonomo, col risultato che alla Battaglia di Camposanto, dopo aver messo il piede a terra e iniziato il tiro di accompagnamento, non riuscirono ad imbastire alcuna difesa o

34 Tra i parecchi nuclei di truppe leggere levate dal Regno di Sardegna nella Guerra delle Alpi solo uno, la Centuria Cacciatori Carabinieri di Canale, fu equipaggiato nel novembre del 1792 con carabine rigate. Si trattava di carabine da cavalleria Modello 1743. Quest’arma risultava di non agevole caricamento e priva dei più elementari dispositivi per il tiro di precisione. La truppa non gradì affatto le pessime prestazioni di tali armi e il 15 marzo 1794 la Segreteria di Guerra dispose la sostituzione dell’armamento, ordinando la distribuzione di 423 fucili da Dragone. Nell’agosto del 1794 tale sostituzione, a giudicare dalle lamentele dei soldati, non era ancora stata effettuata; STERRANTINO 2002, p. 247.

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ritirata organizzata, finendo tagliati fuori dal ritorno offensivo della cavalleria spagnola e furono, pertanto, quasi interamente massacrati. Allo stesso momento, memori di quanto era avvenuto a Pietralunga nel 1744 e a Bassignana nel 1745, si preferì dotare gli uomini di un fucile a canna liscia, la cui velocità di caricamento e qualità del munizionamento non avrebbe creato li stessi problemi delle carabine a canna rigata.

Da momento che l’unità tattica di base era il battaglione, possiamo ipotizzare che entrambe le due Compagnie di Cacciatori in forza a ciascun reggimento si sarebbero aperte a ventaglio davanti ai rispettivi battaglioni in linea. Schierando un uomo ogni 4 metri si sarebbe coperto un fronte di 100 metri, più che sufficiente per proteggere l’unità di fanteria retrostante. Appare ora evidente la lungimiranza di aver dotato tali formazioni di uno strumento a fiato come il corno da caccia per la trasmissione degli ordini. La voce dell’ufficiale e dei sottufficiali, posti alle spalle della linea aperta dei cacciatori, non sarebbe stata ascoltata da tutti gli uomini, distanziati come sarebbero dovuti essere nel mezzo di un combattimento a fuoco. Occorrevano uomini ben addestrati, capaci di comprendere la realtà del combattimento nel quale erano coinvolti e, soprattutto, in grado di mantenere coeso uno schieramento a ranghi aperti.

Terminata l’azione come fanteria leggera, la compagnia poteva sempre rientrare in seno al battaglione e combattere come una normale compagnia di fucilieri di linea o, se necessario, far rientrare nelle compagnie e nelle centurie d’origine i singoli cacciatori.

Non è, invece, del tutto certo quando fu proposto di accorpare le Compagnie Cacciatori in battaglioni autonomi né, tanto meno, se questo esperimento tattico fu messo in pratica in qualche esercitazione35. Sicuramente la decisione era già stata presa ben prima dello scoppio delle ostilità con la Francia, e si era già potuto valutare la bontà di scorporare i cacciatori dai reggimenti di origine per formare un corpo del tutto autonomo.

Comunque sia tra il 1786 e il 1792 non fu pianificata alcuna tattica particolare per queste formazioni le quali, anzi, sembravano esser più vincolate a supportare con il loro tiro di precisione i singoli battaglioni di fanteria di linea piuttosto che operare in battaglioni misti di formazione.

L’unico fatto di cui si era certi erano le parole del R.V. del 22 giugno 1786; [i cacciatori] serviranno per i distaccamenti straordinari che saranno accordati per il ristabilimento e il

mantenimento della tranquillità pubblica. Ben lieto di questa nuova, con tempismo veramente eccezionale, già il 26 ottobre del 178636 il

reggente dell’Ufficio dell’Intendenza Generale del Ducato di Savoia, Giuseppe Enrico Fava, informava le comunità dei centri “al di là delle Alpi” che, se veniva richiesto l’intervento delle Compagnie Cacciatori al fine di ristabilire la tranquillità pubblica nel disordine, occorreva loro garantire il soprassoldo che il Re accordava ai suoi soldati in queste operazioni di ordine pubblico. Si trattava di una paga aggiuntiva di 2 soldi e mezzo per i Sergenti, un soldo e ¼ per ogni Caporale e soldato, oltre agli alloggiamenti e alle altre forniture alle quali [le comunità] sono già tenute. Solo nel caso in cui i soldati sono inviati per ordine superiore per servire il re, il servizio resterà a carico dell’ufficio generale del soldo.

4.2 La Guerra della Alpi e i nuovi scenari operativi. Allo scoppio della Guerra delle Alpi le Compagnie Cacciatori erano impiegate, nella migliore

delle ipotesi, come compagnie specializzate nel tiro di precisione in forza ai singoli battaglioni o, alla peggio, come forze di polizia militare. Nel settembre del 1792 i cacciatori si trovarono a dover combattere contro un nemico del tutto inaspettato, la Francia, in un teatro operativo del tutto imprevisto, le Alpi Occidentali.

35 La citazione più remota di questi battaglioni di formazione è riportata da PINELLI 1854, Vol I, pp. 48, 127. 36 AMATO-DUBOIN 1865, Tomo 27, Vol. 29, pp. 621-622.

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I reggimenti di fanteria, addestrati per anni a manovrare in formazioni lineari, si trovarono costretti a frazionarsi non solo in singoli battaglioni, ma addirittura in centurie se non in compagnie, come scrive il cavalier di Quinto riferendosi alla fallita offensiva sabauda su Giletta nel 1793;

Per ordine di S.E. il Generale De Vins il 16 8bre l’Armata si portò al colle di Viale per la spedizione di Giletta,

dove le truppe Piemontesi suddivise in tanti piccoli Corpi, tanto il Conte di Rinco, che il Cav.r di Quinto vennero a trovarsi alla testa di una sola centuria del Reggimento Guardie, del che ne fu testimonio oculare S.A.R. medesima, che la vidde marciare all’occasione di dover sostenere la ritirata, finita la quale dopo alcuni giorni si reccò al suo Reggimento accantonato in Tornafort vista la sua inutilità al Campo delle Torrette

37.

Dopo la disastrosa campagna del 1792, l’anno seguente furono prese delle decisioni alquanto

funzionali per quel che riguarda l’organizzazione delle Compagnie Cacciatori; nel febbraio del 1793 esse furono scorporate dai reggimento d’origine e raggruppate in battaglioni di formazione, definiti 1° e 2° Battaglione de Cacciatori e così composti;

- 1° Battaglione di Cacciatori; 2 compagnie Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale

Aosta38; 2 compagnie Reggimento di fanteria svizzera De Courten; 2 compagnie Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale La Regina; 2 compagnie Reggimento di Fanteria Svizzera Christ; 2 compagnie Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Sardegna; 2 compagnie Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Lombardia. Nell’aprile del 1793 l’unità fu rinforzata con le due Compagnie Cacciatori del Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Guardie e con le due del Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Saluzzo. Al comando del battaglione fu posto il tenente colonnello Lucerna di Campiglione, coadiuvato dal maggiore cavaliere Incisa di S. Stefano.

- 2° Battaglione di Cacciatori; 2 compagnie Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale

Savoia; 2 compagnie Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Monferrato; 2 compagnie Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Piemonte; 2 compagnie Reggimento di Fanteria Alemanna Real Alemanno; 2 compagnie Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale La Marina; 2 compagnie Reggimento di Fanteria Estera Chiablese39; 2 compagnie Reggimento di Fanteria Svizzera Rochmondet. L’11 novembre 1793 l’unità incorporò le Compagnie Cacciatori del Reggimento di Fanteria Provinciale Maurienne40. Nel maggio del 1795 fu aggiunta le due compagnie del Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Oneglia41 ma furono distaccate altrove quelle del Maurienne. Il battaglione era comandato dal colonnello cavalier Fatio e dal maggiore conte Colleoni.

I due reparti contavano all’inizio della primavera del 1793 rispettivamente 472 e 413 uomini,

per un totale di 885 uomini. Operando in battaglioni di formazione i cacciatori avrebbero potuto combattere ottimizzando al

meglio l’intenso addestramento al quale erano stati sottoposti gli anni precedenti, senza essere

37 ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 10 da inventariare, Supplica del cavalier di Quinto. 38 Era questo il vecchio Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Fucilieri. Il 16 settembre 1774 fu rinominato Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Aosta, in onore del suo colonnello, S.A. Vittorio Emanuele duca d’Aosta. BRANCACCIO 1922, pp. 72-78. 39 Il Reggimento di Fanteria Estera Sury (già Audibert, poi Monfort) fu rinominato Chiablese il 18 ottobre 1774 in onore del suo comandante, S.A. Benedetto Maria Maurizio duca del Chiablese. Il 30 gennaio 1794 fu deciso di considerarlo come Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Chiablese BRANCACCIO 1922, pp. 91-97. 40 Il Reggimento di Fanteria Provinciale Tarantaise fu rinominato Maurienne in onore del suo nuovo comandante, S.A. Giuseppe Placido conte di Maurienne. BRANCACCIO 1922, pp. 165-166. 41 Il 28 febbraio 1792 fu levata una Centuria della Marina, alla quale si aggiunsero, il 20 marzo ed l’8 agosto, la 3a e la 4a compagnia, formando così, il 23 gennaio 1793, il Reggimento Nuova Marina, rinominato l’8 febbraio Oneglia. La 1a compagnia cacciatori fu levata il 14 marzo 1794, mentre la 2a l’8 febbraio 1795. BRANCACCIO 1922, p. 357.

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vincolati ai battaglioni della fanteria di linea. A partire dalla campagna del 1793 i due battaglioni, insieme alle numerose compagnie autonome di cacciatori, svilupparono poco per volta le loro peculiari tattiche di combattimento. Possiamo individuare tre principali operazioni nelle quali i battaglioni di cacciatori furono impiegati nelle prime fasi del conflitto:

- Azioni di esplorazione e collegamento. A causa della loro tattica di combattimento assai

più agile si pensò di utilizzare queste formazioni come forza esplorante e di collegamento. Il 1° Battaglione in particolare ebbe una vita operativa piuttosto intensa sul fronte dell’Authion nella primavera del 1793. Nel maggio il battaglione fu impegnato in difficili operazioni oltre le linee francesi nell’Alto Varo e nella Vesubia. Si trattava di combattimenti pressoché giornalieri, in attesa della grande spallata francese contro le posizioni dell’Authion, avvenuta in giugno. I francesi intendevano occupare le valli sopra citate per consentire le comunicazioni tra il fronte dell’Authion e la Piazza di Tornoux. I cacciatori, comandati dal maggiore del Reggimento di Fanteria Provinciale Mondovì Luigi Leonardo Colli Ricci di Felizzano, riuscirono a rioccupare la Vesubia e l’Alto Varo dopo una prima azione offensiva francese. Ad agosto i combattimenti nell’area dell’Alto Varo ripresero d’intensità. Colli Ricci e i suoi cacciatori furono infine in grado di aver ragione di tutti i tentavi francesi di sloggiarli da quella linea di difesa;

Egli, accoppiando molta intelligenza straordinario valore, teneva in continua inquietudine i posti nemici. Molte furono le avvisaglie accadute fra quei fanti leggeri ed i posti francesi, delle quali dirò solo le due più serie. Ebbe luogo il primo a monte Cuson […] ove i francesi avevano eretto una ridotta per impedir il passo che serviva di comunicazione fra le truppe stanziate in Valle Stura e in Val di Tinea; attaccò Colli quel fortino, ed in breve sloggiatine i difensori, veniva ad assalirli all’indomani in un altro posto collocato a Cognets-Durand, piccol poggio con alcuni casolari fra la Colla Lunga e la Tinea; ivi pure riuscitagli a scacciare il nemico; per la qual cosa li 26 di settembre egli intraprendeva un’altra perlustrazione di maggiore entità nel contado di Breglio

42. - Occupazione di luoghi tatticamente rilevanti. Velocità di manovra, equipaggiamento

adatto alla costruzione di fortificazioni campali, ottima qualità di tiro, buona potenza di fuoco; queste caratteristiche rendevano le Compagnie Cacciatori le più idonee a compiere movimenti sul campo di battaglia ed occupare luoghi di notevole importanza tattica. Un buon esempio è dato dall’azione intrapresa sul fronte dell’Authion tra il 7 ed il 12 giugno 1793 dalla Compagnia Cacciatori (la 1a e 2a del Reggimento Guardie) del capitano De la Motte. Inviato a rinforzare le posizioni del Molinetto, De la Motte si trovò già sotto il fuoco del nemico la mattina del 7;

Vidi quanto prima che il Molinetto era attaccato, e feci fermare la mia truppa per fare caricare le armi e riprendemmo la marcia e la mia compagnia sfilò sotto il fuoco dei francesi che lo raddoppiarono durante il nostro avvicinamento

43. Nonostante l’intesa fucileria avversaria i cacciatori di De la Motte giunsero a Casassa davanti il

Molinetto, dove trovai che comandava il Signor Cavaliere di Canale. Insieme ad un distaccamento del Reggimento Vercelli e al Corpo Franco, i cacciatori si ritirarono, prendendo posizione sulla cresta del vallone detto della Giandola. Lungo questa linea difensiva, De la Motte con i suoi uomini

occupava la sommità della foresta a lato di Molinetto. Dopo l’ordine che mi giunse feci fare una abbattuta di

alberi che feci disporre a forma di freccia per avere un riparo per resistere in caso di attacco. I movimenti della compagnia non sono finiti; l’assalto francese al campo trincerato

dell’Authion era ormai imminente e

42 PINELLI 1854, p. 175. Per una biografia di Colli Ricci di Felizzano vedi in Appendice al presente lavoro. 43 ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 11 d’addizione, Lettera del Capitano de la Motte su operazioni di un corpo di cacciatori sul fronte dell’Authion, 19 giugno 1793.

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l’11 credemmo di essere attaccati […] i francesi vennero a tirare qualche colpo di fucile ma la loro intenzione non

era altro che quella di riconoscere il terreno, la giornata fu impiegata a fare un parapetto a forma di trinceramento su una altura chiamata Buffabren e che divenne uno dei punti d’attacco dei nemici. La mattina abbiamo fatto abbattere per ordine del Signor di Reinbach gli alberi più vicini ai trinceramenti che potevano servire da riparo al nemico: utilizzai per questo compito i miei cacciatori che sebbene con delle piccole asce, ne abbatterono un gran numero.

Ben equipaggiati per simili azioni, i cacciatori erano in grado di occupare una posizione loro

indicata, e mantenerla costruendo fortificazioni campali improvvisate, facendo uso delle asce che erano state loro date in dotazione. Attaccata da forze nemiche, la compagnia De la Motte riuscì a sostenere l’assalto del nemico grazie alle capacità combattive della truppa, all’addestramento al tiro di precisione e alle fortificazioni campali che essa stessa aveva costruito;

Avrei voluto, signore, che foste stato testimone della condotta delle truppe in generale […] vi parlerò della mia

compagnia. Il fuoco fu fatto sempre con calma. Ho visto tra gli altri il Caporale Roya, con la testa ed il petto fuori dalla trincea e scegliere il suo bersaglio, prenderlo di mira, e stenderlo a terra […] il Cavalier Caccia non si stancava di ammirarlo. […] Notai un francese che caricava con sangue freddo il suo fucile, e si appostava dietro ad un albero per meglio prenderci di mira, e aveva più volte ripetuto questa manovra. Lo segnalai al cacciatore Rovera; e nel momento in cui io gli parlavo, il francese fu certamente colpito, perché lo vidi arretrare e sedersi dietro un masso, ma con tutta la testa scoperta. Rovera gli sparò, ed egli scomparve […]. Dopo il combattimento trovammo quest’uomo morto con un’enorme ferita alla testa. Rovera spiegò che aveva messo senza accorgersene due cartucce nel fucile […] Quasi nello stesso momento il cacciatore Marcorengo fu ucciso al mio fianco, […] anche il sergente Ferrero ricevette una palla alla orecchia destra, […] ma non è nulla di pericoloso e ne sono ben contento, perché egli ha dimostrato intrepidità e discernimento, è un ottimo elemento. Il cacciatore Cerutti fu ucciso a quattro passi da me; è una gran perdita, perché quest’uomo, di condotta esemplare, avrebbe potuto diventare un ottimo sottufficiale. Gli altri cacciatori feriti sono Donà, che ha avuto una palla nella coscia andando con i volontari all’inseguimento del nemico. La sua ferita, molto dolorosa, gli ha impedito di scendere al Fontan a cavallo […]. Castelàn, ferito all’anca, è il più grave, Vignal ha avuto un braccio attraversato. Ecco, signore, la relazione esatta che voi mi domandate.

- Azioni di copertura. Dopo le vittoriose Battaglie dell’Authion l’armata sabauda effettuò

delle azioni offensive, mal coordinate e di limitati obbiettivi, in Savoia e sul fronte Nizzardo. I cacciatori si trovarono in questi teatri operativi ad appoggiare per la prima volta un’azione offensiva. L’abilità al tiro e la notevole mobilità di queste truppe furono la chiave di volta nel successo in azioni quali la presa della ridotta Detroit de ciel, avvenuta alle porte di Moutiers in Savoia la mattina del 19 agosto 1793. Mentre il grosso della truppa sabauda si schierò per un assalto frontale alle posizioni tenute dai francesi del 4e e 6e Ain (1613 uomini), le compagnie di cacciatori presenti sul campo di battaglia si inerpicano sui rilievi che dominavano le fortificazioni avversarie, incassate sul fondovalle, per colpire i difensori al loro interno asserragliati. I cacciatori del Reggimento Piemonte furono i primi a muoversi in questo senso, seguiti dai volontari savoiardi:

Il cacciatore piemontese Ariano, con due seguaci, salito sopra il vicino scoglio, cominciava a far fuoco nell’interno del fortino: tuttavia poca cosa sarebbero stati tre tiragliatori, quand’ecco che il Charrière coi più snelli, trovata nuovamente una via dai soli camosci sin allora calcata, compariva sul picco del monte, e cogli infallibili moschetti seminava la morte

44. 4.3 Gli anni dal 1794 al 1795; i cacciatori come truppa d’assalto. Nella campagna del 1793 i battaglioni di cacciatori erano ancora stati utilizzati, tutto sommato,

come forza d’appoggio ad altri reparti. C’era tuttavia chi intendeva impiegare queste unità alla stregua di forze d’assalto del tutto autonome, secondo quanto in parte era già avvenuto nella compagna in Savoia nell’estate precedente.

Il maggiore Colli Ricci era uno dei fautori dell’utilizzo come truppa scelta d’assalto delle Compagnie Cacciatori. Dopo aver comandato il Reggimento di Fanteria provinciale Mondovì alla

44 PINELLI 1854, pp. 240-241.

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Battaglia di Lantosca del 6 aprile 1793, questo ufficiale fu distaccato presso il 1° Battaglione Cacciatori. Alla testa di questo reparto poté apprezzarne appieno le qualità e le potenzialità tattiche durante le operazioni che seguirono la Battaglia dell’Authion. Il 16 aprile 1794 Colli Ricci fu posto al comando del 2° Battaglione Cacciatori; a partire da questa data, terminate brillantemente le operazioni di copertura alle forze sabaude in ritirata dai punti strategici della Tanarda e del Tanarello, Colli Ricci fu un grado di dare una precisa tattica al reparto che comandava e a trasmetterlo, agendo a contatto con altri ufficiali in forza a reparti di fanteria leggera, alle altre formazioni con le quali si trovava di volta in volta ad operare. Dopo oltre due anni di esperienza al fronte le Compagnie Cacciatori si trovavano ad operare secondo le seguenti modalità;

a) Operazioni offensive; - Marcia notturna ; le truppe dovevano muoversi la notte per essere in grado di trovarsi nei

pressi delle postazioni avversarie poco prima dell’alba, momento ritenuto più propizio per un attacco. Marciare in queste condizioni non era, per forza di cose, semplice. I problemi di collegamento, anche all’interno di una stessa colonna in movimento, sono spesso accennati nei rapporti ufficiali. Il capitano dei cacciatori del Reggimento Genevois, il cavaliere Costa, riferisce ai suoi superiori;

Partii, ieri di sera, alle sette con quel rinforzo; la compagnia dei cacciatori di Ivrea, e la mia, e le milizie; siamo stati costretti a passare attraverso sentieri così cattivi, che nella notte la colonna si è rotta. Metà della nostra colonna si è smarrita senza che fosse possibile ritrovarci

45. Per ovviare a queste difficoltà occorreva un’attenta ricognizione del terreno, operazione che

doveva essere effettuata dall’ufficiale comandante o da un subalterno di sua fiducia, e l’ausilio di capaci e fedeli guide: il cavalier Costa affidò l’incarico ad un suo sottufficiale;

Seguendo il piano, del quale ho avuto l’onore di parlarvi, signore, ho fatto esplorare ieri di notte tutte le strade di la

Coche e la forza di quel luogo da un abile caporale46.

Lo stesso Colli Ricci non esitava ad ascoltare i suoi sottoposti, specie se le loro indicazioni che

riguardavano la geografia dei luoghi dove sarebbe avvenuta la marcia e il combattimento risultavano essere maggiori delle sue;

Il cavaliere du Vachè, capitano dei cacciatori di Piemonte, e che conosce tutte quelle montagne assai meglio di me

(sebbene da parte mia non sia stato negligente per conoscerle), mi suggerì le misure che presi47.

Maggiori precauzioni furono prese dalle forze sabaude impegnate nel combattimento della

Spinarda (27 giugno 1795), dove la Colonna del centro […] aveva studiato con molta cura il cammino che doveva tenere, e grazie all’aiuto di

eccellenti guide aveva avuto il tempo di mettersi in posizione, attese circa un’ora nascosta nel bosco, e al primo colpo di fucile fu in movimento

48. Situazione analoga avvenne anche in Valle Stura di Demonte, dove il comandante del

Reggimento Oneglia, il maggiore d’Albion, si servì di guide locali;

45 ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 11 d’addizione, Copie de relation du Chevalier Costa capitaine de Chasseurs du Regiment de Genevois, et commandant à Oulx à M. le Chevalier de Revel du 21 juin 1795. 46 Supra nota 45. 47 KREBS-MORIS 1895, Vol. II, p. 293. 48 ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 11 d’addizione, Precis des Attaques faites le 25, et le 27 juin 1795 par les Troupes aux ordres de S.M. le Lieutenant Général Baron Colli.

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In seguito ai vostri comandi sono partito ieri sera da Vinadio alle otto di sera con 250 uomini per attaccare il

Campo di Sant’Anna; dopo 9 ore di una marcia penosa, e assai faticosa attraverso il Vallone della Tesine, sono arrivato, con l’aiuto di qualche guida, nei pressi delle guardie avanzate del nemico

49.

- Sfruttamento del terreno per coprire i movimenti. Valloni, boschi e creste montuose furono sfruttate per coprire i movimenti offensivi. Il caso meglio conosciuto è quello della colonna centrale piemontese destinata a dare l’assalto alla ridotta della Spinarda. L’avvicinamento avvenne per buona parte al coperto della cresta montuosa e dei fitti boschi che chiudevano la visuale dei difensori.

- Scelta delle condizioni meteorologiche e ora dell’attacco. Operando spesso in quota, i

combattenti della Guerra delle Alpi si trovarono nella necessità di effettuare movimenti tattici circondati da fitti banchi di nebbia. La nebbia, se da un lato copriva la visuale ed impediva un efficace coordinamento, poteva mascherare sino all’ultimo l’avvicinamento all’obbiettivo, come accadde alla Spinarda alla Compagnia Cacciatori del Reggimento Oneglia;

Noi della Sotta partimmo mezz’ora dopo la mezzanotte su due colonne. Io ero di quella di sinistra comandata dal maggiore Costea [?], e composta del Secondo Battaglione Cacciatori, una compagnia di nizzardi, una centuria di Stettler, la mia compagnia, e i croati. La nostra marcia fu protetta dalla nebbia che ci permise di arrivare sino a mezza portata di fucile dalle guardie avanzate, dove, senza gridare alcun “Qui vive”, si fece fuoco su di noi

50. Gli attacchi venivano effettuati per lo più alle prime luci dell’alba, quando si pensava che le

sentinelle fossero più stanche e provate dalle veglie notturne. Poteva anche accadere di assalire le postazioni avversarie proprio durante il cambio della guardia; se tutto andava a buon fine sarebbero passate ore prima che il grosso delle forze avversarie si fosse messo in movimento per sferrare un contrattacco, guadagnando così il tempo necessario per ritirarsi con i prigionieri in relativa tranquillità;

Siamo stati fortunati di trovare la guardia montante e quella smontante riunite. Le abbiamo assalite nello stesso

tempo da tre punti, e i francesi non hanno visto altra difesa che arrampicarsi sullo sperone de la Coche, dove si difesero strenuamente, dopo di che M. de Boringe, e M. Hudry con il loro contingente li hanno attaccati non appena giunsero a monte di quello scoglio e li hanno fatti prigionieri al termine di un’ora di combattimento. Abbiamo fatto prigionieri un tenente, un sergente, 4 caporali e 49 cacciatori

51. L’attacco notturno permetteva di nascondere al nemico la propria consistenza numerica, lo si

disorientava e lo si spaventava. Non era un’impresa semplice raccogliere i propri equipaggiamenti e le proprie armi in un accampamento immerso nell’oscurità, mentre tutto intorno risuonano le fucilate del nemico. Dovendo assalire una postazione nemica presidiata da una guarnigione forte tre volte la sua forza d’attacco, Colli Ricci scrisse in un suo rapporto;

Presi le mie misure per attaccare ancora di notte, o almeno all’alba

52. - Assalto su più colonne convergenti. La tattica di assalire il nemico con colonne disperse

non era del tutto sconosciuta all’esercito sabaudo. I soldati piemontesi l’avevano sperimentata a loro danno nella riuscita offensiva austriaca sul fiume Secchia durante la Guerra di Successione Polacca. La notte del 15 settembre 1734 sei colonne austriache (24 battaglioni di fanteria, 24 compagnie di

49 ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 11 d’addizione, Copie de Rapport de M.r d’Albion, Major du Régiment d’Oneille à Mons. le Baron Streng Commandant les Troupes dans la Vallée de Sture de l’expedition du 29 au 30 juillet faite contre l’Ennemi au Camp de S.te Anne. Datée Vinay le 30 juillet 1795. 50 MERLA 1988, pp. 256-258. 51 Supra nota 45. 52 Supra nota 47.

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granatieri e 6 reggimenti di cavalleria, per un totale di 20.000 uomini) ingaggiarono in combattimento 40.000 franco-piemontesi, infliggendo loro 7100 perdite (400 caduti e 6700 prigionieri) contro 900 delle proprie. La tecnica austriaca dell’assalto con colonne disperse richiedeva un’ottima sincronizzazione dei movimenti e una coordinazione impeccabile dei reparti, capacità che l’esercito imperiale riuscì nuovamente a dispiegare sul campo di battaglia solo nella Guerra dei Sette Anni, a Hochkirch (14 ottobre 1758) e a Maxen (20 novembre 1759), quando fu in grado di infliggere due gravi sconfitte al migliore esercito del XVIII secolo, quello di Federico II di Prussia.

In scala ridotta, le Compagnie Cacciatori si prepararono ad applicare questa tattica di combattimento. L’attacco su più colonne era un’azione piuttosto complicata; più una forza d’assalto veniva frazionata, maggiori erano le probabilità che una parte di essa non sarebbe stata presente all’inizio del combattimento. Occorreva pertanto coordinare attentamente i movimenti di ciascuna unità impegnata. Tuttavia, impegnando un obbiettivo da più lati si impediva al nemico di rafforzare un solo settore, costringendolo a lasciare almeno un punto debole lungo il suo perimetro difensivo, dove, si sperava, sarebbe avvenuto lo sfondamento. Per tutto il biennio 1794-1795 questa fu la tattica più utilizzata dai reparti di fanteria leggera sabauda, in quanto sembrava essere la più redditizia nella guerra d’attrito che si stava allora svolgendo, basata sull’assalto di ridotte e campi fortificati isolati, presidiati da un numero tutto sommato limitato di uomini. La sfortunata incursione del 2° Battaglione Cacciatori alla Fremamora nell’agosto del 1794, quando 600 cacciatori sabaudi furono impegnati contro una ridotta difesa da 1372 avversari, fu più un’eccezione che la regola e gli obbiettivi risultarono spesso scelti con cura ed attaccati con estrema determinazione.

L’avvicinamento veniva effettuato mantenendo gli uomini riuniti in una sola colonna, dato che spesso occorreva marciare, come abbiamo avuto modo di vedere, a notte fonda. Dopo di che, a breve distanza dal nemico, la forza d’assalto si frazionava in un numero variabile di colonne che poteva variare da due a più di cinque. Il capitano Costa dei cacciatori del Reggimento Genevois, nonostante la metà dei suoi uomini si fosse persa nella marcia notturna, non esitò a dividere le forze a sua disposizione e a muoverle contro il nemico;

Ho distaccato il Signore de Boringe Capitano Tenente del Genevois, e il Signore Hudry Tenente dello stesso corpo

con 60 uomini del detto Reggimento a prendere quei picchetti alle spalle, dopo che noi li attaccammo sul fianco destro con i cacciatori e qualche miliziano

53. Nel giugno del 1795 questa tattica divenne di uso comune presso tutti i reparti “leggeri”. La

prima colonna che veniva distaccata aveva il compito di eliminare, meglio se all’arma bianca per non fare troppo rumore, o catturare le sentinelle e i corpi di guardia posti nelle vicinanze dell’obbiettivo. Il 30 luglio 1795 un assalto condotto dai cacciatori del Reggimento Oneglia, avvenuto contro un accampamento francese posto nei pressi di Sant’Anna di Vinadio in Valle Stura di Demonte, riuscì proprio in quanto le sentinelle nemiche furono preventivamente messe fuori combattimento;

Subito ho ordinato al Signor Garin Sottotenente dei Cacciatori di occupare l’altura sulla sinistra con un

distaccamento composto dell’Oneglia, e i Cacciatori, dal momento che supponevo ci fosse un picchetto di guardia. In quel mentre l’avanguardia composta dal detto corpo comandato dal Signor Mussi Porta Insegna del reggimento di Oneglia, e dal signor Falchi Primo Tenente dei Cacciatori che si arrampicò sulle rocce all’assalto del detto picchetto di guardia uccidendo la sentinella e facendo qualche prigioniero. Allora tutte le truppe ai miei ordini precedute dai Cacciatori si è gettata sul campo nemico che dopo una resistenza di più di un’ora è stato obbligato ad abbandonare il campo e cedere alle armi di S.M. lasciandoci le tende, le munizioni da guerra, numerosi fucili, sabri, magazzini di viveri e una brigata di 13 muli

54.

53 Supra nota 45. 54 Supra nota 49.

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In Val di Susa, il 27 agosto 1795 il capitano Costa, non pago dell’azione del giugno precedente, con il solito stratagemma di mettere fuori combattimento le sentinelle, fu in grado di catturare un picchetto avanzato francese;

Hieri matina un corpo di 50 uomini, spedito dal sig. Cav. Costa Cap.no dei Cacciatori di Genevese et Comandante a Oulx, sotto gli ordini delli sig.ri Depollùr e Dorlier ufficiali del predetto Reggimento sorprese una guardia francese al Colle della Pelosa composta di 20 uomini. La sentinella fu uccisa, il Cap.no trovatasi absente, e 18 furono fatti prigionieri, senza che i nostri abbiano avuto il minimo danno. Domenica arriveranno in codesta capitale i predetti prigionieri

55. L’attacco veniva sferrato non appena si udiva il primo colpo di fucile; questo era per tutti i

reparti presenti in zona il segnale dell’assalto. Ovviamente era stabilito in precedenza quale doveva essere la prima colonna a muovere contro le postazioni avversarie. L’operazione offensiva più complessa del periodo messa in atto dalle truppe sabaude, coadiuvate da reparti austriaci, fu senza dubbio l’attacco alla Ridotta della Spinarda (27 giugno 1795), dove furono coinvolte non meno di cinque colonne staccate;

[…] Attacco della Spinarda. E’ stato eseguito da 5 colonne con l’obbiettivo di circondare da tutte le parti la vetta

principale della Spinarda. La prima colonna sinistra composta dai due Battaglioni del Belgioioso, e da due compagnie di Croati. (A. Questa colonna era comandata dal Colonnello del Reggimento Belgioioso doveva attaccare dal basso dal lato della Bormida al di sotto di Coalizzano, superare la vetta e assalirla alle spalle. La 2a colonna colonna (B. Questa colonna era comandata dal Colonnello Conte Saluggia. E condotta dal Capitano di stato Generale de Brés) sullo stello lato formata dal primo battaglione di cacciatori, da un battaglione e mezzo d’Acqui, doveva discendere nella Valle della Vetria, e arrivare alla Spinarda da un rilievo arretrato che domina il piccolo fiume della Vetria. Alla destra dell’attacco, sul fianco della montagna, che guarda il Tanaro, doveva passare la 3a colonna composta da un Battaglione della Legione Leggera, e due compagnie dei Cacciatori di Nizza, essa (questa colonna era comandata dal Colonnello Cavalier Leotardi) doveva superare il posto, e attaccare così alle spalle per fare a destra quello che il Belgioioso doveva fare a sinistra. Una 4a colonna composta dal Battaglione di Statler (questa colonna era comandata dal Colonnello Stetler) doveva salire sul fianco dalla cresta,dove si trova la Colma. Queste colonne dovevano tutte sbucare fuori insieme sul far del giorno e cominciare immediatamente l’attacco; una 5a colonna (Questa colonna era comandata dal Tenente Colonnello Colli) composta dai cacciatori del 2° Battaglione, da una compagnia di Croati, da una centuria di Stetler, da una compagnia di cacciatori di Nizza, e da un’altra di Cacciatori dell’Oneglia, doveva marciare sul fronte, e piombare sulla postazione sabro alla mano, mentre le altre quattro erano impegnate in combattimento

56.

Il piano previsto per la conquista della Spinarda fu piuttosto complesso e tre delle cinque

colonne non parteciparono al combattimento. La 1a (1°, 2° btg Rgt Belgiojoso; 180 croati) e la 3a colonna (1° btg del 2° Reggimento Legione Truppe Leggere; 2 compagnie Cacciatori di Nizza) sbagliarono strada, mentre la 2a colonna (1° Battaglione Cacciatori, 6 compagnie Rgt Acqui) giunse quando la ridotta era già stata occupata.

Si era compreso che la chiave di volta del successo di questi assalti stava nel fattore sorpresa; la marcia notturna, il mascheramento57, l’assalto alle prime luci dell’alba, erano espediente tesi ad ottenere il massimo disorientamento del nemico. Una volta giunti a contatto occorreva riuscire a forzare le difese avversarie il più velocemente possibile, sabro alla mano, evitando di attardarsi in un lungo, e spesso poco concludente, scambio di fucilate.

L’assalto era un momento concitato, confuso. Uno degli ufficiali piemontesi presenti lasciò riguardo il combattimento della Spinarda quanto qui sotto scritto:

Appena ci fummo un po’ riordinati – poiché avevamo dovuto marciare in fila – noi avanzammo senza tirare un

colpo e colla sciabola sguainata, non cessando di lanciare grandi grida di Viva il Re! All’assalto Granatieri!

55 ASTO, Corte, Materie Militari, Mazzo 11 d’addizione, Copia della relazione del Sig. Marchese di Sommariva in data di Susa li 27 agosto 1795. 56 Supra nota 48. 57 Sulle Alpi i soldati, sia francesi che piemontesi, giungevano a rivoltare i giustacorpi, di colore turchino, per mostrare all’esterno il bianco della fodera, meno visibile nella neve; PINELLI 1854, Vol. I, p. 502.

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Cacciatori all’assalto! e simili, per imporci al nemico; in modo che esso abbandonò il suo primo trinceramento per ripiegare sul secondo, da dove ci accoglieva a fucilate. Io ebbi la fortuna di arrivare al secondo trinceramento senza essere colpito; ma entrandovi per primo con un valoroso sergente di Nizza, ebbi il dolore di vedermelo cadere morto a fianco. Io, più fortunato, me la cavai con una palla che mi strappò il mio distintivo di Cacciatore dal braccio sinistro, mi lacerò l’abito e sfiorando la pelle mi causò una piccola perdita di sangue. Potete star certo, mio caro zio, che in quel momento non pensai alla ferita, ma senza perder tempo mi gettai sull’ufficiale che si arrese immediatamente […] come pure altri soldati francesi […] Per mettere i miei prigionieri in un luogo sicuro, e garantirli dai colpi di mano del nemico, li feci scendere sotto al trinceramento, e qui li affidai alla custodia di qualcuno dei miei Cacciatori. Noi obbligammo il nemico ad abbandonare due trinceramenti e poi tutto il campo. Li avremmo anche inseguiti, se la nebbia si fosse un po’ diradata. Ma non conoscendo i luoghi, ci limitammo a guarnire i trinceramenti francesi, a mandare pattuglie, e inviare gente alla nostra destra per soccorrere il Secondo Battaglione Cacciatori se ce ne fosse stato bisogno: ma lo si incontrò ben presto che veniva a noi. Le reciproche grida di gioia, gli abbracci fraterni che ci scambiammo, gli evviva al Marchese Colli che ha saputo così ben meritarli, avrebbero intenerito un cuore di pietra. Il Primo Battaglione Cacciatori e Acqui che dovevano arrivare prima di noi, arrivarono un’ora buona dopo che tutto fu finito, cosicché la gloria di aver conquistato la posizione sciabola in pugno appartiene intera al Secondo Battaglione Cacciatori, a una parte di Stettler, ai Croati, ai Nizzardi, e, per non dimenticarla, alla mia compagnia. Nel pomeriggio continuando la nebbia, il nemico tornò all’attacco ma fu respinto, e fu allora che il primo battaglione di Belgioioso scambiò alcuni colpi

58. Una volta superato il primo trinceramento non ci si doveva fermare; la tecnica di penetrazione

nelle opere campali di montagna, spesso dotate di doppio ordine di fuoco, prevedeva che la colonna che effettuava lo sfondamento continuasse ad avanzare, sino a raggiungere la sommità o il centro della ridotta. A questo punto i difensori, scoprendosi presi alle spalle, si sbandavano o si davano a precipitosa fuga. È quanto avvenne alla Spinarda; una volta entrato nella ridotta, Colli Ricci evitò di sloggiare i francesi dalle palizzate, ma proseguì verso il centro dell’opera francese, sul suo punto più alto;

Il successo decisivo fu attribuito alla decisione che ebbe il Marchese Colli di portare la totalità delle sue forze sul

punto più alto della Spinarda59.

A quel punto ogni ulteriore resistenza venne meno, e scendendo sull’altro versante gli uomini

del 2° Battaglione Cacciatori ritrovarono esultanti i loro compagni delle altre colonne. L’entusiasmo era più che giustificato; si trattava della prima grande vittoria sabauda dai tempi dell’Authion.

Operazioni difensive;

- Azione di sganciamento e di retroguardia. Gli assalti alle postazioni nemiche potevano

fallire, oppure i reparti di cacciatori potevano essere impiegati a protezione di grandi unità in ritirata. Un chiaro esempio di una azione simile è data dallo sganciamento effettuato il 15 agosto 1794 dal 2° Battaglione Cacciatori al termine di un fallito attacco alle fortificazioni francesi della Fremamorta in Valle Gesso.

Il 14 agosto il comandante del battaglione, il maggiore Colli Ricci di Felizzano, aveva ricevuto dal generale Colli-Marchini l’ordine di occupare il Colle della Fremamorta. Nonostante il maggiore facesse presente al comando che le forze a sua disposizione, non oltre 600 cacciatori del già citato 2° Battaglione e i Cacciatori di Nizza, avrebbero dovuto scontrarsi con 1200 avversari dotati anche di pezzi d’artiglieria, l’attacco fu comunque confermato:

58 Supra nota 50. 59 Supra nota 48.

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“Se vi impadronirete del posto, vi ordinerò in seguito cosa dovrete fare; se sarete respinti, ritornerete alle postazioni di partenza”

60.

Ben conscio del fatto che l’azione sarebbe assai probabilmente fallita, l’ufficiale sabaudo preparò accuratamente sia l’attacco, avvenuto su due colonne, sia la ritirata. Un corpo di cacciatori nizzardi fu mandato a presidiare i sentieri del Pian di Valasco, per bloccare eventuali infiltrazioni francesi verso le Terme di Valdieri, alle spalle della colonna che si sarebbe dovuta ritirare, o che, come sperava l’alto comando, avrebbe dovuto presidiare il Colle della Fremamorta una volta occupata la ridotta nemica. Ma le precauzioni prese da Colli Ricci non si limitarono a questo;

Inviai in seguito un piccolo corpo di cacciatori al colle della Cerise, per avvertirci nel caso in cui il nemico

tentasse di accerchiarci, provenendo da là. Feci sfilare i cacciatori di Nizza dal vallone di Vallasco, al comando del Signore di Tornaforte e Sant’Antonio, perché attaccasse la Fremamorta dal fianco sinistro.

Salii verso la loro posizione frontalmente, lasciando la compagnia dei cacciatori di Novara su una piccola altura che è nel vallone dei Bagni [di Valdieri], più precisamente ai piedi dell’erta rampa, che conduce alla Fremamorta, nel caso (che prevedevo immancabile) in cui fossimo stati respinti, non solo avrebbe potuto appoggiare la ritirata, ma recuperare l’ordine, raccogliendo e inquadrando i soldati sparpagliati. Poiché vedevo bene che, dovendo ritirarmi per una discesa assai ripida, era impossibile che la ritirata si facesse con quell’ordine che non si poteva troppo desiderare.

La compagnia cacciatori del Reggimento Novara61 fu lasciata in retroguardia, al di sopra di

un’altura alla base del passo della Fremamorta, in grado quindi di proteggere con il proprio fuoco i compagni che si ritirano. La formazione servì soprattutto da punto di raccolta per le compagnie di cacciatori che, in ordine aperto, scendevano verso il basso del vallone. Come vedremo, la copertura sarà effettuata con una tattica in parte differente e improvvisata sul momento.

Ad attendere, ben appoggiati a fortificazioni campali, c’erano 1372 francesi. Si trattava dei granatieri del 3e Bataillon de Granadiers, appoggiati dal 1° battaglione della 84e Demi Brigade. Alle sei del mattino Colli Ricci divise le forze a sua disposizione su due colonne; quella principale, composta dal suo 2° Battaglione Cacciatori, attaccò le postazioni nemiche dal basso frontalmente mentre la colonna “Tornaforte”, formata dai Cacciatori di Nizza, assalì il nemico sul fianco sinistro. Dopo due ore di fuoco i cacciatori piemontesi non erano riusciti a forzare le difese nemiche, e le perdite subite ammontavano già a 7 morti e 13 feriti. Colli Ricci decise a questo punto di sganciarsi:

Pensando che la ritirata non si poteva assolutamente fare in buon ordine, giudicai prudente chiedere dei volontari

che restassero con me e ordinai al resto di andare a raggrupparsi e schierarsi in battaglia sull’altura dove avevo posto la compagnia di Novara.

Questo è ciò che feci; tutta la compagnia di Savoia restò con me, volontaria, così come quasi tutta quella del Maurienne e numerosi individui di altre compagnie, in modo che mi restarono intorno 70 uomini, con i quali continuai a tirate fucilate senza indietreggiare di un passo, sino a quando vidi che tutto il mio battaglione si era raggruppato nei pressi della compagnia di Novara. Allora incominciai a ritirarmi quanto più ordinatamente e lentamente possibile, per una discesa assai ripida. I Francesi, che sino ad allora non si erano mai mossi dai loro trinceramenti, si lanciarono in massa, non appena videro che mi ritiravo e ci inseguirono.

La distanza tra le fortificazioni francesi e la butta dei cacciatori del Novara era dunque tale da

costringere un gruppo di volontari a rimanere a contatto con il nemico per sviluppare un fuoco di copertura. Il colle era posto ad una quota superiore rispetto al punto di riunione delle forze piemontesi; ciò consentiva al comandante sabaudo di giudicare quando il suo battaglione fosse stato ormai al sicuro e quando di conseguenza avrebbe potuto ritirarsi a sua volta.

60 Il rapporto del maggiore Colli Ricci, dal quale sono tratti i corsivi che seguono, è per intero riportato in KREBS-MORIS 1895, Vol. II, p. 292-294. L’episodio è raccontato anche in PINELLI 1854, pp. 467-469. Tuttavia le differenti tra le due versioni sono notevoli, sia nei particolari sia nella descrizione dei movimenti tattici. Per questo studio si è preferito attenersi alla sobria relazione di Colli Ricci. 61 Le due Compagnie Cacciatori del Reggimento di Fanteria Provinciale Novara, levate il 30 settembre 1793, non facevano parte del 2° Battaglione Cacciatori. È probabile che, impiegate come compagnie autonome, siano state temporaneamente aggregate al reparto di Colli Ricci in vista dell’azione alla Fremamorta.

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Allora, essendomi ricordato (l’avevo vista in precedenza) che più in basso c’era una posizione migliore di quella

della butta, pregai il Signor barone Patmo, del La Marina, che non mi aveva mai abbandonato, di schierare là il resto del battaglione. Egli si portò là e lo schierò a battaglia, di traverso la valle, a cavallo del ruscello, al di sotto del bosco della Casa, e pose la compagnia del Chiablese nel bosco stesso, sulle alture a sinistra del ruscello. Ho raggiunto là il mio battaglione, che di continuo tirava e riceveva fucilate.

Dividendo il battaglione in varie sezioni, in grado di proteggersi reciprocamente, Colli Ricci

riuscì infine a guadagnare una posizione più vantaggiosa delle precedenti, preparandosi in quel modo a fermare il contrattacco francese. Lo schieramento sabaudo fu organizzato in modo tale da attirare il nemico incalzante in un’imboscata; una linea cacciatori fu schierata di traverso il fondovalle per bloccare ogni ulteriore avanzata, mentre una parte degli uomini venne schierata sulla sinistra del ruscello, ossia fu destinata, mimetizzata nel bosco, a battere con i propri fucili il sentiero che scendeva dal Colle della Fremamorta, colpendo d’infilata il fianco sinistro della colonna nemica che sarebbe dovuta di lì transitare. Ma i francesi non caddero nel tranello:

Là feci cessare il fuoco, sperando che i Francesi si portassero in avanti. Ma essi avevano più spirito di me. Si

fermarono e tirarono protetti da grossi massi, rocce e alberi, che utilizzavano come trinceramenti, e temevano assai poco il mio regolare fuoco di fucileria.

Colli Ricci, evidentemente, aveva ordinato ai suoi cacciatori schierati in linea di effettuare delle

salve regolari. Il nemico, tuttavia, non “collaborava” e si era ormai del tutto fermato nascondendosi dietro alberi e rocce. La pazienza dei piemontesi durò però ancora poco.

Riflettendo sul fatto che avevamo bruciato inutilmente molta polvere, feci prendere in mano il sabro ai cacciatori e

marciai contro i Francesi. Non appena videro che stavamo per venire a contatto, fuggirono precipitosamente e guadagnarono le alture. Li feci inseguire da qualche volontario, e, dopo che li ebbi persi di vista, andai con la mia truppa a riposarmi a Bagni, dove rimasi sino a sera.

Le perdite subite dal 2° Battaglione Cacciatori e dai Cacciatori Nizzardi furono severe; Abbiamo avuto in questo episodio 19 morti, vale a dire, il Signor capitano del Savoia, cavaliere Bienvienu, il

Signor tenente dei Cacciatori di Nizza, Cartier, un sergente e 17 caporali o soldati insieme a 30 feriti, tra i quali il Signor cavaliere Tibaldi del La Marina, e il Signor du Tille, sottotenente del Savoia

62.

- Difesa di postazione fortificata. Dal momento che si trattava di truppa specializzata nel tiro, le Compagnie Cacciatori potevano risultare piuttosto utili nella difesa di una fortificazione campale. Tuttavia si preferiva attaccare il nemico fuori dai trinceramenti, i quali dovevano servire come ultima opzione prima di abbandonare la postazione. Durante gli scontri avvenuti il 21 novembre 1795 presso Garessio al colle di S. Bernardo, i cacciatori piemontesi del 2° Battaglione Cacciatori, comandati dal tenente colonnello Colli Ricci di Felizzano, marciarono contro il nemico piuttosto che attenderlo nelle ridotte. La fanteria francese, complessivamente 3401 uomini divisi su tre colonne, aveva travolto i 600 croati del corpo franco Giulay. Colli Ricci tentò a questo punto di fermare le fanterie imperiali sbandate e riunirle alle sue magre forze63;

Il luogotenente colonnello marchese Colli, comandante degli avamposti, fece subito occupare la ridotta di destra dalle ultime tre e con le due compagnie di centro marciò contro il nemico. Sua intenzione era quella di fermare l’assalto, radunare i Croati e dare a tutti il modo di riconoscersi. Avanzò sino a Costa Minuta, piccola scarpata tra

62 Nel suo rapporto Colli di Felizzano mancò di inserire un caduto (il capitano Bienvenu o il tenente Cartier) nel conteggio finale delle perdite. Rileggendo il suo scritto occorre far ascendere i gli uccisi in azione a 20 e i feriti a 30, per un totale di 50 uomini persi in combattimento. 63 Queste erano formate dal 2° Battaglione Cacciatori (379 uomini), le compagnie del Reggimento Oneglia (42 uomini), una compagnia di pionieri, comandata dal capitano Govone (73 uomini) e gli 11 artiglieri destinati a servire due pezzi d’artiglieria.

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l’Appennino e la ridotta. Malgrado tutti gli sforzi, non poté fermare i fuggitivi e temette di essere preso alle spalle egli stesso. Già due colonne ai fianchi lo avevano superato e con grande pericolo poté portarsi sotto la protezione del fuoco della sua ridotta, prese la decisione di fermarsi, rinunciando al suo primo progetto che era quello di manovrare tra i punti di resistenza

64.

Non appena trinceratesi nella ridotta i cacciatori iniziarono a sviluppare un intenso e preciso

fuoco di sbarramento, tanto che i soldati francesi furono costretti a sfruttare ogni appiglio tattico che si presentava loro. Uno degli spalti della ridotta sembrava essere abbastanza defilato dal tiro dei difensori. In realtà il fuoco risultò intenso anche in questo settore;

Una compagnia di cacciatori [piemontesi] che si era accampata vi aveva fatto molti buchi e lasciato dei resti di

baracconi. Col favore di questi deboli ripari il nemico parve volesse tentare un assalto. Il generale Serurier che era sul posto con un buon numero di ufficiali, animò i soldati e li spinse da questi buchi

verso le creste dello spalto. Quelli che vi entrarono non vollero più uscire e furono presi a pietrate65.

Aggregati ai cacciatori vi era una compagnia di pionieri, composta da 73 uomini al comando del

capitano Govone. I pionieri si rivelarono estremamente utili nel rafforzare le opere campali che i cacciatori avrebbero dovuto presidiare, nonché nella costruzioni di accampamenti. Le fortificazioni che i piemontesi impiegarono non potevano per forza di cose essere tutte nello stesso momento in perfette condizioni operative; era compito dei pionieri, affiancati dai cacciatori che, come è stato detto, disponevano di attrezzatura da campo quali piccole asce da taglio, rinforzare le strutture, erigere palizzate e realizzare quanto necessario per la difesa della posizione.

Come si diffondevano tra gli ufficiali delle truppe leggere le nozioni tattiche di attacco e difesa?

Durante la Guerra delle Alpi non fu pubblicato o realizzato alcun regolamento di tattica dedicato alle Compagnie Cacciatori e alle truppe leggere in generale. La lettura dei rapporti ufficiali poteva essere uno dei veicoli principali della diffusione delle nuove idee. D’altra parte gli ufficiali dei cacciatori appartenevano ad una ristretta elite; operando in battaglioni di formazione impararono a conoscersi e a scambiarsi pressoché quotidianamente esperienze e pensieri sulla conduzione delle truppe in battaglia, su come assalire il nemico e su come difendersi nel migliore dei modi dai suoi attacchi. Liberi dal condizionamento dei reparti di linea, spesso dotati di un buon bagaglio intellettuale, non vincolati da schemi mentali di casta, gli ufficiali dei cacciatori furono pertanto in grado di sperimentare sul campo la bontà o meno delle loro idee. Di sicuro impararono molto in fretta a fare dei Battaglioni Cacciatori una delle formazioni più efficienti e funzionali dell’armata sabauda.

4.4 Il Reggimento Cacciatori. Nel corso del conflitto anche i Reggimenti di Fanteria Provinciale levarono le proprie

Compagnie Cacciatori66. Non sappiamo se furono assegnate ai due battaglioni di cacciatori che si erano formati sin dal febbraio del 1793; le sole compagnie del Maurienne furono assegnate al 2° Battaglione. Dai rapporti dei comandanti sembra che operassero come compagnie autonome, distaccate la dove si riteneva necessaria la presenza di tali truppe. Le formazioni levate furono le seguenti67;

- 1a e 2a Compagnia Cacciatori Corpo dei Granatieri Reali, 21 gennaio 1793; - 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Novara, 30 settembre

1793;

64 Rapporto del capitano cavalier Maistre, citato in BARBERIS-BERTOLOTTO 1995, p. 84. 65 Supra nota 64. 66 Anche il Corpo dei Granatieri Reali contava nel proprio organico le due compagnie di cacciatori, ordinate il 21 gennaio 1793. BRANCACCIO 1922, p. 190. 67 I dati che seguono sono tratti da BRANCACCIO 1922, pp. 163-192.

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- 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Mondovì, 11 gennaio 1794;

- 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Pinerolo, 28 febbraio 1794;

- 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Casale, 28 febbraio 1794;

- 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Susa, 28 febbraio 1794; - 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Acqui, 28 febbraio 1794; - 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Nizza, 28 febbraio 1794; - 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Aosta, 19 marzo 1794; - 1a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Asti, 21 marzo 1794. 2a

Compagnia, 15 aprile 1796; - 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Torino, 24 marzo 1794; - 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Vercelli, 24 marzo 1794; - 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Genevois68, 27 marzo

1794; - 1a e 2a Compagnia Cacciatori Reggimento di Fanteria Provinciale Maurienne, 11 novembre

1794. Nel 1796 il fronte era arretrato in Piemonte; l’armata sabauda si era trincerata sulle alture di

Ceva. Il 20 marzo fu deciso di formare il Reggimento di Cacciatori, agli ordini del colonnello Colli Ricci di Felizzano. Il Reggimento era composto dal 1° e dal 2° Battaglione Cacciatori, riuniti in un unico reparto sotto il medesimo comando.

Quali furono le ragioni di questa scelta? Perché non fu effettuata in precedenza? Il terreno dei futuri scontri, parte sulle collina delle Langhe e del Monregalese e parte nella

pianura cuneese, era assai meno difficile rispetto a quello delle Alpi Marittime e degli Appennini dove si era combattuto nel corso degli anni precedenti. L’idea di dover affrontare il nemico in una grande battaglia campale probabilmente tornò in auge presso i comandi piemontesi. Durante le campagne del 1794 e 1795 la geografia aveva favorito il frazionamento delle forze contrapposte, spezzettando i combattimenti principali in tante piccole azione, che spesso avvenivano anche a chilometri di distanza l’una dall’altra. Corpi di fanteria superiori alle 5000 unità erano una rarità, e comunque erano da considerarsi raggruppamenti di grande entità, per i quali un battaglione di cacciatori come uno di quelli già esistente allora risultava più che sufficiente a garantire una efficace azione esplorante o di copertura.

Scendendo sulle colline delle Langhe e nella pianura piemontese i reparti a disposizione dei comandi sabaudi si sarebbe concentrata in un’unica forza di combattimento; il generale Colli Marchini comandava un’armata di circa 18.000 uomini, per coprire l’avanzata o la ritirata della quale non sarebbe certo bastato un solo battaglione di cacciatori. Si decise pertanto di formare un Reggimento di Cacciatori per poter operare con l’intera armata riunita.

Pochi giorni dopo la sua formazione il reparto fu subito duramente impegnato in azione; il 13 aprile il reggimento partecipò ad una azione di alleggerimento nel tentativo, fallito, di rompere dall’esterno la sacca di Cosseria, scontrandosi con la Brigata Beyrand69. Tre giorni dopo, il 16 aprile, il reparto difese la ridotta del Bric Giorgino, attaccata dalla 2e Division d’avangarde Meynier. Infine, il 21 aprile, coprì la ritirata dell’armata sabauda sconfitta pesantemente al Brichetto, bloccando l’inseguimento della solita 2e Division d’avangarde.

Alla fine del conflitto il reggimento stava controllando i guadi di Sant’Albano sulla Stura, a poca distanza dalla città di Fossano. I saccheggi della città, imputati ai cacciatori di Colli Ricci, furono invece provocati da sbandati del Corpo Franco;

68 Il Reggimento di Fanteria Provinciale Chiablese fu rinominato Genevois il 16 settembre 1774 in onore del suo comandante Carlo Felice Duca del Genevois; BRANCACCIO 1922, pp. 163-164. 69 La brigata apparteneva alla 3e Division Augerau.

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Intanto della sera si procurò di armare buon numero di cittadini per difendersi dai soldati del Corpo Franco,

absentati e sbandati, i quali ciò non ostante non tralasciarono di recare gravissimi danni massime alli abitanti delle campagne e nel ghetto degli Ebrei, come già avevano fatto nella precedente notte

70. Il Reggimento di Cacciatori, posto alla retroguardia, combatté sino all’ultimo giorno di guerra.

Ancora il 26 aprile il generale Colli Marchini scriveva nel suo rapporto71; Bra, questo 26 aprile 1796, alle due dopo mezzanotte Al Conte di Hauteville. Il nemico, più che mai frettoloso di convincere il Re a fare la pace, dopo la proposta che gli è stata fatta di un

armistizio, ha attaccato Cherasco, che egli abbandonò per salvare le truppe. Esso fece passare alcuni plotoni sulla sinistra della Stura, protetti da pezzi di artiglieria. Io ho ordinato dapprima la ritirata dell’esercito sulle alture di San Fré. Ho ordinato al marchese Colli di sostenere le alture di Fossano per ritardare il passaggio alla colonna nemica [Serrurier] che tenta di sfondare a Fossano. Alle sette Colli fu attaccato, e respinse l’assalto, ma domani sarà obbligato a ritirarsi su Savigliano e poi su Carignano. Il generale Beaulieu non arriverà in tempo, ritardato dalle cattive strade, i suoi soldati sono disturbati dalla forte pioggia. Bisogna, attendendo, far prendere posizione vicino a Carmagnola a una parte delle truppe che sono a Torino, e designarmi le posizioni che potrebbero occuparsi con maggior vantaggio.

Colli L’armistizio di Cherasco veniva siglato il 28 aprile, concludendo così la Guerra delle Alpi. Il

Reggimento di Cacciatori e i suoi battaglioni vennero sciolti, mentre le compagnie tornarono ai loro reggimenti.

5. L’esercito sabaudo di Vittorio Amedeo III era concepito per una guerra contro

l’Impero nella Pianura Padana piuttosto che sulle Alpi contro la Francia? Le vicende belliche delle Compagnie Cacciatori piemontesi rappresentano uno degli aspetti

meno noti dell’esercito piemontese del XVIII secolo. La loro formazione, i quadri, la consistenza numerica e le gesta sono avvolti da quella indissolubile nebbia che sembra avvolgere le vicende della Guerra delle Alpi.

Si trattò indubbiamente di un corpo scelto estremamente efficace, le cui truppe furono selezionate ed addestrate scrupolosamente, con una assiduità e continuità che hanno pochi riscontri nella storia militare sabauda. La truppa era guidata da ufficiali esperti, tra i migliori dell’armata, sia per coraggio che per doti intellettuali; basti pensare che da soli idearono, sperimentarono e codificarono tattiche di combattimento inedite.

La presa del colle della Spinarda e la difesa delle ridotte del San Bernardo sono imprese degne di essere ricordate alla stregua dei combattimenti della Mezzaluna del Soccorso della Cittadella di Torino durante l’assedio franco-spagnolo del 1706, o della battaglia dell’Assietta del 1747.

Ma l’Assietta fu il sigillo di una guerra vinta, la Spinarda un episodio di una sconfitta annunciata; così i granatieri del San Sebastiano furono e sono tutt’ora celebrati, i cacciatori di Colli Ricci sono solo uno sbiadito ricordo di un esercito sconfitto.

L’armata di Vittorio Amedeo III era stata pensata, organizzata ed equipaggiata per una guerra

nella Pianura Padana, una guerra da combattere con il Regno di Francia. Questo era il pensiero Vittorio Amedeo III che sin dal suo primo anno di regno aveva siglato un trattato di alleanza difensiva con la Francia, rientrando, come già detto, entro la sfera d’influenza del cosiddetto “Patto di Famiglia”. Va da sé ora che il nemico “naturale” diveniva l’Impero asburgico. Non a caso, dopo anni di un ininterrotto fervore fortificatorio che portò allo sbarramento tramite imponenti opere bastionate dei principali solchi vallivi delle Alpi Occidentali, Vittorio Amedeo III ordinava la

70Rapporto amministrazione di Fossano, MERLA 1988, p. 364. 71 MERLA 1988, p. 370.

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costruzione del nuovo Forte di San Vittorio a Tortona, tecnologicamente il più avanzato delle fortezze sabaude del XVIII secolo, proprio lungo la frontiera orientale con l’Impero e la traballante Repubblica di Genova. Due grandi centri logistici, Alessandria e Tortona, entro il 1785 erano del tutto operativi ed in grado di ospitare le manovre dell’armata regia in operazioni lungo le frontiere orientali e nel piacentino.

I grandi teorici militari di Torino, primo tra tutti Alessandro Vittorio Papacino d’Antoni, autore di un lucidissimo e quasi profetico Rèfléxions prèliminaires pour dresser un projet de difensive pour les Etats du Roi, qui confinent avec La Savoie, Le Dauphiné, La Provence, et la Riviére de Genes, depuis Ormée jusqu’à Novi72 nel quale erano espressi i piani strategici per una guerra contro la Francia, furono incaricati di progettare una guerra contro l’Impero. Il Papacino d’Antoni si vide costretto a riprendere in mano i rapporti ormai vecchi di cinquant’anni della Guerra di Successione Polacca e proporre un piano d’invasione della Lombardia ricalcato su quello adottato da Carlo Emanuele III nel 173373.

In uno scontro di pianura si pensava di aver ragione del nemico colpendo con colpi di maglio il suo schieramento; questi colpi di maglio erano rappresentati dalla potenza di fuoco dei battaglioni. Alla fine degli anni ottanta del XVIII secolo ogni singolo elemento dell’armata sarda sembrava voler enfatizzare questa specifica; gli ufficiali e sottufficiali furono armati di fucile come il resto della truppa mentre ai battaglioni fu distribuita la propria artiglieria reggimentale, i pezzi da 4 libbre “alla sassone” ideati dal Gran Mastro d’artiglieria Casimiro Gabaleone di Salmour, teoricamente in grado di sparare oltre dieci colpi al minuto, utilizzando proietti di diametro assai inferiore a quello dell’anima della bocca da fuoco74.

Le Compagnie Cacciatori furono pensate per “preparare” col proprio fuoco la linea nemica alla devastate salva che i battaglioni di fanteria avrebbero dovuto scagliare contro di loro.

Un conflitto nella Pianura Padana, basato sulla potenza di fuoco, sulle manovre ordinate di intere brigate dispiegate in linea e sull’appoggio di una numerosa cavalleria; questa era la guerra che la corte di Torino avrebbe voluto combattere. Ogni progetto di armamento o modifica destinata ad un combattimento montano fu invariabilmente scartato75.

Invece il Regno di Sardegna si trovò a combattere una guerra contro un ex-alleato, sul fronte sbagliato, isolato diplomaticamente. La fallimentare strategia a cordone adottata nella Guerra delle Alpi è l’aspetto più evidente di questa totale impreparazione tecnologica e strategica.

Le compagnie di cacciatori, a causa della loro stessa natura, della loro flessibilità tattica e delle capacità degli ufficiali, furono tra i corpi che meglio seppero adattarsi alle nuove esigenze operative.

72 ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 10 d’addizione. Il documento è datato 1770. 73 ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 10 d’addizione, Conoissances pour faire la guerre en Lombardie avec des Remarques Politico-militaires sur la Guerre de 1733 faites par le Commandeur Papacin d’Antony Major General d’Infanterie, Adjutant General de l’Armée et Directeur General des Ecoles d’artillerie et de Fortification. Turin l’an 1782. 74 Con questa pratica di tiro in pochi minuti la canna si surriscaldava, costringendo i serventi ad abbassare di molto la celerità di tiro. Il vento permetteva alla vampa provocata dalla deflagrazione della carica di lancio di surriscaldare rapidamente le pareti dell’anima. In tali condizioni la carica con cartucce di carta, pergamena o tela diveniva pericolosissima a causa della possibilità di un’autoaccensione della carica. Il barone de Vins, agli inizi del 1793, ordinò di verniciare le cariche per vanificare l’effetto del calore, ma alla fine gli artiglieri sabaudi si videro costretti a caricare tradizionalmente il pezzo, scovolando l’interno dell’anima con acqua e aceto, passando la “lanata” per eliminare ogni traccia di particelle incandescenti rimasta all’interno. La celerità di tiro, ragion d’essere dei cannoni “alla sassone” del de Salmour, scendeva al normale valore di uno o due colpi al minuto. 75 A tal proposito armi innovative, concepite in modo particolare per la guerra in montagna o che sarebbero potute venire utili in tali occasioni, furono sempre respinte dagli alti comandi sabaudi. Illuminanti risultano le vicende legate al rifiuto del “cannone-obice” De Buttet e delle armi sperimentali a retrocarica del soldato Turina; STERRANTINO 1994, pp. 33-64; STERRANTINO 1995, pp. 7-21.

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Ringraziamenti Un ringraziamento particolare va al Maggiore Roberto Simoncini, allo Chef de Bataillon

[TDM/SEM] Bruno Pauvert, al Dott. Alberto Di Candia e al Prof. Roberto Sconfienza. Buona parte delle idee contenute in questo lavoro sono nate da loro o parlando con loro.

Un sentito grazie va anche a tutti gli ufficiali, sottufficiali, soldati e vivandiere della 1a compagnia cacciatori del Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Savoia, per le preziose giornate trascorse a “ri-vivere” la Storia.

Un abbraccio al Prof. Manlio Calegari, senza il quale oggi non sarei qui oggi a scrivere di Storia.

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APPENDICE

1) Jean Baptiste Rouzier Jean Baptiste Rouzier nacque nel 1708 in Linguadoca. Era pertanto un suddito del Re di

Francia. Non è chiaro come sia giunto nei territori dei Re di Sardegna, né se in precedenza avesse militato in qualche reparto gigliato. Neppure certo è se Rouzier sia il suo vero cognome quanto piuttosto un nome di battaglia76. In francese antico routier/rouzier è il soldato di ventura, il predone, oppure l’uomo astuto per lunga esperienza, tutti soprannomi che ben si adattano al carattere di questo personaggio.

Nel 1733 ritroviamo Jean Baptiste in forza al Reggimento di Fanteria estera Desportes. Dal momento che l’esercito del Re di Sardegna combatteva al fianco di quello francese in Lombardia contro l’Impero asburgico nella Guerra di Successione Polacca, è possibile che Rouzier abbia disertato per servire in un reparto piemontese. Col grado di capitano, sempre del Reggimento di Fanteria estera77, combatté nella Guerra di Successione Austriaca. Rouzier, forse protestante, probabilmente già conosciuto per le sue capacità organizzative, fu incaricato di comandare un corpo di ben 2000 miliziani valdesi sul fronte delle Alpi Occidentali.

Nell’estate del 1742 compì accurate ricognizioni in Val Varaita e, l’anno seguente, in Val di Susa. La sua conoscenza di quel teatro operativo si rivelò estremamente utile nel 1743, durante i combattimenti di ottobre a Casteldelfino.

Nel 1744 il capitano Rouzier e i suoi valdesi si batterono ancora in Val Varaita. Dopo la sconfitta sabauda di Pietralunga (19 luglio 1744) l’esercito di Carlo Emanuele III scese nella piana di Pinerolo, ma la milizia valdese del gruppo Rouzier, composto da 1200 uomini, rimase in zona a molestare la retrovia nemica. Il capitano francese e la sua truppa penetrarono in territori nemico e sconfinarono nel Queyras. Taglieggiando e depredando i villaggi e le comunità di confine raccolse, entro il 27 luglio 1744, non meno di 13.595 lire. Tornato in Piemonte, fu uno dei comandanti delle forze della milizia incaricate di colpire le linee di rifornimento dei francesi che assediavano Cuneo. Le incursioni da lui operate, in coordinazione con altre bande di miliziani, resero quanto mai precari i rifornimenti francesi per le truppe impegnate contro la Piazzaforte.

Nel 1745 ritornò in Val di Susa durante le fasi della cosiddetta “Diversione del Lautrec”. Nelle fasi iniziali dell’offensiva francese del 1747 Jean Baptiste Rouzier e i suoi miliziani servirono come forza esplorante e schermo protettivo per le truppe austro-piemontesi che stavano affluendo al campo trincerato dell’Assietta. Una delle cause dei pessimi risultati delle ricognizioni ordinate dal cavaliere di Belle-Isle furono dovuti proprio alla presenza dei miliziani sabaudi.

Il capitano Rouzier acquisì una notevole esperienza di combattimento in montagna. A causa della sua profonda conoscenza del fronte alpino fu incaricato, al termine del conflitto, di comporre una descrizione scritta degli itinerari percorribili nella fascia montuosa ai confini con il Regno di Francia, con l’evidente scopo di raccogliere una memoria destinata ad essere consultata in future evenienze belliche. Lo scritto del capitano Rouzier recava questo titolo; Descripion des passages qui se trouvent dans les Alpes qui séparent le Piémont de la France, divise en deux traittés, dont le premier renferme le sols par lesquels on va en France et le second contient les passages par lesquels les vallés de Piémont communiquent entr’elles et avec la Provence et le Dauphiné, par Jean Baptiste Rouzier, capitaine au Régiment de Monfort, 174978.

Dopo questa data si perdono le tracce di Jean Baptiste Rouzier. 2) Gabriel Pictet

76 Il suo cognome, anche nelle fonti di parte piemontese, è storpiato in De Roussier, Rousier, Rozeir, Rosier. 77 Il Reggimento fu nominato il 10 marzo 1739 Audibert. Il 6 aprile 1746 prese il nome di Montfort. Supra nota 38. 78 ASTO, Corte, Carte dell’Archivio Segreto, 7 F I; GASCA QUEIRAZZA 2000, pp. 153-172.

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Gabriel Pictet nacque a Ginevra l’8 ottobre 1708. I Pictet erano una delle famiglie più antiche e importanti della città. Gabriel, calvinista, poté quindi permettersi di frequentare la facoltà di lettere e filosofia presso il Collegio Calvino di Ginevra. Terminati gli studi abbracciò, come molti suoi famigliari, la carriera militare.

Nel 1733 entrò a far parte del Reggimento di milizia ginevrino Pont Leve, col grado di cadetto. La sua posizione sociale gli consentì, in meno di un anno, di ottenere i gradi di alfiere, luogotenente e quindi comandante del reparto. Nel 1734 entra a far parte dell’esercito sabaudo, aggregato allo stato maggiore del re Carlo Emanuele III. Partecipò alla Battaglia di Parma (29 giugno 1734) con il grado di luogotenente, riportando varie ferite. Al termine del conflitto è congedato con il grado di tenente colonnello.

Tornò nell’esercito sabaudo nel 1742 allo scoppio della Guerra di Successione Austriaca quale aiutante maggiore del re e capitano del Reggimento Saluzzo.

Nel 1761 Pictect scrisse un trattato sulle tattiche della fanteria tenendo presente le esperienze maturate in guerra. Il volume fu pubblicato a Ginevra.

Ben introdotto a corte, ricevette nel 1764 la promozione a capitano dei granatieri del Reggimento Saluzzo. Lo stesso anno, il 14 settembre, previa conversione al cattolicesimo, fu nominato cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Il 10 aprile 1766 divenne prima maggiore e, quindi, il 12 maggio 1771 tenente colonnello del Reggimento Saluzzo.

L’ufficiale ginevrino godeva delle simpatie del nuovo sovrano, Vittorio Amedeo III, al punto da ricevere già il 5 ottobre 1774 l’incarico di formare la nuova Legione Truppe Leggiere, della quali assunse il comando col grado di colonnello quindici giorni dopo, il 20 ottobre.

Nel 1778 era promosso brigadier generale, ma, ormai anziano, chiedeva al sovrano di essere giubilato. Il 24 novembre Vittorio Amedeo III accordava il congedo a Gabriel Pictet, il quale si ritirò a Ginevra. Qui si spense quattro anni dopo, il 2 ottobre 178279.

3) Luigi Leonardo Colli Ricci, marchese di Felizzano Il marchese Leonardo Antonio Giuseppe Gaspare Venanzio Colli di Felizzano nacque ad

Alessandria il 23 marzo 1757 da Giacomo Antonio e da Elisabetta Beccaria, figlia di Teresa Ricci dei conti di Solbrito. Colli pertanto aggiunse al suo cognome quello della madre. Quella dei Colli era una famiglia antica, partecipe del Collegio dei Giureconsulti della città ma titolata solamente dal 3 settembre 1753, quando aveva acquisito il feudo di Felizzano dal marchese Evasio Sibaldi.

Luigi Leonardo fu avviato ben presto alla carriera militare; il 10 giugno 1773, a sedici anni, fu arruolato nel Reggimento di Fanteria d’Ordinanza Nazionale Monferrato con il grado di alfiere. L’anno seguente, il 10 giugno 1774, fu promosso secondo tenente aiuto maggiore, tenente il 20 luglio 1775, capitano tenente il 2 maggio 1781.

La carriera nell’esercito sabaudo del giovane marchese, la cui nobiltà era piuttosto recente, subì a questo punto una battuta d’arresto e divenne un militare a mezzo servizio quando fu trasferito nella fanteria provinciale; infatti, l’8 maggio 1782 fu “promosso” capitano del Reggimento di Fanteria Provinciale Pinerolo. Quattro anni dopo, in seguito alle riforme del 1786, il 27 giugno fu trasferito, sempre col grado di capitano, nel Reggimento Acqui.

Come ufficiale della fanteria provinciale, la sua carriera avrebbe fatto ben pochi passi in avanti sin al congedo, quando nel settembre del 1792 scoppiò la Guerra delle Alpi.

Trasferito sul fronte dell’Authion, Colli Ricci dimostrò di essere uno dei migliori ufficiali di grado inferiore dell’armata sarda. Promosso primo maggiore del Reggimento di Fanteria Provinciale Mondovì il 13 marzo 1793, assunse di fatto il comando tattico del reparto con il quale, il 6 aprile 1793, respinse un attacco francese contro Lantosca.

Dopo aver operato a lungo con le truppe del 1° Battaglione Cacciatori, Colli Ricci coprì con molta abilità la ritirata piemontese conseguente alla perdita dei punti strategici della Tanarda e del

79 Su Gabriel Pictet si veda NOVELLO 1991, pp. 105-112.

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Tanarello attraverso il colle del Raus e delle Finestre. Per questo fu decorato, il 6 aprile 1794, con la Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro. Quattro giorni dopo assumeva il comando del 2° Battaglione Cacciatori, una delle più efficienti formazioni dell’esercito sabaudo.

Il 2 marzo 1795 fu promosso tenente colonnello. Si distinse alla presa del colle della Spinarda (27 giugno 1795), meritandosi una citazione nel rapporto del generale comandante delle truppe piemontesi, Colli Marchini. Si batté alla testa dei suoi cacciatori durante la seconda Battaglia di Loano (22-27 novembre 1795), difendendo le ridotte del Colle di San Bernardo presso Garessio e la ridotta della Spinarda. Durante la ritirata su Ceva, il 30 novembre, ai Ronchini fu gravemente ferito. Il 5 dicembre fu promosso colonnello mentre l’anno seguente, il 20 marzo 1796, divenne il comandante del Reggimento Cacciatori.

Cessate le ostilità Colli Ricci fu tra negoziatori della Pace di Leoben (18 aprile 1797), in seguito alla quale fu posto dal nuovo re di Sardegna Carlo Emanuele IV a capo dello Stato Maggiore della Divisione Ausiliaria destinata ad operare sul fronte lombardo-veneto al fianco delle armate francesi.

Trasferito nella Piazzaforte di Alessandria, nel 1798 fu impegnato in combattimento con le forze della Repubblica Ligure al comando delle truppe leggere, respingendo gli avversari da Carrosio (9 giugno). Il 7 dicembre 1798, mentre i francesi occupavano la Cittadella di Torino, accampato al parco del Valentino con le compagnie reggimentali dei cacciatori, chiese invano il permesso di prendere d’assalto la fortificazione.

Conosciuto ed apprezzato dai comandi francesi, il 12 dicembre 1798 gli fu concesso di rimanere nell’ex armata sabauda, ora integrata nell’esercito francese, con il grado di adjutant-general. Suo zio, Vittorio Alfieri, criticò questa sua scelta, e lo invitò a liberarsi dal vincolo che aveva contratto con schiavi parlanti di libertà.

L’anno seguente, il 5 maggio 1799, diveniva generale di brigata, militando con Joubert e Moreau nell’Armata d’Italia. Si distinse alla Battaglia di Bassignana (12 maggio 1799), alla prima Battaglia di Marengo (16-20 maggio 1799), e a Novi il 15 agosto; comandando la ritirata da Novi verso Pasturana fu ferito e fatto prigioniero dagli austriaci, i quali lo inviarono in prigionia a Graz e quindi in Ungheria.

L’amicizia personale di Moreau, Deselles, Grouchy e Grénier gli permisero di essere scambiato e rientrare in servizio il 18 dicembre 1800, presso la Divisione Loison.

Nuovamente impegnato in combattimento, si segnalò nel 1801 a Salionze sul Mincio. Il 2 marzo divenne capo di Stato Maggiore della 27a divisione militare (amministrazione del Piemonte), riuscendo a sedare un’insurrezione militare scoppiata a Torino. A causa di questo fatto il Primo Console Napoleone Bonaparte lo chiamò a Parigi dove, il 14 settembre 1802, fu promosso generale di divisione e comandante della 23a divisone militare (Corsica). Gli fu assegnato un compenso di 300.000 franchi in terre nazionali. I legami di amicizia con Moreau costrinsero Colli Ricci di Felizzano ad allontanarsi dal servizio attivo, ritirandosi ufficialmente il 31 marzo 1806.

Si spense il 31 marzo 1809 ad Alessandria. Si trattò senza dubbio di uno dei più abili e coraggiosi soldati piemontesi del XVIII secolo. Asti dedicò alla sua memoria una caserma, mentre il suo nome fu inciso sulla spalla meridionale dell’Arc de Triomphe di Parigi.

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