Communication Book

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Consiglio Nazionale delle Ricerche Dipartimento di Fisica Università di Bologna Museo di Fisica Sistema Museale d’Ateneo Istituto Nazionale di Fisica Nucleare Sezione Bologna ZANDERS a cura di g iorgio d ragoni s toria e t ecnologie della c omunicazione

Transcript of Communication Book

Consiglio Nazionaledelle Ricerche

Dipartimento di FisicaUniversità di Bologna

Museo di FisicaSistema Museale d’Ateneo

Istituto Nazionaledi Fisica Nucleare

Sezione Bologna

ZANDERS

a cura dig iorgio dragoni

storia e tecnologie della comunicazione

Ma sopra tutte le invenzioni stupende,

qual eminenza di mente fu quella

di colui che s’immaginò di trovar modo

di comunicare i suoi più reconditi pensieri

a qualsivoglia altra persona, benché distante

per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo?

Galileo Galilei: Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo Tolemaico e Copernicano,Firenze (I giornata, 130)

Volume realizzato dall’Ufficio del Presidente del CNRImmagine e Attività Promozionali

Coordinamento generale: Mario Apice

Ideazione, Progetto e Cura del Volume: Giorgio Dragoni

Progetto grafico: Orfeo Pagnani

Impaginazione: omgrafica, roma

Finito di stampare nel mese di Giugno 2002om grafica - via f. luscino 73 - roma

storia

e tecnologie

della

comunicazione

a cura di

G iorgio Dragoni

MOSTRA INTERATTIVA SULLA STORIA E SULLE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE REALIZZATA COL PATROCINIO DI:Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica — Università degli Studi di Bologna — Regione Emilia-Romagna — Provincia di Bologna — Comune di Bologna — Consiglio Nazionale delle Ricerche — AccademiaNazionale dei Lincei — Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL — Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna

IN COLLABORAZIONE CON:

COMITATO SCIENTIFICOOreste Andrisano, Mario Apice, Pierangelo Bellettini, Franco Berardi, Paolo Bernardi, Maurelio Boari, Vittorio Boarini, PierUgo Calzolari, Rosaria Campioni, Giorgio Celli, Paolo Cortesi, Gian Luigi Costa, Giovanni Cristofolini, Giuliano Della Valle,Giorgio Dragoni (coordinatore della mostra e del volume), Angelo Errani, Gabriele Falciasecca, Attilio Forino, GiordanoGasparini, Antonio Genovese, Giorgio Giacomelli, Paolo Giusti, Roberto Grandi, Roberto Guidorzi, Antonella Huber, MariaGrazia Ianniello, Vivian Lanzarini, Renato Lenzi, Giuseppe Maino, Carmine Marinucci, Vito Monaco, Stelio Montebugnoli,Giovanni Morigi, Antonio Natali, Lucia Padrielli, Giovanni Paoloni, Alessandro Pascolini, Stefano Pirani, Giovan BattistaPorcheddu, Mario Rinaldi, Gianluigi Russo, Raffaella Simili, Franco Soresini, Giancarlo Susini, Giorgio Tabarroni, WalterTega, Angelo Varni, Ettore Verondini, Laura Villani, Romano Volta, Dino Zanobetti.

COMITATO ORGANIZZATORERoberto Amato, Oreste Andrisano, Sanzio Bassini, Maurizio Bigazzi, Pierangelo Bellettini, Fabio Bisi, Andrea Bosi, AnnalisaBugini, Sonia Camprini, Andrea Conti, Cheti Corsini, Giovanna D'Amia, Franca Di Valerio, Giorgio Dragoni,CesareFontana, Barbara Frentzel-Beyme, Giulia Gandolfi, Giordano Gasparini, Luca Ghedini, Giovanni Gottardi, LorettaGregorini, Stefano Gruppuso, Antonella Guidazzoli, Antonella Huber, Vivian Lanzarini, Giuseppe Maino, MarinaManferrari, Salvatore Mirabella, Vito Monaco, Mauro Nanni, Alessandro Pascolini, Gianni Pasolini, Giuseppe Pavani,Giovan Battista Porcheddu, Valentina Ridolfi, Roberto Roppa, Raffaella Simili, Silvia Sintoni, Franco Soresini, SergioTamburini, Piero Todesco, Goliardo Tomassetti, Barbara Valotti, Annelisa Veronesi, Laura Villani.

Per la realizzazione informatica e la trascrizione dei testi che compaiono in questo volume si ringraziano, oltre a tutti gliAutori, le seguenti amiche/i e colleghe/i: Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Paola Fortuzzi, Magda Giorgi, Barbara Frentzel-Beyme Zamboni, Giovanni Lensi e, in particolare e soprattutto, Fabio Bisi. Un ringraziamento, inoltre, per i suoi consigli,si deve a Luigi Prandstraller. Un sincero ringraziamento al personale e ai funzionari delle Teche Rai: Barbara Scaramucci,Sandra Eichberg, Barbara Tafuro, Susanna Mieli. Uno agli amici Umberto Cavezzali, Vito Monaco e Mario Rinaldi. Senzal’appoggio del primo la collaborazione con la Rai sarebbe stata forse impossibile, senza l’aiuto dei secondi lacollaborazione con i Dipartimenti di Ingegneria e con il Cineca molto più difficile. Un sentito ringraziamento, all’alloraRettore della nostra Università, Fabio Alberto Roversi Monaco e al Direttore Amministrativo, Ines Laura Fabbro, per ilcontributo finanziario concesso all’iniziativa. Uno, infine, per avermi offerto un costante sicuro riferimento, al ProfessorAttilio Forino, allora Direttore del Dipartimento di Fisica.

Si ringrazia: Progetto Finalizzato per i Beni Culturali del Consiglio Nazionale delle Ricerche; Istituto e Museo di Storiadella Scienza, Firenze; DEIS, Dipartimento di Elettronica, Informatica, Sistemistica, Bologna; CNIT, CSITE - CNR; CeSIA;CITAM; LABNET, Napoli; Istituto Tecnico Commerciale Statale; "Crescenzi - Tanari", Bologna; Biblioteca dell'Archiginnasio,Bologna; Deutsches Museum, Monaco di Baviera; The National Museum of Science & Industry, Londra; TraditionsvereinFernmelde -\Elektronische Aufklärung Luftwaffe e.V., Treviri; Istituzione Cineteca Comunale di Bologna; Museo delGabinetto di Fisica, Urbino; AIRE, Associazione Italiana per la Radio d'Epoca; Consorzio Università - Città di Bologna; ARI,Associazione Radioamatori Italiani, Bologna; AEI, Associazione Elettrotecnica ed Elettronica Italiana; Siemens AG,SiemensForum, Monaco di Baviera; Collezione Cremona, Colleferro, Roma; Agilent Technologies; ASI, ComsatLaboratories, Eutelsat, Siemens ICN; Sinform; IEEE; Vehicular Technology Communications; Museo della Radio: millevoci… mille suoni, Bologna; IRA, Istituto di Radioastronomia; Istituto di Geologia Marina; Area della Ricerca CNR,Bologna; Koinè Sistemi, Torino; The Exploratorium, San Francisco, Usa; Heureka, Vantaa, Helsinki, Helsinki 2000.i Collezionisti: Francesco Soresini, Filippo Sinagra, Marco Moretti, Nelson Rodriguez, Carlo Pria, Romualdo Gianni, NerioNeri, Francesco Cremona, Luigi Foschini, Giovanni Pelagalli, Franco e Susanna Govoni, Luca Liberatore, Maurizio Bigazzi,Alberto Camellini, Alberto Dani, Carlo e Giovan Battista Porcheddu, Raimondo Aielli.e i Fotografi: Istituzioni, Enti, Privati che hanno cortesemente contribuito ad arricchire il volume con immaginifotografiche. Per un ringraziamento individuale e specifico si rinvia alle didascalie delle rispettive immagini. Qui siringraziano, in particolare: Gianfranco Artusi, Fabio Bisi, Gianalberto Cigolini (Studio Fotografico, Milano), GiorgioDragoni, Antonio Grilli, Carlo Porcheddu, Studio Villani (Bologna), “La Repubblica”, “Il Resto del Carlino”, GEC-Marconi(Chelmsford, Inghilterra), Science Photo Library, Max-Planck Institute für Radioastronomie (Bonn).

ORGANIZZAZIONE, SEGRETERIA, UFFICIO STAMPA DELLA MOSTRATRAIT–D’UNION • Tel. 051 6486.168 - Fax 051 6486.229 • E-mail:[email protected] collaborazione con: Albo Allestimenti Bologna e Viabizzuno Progettiamo la Luce.

Fondazione Guglielmo Marconi

Z A N-

FMRFranco Maria Ricci

S t u d i o F o t o g r a f i c oGianalberto Cigolini, MilanoArnoldo Mondadori

TECHE RAI

Museo di Fisica - Dipartimento di Fisica - Sistema Museale d’Ateneo - Università degli Studi, Bologna

Universitàdegli Studidi Bologna

8 presentazioni9 Prefazione, L. Bianco 10 Guardando avanti, P.U. Calzolari 11 Bologna 2000: la Città ela cultura, G. Guazzaloca 12 Lista degli autori 13 Address given at the openingceremony of the Communication Exhibition at the Palazzo Re Enzo, Bologna, P.E. Persson 14Presentazione e progetto generale della mostra e del volume, G. Dragoni 17 Il veliero,ovvero le linee espositive della mostra, L. Trebbi 18 La comunicazione nella pittura diBenedetta Cappa nel Palazzo delle Poste a Palermo, A. Ferretti

20 evoluzione delle comunicazioni: la storia22 Dai viaggiatori ai cronisti e ai turisti, L. Andalò 24 Il nascere e lo svilupparsi dellacomunicazione scritta, P. Bellettini 26 La Bologna curiosa di G.C. Croce, R. Campioni 28La “chiave del mondo” e la sua ombra, G. D’Amia 30 Onde radio nello spazio, F. Soresini

44 Guglielmo Marconi (1874-1937), B. Valotti 46 Le vie della comunicazione elettrica. Daltelefono alla radio, G.B. Porcheddu 64 Claude Shannon e la teoria dell’informazione,T. Numerico 69 Heureka, il Science Centre finlandese e i “nuovi” centri di diffusione dellacultura scientifica e tecnologica, A. Bugini, S. Camprini

74 ricerca nel campo delle telecomunicazioni76 La Rete informatica dell’Università di Bologna, M. Boari, F. Delpino 78 La Rete Garr, ilprogetto GRID e le Reti di Ricerca INFN, A. Pascolini 82 Dynamic System Identification,CITAM, R. Guidorzi 83 La Ricerca presso l’ENEA, S. Gruppuso 86 Gli strumenti dellamemoria: informatica e diagnostica fisica per i beni culturali, D. Biagi Maino, G. Maino 94Le ricerche presso il Centro di Studio per l’Informatica e i sistemi di telecomunicazioni del CNR,O. Andrisano 98 Il Radiotelescopio di Medicina, R. Ambrosini, S. Montebugnoli, M. Nanni

102 Il Progetto 2D, 3D, 4D, Progetto Nu.M.E. Consorzio Università-Città, Bologna 2000,Cineca, F. Bocchi 105 Navigazione in 4D del NUovo Museo Elettronico della Città diBologna, A. Guidazzoli 106 Prima installazione del Baby Reality Center del Cineca, F. Serafini

108 La storia e la ricerca dell’Istituto di Geologia Marina del CNR in Multivisione, M. Ravaioli,

F. Giglio, G. Marozzi, N. Bianchi, F. Bentivoglio, D. Martignani 110 La visualizzazione deifondali marini in realtà virtuale, G. Bortoluzzi, T. Diamanti, G. Stanghellini, L. Calori, A. Guidazzoli

112 Il codice a barre, R. Amato

114 comunicazione e ricerca nelle scienze della vita116 Il Progetto Genoma, G. Della Valle, V. Politi, R. Bernardoni, G. Perini, D. Grifoni 119Comunicazione e orientamento nelle api, G. Celli 124 Parlarsi con le molecole disciolte neglioceani, P. Cortesi, O. Cattani, G. Isani, G. Vitali, S. Sintoni 130 Il linguaggio degli ultrasuonidei delfini, R. Lenzi, L. Bartoletti, S. Sintoni, P. Cortesi 134 Impatto ambientale dei sistemi dicomunicazione, P. Bernardi, M. Cavagnaro, S. Pisa, E. Piuzzi 136 Internet e net-culture,F. Berardi

138 ricerca e restauro: il passato parla140 I metalli: un messaggio dal passato, G.L. Garagnani, V. Imbeni, C. Martini, G. Poli,

D. Prandstraller 141 Una contraffazione antica studiata al SEM, G. Russo 143Comunicare con il Faraone senza disturbarlo, F. Casali

146 prospettive148 Una lunga marcia… che continua!, R. Predi 150 Scenari futuri, storia di ieri, R. Simili

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ice

indice

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B. Cappa,Sintesi dellecomunicazioni aeree,Palazzo delle Poste,Palermo.Per cortesia di: FMR,Franco Maria Ricci.

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Il volume che qui presentiamo supera il livello di puro e semplice catalogo che testimonia un’occasione temporanea

qual’è quella di una Mostra – compito questo già di per sé dignitoso e necessario – per assumere il ruolo di un documento che

all’inizio del 2002 ci consegna un quadro di numerose attività nel settore delle comunicazioni e, per certi aspetti, fa il punto su

molte ricerche nel settore delle telecomunicazioni, viste nel loro sviluppo temporale, nella loro evoluzione, nelle loro forme at-

tuali anche più avanzate. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo è stato necessario procedere all’attivazione di numerose

collaborazioni – e al loro coordinamento – con Enti di Ricerca, Istituti Universitari, Musei, collezionisti e, soprattutto, ricercatori

italiani e stranieri.

La vasta latitudine culturale dei temi trattati, la poliedricità degli stimoli da essi suggeriti non possono non avere una

forte valenza formativa e, in generale, didattica. Ben si comprende, quindi, l’ampio spazio destinato nella Mostra (e,quindi, nel

Volume) alla Sezione di Exhibit finlandesi, al Farfare Fisica, ma anche alle Collaborazioni con l’Infn, l’Enea, il Cineca… per citare

solo qualche esempio, oltre, naturalmente, allo spazio riservato alle attività di ricerca coordinate dal CNR.

Un’esigenza culturale imprescindibile ha fatto sì che l’inquadramento generale della Mostra e del Catalogo fosse di

tipo storiografico, ma la parte preponderante è connessa agli aspetti tecnologici contemporanei. È innovativo, crediamo, l’aver

voluto avvicinare ai temi delle tecnologie più avanzate l’esigenza di voler confrontare altri e diversi linguaggi e modi del comu-

nicare, quali quelli delle api, dei pesci, dei delfini, oltre al codice dei codici: la mappa del DNA, il progetto Genoma, ma anche di

oggetti quali monete, reperti d’arte antichi che, comunque, trasmettono un loro messaggio, che ci giunge dal passato, portan-

doci, a volte, sorprendenti informazioni.

La ricerca non ha confini e, quindi, non può sorprendere come un settore della Mostra/Volume sia dedicato anche

alla ricerca di intelligenze extra terrestri.

Il comunicare è indispensabile, ma, a volte, si può avere un’esigenza di voler comunicare solo con qualcuno, non

con tutti. È un’esigenza imprescindibile della nostra vita privata, ma è anche un obbligo in un universo come il nostro in cui la

concorrenzialità è ancora così forte. La sezione che si occupa della crittografia, delle radio spie, del codice Enigma – la cui de-

crittazione è stata alla base dello sviluppo dei moderni calcolatori – illustra specificamente questa dimensione atipica e, per co-

sì dire in negativo – in senso fotografico – del comunicare.

È chiaro che, in un contesto come questo, non poteva mancare la presenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche,

sia a livello istituzionale, sia a livello di Istituti di Ricerca e, in particolare, del Progetto Finalizzato per i Beni Culturali.

Lucio BiancoPresidente CNR

p refaz ione

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Una Mostra è sempre un’occasione di conoscenza, di stimolo, di crea-

zione di centri di interesse nel pubblico dei visitatori. In particolare ciò è vero per una

Mostra come questa in cui si coniuga il passato (la storia e le prime applicazioni del-

la tecnologia delle comunicazioni) con il presente (la straripante diffusione dei siste-

mi informatici su larga scala) e con il futuro (l’arrembante sviluppo ulteriore della ri-

cerca nel settore delle telecomunicazioni). Rilevante poi ci sembra l’idea di non far

prevaricare gli aspetti tecnologici su quelli umani e apprezzabile l’aver tenuto in con-

siderazione i modi di comunicare tra gli insetti, tra i delfini, con un’apertura verso la

ricerca di intelligenze extra-terrestri.

Una Mostra assolve a molte funzioni di tipo didattico, di interattività

culturale, e questa Mostra si è segnalata particolarmente proprio per questi aspetti.

Basti pensare al grande numero di studenti e di scolaresche da cui è stata visitata.

Purtroppo, essa è un’occasione effimera, di durata temporanea. Questo il suo limi-

te, come quelli precedenti i suoi pregi.

Il Libro che sta vedendo la luce ora avrà il pregio di dare all’effimero una

sua dimensione permanente. Una riflessione scritta sulle telecomunicazioni. Un’oc-

casione per riflettere sui numerosi aspetti connessi alla stessa radice del nostro mo-

do di essere, cioè quello del comunicare. L’occasione è, quindi, importante. Con-

sentirà anche a chi non ha avuto l’occasione di visitare la Mostra di prendere con-

tatto con le sue tematiche. Di riflettere sui suoi sviluppi. Di aggiornarsi sulle sue li-

nee di accrescimento, sulle sue innovazioni più recenti.

È già molto. Ma si potrebbe fare persino di più. L’insegnamento, la di-

dattica, la creazione di centri di interesse, la rinascita di un modo di comunicare più

immediato, più diretto tra insegnanti e studenti sono, ormai, un obbligo imprescin-

dibile della nostra civiltà tecnologica. Il non capire questo punto potrebbe essere pe-

ricoloso per la nostra società stessa. E il calo di frequenze nei corsi di laurea scienti-

fici o tecnici testimoniano che non si tratta di un pericolo astratto, puramente teo-

rico. Si tratta di un pericolo reale.

L’Università, tra i suoi numerosi compiti non può ignorare questo aspet-

to sociale. Molto si sta facendo per affrontare il problema e per risolverlo ma, forse,

si potrebbe fare qualcosa di più. La creazione di una struttura permanente storico-

scientifico-tecnologica, cioè di un museo della scienza e della tecnica innovativo nel-

le sue forme di promozione didattica e nei suoi modi di presentare al pubblico de-

gli studenti, e a quello più generale, il fascino di discipline che permeano la vita con-

temporanea, dovrebbe costituire un obiettivo imprescindibile da attuarsi a favore

della crescita e della diffusione della cultura scientifica.

È un obiettivo in cui crediamo. È un obiettivo che ci proponiamo, e che

speriamo di realizzare.

Pier Ugo CalzolariRettore dell’Università degli Studi di Bologna

guardando avant i

Insegne Rettorali (XVI sec.) dell’Universitàdi Bologna conservate in Palazzo Poggi,Sede del Rettorato.

Tutte le foto di questa pagina sonodovute alla cortesia dell’Università degliStudi di Bologna.

Gonfalone dell’Universitàdi Bologna fatto eseguiree offerto da un Comitatodi Dame bolognesi nel 1888.Palazzo Poggi, Sede del Rettoratodell’Università.

Sigillo dell’Universitàdi Bologna impiegatoanche per le Celebrazionidel IX Centenario dell’Università(1088-1988).

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La mostra Communication ritengo abbia occupato nel panorama delle iniziative di Bologna Città Europea della Cul-

tura del 2000 una posizione di estrema rilevanza. Non solo perché il tema che l’Unione Europea ha voluto assegnare a Bologna

è proprio quello della Comunicazione, considerando l’impegno che in questi anni l’amministrazione civica ha indirizzato allo svi-

luppo della comunicazione pubblica, la tradizione di eccellenza della nostra Università nelle scienze della comunicazione e la pre-

senza di un forte tessuto di associazioni e di imprese attive nel campo delle nuove tecnologie.

Non solo perché Bologna, grazie alla sua posizione geografica centrale, è stata in passato luogo di transito di cul-

ture, merci e uomini, e ora, alle soglie del nuovo millennio, vuole cogliere le opportunità offerte dalle reti informatiche per con-

tinuare a svolgere quel ruolo di crocevia della Comunicazione che la tradizione storica le affida. Ma anche e soprattutto perché

il tema della comunicazione ricopre oggi una centralità strategica. Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha radicalmente modifi-

cato il modo di pensare e di apprendere, ha ampliato le possibilità di partecipazione di tutti alla vita culturale e sociale, ha aper-

to inediti scenari, ma nel contempo ha suscitato interrogativi e ha reso necessarie nuove risposte.

Proprio per analizzare a fondo un tema così complesso, Bologna 2000 ha sviluppato in questo ambito un program-

ma di iniziative estremamente ricco ed articolato, che ha visto nella mostra Communication uno dei suoi momenti più alti. Una

mostra che, attraverso i più innovativi strumenti elaborati dalla didattica scientifica, ha illustrato l'evoluzione storica dei sistemi

di comunicazione e i suoi aspetti socio-culturali, analizzando in particolare l'impatto delle nuove tecnologie e le loro implicazio-

ni sul concetto di comunicazione. Una mostra che ha inoltre dimostrato come, per raggiungere risultati così importanti, sia ne-

cessario mettere in campo tutte le forze disponibili attraverso la collaborazione tra istituzioni, enti di ricerca e aziende del setto-

re di livello internazionale.

Il fatto poi che una parte dell’esposizione abbia viaggiato per tutte le nove Città Europee della Cultura costituisce il

coronamento ideale per questo progetto che si prefigge di dare un contributo all'ampliamento delle conoscenze verso i nuovi

strumenti della comunicazione.

Giorgio GuazzalocaPresidente di Bologna 2000

Sindaco del Comune di Bologna

bologna 2000: la c i t tà e la cul tura

Basilica di S. Luca,Bologna.

In alto:Basilica di S. Petronioe Palazzo dei Notai.in Piazza Maggiore,Bologna.

Fontana del Nettunodel Giambologna.

Tutte le fotodi questa paginasono dovutealla cortesia di:C. Porcheddu.

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AMATO, Roberto Communication Supervisor, Datalogic Spa, BolognaAMBROSINI, Roberto Primo Ricercatore, Ist. di Radioastronomia,

Resp. Gruppo Controllo Interferenze Radio, Membro del RadioScience Team delle Missioni Cassini, Bologna

ANDALO’, Learco Pres. dell’Associazione Culturale Erasmo, ImolaANDRISANO, Oreste Prof. Ord. di Sistemi di Telecomunicazioni, DEIS,

Dip. di Elettronica Informatica e Sistematica, Dir. CSITE - CNR, Cen-tro di Studio per l’Informatica e i sistemi di Telecomunicazione –CNR, Univ. di Bologna

BARTOLETTI, Luca Resp. Settore Ambiente, Centro per l’Innovazionee lo Sviluppo Economico (C.I.S.E.). Azienda Speciale della Camera diCommercio di Forlì-Cesena

BELLETTINI, Pierangelo Dir. della Biblioteca dell’Archiginnasio delComune di Bologna

BENTIVOGLIO, Franco Collab. esterno softwarista dell’IGM, Ist. diGeologia Marina, CNR, Bologna

BERARDI, Franco Saggista – Esperto di Telematica, Consorzio Univer-sità – Città di Bologna

BERNARDI, Paolo Prof. Ord. di Microonde, Univ. di Roma “La Sapienza”BERNARDONI, Roberto Assegnista, Unione Europea, Genetica, Univ.

di BolognaBIAGI Donatella MAINO Prof. Ass. di Storia del Restauro, Fac. di Con-

servazione dei Beni Culturali, Sede di Ravenna, Univ. di BolognaBIANCHI, Nicola Collab. esterno Ist. di Geologia Marina, CNR, BolognaBIANCO, Lucio Pres. del CNR, Consiglio Nazionale delle RicercheBOARI, Maurelio Prof. Ord. del DEIS, Univ. di BolognaBOCCHI, Francesca Prof. Ord. di Storia Medievale, Univ. di Bologna,

Resp. del Progetto NuME, Nuovo Museo ElettronicoBORTOLUZZI, Giovanni Tecnico Ist. di Geologia Marina, CNR, BolognaBUGINI, Annalisa Libero professionista, già Borsista CNR, Collab. del

Museo di Fisica, Dip. di Fisica, Univ. di BolognaCALORI, Luigi Tecnologo, CINECA, Centro Interuniversitario di Calco-

lo, Bologna; Ist. di Geologia Marina, CNR, BolognaCALZOLARI , Pier Ugo Rettore dell’Università di BolognaCAMPIONI, Rosaria Soprintendente per i Beni Librari e Documentari

della Regione Emilia-RomagnaCAMPRINI, Sonia Borsista CNR, Museo di Fisica, Dip. di Fisica, Univ. di

BolognaCASALI, Franco Prof. Ass. di Metodi nucleari di analisi tecnologiche,

Lab. di Fisica Sanitaria, Univ. di BolognaCATTANI, Otello Ric. Biochimica, Dip. di Biochimica, Univ. di BolognaCAVAGNARO, Marta Ric. di Campi Elettromagnetici, Univ. di Roma

“La Sapienza”CELLI, Giorgio Prof. Ord. di Entomologia, Direttore dell’Istituto di En-

tomologia “G. Grandi”, Univ. di BolognaCORTESI, Paolo Prof. Ass. di Biochimica Dip. di Biochimica, Univ. di

BolognaD’AMIA, Giovanna Arch., Dott. di Ricerca in Storia dell’Architettura e

dell’Urbanistica, Esperta di Storia dell’Architettura Contemporaneae del Design, Milano – Parigi

DELLA VALLE, Giuliano Prof. Ord. di Genetica, Dip. di Biologia Evo-luzionistica Sperimentale, Univ. di Bologna

DELPINO, Federico Astronomo presso l’Osservatorio Astronomico diBologna

DIAMANTI, Tiziano Collab. del CINECA e dell’Ist. di Geologia Marina,CNR, Bologna

DRAGONI, Giorgio Prof. Ass. di Storia della Fisica, Univ. di BolognaFERRETTI, Alessandra Insegnante di Disegno e Storia dell’Arte, Liceo

Scientifico “A. Righi”, BolognaGANDOLFI, Giulia Collab. Facoltà di Conservazione dei Beni Cultura-

li, Sede di Ravenna, Università, Bologna, Borsista Archivio Storico,Univ. di Bologna

GARAGNANI, Gian Luca Prof. Ass. di Metallurgia, Dip. di Ingegneria,Università, Ferrara

GIGLIO, Federico Assegnista Ist. di Geologia Marina, CNR, BolognaGRIFONI, Daniela Dottorando in Genetica, Univ. di BolognaGRUPPUSO, Stefano Componente Unità Comunicaz. e Informaz.,

ENEA, Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, BolognaGUAZZALOCA, Giorgio Pres. di Bologna 2000, Sindaco del Comune

di BolognaGUIDAZZOLI, Antonella Ing. Resp. del Laboratorio ViS.I.T. (Visual In-

formation Technology Laboratory) CINECA, Centro Interuniversitariodi Calcolo, Bologna

GUIDORZI, Roberto Prof. Ord. DEIS, Dir. del CITAM, Centro Interfa-coltà per le Tecnologie Didattico – Educative Teleaudiovisive “G.Marconi”, Univ. di Bologna

IMBENI, Valentina Borsista post doc, Ist. di Metallurgia, Univ. diBologna

ISANI, Gloria Ricerc. di Biochimica, Dip. di Biochimica, Univ. di Bologna, LENZI, Renato Corporate Animal Program Manager, Dolphin Disco-

very, Cancun, MessicoMAINO, Giuseppe Vice Dir. Div. di Fisica Applicata ENEA, Prof. Incari-

cato di Informatica Generale, Facoltà di Conservazione dei Beni Cul-turali, Sede di Ravenna, Univ. di Bologna

MAROZZI, Gabriele Tecnico fotografico dell’Ist. di Geologia Marina,CNR, Bologna

MARTIGNANI, Davide Collab. esterno dell’Ist. di Geologia Marina,CNR, Bologna

MARTINI, Carla Ricerc., Istituto di Metallurgia, Univ. di BolognaMONTEBUGNOLI, Stelio Dirigente Tecnologo, Resp. della Stazione

Radio - Astronomica di Medicina, Resp. Nazionale del Progetto Ita-liano Search for Extraterrestrial Intelligence, SETI

NANNI, Mauro Primo Tecnologo, resp. del Centro di Calcolo e ReteInformatica dell’Ist. di Radioastronomia del CNR, Bologna

NUMERICO, Teresa Borsista post-doc (in Storia della Scienza a Bari)presso l’Università di Salerno. Ex Interactive Manager di TurnerBroadcasting System, Italia

PASCOLINI, Alessandro Prof. Ass. di Metodi Matematici della Fisica,Dip. di Fisica, Univ. di Padova; Resp. Progetto Speciale DivulgazoneScientifica, INFN, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare

PERINI Giovanni Ricerc. di Genetica, Univ. di BolognaPERSSON, Per - Edvin Dir. di Heureka, The Finnish Science Centre,

Vantaa/ HelsinkiPISA, Stefano Ricerc. di Campi Elettromagnetici, Univ. di Roma “La

Sapienza”PIUZZI, Emanuele Dott. di Ricerca in Ingegneria Elettronica, Univ. di

Roma “La Sapienza”POLI, Giorgio Prof. Ass. di Scienze dei Metalli, Facoltà di Ingegneria,

Univ. di BolognaPOLITI, Valeria Borsista Unione Europea, Genetica, Univ. di BolognaPORCHEDDU, Giovan Battista Prof. a Contratto di Storia della Scien-

za e della Tecnica, Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, Sededi Ravenna, Univ. di Bologna, Collab. Museo di Fisica - Dip. di Fisi-ca, Univ. di Bologna

PRANDSTRALLER, Daria Collab. Tecnico Laureato, Ist. di Metallurgia,Facoltà di Chimica Industriale, Univ. di Bologna

PREDI, Renzo Dir. Sistema Museale d’Ateneo, Univ. di BolognaRAVAIOLI, Mariangela Dir. sostituto dell’Ist. di Geologia Marina,

CNR, BolognaRUSSO, Gianluigi Prof. Ass. di Struttura della Materia, Univ. di BolognaSERAFINI, Francesco Collab. esterno del Lab. VIS.I.T. (Visual Informa-

tion Technology Laboratory) CINECA, Bologna per conto del Con-sorzio Università-Città di Bologna

SIMILI, Raffaella Prof. Ord. di Storia della Scienza, Dip. di Filosofia,Univ. di Bologna; Coord. Sottoprogetto Museologia e Museografiadel Progetto Finalizzato Beni Culturali del CNR

SINTONI, Silvia Tirocinio post- laurea in Scienze Biologiche, Dip. diBiochimica, Univ. di Bologna

SORESINI, Franco Ex Preside Ist. Radiotecnico “Aurelio Beltrami”, ExFunzionario della Magneti Marelli, Olivetti e Honeywell, Consulentedel costituendo Museo della Tecnica Elettrica di Pavia

STANGHELLINI, Giuseppe Tecnologo Ist. TESRE (Ist. di Tecnologia eStudio delle Radiazioni Extraterrestri), CNR, Bologna

TREBBI, Lucia Architetto, BolognaVALOTTI, Barbara Curatrice del Museo “Marconi” della Fondazione

Guglielmo Marconi, Pontecchio Marconi, BolognaVITALI, Giovanni Agente tecnico, Dip. di Biochimica, Univ. di Bologna

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iLadies and Gentlemen,

On behalf of Heureka, the Finnish Science Centre, it is indeeda great pleasure and honour for me to bring our greetings tothe opening of ‘Communication’ here in the beautiful City ofBologna. While Heureka has been responsible for the produc-tion of this exhibition, it is very much a joint European project,in which our partners in all European Cities of Culture haveparticipated. I am particularly grateful for the positive andconstructive co-operation that we have had from ProfessorGiorgio Dragoni and his team here at the Museum of Physicsin Bologna, and the Bologna 2000 organization. ‘Communication’ has been planned by a network of mu-seums in the Cities of Culture in Europe in 2000. These insti-tutions are the Requien Museum in Avignon, the Bergen Mu-seum, the Museum of Physics here in Bologna, the Royal Bel-gian Institute of Natural Sciences in Brussels, the BunkierSztuki Contemporary Art Gallery in Crakow, Heureka in Van-taa/Helsinki, the National Technical Museum in Prague, Ice-land Telecom in Reykjavik, and the Museum of the GalicianPeople in Santiago de Compostela. The exhibition will visit allthese nine institutions - in a modular form - before the end ofthis year. The production process has been led by Heurekawith a massive support from Helsinki - European City of Cul-ture. In addition, the Finnish Ministry of Trade and the Euro-pean Commission have supported this European joint ventu-re. Heureka is very grateful for this co-operation.Communicating is indeed very human. Human culture is ba-sed on languages and the ability to transmit a message toanother human being. The exhibition deals with communica-tion in a broad sense, to focus on the possibilities and chal-lenges posed by modern communication technologies. Thesetechnologies are changing our idea of the world and our be-haviour. Use of a new technology is based on a social andpsychological learning process. For example, I might mentionlearning to use the on/off-button of a cell phone. Using theWorld Wide Web is becoming part of our everyday lives. The

focus of the exhibition on the present and the future fits wellinto the theme of Helsinki as a European City of Culture: Kno-wledge, technology and the future. About 4000 languages are spoken in the world today. Themajority of the languages spoken in Europe belong to the In-do-European family of languages. Most of them use the Latinalphabet, as do the fourteen languages that are used simul-taneously in the ‘Communication’ exhibition. Even so, the al-phabets of these fourteen languages look quite different: justthe number of different letter signs ranges from twenty tothirty-five. This minor detail gives a hint of the challenges in-volved in making the exhibition available and enjoyable inthese fourteen languages.The Communication exhibition has been an important co-operative effort, even partially ground-breaking from a mu-seological point of view. It includes nine partner institutionsranging from national science centres, technical museumsand natural history museums to regional museums and con-temporary art galleries. It circulates in a modular form, whereeach partner has had the possibility of influencing the con-tents of their version. The size of the exhibition varies from250 square meters to 1000 in the different venues. It opera-tes in fourteen languages everywhere. The planning is pro-gressed through an extranet at the Heureka website, accessi-ble to the partners with a password. Of course, we had directmeetings as well, but an important part of the final commu-nication in the planning process has been through the tech-nology we present in the exhibition. After its tour in the Eu-ropean Cities of Culture, we hope to see three versions of theexhibition tour in Europe, America and Australia in 2001-2002. Negotiations are under way.I am very grateful for the wonderful co-operative atmosphe-re that has prevailed in this project. My thanks go to our Eu-ropean partners and today especially to our friends here atthe Museum of Physics and the Bologna 2000 office. I thankHelsinki - European City of Culture and its commercial part-ners for their support. I thank Schenker Stinnes Logistics, whois the main carrier of the exhibition throughout Europe. Ithank all those who have participated in the planning processof the exhibition, too numerous to list on this occasion. I wishthe exhibition the best of success here in Bologna.

address given at theopening ceremony of thecommunicat ion exh ib i t ion at thepa lazzo re enzo, bologna

Per-Edvin PerssonDirector Heureka

the Finnish Science CentreVantaa / Helsinki

Bologna, Palazzodel Podestà ePalazzo Re Enzo,sedi della Mostra.Foto di:C. Porcheddu.

Un momentodell’Inaugurazionedella Mostra, 31 agosto 2000,Bologna.Foto di:C. Porcheddu.

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PREMESSA

La comunicazione è l’essenza stessa della vita. L’esistenza, lasopravvivenza, la vita degli individui non sarebbe pensabilesenza la possibilità della comunicazione.La Mostra/il Volume tratterrà e illustrerà i modi, i metodi, glistrumenti e le tecnologie per la trasmissione, registrazione,elaborazione, riproduzione del suono, delle immagini e deidati. Storia, Scienza e Tecnica? Certo. Ma non solo! La Mo-stra/il Volume offrirà molto di più. Gli aspetti umani legati aimodi dei comunicare, le rivalità per la priorità delle invenzio-ni, successi straordinari di alcuni grandi innovatori. La storia,lo scenario attuale e quello futuribile. Una particolare atten-zione sarà data alle forme e allo sviluppo della tecnologia del-la comunicazione: dall’uomo, alle macchine, ai radiotelescopi.Il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione fino ai più sofi-sticati sistemi attuali basati sui computer, sui satelliti, su Inte-met. Gli spazi espositivi saranno caratterizzati da immagini,fotografie, pannelli, stampe, strumenti storici e recenti, pro-totipi, riproduzioni, documenti da giornali d’epoca, musica esonoro, exhibit interattivi, collage di scene tratte da film, ecc.Un settore speciale della Mostra/del Volume sarà dedicato alruolo che Bologna ha avuto nella storia della Comunicazioneattraverso le grandi figure che ne hanno consentito la straor-dinaria crescita: primo fra tutti Guglielmo Marconi!Particolare cura sarà data alla possibilità di una profonda com-prensione della Mostra da parte del visitatore, attraverso lostudio dei percorsi tematici, la progettazione dell’attività di-dattica, la scelta delle manifestazioni integrative: proiezioni,

conferenze, ecc. Una Mostra che parlerà le principali lingueinternazionali, arricchita con stazioni multimediali interattive edidattiche per capire e partecipare. Realizzata dal Centro didivulgazione scientifica Heureka di Helsinki e dal Museo di Fi-sica dell’Università di Bologna, grazie ad una grande collabo-razione nazionale e internazionale.La Mostra storico-scientifico-tecnologica Communication, e,quindi, il presente Volume si è inserita/inserisce all’interno diun tema generale che l’Unione Europea aveva assegnato peril 2000 a Bologna – insignita del titolo di Capitale europeadella Cultura – il tema della Comunicazione. Tema sul qualesono state organizzate importantissime iniziative culturali acura dei Professori Umberto Eco e Roberto Grandi.

METODOLOGIA

La Mostra Communication/il Volume è improntata su un di-chiarato intento di superamento di tutte le barriere culturali.Perché, in realtà, comunicare vuol dire proprio questo. Supe-rare gli ostacoli, le barriere linguistiche, culturali, disciplinarifrapposte al dialogo, e alla comprensione fra gli individui.Per raggiungere concretamente questo obiettivo e senza vole-re o potere, peraltro, - visti i limiti di spazio, di tempo, e di sup-porto finanziario della nostra iniziativa - realizzare L’Enciclope-dia Generale delle Comunicazioni, obiettivo questo, evidente-mente impossibile metodologicamente - si è deciso di proce-dere ad una impostazione particolare della Mostra/Volume -molto diversa dalle usuali, ma anche solite Mostre Tecnologi-che - e che ora illustreremo brevemente. L’allestimento dellaMostra pur essendo fondato sui materiali, sugli oggetti, sugliexhibit, sulle nuove tecnologie, tende a superare dichiarata-mente questi confini attraverso la collocazione di questi ogget-ti in un “ambiente” che ne evochi la storia, l’uso, l’impatto sul-le società del tempo, la sua influenza sulle epoche successive.Si tende a realizzare questo obiettivo tramite l’inserimento de-gli “oggetti” nel loro tempo, attraverso la proposizione di affi-ches pubblicitarie, di stampe o foto dell’epoca, di manifesti, ri-tagli di giornali. Chiaro esempio dello stile della Mostra, l’appa-rato iconografico del presente Volume. Si noti, in particolare, ilLeit motiv del libro, costituito dalle immagini delle tempere diBenedetta Cappa Marinetti (v. articolo A. Ferretti pp. 18-19)nella Sintesi delle Comunicazioni del Palazzo delle Poste di Pa-lermo, ristampate qui per cortesia di Franco Maria Ricci.L’idea è quella di voler superare il tecnicismo, insito negli og-getti tecnici, attraverso la comprensione dei motivi della lorointroduzione, l’ambientamento storico e culturale, la spiega-

p resentaz ione e p rogetto genera lede l la most ra e de l volume

G. Dragonip

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Il simpaticocagnolino inascolto nonpiù della trombade La Voce delPadrone, ma diun modernogrammofono,splendido esempiodel design anniTrenta. Lo stessogrammofono chefaceva bella mostradi sé nel filmShanghai Expresscon MarleneDietrich.Per cortesia di:C. Pria, Milano.Foto di: F. Bisi.

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zione semplice, breve, chiara delle loro caratteristiche funzio-nali - attuata attraverso “brevi introduzioni” e le didascalieagli oggetti. Spiegazioni più particolareggiate saranno ripor-tate per temi più difficili o insoliti. Attività didattiche specifi-che verranno offerte o saranno a disposizione mediante gui-de a chi desidererà capire “di più”. La Mostra sarà arricchitada film, filmati didattici, conferenze, seminari.Si tenterà di superare una delle tipiche “divisioni” culturali trale scienze, le tecniche e la cultura generale attraverso, ap-punto, questa contestualizzazione storica in cui si fondano in-sieme i vari aspetti del mondo della comunicazione: dal lin-guaggio gestuale e verbale, alle soluzioni tecniche della tele-grafia, alla telegrafia senza fili, alla radio, alla TV, a Internet,sino alle nuove avveniristiche, futuribili, tecnologie attuali. Sicercherà di colmare questa “divisione” anche proponendo alVisitatore temi riguardanti il linguaggio degli insetti, dei pesci,dei delfini, o addirittura, il linguaggio del passato, o la ricercadegli “extraterrestri”. Questo, sia attraverso l’analisi di reper-ti antichi e attraverso i messaggi che questi oggetti ci inviano,sia attraverso le onde elettromagnetiche che giungono sullaTerra captate dai radiotelescopi e che decodificate ci parlanodi eventi lontanissimi nel tempo, e, forse, di altre Civiltà.È nell’integrazione tra queste diverse realtà che ci auguriamopossa risiedere il fascino della nostra Mostra. Essa parlerà per“esempi”, abbiamo già sostenuto, infatti, che l’enciclopediadei saperi, seppure in un settore specifico quale è quello del-la comunicazione è, metodologicamente, impossibile.Come esempio di queste iniziative ricordiamo, solamente, l’al-lestimento, a Mostra già aperta, dello spazio Baby RealityCenter e l’efficacia di una immersione tri-quadridimensionalein uno spazio virtuale, reso quasi “reale” da elaborate e sofi-sticate tecniche informatiche e matematiche (v. art. F. Serafi-ni, a pp. 106-107).È questo clima che il Volume ha voluto riproporre in manieraperò ancor miù meditata e diffusa, più completa, anche piùspecialistica, ma, comunque, sempre nello spirito di traspa-renza didattica e culturale che ha improntato la Mostra.Resta un rammarico, quello di non aver affrontato – né nellaMostra né nel Volume – un tema fondamentale legato allaComunicazione, e cioè quello della falsificazione dell’informa-zione, della sua manipolazione, un tema così ampio, genera-le e diffuso in tutti i settori della vita che meriterebbe un altroVolume – al quale peraltro stiamo lavorando da tempo – e,forse, un’altra Mostra.

CONTENUTI DELLA MOSTRA

La Mostra/il Volume si prefigge di fornire una base di rifles-sione sul Tema vastissimo delle Comunicazioni. Naturalmente,come già indicato, è stato necessario procedere ad opportunitagli. Queste scelte e l’intero impianto della Mostra verrannopresentate qui brevemente. L’impostazione generale e la scel-ta dei materiali per la Sezione di Telecomunicazioni della Mo-stra è dovuta a F. Soresini, G.B. Porcheddu e allo scrivente.

L’ESPOSIZIONE STORICA

La Prima Sezione si apre facendo riferimento a temi che NONpotranno essere sviluppati, ma al cui contesto si accenna con

qualche pannello, per “immagini”, brevi commenti, oggetti“simbolo”. Questo vale per i riferimenti a: I. ComunicazioneOrale; 2. Carta e Strumenti di Scrittura; 3. Comunicazionescritta; 4. Mezzi di locomozione; 5. Colombi viaggiatori; 6.Segnalazione ottica; 7. Foto e Cinematografia. Questa Sezio-ne sarà realizzata anche grazie alla Collaborazione di vari Col-lezionisti, all’aiuto della Mostra Una Città in Piazza, e grazie alprogetto “Giano”, che costituirà un vero e proprio approfon-dimento dei temi brevissimamente indicati in precedenza.In questa Prima Sezione di carattere introduttivo generale - eche rinvia a temi che verranno approfonditi, ma anche a temiche non è possibile sviluppare - il Visitatore potrà avere unaprima “immersione” nei modi del Comunicare: dalle formeverbali a quelle scritte, dalla ruota ai mezzi di locomozionetradizionali: velocipede, bicicletta, auto; ad alcuni “mezzi”tecnici di segnalazione: quella ottica tradizionale, per esem-pio. A questa prima Sezione Introduttiva seguiranno le varieparti o Sezioni Tematiche della Mostra:

LA TELEGRAFIA CON I FILI, IL TELEFONO

La Seconda Sezione affronterà il tema della nascita e dello svi-luppo della Telegrafia elettrica e della Telefonia trasmesse at-traverso i fili. Strumenti e apparecchi originali saranno affian-cati da affiches pubblicitarie, documenti, immagini d’epocache ne consentiranno una contestualizzazione e ne recupere-ranno il clima dell’epoca.

LA TELEGRAFIA SENZA FILI

La Terza Sezione è dedicata alla Telegrafia senza Fili e vedràdocumentata la nascita di questa importantissima tecnologia.In questo percorso verrà messo in risalto il ruolo innovativoavuto da Guglielmo Marconi nel contesto storico del tempo.La Sezione sarà allestita grazie alla Collaborazione della Fon-dazione Marconi, del Museo di Fisica, del Museo Mille voci…mille suoni, di vari Collezionisti… Così pure vale per altre suc-cessive Sezioni storiche.

Il professor Pier Ugo Calzolari (a destra), da pocoeletto Rettore dell’Università degli Studi di Bolognae il curatore della Mostra/Volume durantel’Inaugurazione. Foto di: “La Repubblica”,Bologna Cronaca, 1 settembre 2000, p. XI.

Un momentodell’Inaugurazionedella Mostra.Foto di:C. Porcheddu.

Carosello.Celebre rubricadella Rai-Tv.Per circa quindicianni (1957-71)l’intermezzopubblicitarioe, quindi,il mezzo perla comunicazionecommerciale maanche delle mode,dei gusti, di formedi persuasionesinteticheed efficaci.

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LA RADIO E LA SUA EVOLUZIONE

Questa Sezione intende documentare l’Evoluzione della Ra-dio, non solo dal punto di vista degli sviluppi tecnologici, maanche dal punto di vista del design e dell’impatto culturale.Le radio progettate dai Bugatti, Castiglioni, Caccia Dominio-ni ne costituiranno un esempio, ma non unica testimonian-za. Ad esse si aggiunge una bella – forse unica per la suacompletezza – raccolta di radio prodotte commercialmentedalle Compagnie Marconi. Una Mostra, nella Mostra, orga-nizzata per merito di N. Neri e dell’AIRE (Associazione Italia-na per la Radio d’Epoca). La Sezione si chiude con una seriedi apparecchi radio a transistor, anch’essi ambientati tramitemanifesti e affiches. All’intemo del percorso della radio sa-ranno allestiti spazi appositi dedicati, in modo specifico, a:• La produzione commerciale delle società Marconi• Registrazione e Riproduzione dei suoni• Le Radio Spie• La Crittografia• La TelevisioneA queste Sezioni si aggiungeranno Magic-box (spazi appositi,con vari altoparlanti e nastri per la riproduzione sonora di“pezzi” storici dedicati all’ascolto della Radio o alla visione di“episodi” eclatanti delle trasmissioni televisive). I momentiproposti in questo settore renderanno ancora più viva l’im-mersione in avvenimenti, socio politici e culturali che hannofatto la nostra Storia. Si prevede l’ascolto e la proiezione dispot pubblicitari intesi, esclusivamente, quali mezzi espressividi “comunicazione”.

HEUREKA THE FINNISH SCIENCE CENTRE

La sezione Finlandese costituirà il “cuore” della Mostra e avràforte impatto didattico. Per gli specifici exhibit finlandesi si rin-via al volumetto didattico appositamente realizzato per que-sta occasione (A. Bugini, S. Camprini, Catalogo didatticoCommunication, Ufficio del Presidente, CNR, Roma, 2000).

ALTRI MODI E MONDI DELLA COMUNICAZIONE

Una ampia Sezione sarà dedicata alle ricerche nel mondo del-la comunicazione degli animali (insetti, pesci, delfini…) e al-l’individuazione di possibili Extraterrestri. Si vedano le Colla-borazioni di Celli, Cortesi, Montebugnoli, Della Valle…La “voce” dal passato: La Ricerca nel campo del Restauro:Garagnani, Casali, Russo…Le ricerche più avanzate: L’evoluzione tecnologica, attual-mente in fase di grande sviluppo, è documentata dalla pre-senza di tutti i più grandi Enti di Ricerca e da Aziende più al-l’avanguardia nel settore: INFN, CNR, ENEA, UNIVERSITA’ tracui in primis l’Università degli Studi di Bologna, CINECA,…ITALTEL, DATALOGIC, l’ARI (Associazione Radioamatori Italia-ni) ha partecipato allestendo una stazione radio che effettue-

rà collegamenti con radioamatori di tutto il mondo. Per nonparlare del Progetto Antartide dell’ENEA che illustra le attivitàdei nostri ricercatori e le modalità di comunicazione in un con-tinente non cablato: l’Atlantide, appunto.La Mostra è stata un’occasione di confronto per i grandi temidell’International Telecomunication Union: UMTS, cellularidella quarta generazione, Broad Band…La crittografia: Tra tanto comunicare, nasce l’esigenza dellariservatezza. In questa sezione, da una esposizione di “pezzi”storici nasce lo spunto per parlare della segretezza della tra-smissione dei dati alla quale quotidianamente ci affidiamo(carte di credito, Bancomat, E-mail, acquisti in rete). La sezio-ne viene allestita grazie alla collaborazione di Istituzioni inter-nazionali (Science Museum, Deutsches Museum, SiemensMuseum, Luftwaffè Museum) e nazionali.Internet: Sarà riservato uno spazio per le Comunicazioni viaInternet. Grazie alla collaborazione con MonrifNet.Sezione Didattica a cura del Museo di Fisica, Farfare Fi-sica: Modelli didattici, repliche di apparati sperimentali stori-ci, strumenti didattici antichi che da anni fanno parte delle at-tività di diffusione della cultura scientifica promosse dal Mu-seo di Fisica di Bologna e dall’Aula Didattica (SMA - SistemaMuseale d’Ateneo) verranno presentati al pubblico e agli stu-denti. L’impostazione didattica si fonda sulla base di alcuniprincipi di tipo interattivo e comunicativo diretto seguiti daanni dal Museo ed esemplificati da alcune mostre e Settima-ne della Cultura Scientifica quali: “Farfarefisica”, “Vedo, pre-vedo… stravedo”, “Riflettere per osservare”,… Si veda il vo-lumetto Farfare Fisica, appositamente realizzato (Farfare fisi-ca, Attività didattica al Museo di Fisica di Bologna, a cura diG. Dragoni, Museo di Fisica, Dipartimento di Fisica - SistemaMuseale d’Ateneo, Università Bologna, Ufficio del Presidente,CNR, Roma, 2000.Conferenze: Si stanno organizzando Conferenze che preve-dono la presenza di personalità del mondo universitario, del-la ricerca e, in generale, della comunicazione.Seminari: Si prevede l’organizzazione di Seminari tecnici te-nuti da: F. Soresini, F. Sinagra, F. Cremona ed altri.Filmati: In Collaborazione con la RAI TV e la Cineteca Comu-nale di Bologna si sta organizzando una proiezione di filmatiinerenti la tematica generale del comunicare.

Sia alla realizzazione dellaMostra, sia a quella del Vo-lume hanno partecipato nu-merose Istituzioni, Enti, Ri-cercatori che si ringrazianosentitamente. Per una lorodettagliata elencazione siveda (a p. 6) il Colophon.

A. Bugini,S. Camprini,Catalogo didatticoCommunication,CNR, Roma, 2000.Un ausilio didatticoagli Exhibitfinlandesi diHeureka,The FinnishScience Centre.

Farfare fisica, Attività didattica al Museo diFisica di Bologna, a cura di G. Dragoni,uno strumento didattico realizzato per ivisitatori della Mostra e del Museo di Fisica.

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Un immenso veliero che naviga sulle onde del tempo, solcan-do gli oceani del passato, del presente e del futuro. Questo,in sostanza, il filo conduttore dell’allestimento di Communi-cation, un Leitmotiv che percorre, con elementi diversi, tuttele sezioni di cui è composta la mostra.Il grande vascello salpa dal Salone del Trecento di Palazzo ReEnzo dove, su grandi “barcacce” che rievocano le imbarca-zioni più primitive della storia della navigazione dell’uomo,trovano posto alcuni degli esemplari più significativi degliesordi della comunicazione.Le barcacce navigano nella notte del passato, e “trasporta-no”, in armonia dimensionale, i vari oggetti esposti, sottoli-neando l’incedere lento delle invenzioni che hanno rivoluzio-nato il mondo, dalla telegrafia alla radio ai telefoni. Al centro,quasi come un faro, l’emblema della comunicazione: antennea quadro, digradanti nell’altezza e nel diametro, spiegano agliocchi dell’uomo il percorso delle onde elettromagnetiche.Lasciando il passato e approdando nel presente nel Salone delSeicento, la barcaccia si trasforma in un grande veliero, e trale sue vele schiude i segreti dei risultati di cui è ricco il nostrotempo. Disposte attorno ad una sorta di corte, che funge daponte della nave, le nuove tecnologie guardano al futuro, gio-cando sulla trasparenza come simbolo della continuità tra idue estremi, ieri e domani. Qui sono gli spazi degli enti chehanno firmato e firmano il progresso odierno, i computer di-mostrativi dell’immensità delle applicazioni che l’evoluzionetecnologica e scientifica ha consentito.

Il viaggio continua nel Salone del Podestà che ospita tutti glielementi temporali della storia della comunicazione: dalla Fon-dazione Marconi (il passato) al Punto della Didattica, Farfare Fi-sica, per una sperimentazione dal vivo (il presente), ai 26 exhi-bit dalla Finlandia (il futuro). Sull’onda della metafora della na-vigazione, le salette adiacenti si ergono a scialuppe e svelano isegreti di forme di comunicazione diverse e inedite, tratte dalmondo della flora e della fauna, che completano il ciclo dellavita, ricongiungendo l’uomo al mondo che lo circonda e for-nendogli ulteriori elementi di studio e di meraviglia.

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L. Trebbi

Palazzo Re Enzo,Bologna.Salone del Trecento.Veduta d’insiemedella sezione storicadella Mostra.Foto di: F. Bisi.

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Tra le avanguardie artistiche del Novecento, il Futurismo ècertamente quella che più ha espresso e rappresentato nei te-mi proposti, nei materiali, nelle tecniche usate la nuova realtàfornita dai moderni mezzi di comunicazione.In una continua ricerca di fusione tra le arti e le nuove con-quiste scientifiche, nell’attuazione concreta dell’idea di totali-tà dell’arte, l’artista futurista vuole rappresentare una dellecaratteristiche della società moderna: il movimento, da quel-lo più tradizionale del cavallo in Boccioni, a quello tecnico-meccanico del particolare della ruota della locomotiva e deltreno in Balla, agli effetti delle onde alzate dal motoscafo inuno dei quadri di Benedetta Cappa (1897-1977).A differenza del pittore barocco che dalla terra ha gli occhipuntati in un cielo immaginario dove su vortici di nubi si af-facciano e agiscono figure religiose di santi e di angeli, il pit-tore futurista dall’alto del cielo, su un veloce aeroplano, vin-cendo quasi la legge di gravità, ha gli occhi puntati sulla ter-ra e così ci rappresenta il paesaggio: terra, mare, e aria in unospazio cosmico, dove macrocosmo e microcosmo coesistonofondendosi armonicamente in un tutt’uno, come il piccolo vil-laggio e l’immensità del mare e del cielo nell’aeropittura diBenedetta Cappa Marinetti. La pittrice, scenografa, ceramistae scrittrice (Le forze umane,1924 – Viaggio di Gararà, 1931 –Astra e il sottomarino, 1935) sposa nel 1923 Filippo Tomma-so Marinetti, conosciuto a Roma nello studio del pittore Gia-como Balla di cui era giovane allieva.Partecipe e protagonista delle attività del movimento futuri-sta, compie numerosi viaggi in Italia e all’estero, in Argentina,

Brasile, nel Nord Africa, Egitto, Algeria, la trasvolata sugli Ap-pennini e sull’Italia, il viaggio transoceanico in transatlanticodai quali trarrà esperienza diretta per molte immagini dei suoiquadri.Vicina alla pittura del maestro, in particolare per la scelta com-positiva, e a volte anche alle esperienze astratte e surrealisteper sintesi e ricerca psicologica, aderisce dal manifesto del-l’aeropittura (1929) a questa nuova corrente del Futurismo,caratterizzando sulla base di questa impostazione la sua pro-duzione artistica successiva, in particolare i cinque pannelli di-pinti da Benedetta nel 1934 sul tema delle comunicazioni perla sala delle riunioni nel Palazzo delle Poste di Palermo.L’architetto bolognese Angiolo Mazzoni, dirigente dell’UfficioTecnico delle Poste e Telegrafi e delle Ferrovie, ci fornisce inquesto edificio, alto ventiquattro metri e articolato su quattropiani, un tipico esempio di architettura pubblica del regimefascista.Riscontriamo lo stile nella ripresa di elementi classicistici comela monumentalità del colonnato d’ingresso e dello scalone enelle linee architettoniche, così pure nella profusione dei rive-stimenti murari in marmi policromi, grigi e viola all’esterno,più vivaci all’interno, dove coesistono armonicamente moltimateriali diversi. Si nota in modo molto evidente questa fu-sione di elementi cromatici e materici nelle pareti e negli arre-di della Sala riunioni al terzo piano dell’edificio dove spiccano,come finestre aperte sugli infiniti spazi del mondo moderno,i 5 pannelli a tempera ed encausto di Benedetta. Le pareti, illungo tavolo al centro della stanza, i sedili in muratura rivesti-

la comunicaz ione ne l la p i t turad i benedetta cappanel pa lazzo de l le poste a pa lermo

A. Ferretti

B. Cappa, Sintesi delle Comunicazionitelegrafiche e telefoniche (a sinistra) eradiofoniche (a destra). Per cortesia di: FMR.

B. Cappa, Sintesi delle Comunicazioni aeree.Per cortesia di: FMR.

B. Cappa,Sintesi delleComunicazionimarittime. Percortesia di: FMR.

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ti in marmo rosso fiorito e libeccio di Trapani, le sedie in ramee marocchino rosso, spiccano sul pavimento a mosaico di pic-cole tessere blu. Nella magia del luogo sembra quasi concre-tizzarsi il tema espresso dai grandi pannelli abbinati nella scel-ta cromatica dei materiali, dei rivestimenti e degli arredi nellastessa architettura della stanza.Le comunicazioni aeree nella luce luminosa del sole nel cielosi identificano facilmente con il giallo del soffitto, così le co-municazioni marittime con il colore azzurro del pavimento,quelle terrestri con il rosso dei marmi e le comunicazioni ra-diofoniche e telegrafiche con gli elementi di rame usati negliarredi.Nella sintesi delle comunicazioni terrestri, gli alti piloni del via-dotto in primo piano sono linee-forza che collegano la terra eil cielo in uno spazio luminoso e rosato. Lo spazio aperto, in-finito si contrappone al lungo tunnel scavato nella profonditàdella montagna.Qui troviamo una costante della pittura di Benedetta: la figu-ra umana non compare, ma dell’uomo si “sente” la presenzacome invisibile osservatore sospeso nel cielo o tra le onde delmare, quasi travolto dall’incombente massa del gigantescotransatlantico nelle comunicazioni marittime, ed evidente èl’importanza data all’opera dell’uomo e ai nuovi modernimezzi tecnologici da lui creati.Come le veloci ali dell’aeroplano tagliano l’aria e il cielo, cosìnelle comunicazioni terrestri la terra è perforata dal tunnel gri-gio, le verdi colline in alto a destra sono trasformate in ripididirupi dal taglio di una tortuosa, segmentata, astratta stradabianca che contribuisce, compositivamente, insieme al raggio

luminoso che le sta accanto, alla forte spinta ascensionale su-scitata dall’immagine.La stessa funzione, nelle comunicazioni telegrafiche e telefo-niche, ha il traliccio-antenna inclinato, vera e propria diago-nale del quadro immerso in una dimensione cosmico-plane-taria.E’ però nella sintesi delle comunicazioni radiofoniche dove laricerca della pittrice, più vicina alla pittura di Prampolini e diFillia, diventa pura astrazione simbolica nel gioco formale e di-namico degli elementi che costituiscono lo strumento tecnico.“Noi canteremo… i ponti simili a ginnasti giganti che scaval-cano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i pi-roscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte,… e il volo scivo-lante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come unabandiera…”F.T. Marinetti, Fondazione e manifesto del Futurismo 20 feb-braio 1909, Le Figaro, Parigi.

BIBLIOGRAFIA

G. Bernabei - G. Gresleri - S. Zagnoni, Bologna Moderna1860-1980, Patron, Bologna, 1984AA.VV., Futurismo & Futurismi, a cura di P. Hulten, Bompiani,Milano, 1986M. de Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Fel-trinelli, Milano, 1988AA.VV., Benedetta, fughe e ritorni, presenze futuristiche in Si-cilia, Electa, Napoli, 1998F.M.R., Le poste del Duce, Giugno-Luglio 1999, n°134, pp.69-104

Sala Riunioni delPalazzo delle Postedi Palermo. Percortesia di: FMR.

B. Cappa, Sintesidelle Comunicazionitelegrafiche etelefoniche.Per cortesia di: FMR.

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B. Cappa,Sintesi delleComunicazionimarittime,Palazzo dellePoste,Palermo.Per cortesiadi: FMR.

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evoluzionedelle comunicazioni:la storia

22 Dai viaggiatori ai cronisti e ai turisti — L. Andalò

24 Il nascere e lo svilupparsi della comunicazione scritta — P. Bellettini

26 La Bologna curiosa di G.C. Croce — R. Campioni

28 La “chiave del mondo” e la sua ombra — G. D’Amia

30 Onde radio nello spazio — F. Soresini

44 Guglielmo Marconi (1874-1937) — B. Valotti

46 Le vie della comunicazione elettrica. Dal telefono alla radio — G.B. Porcheddu

64 Claude Shannon e la teoria dell’informazione — T. Numerico

69 Heureka, il Science Centre finlandese e i “nuovi” centri di diffusionedella cultura scientifica e tecnologica — A. Bugini, S. Camprini

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Dietro ai viaggi c’è sempre stato il fascino del mondo, ed unacuriosità insaziabile di conoscere e di capire per comunicare.Fin dalle lontananze dei tempi c’è stato chi ha avuto il corag-gio di solcare i mari o di varcare le barriere delle montagne, diaffrontare terribili durezze e fatiche oggi impensabili: e ciòche per questi era allora un viaggio materiale, per gli abitantidelle città e delle campagne diventava poi informazione.Se si ricordano quei protagonisti non è per provare il saporestorico del passato, ma perché le loro conoscenze sono statealla base di forme primordiali di comunicazione. Anzi, talvol-ta, le esperienze che ci hanno tramandato fanno parte del-l’immaginario metropolitano di oggi.I viaggiatori, i pellegrini, sentivano come propria casa unospazio fisico che geograficamente andava al di là dell’Euro-pa; cosicché superavano i confini degli Stati per conoscere epoi divulgare abitudini di popoli diversi, lingue, usi, informa-zioni sugli Stati e sull’organizzazione del potere politico, reli-gioni, ecc.

Contemporaneamente, i cronisti locali, cioè i raccoglitori del-le vicende delle loro città e quindi i testimoni più attenti deiloro tempi, erano persone che non scrivevano per sé stessi,ma, attraverso un rapporto con la gente, avevano per obietti-vo la comunicazione.Per secoli quei cronisti hanno registrato, interpretato e diffu-so piccole e grandi notizie, e, assai spesso, non soltanto quel-le della loro città, ma anche le notizie esterne che raccoglie-vano dai viaggiatori, dai pellegrini, dai commercianti, dagliuomini d’arme.Un esempio di duplice valenza di cronisti e comunicatori la sipuò trovare nel caso di due autori forlivesi del secolo XV: Leo-ne Cobelli e Andrea Bernardi, detto Novacula.In tali scritti c’erano soprattutto gli eventi di Forlì al centro delmondo, però c’era anche una apertura nel registrare e nel tra-smettere le notizie che provenivano dall’esterno.Nonostante che il Cobelli ed il Novacula dovessero tener con-to di un potere violento, si può dire che in loro più che una

da i v i agg iator i a i c ron is t i e a i tur i s t i

L. Andalò

Acquaforte diG.M. Mitelli, 1692.

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vocazione per una attività diaristica c’era la tendenza per unaesposizione giornalistica (il Cobelli si distingue anche sotto ilprofilo culturale con citazioni persino dalla Divina Commedia).Poi, attraverso i secoli ci fu l’evolversi dei profili dei viaggiato-ri; la comodità dei viaggi e lo sviluppo della tecnica della stam-pa rimpicciolirono il ruolo dei cronisti nell’ambito della comu-nicazione.Nell’epoca dei Grand Tour, ovvero dei turisti ante litteram delSeicento e Settecento, le persone vennero messe in corri-spondenza, le une con le altre, specialmente attraverso i re-soconti dei viaggi.Oggi, siamo giunti alle alte velocità, alle curiosità postmoder-ne che offrono spostamenti che fanno cambiare gli aspettidelle immagini e delle emozioni: siamo al gran-turismo dimassa.È pur vero che esiste ancora la comunicazione parlata o perimmagini casalinghe tra turisti ed amici, ma ci sono, soprat-tutto, la vivezza e la immediatezza dei filmati e dei documen-tari televisivi e degli altri mezzi della comunicazione moderna:una informazione assai spesso effimera.

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Acquaforte di G.M. Mitelli, 1690.

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Affrontare il tema della comunicazione scritta nei secoli pas-sati significa normalmente focalizzare l’attenzione sul suostrumento principe, il libro, ignorando i canali alternativi,spesso ingiustamente considerati ‘minori’, che hanno costitui-to per secoli il mezzo fondamentale di informazione per lamaggior parte della popolazione e che meritano di essereanalizzati con maggiore attenzione.Fra le principali tipologie di documenti informativi prodotti inEtà Moderna si possono ricordare:• i bandi, attraverso i quali veniva assicurata la comunicazio-

ne ufficiale del ‘palazzo’ rivolta ai sudditi;• le filastrocche e le operine della tradizione popolare, il cui

interprete più efficace fu Giulio Cesare Croce (v. p. 26);• gli avvisi e le gazzette, che rappresentano i primordi della

comunicazione ‘giornalistica’.Verso la metà del Cinquecento si afferma, soprattutto a Ve-nezia e a Roma, una nuova modalità di comunicazione degliavvenimenti politico-militari di attualità. Ai tradizionali dispac-ci e alle relazioni degli ambasciatori vengono ad affiancarsilettere di avvisi con una periodicità strettamente correlata adun servizio postale ormai sempre più efficiente e collaudato.Esternamente simili a delle semplici lettere, gli avvisi riporta-vano, spesso a cadenza bisettimanale, in uno stile scarno e ingenere alieno da commenti, le notizie pervenute dai principa-li centri italiani ed europei. A differenza degli avvisi monogra-fici, che informavano, senza alcuna specifica periodicità, susingoli e rilevanti episodi (battaglie, trattati di pace, nascite

mostruose, fatti criminali inauditi, terremoti, miracoli) e checominciarono ad essere stampati fin dalla prima metà del XVIsecolo, gli avvisi periodici (quelli che noi siamo abituati a chia-mare gazzette) ebbero una loro versione a stampa in Italia so-lo a partire dalla fine degli anni Trenta del Seicento.Gli avvisi settimanali a stampa presero il posto – anche se nonintegralmente – degli avvisi periodici manoscritti pubblici; ri-mase comunque, ancora per gran parte del Settecento, unabbondante spazio per la sopravvivenza di avvisi periodici ma-noscritti segreti, che riportavano per un pubblico elitario e cir-coscritto di addetti ai lavori (Segreterie di Stato, diplomatici,cardinali, alta nobiltà) le notizie più riservate e piccanti, noti-zie che non era prudente pubblicare e che comunque difficil-mente avrebbero potuto superare la revisione censoria e icontrolli a cui le gazzette a stampa erano soggette.Un accenno ai redattori di avvisi è in una singolare opera di Giu-lio Cesare Croce, Il giocondo, et florido convito fatto nelle son-tuose nozze del Raffano, et della Rapa. Elencando coloro chedanno ospitalità alla figlia del Raffano e della Rapa, la Carota,coloro quindi che – nel tono ironico e ammiccante del compo-nimento – sono abituati “a piantar gran carrote tutto l’anno”(cioè ad ingannare il prossimo), Croce pone “Quei che scrivonoavisi molto grata hanno costei [la Carota], e gli fan gran carez-ze” (come a dire, sono abituati a buggerare chi si fida di loro).Che l’attività di redattore di avvisi fosse considerata poco ono-revole e spesso affine a quella delle spie e dei diffamatori è delresto confermato da più parti. Già nel 1572 un papa bolo-gnese, Gregorio XIII, riprendendo e specificando alcuni prov-vedimenti dei suoi predecessori, emanava una bolla in cuistigmatizzava l’attività dei menanti, equiparandoli agli scritto-ri di “libelli famosi” (cioè infamanti, denigratori e lesivi dell’o-nore delle persone).

i l nascere e lo sv i luppars ide l la comunicaz ione scr i t ta

P. Bellettini

Uno strillone con notizie di guerra, in unaincisione di G.M. Mitelli datata 1684.

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«È tanta l’infelicità delle cose umane, che non solo i vizi vec-chi contrastano con pertinacia alla solerzia dei legislatori, edanche repressi con pene severe rinascono, ma addirittura digiorno in giorno ne sopravvengono altri nuovi, sconosciuti aisecoli passati. Talché a noi, per obbligo ingiuntoci da Dio, toc-ca di operare nel migliore dei modi per reprimerli fin dal loroprincipio, prima che attecchiscano, e per troncarli, per quan-to possiamo, dalle radici. Essendo pertanto, non molto tempofa, emersa una nuova setta di uomini morbosamente curiosi,i quali propongono, accettano e scrivono ogni cosa riguar-dante i pubblici o privati affari che venga loro a conoscenza,o che per loro libidine inventino, sì del paese come di fuori,mescolando senza alcun ritegno il falso, il vero e lo incerto; inmodo tale che di questo si è già istituita un’arte nuova; e lamaggior parte di loro, anche per un compenso vile, fatti certipiccoli commentari con queste notizie raccolte da vani rumo-ri del volgo, senza il nome di chi li scrisse, di qua e di là li spe-discono, ed anche come mandati prima da Roma in diversiluoghi, di poi li vendono come ritornati da altri luoghi in Ro-ma; e non solo si fanno lecito di occuparsi delle cose avvenu-te, ma anche di quelle che debbono avvenire presagisconostoltamente […]»Ma il lavoro degli ‘scrittori’ di avvisi era ormai troppo fun-zionale alla diffusione delle notizie, indispensabile per le bu-rocrazie e gli apparati diplomatici, necessario al dispiegarsidell’azione politica per essere bloccato da una bolla pontifi-cia. La prima gazzetta a stampa bolognese (era un settima-nale) comparve nel 1642; mentre il primo quotidiano bolo-gnese è del 1797.Come è risaputo, con l’arrivo delle truppe rivoluzionarie fran-cesi si assistette un po’ ovunque in Italia ad un’esplosione distampati, opuscoli, pamphlet, periodici di ogni tipo, comenon si era mai sperimentato prima. Una situazione geo-politi-ca e militare in velocissimo movimento, il continuo susseguir-si di novità clamorose ed epocali, l’effervescenza con cui fuaccolta la libertà di espressione e di stampa, la fine di una ata-vica costrizione all’autocensura preventiva innescarono un di-

battito vivacissimo che doveva inevitabilmente trovare il suosbocco nel lavoro dei torchi tipografici.All’inizio del 1796, prima dell’arrivo delle truppe francesi, aBologna veniva pubblicato un solo periodico, il bisettimanale“Gazzetta di Bologna”, che vantava una storia di oltre un se-colo e mezzo, potendo risalire senza interruzioni fino al 1642.Poco più di un anno dopo, nel luglio 1797, a Bologna veniva-no pubblicati contemporaneamente cinque periodici, e cioèdue bisettimanali (la “Gazzetta di Bologna” e “L’Osservatorepolitico”), due trisettimanali (“Il Monitore bolognese” e“L’Abbreviatore degli atti della repubblica italiana e delle no-velle politiche degli altri popoli”) e un quadrisettimanale (“IlDemocratico imparziale o sia Giornale di Bologna”).Nel breve volgere di pochi mesi si era passati dal monopoliodi fatto dell’informazione di attualità detenuto dalla vecchia“Gazzetta di Bologna” ad una situazione in cui l’offerta di in-formazione era estremamente differenziata, con toni spessomilitanti e battaglieri.Nell’ottobre 1797 nacque poi “Il Quotidiano bolognese ossiaraccolta di notizie secrete”, il primo foglio quotidiano bolo-gnese, che proseguì fino al 21 settembre 1798 (ultimo giornodell’anno VI della Repubblica Francese), quando dovette ces-sare la sua attività per la troppo esosa tassa del bollo. Nel me-desimo giorno cessava anche l’altro quotidiano bolognese nelfrattempo nato, e cioè il “Giornale de’ patrioti del diparti-mento del Reno della Repubblica Cisalpina” (era nato il 1 giu-gno 1798, meno di quattro mesi prima).

La comunicazione giornalistica eralegata al servizio postale(incisione di G.M. Mitelli del 1685).

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Nel corso del Cinquecento Bologna fu teatro di rilevanti av-venimenti politici, basti citare l’incoronazione di Carlo V daparte di papa Clemente VII, avvenuta il 24 febbraio 1530 nel-la chiesa di San Petronio cui assistettero i potenti di tutta Eu-ropa, come attesta la celebre Cavalcata (da San Petronio allachiesa di San Domenico) incisa da Nikolaus Hogenberg, mira-bile per la ricchezza dei sontuosi costumi e per la precisionedegli elementi informativi. In età rinascimentale e barocca lacittà rappresentava un crocevia strategico non solo dal puntodi vista politico, come seconda città dello Stato pontificio, maanche culturale – in virtù del più antico Studio d’Europa, cheebbe sede nel prestigioso palazzo dell’Archiginnasio alloraespressamente costruito – ed economico, coi rinomati pro-dotti della seta e della canapa.Non sorprende che in un centro di così intense e articolate re-lazioni vi fosse un forte interesse e consumo di notizie, testi-moniato dall’ampia circolazione di lettere, resoconti e avvisi diogni genere. La curiosità e la voracità dei “novellisti” (Giu-seppe Maria Mitelli li ritrarrà poi mirabilmente in ascolto di unlettore ad alta voce di avvisi o in attesa frenetica del corriererecante le notizie di carattere politico-militare dalle maggioricittà europee) non potevano lasciare indifferente lo sguardodi un acuto osservatore della vita quotidiana bolognese comeil cantastorie Giulio Cesare Croce (San Giovanni in Persiceto1550 – Bologna 1609).L’intento mimetico-giocoso delle operette, dedicate alle notizie

che giungevano in città da varie parti e che erano recepite daipiù con una certa credulità, è evidenziato anche nei titoli.Con gli Avvisi burleschi, venuti da diverse parti del Mondo, co-se notabilissime, e degne da essere intese il Croce fa il verso al-le notizie di avvenimenti politico-militari che pervenivano ma-noscritte su fogli portati dai corrieri, con brani di questo tenore:

Sono giunti gli avvisi come le Mosche si ritireranno per tut-ta questa vernata ai Bagni di Lucca e che un gran numerodi frittelle si son messe in punto per andare a campare sul-la riva dell’Olio, per pigliare la tenuta del Pesce fritto …

Con gli Avvisi venuti di quà, di là, di sù e di giù da diverse par-ti del Mondo, dove dà ragguaglio delle cose più maravigliose,che siano successe dall’Anno, che voi sapete, sino al presen-te. Portati da Bargalisse corriero del Prencipe Cacapensieri,che è venuto questa notte, ed è smontato alla Fontana diMarforio il cantimbanco fa il verso a un altro genere di noti-zie che erano diffuse attraverso avvisi a stampa, sovente mo-nografici, e che riguardavano eventi prodigiosi, come la na-scita o l’apparizione di mostri, o avvenimenti calamitosi, qua-li incendi, inondazioni e terremoti. Il “dir burlesco” si esplicain questo caso nella descrizione di un fenomeno ordinariopresentato come eccezionale, per il solo fatto di darne noti-zia: “In Modena, allì 11 del detto [Marzo], venne una nebbiatanto fosca che gli orbi non si vedevano l’un l’altro, ancorache si toccassero insieme”.

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Acquafortedi G.M. Mitelli,circa 1679.

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Gli avvisi stampati rientravano nel genere delle cosiddette“stampe popolari”, che erano distribuite dai venditori ambu-lanti a poco prezzo nei mercati e nelle strade, e in gran parteerano rivolte alle stesse fasce di pubblico per le quali eranoscritte molte composizioni crocesche. La fortuna degli Avvisiburleschi del Croce può forse essere spiegata anche come unbisogno di alcuni gruppi di lettori e/o ascoltatori di sorrideredelle proprie debolezze e sdrammatizzare eventi straordinariche potevano ingenerare paure e incubi.D’altronde il cantimbanco sapeva come conquistare i poten-ziali acquirenti e la prima attività promozionale per la venditadei suoi opuscoli è svolta direttamente accompagnando conla lira la recita o il canto dei suoi componimenti poetici neiluoghi di maggiore affluenza di pubblico.L’abilità del Croce nel pubblicizzare le proprie creazioni lette-rarie è inoltre testimoniata dalla citazione di suoi titoli nel te-sto di opere successive; ad esempio, nelle Lodi delle pullite etleggiadre caldirane, ricorda tra le arie cantate dalle filatrici diseta proprio alcune sue canzoni.Si può infine rimarcare una discreta strategia comunicativa sulpiano tipografico–editoriale, seppure nell’ambito di una pro-

duzione di serie volta a realizzare velocemente libretti e ven-tarole di largo consumo e a poco prezzo. Sui diversi fronte-spizi delle centinaia di opuscoli – prodotti in gran parte nel-l’officina di Bartolomeo Cochi e dei suoi successori attivi inBologna in vicolo San Damiano, all’insegna del Pozzo rosso –è quasi sempre presente una vignetta silografica che allude alcontenuto del libretto. Sul frontespizio della Canzone nova, eridicolosa in lode de’ sughi (Bologna, Bartolomeo Cochi,1610) al posto della silografia figura un’ottava dedicata ai let-tori con un pressante invito ad acquistare la canzone:

Voi, che vi dilettate di mangiareDe’ sughi à tira corpo, e pien budello,Quest’operetta venite à comperareDal vostro suiscerato Darinello,Che impararete come s’han da fare,E di comporli vi darà il modello;Non vogliate restar per cosa alcuna,Che per quattro quattrin n’haurete una.

Anche da questi brevi cenni si coglie come la “cornucopia let-teraria” di Giulio Cesare Croce costituisca una riserva preziosacui attingere per abbozzare un vivace ritratto della Bologna dietà controriformistica con particolare riguardo al tema della co-municazione nella vita quotidiana. Si tratta dell’obiettivo per-seguito con la mostra “Una città in piazza” che è stata visitata(Bologna, estate 2000) da varie migliaia di visitatori non soloitaliani.

Acquafortedi G.M. Mitelli,circa 1680.

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UN PERCORSO PER IMMAGINI ATTRAVERSO LA STORIA

DEL RICEVITORE CIVILE

Per l’innata facoltà di parola, che finisce col farne quasi unapresenza animata, la radio è una delle invenzioni che hannomaggiormente contribuito a mutare la vita quotidiana nel XXsecolo. E la storia della sua evoluzione formale è uno dei ca-pitoli più avvincenti dell’affascinante epopea del design. Nelcorso di un secolo, in linea con gli adattamenti tecnici e conlo sviluppo di nuovi processi produttivi, il radioricevitore di usocivile si è infatti adattato ai mutamenti di gusto e ai nuovi ri-tuali di una società in piena trasformazione, cercando di asse-condare le aspettative innescate da una campagna pubblici-taria tra le più ricche di suggestioni.Se gli apparecchi della fase sperimentale mantengono il lorocarattere prettamente tecnico – con gli elementi circuitalimontati a giorno su di un semplice supporto ligneo – l’allar-gamento dell’utenza e la diffusione della radio nel panoramadomestico portano con sè una crescente attenzione per l’a-spetto formale del ricevitore. Mentre la tendenza ad accorpa-re in un unico contenitore gli elementi funzionali prima di-stinti (antenna, altoparlante, alimentatore) induce l’apparec-chio a mimetizzarsi con l’ambiente, assumendo le forme di unmobile “in stile”. La radio è in questo modo “acquattata in uncanterano rinascimento, in un credenzone gotico, in un comòQueen Anne o in una libreria Tudor” – come lamenta la rivi-sta ”Domus” nel 1933 – e molte ditte forniscono uno stesso

modello di ricevitore in versione da tavolo o consolle, per nondire di quelle che lo propongono, a scelta, con veste “classi-ca” o “moderna”. Non sono rari, a questo proposito, i casi incui il disegno esteriore del ricevitore si piega alle mode stilisti-che che si sono avvicendate nel corso del Novecento, dal li-berty all’art déco, dallo “stile Bauhaus” alle tendenze aerodi-namiche degli anni Cinquanta. Talvolta invece il disegno del-l’apparecchio è un vero e proprio “pezzo d’autore” affidatoalla matita di un celebre designer. Ricordiamo in questo sen-so – ma gli esempi potrebbero essere più numerosi – la colla-borazione di Carlo Bugatti con la Gaumont, quella di PieroBottoni con la CGE, quella degli architetti Figini e Pollini conLa voce del padrone, o ancora l’attività, a tutti nota, di Achil-le Castiglioni e di Marco Zanuso per la Brion Vega.Se l’aspetto esteriore risulta essenziale al successo commer-ciale di un ricevitore, non si può non tener conto del ruolofondamentale che vi gioca una ben mirata campagna promo-zionale. A cominciare dai primi anni Venti assistiamo infatti al-la nascita di una cartellonistica specializzata firmata, in qual-che caso, da “persuasori occulti” di indubbia fama. La scelta operata nel messaggio pubblicitario contribuisce al-la popolarità di un apparecchio radio, mentre ne sottolinea lasemplicità d’uso, la facilità di trasporto o la fedeltà di ripro-duzione sonora. Accanto al manifesto-oggetto (in tedescoSachplakat) che esalta le caratteristiche tecniche e formali delricevitore, assistiamo infatti a una proliferazione di possibili

la “chiave de l mondo”e la sua ombra

G. D’Amia

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DIDASCALIE ALLE FOTO

1. Le voci dalla foresta, in unasuggestiva immagine dei ricevitoriSITI databile ai primi anni Venti.Manifesto pubblicitario.

2. Uno dei primi modelli di radio-sveglia (come si evince anche dallavisibilità dell’orologio nel frontale)realizzato in bachelite dalla Philips,1953. Per cortesia di R. Gianni,Vimercate, Milano. Foto di: StudioFotografico G. Cigolini, Milano.

3. “La combinazione ideale”: unaltoparlante e un ricevitore Philipsin una locandina di fine anni Venti.Manifesto pubblicitario.

4. Locandina pubblicitaria per cuffiadi ascolto della Telefunken, 1925ca. Manifesto pubblicitario.

5. Cartolina pubblicitaria deimodelli Musagete, famosi ricevitoridella Radiomarelli. 1932 ca.

6. Radioricevitore supereterodinaRadiola a 5 valvole. Pregevole lostile. Per cortesia di: R. Gianni,Vimercate, Milano. Foto di: F. Bisi.

7. Anche l’aspetto esteriore dellaradio e, soprattutto, del suoaltoparlante, può farsi strumentodi propaganda, come in questoricevitore tedesco della secondametà degli anni Trenta. Percortesia di: N. Rodriguez, Milano.Foto di: F. Bisi.

8. Bella immagine di Mario Grosper il “Giugno radiofonico” del1937. Manifesto pubblicitario.

9. Locandina della Philips. Ladiffusione dei radioricevitori civilicontribuisce alla moda della home-dance, 1930 ca. Manifesto pubblicitario.

10. La radio al centro del focolaredomestico, in una locandina della

RCA per il modello Radiola 17, fineanni Venti. Manifesto pubblicitario.

11. Radioricevitore Excelsior 55della Sonora, 1955. È un modelloin metallo, bachelite e plastichepolicrome con un design fiammatotipicamente anni Cinquanta. Percortesia di: R. Gianni, Vimercate,Milano. Foto di: F. Bisi.

12. Radioricevitore Microwatt 9450della Philips del 1949. I bordi incristallo producono, ad apparecchioacceso, un effetto di luminescenza.Per cortesia di: R. Ajelli, Milano.Foto di: G. Cigolini.

13. Radio ricevitore della Emersondi gusto tipicamente americano,realizzato in bachelite. È il classicomodello soprammobile (midget)prodotto dal 1935. Per cortesia di:R. Gianni, Vimercate, Milano. Fotodi: G. Cigolini.

ambientazioni che spaziano dal pic-nic alla crociera, dal safa-ri agli sport invernali, per concludersi con un intero campio-nario riservato all’ascolto domestico. Presentata come il nuo-vo focolare della vita familiare, la radio diviene il fulcro dei ri-cevimenti danzanti e delle serate con gli amici, allieta l’ora deltè ed intrattiene i bambini con le favole della buonanotte.

Inutile dire che lo scenario di queste ambientazioni è spessoquello di una sontuosa dimora aristocratica. Almeno per tut-ta la prima metà del secolo la “chiave del mondo” – come vie-ne chiamata la radio in più di una locandina pubblicitaria – èinfatti uno status symbol prima ancora che un mass-media.

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NOTA GENERALE: I manifesti e le cartoline pubblicitarie originali quiriprodotte sono stati cortesemente offerti da un Collezionista privatoche si ringrazia.

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PREMESSA

Questo breve excursus sulla nascita e lo sviluppo delle radio-comunicazioni si riferisce soprattutto al primo cinquantenniodel XX secolo. Considerando che la Mostra “Communication2000” si è svolta a Bologna, si è preferito limitare l’argomen-to alle origini ed ai fondamentali sviluppi delle radiocomunica-zioni. Ciò, in relazione al fatto che illustri personalità quali Gal-vani, Righi, Marconi, Majorana che vi hanno contribuito sonolegati, in qualche modo tutti, alla “Alma Mater Studiorum”.

GALVANI, VOLTA E LE TELECOMUNICAZIONI

Il 1999 ed il 2000 sono gli anni che ricordano il bicentenariodella pila di Alessandro Volta. “Communication” si svolge altermine di questa ricorrenza e giunge spontaneo prendere av-vio dall’opera di questi due scienziati, che hanno dato il via aesperienze che stanno alla base delle telecomunicazioni.L’elettricità era, al tempo di Volta (1745-1827), oggetto di cu-riosità e di strano diletto salottiero. Era di moda un gioco disocietà: l’elettrizzazione delle persone a mezzo di una mac-china elettrostatica a strofinio, come ce lo dimostrano alcunestampe dell’epoca. Ma Volta era uno scienziato, e al di là diquesti interessi mondani, vedeva nell’elettricità statica l’im-portanza che era giusto collegarvi. A quel tempo, un altro uo-mo di fama eccezionale, Benjamin Franklin (1706-1790), stu-piva, in America, con i suoi studi e le sue esperienze. Volta,prima di dedicare i suoi studi alla realizzazione della pila(1799), si occupava dell’insegnamento della fisica, in genera-le, e dell’elettricismo in particolare, presso l’Università di Pa-via. La prima delle sue scoperte in questo, per allora, nuovis-simo settore della fisica, è stato, nel 1775, l’Elettroforo, checonsisteva in uno spesso disco composto da un impasto di ce-ra d’api e trementina che, strofinato con un panno di lana cal-do o con una pelliccia, si elettrizzava negativamente.Ponendo, in presenza - senza toccarlo - di questo disco iso-lante, un disco di ottone fissato ad un manico di vetro, se neotteneva la elettrizzazione per induzione in verso positivo nel-la faccia rivolta al disco isolante e in verso negativo dalla par-

te del manico. A questo punto, toccando con un dito questasuperficie superiore del disco di ottone, si finiva con lo scari-carlo facendo disperdere a terra, attraverso il corpo, la elettri-cità che vi era indotta. Infine, l’elettricità positiva, rimasta sul-la faccia inferiore del disco di ottone si distribuiva su tutta lasuperficie di esso. Si otteneva, così, senza bisogno di ricorre-re ad una macchina elettrostatica a strofinio, una sorgente dienergia elettrica da poter utilizzare in molti modi e per untempo relativamente lungo. Volta stesso ne fece una interes-santissima applicazione per la accensione automatica dellasua lampada perpetua ad aria infiammabile.Necessita fare una parentesi per ricordare che Volta è statoanche un precursore dello studio dell’aria nativa infiammabi-le delle paludi: ossia del gas metano. Per dimostrare la pre-senza di questo gas, realizzò, nel 1777, la famosa Pistola vol-taica che può considerarsi l’embrione del motore a scoppio.Ma soffermiamoci sulla pistola voltaica, in quanto l’utilizzo delsuo scoppio, a scopo di segnalazione, è il motivo per cui Vol-ta entra nel campo delle telecomunicazioni. La pistola, realiz-zata o in ottone, o in vetro, assunse svariate forme, ma soli-tamente, la più tipica è quella convenzionale di una vera epropria pistola per sparare. In sostanza si tratta di un reci-piente da riempirsi di gas, provvisto di una adatta apertura at-ta a contenere un tappo fungente da proiettile. Facendo scoc-care, all’interno della pistola, una scintilla, mediante la chiu-sura di un circuito elettrico collegato ad una macchina elet-trostatica, o ad una bottiglia di Leyda caricata, o ad un elet-troforo, la miscela gassosa deflagrava producendo uno scop-pio che lanciava lontano il tappo. L’invenzione si diffuse benpresto e ricevette le più svariate applicazioni, da quelle di sva-go a quelle pratiche. Volta - e qui eccoci al dunque - in unalettera (conservata all’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere diMilano) inviata ad un corrispondente, padre Barletti, il 18Aprile 1777 scrive sulla possibilità di collocare - ad esempio -una pistola ad’aria infiammabile a Milano, e da essa fare par-tire un conduttore che arrivasse fino a Como. In questa cittàsi sarebbe potuto provocare lo sparo della pistola, affidando aquesto scoppio un determinato significato prestabilito. Il bel-lo sta che Volta suggerisce di usare, come conduttore di ritor-no la terra, facendo pescare, da una parte, un conduttore nel-l’acqua del Naviglio e l’altro nel lago di Como.Lasciamo parlare Volta: “…se il fil di ferro fosse sostenuto al-to da terra da pali di legno qua e là piantati per esempio daComo fino a Milano e quivi interrotto solamente dalla mia pi-stola, continuasse e venisse infine a pescare nel canale del Na-viglio, continuo col mio lago di Como, non credo impossibilefar lo sparo della pistola a Milano con una bottiglia di Leydada me scaricata a Como”. Da questa primitiva idea di utiliz-zare l’elettricità per trasmettere a distanza un’informazione,prendevano avvio le più svariate proposte.Agli inizi dell’ultimo quarto del secolo XVIII non si parlava an-cora nemmeno della telegrafia ottica, che ebbe il battesimonel1793, in Francia ad opera dei fratelli Chappe. Si trattava di

onde radio ne l lo spaz io

F. Soresini

Sistemi di segnalazione a distanza impiegatidall’antichità al Settecento.

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un dispositivo di segnalazione a visibilità, base dei successivisistemi semaforici, usati in marina e nella segnaletica ferrovia-ria, costituito da braccia meccanicamente posizionabili in di-verse combinate angolazioni, così da fare corrispondere allediverse configurazioni altrettanti significati.Ritornando all’uso dell’elettricità troviamo, dopo la propostavoltiana, i progetti di telegrafi elettrostatici ad opera dellosvizzero Lesage e dell’inglese Ronalds. Sono sistemi, piuttostocomplicati, atti a determinare effetti elettrostatici a distanza,allo scopo di segnalare convenzionalmente, con la loro com-binazione, opportune informazioni. La vera e pratica telegra-fia elettrica nascerà solo con l’avvento della pila.Frattanto, Volta attua una ininterrotta successione di novitànel campo dell’elettrostatica e ne discute con accademiescientifiche di tutto il mondo. Abbiamo, così: la citata lampa-da a gas metano con accensione ad elettroforo, l’eudiometroper l’esame delle acque, il condensatore, quale perfeziona-mento dell’elettroforo, per citare solo alcune delle realizzazio-ni voltiane più significative. Ma a Bologna, nel contempo, nel1789, il medico Luigi Galvani (1737-1798) scopre il fenome-no dell’elettricità animale. Questa esperienza, e la sua diversainterpretazione, conduce Volta a realizzare una svariata seriedi prove che, dieci anni dopo, nel 1799, sbocciano nella mag-giore delle sue scoperte, la Pila.Galvani propendeva per l’elettricità di origine animale e Voltaper l’elettricità metallica di contatto. Ambedue avevano la lo-ro valida ragione. Volta, per dimostrare la sua teoria, crea il“generatore elettrico a corona di tazze”, e poi la “pila a co-lonna”. Volta, quindi, non pervenne alla sua scoperta in mo-do casuale, ma, intravisti i fenomeni derivanti dal contattotra i metalli, ne seguì pazientemente la manifestazione fino ache, aumentando il numero delle coppie metalliche, giunsead ottenere azioni elettriche di notevole intensità e indiscuti-bile evidenza. Il nome di “pila” deriva dal fatto che l’appara-to elettromotore, come Volta lo chiamava, era costituito daun buon numero di coppie di dischi, uno di rame, l’altro dizinco, posti uno sopra all’altro; le coppie di metallo venivanoseparate da strati di panno imbevuto in una soluzione acida.

Questo nella versione verticale della pila. Unendo un filo con-duttore a ciascuno dei dischi estremi, l’uno di rame e l’altrodi zinco, e chiudendo il circuito, si poteva ottenere il fluire diuna corrente elettrica, da cui il nome di elettricità dinamica.A questo punto, siamo nel 1799, si dischiude un nuovo mon-do di fenomeni elettrici.I primi fenomeni ad attrarre l’interesse pratico sono quellielettrochimici. Si scopre l’elettrolisi, ossia la scomposizionedell’acqua nei suoi componenti, la galvanostegia, la galvano-plastica, nonché l’utilizzo dell’elettricità per uso medicale.I primi telegrafi elettrici sfruttano la pila per uso elettrochimi-co in cui la segnalazione avviene a mezzo della attuazionedella scomposizione dell’acqua a distanza.

Ricordiamo i due pionieri in questo settore; John Alexandre(1802) e Samuel Thomas von Sömmering (1811). Ma solo lascoperta dei fenomeni elettromagnetici e il loro studio adopera di Öersted, Ampère, Arago permette di realizzare deitelegrafi, ad indicazione fugace o scriventi, di pratico utilizzo.Ogni nazione civile annovera un proprio pioniere e difficile ècercare, fra le diverse pretese priorità, la giusta successionedei meriti. Ricordiamo solo alcuni telegrafi che hanno il me-rito di essere stati i primi ad essere adottati per uso pratico.Il telegrafo ad aghi magnetici di Charles Wheatstone (1802-1875). In esso, gli aghi si spostano in virtù di una corrente cir-colante attraverso apposite bobine di filo.Il telegrafo a quadranti indicatori di Louis François ClementBreguet (1804-1883). In questo caso è un indice, comandatoda un arpionismo mosso dagli impulsi inviati in una elettroca-lamita, che si sposta sulla circonferenza del quadrante su cuisono segnate le cifre e le lettere.

Pontelegraforealizzato daGiovanni Caselli(1815-1891) pertrasmettere scrittie disegni,riprodotti per viaelettrochimica(1864).

Tavola 2 del De Viribus Electricitatis in Motu Muscolari diLuigi Galvani del 1791. Nell’immagine viene rappresentata unarana utilizzata da Galvani come rivelatore di onde elettromagnetichegenerate da scariche temporalesche. Si noti la primordiale, maefficace, applicazione pratica del concetto di “antenna” e di “terra”.

Planche diesperienzegalvaniane tratteda L. Galvani,De ViribusElectricitatis inMotu MusculariCommentarius,Tabula V daOpere Edite edInedite,Bologna, 1841;Ristampa anastaticaA. Forni Ed.,Bologna, 1998.

Telegrafo aindice ideatoda Luis FrançoisClement Breguet(1804-1883).

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Il telegrafo scrivente nel codice di Samuel Morse (1791-1872).È questo l’esempio più pratico di un apparecchio che sarà digrande diffusione. Siamo nel 1837. Gli impulsi, brevi e lunghidi corrente, determinati con un apposito tasto, eccitano unelettromagnete che comanda la registrazione, di diversa du-rata, degli impulsi elettrici, sopra un nastro di carta. Oramai iltelegrafo elettrico è nato. Senza la pila di Volta non avrebbepotuto esistere.Ricordiamo ora alcune esperienze di Galvani e di Volta chepreludono alla dimostrazione dell’esistenza delle onde elet-tromagnetiche. Se per “radioricezione” intendiamo la possi-bilità di palesare, comunque, ai sensi umani l’esistenza di per-turbazioni elettromagnetiche nello spazio, la nostra mente èportata a risalire alle mirabili esperienze eseguite da Luigi Gal-vani e da Alessandro Volta. Galvani, infatti, usando una ranacome “rivelatore” ed un complesso “antenna - terra”, per-fettamente rispondente ai criteri radiotecnici, poteva rivelarele perturbazioni elettromagnetiche provocate dalle scaricheatmosferiche o dalle scintille scoccanti allo spinterometro diuna macchina elettrostatica a strofinio. E ciò avveniva quasiun secolo prima che le radio-onde assumessero forma con-cettualmente definita per merito di Maxwell. Basta, infatti, ta-lora considerare le cose sotto un diverso punto di vista, permettere in luce relazioni impensate; la fama di Luigi Galvanideriva dall’avere, egli, per primo, aperto i vasti orizzonti sulleazioni fisiologiche dell’elettricità. Le sue esperienze sulle rane,sia col concorso di una macchina elettrica, sia col semplicecontatto di un arco bimetallico, ebbero risonanza mondiale.La confutazione, da parte di Alessandro Volta, dell’interpreta-zione data da Galvani ai fenomeni da lui scoperti, condusseall’invenzione della pila (1799) . L’interesse suscitato dall’elet-tricità così detta “galvanica” e le ricerche fisiologiche dei duescienziati hanno sempre prevalso sulla considerazione di alcu-ni fenomeni concomitanti, della vera natura dei quali Galvanie Volta non si resero, né potevano rendersi, conto, ma chehanno particolare sapore di fortuita e curiosa priorità nel cam-

po della radio. Sarebbe però assurdo pretendere di anticiparedi un secolo la nascita teorica (Maxwell) e sperimentale (Hertz)delle onde elettromagnetiche, oppure d’infirmare l’indiscuti-bile priorità di Marconi nel farne pratica applicazione.Le ricerche di Galvani e di Volta, avevano, infatti, ben diversoindirizzo e se anche queste loro ricerche ebbero come conse-guenza collaterale il verificarsi di fenomeni radioelettrici, nonè meno vero che, dell’intima essenza di tali fenomeni, i duescienziati rimasero completamente all’oscuro. Se, quindi, nonsi possono considerare alla stregua di precursori in questosenso, poiché ben lontana dalla loro mente era l’intenzionespecifica di ottenere segnalazioni a distanza per mezzo delleonde elettromagnetiche, è tuttavia incontrovertibile ch’essieffettivamente realizzarono tali trasmissioni, sotto veste inco-gnita, per mezzo di una macchina elettrica che funzionava datrasmettitore e di una rana scorticata che fungeva da ricevito-re. Dissipato, così, ogni dubbio sulle rispettive posizioni nellascala delle priorità, ed allontanando il più possibile ogni equi-voco sulla reale portata delle citate esperienze di Galvani eVolta, le esamineremo dal punto di vista radioelettrico.Nella tavola, riprodotta dal volume di Galvani, “De viribuselectricitatis in motu muscolari commentarius”, 1791, è rico-noscibile la tecnica seguita nelle sue esperienze d’elettrofisio-logia: nella zona 1 sporge, da sinistra, il conduttore d’unamacchina elettrica. Sul tavolo, si vedono, in 2, le gambe po-steriori di una rana scorticata, con i nervi crurali scoperti. Dal-la relazione di Galvani, risulta che, trovandosi disposta la ranasul tavolo nelle condizioni anzidette, un assistente ne toccas-se per caso col bisturi i nervi scoperti: con grande meravigliadegli astanti, i muscoli dell’animale vivamente si contraevano.Ma ad un altro assistente del celebre medico sembrò che que-sta contrazione fosse avvenuta mentre si traeva dal condutto-re della macchina elettrostatica una scintilla. Grandemente in-teressato dallo straordinario fatto, Galvani, che era intento atutt’altre ricerche, le abbandonava per dedicarsi all’indaginedel nuovo fenomeno. Ripetuta l’esperienza col medesimo ri-sultato, gli riuscì di stabilire che per provocare la convulsionedella rana, occorreva toccarne i nervi con un corpo condutto-re e non con un isolante e che l’effetto veniva magnificato sei nervi crurali terminavano entro un cilindro di ferro dal qualesi dipartiva un lungo conduttore. Dotato di mirabile spirito in-dagatore, Galvani continuò le sue ricerche variandone le con-dizioni sperimentali e, tra l’altro, pensò di tendere un filo me-tallico attraverso la stanza, isolandolo mediante una sospen-sione a cappi di seta. All’estremo del filo appese un gancio incomunicazione metallica con i nervi crurali d’una rana rac-chiusa nel recipiente di vetro, e le cui zampe erano a contat-to di una sostanza buona conduttrice dell’elettricità, ad esem-

Il Telegrafoad agoideato daC. Wheatstone(1837).Per cortesiadi: Ist. TecnicoCommerciale“Pier Crescenzi-Tanari”,Bologna.Foto di: F. Bisi.

Il Telegrafodi S. Morse(costruzione1837, brevetto1854) in cuila ricezionedel messaggioavviene perincisione incodice Morsedi una bandadi cartascorrevole.

Cassettatelegrafica campalemodello 1897.Impiega unclassico apparatotelegraficoMorse-Hipp in usopresso l’EsercitoItaliano fino allaSeconda GuerraMondiale.Per cortesia di:Museo di FIsica,Dip. Fisica -Sistema Musealed’Ateneo,Università diBologna.Foto di: F. Bisi.

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pio graniglia di piombo. Messa, quindi, in funzione la mac-china elettrostatica e trattene le scintille, di nuovo si verifica-vano vive contrazioni delle gambe della rana, per quanto lamacchina eccitatrice fosse lontana dal filo. Senza soffermarcisulle conseguenze teoriche che Galvani trasse dalle sue sco-perte, è evidente che ci si trova davanti al complesso di con-dizioni sperimentali richieste per una trasmissione di segnali adistanza mediante le onde elettromagnetiche. Le scariche,notoriamente oscillanti, ricavate dalla macchina elettrica, ge-neravano delle onde elettromagnetiche, le quali, propagan-dosi all’intorno, venivano captate dal filo, rappresentantel’antenna del complesso ricevente. Quale rivelatore, straordi-nariamente originale, funzionavano i sensibilissimi nervi cru-rali della rana, mentre la graniglia di piombo serviva da “ter-ra” o, meglio, da “contrappeso”.Ma non basta, nella sua celebre monografia già ricordata, eprecisamente nella parte seconda, Galvani descrive pure l’ef-fetto delle scariche temporalesche. Preparata nel solito modola rana, egli ne collega i nervi crurali ad una vera e propria an-tenna accuratamente isolata e le zampe ad un filo metallico,che fa scendere nel pozzo di casa. Qui, la corrispondenza, dalpunto di vista radioelettrico è ancora più appariscente. Adogni scarica d’un temporale vicino, la rana accusava, con lacontrazione delle sue gambe, il …«parassita» atmosferico, népiù, né meno, come un apparecchio radioricevente. Ovvia-mente, esiste tra quest’ultimo ed una rana scorticata unaspiccata differenza; se si deve, però, badare all’essenza dellecose, ogni differenza scompare: nervi crurali, coherer, cristal-lo di galena, tubo elettronico, transistore, hanno compiuto, inordine di tempo, il medesimo ufficio.Meno noto è, forse, che, ad un certo momento, Volta feceanche a meno della rana (Ed. Nazionale delle Opere di A.Vol-ta, Vol.1 pag.108) disponendo semplicemente sul tavolo al-cuni conduttori uno in fila all’altro, a una certa distanza dal-la macchina elettrica, ma non a contatto fra di loro, bensìcon un leggerissimo intervallo. Ora, avvenne che, traendo lesolite scariche dalla macchina elettrostatica, egli poté osser-vare, come testimonianza del passaggio del “fluido elettrico”nei conduttori allineati, delle piccole scintille scoccanti nelleinterruzioni tra un conduttore e l’altro. Ai nervi crurali dellarana, Volta aveva sostituito un altro rivelatore: la scintillastessa che, circa novant’anni dopo, Hertz vedeva scoccare trale sferette del “risuonatore elettrico” col quale stabiliva l’esi-stenza e la propagazione, nello spazio, delle onde elettroma-gnetiche generate dal suo “oscillatore”. Neppure Volta, cheperseguiva il concetto di “atmosfera elettrica”, poteva com-prendere di che cosa veramente si trattasse. Perciò non lo sipuò certo considerare precursore di Hertz; ma tra queste

esperienze dei due celebri scienziati esiste un’identità sor-prendente, la quale autorizza a pensare che se l’essenza ve-ra del fenomeno fosse stata intravista, la radiotelegrafia sa-rebbe forse nata un secolo prima.

LE ONDE ELETTROMAGNETICHE E LA LORO

DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE IN HERTZ

James Clerk Maxwell (1831-1879), nella sua celebre memoria“Una teoria dinamica del campo elettromagnetico”, apparsanel 1864, espresse matematicamente un possibile modo diconcepire il propagarsi degli effetti elettrici e magnetici cherappresenta la base teorica delle radiocomunicazioni. La teoriadi Maxwell fu confermata sperimentalmente nel 1887 daHertz, seguito da Righi nel 1891 e negli anni successivi, non-ché dalle preliminari esperienze realizzate da Branly in Francia,nel 1893, da Lodge in Inghilterra, nel 1894, e da Popoff in Rus-sia nel 1895. Ma l’idea di utilizzare onde elettromagnetiche ascopo di comunicare si sviluppò solo, come vedremo, attraver-so le esperienze di Guglielmo Marconi (1874-1937), iniziatenel 1895 e proseguite fino alla loro pratica realizzazione.Heinrich Rudolph Hertz (1857-1894), fu uno scienziato nel ve-ro senso della parola: dedicò la sua intera attività alle scoper-te scientifiche per puro amore della scienza senza pensare atrarne lucro; e, quantunque abbia avuto vita breve, come l’eb-be anche breve il precursore dei suoi lavori James Clerk Max-well, aprì alla scienza nuovi, vastissimi, orizzonti. Egli dopoaver conseguito la laurea a Berlino, all’età di 23 anni fu tostoassunto come assistente dal suo professore von Helmholtz;ma dopo 3 anni fu nominato ordinario di fisica sperimentalealla scuola tecnica superiore a Karlsruhe, nel laboratorio dellaquale fece le sue grandiose scoperte. Vi trovò un paio dellecosiddette “spirali di Riess o di Knochenhauer” che erano duespirali isolate con ceralacca e sostenute l’una sopra l’altra permezzo di un perno verticale passante per il loro centro. Scari-cando in una di esse una bottiglia di Leyda, notò delle scintil-le in un piccolo intervallo dell’altra. Era la dimostrazione dellateoria di Maxwell. Per chiarire meglio la cosa, sostituì alla pri-ma spirale un conduttore rettilineo, con un intervallo di scari-ca al centro e due sfere metalliche alle estremità per regolar-ne le capacità; ed all’altra spirale sostituì un semplice anello,provvisto di un intervallo di scarica regolato da un microme-tro, e spostabile per poterlo adoperare a diverse distanze. Contali apparecchi semplicissimi, che chiamò oscillatore l’uno e ri-suonatore l’altro, egli studiò l’azione elettrica a distanza: lacreazione di onde elettromagnetiche e la loro rivelazione finoa 12 metri di distanza, la loro riflessione, rifrazione e polariz-zazione, la loro velocità ed identità con le onde luminose. Stu-diò l’effetto dei dielettrici, la propagazione delle onde nei fili,(argomento a cui si era già dedicato un altro scienziato tede-

Il Telegrafo stampante ideato(1854) da David EdwardHughes (1831-1900).Per cortesia di: C. Pria, Bollate,Milano. Foto di: F. Bisi.

Spinterometro pergenerare ondeelettromagnetichea mezzo dellascarica tra le sferemetalliche, ideatoda A. Righi(ca. 1891).Per cortesia di:Ist. TecnicoCommerciale ”PierCrescenzi-Tanari”,Bologna.Foto di: F. Bisi.

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sco, il von Bezold), le scariche elettriche nei gas rarefatti e de-scrisse le sue esperienze in notevoli memorie.Nel 1889 fu nominato professore ordinario di fisica all’Univer-sità di Bonn, e ripeté i suoi esperimenti perfezionandoli nel la-boratorio di fisica, ma poté attendervi per pochi anni, giacchénel 1893 si ammalò, ed il 1 Gennaio 1894 morì. Hertz avevaadoperato in genere onde di 9 metri, ma appena installatosia Bonn ripeté i suoi esperimenti con onde di 30 cm. Subì al-lora uno di quei patemi d’animo da cui non possono andareimmuni neppure i grandi indagatori, giacché un errore di cal-colo nella capacità dell’oscillatore, lo portò per un momentoa conseguenze che parevano mettere in dubbio la teoria diMaxwell. Ma fu un dubbio che durò pochi giorni.

RIGHI E L’OTTICA DELLE OSCILLAZIONI ELETTRICHE

Le esperienze di Hertz furono immediatamente ripetute neiprincipali laboratori di fisica, con lo scopo essenziale di con-validarle e riempire qualche lacuna. Chi portò in ciò il massi-mo contributo è stato il Professor Augusto Righi (1850-1920)dell’Università di Bologna. Egli modificò l’oscillatore di Hertz:adattandovi sfere più piccole, riscontrò che otteneva onde piùcorte, e giunse fino ad avere onde di 2 cm e 1/2. Per evitarel’inconveniente già riscontrato da Hertz che le sferette dell’in-tervallo di scarica si ossidavano rapidamente sotto l’azionedelle scintille, con conseguente modificazione della loro su-perficie ed irregolarità negli effetti, le immerse nell’olio di va-selina, ottenendo così onde più uniformi. Migliorò anche il ri-suonatore, realizzando un rivelatore sotto forma di specchioargentato, rigato da un gran numero di tratti paralleli, vicinis-simi, tracciati con una punta di diamante, o costituiti da unasola lastrina argentata con una singola interruzione; e più tar-di un rivelatore a gas rarefatto. Righi non ha pensato, sem-brerebbe, che le onde che studiava potessero servire comemezzo di comunicazione a distanza; ma l’idea nacque accan-to a lui ad opera del giovane Marconi.

LA RILEVAZIONE DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE

CALZECCHI ONESTI, BRANLY, LODGE

Mentre si attuavano esperienze relative ai fenomeni di propa-gazione delle onde elettromagnetiche, veniva scoperto e perfe-zionato un primo rilevatore, il tubetto a limatura, che fu poichiamato coherer. Il suo funzionamento era basato sulla pro-prietà delle polveri metalliche, scoperta prima da Munck (1835)e poi riscoperta nel 1878 da Hughes, ed utilizzata prima da Cal-zecchi Onesti nel 1884 ed in seguito studiata dal fisico france-se Branly nel 1893 e dal fisico inglese Lodge, sempre nel 1893-1894. La forma esterna del coherer era quella di un piccolo tu-bo di vetro provvisto, alle estremità, di due elettrodi metallicimolto ravvicinati, tra i quali era leggermente compresso un sot-

tile strato di polvere metallica. Il tubetto veniva quindi chiusoestraendo l’aria per evitare l’ossidazione della limatura. Nel1893 Lodge col suo coherer collegato ad un galvanometro nelcircuito di una pila e con l’aggiunta di un meccanismo ad oro-logeria, che con leggeri scuotimenti ripristinava la resistenzaelettrica del coherer (decoherizzazione), otteneva la rivelazionedelle onde fino a 36 metri di distanza dall’oscillatore. Ed eglistesso affermò, in una sua conferenza del 1894, che coi mede-simi mezzi si sarebbero potuti ottenere effetti fino a 700 metrial massimo. Tuttavia, com’ebbe ad ammettere più tardi, nonaveva mai pensato di sostituire al galvanometro un apparecchiotelegrafico per la ricezione di dispacci.

POPOFF

Popoff ripeté, nel 1895, quello che Galvani, più di 100 anniaddietro, aveva fatto utilizzando una rana; infatti, facendouso del coherer, realizzava un dispositivo atto a rivelare per-turbazioni elettromagnetiche atmosferiche anche da consi-derevoli distanze. Il Prof. Popoff dell’Accademia militare diKronstadt, nell’aprile 1895 fece così conoscere alla Societàfisico-chimica russa un apparecchio, per mezzo del quale ot-teneva la registrazione di scariche elettriche dell’atmosfera.Nel circuito di una pila erano inseriti un coherer e un reléche, al passaggio della corrente, stabiliva un contatto con uncircuito comprendente una pila ed un’elettrocalamita chefaceva vibrare un’ancora posta tra la campana e il coherer,a piccola distanza. Ora, se un treno d’onde veniva ad in-fluenzare il coherer, per esempio in seguito ad una scaricaelettrica atmosferica, la corrente della pila eccitava il relé. Al-lora, questa attirava l’ancora che, percuotendo la campana,determinava un segnale acustico e ricadendo, poi, verso ilcoherer, lo colpiva e lo decoherizzava, cosicché tutto era ri-portato allo stato di partenza. Oltre a questo risultato, Po-poff ne raggiunse un altro di ben maggiore importanza. Loscopo prefissosi, cioè la rivelazione di onde provenienti dascariche elettriche atmosferiche, gli suggerì l’idea di mette-re uno degli elettrodi del coherer in comunicazione con laterra e l’altro con l’asta di un parafulmine, o con un filo me-tallico verticale convenientemente sospeso. Spunta, così, inmodo efficace, il concetto dell’antenna ricevente, anche senon finalizzata alla ricezione di segnali trasmessi dall’uomo.La felice idea di applicare l’antenna ad un oscillatore per far-ne un trasmettitore e ad un rivelatore per farne un apparec-chio ricevente, era invece riservata alla geniale intuizione diGuglielmo Marconi, nella cui mente maturavano, proprio inquell’epoca, idee e propositi, che dovevano portare di colpodalla semplice ricezione di segnali, alla realizzazione di unavera e propria telegrafia senza fili.

PRIMA DELLA TELEGRAFIA SENZA FILI

Prima che si realizzasse la telegrafia senza fili, da parte di Mar-coni nel 1895, le telecomunicazioni erano già nate e si eranonotevolmente sviluppate. Portandoci alla fine del secolo XVIII,vediamo nascere in Francia, per merito dei fratelli Chappe, ilsistema di telegrafia ottico-semaforica che Napoleone, nel1805, prolungherà in Italia con la linea Parigi-Torino-Milano-Venezia. Con la caduta di Napoleone, poco più di dieci anni

“Telefono che siascolta a distanza”,ideato e brevettatoda A. Righi (1878);nell’immaginel’altoparlante,prototipo degliodierni dispositivi.Per cortesia di:Ist. TecnicoCommerciale “PierCrescenzi-Tanari”,Bologna.Foto di: F. Bisi.

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dopo, tale impianto venne smantellato, ma il Regno di Sarde-gna lo sostituì tra Torino, Milano e Genova con il sistema otti-co Gonella. A metà del secolo XIX il telegrafo elettrico vennea sostituire quelli semaforici. Nel 1799, Volta, con la sua pila,aveva realizzato la prima sorgente di elettricità dinamica checonsentì di scoprire, tra gli altri suoi effetti, quelli elettroma-gnetici, base di diversi sistemi telegrafici via via escogitati. InItalia, spiccano due nomi di illustri fisici: Magrini e Matteucci.Magrini, col suo telegrafo elettromagnetico, ideato nel 1837,del tutto simile a quello contemporaneamente realizzato daWheatstone in Inghilterra e diffusosi nel pratico uso. Mat-teucci, che realizza la prima linea telegrafica in Toscana inizia-ta nel 1847 ed è autore del primo testo italiano sulla telegra-fia. Le reti telegrafiche nazionale e mondiale si svilupparonoulteriormente anche per collegamenti a lunga distanza, qualiquelli con i cavi cablografici sottomarini.Presto nasce l’idea di poter trasmettere elettricamente la vo-ce. Due italiani, il Manzetti di Aosta nel 1864 e Meucci, il fio-rentino profugo all’Avana e poi negli USA, nel 1872 realizza-no i primi tentativi, ma sarà Bell, nel 1876, che attuerà prati-camente il problema. In Italia, i fratelli Gerosa di Milano ne di-verranno i pionieri, dando vita ad una industria (che diverrà laFACE, ora Alcatel) e realizzando la prima rete telefonica di Mi-lano tra il 1881 e il 1883. Anche la telefonia automatica avràorigine italiana, quando nel 1884 Marzi, a Roma, installòpresso la Biblioteca Vaticana un impianto a commutazioneautomatica per 10 utenti. Nel contempo si attuano le primeesperienze sulle onde elettromagnetiche che porteranno allarealizzazione della telegrafia senza fili.

L’OPERA DI MARCONI

Fin dal 1858 l’italiano Sponzilli aveva scritto in una pubblica-zione del Genio Militare di Napoli, che un giorno o l’altro sisarebbe potuto adoperare una perturbazione dell’etere, ana-loga a quella luminosa, per comunicare a distanza. E nel 1892sir W. Crookes aveva chiaramente espresso in un articolo pub-blicato sulla “Fortnightly Review” che si sarebbe potuto ungiorno comunicare a distanza con onde hertziane di diversalunghezza. Nel 1895 pensò all’attuazione di tale idea un gio-vane ventunenne, di propositi molto tenaci, che abitava a Bo-logna, Guglielmo Marconi.Marconi per attuare il concetto delle comunicazioni a distan-za senza filo, ricorse dapprima ad un oscillatore del tipo usa-to da Hertz e da Righi che installò nella villa paterna di Pon-tecchio (a pochi chilometri da Bologna), e per ricevitore ado-però un rivelatore più sensibile di quelli usati in precedenza:un tubetto ripieno di limatura metallica, che era stato ogget-to di studio da parte specialmente di Branly e di Lodge. Mar-coni perfezionò questo tubetto per renderlo ancora più sensi-bile ottenendo portate di qualche centinaio di metri. Allorapensò di modificare il dispositivo trasmittente, e collegò unadelle estremità del circuito secondario della bobina d’induzio-ne dell’oscillatore ad una piastra metallica posata a terra e l’al-tra estremità ad un bidone metallico sospeso in alto all’estre-mità di una pertica. Constatò che la distanza di ricezione au-mentava rapidamente con l’altezza del bidone e con le sue di-mensioni; e finì col sopprimerlo, alzando però molto il filo che

lo collegava al trasmettitore. Per la ricezione intercalò il tubocon limatura fra una piastra collegata al suolo ed un condut-tore isolato; e cominciò ad ottenere buoni risultati. Celebre ilsuo esperimento di trasmissione di un segnale elettromagne-tico oltre la collina dei Celestini – fuori dalla visibilità ottica –dietro la Villa Griffone (1,5 km ca.) residenza della famigliaMarconi, nel Settembre del 1895. La radiotelegrafia era nata. È stato eccepito, che in sostanza Marconi non ha fatto altroche mettere l’oscillatore di Hertz in posizione verticale, con unadelle sfere a terra. Ed infatti a questo semplice concetto si puòridurre il trasmettitore realizzato da Marconi a Pontecchio. Ècome dire che per andare in America basta veleggiare dall’Eu-ropa verso occidente…verissimo, ma dopo che Colombo hainsegnato la strada. È la ormai vecchia storia dell’uovo.Marconi non trovando in Italia gli aiuti necessari per dar svi-luppo alla sua invenzione si recò in Inghilterra, patria di suamadre dove presentò tosto, all’inizio del 1896, domanda peril primo brevetto di telegrafia senza fili. Poco dopo essere ar-rivato a Londra, Marconi fu invitato da sir William Preece, in-gegnere capo delle poste inglesi, a dar dimostrazioni della suainvenzione. Egli eseguì esperimenti ad una distanza di circa100 metri, alla presenza delle autorità governative e poco do-po, ne eseguì delle altre nella piana di Salisbury, riuscendo astabilire regolari comunicazioni alla distanza di circa 2 miglia.Nel 1897 telegrafò attraverso il canale di Bristol a distanza dioltre 8 miglia. Telegrafò poi anche attraverso il canale di Wi-mereux (nei pressi di Boulogne-sur-Mer) e durante queste ul-time trasmissioni i dispacci furono anche ricevuti a Chelm-sford, distante circa 85 miglia. Nel luglio del 1897 Marconivenne in Italia e diede una dimostrazione della sua invenzio-ne al Ministero della Marina, ed altra dimostrazione al Quiri-nale. Dal 10 al 18 luglio eseguì esperimenti alla Spezia, ovevennero stabilite regolari comunicazioni tra la costa e la co-razzata S. Martino alla distanza di 16 km. Durante i mesi disettembre e di ottobre, Marconi, ritornato in Inghilterra fecenuovi esperimenti nella piana di Salisbury, mentre altri ne ve-nivano eseguiti a Dover per cura del Ministero delle Poste in-glesi. In tale anno, 1897, Marconi stabilì una delle prime leg-gi della pratica radioelettrica, affermando che a parità di con-dizioni “la portata è proporzionale all’altezza dell’aereo”, cioèdell’antenna.Nel 1898 la radiotelegrafia fu impiegata alle manovre navaliinglesi con buoni risultati fino alla distanza di 60 miglia; nellemanovre del 1899 tre navi inglesi, munite di apparecchi Mar-coni, poterono comunicare fra loro fino alla distanza di 74 mi-glia nautiche. In quell’anno Marconi si recò in America per di-mostrazioni sulla sua invenzione. È noto che questa, mentre Il famoso detector

magnetico ideatoda G. Marconi,sperimentalmenterealizzato in unascatola di sigari(1902). Copiadell’originale,realizzata daM. Bigazzi.Per cortesia di:FondazioneG. Marconi.Foto di: F. Bisi.

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dapprima aveva suscitato dubbi e diffidenze, in seguito, din-nanzi alla realtà dei fatti, cominciò a trovare numerosi ade-renti ed a suscitare le speranze di grandi lucri. Quindi fin dal1897 si costituirono potenti organismi per sfruttare i brevettipresi da Marconi. La prima di tali Compagnie è stata la Wire-less Telegraph and Signal Ltd. che si costituì nel luglio 1897con un capitale di 100.000 sterline per l’acquisto dei brevettiMarconi per tutti i paesi, salvo l’Italia, avendo voluto Marconisvincolare la sua Patria dalle interessenze straniere. Il 22 no-vembre 1899 fu costituita la Compagnia Marconi d’America;il 2 ottobre 1901 la Compagnie de Telegraphie sans fil di Bru-xelles; il primo novembre 1902 la Wireless Telegraph Com-pany of Canada; il 24 aprile 1903 la Compagnie française ma-ritime et colonial de telegraphie sans fil; il 4 agosto 1906 laCompagnia Marconi argentina; l’8 ottobre 1906 la RussianCompany of Wireless telegraph and telephones; il 24 dicem-bre 1910 la Compagnia Nacional de Telegrafia sin hilos spa-gnola. È così, mano a mano, la radiotelegrafia sistema Mar-coni prese piede in tutto il mondo. Ma ciò non avvenne sen-za lotte, che furono specialmente accanite in Germania e inAmerica. Nel maggio del 1897 aveva assistito agli esperimen-ti di Marconi in Inghilterra il professore tedesco Slaby, il qualenaturalmente fece conoscere al suo governo la possibilità dicomunicare a distanza senza fili. L’anno seguente espose chia-ramente l’argomento in una conferenza tenuta a Potsdam, al-la presenza del Kaiser e del Re di Spagna. È naturale che il Kai-ser fattosi un’idea della somma importanza che avrebbe as-sunto la radiotelegrafia abbia tosto pensato ad aiutare loSlaby per creare un sistema tedesco onde non essere sogget-to agli inglesi. A somiglianza della compagnia Marconi ingle-se fu così poi costituita la Telefunken, che fu per diversi anniconcorrente della Marconi. Negli Stati Uniti d’America avven-nero lotte giudiziarie suscitate specialmente dalle compagniedei cavi sottomarini e dalla compagnia che sfruttava i brevet-ti De Forest, concorrente americano di Marconi. A parte que-

ste lotte d’interessi è da notarsi che grandi ed imprevisti osta-coli si frapponevano alla radiotelegrafia, quale risultato dopoi primi tempi della sua creazione, perché potesse avere ungrande sviluppo. Gli ostacoli provenivano dalle alte monta-gne, dalla curvatura della terra, dalla luce solare, nonché dal-le interferenze, da disturbi atmosferici, dall’evanescenza, dal-la radiazione circolare delle onde elettriche. Essi costituivanoargomenti potentissimi nelle mani degli avversari, e giustifica-vano lo scetticismo di molti tecnici e la diffidenza dei capitali-sti verso le radiotrasmissioni. Ma bisogna dire che il genio in-ventivo di Marconi, il valore dei suoi collaboratori, nonchéquello di parecchi altri tecnici e scienziati, riuscirono ad elimi-nare in gran parte tali inconvenienti. Ed i governi cooperaro-no non poco allo sviluppo della radiotelegrafia, specialmentein considerazione dei grandi vantaggi che essa offriva alle co-municazioni marittime, giacché costituiva il solo mezzo per at-tuarle. Marconi, fin dal 1898, pensò all’opportunità di realiz-zare dispositivi sintonici, tali cioè che il ricevitore potesse “ri-spondere” soltanto a segnali aventi una determinata fre-quenza corrispondente a quella del trasmettitore. Si trattava,dunque, di realizzare un fenomeno di risonanza analogo aquello acustico, per il quale un diapason eccitato trasmette,attraverso l’aria, le sue oscillazioni ad un altro diapason conesso accordato. Marconi ottenne questo risultato variando ilnumero delle spire di un’induttanza accoppiata all’antenna omettendo un condensatore in serie con essa. Il brevetto Mar-coni che fu rilasciato il 26 aprile 1900 e che porta il numero7777, rivendica appunto l’uso di circuiti accordati tanto in tra-smissione, quanto in ricezione, con un accoppiamento indut-tivo tra il circuito dell’antenna e quello dell’apparato vero eproprio. Fu con apparecchiature di questo genere che Marco-ni poté ricevere, il 12 dicembre 1901, i primi segnali trasmes-si da oltre 3000 km, da Poldhu, a Terranova. Si può dire che l’impiego della radio nelle comunicazioni ma-rittime ha avuto inizio nel 1900, e la prima compagnia di na-vigazione che la abbia adottata è stata il Norddeutscher Lloyd.Il 25 aprile di tale anno si costituì anche la “Marconi Interna-tional Marine Communication Co” con sede in Londra e Bru-xelles e con agenzie a Parigi e Roma per lo sviluppo del siste-ma Marconi sulle navi. Nello stesso anno l’ammiragliato bri-tannico l’adottò per la marina militare e l’esempio fu poi se-guito dalle altre Marine. Il battesimo alla radiotelegrafia, perla salvezza della vita umana in mare, si è avuto nel primo im-pressionante salvataggio compiutosi in occasione della colli-sione del grande transatlantico inglese “Republic” col trans-atlantico italiano “Florida” (1909).Circa gli ostacoli naturali, bisogna dire che Marconi, contra-riamente all’opinione di molti, non riteneva che fosse insor-montabile quello della curvatura della Terra. Perciò, nel 1901,terminato l’impianto in Inghilterra della prima potente stazio-ne radio telegrafica, a Poldhu, decise di servirsene per comu-nicare con l’America; scelse per queste prove l’isola america-na di Terranova, che è la parte occidentale più vicina alla co-sta inglese, ma distante da questa circa 1800 miglia. Vi si tra-sferì nel novembre, lasciando a Poldhu il prof. Fleming per di-rigere il compito di questa stazione. Dopo ripetuti tentativi, il12 dicembre, innalzato all’altezza di circa 120 metri un cervo

Uno dei primiradioricevitori aduna valvola, perradiodiffusione,con ascolto incuffia, prodottodalla Società Siti,modello SitisimplexR9 (1924).Per cortesia di:R. Aielli, Milano.Foto di: StudioFotografico G.Cigolini, Milano.

Radioricevitore acristallo di galena,con ascolto incuffia, prodottodalla WesternElectric Italiana(1922). Per cortesiadi: R. Gianni,Vimercate, Milano.Foto di: StudioFotografico G.Cigolini, Milano.

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volante sostenente il filo d’antenna, riuscì a sentire con un ri-cevitore telefonico il ritmo della scintilla di Poldhu, ripetuta trevolte. L’evento che stupì il mondo intero, annullava dunquel’opinione che la curvatura della Terra costituisse un ostacolo.Alla fine del 1902 fu stabilita una regolare comunicazione fral’Inghilterra ed il Canadà. Allora il nostro Governo richiese aMarconi l’impianto di una stazione capace di corrisponderecon altre consimili di Europa e d’America. Fu scelta nel set-tembre del 1903 la località di Coltano, presso Pisa.Anche l’ostacolo delle alte montagne fu dimostrato essere su-perabile, giacché nel 1902 Marconi, durante una crociera chefece a bordo della R. nave “Carlo Alberto” mentre questa sta-va a Gibilterra riuscì a ricevere da Poldhu attraverso i Pirenei.L’influenza della luce solare sulle radiotrasmissioni a grandedistanza fu ben precisata da Marconi nel 1903, e da quell’e-poca egli pensò al modo di ovviare agli inconvenienti, che nederivavano. Da allora si tennero presenti negli studi e nellerealizzazioni le diverse particolarità della propagazione diurnae di quella notturna; ma nel 1905, per opera specialmente delRound, fu constatato che le condizioni notturne e quelle diur-ne presentavano differenze tanto meno notevoli quanto piùlunga era l’onda utilizzata. Si acuì allora la gara nell’allunga-mento delle onde negli impianti radiotelegrafici. Marconi, nel1909 usando onde superiori ai 5000 metri arrivò persino adottenere segnali diurni più intensi che quelli notturni. La con-venienza di adoperare onde molto lunghe per le grandi co-municazioni ricevette un’ulteriore conferma nel 1910, quan-do l’Austin ed il Cohen, eseguendo esperienze per conto del-la Marina americana, furono indotti a stabilire la ben nota for-mula empirica che porta il loro nome, e che ha servito per di-versi anni come base per il calcolo di grandi stazioni radiote-legrafiche malgrado che vari scienziati, specialmente il nostroprof. Vallauri, avessero dimostrato che tra i risultati della pra-tica e quelli dedotti dalla predetta formula esistevano spessonotevoli differenze.Circa la propagazione delle onde va accennato che fin dal1902 Kennelly in America ed Heaviside in Inghilterra enuncia-rono l’ipotesi della probabile esistenza di uno strato condut-tore nell’alta atmosfera, dal quale le onde potevano essere“riflesse” (in realtà sono ripetutamente rifratte), e stabilironoanche che esso doveva trovarsi a circa 80 km dalla superficieterrestre. Il matematico Watson calcolò poi, fondandosi sul-l’intensità delle ricezioni, che lo strato ionizzato doveva tro-varsi a circa 100 km di altezza. Tale strato è poi stato oggettodi molti altri studi, specialmente dopo le irregolarità riscontra-te nella propagazione delle onde corte.

I PRIMI GENERATORI DI OSCILLAZIONI

I generatori di oscillazioni furono dapprima dei derivati deglioscillatori di Hertz e di Righi, cioè degli apparecchi a scintilla.Tali apparecchi tennero a lungo il campo, pur con varie modi-ficazioni e perfezionamenti. Si possono citare i più perfezio-nati, quelli nei quali si cercò di interrompere o frazionare lascintilla, fra cui il generatore a scintilla interrotta di Balsellie,quello a scintilla rotante di Fessenden, lo scaricatore a disco diMarconi, il sistema a scintilla smorzata di Loewenstein, il si-stema a scintilla smorzata Telefunken, l’apparecchio con scin-

tilla ad alta frequenza del dott. Chaffèe, ed il sistema De Fo-rest. Ma l’idea di trasmettere oltre ai segnali telegrafici anchela parola, cosa che con la scintilla non era possibile, fece pre-sto pensare a generatori fondati su altri principi. E dapprimavennero i generatori ad arco. I primi a trovare un generatoredi tale specie furono gli americani Bell ed Hayes, i quali con-statarono che accoppiando induttivamente un circuito conte-nente una batteria ed un microfono con un arco voltaico acorrente continua, si otteneva da questo la riproduzione del-la voce; e costruirono il primo apparecchio ad arco, un foto-fono, generatore che serviva a trasmettere la parola. Nel 1900Duddell dimostrò il fenomeno dell’arco musicale: messo in se-rie in un circuito un condensatore ed un’induttanza e shun-tandole con un arco, notò che in tale circuito si producevanooscillazioni elettriche, le quali davano luogo a suoni musicali.Poulsen nel 1902 pose un arco Duddell in un’atmosfera diidrogeno (ed anche di altri gas di alta conduttività termica) eadoperò un elettrodo positivo raffreddato ad acqua ed unsoffiamento magnetico attraverso l’arco: creò così un poten-te generatore di oscillazioni ad alta frequenza. Ebbe in tal mo-do inizio la radiotelegrafia ad onde continue.De Forest ideò poi un arco simile a quello di Poulsen: la diffe-renza principale era che egli impiegava vapori di alcool in luo-go dell’idrogeno.Nel 1914 Fleming brevettò un generatore ad arco, con dischidi carbone in un’atmosfera di acetilene e di idrogeno. Il siste-ma ad arco parve per un certo tempo aver risolto il problemadella trasmissione, e parecchie stazioni lo adottarono. Ma es-so aveva un forte concorrente: il sistema ad alternatore. Fin dal 1906 Fessenden aveva costruito un alternatore ad altafrequenza; ed in seguito ne ideò altri. Goldschmidt prese an-ch’egli brevetti nel 1907 per un alternatore adatto alla pro-duzione di correnti ad alta frequenza. Nel 1908 Alexander-son, della General Electric Company americana, costruì il suoprimo alternatore. E ne costruì altri in seguito che furonoadottati da diverse stazioni.Al principio della grande guerra (1915-18) alcune nazioni, co-me l’Italia, si erano date decisamente all’uso del sistema Poul-sen; altre, come la Germania, la Francia e l’America avevanoadottati gli alternatori ad alta frequenza: la Germania avevagli alternatori Telefunken, con moltiplicatore di frequenza, laFrancia aveva quelli basati sul brevetto Sotour, gli Stati Uniti

Radioricevitore adue valvole perradiodiffusione,prodotto daTonyphone,modello Two Valve(1923). Per cortesiadi: R. Gianni,Vimercate, Milano.Foto di: StudioFotografico G.Cigolini, Milano.

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avevano gli Alexanderson. Marconi era però del parere chel’alternatore non risolvesse completamente il problema, per-ché non si prestava a rapidi cambiamenti di lunghezza d’on-da e serviva soltanto per onde lunghissime; e preconizzavache il problema sarebbe stato risolto dall’uso della valvola ter-moelettronica.

I PRIMI RIVELATORI

Il risuonatore di Hertz e gli apparecchi consimili adoperati da-gli scienziati per i primi studi sulle onde elettromagnetichenon erano adatti per la radiotelegrafia. Questa fece i suoi pri-mi passi coll’aiuto di un dispositivo basato sul fatto che un tu-bo contenente limatura metallica acquista una grande con-ducibilità per effetto di azioni elettriche e la perde se sotto-posto ad un urto. Questo fatto fu posto in evidenza nel 1884dal prof. Calzecchi Onesti del Liceo di Fermo, che lo descrissein tre memorie pubblicate dal periodico “Il Nuovo Cimento”dall’ottobre 1884 al marzo 1885. Quantunque tali memoriefossero state citate dalle principali riviste scientifiche, e parti-colarmente in Francia dal “Journal de Physique” non ne ven-ne a conoscenza il professor Branly dell’Istituto cattolico di Pa-rigi, il quale nel 1890, cioè sei anni dopo, constatò lo stessofatto e ritenne di essere il primo ad aver fatto tale scoperta.Egli però fu effettivamente il primo a constatare che la lima-tura di ferro si ammassava anche per effetto di una scaricaelettrica che avvenisse nelle sue vicinanze. Diversi fisici studia-rono tosto il tubetto a limatura metallica, e specialmente sirOliver Lodge, che introdusse miglioramenti nel dispositivo delBranly, lo rese più sensibile e lo battezzò col nome di coherer.Egli ideò pure un martelletto che, automaticamente, riporta-va la limatura metallica alla primitiva condizione di non con-duttività, dopo che era stata resa conduttiva. È questo il con-gegno di cui si servì dapprima Marconi per le sue esperienze.In Francia si è voluto attribuire al professor Branly l’invenzio-ne della radiotelegrafia, per aver creato il coherer; ma tale as-serzione è evidentemente priva di fondamento. La primiziadella scoperta spetterebbe al Calzecchi Onesti; al Branly, poi,non è mai venuto in mente di servirsi del suo dispositivo perricevere segnali portati da onde hertziane. E si può anche ag-giungere che il coherer non ha avuto un’importanza decisivanella radiotelegrafia, tanto che fu presto abbandonato: altriprincipi fisici potevano ben servire per costruire dei rivelatoridi onde elettromagnetici. Però Marconi, adoperandolo neisuoi primi tentativi, e cercando di renderlo più sensibile, in-dusse altri tecnici a fare altrettanto: vennero quindi alla luce

numerosi tipi di coherer: fra essi quello di Robinson oltre aquello del Lodge, un tipo creato dal semaforista della Marinaitaliana Castelli, ed altro del francese Ferrié, che nel 1897 co-struì un coherer a limatura di oro, suscettibile di regolaggio.Per le esperienze eseguite nel 1901 attraverso l’atlantico Mar-coni adoperò un detector del tipo di quelli che erano alloraadoperati nella Marina italiana, e vi aggiunse un ricevitore te-lefonico, poiché l’orecchio umano è il ricevitore più sensibile.Nel 1902 egli però migliorò il rivelatore magnetico, che Ru-therford aveva inventato nel 1895 e prese un brevetto per ilsuo detector magnetico.Siccome nemmeno i rivelatori magnetici soddisfacevano trop-po alle esigenze, si pensò anche a crearne altri di natura di-versa. E così vennero alla luce quelli elettrolitici, il primo deiquali è stato ideato dal De Forest. Consisteva in un tubo di ra-me contenente una pasta di mercurio, glicerina, acqua ed unpo’ di limatura metallica, la quale pasta era posta fra due elet-trodi metallici. In essa si formavano strutture cristalline quan-do era attraversata da una corrente continua, strutture chevenivano parzialmente distrutte se la pasta era attraversata dacorrenti pulsanti. Altre forme di rivelatori elettrolitici furonocreate da Ferrié, Schloemich e Vreeland. È anche meritevole dimenzione il rivelatore di S.C. Brown, consistente in una palladi perossido di rame fra elettrodi di rame e platino.Il problema della rivelazione fece poi un notevole passo in-nanzi nel 1906, quando Dunwoody dimostrò che il carborun-dum aveva la proprietà di rettificare le piccole correnti ad altafrequenza, ed inventò il rivelatore a carborundum. Esso fuben presto seguito dal rivelatore a punta di rame e molibde-no del Prof. Pierce, dal detector “Pericon” di Pickard, forma-to da pirite e zinco, dal detector “Silicon”, da quello del Bla-ke a solfito d’acciaio, da quello formato da un contatto fratellurio e grafite, chiamato Bronek Cell, da quello inventatoda Walter nel 1908 e costituito da un filo di tantalio posatosu mercurio, ed infine da quelli classici a galena, inventati daldr. Eccles, fra il 1909 ed il 1911, ed in seguito da altri perfe-zionato. Eccles diede anche la teoria del loro funzionamento.Ma tutti questi rivelatori dovevano passare in seconda lineacon la scoperta della valvola termoionica.

I TUBI ELETTRONICI

La “valvola” è stata il componente che ha fatto fare i piùgrandi passi alla radio. La sua invenzione si può annoverarefra le più grandi scoperte. L’idea della valvola ionica si può di-re abbia avuto principio nel 1884 quando Edison, rinchiusauna lastra metallica entro il bulbo di una lampada elettrica adincandescenza, fra i due rami del filamento a ferro di cavallo,osservò che lo spazio vuoto dentro di essa conduceva unacorrente quando il filamento era reso incandescente, e che la

RadioricevitoreBrownie (1923).Il ricevitore vero eproprio è a sinistracon la sintoniae il rivelatore acristallo di galena.Al centrol’amplificatoremicrotelefonico;a destral’altoparlante, inquesto caso ilmodello Dinkiedella Ditta Sterling.Per cortesia di: R.Gianni, Vimercate,Milano.Foto di: StudioFotografico G.Cigolini, Milano.

Radioricevitore supereterodinaa 5 valvole (1938), portatile,a valigetta, con custodia diprotezione in ferro per usomilitare. Marca: Radione.Per cortesia di: R. Gianni,Vimercate, Milano.Foto di: Studio FotograficoG. Cigolini, Milano.

Radioricevitoresupereterodina acinque valvoledella Ditta AnsaldoLorenz, modello5V3 (1940).Tipica la “scalaparlante” con ilnominativo dellestazioni emittenti.Per cortesia di:R. Aielli, Milano.Foto di: StudioFotograficoG. Cigolini, Milano.

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corrente passava dalla lastra metallica al filo incandescente,ma non in senso inverso. Nel 1899 Elster e Geitel osservaronoanche che un filo di platino, immerso nell’ossigeno e postonell’aria rarefatta, scaricava più facilmente elettricità positivache negativa. Wehnelt nel 1903 utilizzò l’effetto scoperto daEdison per raddrizzare le correnti alternate, e riconobbe chela conducibilità dei tubi a gas rarefatti era dovuta all’uscita di“particelle” dal catodo incandescente, e che specialmente leleghe metalliche erano atte a tale emissione. Il raddrizzatoredi Wehnelt ebbe poi successive modifiche e perfezionamenti.La “valvola” è stata inventata l’anno seguente. L’inventoredella prima valvola, quella a due elettrodi (o diodo) è stato ilFleming, che studiò l’effetto Edison dal 1885 al 1890 e fucondotto alla conclusione che in una lampadina elettrica viera emissione di particelle principalmente dal ramo negativodel filamento, le quali erano cariche di elettricità negativa. Eglifece questa scoperta molto tempo prima che Joseph JohnThomson facesse l’altra, pur essa molto notevole, dell’esi-stenza in un tubo a vuoto molto spinto di particelle più pic-cole degli atomi: infatti questi dimostrò l’esistenza degli elet-troni soltanto nel 1899. Fleming non pensando agli elettroni,ritenne dapprima che tali particelle fossero atomi di carbonio.Dal 1900 in poi egli, che già aveva preso servizio nella Com-pagnia Marconi, pensando alla rettificazione delle deboli cor-renti alternate ad alta frequenza indotte dalle onde nell’an-tenna cioè al modo di renderle unidirezionali per poter usareun galvanometro per rilevarle, fece molti esperimenti persfruttare in tal senso l’effetto Edison, e finì col creare la valvo-la rettificatrice a due elettrodi, che brevettò in Inghilterra neldicembre 1904, ed altrove al principio del 1905. La valvolaFleming rassomigliava un po’ ad un tubo Wehnelt. Essa fu inseguito molto migliorata da Brandes, della Telefunken, che viintrodusse una cosa di capitale importanza: il campo anodicogenerato da una tensione ausiliaria. Brandes prese per questoun brevetto alla fine del 1905. Benché Fleming abbia poi cer-cato di far prendere sviluppo nella radiotelegrafia alle sue val-vole, migliorandone notevolmente i collegamenti, esse ven-nero inizialmente poco adoperate. Si è che soltanto due annidopo, cioè nel 1907 veniva realizzata in America un’altra val-vola, destinata a rendere servizi molto migliori, perché oltre al-l’anodo ed al catodo aveva il terzo importantissimo elettrodo,la griglia. La valvola a tre elettrodi fu creata dal De Forest, cheprese per essa un brevetto nel febbraio, e la chiamò Audion.Dapprima anche la valvola De Forest fu considerata con diffi-denza: si preferiva per la rivelazione l’impiego del cristallo, ilquale offriva ugual sensibilità di una delle prime valvole a treelettrodi, e richiedeva un circuito più semplice. Adottatosi pe-rò un alto vuoto nel bulbo di vetro e circuiti adatti, le valvolenon tardarono ad affermarsi. La priorità dell’impiego della val-vola come amplificatore è attribuita a Robert von Lieben, cheha preso per questo un brevetto nel marzo del 1908. Nel no-vembre dello stesso anno anche De Forest riconosceva il po-tere amplificatore dei suoi “Audion” con un brevetto relativoad un dispositivo per amplificare deboli correnti elettriche, manon dimostrò di ben valutare l’effetto della griglia, mentre in-vece questo fu ben riconosciuto dal von Lieben, che dimostrò

pure l’importanza della tensione di griglia. Lavori ulteriori diSchloemich, Round, Tigerstedt ed altri sulla costruzione dellavalvola a tre elettrodi condussero alla realizzazione di un ano-do cilindrico ed una griglia situata tra il filamento e la placca.Nel 1912 un gruppo di case produttrici tedesche, apprezzan-do i lavori del von Lieben sulla valvola, ne acquistò i brevetti.A partire dal 1913 si nota una precisa differenza fra le primevalvole “molli” e quelle nuove “dure”, messe sul mercato,specialmente in seguito ai lavori del Langmuir sul vuoto. Nel1914 la Telefunken costruì il primo amplificatore a due valvo-le di bassa frequenza. Avvenuta nel 1913 la scoperta della“reazione” per merito di Meissner e De Forest, fu anche ri-solto il problema dell’emissione di onde continue (o persi-stenti) per mezzo di valvole. Ma la loro costruzione urtò purecontro le difficoltà inerenti alla necessità di un alto vuoto. Es-se furono superate in seguito ai citati lavori di Langmuir ed al-la scoperta della pompa molecolare a diffusione avvenuta nel1915. In tale epoca si è cominciato ad ottenere, per mezzo divalvole, trasmissioni con rilevanti portate. Le principali ditte dimateriali radio diedero da allora vivo impulso alla costruzionedi apparecchi a valvole; ed i principali tecnici e scienziati, qua-li Irving, Langmuir, Fleming, Round, Lee De Forest, Marius La-tour, Abraham, Barkhausen, Moeller, White, Vallauri, Gutton,Armstrong ed altri ne fecero rapidamente progredire la tecni-ca. Si è diminuita la potenza necessaria all’accensione del fi-lamento, si è abbassata la tensione di placca delle valvole ri-ceventi; si è aumentata la durata di quelle emettenti. E furo-no create valvole speciali, come quelle a catodo riscaldato dal-la corrente alternata.

LA RADIOTELEFONIA

Ritornando un po’ indietro, si è accennato che nel 1897 Belled Hayes in America constatarono che da un arco a correntecontinua si poteva avere la riproduzione della voce e, crearo-

Altoparlanteelettromagneticoa spillo degli AnniVenti. Per cortesiadi: N. Rodriguez,Milano.Foto di: F. Bisi.

Altoparlanteelettromagneticoa spillo degli AnniVenti. Per cortesiadi: N. Rodriguez,Milano.Foto di: F. Bisi.

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no un fotofono; e che nel 1900 Duddell aveva dimostrato ilfenomeno dell’arco musicale. Con tali scoperte si può dire ab-bia avuto inizio la radiotelefonia. Nel 1902 Ruhmer fece nu-merosi esperimenti adoperando un arco parlante insieme adun riflettore parabolico. Nel 1913 Koepsel fece delle proveadoperando un arco Duddell. Fessenden fu il primo ad ado-perare un microfono nel circuito antenna. Nel 1906, adope-rando un relais telefonico di sua invenzione, dimostrò la pos-sibilità di collegare una linea telefonica terrestre con una sta-zione radiotelefonica. Nel 1907 riuscì a trasmettere bene laparola dalla sua stazione di Brant Rock alla distanza di 200 mi-glia. Nel 1906 il prof. Q. Majorana, adoperando un suo mi-crofono a liquido, riuscì a radiotelefonare da Monte Mario(Roma) a Trapani, distante 420 km. Nel 1912 riuscì in altreprove alla stessa distanza. Nell’anno seguente il Prof. Vanni,adoperando un arco del dott. Moretti (giovane medico roma-no dedicatosi per qualche anno allo studio della radio) e mo-dulando la emissione con un microfono a liquido telefonòsoddisfacentemente da Centocelle a Tripoli, distante circa1000 km. Il dott. Moretti nel 1912 tentò pure la radiotelefoniacol suo generatore ad arco ed un originale microfono; ma, permancanza d’aiuto, non poté perfezionare il dispositivo. Ma laradiotelefonia non è entrata nell’uso pratico che con l’avventodella valvola. Questa le ha poi fatto avere un potentissimo svi-luppo, rendendola adatta non soltanto per le trasmissioni rela-tivamente vicine, ma anche per quelle lontanissime. “L’American Telephone and Telegraph Company” tentò nel1915, mediante l’impiego di valvole, la radiotelefonia transat-lantica dalla stazione marittima di Arlington (Stati Uniti) allaTorre Eiffel di Parigi, e quantunque a quell’epoca si potessedisporre soltanto di piccole valvole, e di potenza limitata, si ri-uscì a parlare attraverso l’Atlantico. La guerra impedì di con-tinuare le esperienze per giungere a risultati pratici. Nel 1923la predetta compagnia ritentò la prova ed ottenne una comu-nicazione telefonica abbastanza chiara tra New York e SouthGate, presso Londra. Questo felice risultato indusse il Mini-stero delle poste Inglesi a collegarsi con essa e con la WesternEletric per proseguire negli studi. Altri studi furono fatti dallaSocietà Marconi e da altre compagnie. I risultati furono cosìfelici, che si è potuto impiantare nel 1927 un collegamentotelefonico attraverso gli Oceani. Esso è stato molto favoritodall’adozione delle onde corte per le trasmissioni a grande di-stanza e dall’esser stata resa possibile una trasmissione in du-plex. Da allora in poi i collegamenti si moltiplicarono rapida-mente e, presto, circondarono il Globo. In Italia, il primo col-legamento radiotelefonico intercontinentale diretto si stabili-va nel 1931 tra Roma e Buenos Aires. La radiotelefonia com-merciale a grandissima distanza, quando ancora non esisteva-no i satelliti artificiali, fu fatta essenzialmente su onde corte,le potenze impiegate in trasmissione arrivano all’ordine diqualche decina di kilowatt; l’uso di antenne direttive rese tali

potenze equivalenti a potenze di qualche centinaia di kilo-watt. L’uso di nuovi sistemi di modulazione, come quello asoppressione della portante e di una delle due bande laterali,consentì di ottenere ulteriori, notevoli guadagni di potenza.

LE ONDE CORTE

La gara nell’allungamento delle onde per i servizi radiotele-grafici, si può dire abbia avuto termine nel 1922, quando convarie esperienze eseguitesi si constatò che la ricezione di on-de di 40.000 metri era impossibile a grande distanza, chequella di onde di 23.000 era debole, e che invece ottima erala ricezione con onde di 18.000 m. Si venne allora alla con-clusione che non convenissero lunghezze d’onda superiori ai20.000 m. Ma a quell’epoca, le onde corte già cominciavanoa dimostrare le loro pregevoli qualità. La loro adozione d’al-tronde s’imponeva per ottenere un maggior rendimento conl’impiego di minor energia, in maniera da avere un minor co-sto, e poter lottare contro le compagnie dei cavi; per poter im-piantare un maggior numero di stazioni, ed anche per otte-nere un certo grado di segretezza. I dilettanti (radioamatori)degli Stati Uniti, costretti dalle leggi vigenti poco prima dellaguerra mondiale a servirsi solo di onde inferiori ai 200 m co-minciarono allora a studiare le onde comprese fra 100 e 200m. Nel 1920 organizzarono una prova transatlantica tra l’A-merica e l’Inghilterra ed adoperando con tali onde una po-tenza inferiore al kilowatt riuscirono a trasmettere e riceveredall’uno all’altro continente. Contemporaneamente, Marconistudiava le onde inferiori ai 100 m, che fu poi dimostrato es-sere le onde corte più pratiche. Mentre nel 1902 diceva scher-zando “occorre fare i passi più lunghi per andare più lontano”nel 1916 diceva “va più rapido e più lontano un piccolo canea passi rapidi e corti, che un elefante a passi lenti e lunghi”.Nelle sue esperienze degli anni 1916 e 1917 eseguite a Ge-nova ed alla Spezia adoperò onde da 3 metri in su, ed in ge-nere di 15 metri. Nelle prove fatte nel 1923 tra una stazionesperimentale situata a Poldhu e lo yacht Elettra provò la lun-ghezza d’onda di 97 metri; nelle prove del 1924 utilizzò on-de di 92, 60, 47 e 32 m. Le prove eseguite con l’onda di 32m dall’Inghilterra al Canadà, all’America del Sud ed all’Au-stralia dimostrarono che era possibile trasmettere messaggi atali distanze, adoperando soli 12 kW o meno al trasmettitore,anche quando l’intero circolo massimo fra tali località e l’In-ghilterra era esposto alla luce diurna. Prove con onde supe-riori ai 100 m e precisamente di 112 metri furono eseguite nelgiugno 1923 e mesi seguenti da Adriano Ducati: egli ottenne

Fonografo Edisoncon registrazione sucilindro cerato (1877).Per cortesia di: N.Rodriguez, Milano.Foto di: F. Bisi.

Ricevitoretelefonico Bell acalamita rettilinea(ca. 1881).Per cortesia di Ist.Tecnico Comm.“Pier Crescenzi-Tanari”, Bologna.Foto di: F. Bisi.

Ricevitoretelefonico Bell acalamita rettilinea(ca. 1881).Per cortesia di:C. Pria, Bollate,Milano.Foto di: F. Bisi.

Grammofono a manovella con sistema a risonanza“Klingsor”. Funziona come una slot-machine, con unamonetina. Risale agli Anni Quaranta.Per cortesia di: C. Pria, Bollate, Milano. Foto di: F. Bisi.

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una chiara ricezione in pieno mezzogiorno alla distanza di350 km con potenza inferiore ai 10 Watt. Da allora le provead onde corte si susseguirono tra dilettanti dei due continen-ti europeo ed americano ed anche con l’Australia; mentre legrandi compagnie radiotelegrafiche, specialmente la “Marco-ni” installavano grandi stazioni ad onda corta, o sostituironogli impianti di vecchie stazioni o vi impiantavano nuovi tra-smettitori e ricevitori per onde corte, in aggiunta agli altri giàesistenti. Nel 1928, lo sfortunato volo del dirigibile “Italia” alPolo Nord, dimostrò il valore delle onde corte, utilizzate dalfamoso radiotelegrafista Biagi, che permisero di collegare inaufraghi sulla banchisa con i mezzi di soccorso.

L’UTILIZZO DEI TUBI ELETTRONICI

TRASMISSIONE

Il triodo, grazie agli studi di Meissner, Armstrong, Hartley, Col-pitt, venne generalmente introdotto come generatore di oscil-lazioni persistenti data la sua caratteristica di costituire, op-portunamente impiegato, una resistenza differenziale negati-va e quindi in grado, a spese di una sorgente di alimentazio-ne, di mantenere sul circuito oscillazioni elettriche, compen-sando, sia l’energia irradiata, sia quella dissipata. Con l’av-vento del triodo, tutti i vecchi sistemi di generazione passaro-no in secondo piano, almeno per quanto si riferiva alle ricer-che sperimentali, malgrado la limitata potenza e la instabilitàdi frequenza dei primi tubi. Il primo trasmettitore a valvole en-trava in esperimento in Italia (presso la Marina) nel 1915. Nel-lo stesso anno, il triodo venne anche impiegato come amplifi-catore a radio frequenza e si costruirono radiotrasmittenti diuna certa potenza disponendo, dopo il generatore, stadi am-plificatori in cui venivano montate decine di triodi in parallelo.I vecchi tubi, a scarso rendimento e di potenza relativamentemodesta, vennero sostituiti da tubi a potenza elevata e richie-denti uno stadio pilota driver di più modesta potenza. Conquesti nuovi tubi che richiedevano particolari sistemi di raf-freddamento a circolazione di liquido, si raggiunsero potenzedi centinaia di kilowatt. La modulazione salì al 100 % con dis-torsioni trascurabili. La stabilità di frequenza venne dapprimaottenuta ricorrendo ad uno stadio pilota completamente indi-pendente, alimentato da una sorgente autonoma, ed in se-guito usando particolari dispositivi stabilizzatori, fra i quali siimpose subito l’impiego del quarzo piezoelettrico.

RICEZIONE

L’adozione delle oscillazioni persistenti nella trasmissione ra-diotelegrafica, ottenuta dapprima con l’arco Poulsen, poi congli alternatori ad alta frequenza ed, infine, coi triodi, portò anuovi orientamenti nella tecnica dei radioricevitori per rende-re percettibile nel telefono la manipolazione del segnale tra-smesso. Un primo sistema, già proposto dal Fessenden nel1902, fu quello ad eterodina, che trovò, nella proprietà deltriodo, una eccellente realizzazione. Secondo tale sistema ilsegnale in arrivo veniva fatto interagire, “battere”, con unaoscillazione, generata localmente da un oscillatore a triodo, lacui frequenza differiva da 800 ÷ 1000 Hz da quella dell’oscil-lazione in arrivo, determinando un battimento intelligibile altelefono in tutte le sue intermittenze dovute alla manipola-

zione telegrafica. Da questo sistema derivò, poi, quello dettodi autodina, o endodina, in cui due circuiti oscillatori accorda-ti su frequenze poco diverse, così da produrre battimenti udi-bili, erano inseriti rispettivamente nei circuiti di placca e di gri-glia di un unico triodo ed erano tra loro accoppiati induttiva-mente, come nel sistema Round-Marconi (1913) o capacitiva-mente, come nel sistema Alexanderson (1914). A questi siste-mi può concettualmente ricondursi il circuito “ultraudion”ideato da De Forest nel 1914.

NUOVI CIRCUITI

Nei primi tempi, i sistemi a eterodina e derivati, che tanto pro-gresso avevano portato nella ricezione telegrafica, furono pu-re applicati alla ricezione telefonica mediante i cosiddetti cir-cuiti omodina, in cui la frequenza locale veniva sintonizzata suquella da ricevere così da annullare il battimento. Migliori ri-sultati si ebbero coi ricevitori a super-reazione, proposti dal-l’Armstrong nel 1916, nei quali, pur valendosi della grandeamplificazione ottenibile col triodo utilizzato come resistenzanegativa, si eliminava la possibilità del circuito di autoscillare.Sul principio della resistenza negativa si idearono molti tubi ecircuiti quali il “dinatron”, il “pliodinatron”, il “negatron”,ecc. Mentre altri circuiti si andavano perfezionando, tra i qua-li quelli a “neutrodina” dell’Hazeltine (1919), e mentre il col-legamento di più triodi in cascata rendeva sempre più sensi-bili i radioricevitori (ma nel contempo nel complicava le ma-novre di sintonizzazione) andava sviluppandosi il sistema acambiamento di frequenza, solitamente detto a “superetero-dina”. Questo sistema, le cui basi concettuali già si trovano inbrevetti del Meissner e del Round (1913), fu più concreta-mente studiato e descritto alcuni anni dopo dal Levy (1917),dalla Siemens (1918), e dall’Armstrong (1918). Esso consistenel trasferimento della conversione dell’onda portante in arri-vo ad una frequenza intermedia costante. In tal modo si resepiù facile la realizzazione di diversi amplificatori accoppiati confiltri di banda, la cui curva di risonanza offre il miglior compro-messo tra le esigenze di selettività e di fedeltà di riproduzionein tutta la banda. L’invenzione del tetrodo (allora noto sotto ilnome di valvola schermata), dovuto a Hull nel 1926 e del pen-todo, nel 1928, permisero di aumentare la sensibilità dei rice-vitori. La successiva realizzazione di adatti tubi per la conver-sione di frequenza, unitamente alla risoluzione del problemadel comando unico, hanno portato, in breve, la supereterodi-na al più alto grado di perfezione, come radioricevitore classi-co sia nel campo professionale, sia in quello civile.La radiodiffusione determinò la “rivoluzione elettronica” por-

Apparecchio telefonico campale modello 1915, in dotazione all’EsercitoAustroungarico nella Prima Guerra Mondiale. Per cortesia di: Museo diFisica del Dip. di Fisica e del Sistema Museale d’Ateneo dell’Universitàdegli Studi di Bologna. Foto di: C. Porcheddu.

Apparecchiotelefonico da muroa batteria locale,con chiamata ageneratoremediantemanovella.Tipo v. Bailleux.Prodotto dallaS.té Ind.lle desTéléphones,Francia, attorno al1900. Per cortesiadi: F. e G. Govoni,Bologna. Foto di:C. Porcheddu.

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tando, negli anni ‘20, alla comparsa dei primi radioricevitoricommerciali. L’alimentazione era affidata a batterie di accu-mulatori per il filamento e di pile per la tensione anodica el’antenna era generalmente del tipo a telaio. Vi fu poi l’av-vento dell’alimentazione in alternata e si diffuse l’uso dell’al-toparlante, il che favorì, senz’altro in modo cospicuo, lo svi-luppo della radiodiffusione. Attorno al 1930 la tecnica co-struttiva dei radioricevitori fece passi da gigante. Fu introdot-to l’uso degli chassis metallici, l’alimentatore, che già da qual-che tempo era in uso, venne incorporato al ricevitore, trovòposto sul medesimo telaio così come l’altoparlante. La modu-lazione di ampiezza che, fino ad un certo momento, rappre-sentava l’unico mezzo utilizzabile in dipendenza delle radiofrequenze utilizzate, con l’avvento di onde molto corte potèessere sostituita col sistema detto a modulazione di frequen-za, con i noti vantaggi di rapporto segnale-disturbo elevato,eliminazione delle interferenze delle stazioni adiacenti, stabi-lità del livello di riproduzione, grande linearità di modulazio-ne. La modulazione di frequenza prevista già nel 1901 da Fes-senden, fu attuata in pratica da Armstrong nel 1936.

LA RADIODIFFUSIONE

Il primo trasmettitore radiofonico a diffusione circolare, dellapotenza di 2 kW fu installato nel 1914 in Belgio; i concertiemessi con una certa regolarità, furono ricevuti da qualchecentinaio di dilettanti radioamatori. La prima guerra mondia-le interruppe tale attività, finché, nel 1919, una stazione in-glese, installata sulla Marconi House di Londra, iniziò l’emis-sione di programmi a diffusione circolare. L’idea di radiodif-fondere notizie in America fu attuata nel 1920 dalla Compa-gnia Westinghouse che impiantò una stazione a Pittsburghdella potenza di 100 watt ed operante su onda di 360 metri.Essa aveva essenzialmente lo scopo di annunciare i risultatidella elezione del presidente Harding, ma poi fu impiegataper trasmettere notizie varie. Nel 1921 la sua potenza fu au-mentata a 1,5 kW ma il favore del pubblico le fu acquistatosoltanto in grazia di un’attiva campagna di stampa. Nel 1921si è anche deciso a Londra, nella conferenza annuale della“Wireless Society”, di impiantare una stazione di grande po-tenza per dare notizie circolari, e fu inaugurata all’Aia una sta-zione olandese, che emetteva regolari concerti settimanalicon potenza di 100 watt, aumentata successivamente a 200.Tale stazione si potè sostenere per un certo tempo grazie allesovvenzioni degli amatori inglesi, che si addossarono partedelle spese di esercizio.Nel novembre 1921 vennero fatte trasmissioni sperimentalianche in Francia dalla stazione della Torre Eiffel con onda di

2600 m. Verso la fine del 1921 ed il principio del 1922 inAmerica il broadcasting - come fu colà chiamato - già susci-tava l’entusiasmo della popolazione, grandi ditte approfitta-vano della libertà lasciata dal governo per impiantare stazionied i fabbricanti e commercianti cominciavano a fare affari d’o-ro per la vendita di apparecchi radioriceventi. In Inghilterra, in-vece le limitazioni imposte dalla legge ostacolavano ancora losviluppo della radiodiffusione come del resto in tutti gli altriStati europei, in cui non era ancora superato il periodo re-strittivo imposto dalla guerra. Ma nel 1922 le pressioni dei ra-dioamatori riuscirono anche là a far sorgere un servizio dibroadcasting. Si costituiva la Società Radiola e poi la BritishBroadcasting Company che impiantò dapprima sei stazionitrasmittenti portate poi ad 8 alla fine del 1923. In Francia fu-rono di grande impulso alle radiodiffusioni le emissioni dellaTorre Eiffel. Nel 1923 iniziò regolari trasmissioni anche unastazione parigina dell’Ecole Superieure des Post et Telegraphe,con onda di 450 m e contemporaneamente venne organizza-ta l’emissione di concerti dalla Società Radiola con una suastazione parigina, adoperante onda dapprima di 1560 m epoi di 1780 m. Nell’aprile del 1923 cominciarono a funziona-re anche la stazione di Lione con onda di 3100 m e quella bel-ga di Bruxelles con onda di 1200 m. In Germania vi fu dap-prima poca liberalità nel concedere il permesso per l’impiantodi stazioni radiofoniche, tuttavia in seguito all’esempio fran-cese ed inglese fu promosso nel 1923 un certo movimento –specialmente da parte di ditte costruttrici – per far sorgere leradiodiffusioni. Un certo numero di esse costituì la RundfunkG.m.b.H. di Berlino, cui poi si aggiunsero altre società. In Ita-lia, come in molti altri Stati la radiodiffusione cominciò a fun-zionare soltanto nel 1924, quando già in America, Inghilterrae Francia avevano assunto proporzioni grandiose. Sorsero pervolere del Governo nazionale e per impulso del Ministro dellecomunicazioni: si costituì per esse in Roma la Unione Radio-fonica Italiana, che impiantò le stazioni di Milano, Roma e Na-poli, e si trasformò poi nella E.I.A.R. la quale aggiunse alle sta-zioni precedenti quelle di Genova, Torino e Bolzano. Questestazioni furono l’avvio della grande rete di radiodiffusione na-zionale sfociata nel Centro Radio Imperiale di Roma del 1938.Venne poi la seconda guerra mondiale e, alla fine di essa, al-la EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) nel 1945 si so-stituì la RAI (Radio Audizioni Italiane).

LE MICROONDE

L’avvento delle onde ultracorte doveva essere ovviamentesubordinato al progresso tecnico degli apparati relativi. Mar-coni vi contribuì con le famose esperienze attuate a bordodell’“Elettra”, e a S. Margherita Ligure, dal 1932 ed anni suc-cessivi. Questo periodo è dominato da nuove affermazionidella radio nell’ambito delle comunicazioni a breve distanzaaventi importanza nei campi marittimo, aeronautico e civile.Si è trattato per lo più di ottenere collegamenti sicuri e segre-ti con potenze relativamente modeste, fino a sostituire i cavitelefonici e telegrafici. Nell’ultimo caso, specialmente per iltraffico radiotelegrafico e telefonico ordinario, occorreva dis-porre di antenne di elevato rendimento che potessero con-centrare ed orientare l’energia irradiata in un fascio ristretto.

Radio TV Radiomarelli.Modello RV300 (1939).Realizzato nella faseiniziale e ancorasperimentale del nuovomezzo audiovisivo(analisi tramiteiconoscopio di VladimirKosma Zworykin, esintesi mediantecinescopio di VonArdenne). Tecnologiabloccata poco dopodall’avvio della SecondaGuerra Mondiale.Per cortesia del: Museodella Scienza e dellaTecnica di Milano.Foto di: Museo dellaScienza e della Tecnica,Milano.

Tipico esempiodi cellulare.Come all’epoca diMarconi, unsistema senza filiha sconfitto unatecnologia diffusae collaudata.Per cortesia di:C. e G.B.Porcheddu.Foto di.C. Porcheddu.

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Nelle comunicazioni “bilaterali” furono usate antenne che,salvo le dimensioni, trasferivano nel campo delle onde ultra-corte e cortissime i già noti concetti del riflettore, sia che fos-se costituito da cortine piane di dipoli, sia che si applicassero,come nelle esperienze effettuate da Marconi nel Golfo di Ge-nova, dei riflettori a superficie continua come nelle esperien-ze del 1930 e ‘31 sul canale della Manica (Società Standard),ed in quelle dello stesso Marconi fra Torrechiaruccia e la sta-zione Vaticana di Castel Gandolfo.Da questa tecnologia nascevano i ponti radio (detti anche“cavi hertziani”) di cui il prof. Vecchiacchi per l’Italia, fu tra iprincipali studiosi (1939), e il radar, il cui nome è compostocon le iniziali dei vocaboli inglesi RA-dio, D-etecting; A-nd,R-anging, che significa radio-localizzazione. L’antenna del ra-dar emette segnali, impulsi brevissimi, a eguali intervalli ditempo, successivamente, secondo tutte le direzioni, nel corsodi un rapido giro. Gli echi riflessi dagli ostacoli eventualmen-te incontrati in questo giro vengono raccolti e trasformati insegnali visibili sullo schermo fluorescente di un tubo a raggicatodici, sul quale si disegna così il profilo circostante al pun-to di stazione. Il primo radar venne realizzato da Watson Wattintorno al 1936. Il difficile problema venne anche affrontatonei laboratori della Marina Italiana per merito del Prof. Tibe-rio, e alcune case costruttrici realizzarono i primi modelli in-torno al 1940. È nota l’importanza avuta dal radar nel corsodella seconda guerra mondiale. Sviluppi impensati deriveran-no dalla realizzazione del transistor, che permetterà, fra l’al-tro, l’evoluzione dell’elettronica da “analogica” a “digitale”.La radio ha trovato infatti nel transistore l’elemento compo-nente attivo che, detronizzando i tubi elettronici, ha per-messo di giungere ad un grado di miniaturizzazione e di au-tonomia imprevedibili. Ideato nel 1947, il transistore è il ri-sultato di 10 anni di ricerche orientate specificamente versola messa a punto di un amplificatore, per linee telefoniche,allo stato solido allo scopo di cercare di eliminare l’uso deitubi elettronici. Il 1° luglio del 1948 il “New York Times”diede breve notizia che i “Bell Telephone Laboratories” ave-vano comunicato l’invenzione di un nuovo componente at-tivo allo stato solido che avrebbe potuto sostituire i tubi elet-tronici. Il pubblico non valutò immediatamente l’importanzadel ritrovato, mentre il mondo scientifico si rese conto subi-to dell’enorme valore dell’invenzione che avrebbe determi-nato una svolta decisiva nella radio e nella elettronica, in ge-nerale. Questo nuovo componente attivo allo stato solidoera il transistor parola risultante dalla contrazione di Trans-fer Resistor = resistenza di trasferimento. Erano autori dellascoperta W.H. Brattain, J.S. Bardeen e W.B. Shockley che,nel dicembre 1947, erano riusciti a realizzare il primo trans-istore funzionante come amplificatore costituito da un cri-stallo di germanio e da due elettrodi a punta di contatto.Questo nuovo componente attivo, che inizialmente era sta-to definito “triodo a cristallo”, aveva avuto una gestazionedurata circa un decennio, ad opera di William Shockley eAlan Holden, sempre dei Bell Laboratories. L’utilizzazione disemiconduttori a scopo di amplificatore ed anche per la ge-nerazione di correnti alternate aveva avuto dei precedenti.Fu nell’anno 1910 che W.H. Eccles segnalò per primo, alla

Società di Fisica di Londra, il fatto che alcuni contatti rad-drizzatori di galena, potevano, in certe condizioni, generaredelle correnti oscillatorie. La scoperta di Eccles destò, a queltempo, un grande interesse, ma tosto, essa, fu lasciata ca-dere in dimenticanza, specialmente quando, pochi anni do-po, vennero scoperte le proprietà dell’ “Audion” (primo no-me del triodo), la valvola a tre elettrodi. Il transistore può ga-rantire tutte le funzioni di un tubo a vuoto, amplificazione,oscillazione, e funzioni di commutazione impulsive, è pococostoso, più affidabile, dissipa poco e può essere, mediantel’integrazione, ridotto a dimensioni microscopiche. Esso ha,infatti, permesso la realizzazione dei circuiti integrati.

ET ULTRA

Dopo l’avvento della radiodiffusione, che presto si espanseovunque, anche le radiocomunicazioni a lunga distanza con-sentirono alla telegrafia e alla telefonia con onde lunghe pri-ma, e onde corte poi, di superare le più grandi distanze. De-colla timidamente anche la televisione, e le microonde con-sentono di realizzare i primi ponti radio e, quindi, il radar chesi aggiunge agli altri mezzi di radioassistenza alla navigazione. L’utilizzo di tubi elettronici si diffonde con l’elettronica in sva-riatissime applicazioni industriali e medicali. Ma la più eclatan-te realizzazione sarà quella degli elaboratori elettronici, dal1945 in poi, che determineranno il nascere dell’informatica. Te-lecomunicazioni ed informatica, agli inizi della seconda metàdel secolo XX, creeranno una nuova tecnologia: la telematica.Dalla semplice telegestione da terminali connessi ad un ela-boratore locale, si passa al time-sharing, sistema col quale ter-minali di utenti lontani, tramite modem telefonico, si collega-no ad un grande elaboratore centralizzato, a distribuzione ditempo, che possono utilizzare come fosse al proprio servizio.Ma il colpo di grazia viene dai personal computer diffusisi colclassico PC Apple provvisto di video. Il PC prosegue la sua cor-sa, ed entra, con la diffusione di Internet, nella rete mondialedi intercomunicazione globale. La digitalizzazione della co-municazione e della trasmissione telefonica porta alla digita-lizzazione di ogni tipo di informazione, basti pensare al CD ealla fotografia elettronica e alle videocamere che soppiantanola classica pellicola. La facile registrazione di ogni tipo di in-formazione crea banche dati raggiungibili con Internet. Le viedi comunicazioni satellitari hanno reso possibile immediateconnessioni di tutti con tutti e con tutto. La telefonia cellula-re non è più soltanto telefonia, ma un mezzo di comunica-zione globale che, parallelamente ai sistemi GPS (che hannomandato in pensione i radiotelegrafisti, sì che l’SOS è divenu-to un ricordo) consente di muoversi sulla faccia della terra confacilità e sicurezza.Tutto è ormai legato alla radio: diciamo grazie a Marconi.

La miniaturizzazionedel PC. Uno dei piùavanzati esempi diPC palmare.Tra l’altro, consentela digitalizzazionediretta di unoscritto tradizionalesullo schermosenza l’uso ditastiera.Assieme al cellularerappresenta unodei più avanzatimodi delcomunicare. Laprossima frontiera?La Telepatia?

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Ci sono stati tre grandiosi momenti nella mia vita di invento-re. Il primo, quando i segnali radio da me inviati fecero suo-nare un campanello dall’altro lato della stanza in cui stavosvolgendo i miei esperimenti; il secondo, quando i segnali tra-smessi dalla mia stazione di Poldhu, in Cornovaglia, furonocaptati dal ricevitore che ascoltavo a S. Giovanni di Terranova,dall’altra parte dell’Oceano Atlantico a una distanza di circa3000 km; il terzo è ora, ogni qualvolta posso immaginare lepossibilità future e sentire che l’attività e gli sforzi di tutta lamia vita hanno fornito basi solide su cui si potrà continuare acostruire. (Guglielmo Marconi, dicembre 1935)

La pacifica rivoluzione delle comunicazioni radio, o senza filicome si diceva una volta, ha cambiato radicalmente le socie-tà del mondo contemporaneo. Guglielmo Marconi fu l’inizia-tore di quella rivoluzione: il suo sistema di telegrafia senza fi-li realizzato nel 1895 segnò l’inizio delle radiocomunicazioni.Grazie alla sua straordinaria capacità di combinare una singo-lare abilità tecnologica ed un concreto spirito imprenditoriale,Marconi dedicò tutta la sua vita allo sviluppo della sua inven-zione: fu così che, passo dopo passo, Marconi mandò mes-saggi radio sempre più lontano.

Decisi di trasferirmi in Inghilterra con l’intento di lanciare l’in-venzione su vasta scala. Scelsi l’Inghilterra per diverse ragioni,principalmente perché avevo numerosi parenti ed amici lì e laGran Bretagna era a quell’epoca all’apice del proprio sviluppofinanziario ed industriale. (Guglielmo Marconi)

Dopo gli incoraggianti esperimenti realizzati nel 1895 a VillaGriffone (la residenza della Famiglia Marconi situata nellacampagna bolognese) il giovane inventore andò in Inghilterra(febbraio 1896), nazione nella quale poté contare sull’appog-gio dei parenti irlandesi (in particolare del cugino Henry Ja-meson Davis) per sviluppare la sua invenzione. Tra i primi con-tatti, di grande importanza fu quello con William Preece, al-lora direttore tecnico del General Post Office. In quell’anno,Marconi brevettò il suo sistema di telegrafia senza fili. Nel lu-glio del 1897 egli formò una società per sviluppare e com-mercializzare il suo nuovo metodo di comunicazioni senza fi-li. Il nome iniziale della società, The Wireless Telegraph & Si-gnal Company, fu modificato nel 1900 e divenne Marconi’sWireless Telegraph Company. La Compagnia Marconi si man-tenne a lungo all’avanguardia nella sperimentazione e nellacostruzione di impianti per radiocomunicazioni.

Sono convinto che il successo della radiotelegrafia transatlanti-ca provò che la telegrafia attraverso lo spazio potesse raggiun-gere qualsiasi punto del piccolo pianeta in cui viviamo e che ciòavrebbe potuto diventare un’impresa tecnologica abbastanzasemplice, sicuramente alla portata delle nostre possibilità prati-che ed economiche. (Guglielmo Marconi)

Secondo la fisica di fine Ottocento le onde elettromagneticheutilizzate da Marconi potevano propagarsi soltanto in linearetta. Data la curvatura della terra, un’enorme montagnad’acqua avrebbe impedito qualsiasi trasmissione tra le duesponde dell’Atlantico. Marconi - che dava più peso ai suoiesperimenti che alle convinzioni teoriche diffuse - tentòugualmente. In una giornata storica del dicembre 1901, egliriuscì a ricevere a San Giovanni di Terranova i segnali trasmessida Poldhu (Cornovaglia), sull’altra sponda dell’Atlantico: per

B. Valotti

Guglielmo Marconial tavolo dellastazione riceventedi Signal Hill,a S. Giovanni diTerranova, il 12dicembre 1901.

Villa Griffonee il MausoleoGuglielmo Marconi.

gugl ie lmo marconi(1874-1937)

Ricostruzioneeseguita daM. Bigazzi delprimo apparatoin telegrafia senzafili di Marconi.

In alto:GuglielmoMarconinel 1896a Londra.

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la prima volta, le onde elettromagnetiche avevano attraversa-to un oceano. Nasceva così l’era delle radiocomunicazioni agrande distanza. L’impresa fece grande scalpore e sebbene re-stasse ancora moltissimo da scoprire in merito alle leggi dipropagazione delle onde radio, essa fu il punto di partenzadel vasto sviluppo delle radiocomunicazioni e dei servizi ra-diomarittimi per la sicurezza in mare verificatosi nei successiviquaranta anni. In tale sviluppo Marconi continuò a svolgereun ruolo importante.Nel 1919 Marconi acquistò il panfilo Elettra che diventò unasua frequente residenza e il suo laboratorio viaggiante. I suc-cessi di Marconi nelle comunicazioni a grande distanza eranobasati all’inizio del secolo sull’uso di onde sempre più lunghe.Ma a partire dalla prima guerra mondiale egli ricominciò asperimentare con le onde corte, scoprendone i vantaggi. Inparticolare, esse permisero l’uso di riflettori attorno all’anten-na rendendo meno intercettabile il segnale trasmesso e ga-rantendo una maggiore potenza del segnale nella direzionevoluta. In seguito alle importanti esperienze effettuate nel1923 tra Poldhu e la nave Elettra, si affermò il sistema di col-legamenti ad onde corte a mezzo di stazioni a fascio. L’In-ghilterra e la Compagnia Marconi firmarono un famoso con-tratto per la costruzione di una rete di stazioni ad onde corte,del nuovo tipo a fascio dirigibile, collegante i punti principalidell’impero britannico. Nel 1926 venne inaugurato il primotronco della rete Inghilterra-Canada e l’anno successivo se-guirono altre stazioni.Nel 1931 Marconi avviò le sue indagini sulle microonde. L’an-no successivo egli fu incaricato dal Papa Pio XI di sistemare uncollegamento telefonico sperimentale a microonde fra Cittàdel Vaticano e il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.Lo sviluppo delle radiocomunicazioni a microonde è alla basedella maggior parte dei moderni sistemi radio.

Noi ora abbiamo raggiunto nella scienza ed arte delle radio-comunicazioni uno stadio in cui le espressioni dei nostri pen-sieri possono essere trasmesse e ricevute pressoché istanta-neamente e simultaneamente, praticamente in ogni puntodel globo […] La radiodiffusione, tuttavia, con tutta l’impor-tanza che ha raggiunto ed i vasti campi inesplorati che resta-no ancora aperti, non è - secondo me - la parte più significa-tiva delle comunicazioni moderne, in quanto è una comuni-cazione a senso unico.Un’importanza assai maggiore è legata, a mio parere, allapossibilità fornita dalla radio di scambiare comunicazioniovunque i corrispondenti possano essere situati, sia nel mez-zo dell’oceano, sia sul pack ghiacciato del polo, nelle pianedel deserto oppure sopra le nuvole in aeroplano! […]La peculiarità dell’uomo, la caratteristica che segna la sua dif-ferenza da e la sua superiorità sugli altri esseri viventi, a parte

la divinità della sua origine e del suo fine ultimo, consiste,penso, nella capacità di scambiare con i suoi simili pensieri,sensazioni, desideri, ideali, preoccupazioni ed anche lamente-le! Ogni cosa progettata per facilitare e sviluppare questa ca-pacità veramente superiore deve essere - oso affermare - sa-lutata come il mezzo per il progresso dell’umanità e la via perpotenziare la tipica peculiarità dell’uomo. Con tutti i nostri at-triti, gelosie ed antagonismi (inevitabile cronica afflizione del-l’umanità) e malgrado i sanguinosi sconvolgimenti che di tan-to in tanto lo mettono in serio pericolo, l’ideale della pace edella fratellanza rimane sempre vivo in noi […]Nella radio abbiamo uno strumento che ci permette di avvici-nare i popoli del mondo, di far sentire le loro voci, le loro ne-cessità e le loro aspirazioni. Il significato di questi modernistrumenti di comunicazione è così totalmente rivelato: un po-tente mezzo per il miglioramento delle nostre mutue relazio-ni di cui oggi possiamo usufruire; dobbiamo solo seguirne ilcorso in uno spirito di tolleranza e comprensione reciproca,solleciti nell’utilizzare le conquiste della scienza e dell’ingegnoumano per il bene comune.Tratto da: Guglielmo Marconi, Il significato della comunica-zione moderna, radiomessaggio al Chicago Tribune Forumdell’11 marzo 1937.

Il Museo Marconi, dedicato alle origini e agli sviluppi delle ra-diocomunicazioni, è situato all’interno di Villa Griffone nellacampagna bolognese. Fu nel solaio di questa Villa che il gio-vane Guglielmo Marconi realizzò i suoi primi esperimenti ditelegrafia senza fili.Il nuovo allestimento del Museo è caratterizzato dall’integra-zione di apparati storici, ipertesti, filmati e dispositivi interatti-vi: attraverso questi diversi strumenti, il visitatore ha la possi-bilità di ripercorrere le vicende che hanno caratterizzato la for-mazione e la vita dell’inventore, di comprendere il funziona-mento degli apparati più interessanti e di conoscere la dina-mica di alcuni fondamentali sviluppi nel settore delle radioco-municazioni.Si ringrazia per la collaborazione Maurizio Bigazzi, GabrieleFalciasecca, Raffaello Repossi e Tobia Repossi.

Il laboratorio delgiovane Marconi:la celebre“Stanza dei bachi”di Villa Griffone.Ricostruzionedi M. Bigazzi.Per cortesia di:FondazioneMarconi.

Tutte le foto diquesto articolosono dovute allacortesia dellaFondazioneMarconi.

Il panfilo “Elettra”,che fu il laboratoriogalleggiante diGuglielmo Marconinegli anni ‘20 e ‘30.

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In questo contributo ho voluto raccogliere una serie di consi-derazioni che hanno legato tra loro alcune delle sezioni espo-sitive storiche della mostra Communication. Alcuni dei nostriquotidiani mezzi di comunicazione, il telefono, la radio, il te-lefonino, grazie alle possibilità offerte dall’elettronica digitalee dalla comunicazione telematica, hanno trovato numerosipunti di incontro tanto da diventare sempre più frequente-mente un unico strumento multimediale. Trova quindi ragio-ne anche l’accostamento con la crittografia, una scienza anti-ca quanto l’uomo che, in questa nostra società di comunica-zione elettronica, si è trasformata da disciplina misteriosa adiffuso strumento di sicurezza della privacy individuale.

LA TELEFONIA FISSA

Come per molte grandi invenzioni anche per il telefono esisteuna lunga, ed irrisolta, polemica riguardante la paternità del-la scoperta che coinvolge principalmente lo scozzese, natura-lizzato americano, Alexander Graham Bell (1847-1922) e l’i-taliano Antonio Meucci (1808-1896), con i quali, ad onor delvero, dovrebbero essere ricordati molti altri scienziati, tecnicied artigiani che, nel medesimo periodo, ma con minore for-tuna postuma, diedero importanti contributi al settore.

In questo scritto ho scelto, peraltro, di nonanalizzare gli aspetti tecnici dello sviluppodel telefono, ma di dare un breve sguardoad alcuni aspetti legati alla sua diffusionecome mezzo di comunicazione.A.G. Bell presentò il suo telefono, nel giu-gno del 1876, alla Centennial Exposition diPhiladelphia dove, malgrado l’interesse di-mostrato dall’Imperatore del Brasile, rice-vette una scarsa attenzione da parte delpubblico. Le stesse grandi imprese telegra-

fiche, che ormai avevano creato un servizio che copriva tuttal'America, non credendo in questo nuovo mezzo tecnologico,rifiutarono di acquistare il brevetto loro offerto. Il telefonovenne considerato come un oggetto curioso, un giocattolo, esolamente dopo alcuni anni, circa nel 1880, negli Stati Uniti,la Western Electric incominciò a investire massicciamente sul-lo sviluppo di questo nuovo mezzo di comunicazione, pen-sando che potesse diventare uno strumento molto utile, so-prattutto per gli uffici pubblici e per le imprese. Negli stessianni il telefono si diffuse anche in Europa dove presto entròanche nelle famiglie appartenenti alle classi più elevate deter-minando lo sviluppo di una nuova categoria di regole sociali;ad esempio l'uso dell'apparecchio prevedeva il divieto, alle si-gnore, di rispondere direttamente perché questo avrebbe po-tuto metterle in contatto con sconosciuti, quindi, nelle casedotate di telefono, che all'epoca erano ancora poche centi-naia, soltanto il maggiordomo era tenuto a rispondere ed afiltrare le telefonate. All'inizio della sua diffusione, quando sitelefonava e si chiedeva al centralinista di poter parlare con un

abbonato era sufficiente fornire il nome dell'interlocutore,perché gli utenti del servizio erano un numero talmente scar-so da potersi conoscere singolarmente; nel momento dellosviluppo del servizio ogni abbonato dovette essere identifica-to con un numero, le società telefoniche dovettero sviluppareun intervento di pubbliche relazioni estremamente delicato,perché gli utenti si rifiutavano di essere associati ad un nu-mero. Fino alla fine del XIX secolo il telefono rimase comun-que poco più che una curiosità; molto poco diffuso sia negliuffici che nelle famiglie. È solo dopo il 1900 che anche i go-verni si posero il problema di rendere pubblico questo servizioritenendolo importante per lo sviluppo economico nazionale.Particolarmente in Francia e in Italia, si svolse un interessantedibattito parlamentare, imperniato sulle ragioni e le modalitàche permettessero allo Stato di acquistare dalle società tele-foniche private le infrastrutture per poter trasformare il tele-fono in un servizio pubblico. In Italia, come in quasi tutte lenazioni, solo a partire dagli anni Sessanta del XX secolo il te-lefono diventerà uno strumento accessibile anche ai ceti so-ciali meno privilegiati per poi diffondersi in maniera quasi ca-pillare nel decennio successivo, trasformandosi in un insosti-tuibile strumento di comunicazione che solo in questi anni,con l’avvento del telefono cellulare, vede insidiare la sua po-sizione di prevalenza.

CRONOLOGIA DELLO SVILUPPO DELLA TELEFONIA PUBBLICA

IN ITALIA

1878 Prima sperimentazione ufficiale di telefonia interurba-na in Italia con un collegamento tra Roma (Quirinale) eTivoli.

1881 Viene emanato il D.M. che approva il "capitolato per leconcessioni del servizio telefonico". Vengono accordate37 concessioni. Gli abbonati al telefono sono circa 900.

1884 Gli abbonati al telefono sono 8.038. Il servizio interur-bano è ancora praticamente inesistente, se si esclude il

le v i e de l la comunicaz ione e l e t t r i ca .dal telefono al la radio

G.B. Porcheddu

Apparecchiotelefonico datavolo modelloAC 110. Svezia;1892; LM Ericsson.Per cortesia di:C. Pria, Bollate,Milano.Foto di:C. Porcheddu.

Centrale telefonica, modello SB 20+5.Gran Bretagna, 1930, Diag.Per cortesia di: F. Cremona,

Collez. “Cremona”, Colleferro, Roma.Foto di: C. Porcheddu.

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tratto a brevissima distanza Genova-Sampierdarena.Viene istituito, tra Monza e Milano, il primo servizio te-lefonico pubblico.

1907 L'utenza italiana del telefono cresce arrivando ad untotale di 42.734 abbonati.

1913 A Roma viene installata la prima centrale telefonica au-tomatica (che permette cioè di selezionare direttamen-te il numero desiderato senza passare per l'operatore)con una capacità di 200 numeri.

1924 Viene fissata la ripartizione del servizio telefonico in 5zone territoriali e vengono approvate le Concessioni al-le società Stipel, Telve, Timo, Teti e Stet.

1925 Istituita l'Azienda di Stato per i Servizi Telefonici (ASST)con il compito di gestire il servizio telefonico interurba-no a grande distanza, quello internazionale e di eserci-tare una funzione di controllo sulle 5 Concessionarie.Le Concessionarie iniziano la loro attività con laseguente ripartizione territoriale:1ª zona: (Piemonte e Lombardia) alla SocietàTelefonica Piemontese che diventerà Stipel (SocietàTelefonica Interregionale Piemontese e Lombarda);2ª zona: (Tre Venezie,Friuli,Zara) alla Telve (SocietàTelefonica delle tre Venezie);3ª zona (Emilia Romagna,Umbria,Abruzzi e Molise)alla Timo (Società Telefonica Italia Media Orientale);4ª zona: (Liguria,Toscana,Lazio e Sardegna) alla Teti(società Telefonica Tirrena);5ª zona: (Italia Meridionale e Sicilia) alla Set (SocietàEsercizi Telefonici).

1927 Vengono installati alla Fiera Campionaria di Milano iprimi 8 telefoni pubblici a gettone.

1929 La Teti realizza per prima in Italia il servizio automaticocelere con il quale l'abbonato può ottenere immediata-mente, ma ancora tramite operatore, una conversazio-ne interurbana. Viene effettuata dalla Stipel la prima co-municazione intercontinentale Italia-Usa (via Londra).

1931/32 Viene introdotta in Italia dalla Stipel la teleselezio-ne con l'attivazione delle prime direttrici a breve di-stanza.

1933 La crisi economica mondiale del 1929/30 si ripercuoteanche sulla telefonia italiana, tanto che il Gruppo Sip(Società Idroelettrica Piemontese), al quale fanno capole tre Concessionarie Stipel,Telve e Timo, si trova difronte a problemi finanziari. Questi problemi vengonorisolti dall'Iri con la creazione della Stet che rileva dallaSip le tre società telefoniche.

1940 Prima che gli eventi bellici della seconda guerra mon-diale distruggano gran parte degli impianti, gli abbo-nati al telefono in Italia sono 512.661.

1940/44 La rete telefonica italiana, in precedenza una dellepiù moderne del mondo, è quasi completamente di-strutta. Le conseguenze della guerra si fanno sentireanche sulla consistenza abbonati che scende a459.000.

1946/50 L'opera di ricostruzione viene portata avanti a tem-po di record. Già nel 1949 la ricostruzione è completaper quanto riguarda sia le 5 Concessionarie che l'Asst,la quale per l'Anno Santo del 1950 può mettere a dis-posizione del pubblico la rete nazionale totalmente ri-costruita ed ampliata del 30% rispetto al periodo pre-bellico.

1957 Una apposita commissione di studio, istituita su propo-sta del Consiglio Superiore Tecnico delle Telecomunica-zioni, redige il Piano Regolatore Telefonico Nazionale(DM 11.12.57). Il Piano stabilisce le norme fondamen-tali per l'espletamento dei servizi telefonici ad uso pub-blico gestiti sia dall'Asst che dalle Concessionarie. Nel-lo stesso anno vengono stipulate nuove convenzioniche prescrivono, tra l'altro, che il capitale azionario del-le Concessionarie sia in maggioranza di proprietà del-l'Iri. Stipel, Telve e Timo, già controllate da Stet, il cuiazionista di maggioranza è l'Iri, soddisfano queste con-dizioni. Teti e Set, invece, ottengono il rinnovo dellaconcessione solo dopo l'acquisto dei loro pacchetti dimaggioranza da parte dell'Iri, che li trasferisce alla Stet.

1964 Viene firmato l'atto di fusione tra Sip, Vizzola, Pce, Pi-nerolese di Elettricità, Stipel, Telve, Timo, Teti e Set conincorporazione delle società nella Sip che assume la de-nominazione di: Sip-Società Italiana per l'Esercizio Tele-fonico p.a. È l'atto di nascita della Sip che, subentran-do alle Concessionarie, gestisce il traffico telefonicosull'intero territorio nazionale. Gli abbonati sono pocopiù di 4 milioni con una densità di 8 abbonati ogni 100abitanti.

1968 Viene stipulata la Convenzione aggiuntiva tra Ministe-ro delle Poste e Telecomunicazioni e Sip, che assegnaall'Asst il traffico interurbano svolto tra 37 distretti te-lefonici ed a Sip il restante traffico interurbano, oltreovviamente, al traffico urbano che gestisce in esclusiva.Il servizio internazionale è invece ripartito tra Asst, conuna competenza per il traffico svolto con tutti i Paesieuropei e quelli extraeuropei del bacino del Mediterra-neo, ed Italcable (costituita nel 1921)

1969 Il nuovo assetto consente a Sip di completare l'auto-matizzazione delle centrali urbane.

1970 Il 31 ottobre viene completata la teleselezione su tutto ilterritorio nazionale. L'Italia è il sesto paese nel mondo adavere il servizio telefonico completamente automaticoinsieme con Repubblica Federale Tedesca, RepubblicaDemocratica Tedesca, Olanda, Svizzera e Hong Kong.

Apparecchio telefonico campale, modello 1915.Germania, circa 1915, Siemens & Halske.Per cortesia di: F. e S. Govoni, Bologna.Foto di: C. Porcheddu.

Apparecchiotelefonico campale,modello 33.Germania, 1933,varie Aziende.Per cortesia di:F. e S. Govoni,Bologna.Foto di:C. Porcheddu.

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1973 Attivazione, a carattere sperimentale, nell'area urbanadi Roma del Servizio Radiomobile di Conversazione.

1976 La Sip collega il 10 milionesimo abbonato ed il 15 mi-lionesimo apparecchio telefonico.

1985 Il 30 aprile la Sip trasforma la sua denominazione in: So-cietà Italiana per l'Esercizio delle Telecomunicazioni S.p.a.

1986/7 Attivazione di Itapac e della rete Collegamenti Di-retti Numerici e offerta dei nuovi servizi di Numero Ver-de Teleaudioconferenza e Gruppo Chiuso di Utenti.

1988 Sip avvia un massiccio piano di investimenti, denomina-to "Piano Europa", destinato a portare le telecomunica-zioni italiane a livello dei maggiori Paesi europei. Il Pianoprevede investimenti per 44.000 miliardi in 4 anni.

1990 A marzo diventa operativo in Italia il Servizio Radiomo-bile Tacs a 900 Mhz. Gli abbonati ai servizi Sip di Tele-fonia Mobile passano dai 66.070 del 1989 ai 265.962di fine 1990. Parte l'offerta dei Servizi Telefonici Sup-plementari (avviso di chiamata, trasferimento di chia-mata, conversazione a tre e telelettura dei contatori)resi possibili dalle nuove centrali numeriche.

1991 Viene attivata da parte di Sip la rete Isdn (IntegratedServices Digital Network). Continua il processo di am-modernamento della rete telefonica, con la sostituzio-ne delle centrali elettromeccaniche con le nuove a tec-nologia numerica.

1992 Ad ottobre alla rete radiomobile analogica Tacs a 900Mhz si affianca il sistema digitale paneuropeo Gsm(Global System for Mobile communications).

1993 Sip inaugura la nuova rete commerciale per l'utenzaResidenziale e l'utenza Affari minori. Inizia la commer-cializzazione dei nuovi servizi di Rete Intelligente. Gliabbonati al telefono sono oltre 24 milioni con una den-sità di 94,8 abbonati residenziali ogni 100 famiglie. Gliabbonati al servizio Radiomobile sono 1.207.000 e laSip è il primo gestore di servizi di Telefonia Mobile inEuropa per numero di abbonati. Gli abbonati collegatia centrali numeriche sono il 56,6% del totale.

1994 Il 18 agosto diventa operativa la fusione per incorpora-zione in Sip di Iritel, Italcable, Sirm e Telespazio. NasceTelecom Italia.

1995 Nasce Telecom Italia Mobile.

Riportiamo qui di seguito una sintetica scheda descrittiva de-gli apparati esposti in questa sezione della Mostra.

APPARECCHIO TELEFONICO DA TAVOLO MOD. AC 110

Svezia; 1892; LM EricssonUno dei più famosi telefoni mai prodotti; l’aspetto particolarelo fece ben presto identificare attraverso una serie di nomi-gnoli : “tax” (bassotto) in Svezia, “macchina per cucire” inDanimarca, “scheleton” (scheletro) in Australia, “Eiffel To-

wer” in USA, “ragno” in Italia. Modello di grande successo,rimase in produzione per circa 40 anni, e venne raffigurato,dal 1894, anche nel marchio di fabbrica dell’Azienda.Questo apparecchio telefonico è il capostipite della secondagenerazione di apparecchi telefonici prodotti dalla Ericsson;uno dei primi apparati, in tutto il mondo, ad essere caratte-rizzato dal fatto di avere la parte ricevente (il telefono) e laparte trasmittente (il microfono) unite tra loro a formare la“cornetta”, un dispositivo che rese più comodo l’impiego del-l’apparecchio e che l’Azienda aveva già impiegato, da alcunianni, esclusivamente nei centralini telefonici.L’esemplare esposto è stato cortesemente messo a disposizio-ne da: Carlo Pria, Bollate, Milano.

APPARECCHIO TELEFONICO DA MURO A BATTERIA LOCALE

Francia; circa 1900; S.te Ind.lle des TÉLÉPHONES, Systeme G.Bailleux B.te S.G.D.G.Classico esempio di apparecchio telefonico da muro che peril funzionamento impiegava una coppia di pile a liquido con-tenute nella cassetta inferiore. Questo tipo di apparecchi, evo-luzione dei modelli pionieristici, rimase in servizio per moltidecenni, specialmente nelle zone più disagiate dove lunghe li-nee telefoniche oppure il cattivo isolamento dei conduttori lofecero preferire al sistema a batteria centrale. Per le telefona-te l’utente doveva chiamare l’operatore della centrale, impie-gando il generatore a manovella, ed essere quindi messo incomunicazione con l’abbonato desiderato; al termine dellaconversazione si doveva chiamare nuovamente la centrale af-finché la connessione fosse chiusa.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Franco e Susanna Govoni, Bologna.

APPARECCHIO TELEFONICO CAMPALE

Austria; circa 1915; varie AziendeApparecchio telefonico a batteria locale specificamente pro-gettato per un uso militare. Modello standard impiegato dal-le truppe dell’impero austro-ungarico durante la prima guer-ra mondiale.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Museo del Dipartimento di Fisica, Si-stema Museale d’Ateneo, Università degli Studi, Bologna.

APPARECCHIO TELEFONICO CAMPALE, MOD. 1915

Germania; circa 1915; Siemens & HalskeApparecchio telefonico a batteria locale specificamente pro-gettato per un uso militare. Modello standard impiegato dal-le truppe germaniche durante la prima guerra mondiale.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Franco e Susanna Govoni, Bologna.

APPARECCHIO TELEFONICO CAMPALE, MOD. SITI-ANZALONE

Italia; circa 1915; SITIApparecchio telefonico a batteria locale specificamente pro-gettato per un uso militare. Modello, tra i più diffusi, impie-gato dalle truppe italiane durante la prima guerra mondiale.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Carlo Pria, Bollate, Milano.

Apparecchiotelefonicoautomatico datavolo. Italia, circa1936, FACE.Per cortesia di: C.e G.B. Porcheddu,Bologna. Foto di:C. Porcheddu.

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CENTRALE TELEFONICA, MOD. SB 20+5

Gran Bretagna; 1930; DiagLe centrali telefoniche sono apparecchiature che collegano traloro i singoli apparecchi telefonici; il modello esposto, di tipomanuale, permette la connessione di 20 linee a batteria loca-le e 5 linee a batteria centrale, consentendo fino ad 8 con-versazioni contemporaneamente. L’apparecchiatura, conte-nuta in un armadio di legno, è costituita dal pannello degli av-visatori di chiamata e fine conversazione, dal pannello deiconnettori per le linee telefoniche, dal tavolo operatore (con iconnettori, le spine di chiamata e di risposta, le leve di com-mutazione) dagli organi di chiamata e di conversazione. Ali-mentazione : 2 pile da 1,5 V per la conversazione, 1 batteriadi accumulatori da 24 V per la chiamata centralizzata.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, Collezione“Cremona”, Colleferro, Roma.

APPARECCHIO TELEFONICO CAMPALE, MOD. 33

Germania; 1933; varie AziendeApparecchio telefonico a batteria locale specificamente pro-gettato per un uso militare. Modello standard, dal caratteri-stico contenitore in bakelite, impiegato dalle truppe germani-che durante la seconda guerra mondiale. Di particolare signi-ficato, la razionalizzazione della produzione attraverso la pro-gettazione e la fornitura di sottounità intercambiabili tra loro,anche se provenienti da Aziende diverse, e la diminuzione deipesi; il contenitore esterno in bakelite, dalla forma caratteri-stica, venne utilizzato, sempre nell’ambito della razionalizza-zione della produzione e del contenimento dei costi, ancheper accogliere altre strumentazioni di comunicazione e di mi-sura. La costruzione dell’apparecchio in subunità determinainoltre una maggiore resistenza dell’apparato alle sollecitazio-ni dell’uso e una significativa diminuzione dei tempi di ripara-zione sul campo. Attraverso una serie di accessori poteva es-sere direttamente connesso a centralini telefonici, ad appara-ti radio funzionando come controllo a distanza, ad altri tele-foni dello stesso modello consentendo anche il reciproco col-legamento di linee telefoniche altrimenti indipendenti. Perl’impiego in ambienti rumorosi o per lasciare libere le manidell’operatore poteva essere corredato anche da cuffia e la-ringofono. Caratteristiche tecniche: dimensioni: 28X10X21cm circa; peso: 5,5 Kg circa.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Franco e Susanna Govoni, Bologna.

APPARECCHIO TELEFONICO AUTOMATICO DA TAVOLO

Italia; circa 1936; FACEApparecchio telefonico da tavolo prodotto, circa nel 1936,

dalla FACE (oggi Alcatel). Uno dei modelli più diffusi nelle abi-tazioni italiane che venne sostituito, progressivamente, solodopo il 1959 con l’introduzione del modello “unificato”.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Carlo Pria, Bollate, Milano.

APPARECCHIO TELEFONICO “ERICOFON”

Svezia; 1954; LM EricssonProgettato da Gösta Thames ed immesso sul mercato nel1954 fu un modello di immediato successo che, per la suacaratteristica forma, venne soprannominato “ Cobra”. Com-patto e leggero, pesa quanto una cornetta di un telefonodell’epoca, venne esibito al Museum of Modern Art di NewYork come uno dei migliori esempi di design del XX secolo,primo apparecchio telefonico ad essere inserito nelle esposi-zioni permanenti. La società Ericsson fin dalla seconda metàdegli anni ’30 stava studiando un apparecchio telefonico inun unico pezzo; nel 1941 propose un modello verticale (pro-getto di Hugo Blomberg e Ralph Lysell) e nel 1944 HansKraepelin sviluppò un modello orizzontale, l’Unifon. Tuttaviaquesti apparecchi telefonici, anche se funzionali ed affidabi-li, non incontrarono il gusto del pubblico tanto da non en-trare nella produzione di serie. Fu solo con l’ Ericofon che siraggiunse il successo commerciale tanto da produrlo in oltre2,5 milioni di esemplari, in diverse versioni tutte caratterizza-te da un ampia varietà di colori. I mercati di maggiore espor-tazione furono, Stati Uniti, Italia, Australia, Brasile e Svizzera.Inizialmente venne commercializzato solo per una clientelaistituzionale, tipicamente gli ospedali che, nelle intenzionidella Società, lo avrebbero messo a disposizione dei pazientiallettati, ma divenne ben presto un oggetto ricercato ed am-bito tanto da essere posto in vendita ai privati dal 1956. Ri-masto in produzione per oltre un ventennio, l’Ericofon subìfrequenti adeguamenti dei materiali alle nuove tecnologie eleggeri restyling che però non hanno alterato il progetto ori-ginale. Inizialmente la struttura esterna era costituita da duevalve incollate tra loro, ma dal 1958, utilizzando la tecnicadell’iniezione, venne prodotto in un’unica conchiglia, acqui-stando anche una maggiore curvatura del collo; circa nel1967, venne prodotta la prima versione con il tastierino com-binatore e nel 1976 una versione speciale per celebrare ilcentenario della Ditta.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Carlo Pria, Bollate, Milano.

CENTRALE TELEFONICA, MODULO DIDATTICO

Italia; circa 1935; FACESi tratta di un apparato, funzionante, che raccoglie una se-zione degli elementi costitutivi di una centrale telefonica au-tomatica meccanica; connesso ad un apparecchio telefonicoconsente di seguire i vari eventi che seguono alla composizio-ne di un numero telefonico. Il complesso, racchiuso all’inter-no di una teca espositiva, venne espressamente prodotto confinalità didattiche. L’esemplare esposto durante la mostra èstato cortesemente messo a disposizione da: Museo del Di-partimento di Fisica, Sistema Museale d’Ateneo, Universitàdegli Studi, Bologna (p. 148).

Apparecchio telefonico modello ERICOFON.Svezia, 1954, LM Ericsson.Per cortesia di: C. e G.B. Porcheddu,Bologna. Foto di: C. Porcheddu.

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LA TELEFONIA MOBILE

La telefonia mobile come oggi la conosciamo può essere con-siderata il risultato della evoluzione e della integrazione di duemezzi tecnologici, il telefono e la radio, che, solo apparente-mente, hanno percorso strade parallele per un lungo periododi tempo. Nella realtà questi strumenti di comunicazione so-no l’uno complementare all’altro e la migliore dimostrazionesta proprio nella diffusione che il “telefonino” ha raggiuntotrasformandosi, in pochi anni, da status simbol ad oggetto diuso comune.La telefonia mobile, nelle sue diverse espressioni, trova le sueorigini certamente nell'ambito della comunicazione militareche, dopo le drammatiche esperienze del primo conflittomondiale, si caratterizza come uno dei maggiori motori pro-

pulsivi della ricerca in questo settore.Nel 1921 vennero condotte, negli StatiUniti, alcune delle prime comunicazioniradiomobili sperimentali, inizialmentecon collegamenti unidirezionali tra unastazione trasmittente, fissa, e una rice-vente, mobile; tra questi degne di uncerto rilievo furono quelle effettuatepresso il Dipartimento di Polizia di De-troit in cui si utilizzò frequenze vicine ai2 MHz. Tuttavia solamente in seguitoallo scoppio della seconda guerra mon-diale si determinò un ulteriore e dram-matico avanzamento della ricerca nelcampo delle telecomunicazioni che por-tò alla realizzazione di apparecchiaturesempre più compatte ed affidabili. Tra ivari modelli di radiotelefoni, spesso traloro molto simili, prodotti dalle varienazioni giova ricordare l’apparato ame-ricano BC-611 (v. oltre, foto a fianco)che per il suo aspetto e le caratteristiche

di impiego può essere considerato uno dei più diretti prede-cessori degli attuali “cellulari”; lo stesso nomignolo con cui ve-niva comunemente identificato “handie-talkie”, che ne sotto-linea le elevate caratteristiche di trasportabilità e di impiego,designerà per molti anni a seguire una intera classe di appa-recchi radio ricetrasmittenti portatili caratterizzati dal fatto diessere impugnati e comandati con un’unica mano.Agli inizi degli anni '40, sempre negli USA, furono introdottipiccoli sistemi di telefonia mobile, estesi anche ad alcuni set-tori della vita civile (polizia, vigili del fuoco, trasporti, prontointervento). Si trattava di sistemi che utilizzavano, come sta-zione fissa, un singolo trasmettitore FM operante nella bandatra i 30 e i 40 MHz e che coprivano appena il perimetro deicentri abitati consentendo di effettuare chiamate da una au-tomobile o da un qualsiasi altro mezzo anche durante gli spo-stamenti. La struttura di questi sistemi rendeva il servizio ac-cessibile a pochissimi; le limitate frequenze disponibili, infatti,venivano assegnate direttamente agli utenti, una frequenza(o canale) per ogni utente, saturandone ben presto la dispo-nibilità. Solo in un secondo tempo si introdussero sistemi, co-siddetti di tipo trunked, nei quali tutti i canali sono a disposi-

zione di tutti gli utenti che all'occorrenza ne selezionano unolibero. Negli Stati Uniti il primo sistema di telefonia mobile dis-ponibile ai privati venne inaugurato nel 1945 a St. Louis, Mis-souri; gli utenti avevano la disponibilità di tre canali operantisulla frequenza di 150 MHz. In questi periodi un telefono daauto era quasi impossibile da acquistare. L’esiguo numero dicanali disponibili per i radiotelefoni, oltre a limitare il numeroglobale di queste installazioni, consentiva solo poche conver-sazioni simultanee e se a questo aggiungiamo gli alti costi diacquisto e di gestione è facile intuire come il telefono via ra-dio costituisse un vero e proprio status symbol. Dopo le primeesperienze pionieristiche, la sperimentazione proseguì fino al-l'inizio degli anni '80 quando, con le mutate condizioni di mer-cato, vennero introdotte vere e proprie reti di telefonia mobileaperte ad un potenziale e vasto pubblico di utenti. Nei sistemi delle moderne reti radiomobili per rendere dispo-nibile il servizio ad un ampio numero di utenti, solitamentemolto superiore al numero delle frequenze disponibili, si im-piega la tecnica del riutilizzo delle frequenze che si realizzasuddividendo il territorio in “celle”, da cui deriva il nome “cel-lulare”, cioè in una serie di porzioni di territorio tra loro con-tigue dotate di stazioni radio che trasmettono su un determi-nato numero di canali. Le frequenze utilizzate nelle varie cel-le sono diverse da quelle limitrofe, per evitare reciproche in-terferenze (interferenza cocanale). Il sistema funziona solo seil trasmettitore di ciascuna cella utilizza una potenza ridotta,in grado di coprire il territorio senza interferire con le altre.L'ampiezza e la forma della cella non sono standard, ma di-pendono dalla densità di popolazione, dalla presenza o menodi ostacoli in grado di impedire la propagazione del segnale,dalla posizione geografica del trasmettitore. Quando l'utente, durante gli spostamenti, passa da una cellaall'altra, è necessario che il terminale mobile, il telefonino, sisintonizzi su una nuova frequenza, tipicamente quella ricevu-ta meglio tra le frequenze della nuova cella. La procedura, og-gi completamente automatizzata, con la quale si effettua ilcambio di frequenza nel passare da una cella all'altra vienedetta handover. Quando il traffico in una cella tende ad avvicinarsi al massimoconsentito si può operare un ulteriore frazionamento del ter-ritorio, il cell-splitting, ottenendo due o più celle di minori di-mensioni, ciascuna delle quali ha, almeno in linea di principio,lo stesso numero di canali della cella originaria. In pratica unapiccola cella di un’area urbana può avere il diametro di circa2 Km che può aumentare, nelle aree a bassa densità abitati-va, fino a circa 15 Km.Le ricerche che ci hanno portato ad usufruire di questa tec-

Apparato radioricetrasmittenteAN/PRC-6/6.Germania, primianni ’60, varieAziende.Per cortesia di:L. Liberatore,Castel Guelfo,Bologna. Foto di:C. Porcheddu.

Apparecchio telefonico modello “Grillo”.Italia, 1966, Siemens.Per cortesia di: C. e G.B. Porcheddu, Bologna.Foto di: C. Porcheddu.

Apparato radioricetrasmittenteBC-611-F. USA,1945, ElectricalResearchLaboratoires Inc.Per cortesia di:F. e S. Govoni,Bologna.Foto di:C. Porcheddu.

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nologia cominciarono nel 1947, quando D.H. Ring, dei BellLaboratories, espose per la prima volta il concetto di “cellula-re” definendo i punti cardine di questo sistema: le celle, l’-handover e il cell-splitting. Solamente alla fine degli anni ’70,tuttavia, se ne iniziò la sperimentazione e l’applicazione prati-ca; un primo servizio commerciale venne avviato in Giapponenel 1978. Il primo sistema di telefonia mobile analogica di unacerta rilevanza fu l’AMPS (Advanced Mobile Phone Standard)sviluppato negli USA dai Bell Laboratories e commercializzatonel 1979 a Chigago, poi diffuso in tutti gli Stati Uniti dal1983. L’equivalente europeo, NMTS (Nordic Mobile Telepho-ne System), apparve per la prima volta nel 1981 in Svezia epoi negli altri Paesi Scandinavi. Successivamente in Inghilterra è stato sviluppato lo standardTACS (Total Access Communication System), una versione del-l’AMPS modificata ed apparsa per la prima volta nel 1985. Lecaratteristiche iniziali (1000 canali centrati nella banda 890-960 MHz) si sono evolute più tardi nello standard E-TACS (Ex-tended TACS), che assegna 1320 canali nella banda 872-950MHz. Questi primi sistemi cellulari vennero sviluppati indipen-dentemente da ogni nazione determinando una incompatibi-lità che ha limitato l’impiego di questi terminali mobili entro iconfini nazionali.In Italia il primo servizio di telefonia radiomobile, proposto nel1973 dalla Sip, era denominato RTMI (Radio Telefono MobileIntegrato), operava nella banda dei 160 MHz con 32 canali bi-direzionali, con terminali esclusivamente di tipo veicolare. L’u-tente che desiderava effettuare una chiamata impostava il nu-mero dell’utente con cui voleva parlare ed in centrale un ope-ratore provvedeva a collegarlo all’abbonato richiesto. La co-municazione in corso si interrompeva nel passaggio tra unacella e l’altra, non essendo previsto l’handover automatico.Pur con questi limiti operativi, dopo alcuni anni, nelle due

maggiori città italiane, Roma e Milano, il sistema venne satu-rato da una domanda superiore alle previsioni. Nel 1985 venne presentato al pubblico il sistema radiomobileRTMS (Radio Telephone Mobile System), progettato ed instal-lato dalla Italtel per conto della Sip, operante sulla frequenzadei 450 MHz con 200 canali radio. I terminali erano di tipoveicolare o portatile e superavano le limitazioni tipiche del si-stema RTMI; era possibile, infatti, chiamare direttamente gliabbonati e la comunicazione non si interrompeva quando cisi spostava da una cella all'altra. Questo sistema di telefoniacellulare era stato progettato con l'intenzione di servire unnumero di circa 40.000 utenti fino al 1995, anno in cui si pre-vedeva di aderire al sistema di telefonia mobile digitale euro-peo, operante sulla banda di 900 MHz (identificato successi-vamente come GSM). Anche il sistema RTMS ebbe vita breve,la grande richiesta di questo servizio portò, nel 1990, allaadozione del nuovo sistema di telefonia mobile ETACS. L’im-piego di terminali di tipo palmare (i primi veri telefonini) ra-gionevolmente economici e l’adozione di abbonamenti contariffe differenziate determinarono la grande diffusione dellatelefonia cellulare nel nostro paese. La rete E-TACS, attual-mente ancora operativa, è gestita, in Italia, solamente dallaTim-Italia e cesserà di esistere, secondo i dati ufficiali, nel2008. Nel 1982 la Conférence Européenne des Postes et des Télé-communications (CEPT), su proposta della Telecom norvegesee della PTT olandese, formò un gruppo di studio denominatoGroupe Spécial Mobile (GSM) con lo scopo di studiare e svi-luppare un sistema radiomobile cellulare digitale, di secondagenerazione, comune a tutti i paesi dell’Europa occidentale.Un primo accordo tra i paesi aderenti, portò alla decisione diriservare per questo sistema due bande di frequenza: 890-915 e 935-960 MHz. Nel 1987 si arrivò alla stesura di un pro-tocollo per l’introduzione coordinata del sistema GSM che sa-rebbe divenuto operativo il primo Luglio 1991. Nel 1989 la re-sponsabilità del progetto GSM venne trasferita ad un Comi-tato Tecnico della European Telecommunication Standards In-stitute. In quella sede venne anche ridefinito il significato del-l’acronimo GSM come Global System for Mobile Communica-tions. Il Comitato Tecnico ha elaborato normative, standard especifiche tecniche che, pur lasciando spazio a flessibilità e in-novazioni competitive da parte dei produttori, forniscono unasufficiente standardizzazione per garantire l’effettiva interco-municabilità tra le componenti del sistema. Il sistema GSM ècaratterizzato dall’impiego della tecnologia digitale grazie al-la quale si possono inviare fax, scambiare dati a bassa veloci-tà (9,6 Kbit/sec), scambiare messaggi attraverso il sistemaSMS (Short Message System) con l’unica limitazione di unmassimo di 160 caratteri. Il servizio venne commercializzatoper la prima volta verso la metà del 1991 e nel 1993 esiste-vano già 36 reti GSM in 22 paesi. È interessante ricordare che,sebbene il GSM sia stato standardizzato in Europa, non è unostandard esclusivamente europeo essendo stato progressiva-mente adottato in oltre 80 paesi sparsi in tutto il mondo econtinua tuttora ad espandersi. Attualmente l’evoluzione della telefonia mobile è da un latoorientata alla produzione di nuove tecnologie capaci di po-

Apparato Telefonico modelloTA-1/PT. USA, 1968, CrownControls Corp.Per cortesia di: F. e S. Govoni,Bologna. Foto di: C. Porcheddu.

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tenziare la rete GSM, quali il WAP (Wireless Application Pro-tocol) ed il GPRS (General Packet Radio Service), dall’altro ègià in fase avanzata di definizione un nuovo standard, l’UMTS(Universal Mobile Telecommunication System) la cosiddettaterza generazione dei telefoni mobili, che nelle previsioni do-vrà permettere la nascita di uno strumento multimediale ca-pace di comunicare con qualsiasi angolo del globo attraversola voce, le immagini, i pacchetti di dati, collegandosi diretta-mente ad Internet senza bisogno di passare attraverso un per-sonal computer.Per quanto riguarda la ricerca avanzata nel settore della tele-fonia mobile si stanno già studiando nuovi sistemi di comuni-cazione, la quarta generazione. Riportiamo qui di seguito unasintetica scheda descrittiva degli apparati a suo tempo espo-sti in questa sezione della Mostra.

APPARATO RADIO RICETRASMITTENTE BC- 611-F

USA; 1945; Electrical Research Laboratoires Inc.Questo apparato, a destinazione militare, venne inizialmentesviluppato dalla Galvin Manufacturing Corporation, oggi Mo-torola, nei primi anni ’40 e, solo in un secondo tempo, la suaproduzione venne estesa anche ad altre Aziende. Destinato adessere impiegato dalle pattuglie in posizioni avanzate per man-tenere i contatti con il resto delle formazioni, il nomignolo concui veniva comunemente identificato “handie-talkie”, ne sot-tolinea le elevate caratteristiche di trasportabilità e di impiegoe designerà per molti anni a seguire una intera classe di appa-recchi radio ricetrasmittenti portatili caratterizzati dal fatto diessere impugnati e comandati con un’unica mano. Per il suoaspetto e le caratteristiche di impiego può essere consideratouno dei più diretti predecessori degli attuali “cellulari”. Carat-teristiche tecniche: copertura di frequenza: da 3,5 a 6 MHz, unsolo canale controllato a quarzo. Tipo di modulazione: AM.Potenza di uscita del trasmettitore: circa 200 mW. Alimenta-zione: con batterie a secco, entrocontenute. Dimensioni: ca.32x9x9 cm. Peso: circa 3 Kg (batterie comprese).L’esemplare esposto è stato cortesemente messo a disposizio-ne da: Franco e Susanna Govoni, Bologna.

APPARATO RADIO RICETRASMITTENTE AN/PRC-6/6

Germania; primi anni ’60; varie AziendeVersione europea della originale produzione americana dallaquale si differenzia principalmente per avere la possibilità disintonizzarsi su uno di sei canali prefissati. Per la forma ar-cuata venne soprannominato “banana”. Caratteristiche diimpiego simili al BC-611 (vedi scheda precedente). Caratteri-stiche tecniche: copertura di frequenza: da 47 a 55 MHz, seicanali controllati a quarzo. Tipo di modulazione: FM. Potenzadi uscita del trasmettitore: circa 250 mW. Alimentazione: conbatteria a secco, entrocontenuta. Dimensioni: circa 36x12x9cm. Peso: circa 1,5 Kg senza batterie.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Luca Liberatore, Castel Guelfo, Bo-logna.

APPARECCHIO TELEFONICO “GRILLO”

Italia; 1966; SiemensApparecchio telefonico molto compatto, all’epoca di designnon tradizionale, progettato da Marco Zanuso e da RichardSapper, premiato con il Compasso d’oro (1967). Benché nonsia, in assoluto, il primo telefono in un unico pezzo, tuttavia,per le sue caratteristiche di maneggiabilità, di riduzione degliingombri, di “design” può essere considerato come il puntodi passaggio tra il telefono tradizionale ed il “telefonino” pal-mare. Il risultato ottenuto è ancora più notevole se si consi-dera che tutto è stato realizzato senza la miniaturizzazioneconsentita dalla tecnologia elettronica. Giova ricordare come,a conferma della validità della soluzione, la forma a “conchi-glia” (due valve tra loro incernierate con un meccanismo amolla) caratteristica del “grillo” sia stata ripresa nell’attualeproduzione dei telefoni cellulari palmari.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Carlo Pria, Bollate, Milano

APPARATO TELEFONICO MOD. TA-1/PT

USA; 1968; Crown Controls Corp.L’apparato TA-1/PT è un telefono prodotto per le Forze Arma-te USA, leggero ed impermeabile è destinato all’impiego cam-pale in aree di combattimento avanzate. Può comunicare conqualsiasi telefono o centrale telefonica a batteria locale. Per ilfunzionamento è corredato da un generatore a manovella. Ca-ratteristiche tecniche: peso: circa 1,300 Kg. Distanza massimaraggiungibile: circa 6 Km. Alimentazione: non necessita di ali-mentazione in quanto fa uso di un microfono elettrodinamico.Segnalazione di chiamata: visuale o con ronzatore (con possi-bilità di regolazione del volume o di esclusione).L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Franco e Susanna Govoni, Bologna.

APPARECCHIO TELEFONICO PORTATILE “CELLULARE”,

MOD. HSX-2LS

Finlandia; fine anni ‘80; NOKIAL’esemplare esposto è uno dei primi esemplari impiegati in Ita-lia per il sistema ETACS (Extended Total Access Communica-tion System); di dimensioni, per l’epoca, ragionevolmentecontenute nell’aspetto ricorda ancora l’apparecchio telefoni-

Antenna goniometrica modello F-2469.Gran Bretagna, circa 1935, G. Marconi Co.Per cortesia di: N. Neri, Bologna.Foto di: C. Porcheddu.

Apparecchiatura radio per agenti speciali,modello R-301. Gran Bretagna, 1944, varieaziende. Per cortesia di: M. Moretti, Pesaro.Foto di: C. Porcheddu.

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co da tavolo di produzione coeva. Caratteristiche tecniche:Tecnologia: ETACS. Frequenza di lavoro: 900 MHz. Potenzadel trasmettitore: 4 W.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Il Telefonino TIM, Bologna.

RADIO PER IMPIEGHI SPECIALI

Negli anni ’30 del XX secolo la tecnologia delle telecomuni-cazioni e specialmente delle radiotrasmissioni diventa moltopiù affidabile e sofisticata. Nella componentistica (in partico-lare nei tubi elettronici) aumenta la qualità delle prestazioni ediminuisce l’ingombro ; anche se la drastica diminuzione del-le dimensioni si manifesta negli anni ’60 con l’avvento dell’e-lettronica a stato solido (i transistor). Si creano, quindi, le con-dizioni “tecnologiche” per la realizzazione di apparati per ra-diocomunicazioni sempre più compatti.Il naturale sviluppo di questa tendenza è la produzione di ap-parati, per l’epoca, di piccole dimensioni che permettano dicomunicare via radio a persone che “vivono” (e muoiono) tra-smettendo informazioni nelle più disparate e difficili situazio-ni, gli “agenti speciali” appunto. Si tratta di apparecchiature poco conosciute proprio perché ladestinazione ai Servizi Speciali le ha sempre fatte considerarecome Top Secret, anche oggi, in un’epoca nella quale, in li-bera vendita, troviamo apparecchiature che, a parità di in-gombro, offrono prestazioni infinitamente superiori.Durante il periodo della Mostra è stata realizzata una sezio-ne specificamente dedicata a questo settore dove sono sta-te esposte “radio in valigia” (erano apparati compatti, manon troppo) prodotte a partire dagli anni ’30 (la radio italia-na mod.TX0-OC3) fino ad apparati relativamente recentiquali le stazioni di produzione russa dei primi anni’80 forni-te di tutta una serie di accessori che permettono le trasmis-sioni ad alta velocità (più breve è il tempo di trasmissione piùè difficile localizzare la trasmittente), in codice, in telegrafiamorse anche per inesperti (con i cosiddetti “pettini”), ecc.Sono comunque rappresentati alcuni modelli delle stazioniradio prodotte, durante la seconda guerra mondiale in Eu-ropa e USA. A questi apparati si contrappongono i “caccia-tori”, cioè gli apparati di radiolocalizzazione (o radiogonio-metri), (una scena ricorrente in molti film di guerra è quelladell’autocarro tedesco, con quelle strane antenne sul tetto,che cerca di trovare la spia che trasmette). Di questa sezionericordiamo in particolare tre apparati, un radiogoniometrocampale Telefunken-OLAP (prodotto in Italia, dietro licenza,negli anni ‘30); la stazione “IMCA 0,4 W” di produzione ita-liana per microonde (primi anni ’40); il Direction Finding SCR-504 di produzione USA, un radiogoniometro in valigia usatodalle spie per localizzare le spie.Riportiamo qui di seguito una sintetica scheda descrittiva degliapparati a suo tempo esposti in questa sezione della Mostra.

APPARECCHIATURA RADIO PER SERVIZI SPECIALI,

MODELLO TX0-OC3

Italia; 1940; varie AziendeApparecchiatura impiegata dal SIM (Servizio Informazioni Mi-litari), operante nel campo delle onde corte, che permetteva

di effettuare comunicazioni anche su lunghe distanze sfrut-tando le frequenze e le condizioni di propagazione più favo-revoli. Costituito da diverse subunità: complesso ricetrasmit-tente, alimentatore in corrente alternata e in corrente conti-nua, cuffie, tasto telegrafico, antenna filare, una serie di bo-bine e quarzi per le diverse frequenze di funzionamento. De-gna di nota è la tavoletta scanalata, il cosiddetto “pettine”,che permette, impiegando un particolare puntale conduttore,di trasmettere i numeri secondo il codice Morse anche ad unoperatore inesperto.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, Collezione“Cremona”, Colleferro, Roma.

APPARECCHIATURA RADIO PER SERVIZI SPECIALI,

MODELLO SSTR-1

USA; circa 1940; varie AziendeSi tratta probabilmente della più famosa radio clandestinausata dagli agenti dell’OSS (Office of Strategic Service) statu-nitense durante la seconda guerra mondiale. L’apparato ope-ra in onde corte ed era tipicamente trasportato in una valigiadi produzione comune, così da passare inosservata; a questoproposito è risaputo come agli agenti venissero fornite le va-ligie acquistate dagli europei che, in quegli anni, riparavanonegli Stati Uniti. Il progetto venne sviluppato da Earl Ander-son, un ricercatore dell’RCA, che definì le dimensioni dell’ap-parato per poterlo nascondere all’interno di una pagnotta eu-ropea; durante tutto il periodo bellico questa stazione vennecontinuamente modificata sia nella parte circuitale sia nel de-sign per renderla sempre più adatta alla sua particolare desti-nazione. L’apparato era noto per la deriva di frequenza chel’operatore cercava di recuperare spostando, lentamente, lochassis rispetto al contenitore esterno avendo preventivamen-te rimosso le viti di fissaggio. Caratteristiche tecniche: RICEVI-TORE tipo SSR-1. Dimensioni, 9,5”x4”x3”. Peso 5 lbs. Tubi im-piegati, 2/6SG7,6SA7, 6SQ7,6SN7 (prime versioni), 3/7V7,7F7, 7Q7 (ultime versioni). MF: 2000 KHz (prime versioni),455 KHz (ultime versioni). Copertura di frequenza da 2,7 a 17MHz in 3 bande. TRASMETTITORE tipo SST-1. Dimensioni,9,5”x4”x3”. Peso 4 lbs. Tubi impiegati, 6L6 nello stadio fina-le. Copertura di frequenza da 3 a 14 MHz in 3 bande. Poten-za in uscita 8-15W. ALIMENTATORE tipo SSP-1. Dimensioni,6”x3,5”x9,5”. Peso, 10 lbs. Tubi impiegati, 7Z4. Tipo di ali-mentazione richiesta, universale in c.a., 6 V in cc. Tipo SSP-2.Dimensioni, 4”x3,5”x9,5”. Peso, 7 lbs. Tipo di alimentazionerichiesta,6 V in cc. ALIMENTATORE: tipo SSP-3. Peso, 23 lbs. Fun-zionamento a termocoppia. L’alimentatore SSP-3 era sopran-nominato YTB-1 (Yak Turd Burner). Oltre alle tensioni per ilfunzionamento dell’apparato può essere utilizzato anche co-me carica batteria. ALIMENTATORE: tipo SSP-4. Dimensioni,4”x3,5”x9,5”. Peso, 11 lbs. Tipo di alimentazione richiesta,universale in c.a.

Apparecchiaturaradio per agentispeciali, modelloBP 3.Polonia-GranBretagna,circa 1941,varie aziende.Per cortesia di:M. Moretti, Pesaro.Foto di: C.Porcheddu.

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L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Franco e Susanna Govoni, Bologna.

APPARECCHIATURA RADIO PER AGENTI SPECIALI, MODELLO BP 3

Polonia-Gran Bretagna; circa 1941; varie Aziende

Apparecchiatura radio progettata dai tecnici polacchi rifugia-ti in Gran Bretagna dopo lo scoppio della seconda guerramondiale, di caratteristiche molto compatte venne impiegataprevalentemente dagli agenti del SIS (Secret Intelligence Ser-vice). Assieme al complesso radio AP 4 è uno dei più famosiapparati prodotti da questo gruppo di progettisti. Coperturadi frequenza: da 2 a 8 MHz. Potenza in uscita: circa 30 W.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Marco Moretti, Pesaro

APPARECCHIATURA RADIO PER SERVIZI SPECIALI MOD. 3 MK II (B2)

Gran Bretagna; circa 1942; varie AziendeSi tratta del modello di radio per agenti speciali più diffuso econosciuto tra quelli prodotti in Gran Bretagna durante il se-condo conflitto mondiale, solitamente messo a disposizionedei gruppi combattenti infiltrati in territorio nemico oppuredelle formazioni quali i maquis francesi o i “partigiani” italia-ni. Questa stazione radio fu progettata, nel 1942, da JohnBrown, un ufficiale del Corpo Segnalatori dell’esercito britan-nico destinato, fin dal 1941, ad un laboratorio di ricerca conil compito di realizzare nuove stazioni radio per il SOE (SpecialOperations Executive); di suo progetto furono anche altre duefamose stazioni radio, la MCR Mk I (Miniature Communica-tion Receiver), meglio conosciuta come “Biscuit Tin Radio”, el’apparato radio A Mk III. Caratteristiche tecniche: Dimensio-ni: circa 47x34x15 cm, con tutte le subunità collegate per ilfunzionamento. Peso: circa 15 Kg. Alimentazione: 97-250 Vin c.a. oppure 6 V in c.c. Ricevitore: supereterodina a quattrovalvole, copertura di frequenza da 3,1 a 15,5 MHz in tre ban-de, tipo di segnale ricevuto telegrafia e telefonia

(AM/MCW/CW). Trasmettitore: copertura di frequenza da 3 a16 MHz in tre bande, potenza in uscita di circa 20 W.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, Collezione“Cremona”, Colleferro, Roma.

APPARECCHIATURA RADIO PER SERVIZI SPECIALI, MOD. SST/G

USA; 1943; varie AziendeApparato che ha sostituito il modello SSTR-1, al quale si ri-chiama nell’aspetto esteriore.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Marco Moretti, Pesaro.

APPARECCHIATURA RADIO PER “AGENTI SPECIALI” MOD. R-301

Gran Bretagna; 1944; varie Aziende.Si tratta di un apparato ricevente nel quale si è data partico-lare importanza alla miniaturizzazione dei componenti.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Marco Moretti, Pesaro.

APPARECCHIATURA RADIO PER SERVIZI SPECIALI, MOD. RS-6

USA; circa 1952; varie AziendeStazione radio operante nel campo delle onde corte, costitui-ta da quattro subunità. Venne fornita a diverse agenzie go-vernative statunitensi e tra esse alla CIA (Central IntelligenceAgency) e al SAC (Strategical Air Commando) che la impiegòcome dotazione di emergenza per i piloti degli apparecchi

Apparecchiatura radio per servizi speciali,modello SSTR-1. USA; circa 1940; varieAziende. Per cortesia di: F. e S. Govoni,Bologna. Foto di: C. Porcheddu.

Apparecchiaturaradio per servizispeciali, DirectionFinding SetSCR-504. USA;1939; varieAziende.Per cortesia di:F. Cremona,Collezione“Cremona”,Colleferro, Roma.Foto di:C. Porcheddu.

Apparecchiatura radio per servizi speciali,modello RS-6. USA; circa 1952; varieAziende. Trasmettitore RT-6.Per cortesia di: F. e S. Govoni, Bologna.Foto di: C. Porcheddu.

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B/RB-47E, B/47 ECM, B/RB- 52E. Il progetto venne pratica-mente realizzato dalla RDR (Radio Development & ResearchCorp.) di New York, una società che fornì i prototipi di molteapparecchiature dell’OSS e della CIA; la produzione di serievenne invece affidata alla GTE di Waltham e forse ad altreAziende del settore. È una stazione di non facile impiego acausa dei numerosi cavi di collegamento, di alcune macchi-nose procedure di funzionamento, delle scarse possibilità dimanutenzione campale; limiti, verosimilmente, da imputarealla scelta di raggiungere la massima miniaturizzazione possi-bile. Caratteristiche tecniche: RICEVITORE tipo RR-6: dimensioni,6 3/4”X5”X2 1/4”; peso 3 lbs 2 oz; tubi impiegati, 4/5899;3/5718; copertura di frequenza da 3 a 15 MHz in 2 bande;controllo di frequenza a VFO o tramite cristallo; corredatoinoltre di BFO e cristallo di calibrazione. TRASMETTITORE tipo RT-6: dimensioni, 6 3/4”X5”X2 3/32”; peso 2 lbs 14 oz; tubi im-piegati, 6AG5, 2E26; copertura di frequenza da 3 a 16,5 MHzin 2 bande; potenza in uscita: circa 6-10 W. ALIMENTATORE tipoRP-6: dimensioni, 8 1/16”X4”X2 3/16”; peso 5 lbs 11 oz tu-bi impiegati, 6X4; UNITÀ FILTRO tipo RA-6: dimensioni, 81/16”X4”X2; peso, 3 lbs 11 oz.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Franco e Susanna Govoni, Bologna.

APPARECCHIATURA RADIO PER SERVIZI SPECIALI

URSS; circa 1960; varie AziendeImpiegata dagli agenti del KGB (Komitet GosudarstvennoyBezopasuosti; il servizio responsabile dello spionaggio all’e-stero e della sicurezza interna dell’URSS) tra gli anni ’50 e ’60nell’Europa occidentale e in Asia orientale. Caratteristicamen-te priva di contrassegni identificativi, nelle modalità costrutti-ve si richiama alla coeva produzione britannica. Come tutte leradio per servizi speciali prodotte prime della miniaturizzazio-

ne consentita dai semiconduttori l’apparecchiatura è costitui-ta da alcune sottounità (moduli) per favorirne l’occultamentoe la trasportabilità.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, Collezione“Cremona”, Colleferro, Roma.

APPARECCHIATURA RADIO, MOD. R-832-M

URSS; 1968; varie AziendeStazione radio di bordo per caccia-bombardiere MiG-21-FM(Fishbed), costituita da una serie di moduli stagni e pressuriz-zati connessi attraverso una serie di cavi che permettono ilposizionamento all’interno dei limitati spazi disponibili nel ve-livolo. Caratteristiche tecniche: l’apparato opera in due distin-te bande di frequenza su venti canali, preselezionati tra i dis-ponibili, nella banda VHF da 118 a 140 MHz (in 617 canali) enella banda UHF da 220 a 389,95 MHz (in 3400 canali). Po-tenza irradiata (con antenna filare di 5 m ed impedenza di 75Ω) circa 15 W. Ricevitore supereterodina a tripla conversionedi frequenza. La stazione permette di comunicare sia in fonia(A3) che in telegrafia (F1).L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Traditionsverein Fernmelde-/Elektro-nische Aufklärung Luftwaffe e. V., Trier, Deutschland.

APPARECCHIATURA RADIO PER SERVIZI SPECIALI,

MOD. R- 350 M (OREL)

URSS; prima metà anni ’70; varie AziendeTipico esempio di stazione radio per servizi speciali del perio-do della “guerra fredda”. Si tratta di una serie di apparec-

Apparecchiatura radio per servizi speciali, modello RS-6. USA;circa 1952; varie Aziende. Ricevitore RR-6.Per cortesia di: F. e S. Govoni, Bologna. Foto di: C. Porcheddu.

Apparecchiatura radio per servizi speciali, modello R-350 M (OREL). URSS; prima metà anni’70; varie Aziende. Per cortesia di: Traditionsverein Fernmelde-/Elektronische AufklärungLuftwaffe e.V., Trier, Deutschland. Foto di: C. Porcheddu.

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chiature che sia nell’aspetto esteriore sia nel progetto si stac-cano dalla precedente produzione russa legata alle tecnologiebelliche; vengono fornite di dispositivi per la trasmissione te-legrafica ad alta velocità e di sistemi di sintonia automaticache permettono di diminuire drasticamente i tempi di tra-smissione e, di conseguenza, il rischio di intercettazione e didisturbo. Questo modello, uno dei più diffusi, venne impiega-to per missioni speciali (Spetznaz) e da truppe regolari per es-sere usato in azioni nelle retrovie nemiche, raccoglie in un uni-co contenitore metallico la stazione vera e propria, il sistemadi alimentazione e gli accessori. L’apparato esposto è comple-to di un interessante dispositivo, molto compatto, che svolgela funzione di tasto telegrafico, permette la trasmissione incodice Morse ad operatori non esperti e consente la “lettura”di pellicole fotografiche del formato 35 mm preventivamenteperforate consentendo la trasmissione, in quest’ultimo modo,di grandi quantità di informazioni in tempi molto brevi. Ca-ratteristiche tecniche: dimensioni circa 35x32x15 cm; pesocirca 12,5 Kg; copertura di frequenza: trasmettitore da 1,8 a12 MHz, ricevitore da 1,8 a 7 MHz; tipo di modulazione: tra-smettitore solo telegrafia (CW) ricevitore telegrafia e telefonia(CW, MCW, AM); potenza in uscita: circa 10 W; alimentazio-ne: 4 batterie Zn-Ag che attraverso un trasformatore-elevato-re forniscono le alte tensioni per i tubi elettronici.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Traditionsverein Fernmelde-/Elektro-nische Aufklärung Luftwaffe e. V., Trier, Deutschland.

APPARECCHIATURA RADIO PER AGENTI SPECIALI,

MODELLO R-353 (PROTON)

URSS; circa 1975; varie AziendeApparato molto compatto fornito di micro scale di sintonia edantenne separate per le sezioni trasmittente e ricevente, com-

pleto di tasto telegrafico di tipo tradizionale e di un disco com-binatore meccanico per la trasmissione di soli numeri ; per letrasmissioni ad alta velocità è fornito di un dispositivo per la re-gistrazione di segnali in codice su nastro magnetico (burst co-de transmitter). Esistono due varianti una per alimentazione incorrente continua e una per corrente alternata.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Marco Moretti, Pesaro.

APPARECCHIATURA RADIO PER IMPIEGHI SPECIALI,

MODELLO R-147

URSS; circa 1985; varie AziendeApparato ricetrasmittente estremamente compatto, destinatoall’impiego individuale su brevi distanze in zone avanzate dicombattimento. Completamente a stato solido, prodotto contecnologia a “film sottile”. Copertura di frequenza: quattrocanali, predefiniti a seconda del modello, tra 44 e 51,8 Mhz.Tipo di modulazione: FM. Potenza del trasmettitore: circa 130mW. Alimentazione: batterie ricaricabili (6-7,5 V), oppure conbatterie a secco (9 V). Distanze raggiungibili: fino ad un Km,secondo il tipo di antenna impiegato (a frusta o a filo, en-trambe in dotazione). Dimensioni: circa 8x12x5 cm. Peso: cir-ca 700g (compreso accessori e borsa per il trasporto).L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Franco e Susanna Govoni, Bologna.

RADIOGONIOMETRO CAMPALE, MOD. E 393 N

Italia; 1938; Telefunken-OLAPApparato radio ricevente che permette la localizzazione go-niometrica di una stazione trasmittente. L’apparato radiogo-niometrico identifica solamente la direzione e l’origine dellastazione trasmittente, ma non la distanza; per questa ragionela localizzazione precisa avviene impiegando almeno tre sta-zioni contemporaneamente, attraverso il metodo della trian-golazione. L’apparato poteva essere installato, oltre che in po-sizione fissa, sia su veicolo sia su aeroplano. L’installazionecompleta è costituita da : radio ricevitore, due antenne a qua-dro, una antenna a frusta, un supporto goniometrico d’an-tenna, una base di supporto, batterie, accessori. Copertura difrequenza: da 0,75 a 33,3 MHz in cinque bande.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, Collezione“Cremona”, Colleferro, Roma.

APPARECCHIATURA RADIO PER SERVIZI SPECIALI,

DIRECTION FINDING SET SCR-504

USA; 1939; varie AziendeRadiogoniometro portatile contenuto in una valigia apposita-mente costruita, utilizzato per localizzare con precisione sta-

Apparecchiaturaradio per agentispeciali, modelloR-353 (PROTON).URSS, circa 1975,varie Aziende.Per cortesia di:M. Moretti, Pesaro.Foto di: C.Porcheddu.

Apparecchiatura radio per impieghi speciali,modello R-147. URSS, circa 1985, varieAziende. Per cortesia di: F. e S. Govoni,Bologna. Foto di: C. Porcheddu.

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riazioni radio trasmittenti clandestine in precedenza identificate

da altri apparati di radioascolto e localizzazione. Impiegatoprincipalmente in aree ad alta densità abitativa dove le stazio-ni radiogoniometriche mobili potevano essere, per le lorograndi dimensioni, facilmente identificate. Il funzionamentosul “campo” è previsto con valigia chiusa, dissimulando l’auri-colare (del tutto simile a quelli usati per ipoudenti) tra gli abitie regolando le varie funzioni attraverso i comandi posizionatialla base della maniglia di trasporto. Caratteristiche tecniche:ricevitore supereterodina ad otto tubi; copertura di frequenzada 0,1 a 65 MHz, in 8 bande; tipo di segnale ricevuto: AM eCW; MF: 455 o 910 KHz; alimentazione tramite batterie a sec-co BB-51 e BB-52; documentazione tecnica: TM 11-862.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, Collezione“Cremona”, Colleferro, Roma.

STAZIONE RADIO PER SERVIZI SPECIALI, IMCA 0,4 W

Italia; circa 1943; ImcaradioStazione radio ricetrasmittente impiegata dal DICAT (DifesaTerritoriale) di caratteristiche radioelettriche molto interessan-ti, uno dei primissimi esempi italiani di produzione industrialenel campo delle onde ultra corte (VHF); risulta composta datre sottounità: TRASMETTITORE IF 602 - copertura di frequenza :da 59 a 64,5 MHz in un’unica frequenza preselezionabile econtrollata a quarzo. RICEVITORE IF 607 - supereterodina a 6valvole, copertura di frequenza: continua da 58,5 a 65 MHzin unica banda. ALIMENTATORE IF 21 S - permette il funziona-mento dell’intera stazione, contiene inoltre una sezione am-plificatrice di bassa frequenza che consente l’ascolto in alto-parlante, anche esso contenuto in questa unità.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, Collezione“Cremona”, Colleferro RM.

ANTENNA GONIOMETRICA, MOD. F-2469

Gran Bretagna; circa 1935; Marconi Co.Antenna goniometrica di impiego navale, completamente inbronzo per resistere alla corrosione dell’ambiente marino. Co-stituita da una base cubica sulla quale sono fissate un’anten-na a telaio (costituita da due anelli concentrici ed ortogonalitra loro, di circa 80 cm di diametro) ed una antenna a “fru-sta” verticale (di circa 3 metri di lunghezza) inserita, nella ba-se, all’intersezione dei due anelli. L’impiego dei due tipi di an-tenna permette di definire la direzione e il verso di provenien-za del segnale ricevuto. Peso: circa 20 Kg.

L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Nerio Neri, Bologna.

RADIOGONIOMETRO CAMPALE A BREVE RAGGIO, MOD. P 100/2

Germania; seconda metà anni ‘50; TelefunkenApparato radio ricevente che permette la localizzazione go-niometrica di una stazione trasmittente. L’apparato, nel designe nelle caratteristiche radioelettriche, si richiama fortementealla produzione anteriore alla seconda guerra mondiale (vedischeda relativa all’apparato E 393 N, a p. 56) a dimostrazionedella persistenza e della validità delle soluzioni adottate.Caratteristiche tecniche: ricevitore supereterodina con coper-tura di frequenza da 1,5 a 30 MHz in cinque bande; peso cir-ca 20 Kg (solo ricevitore); dimensioni circa 50x50x50 cm.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Traditionsverein Fernmelde-/Elktroni-sche Aufklärung Luftwaffe e. V., Trier, Deutschland.

LA CRITTOGRAFIA

L’uomo, nel corso della propria evoluzione, ha dedicato moltisforzi, tecnici e culturali, all’impresa di comunicare, cioè di“rendere comuni”, dati e conoscenze, idee e sentimenti, im-magini e rappresentazioni, fino al punto di fare della comuni-cazione non solo uno strumento accessorio all’azione, ma unavera e propria “azione comunicativa”. Altrettanto impegno èstato profuso nel tentativo di tutelare la riservatezza del mes-saggio, cioè di indirizzare la comunicazione solo verso taluniindividui; se tale fine è relativamente facile in un mondo dovela comunicazione è quasi esclusivamente orale, dove messag-gio e messaggero si identificano, ben più problematico diven-ta proteggere la riservatezza di una forma scritta di comunica-zione. Un testo scritto in un mondo di analfabeti è già un mo-do per codificare e rendere segreta una comunicazione, ma inun mondo alfabetizzato il problema del controllo del messag-gio si ripropone in maniera più allargata. Intuitivamente il pri-mo modo di mantenere la riservatezza di una comunicazionescritta può essere quello di nasconderla, di celarne l’esistenzastessa; la steganografia (dal greco Steganós, nascosto e Grá-phein, scrivere) è appunto quella disciplina che studia questetecniche. Esempi di steganografia sono le “scritture dissimula-te” nelle quali il reale messaggio è celato all’interno di un al-tro dall’aspetto innocuo e differente (tipico esempio ne è l’a-crostico oppure l’informazione nascosta all’interno di un’im-magine digitalizzata) oppure le “scritture invisibili” nelle quali,mediante artifici fisici o chimici, il messaggio viene reso invisi-bile o difficilmente individuabile (gli inchiostri simpatici, i mi-crofilm, i messaggi occultati in micropunto). La steganografianon possiede, però, la flessibilità, la rapidità e la sicurezza ri-chieste a molte delle attività umane che quotidianamente im-piegano il telefono, la radio e, più recentemente, la posta elet-tronica, mezzi di comunicazione estremamente efficienti persuperare le distanze, ma che altrettanto efficientemente distri-buiscono l’informazione anche a coloro che non ne sono i le-gittimi destinatari. Assieme allo sviluppo delle tecniche stega-nografiche si è quindi sviluppata un’altra branca dei linguaggisegreti, la crittografia (dal greco Kryptós, segreto e Gráphein,scrivere), che non si occupa di nascondere l’esistenza del mes-

Apparecchiatura radio per servizi speciali,modello TX0-OC3 Italia; 1940; varie Aziende.Per cortesia di: F. Cremona, Collez. “Cremona”,Colleferro, Roma. Foto di: C. Porcheddu.

Macchinacrittografica,modello M-209.USA; anni ‘40;Hagelin.Per cortesia di:F. Cremona, Collez.“Cremona”,Colleferro, Roma.Foto di:C. Porcheddu.

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saggio, ma lo trasforma in modo da renderlo incomprensibile(cifratura) a chi non conosca le regole per renderlo intellegibi-le (decifrazione). La crittografia è sempre stata una disciplinaambigua e sottaciuta, volutamente confusa tra la scienza, l’ar-te e la magia; dal XIX secolo, grazie alla letteratura avventuro-sa prima e ai romanzi di spionaggio poi, è entrata nell’imma-ginario collettivo come strumento dell’armamentario dellespie, dei cospiratori e degli agenti di oscure potenze straniere,una visione quasi esclusivamente letteraria e romantica chenon rende ragione delle risorse umane ed economiche profu-se dalle nazioni in questo settore. Negli ultimi anni la critto-grafia non è più considerata una tecnica misteriosa ed inavvi-cinabile, impiegata per scopi militari o per la sicurezza nazio-nale; di fatto la maggior parte di noi usa, talvolta senza saper-lo, tecniche crittografiche, più o meno evolute, in alcune nor-mali attività quotidiane: l’acquisto tramite Bancomat o carta dicredito e la telefonata di un cellulare GSM ad esempio. Conl’avvento delle reti mondiali per la comunicazione digitale dif-fuse in tutto il globo, e costantemente usate anche da sempli-ci cittadini per lavoro o per diletto, la tutela della riservatezza,della “privacy”, può avvenire in modo certo ed efficace sola-mente attraverso la crittografia. In realtà lo scopo attuale del-la crittografia è non solo e non principalmente la protezionedelle informazioni riservate dagli sguardi indiscreti, le attualitecnologie consentono infatti di di impiegare le reti di comu-

nicazione e i documenti elettronici alla stessastregua dei documenti cartacei tradizionali, dis-ponendo di una serie di meccanismi che ne per-mettano la verifica dell’autenticità; vale la penadi ricordare, a questo proposito, che in Italia il“documento informatico” e la “firma digitale”,fin dal 1997, sono entrati a far parte del nostroordinamento giuridico, equiparati in tutto e pertutto al documento cartaceo. Il reale ostacolo dasuperare in questa nostra società “cablata”, in-fatti, è costituito dalla intrinseca mancanza di si-curezza nelle reti di telecomunicazione, che si ri-flette in una incertezza sull’identità dei corri-spondenti e, conseguentemente, sull’autenticità

dei messaggi. Nella maggior parte dei casi la tutela della riser-vatezza della comunicazione stessa è, in maniera solo appa-rentemente paradossale, secondaria rispetto all’esigenza fon-damentale di sapere con chi realmente si sta comunicando. Lacrittografia, restituendo certezza alla comunicazione, può con-tribuire alla realizzazione di una società civile basata sulla co-municazione digitale.

REGOLO CIFRANTE SEMPLICE

Italia; circa 1935Strumento portatile, simile ad un regolo calcolatore, permet-te di crittografare un testo per sostituzione monoalfabeticasemplice. Il primo cifrario organizzato di cui si abbia precisanotizia storica è quello attribuito a Giulio Cesare. Molto sem-plicemente consiste nel sostituire ogni lettera del testo chiarocon quella che, nell’alfabeto, la segue (o la precede) di un nu-mero convenuto di posti. Alla luce delle conoscenze di un no-stro contemporaneo appassionato di cruciverba si tratta diuna tecnica rudimentale, tuttavia in un epoca di scarsa alfa-betizzazione quale quella di Cesare è verosimile pensare chequesto stratagemma abbia raggiunto il suo scopo. Una ulte-riore complicazione di questo tipo di cifrario è quello di im-piegare, come nell’apparato a suo tempo esposto, un alfabe-to cifrato nel quale l’ordine delle lettere non rispetti quellousuale. Il punto debole resta comunque la stretta correlazio-ne tra l’alfabeto chiaro e l’alfabeto cifrato; essendo quest’ul-timo unico (sia che lo si utilizzi nella sequenza ordinaria sia inuna arbitraria) ad una determinata lettera del chiaro ne corri-sponde sempre una ed una sola del cifrato. Dimensioni: circa30x4x0,7 cm.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, collezione“Cremona”, Colleferro, Roma.

CIFRARIO (DISCO CIFRANTE)

Italia; XVI sec.Strumento portatile che permette di crittografare un testoper sostituzione polialfabetica; è costituito da due dischi me-tallici coassiali con incisa una serie concentrica di alfabeti edun indice di riferimento mobile. Il disco cifrante è la primamacchina per cifrare della quale si abbia notizia e la sua in-venzione viene attribuita all’architetto e umanista italianoLeon Battista Alberti. Pur essendo un dispositivo molto sem-plice facilitò in modo significativo la produzione di testi ci-frati rimanendo in uso fino al XIX secolo. L’esemplare espo-sto è una versione più complessa e potenzialmente più sicu-ra dello strumento utilizzato dall’Alberti. Dimensioni: diame-tro del disco esterno circa 10 cm.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Istituto e Museo di Storia dellaScienza, Firenze.

MACCHINA CRITTOGRAFICA ENIGMA

Germania; 1937; varie AziendeSicuramente l’apparato crittografico più famoso al mondo,conosciuto anche dai non addetti ai lavori grazie ai libri e aifilm prodotti sfruttando gli aspetti più avventurosi dell’attivi-

MacchinacrittograficaEnigma. Germania,1937, varieAziende.Per cortesia di:DeutschesMuseum, Münich,Deutschland.Foto di: DeutschesMuseum, Münich,Deutschland.

Cifrario (disco cifrante). Italia, XVI sec.Per cortesia di: Ist. e Museo di Storia dellaScienza, Firenze. Foto di: Ist.e Museo diStoria della Scienza, Firenze.

Ringraziamenti

Debbo uno speciale ringraziamento al Dott.Filippo Sinagra che, con grande entusiasmo, hamesso a mia disposizione le sue profondeconoscenze in campo crittografico, offrendomi unsostanziale aiuto per chiarire alcuni degli aspettipiù complessi di questo affascinante mondo.

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tà di spionaggio durante la seconda guerra mondiale. Il ruolocentrale dell’impiego di ENIGMA (e dei tentativi, alleati, di for-zarne la cifratura con il progetto ULTRA) per gli esiti finali del-la seconda guerra mondiale sono stati solo recentementemessi completamente in luce rendendo di pubblico dominio idocumenti riservati ancora esistenti ed autorizzando i super-stiti protagonisti a raccontare liberamente le loro esperienze.Negli anni a cavallo della prima guerra mondiale alcuni pro-gettisti, l’uno indipendentemente dall’altro, si impegnarononella costruzione di una macchina che liberasse l’operatore dalunghe e complesse (e potenzialmente errate) operazioni di ci-fratura con “carta e matita”; da questi sforzi nacquero anchealcuni progetti accomunati dall’uso di “rotori scambiatori”,tra i quali ricordiamo quelli dell’americano Edward Hugh He-bern del 1917, del tedesco Arthur Scherbius del 1918, dell’o-landese Hugo Alexander Koch, del 1919, dello svedese ArvidGerhard Damm del 1919. Tali realizzazioni non ebbero imme-diato successo tanto che per alcuni di essi si trasformarono inun fallimento commerciale. Solamente dopo alcuni anni, inGermania, durante il faticoso periodo di ricostruzione dellanazione seguito alla disfatta della prima guerra mondiale, ivertici militari si convinsero dell’importanza strategica dell’in-tercettazione e della crittanalisi delle comunicazioni nemichee ritennero quindi necessario dotarsi di apparati che automa-tizzassero e proteggessero in modo adeguato le proprie co-municazioni. Nel frattempo Scherbius aveva fondato (1923) la“Chiffriermaschinen Aktiengesellschaft” mettendo in produ-zione una macchina crittografica, basata appunto sull’impie-go dei rotori scambiatori, denominata ENIGMA che, dopouna serie di verifiche, venne ritenuta la migliore soluzione alproblema della riservatezza delle comunicazioni e, dal 1926,distribuita, in versione modificata, alle forze armate tedesche.La macchina ENIGMA è uno dei molti esempi di “macchina arotori”, una classe di apparati che per decenni ha dominato lascena crittografica mondiale. La struttura, relativamente sem-plice, si basa appunto su di una serie di “rotori” (cinque tipidiversi, identificati da cifre romane), dischi di spessore discre-to, coassiali ed affiancati l’uno all’altro; ciascun rotore è dota-to di contatti elettrici (26, quante le lettere dell’alfabeto) suentrambi i lati; nello stesso disco il contatto di un lato è con-nesso a quello dell’altro lato in maniera non sequenziale co-stituendo la cifratura propria del disco. L’impulso elettrico ge-nerato dalla composizione della lettera da cifrare (compostaattraverso una tastiera simile a quella di una macchina perscrivere) passa attraverso la serie di contatti di vari dischi (innumero variabile nei diversi modelli) emergendo in corrispon-denza di una lettera completamente diversa, evidenziata dal-l’accensione di una lampadina, che ne costituisce la cifratura.I dischi possono ruotare, attorno al proprio asse, a passi dis-creti, e sono collegati l’uno all’altro da un meccanismo similea quello dei contachilometri meccanici delle auto, grazie alquale, non appena viene premuto un qualsiasi tasto della ta-stiera, il primo disco, a destra di chi scrive, ruota di una fra-zione di giro (1/26, quanti i contatti dei dischi) modificando lastruttura cifrante della macchina, permettendo, in pratica, diapplicare al successivo carattere una trasformazione diversa,pseudo-casuale, e che dipende dal settaggio iniziale. Quando

il disco ha compiuto un’intera rotazione, quello immediata-mente di fianco avanza di un passo ed il ciclo riprende. In pra-tica la macchina così concepita modifica il suo cifrario ad ognicarattere e non riapplica la medesima trasformazione se nondopo un numero di caratteri che è dipendente dal numero didischi impiegati e dal numero di passi di ogni disco. I rotoripossono essere intercambiati tra loro oppure sostituiti con al-tri aventi differente cablaggio interno; per aumentare il gradodi complessità della cifratura, e diminuire conseguentementela possibilità di decrittazione dei messaggi, in ogni disco, la re-ciproca posizione delle due parti coassiali che lo costituisconopuò essere variata; ciò modifica la struttura delle connessioniinterne determinando una conseguente modifica della cifra-tura propria del disco. Coassialmente ai rotori è inserito unquarto disco “riflettore” (di tipo beta o di tipo gamma), nonruotante e non visibile ad apparato operativo, che consente diutilizzare i contatti dei tre rotori cifranti anche in un percor-so di “ritorno” diverso da quello di “andata”; in alcuni mo-delli i riflettori beta e gamma vennero sostituiti da un altro ti-po di riflettore ruotabile manualmente in fase di settaggiodella macchina. Alcuni dischi in dotazione alla Marina milita-re tedesca vennero modificati inserendo due “denti di arre-sto”. Ad altri tipi si aggiunse un “pannello perturbatore” cheinseriva una serie di sostituzioni monoalfabetiche fisse ed in-dipendenti dai rotori utilizzati, in altri modelli di ENIGMA ven-ne aumentato il numero di rotori realmente cifranti (fino a 4nei modelli in dotazione all’Abwher, il servizio segreto milita-re tedesco), e si previde la possibilità di impiego di un ulterio-re accessorio di sopracifratura denominato ENIGMA- UHR daconnettersi al pannello perturbatore (vedi più oltre). La defini-zione della chiave di cifratura inizia con la scelta di quali roto-ri debbano essere impiegati, di quale reciproca posizione deb-bano assumere coassialmente l’uno rispetto all’altro, di qualeposizione debbano assumere, tra loro, le due parti coassiali diogni rotore e, per ultimo, quale posizione della circonferenzadi ogni disco (evidenziato da 26 lettere o coppie di numeri)debba coincidere con la linea di riferimento posta all’esternodel contenitore; le ulteriori possibilità prima elencate non fan-no che aumentare il grado della complessità di questo mec-canismo base. L’apparato ENIGMA permette anche la decifra-tura dei messaggi cifrati che vengono composti utilizzando latastiera e sono letti, in chiaro, attraverso la sequenza di lette-

Telescriventecrittografica TTipo 52e (T52e).Germania; 1944;Siemens.Per cortesia di:Siemens AG -SiemensForum,Münich,Deutschland.Foto di: C. Porcheddu.

Macchina crittograficaEnigma. Germania;1937; varie Aziende.Particolare del“pacchetto” dei rotoriestratto dalla macchina.Per cortesia di:F. Cremona, Collezione“Cremona”, Colleferro,Roma. Foto di:C. Porcheddu.

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re illuminate. L’esemplare a suo tempo esposto, privo dellacassetta per il trasporto, è un modello a tre rotori e riflettoreruotabile manualmente in fase di settaggio. Dimensioni: circa26x28x11 cm (variabili tra i diversi modelli). Peso: circa 8 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, collezione“Cremona”, Colleferro, Roma.

MACCHINA CRITTOGRAFICA ENIGMA

Germania; 1937; varie AziendeApparato crittografico simile a quello descritto nella prece-dente scheda, si tratta di un modello K caratterizzato dall’a-vere tre rotori, riflettore fisso e pannello permutatore. Dimen-sioni: circa 26x28x11 cm (variabili tra i diversi modelli). Peso:circa 8 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Deutsches Museum, Münich,Deutschland (v. p. 58).

MACCHINA CRITTOGRAFICA ENIGMA

Germania; 1940; varie AziendeApparato crittografico simile a quello descritto nella prece-dente scheda, caratterizzato dall’avere quattro veri rotori ci-franti e ruotanti con movimento realmente odometro, oltre aldisco riflettore di tipo non settabile. Si tratta di un modello indotazione all’Abwher, il servizio segreto militare tedesco. Di-mensioni: circa 26x28x11 cm. Peso: circa 8 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da un Collezionista che desidera mante-nere l’anonimato.

ACCESSORIO DI SOPRACIFRATURA ENIGMA-HUR

Germania; circa 1944; varie AziendeSi tratta di un accessorio che permette di sopracifrare (di in-serire cioè una ulteriore cifratura) un testo cifrato da ENIGMA.Il principio di funzionamento è il medesimo del pannello per-turbatore presente in alcuni modelli: una serie di connessionielettriche, fisicamente dei ponticelli di filo metallico, che si in-seriscono nel circuito di cifratura determinando una permuta-zione fissa di solo alcune delle lettere cifrate (impiegando ilpannello perturbatore le connessioni utilizzate vengono defi-nite in sede di settaggio della macchina). L’accessorio ENIG-MA-HUR, una volta connesso al pannello perturbatore, con-sente di variare questo tipo di sopracifratura, in maniera mol-to semplice e veloce (ogni ora, Hur in tedesco), ruotando unamanopola di comando, diminuendo i tempi di modifica ed ipossibili errori nel posizionamento delle connessioni. Prodot-to in piccole serie negli ultimi mesi di guerra, sembra abbiaavuto uno scarso impiego. L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da un Collezionista che desidera mante-nere l’anonimato.

MACCHINA CRITTOGRAFICA ENIGMA

Svizzera; circa 1940; varie AziendeApparato crittografico portatile in dotazione al corpo diplo-matico e alle forze armate elvetiche, tra la fine degli anni ‘30

e il termine della seconda guerra mondiale, fornito, in pochecentinaia di unità, dalla Germania. Si tratta, fondamentalmen-te, di versioni civili di ENIGMA, modelli D e K. Sospettando,con giusta ragione, che tali apparati non garantissero suffi-ciente sicurezza, il governo svizzero provvide a modificare il ca-blaggio interno dei rotori e dei riflettori. Esternamente questimodelli si differenziano, oltre che per particolari secondari, perla presenza di un pannello ripetitore a lampadine, collegato al-l’unità principale tramite un cavo, che permette la trascrizionedel testo ad un secondo operatore. Questi apparati vennerosostituiti, nel 1947, dalla macchina crittografica NEMA (vedischeda relativa), rimanendo peraltro in uso per traffico a bas-so livello di segretezza fino al 1990. Dimensioni: circa26x28x11 cm (variabili tra i diversi modelli). Peso: circa 8 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: R. Gianni, Vimercate, Milano.

MACCHINA CRITTOGRAFICA MOD. M- 209

(CSP 1500, C-48, C-38m, C-38M)

USA; anni ‘40; HagelinIl più diffuso apparato crittografico portatile, completamentemeccanico, a funzionamento manuale con la possibilità distampa (su “zona” telegrafica) del messaggio, destinato allacifratura e decifratura di messaggi a basso livello di segretez-za, tipicamente per un impiego tattico dove la finalità è dimantenere la riservatezza delle informazioni per brevi lassi ditempo (al limite per poche ore). Progettato dall’inventore edindustriale svedese Boris Hagelin (1892-1983) nella secondametà degli anni ‘30, dopo un adeguamento costruttivo al-l’impiego militare, venne prodotto per le forze armate degliStati Uniti d’America ed impiegato in modo massiccio duran-te l’invasione dell’Africa nel Novembre del 1942 rimanendo inproduzione fino alla fine degli anni ‘60. Si tratta di un’appa-recchiatura prodotta in grandi quantità (circa 140.000 esem-plari durante la seconda guerra mondiale) molto apprezzatadalle truppe USA per le dimensioni contenute, la leggerezza,la robustezza e la relativa semplicità d’impiego. Se ne cono-scono due versioni denominate M-209, destinata all’Esercito,e CSP-1500, destinata alla Marina, che differiscono tra loroper aspetti secondari. La stessa apparecchiatura, con alcunemodifiche e diverse denominazioni, venne impiegata, duran-te lo stesso arco temporale, anche da altre nazioni quali Italia(Marina militare), Francia, Germania anche se in quantitativimolto limitati rispetto alla produzione nord americana. Critto-graficamente il principio di funzionamento è il medesimo de-gli apparati ENIGMA, salvo che le connessioni elettriche sonosostituite con dispositivi meccanici permettendo di renderel’apparecchio più compatto, leggero e meno soggetto ad ava-rie. La relativa semplificazione della struttura se da un lato neha permesso la produzione in grande serie dall’altro ha dimi-

Macchina crittografica Nema. Svizzera;1947; Zellweger AG.Per cortesia di: F. Sinagra, Mestre,Venezia. Foto di: C. Porcheddu.

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nuito la resistenza del testo cifrato ad un possibile tentativo diforzatura destinando, quindi, l’apparecchiatura ad un impiegoesclusivamente tattico. Velocità operativa: circa 30 caratteriper minuto. Dimensioni: circa 9x19x12 cm. Peso: circa 3 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, collezione “Cre-mona”, Colleferro, Roma.

MACCHINA CRITTOGRAFICA O.M.I. - NISTRI

Italia; circa 1939; O.M.I.Apparato crittografico che viene considerato la risposta italia-na all’ENIGMA, con la quale condivide l’impiego dei rotori dicifratura; se ne differenzia, oltre che per l’aspetto esterno, peril peso piuttosto rilevante, l’alimentazione da rete e in corren-te continua, una maggiore complessità costruttiva dei rotori.Consente la stampa del testo su nastro di carta accellerandole procedure di cifratura, decifratura e di verifica del testo. Perrendere più agevole la battitura dei testi, un motore elettricoprovvede ai movimenti dei meccanismi. Il grave limite di que-sto apparecchio era nei contatti elettrici, striscianti, tra i roto-ri: nel tempo, l’usura e l’accumulo di sporcizia determinavanodei falsi contatti pregiudicando fortemente l’affidabilità del-l’apparato; giova comunque ricordare che lo stesso problema,anche se in misura limitata, si riscontra in tutte le apparec-chiature con lo stesso principio di funzionamento. Impiegatadalle forze armate italiane in maniera occasionale e disconti-nua, la sua cifratura venne forzata dall’Intelligence britannicanel Febbraio 1940. Venne definitivamente posta fuori servizionel Settembre 1941, rimanendo disponibile per il mercato ci-vile per qualche decennio. Dimensioni: sola macchina 37 x 42x 17 cm, valigia di trasporto 43 x 48 x 23 cm. Pesi: sola mac-china circa 20 Kg, con valigia ed accessori circa 27 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Francesco Cremona, collezione “Cre-mona”, Colleferro, Roma.

TELESCRIVENTE CRITTOGRAFICA T Tipo 52e (T52e)

Germania; 1944; SiemensTelescrivente crittografica “on line” prodotta dalla Siemens apartire dal 1932 (tipo 52a) fino al 1944-45 (tipo 52e), vennedestinata alla trasmissione di messaggi tra alti comandi mili-tari. Conosciuta dagli Alleati col nome in codice di “stur-geon”, storione. Molti esemplari, sopravvissuti agli eventi bel-lici (specialmente del tipo 52e), vennero revisionati e utilizzatiper molti anni a seguire e considerati ancora “classificati”(cioè coperti da segreto) nella seconda metà degli anni ’80. Sitratta di un’apparecchiatura on-line, il testo in chiaro vienecomposto su di una normale tastiera dattilografica, automati-camente cifrato e trasmesso su di una tradizionale linea tele-grafica/telefonica; solo raramente vennero impiegati in con-nessione con apparati radio a causa dei disturbi introdotti nel-la trasmissione. Crittograficamente sfrutta lo stesso principiodi funzionamento delle macchine a rotori quali l’ENIGMA, maad un maggiore livello di complessità.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Siemens AG – SiemensForum, Mü-nich, Deutschland.

MACCHINA CRITTOGRAFICA NEMA

Svizzera; 1947; Zellweger AGApparato crittografico portatile progettato per sostituire gliapparati ENIGMA in dotazione al governo svizzero (vedi sche-da relativa) che non garantivano la sicurezza richiesta. La pro-gettazione di questa nuova macchina (il nome NEMA è l’a-cronimo delle parole NEue MAschine) iniziò nel 1942 ed i pri-mi due modelli funzionanti vennero sottoposti per le valuta-zioni tecniche nel 1945. La produzione di serie e l’assegna-zione ai reparti si ebbe a partire dal 1947; si ritiene, in questisettori il condizionale è d’obbligo, che siano state prodotti, traversioni operative e per addestramento, poco meno di un mi-gliaio di esemplari. L’apparato NEMA, conosciuto anche come“tipo T-D” (da Tasten-Drücker-Maschine), venne ritenuto tec-nologicamente obsoleto e quindi declassificato nel 1992. L’a-spetto esterno e le caratteristiche costruttive sono simili aquelle degli apparati ENIGMA tanto da esserne considerato, atorto, la versione post-bellica. La cifratura è ottenuta con il si-stema di sostituzione polialfabetica attraverso l’uso di una se-rie di ruote e corone intercambiabili e a più denti di arresto. Iltesto in chiaro da crittare o il testo in cifra da decrittare vienecomposto, lettera per lettera, sulla tastiera dell’apparato; il te-sto cifrato o decifrato viene prodotto, come negli apparatiENIGMA, lettera per lettera, attraverso l’illuminazione di unpannello a lampadine; utilizzando un connettore multipolareposto sul fianco sinistro della macchina è possibile impiegareo un “pannello a lampadine complementare” (in dotazione)che permette la trascrizione del testo ad un secondo opera-tore oppure comandare direttamente una macchina per scri-vere elettrica, un apparato telescrivente, un perforatore Creedo un trasmettitore Hell. Dimensioni: circa 33x38x15 cm. Peso:circa 11 Kg, compreso gli accessori.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Filippo Sinagra, Mestre, Venezia.

MACCHINA CRITTOGRAFICA CX-52-M

Svizzera; 1950; Hagelin Apparato crittografico portatile, a funzionamento meccanico,di struttura molto compatta e robusta, può essere impiegatosia per il ciframento che per il deciframento. L’apparato è for-nito di un meccanismo che stampa contemporaneamente iltesto primario e quello secondario (Primario: il testo in chiaroquando si cifra, il cifrato quando si decifra. Secondario: il te-sto cifrato quando si cifra, il testo chiaro quando si decifra)sullo stesso nastro di carta per favorire il controllo dell’opera-zione di cifratura o decifratura. Di impiego relativamente sem-plice possiede una serie di dispositivi che favoriscono il corret-to funzionamento dell’apparecchiatura. I cifrati prodotti da

Unità criptantemod. TSEC/KW-7.USA; circa 1960;N.S.A.Per cortesia di:TraditionsvereinFernmelde-/ElektronischeAufklärungLuftwaffe e. V.,Trier, Deutschland.Foto di:C. Porcheddu.

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questa macchina sono, dal punto di vista crittologico, di ele-vatissimo livello. Velocità operativa: dalle 30 alle 60 lettere alminuto (a seconda dell’abilità dell’operatore). Dimensioni: cir-ca 21x13x11 cm. Peso: circa 4 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Filippo Sinagra, Mestre, Venezia.

MODULO AGGIUNTIVO TASTIERA DATTILOGRAFICA MOD. B-52

(B-621), PER MACCHINA CRITTOGRAFICA MOD. CX-52-M

Svizzera; anni ‘50; HagelinIl progetto della macchina crittografica CX-52-M è tale chepuò essere trasformata in una macchina elettrica dattilografi-ca comandata da una tastiera a mezzo della unità elettrica ad-dizionale B-52 (oppure B-621) e che comprende la tastiera edil meccanismo di settaggio (con pannello perturbatore) e gui-da. Quando si richiede alla macchina di operare elettricamen-te, viene rimosso il coperchio del contenitore della CX-52-M,e la macchina è inserita e fissata nella base del modulo ag-giuntivo B-52. Con questa costruzione si ha il vantaggio dipoter impiegare la stessa macchina indifferentemente nellaversione a funzionamento manuale oppure elettrico. L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Marco Moretti, Pesaro.

MACCHINA CRITTOGRAFICA CX-52-OPT (OTT)

Svizzera; 1952; Hagelin Apparato crittografico portatile, a funzionamento meccanico,di struttura molto compatta e robusta, versione modificata emigliorata del modello CX-52, reso crittograficamente più si-curo, meccanicamente più semplice ed economico, attraversol’eliminazione dei rotori (ruote-chiavi), sostituiti con un’unicachiave formata da un nastro preforato da telescrivente tipoBaudot (a 5 fori) utilizzabile solo una volta, recante la chiavealeatoria da rinnovarsi periodicamente, che avanza ad ognilettera. Il mancato inserimento del nastro blocca tutto il mec-canismo così da rendere impossibile il funzionamento dellamacchina. Questa macchina, costruita in piccole serie, è de-nominata OTT (One Time Tape) od anche OTK (One TimeKey). L’impiego di un nastro perforato “usa e getta”, identicoper ogni apparecchiatura che fa parte della stessa rete di co-municazione, ne costituisce contemporaneamente il punto diforza, ma anche l’anello debole; infatti all’esaurimento di unnastro perforato è necessario provvedere all’invio ad ogni cor-rispondente di una nuova copia di nastro utilizzando un cor-riere fidato; l’intercettazione un unico nastro rende completa-mente inaffidabile tutta la rete di comunicazione.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Filippo Sinagra, Mestre, Venezia.

MACCHINA CRITTOGRAFICA STG-61 (Crypto AG mod. CD-57)

Germania; 1960; Hagelin (su licenza)Apparato crittografico meccanico palmare, dalle dimensionisimili a quelle di un pacchetto di sigarette. Il modello STG-61è la versione tedesca del modello CD-57 prodotto dall’elveti-ca Crypto AG. Privo del sistema di scrittura per mantenere leridotte dimensioni, l’operatore doveva quindi ricopiare letteraper lettera il testo. Le caratteristiche crittografiche sono com-parabili a quelle dell’apparato CX-52 con la quale può “dia-

logare”. In un limitatissimo numero di esemplari è stata pro-dotta una versione particolare, denominata modello CD-55LUX di colore bianco e con bordature dorate, per la Santa Se-de. L’apparecchio è stato, in un momento successivo, modifi-cato (mod. CD-57 RT/CD) per aumentarne il livello di sicurez-za, similmente all’apparato CX-52 OTP, utilizzando un nastropreforato con funzione di chiave di cifratura. L’apparato è ri-masto in produzione fino al 1974. Velocità operativa: tra itrenta e i quaranta caratteri al minuto. Dimensioni: circa13x8x4 cm. Peso circa 680 g.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Filippo Sinagra, Mestre, Venezia.

UNITÀ CRIPTANTE TSEC/KW-7

USA; circa 1960; N.S.A. Sistema criptante, conosciuto col nome in codice di “Ore-stes”, largamente impiegato, sia a livello tattico sia a livellostrategico, dall’esercito USA e dalle truppe della NATO fino al-la fine degli anni ’70; costo, all’inizio della produzione, circa4.500 $. Si tratta di un apparato “on line”, completamentetransistorizzato, destinato a crittare le informazioni trasmesseattraverso apparati telescriventi sia su linee telegrafiche/tele-foniche sia via radio. Composto da due sub-unità principali,l’apparato ricetrasmittente (KWX-10/TSEC) e l’unità di cifratu-ra (KWK-7/TSEC). Tipo di funzionamento: sincrono e asincro-no. Velocità di trasmissione: 60-67-100 Baud. Dimensioni: cir-ca 60x50x50 cm. Peso: circa 40 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Traditionsverein Fernmelde-/Elektro-nische Aufklärung Luftwaffe e.V., Trier, Deutschland.

MACCHINA CRITTOGRAFICA ELETTRONICA HC-520

Svizzera; seconda metà anni ‘70; Crypto AGUna delle prime macchine crittografiche elettroniche portatili;di dimensioni molto contenute, nell’aspetto esterno ricordauna macchina calcolatrice dell’epoca. Caratteristiche tecni-che: tastiera con 26 caratteri alfabetici, 10 caratteri numerici,14 caratteri speciali, 11 tasti di comando. Display a LCD (cri-stalli liquidi) delle dimensioni di 6x13 cm che permette la vi-sualizzazione di 10 caratteri per il testo e 1 carattere per la si-tuazione interna di servizio. Memoria: 600 caratteri per en-trata di testo. Chiavi: chiave base e chiave di messaggio. Chia-ve base: 1,4x1014 possibilità. Chiave di messaggio: 1,4x1014

possibilità. Periodicità: circa 1053 passi. Temperatura di servi-zio: da 0 a +50°C. Alimentazione con batterie o carica batte-rie da rete (100-240 V). Dimensioni: circa 10x25x4 cm. Peso:circa 900g.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Crypto AG, Zug, Suisse.

TELESCRIVENTE CRITTOGRAFICA MOD. Mi 5543

Germania; seconda metà anni ‘50; Standard Elektrik LorenzTelescrivente crittografica con funzionamento “on line”. Perla cifratura impiega un nastro pre-perforato tipo Baudot, dausarsi una sola volta, che reca la chiave aleatoria. Il testo ci-frato si ottiene dalla distorsione che la chiave aleatoria produ-ce sul messaggio in chiaro; solo chi è in possesso di un iden-tico nastro pre-perforato può risalire al testo in chiaro elimi-

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nando, per sottrazione, la distorsione. Dimensioni:60x90x70cm. Peso: circa 50 Kg.L’esemplare esposto durante la mostra è stato cortesementemesso a disposizione da: Traditionsverein Fernmelde-/Elektro-nische Aufklärung Luftwaffe e.V., Trier, Deutschland.

MACCHINA STENOTIPICA “MICHELA”Italia; circa 1976; MicromegasApparato elettronico a tastiera che permette la composizionedi un testo scritto attraverso l’impiego della Stenotipia (unneologismo che deriva dal greco Stenós, stretto, scarso, poco;e da Tupos, carattere, colpo, battuta) una tecnica di scritturache può essere considerata l’evoluzione in forma meccanizza-ta della più tradizionale Stenografia. Per un migliore inqua-dramento della disciplina ritengo sia necessario fornire unabreve premessa sul vasto mondo delle scritture veloci. La ste-nografia (sempre dal greco Stenós e da Grafé, scrittura) puòessere definita come una abbreviazione scientifica della scrit-tura, che permette, attraverso l’adozione di regole, di fissare,più rapidamente della scrittura ordinaria, il pensiero, proprioo di altri, garantendone al contempo, una uguale sicurezza efederlà di riproduzione. Lo sviluppo e l’impiego della steno-grafia sono strettamente intrecciati a quelli della scrittura or-dinaria. La carenza dei supporti di scrittura e la necessità difermare momenti altrimenti irripetibili (citiamo, solo comeesempio, i discorsi dei grandi oratori) hanno fatto sì che, spe-cialmente in epoca classica e medioevale, il saper leggere escrivere si accompagnassero, usualmente, alla conoscenzadella stenografia; le due discipline hanno cominciato ad evol-versi su percorsi diversi dopo l’avvento della stampa a carat-teri mobili. L’aspetto misterioso delle abbreviazioni, la neces-sità di comunicare salvaguardando la riservatezza del messag-gio fecero sì che, specialmente in epoca medioevale e rinasci-mentale, la stenografia sconfinasse nelle scritture segrete eche con queste venisse, per lungo tempo, confusa; con la for-mazione delle lingue nazionali e di un diverso clima culturalesi crearono i primi sistemi stenografici moderni (secoli XVI eXVII), i quali, staccandosi sempre più dall’empirismo e dall’ar-bitrio individuali, diedero luogo a nuove e più razionali ridu-zioni grafiche. Moltissimi autori, in tutte le nazioni, hannopartecipato alla elaborazione di questi nuovi indirizzi, cercan-do di raggiungere un ideale metodo che coniugasse velocitàdi scrittura con facile leggibilità, razionalità strutturale, facilitàdi apprendimento ed estetica grafica. Tale pluralità di propo-ste può, semplificando, essere ricondotta a tre tendenze prin-cipali: i Sistemi Geometrici, nei quali i segni possono esseretratti da figure geometriche; i Sistemi Corsivi derivati dallascrittura comune conservandone la struttura fondamentale; iSistemi Misti nei quali vengono impiegati segni comuni ai dueprecedenti sistemi. Nei primi anni del XIX secolo, come con-seguenza dello sviluppo raggiunto dalla disciplina, e come ri-flesso nel campo della scrittura delle ricorrenti invenzioni mec-caniche, comparvero le prime macchine dirette a fissare auto-

maticamente le parole velocemente pronunciate, contribuen-do alla nascita della stenografia meccanica o, con un terminepiù attuale, stenotipia. Tali apparecchiature per il loro ingom-bro e per alcuni loro limiti intrinseci trovarono impiego spe-cialmente negli Stati Uniti d’America, e quasi esclusivamentein ambienti particolari quali le aule dei tribunali; in Italia lemacchine per stenotipia, dalla fine del XIX secolo, ebbero im-piego esclusivamente per la resocontazione degli atti parla-mentari. In questi ultimi anni, lo sviluppo dell’elettronica edell’informatica hanno dato impulso a una nuova generazio-ne di macchine per stenotipia, di uso più affidabile e che con-sentono sia la stampa in caratteri stenografici, sia la trasposi-zione diretta su computer e la trascrizione automatica in ca-rattere comune. Per quanto riguarda la situazione italiana, ol-tre che nel Parlamento, la stenotipia è stata recentemente ac-cettata dal legislatore come mezzo per la resocontazione giu-diziaria trovando inoltre diffusione anche nelle Amministra-zioni locali, e in tutte quelle situazioni nelle quali sia necessa-rio disporre di un resoconto fedele di un intervento o di unadiscussione. Tra i vari sistemi italiani di stenotipia proposti de-gno di nota per la sua diffusione è il sistema “Michela” chetrae la sua origine dagli studi fonografici del professor Anto-nio Michela Zucco (1815-1886) il quale, dopo aver classifica-to gli elementi fonici occorrenti alla formazione di tutte le sil-labe, diede ad ognuno di essi una espressione grafica, un sim-bolo e un valore numerico. Nel 1863 egli illustrò per la primavolta a Milano presso un Congresso pedagogico, un sistemadi stenografia “a processo sillabico istantaneo ad uso univer-sale, mediante piccolo e portatile apparecchio a tastiera”, chenelle sue intenzioni era destinato ai ciechi; tale metodo partedallo studio dell’apparato vocale umano e cataloga tutti i suo-ni (fonemi) che questo può produrre stabilendo la corrispon-denza con altrettanti grafemi. In tal modo è possibile trascri-vere il parlato di qualunque lingua e ripeterlo fedelmente, pursenza capirne il significato. Uno degli allievi del professor Mi-chela Zucco, suo nipote Giovanni, presentò la nuova macchi-na alla Camera dei Deputati e al Senato del Regno, il quale ul-timo la adottò ufficialmente per la redazione dei resocontistenografici nel dicembre 1880. L’apparecchiatura venne, inseguito, presentata anche alla Esposizione Universale di Pariginel 1890. Il sistema Michela (macchina più metodo) ha rivela-to notevoli pregi soprattutto in fatto di velocità; tuttavia, inambito italiano, il suo impiego è rimasto confinato all’impie-go parlamentare.L’apparecchiatura presentata in figura (v. in alto) è particolar-mente significativa perché, primo esempio italiano, segna ilpassaggio alle versioni computerizzate. Si tratta di un modellodi transizione, progettato dalla Micromegas nella seconda me-tà degli anni ‘70, nel quale accanto alla struttura tradizionaledella tastiera elettromeccanica venne affiancato un sistemaelettronico che permetteva di trasferire le informazioni ad uncomputer dedicato (mod. Ulisse 32). La macchina esposta ven-ne impiegata dalla Amministrazione Provinciale di Torino all’i-nizio degli anni ‘80: primo Ente italiano, dopo il Senato, a fa-re uso della stenotipia per la verbalizzazione delle attività Con-sigliari. Dimensioni: 38x38x12 cm circa. Peso: 10 Kg circa.L’esemplare esposto è stato cortesemente messo a disposizio-ne da: Koinè Sistemi s.r.l., Torino.

Macchina stenotipica modello Michela.Italia; fine anni ‘70; Micromegas.Per cortesia di: Koinè Sistemi, Torino,grazie alla disponibilità del Dott. A. Camellini.Foto di: C. Porcheddu.

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INTRODUZIONE

La definizione di informazione come un concetto scientifica-mente e matematicamente determinato è fondamentale perla costruzione del modello teorico sul quale si basa l’informa-tica. Tale concetto ha avuto un ruolo importante nella nascitastessa dei computer; anche se le ricostruzioni della storia deicalcolatori elettronici – spesso fondate sulle descrizioni dell’hardware – non sempre hanno reso giustizia al ruolo teoricosvolto dalla teoria dell’informazione.Questo contributo si propone di descrivere l’origine del con-cetto ad opera di Claude Shannon.La nozione di informazione è il prodotto di una felice intera-zione di discipline lontane tra loro1 e per questo è stato diffi-cile coglierne fino in fondo le potenzialità e i frutti. Ecco unabreve descrizione dei settori che hanno contribuito alla suaformazione.• La termodinamica e la meccanica statistica, con gli studi

sulla definizione matematica del concetto di entropia diLudwig Boltzmann e Leo Szilard.

• La nascita del controllo e della comunicazione come unabranca dell’ingegneria elettrica; risultato dell’invenzionedei mezzi di comunicazione come il telegrafo, la radio e latelevisione.

• Gli studi sulla fisiologia e il sistema nervoso iniziati nell’800con il lavoro di Hermann von Helmholtz e Claude Bernarde proseguiti nel XX secolo con il lavoro di Walter Cannonsui meccanismi di regolazione interna degli organismi vi-venti; tali ricerche si saldarono nella prima metà del ‘900con la cibernetica, la disciplina che si poneva come obietti-

vo lo studio di tutti i meccanismi a retroazione (feedback)naturali, meccanici o artificiali.

• Lo sviluppo negli anni ’30 del ‘900 della teoria della com-putabilità in logica matematica che doveva avere un ruolocentrale nella definizione dei limiti teorici delle macchineelettroniche.

La definizione di informazione fu l’effetto di uno studio inte-grato favorito dall’accelerazione delle ricerche e degli scambidegli scienziati durante la II Guerra Mondiale e nell’immedia-to dopoguerra. La caratterizzazione matematica del concettomaturò, però, nel contesto della trasmissione telegrafica e viaradio. Shannon sviluppò la sua teoria dell’informazione lavo-rando ai Bell Labs dell’AT&T e quindi si concentrò sull’aspettodella trasmissione dati su un canale.È molto importante chiarire il riferimento teorico-pratico diShannon, considerato che la sua teoria è stata poi usata permodellare qualsiasi forma di comunicazione – perfino quellaumana. Lo studioso Walter Ong a proposito del modello po-stale di comunicazione dice: “Questo modello, come è ovvio,ha qualcosa a che vedere con la comunicazione umana ma,se lo si esamina attentamente, ciò è ben poco, esso inoltredistorce grandemente l’atto della comunicazione.”2

L’interpretazione troppo generale della teoria di Shannon èstata favorita dal modo in cui i risultati sono stati presentatidal suo collaboratore, Warren Weaver.Nell’introduzione al libro sulla teoria matematica della comu-nicazione pubblicato un anno dopo l’uscita dell’articolo(1949),3 Weaver definisce il campo di applicazione della teo-ria affermando che: “la parola comunicazione sarà usata qui

c l aude shannon e la teor iade l l ’ informaz ione

T. Numerico

LE DISCIPLINE CONNESSE CON L’INFORMAZIONE

Rappresentazione dell’informazioneTeoria dei linguaggiSemeiotica

Teoria dellacomunicazione

Teoria della informazione

Biologia MolecolareGenetica

Psicologia

Fisica (Termodinamica,Meccanica quantistica)

Informatica TeoricaStatisticaEconomia

Trasmissione delle informazioniIngegneria delle comunicazioni

Biologia classificatoriaMedicina

Ingegneria genetica

Elaborazione delleinformazioni

Schema 1.

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in un senso molto ampio per includere tutte le procedure at-traverso le quali una mente può entrare in relazione conun’altra. Questo include ovviamente non solo la parola scrittae il discorso orale, ma anche musica, le arti della pittura, il tea-tro, il balletto e qualsiasi comportamento umano. In qualchecontesto potrebbe essere anche desiderabile usare una defi-nizione ancora più ampia di comunicazione, letteralmenteuna che includa anche le procedure attraverso le quali unmeccanismo entra in relazione con un altro meccanismo”.4

Nello schema 15 si possono vedere le relazioni di tutte le di-scipline legate in qualche misura alla teoria dell’informazionee della comunicazione delle informazioni ad essa connessa.

CLAUDE SHANNON

Il personaggio chiave nella teoria dell’informazione è ClaudeElwood Shannon (1916-2001). Laureato in matematica e in-gegneria elettrica nel 1936 all’Università del Michigan, pertutta la sua vita tenne fede al suo duplice interesse. Fu poi re-search assistant al MIT6 dove continuò gli studi per il PhD. Quifu coinvolto nelle operazioni dell’analizzatore differenziale diBush, uno dei calcolatori più potenti e importanti in funzioneall’epoca, in grado di risolvere equazioni differenziali fino alsesto grado.La sua tesi affrontò e risolse il problema della progettazione direlè e circuiti elettronici utilizzando il parallelismo di questi conla logica booleana. In questo periodo cominciò la sua colla-borazione con i Bell Laboratories di New York, dove aveva tra-scorso un periodo già nell’estate del 1937.Nella primavera del 1940, Shannon ottenne insieme il masterin ingegneria elettrica e il PhD. in matematica al MIT. Nell’an-no 1940-41 all’IAS7 a Princeton cominciò a lavorare alla teo-ria dell’informazione e ai sistemi di comunicazione efficienti.Nel 1941 accolse l’invito del direttore del dipartimento di ma-tematica dei Bell Labs, T.C. Fry e si trasferì stabilmente ai BellLabs per lavorare ai sistemi di controllo delle armi contraeree,dove rimase per 15 anni.Ai Bell incontrò molti matematici e scienziati di primo pianotra i quali: John Pierce, noto per la comunicazione satellitare,Harry Nyquist che aveva notevolmente contribuito alla teoriadei segnali, Hendrik Bode esperto di feedback, gli inventoridel transistor: Walter Brattain, William Shockley e John Bar-deen, oltre George Stibitz che nel 1938 costruì il primo com-puter a relè e a molti altri. Nel 1948 pubblicò il famoso articolo “A mathematical Theoryof Communication”.8 Nel 1957 divenne professore al MIT,pur restando associato ai Bell Labs fino al 1972.Shannon era un personaggio molto eclettico, e oltre alla teo-ria dell’informazione, si interessava, fra l’altro, di intelligenzaartificiale. Negli anni ’50 costruì, infatti,un mini topo elettro-nico, chiamato Teseo che si muoveva in un labirinto cercandol’uscita con l’aiuto di un magnete (Vedi foto Shannon_To-po.jpg) e scrisse uno dei primi programmi per giocare a scac-chi. Fu in contatto con Alan Turing – uno dei pionieri dellemacchine elettroniche a programma memorizzato, oltre cheinventore del concetto di Macchina Universale, interessato an-che egli all’intelligenza delle macchine.

IL CONCETTO DI INFORMAZIONE SECONDO SHANNON

L’obiettivo di Shannon era la definizione di un modello mate-matico di informazione che potesse adattarsi a qualsiasi tipodi trasmissione da un punto a un altro. Per ottenere il risulta-to era necessario trasformare l’informazione in un parametromatematico trattabile in modo assolutamente non ambiguo.Il lavoro di Shannon si inscriveva in una tradizione di ricercache prima di lui si era concentrata più sugli aspetti pratici del-la trasmissione dei dati, che sulla definizione di una teoria ge-nerale. Egli si dichiarò debitore nei confronti dei suoi prede-cessori H. Nyquist e R.V. Hartley e li citò9 definendoli la basedi partenza della sua teoria.Per isolare il concetto di informazione era necessario compie-re un passo fondamentale: separare l’informazione dal signi-ficato. Gli aspetti ingegneristici della trasmissione del messag-gio erano del tutto svincolati da quelli semantici relativi all’in-terpretazione del messaggio. Egli quindi si concentrò sull’a-spetto formale della comunicazione che era del tutto indi-pendente dal senso del messaggio da trasferire. Quello che definiva il segnale relativo al messaggio sul canale– il suo principium individuationis – era la sua distinzione datutti gli altri messaggi potenzialmente trasmissibili sullo stessocanale. Maggiore era la capienza del canale, maggiore era ilcontenuto informativo trasmesso, perché esso annullava lapossibilità di trasmettere su quello stesso canale una quantitàpiù elevata di messaggi equiprobabili e concorrenti. La sceltadi un messaggio rispetto agli altri costituisce il suo valore in-formativo.Dopo aver privato l’informazione di ogni connotato semanti-co, Shannon si apprestò a definire l’informazione come unavariabile fisica misurabile. Egli scrisse: “Se il numero dei mes-saggi nell’insieme è finito allora questo numero o una qual-siasi funzione monotonica di questo numero può essere con-siderata una misura dell’informazione prodotta quando unmessaggio viene scelto da un insieme di scelte che sono as-solutamente equiprobabili.”10

Claude Shannon con il topo elettromeccanico, chiamato Teseo,che fu uno dei primi tentativi di insegnare a una macchina adapprendere e uno dei primi esperimenti di intelligenza artificiale.Per la fonte delle immagini di questo articolo si veda il testo.

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IL MODELLO DI COMUNICAZIONE DI RIFERIMENTO

Vedremo tra poco come si misura l’informazione, ma prima ènecessario ricostruire il contesto del modello postale di comu-nicazione rappresentato nello schema 2 che riproduce quelloproposto da Shannon nel 1948.11 Gli elementi del modellosono:• un mittente, fonte del messaggio,• un trasmettitore o codificatore che trasforma il messaggio

in un segnale trasmissibile, • un canale di comunicazione, • l’eventuale rumore sul canale che disturba la comunicazione, • un elemento ricevente o decodificatore del segnale,• un destinatario del messaggio.La semplicità del modello lo ha reso famoso, ma se guardia-mo alle sue caratteristiche è molto improbabile che esso sia ingrado di spiegare correttamente ogni comunicazione. Il mo-dello, infatti, ha le seguenti caratteristiche:• è lineare: non è prevista alcuna interazione tra destinatario

e mittente del messaggio al di là della transazione monodi-rezionale del passaggio di informazione;

• il ricevente e il mittente svolgono ruoli assolutamente ana-loghi, se si esclude l’inversione delle procedure di codifica-decodifica del messaggio;

• gli unici errori trattabili sono quelli meccanici dovuti a erro-re nella trasmissione a causa del rumore del canale: a menodi errori sulla linea, la comunicazione ha sempre successo;

• non è prevista alcuna rilevanza per l’interpretazione delmessaggio, né in quanto foriera di errore, né in quantocentro dell’efficienza ricettiva;

• il sistema della trasmissione-ricezione è assolutamente rigi-do, astratto e atemporale;

• nel modello non è rilevante il contesto in cui la comunica-zione avviene o le intenzioni del mittente.12

Il paradigma in questione è, invece, perfettamente adatto arappresentare la struttura ingegneristica delle reti sulle quali

venivano e vengono trasportati i dati, da quelle del telegrafo,al telefono, fino ad arrivare alla telefonia mobile e Internet, aicavi della larga banda oltre ai vari dispositivi di memorizzazio-ne dati come i CD, i DVD – per citare solo i sistemi di trasmis-sione dati più famosi.

PROBABILITÀ, ENTROPIA INFORMATIVA, MISURABILITÀ

Nel modello di Shannon l’informazione viene considerata co-me una qualsiasi grandezza fisica, alla pari di massa o ener-gia. Il modello adotta il linguaggio binario che consente diavere ad ogni passo solo due possibilità tra le quali scegliere,garantendo la massima semplicità.Nasce in questo contesto la nuova unità di misura il BInary di-giT (cifra binaria) o BIT, il più piccolo elemento di codice ca-pace di trasmettere informazione, che tanta fortuna avrà nel-la scienza dei calcolatori. Shannon fu il primo ad utilizzare l’e-spressione, anche se la attribuì a J.W. Tukey, un professore delMIT che collaborò anche con i Bell Labs. Come sempre quan-do si introduce una nuova espressione, essa è il segno che siè alle prese con un nuovo concetto.Come spiega Weaver nella sua introduzione: “l’informazionenella teoria della comunicazione è relativa non tanto a quelloche veramente si dice, quanto a quello che potrebbe esseredetto”.13

La misura dell’informazione è una funzione della probabilitàche un certo messaggio venga prescelto per essere trasmessosui tanti potenzialmente attivabili. L’informazione è un con-cetto analogo all’entropia in termodinamica, rappresenta lamisura dell’ordine contrapposto al disordine di tutte le possi-bilità comunicative realizzabili. L’entropia informativa è il con-trario dell’entropia termodinamica: quando l’informazionecresce nel sistema, diminuisce il caos e il disordine. In questosenso l’informazione è l’energia necessaria per non far preci-pitare il sistema nella confusione. L’informazione può cresce-re in due modi: Schema 2.

InformationSource Transmitter Receiver Destination

Noise Source

Message Signal ReceivedSignal

Message

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• quando le alternative sono tutte perfettamente equiproba-bili e c’è, quindi, la massima incertezza informativa;

• quando aumenta il numero delle possibili scelte, per esem-pio aumentando il numero dei simboli utilizzabili nel lin-guaggio prescelto.

L’informazione è maggiore dove c’è maggiore incertezza co-municativa, diminuisce quando l’area di incertezza è minoreed è assolutamente assente quando il messaggio non ha nes-suna incertezza ed è completamente vincolato.La misura dell’informazione è definita come:

H = – (p1 log2 p1 + ..... + pn log2 pn)

H = – ∑ pi log2 pi

Dove H è uguale all’Entropia informativa ed è la somma del-le probabilità dei logaritmi in base due delle probabilità che siverifichi una certa successione di scelte p1….pn.14

Tale definizione di informazione, pure molto efficace ai finidella costruzione di un modello matematico lascia senza spie-gazioni una serie di eventi comunicativi. Per esempio la suc-cessione delle cifre di P non hanno nessun valore di comuni-cazione, è sufficiente comunicare l’algoritmo attraverso ilquale calcolarle. Inoltre tutti i teoremi della logica diventanocompletamente privi di contenuto informativo, una volta co-municate le premesse e le regole di inferenza. Tali obiezionivengono qui solo accennate per mancanza di spazio.

LA CODIFICA DEI MESSAGGI

E LA STRUTTURA DEI LINGUAGGI

Per trasmettere il messaggio attraverso il canale di comunica-zione è necessaria una procedura di codifica che sia reversibi-le all’altro capo del canale. Il linguaggio è un processo stoca-stico, cioè una successione di simboli che si susseguono sullabase del verificarsi di certe probabilità. Ma è uno speciale tipodi processo stocastico, nel quale la probabilità che si verifichi-no certe successioni dipende in larga misura dagli eventi pre-cedenti. Tale tipo di processo stocastico è detto catena o pro-cesso di Marcov o ergodico. Inoltre la distribuzione probabili-stica dei simboli non è equiprobabile. Ci sono alcune lettere egruppi di lettere che sono più frequenti di altri. Per esempio

in italiano la “a” è molto più frequente della “z” e il gruppoconsonantico “tr” è molto più probabile di “zg”.Sfruttando la caratteristica struttura della probabilità dellelingue e la dipendenza di certi eventi linguistici dagli eventiche li hanno preceduti, è possibile trovare una codifica otti-male per il linguaggio – cioè una codifica che riduca al mas-simo il numero di simboli necessari e quindi velocizzi la tra-smissione. Per esempio per codificare una lingua come l’in-glese che prevede 27 simboli di cui uno per lo spazio, sareb-be necessario un codice a 5 bit, ma sfruttando le caratteristi-che statistiche della lingua si potrebbe arrivare a usare in me-dia 3,6 bit per lettera.Shannon lavorò molto nel campo della codifica dei linguaggiora meglio noto come compressione dei dati, e dimostrò chepiù è efficiente la codifica, maggiore è la complessità e quindiil tempo necessario per definirla ed implementarla nel tra-smettitore. Dal punto di vista dell’efficienza pratica dei sistemidi codifica era necessario trovare un equilibrio tra il codice mi-gliore per la trasmissione e il suo tempo di implementazione.

IL CANALE DI TRASMISSIONE, IL RUMORE E LA

RIDONDANZA

Il linguaggio inoltre ha un’altra caratteristica molto rilevante aifini della trasmissione: la ridondanza. Anche levando più del50% dei simboli le espressioni dei linguaggi naturali riman-gono comprensibili. La ridondanza linguistica è in contrastocon l’entropia dell’informazione: più un linguaggio è ridon-dante, meno – a parità di simboli usati – trasmette informa-zione. Tuttavia Shannon scoprì che questa ridondanza è utileper opporsi al rumore che impedisce la corretta trasmissionedei segnali sul canale. La ridondanza permette una sorta ditest sulla trasmissione che consente una maggiore sicurezzadel risultato della trasmissione.Un canale di trasmissione, infatti, ha una capacità teorica (C)costituita dalla quantità di segnale trasmissibile dalla fonte aldestinatario. L’unità di misura di questa grandezza sono i Bps(Bit per secondo) che sono tuttora usati per misurare la por-tata di una rete, sia essa una LAN15 o il backbone che con-giunge Milano con New York.Supponiamo di essere in assenza totale di rumore sulla rete,la capacità totale di un canale che permette di trasmettere8 bit 16.000 volte al secondo è teoricamente di 128.000Bps. Ma se il canale ha un tasso di errore da rumore del10% rispetto alla trasmissione, allora la reale capacità delcanale decresce progressivamente e diventa di 67.840 Bps. Shannon definì con un teorema il livello minimo di insicurez-za nella trasmissione, qualsiasi sia la codifica di trasmissioneadottata. E questo fu uno dei suoi risultati più rilevanti e piùattuali.

CONCLUSIONI

Concludendo, gli elementi innovativi e ancora validi della teo-ria dell’informazione secondo Shannon sono molti. • La concettualizzazione della nozione di informazione come

separata dal significato e caratterizzata dall’incertezza co-municativa;

• l’identificazione tra informazione e entropia informativa;

Claude Shannonfotografato nel suostudio.

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• la creazione di due nuove unità di misura e dei relativi nuo-vi concetti misurabili: il Bit e il Bps;

• la tensione pratica tra codifica ottimale e il suo costo di im-plementazione in termini di tempo e la conseguente ne-cessità di trovare un compromesso efficiente tra questi dueelementi;

• l’importanza della ridondanza dei linguaggi e il suo uso percombattere la tendenza al rumore del canale di trasmissio-ne che impedisce la corretta ricezione del messaggio;

• lo sviluppo delle tecniche per la compressione dati e in parti-colare quelle dei Bell Labs per la trasmissione audio-video,chemantengono un profondo debito intellettuale con Shannon.

Nonostante tutti i fondamentali risultati non dobbiamo dimen-ticare che il modello di comunicazione proposto da Shannonnon è rappresentativo di qualsiasi situazione comunicativa. Inparticolare non vengono adeguatamente modellate alcune ca-ratteristiche fondamentali dell’attività comunicativa come: • la centralità del contesto ai fini della comprensione e della

definizione del messaggio; • l’asimmetria del processo interpretativo tra destinatario e

mittente della comunicazione.• l’ambiguità inerente inevitabilmente ad ogni sforzo comu-

nicativo.• l’interattività della comunicazione che prevede un continuo

scambio di ruoli tra i due attori dell’attività comunicativa,con conseguenze anche sul processo di comunicazionestesso.

• la complessità della decodifica e della codifica che non so-no attività simmetriche ma processi complessi.

• la trattazione dell’errore di comunicazione quando sia frut-to non di cattiva trasmissione, ma di equivoco o di altri ele-menti intriseci e non esterni al messaggio stesso.

Questi limiti nulla tolgono all’opera di Shannon e al suocontributo fondamentale alla definizione di un concettomatematico di informazione trasmessa attraverso un cana-le di comunicazione.

BIBLIOGRAFIA

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Il programma e alcuni articoli dello Shannon Day, organizzatodai Bell Labs, il 18 maggio 1998. http://cm.bell-labs.com/cm/ms/what/shannonday/program.html

NOTE

1 Cfr. Aspray W. (1985), p.118.2 Cfr. Ong W. (1982) p.176, Trad. It. (1986) p. 242.3 Shannon C. Weaver W. (1949)4 Ivi, p. 3.5 Lo schema è tratto da Angeleri E. (2000) p.6 con alcune

modifiche.6 MIT: Massachusetts Institute of Technology.7 IAS: Institute for Advanced Studies.8 Shannon C. (1948) 9 Shannon C. (1948)

10 Shannon C. (1948) p.379.11 Cfr. Shannon C. (1948), p.380.12 Vedi per queste osservazioni Cimatti F. (1999) pp. 54-59.13 Shannon C. Weaver W. (1949), p. 8. 14 Il segno meno è necessario per avere H positivo, perché

qualsiasi probabilità è misurata da numeri che sono com-presi tra 0 e 1 e i logaritmi dei numeri inferiori a 1 sonoin se stessi negativi.

15 LAN: Local Area Network.

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HEUREKA: LA STORIA

La storia di Heureka inizia con l’organizzazione di una mostradi Fisica tenutasi a Helsinki nel Maggio 1982. L’esposizione fuideata da tre professori universitari – Tapio Markkanen, Han-nu Miettinen, Heikki Oja – e fu presentata dalla Finnish Physi-cal Society, dall’Università di Helsinki, dall’University of Tech-nology e dall’European Laboratory for Particle Physics, CERN.La mostra, visitata da oltre 20.000 persone, ebbe un grandesuccesso e fu di stimolo per i tre accademici nell’ideare unprogetto dove questo tipo di divulgazione scientifica trovasseuna sede stabile ed una propria linea di sviluppo, in altre pa-role un Science Centre.Il 29 Ottobre 1982 veniva pubblicato un documento nel qua-le si esprimeva l’intento di creare, in Finlandia, la sede di unaesposizione permanente per la Scienza. Scopo del progetto era quello di definire un piano d’azione,di trovare i fondi necessari e di stabilire un luogo per la co-struzione di un nuovo Science Centre.

Furono molte le città che si candidarono per accogliere lanuova struttura, ma fu la città di Vantaa, a pochi chilometri daHelsinki, ad offrirsi di coprire metà delle spese di costruzioneed un terzo del budget operativo, con il risultato che nel Gen-naio del 1985 viene stipulato un contratto tra il Finnish Scien-ce Centre Foundation e la città di Vantaa.Sempre nel 1985 fu indetto un concorso pubblico per la pro-gettazione dell’architettura della struttura, concorso che fuvinto da Mikko Heikkinen, Markku Komonen e Lauri Anttila,con un progetto di nome “Heureka”. Ora il Finnish ScienceCentre aveva anche un nome!Forti del successo delle iniziative precedentemente svolte, fudeciso di fare intervenire, alla realizzazione del progetto, unteam di 46 esperti e più di duemila scienziati furono coinvoltinella pianificazione dei contenuti.L’intelaiatura della parte principale di Heureka fu completatanel Maggio del 1986 ed il progetto del Verne Theatre (una sa-la a schermo emisferico utilizzata per proiezioni multimediali

heureka, i l sc ience centre f in landesee i “nuovi” centr i d i d i ffus ione del lacultura scient i f ica e tecnologica

A. BuginiS. Camprini

Apparati e modellididattici interattiviideati e realizzatida Heureka:The Finnish ScienceCentre, Vantaa,Helsinki. Palazzodel Podestà,Bologna:Communication (1 set-5 nov 2000)Foto di: G. Artusi

ed adibita anche a planetario) fu completato nell’Ottobre del-lo stesso anno. I lavori di costruzione iniziarono ufficialmentenel 1987 e la “prima pietra” venne deposta il 27 Ottobre del1987. I lavori durarono circa un anno e nella primavera del1989 l’esposizione permanente trovò posto tra le mura diHeureka, che venne aperta al pubblico il 28 Aprile 1989.Dall’anno di apertura ufficiale, Heureka, oltre a rinnovare edampliare costantemente la propria esposizione permanente,ha prodotto mostre temporanee, in modo tale da presentareai propri visitatori due o tre mostre diverse all’anno.Gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado rappresenta-no una grossa percentuale (circa un quarto) dei visitatori diHeureka. Durante i primi tre anni di apertura, 20 000 inse-gnanti hanno avuto la possibilità di usufruire di un preziososussidio didattico quale è il Science Centre; materiale didatti-co e bollettini informativi (su supporto cartaceo o su Internet)vengono forniti ai docenti per una migliore fruizione della vi-sita da parte delle classi. L’interesse per le mostre temporaneeorganizzate da Heureka travalica i confini finlandesi e, duran-te gli anni Novanta, alcune di queste mostre sono state espor-tate in almeno dieci paesi di tre continenti diversi. Questastruttura occupa quindi un’importante posizione nel mondodei Science Centre. Nel 1992, Heureka è diventato il primomembro non-americano dell’Association of Science-Techno-logy Centers (ASTC); inoltre ha ospitato il primo CongressoMondiale dei Science Centre tenutosi nel Giugno del 1996, eche ha visto la partecipazione di 500 operatori provenienti da48 paesi diversi.

IL SCIENCE CENTRE: LA NASCITA DI UN’IDEA

In realtà, la storia dei Science Centre è cominciata molto tem-po prima.

L’idea primitiva ed originale di esposizione interattiva - priva diuna collezione storica dalla quale essere supportata - risale al1888, anno in cui a Berlino viene inaugurata Urania, che ospi-ta un planetario allestito e presentato come una vera e pro-pria sala espositiva. Ma è con il Deutsches Museum (Monacodi Baviera), aperto al pubblico nel 1925, che si realizza il pri-mo museo della scienza e della tecnica con l’aspirazione di-chiarata di rendere la scienza fruibile a tutti.Il fondatore del Deutsches Museum, Oskar von Miller prendead esempio il South Kensington Museum di Londra (che piùtardi prenderà il nome di Science Museum) ed il Conservatoi-re des Arts et Mètiers di Parigi; il suo è un approccio didatti-co completamente nuovo al concetto di museo: rileva l’im-portanza di educare, e divertire insieme. Von Miller progettaun museo della tecnica accessibile a tutti, una struttura cheriesca ad avvicinare alla scienza divertendo il visitatore. Unagrande attenzione viene rivolta agli strumenti e agli apparatistorici, cercando però di coinvolgere i visitatori in sempliciesperimenti e permettendo loro di poter osservare, passo do-po passo, processi fisici e naturali simulati “ad hoc”, e debi-tamente “frantumati” in semplici passaggi.Sull’onda del successo del museo tedesco, a Parigi apre, nel1937, il Palais de la Dècouverte, che diventerà famoso per lesue coinvolgenti e a volte spettacolari dimostrazioni al pubbli-co. Nel progetto del fondatore, il fisico Jean Perrin (premioNobel per la Fisica nel 1926), vi era la volontà di “rendere evi-dente il fattore dominante esercitato dalla Scienza sin dall’ini-zio della nostra civiltà e di fare comprendere come non esistanulla di più innovativo della ricerca e della scoperta”.Sarà un fisico americano, Frank Oppenheimer, fratello minoredi Robert (grande fisico e studioso, celebre per avere coordi-nato il Progetto Manhattan per la costruzione della prima

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Centro di culturascientifica Heureka(esterno), Vantaa,Helsinki, Finlandia.Per cortesia di:Heureka.

Centro di cultura scientificaHeureka (interno), Vantaa,Helsinki, Finlandia.Per cortesia di: Heureka.

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riabomba atomica), a riunire e ad approfondire le tematiche e le

aspirazioni dei fondatori dei musei europei: nasce così l’Ex-ploratorium nel 1969, a San Francisco.Frank Oppenheimer comincia, e conclude, la propria carrieracome ricercatore, proprio come il fratello, ma viene oggi ri-cordato principalmente per le sue grandi doti di educatore.L’idea dell’Exploratorium prende forma a seguito di un viag-gio in Europa, avvenuto nel 1965, durante il quale Oppenhei-mer visita i più importanti musei della scienza e della tecnicadi questo continente. Ne rimane colpito poiché, rispetto alleanaloghe strutture statunitensi, questi musei hanno un piùmarcato intento educativo, e lo realizzano in maniera estre-mamente efficace. Oppenheimer però va oltre: mette a pun-to una struttura che supera lo strumento del modello esplica-tivo che si aziona con un bottone o delle semplici simulazionie realizza apparati ad hoc, concepiti in modo tale da presen-tare fenomeni isolati, controllabili direttamente e dipendentidagli input stessi dei visitatori. Gli exhibit possono essere con-siderati dei grossi giocattoli, mediante i quali la scoperta del-le leggi della natura diventa un piacevole divertimento, se-condo una visione dell’apprendimento di tipo esperienziale: lavia d’accesso alle leggi e ai fenomeni della scienza deve esse-re l’esperienza diretta. I Science Centre fanno molto di più che fornire informazionispecifiche o una panoramica del progresso scientifico. Il fattodi poter “fare esperienza” invita i visitatori a diventare “piùcuriosi” e a potere familiarizzare nuovamente con i fenome-ni che avevano smesso di notare o che non avevano maicapito a scuola.Dopo una visita ad un museo della scienza, spesso i visitatorihanno la sensazione di “guardare” alle cose che li circondanoin maniera diversa; la dinamica attuata, e cioè, il coinvolgi-mento attivo del visitatore, è in grado di innescare meccani-smi che vanno oltre il semplice apprendere un fatto specificoo una singola nozione. La funzione degli exhibits, dunque,non si esaurisce nel compito di stimolare la curiosità del visi-tatore. Al contrario, essi sono studiati col preciso compito diservire all’insegnante, nel caso di scolaresche, come validipunti di appoggio per sviluppare con la classe, in modo nonobbligante, un particolare tema di fisica, di matematica o discienze; all’adulto, come punto di partenza per ulteriori,personali approfondimenti e ricerche.L’obiettivo di Oppenheimer di avvicinare alla Scienza il grande

pubblico dei non addetti ai lavori trova nei Science Centre unostrumento prezioso.In questo senso, dunque, è possibile guardare ai Science Cen-tre come ad una nuova generazione di musei scientifici e tec-nologici, quasi come all’evoluzione dei musei di tipo più tra-dizionale. Anche in Italia, infatti, nonostante il cronico ritardo sui tempiamericani ed europei, a parte i Science Centre tout court (sipensi, ad esempio: al Laboratorio dell’Immaginario Scientificodi Trieste e alla Città della Scienza di Napoli, ma anche ad al-tre numerose ed interessanti esperienze che si stanno conso-lidando), i musei della scienza e della tecnica più tradizionalihanno avviato da tempo processi di rinnovamento che simuovono lungo le linee guida dei Science Centre. Basti citareil Museo della Scienza e della Tecnica di Milano e il Museo diStoria Naturale sempre a Milano, o l’Istituto e Museo di Sto-ria della Scienza a Firenze; anche per questi ultimi tipi di mu-seo, ad ogni modo, i casi cominciano a moltiplicarsi.

COMMUNICATION: COMUNICHIAMO?

La mostra Communication, l’ultima mostra temporanea na-ta in casa Heureka, e che qui viene presentata, è appunto unacollezione di exhibit interattivi. L’esposizione nasce dalla consapevolezza che la cosiddetta“società dell’informazione”, con i suoi iperbolici sviluppi tec-nologici, ha prodotto una rivoluzione paragonabile a quellagutenberghiana. Il modificarsi dei modi di memorizzazione edi trasferimento del sapere ha prodotto, e produrrà in manie-ra sempre più marcata e permanente, considerevoli muta-menti sociali ed economici. L’esigenza di una maggiore e piùdiffusa comprensione della scienza e della tecnologia divieneperciò sempre più pressante.In particolare, può essere significativo il ruolo dei centri di dif-fusione scientifica e tecnologica in azioni di contenimento deifenomeni di esclusione sociale per quanto riguarda l’accessoagli strumenti e ai processi (servizi, relazioni, etc.) basati sullenuove tecnologie. Communication vuole essere quindi un contributo alloschiudersi di alcuni di quei cancelli elettronici che rischiano,ogni giorno, di essere sempre più dei “respingenti” per unnumero tutt’altro che trascurabile di persone.

Heureka, campi estivi, Vantaa,Helsinki, Finlandia.Per cortesia di: Heureka.

Heureka, campiestivi, Vantaa,Helsinki, Finlandia.Per cortesia di:Heureka.

L’esposizione base – gli exhibit preparati da Heureka – haviaggiato e viaggerà attraverso tutte le nove Città Europeedella Cultura per il 2000. La mostra parla ben 14 lingue: in-glese, francese, finlandese, svedese, olandese, tedesco, spa-gnolo, italiano, fiammingo, ceco, polacco, islandese, norve-gese, danese. Nella mostra si incontrano sei grandi aree te-matiche, cui fanno riferimento gruppi di exhibit (indicate dairelativi codici di riconoscimento, ad esempio: D204)

PRINCIPI DI COMUNICAZIONE E FATTORI CHE UNISCONO

GLI EUROPEI

Il tema della comunicazione viene affrontato in senso esteso.Tra europei è possibile, infatti, comunicare più facilmente gra-zie alle affinità culturali nei modi di vedere e di interpretare il

mondo. Tuttavia la possibilità di incomprensioni rimane estre-mamente elevata. La semplice pronuncia delle lettere si differenzia a parità di se-gno grafico, e persino il cane di un bambino inglese (o tede-sco) abbaia con un “wuff” mentre quello di un italiano ri-sponde con un “bau”!Gli alfabeti (D103)Tastiere europee (D104)I proverbi – Un patrimonio comune agli europei (D107)Comunicazione bidirezionale (D108)

PROPAGAZIONE DI UN’ONDA

Le future tecnologie per la comunicazione, come pure quelleattuali, sono basate sulle propagazione di onde elettroma-

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Heureka, Vantaa,Helsinki, Finlandia.Per cortesia di: Heureka.

Deutsches Museum, veduta aerea sull’Isar, Monaco diBaviera, Germania. Per cortesia di: Deutsches Museum

DeutschesMuseum, Saloneaeronautico,Monaco di Baviera,Germania.Per cortesia di:DeutschesMuseum

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gnetiche. Gli exhibit offrono un piccolo excursus in pieno am-bito fisico: Le radiazioni elettromagnetiche (D201)Modello ondulatorio (D203)Le antenne paraboliche (D204)

ANALOGICO E DIGITALE

La comunicazione tra umano e macchina e tra macchina eumano viene raccontata a partire dal codice binario passan-do dalla TV, per arrivare alla riproduzione dei suoni e delleimmagini: Trasmissione analogica o digitale dei suoni (D302)30 copie (D303)Il proprio nome tradotto in zeri ed uni (D304)Digitalizzare un’immagine (D305)Digitalizzare la propria voce (D306)Cosa significa rappresentazione binaria (D307)Come nasce l’immagine TV (D310)

RETI SATELLITARI, RETI MOBILI E RETI CABLATE

In quanti modi è possibile trasmettere un segnale? Vecchieidee e nuove tecnologie:Progettazione della rete cellulare (D403)Satellite geostazionario (D404)Capacità di trasmissione dati dei cavi (D406)

INTERNET: UNA GRANDE RETE MONDIALE

La parola più pronunciata dell’ultimo anno: Internet, conqualche accenno alle più recenti proposte per portarselo incasa:La storia di Internet (D504)L’importanza dell’ampiezza di banda per la qualità dell’imma-gine (D505)

LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE

Che cos’è la crittografia?: l’importanza della segretezza deidati nel villaggio globale.Gli exhibit raccontano anche il ruolo chiave che le nuove tec-nologie possono svolgere nel superare distanze e difficoltà le-gate alle disabilità, permettendo così l’accesso agli strumentiinformatici ad un numero sempre maggiore di persone.Il cellulare GSM come strumento di pagamento (D604)Sicurezza dei dati (D608)Manutenzione a distanza dei motori delle navi (D611)Il sintetizzatore vocale e la società dell’informazione (D612)Il mouse funziona anche con la testa! (D616)Gioco della voce (D807)

LINKS

Dove trovare alcuni dei più importanti Science Centre delmondo:http://www.snl.org/museums/index.htmlhttp://erewhon.ticonuno.it/galois/musei/musei.htmhttp://www.ecsite.nethttp://www.exploratorium.eduhttp://www.deutsches-museum.dehttp://www.nmsi.ac.ukhttp://www.palais-decouverte.fre in Italia:Istituto e Museo di Storia della Scienza (Firenze):http://www.imss.fi.it/indice.htmlMuseo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”(Milano): http://www.museoscienza.orgin particolare, per reperire ulteriori link interessanti:http://www.museoscienza.org/musei-it/link.htmlLaboratorio dell’immaginario scientifico (Trieste):http://www.lis.trieste.itCittà della Scienza (Napoli): http://www.cittàdellascienza.it

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r icerca nel campodelletelecomunicazioni

76 La Rete informatica dell’Università di Bologna — M. Boari, F. Delpino

78 La Rete Garr, il progetto GRID e le Reti di Ricerca INFN — A. Pascolini

82 Dynamic System Identification, CITAM — R. Guidorzi

83 La Ricerca presso l’ENEA — S. Gruppuso

86 Gli strumenti della memoria: informatica e diagnostica fisica per i beni culturali — D. Biagi Maino, G. Maino

94 Le ricerche presso il Centro di Studio per l’Informatica e i sistemi di telecomunicazioni del CNR — O. Andrisano

98 Il Radiotelescopio di Medicina — R. Ambrosini, S. Montebugnoli, M. Nanni

102 Il Progetto 2D, 3D, 4D, Progetto Nu.M.E.Consorzio Università-Città, Bologna 2000, Cineca — F. Bocchi

105 Navigazione in 4D del NUovo Museo Elettronico della Città di Bologna — A. Guidazzoli

106 Prima installazione del Baby Reality Center del Cineca — F. Serafini

108 La Storia e la Ricerca dell’Istituto di Geologia Marina (CNR, Bologna) in Multivisione — M. Ravaioli, F. Giglio, G. Marozzi, N. Bianchi, F. Bentivoglio, D. Martignani

110 La visualizzazione dei fondali marini in realtà virtuale — G. Bortoluzzi,

T. Diamanti, G. Stanghellini, L. Calori, A. Guidazzoli

112 Il codice a barre — R. Amato

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ALMAnet è la rete informatica per le applicazioni didattichescientifiche ed amministrative, che connette tutte le sedi uni-versitarie nella città di Bologna e nelle sedi decentrate.

LA RETE D’ATENEO

La rete d’Ateneo connette un numero rilevante di struttureuniversitarie e precisamente: Bologna 43, Cesena 10, Forlì 10,Ravenna 7, Reggio Emilia 1, Rimini 2.Creata nel 1980, ALMAnet è divenuta un progetto d’Ateneonell’ambito delle attività per il IX centenario (1988) dell’AlmaMater Studiorum, Magnifico Rettore prof. Fabio Roversi Mo-naco, come un progetto di rinnovamento tecnologico, patro-cinato dal pro-Rettore, prof Mario Rinaldi, e gestito da un Co-mitato Tecnico Scientifico.

ALMAnet 1995

In seguito la rete è andata sviluppandosi sino a collegare tut-te le strutture universitarie nella città di Bologna e nelle sedidecentrate di Cesena, Forlì, Rimini, Ravenna e Reggio Emilia.Essa ha inoltre mutato valenza passando da una rete tipica-mente scientifica, che collegava i principali Dipartimenti del-l’area tecnico-scientifica, ad una rete d’Ateneo, in grado difornire supporto anche alle applicazioni didattiche ed ammi-nistrative. Al fine di adeguare l’infrastruttura della rete AL-MAnet alle nuove ed accresciute esigenze dell’utenza, nel1995 fu predisposto un vasto piano di rinnovamento, artico-lato in due distinti progetti:• il primo, inerente all’Area Metropolitana di Bologna, preve-

deva l’inserimento di ALMAnet in una rete metropolitana alarga banda, basata su tecnologia SMDS e gestita in con-venzione dalla Telecom Italia;

• il secondo, inerente alle sedi decentrate della Romagnaprevedeva la creazione di una dorsale regionale di proprie-tà dell’Università, costituita da collegamenti su ponti radio.

ALMAnet 1999

La struttura della rete ALMAnet nel 1999 assume una note-vole complessità, essendo costituita da una rete regionale,che collega le varie reti metropolitane nelle città con sedi uni-versitarie distaccate.Inoltre la rete metropolitana di Bologna si articola:• in una sottorete ATM, gestita dalla Telecom Italia mediante

una convenzione;• in una sottorete CDN, che collega con linee dirette nume-

riche al Ce.S.I.A. tutte le altre sedi nel capoluogo e che vie-ne gestita direttamente dal Centro Servizi Informatici d’A-teneo.

ALMAnet 2000

Il tumultuoso sviluppo di Internet e l’impatto che questo ge-nera sulle attività di un moderno ateneo nei campi della ri-cerca e della didattica, unitamente alle accresciute esigenzedell’amministrazione volta ad offrire sempre migliori serviziagli studenti ed ai suoi uffici rendono la rete informaticaun’infrastruttura di vitale e strategica importanza. L’Universitàdi Bologna inoltre, articolata e compenetrata come è nel ter-

la reteinformat icade l l ’univers i tàd i bologna

M. BoariF. Delpino

Ce.S.I.A. (CentroServizi Informaticid’Ateneo) Centrodi Controllo dellarete ALMAnet.

Traliccio per ponteradio.

Antenna pertrasmissione dati.

Fascio difibre ottiche.

ALMAnet.Dorsale regionale.

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ritorio urbano e regionale, sembra ritrovare nella rete e neiservizi che essa offre quell’unità operativa, che la tirannidedella geografia sembra negarle.Per l’anno 2000 è stato pertanto approntato un progetto diforte rinnovamento, che farà di ALMAnet una rete a largabanda. L’elevata velocità di tutti i collegamenti metterà a dis-posizione degli utenti un’infrastruttura di comunicazione tele-matica all’avanguardia, sulla quale potranno essere impianta-ti servizi innovativi per la didattica, la ricerca e l’amministra-zione. Teledidattica, certificazioni in linea, laboratori informa-tici, colloqui con i docenti e con le segreterie, sono solo alcu-ni dei possibili servizi che verranno attivati e che si aggiunge-ranno a quelli già esistenti. Tale nuova infrastruttura diverràoperativa nell’autunno del 2001.• Almanet è tecnologia: le più moderne tecnologie di comu-

nicazione, dalle fibre ottiche ai ponti radio.• Almanet è servizi: per la didattica, la ricerca e l’amministra-

zione.• Almanet è il sistema di comunicazione di un grande ateneo

con 100.000 studenti e sedi in sei diverse città.• Almanet è gestita dal Centro Servizi Informatici d’Ateneo,

coadiuvato da un Comitato Scientifico di Sviluppo.

LA RICERCA SULLE TELECOMUNICAZIONI

NELL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

Sistemi di trasmissione su canale radio ed in fibra ottica. Si-stemi radiomobili di nuova generazione terrestri e via satelli-te. Controllo ed ottimizzazione dell’uso dello spettro elettro-magnetico Elaborazione del segnale. Analisi e dimensiona-mento delle reti di telecomunicazione. Reti fotoniche. Proble-matiche inerenti alla sicurezza delle reti.

Ce.S.I.A.Apparecchiaturedi rete.

Apparati ditelecomunicazioni.

Postazioni di accesso alla rete nelle sale studio.

Laboratorioinformatico.

Ce.S.I.A.Interconnessionidi reti.

Apparecchiaturedi rete.

Tutte le immagini di questo articolo sonodovute al Ce.S.I.A. (Centro ServiziInformatici d’Ateneo) che si ringrazia.

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L’ISTITUTO NAZIONALE DI FISICA NUCLEARE

L’lstituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è l’ente pubblicoitaliano che promuove, coordina ed effettua ricerche speri-mentali e teoriche per lo studio dei nuclei atomici, delle parti-celle elementari e di fisica astroparticellare, sia in Italia chepresso i grandi laboratori e centri di ricerca internazionali.Inoltre, I’INFN ricerca e sviluppa le tecnologie necessarie pertali sperimentazioni.Fondato nel 1951, I’INFN è attualmente articolato in:- 4 laboratori nazionali (i Laboratori Nazionali di Frascati, di

Legnaro, del Gran Sasso ed il Laboratorio Nazionale del Suda Catania),

- 19 sezioni e 11 gruppi collegati costituiti presso i diparti-menti di fisica delle principali università italiane,

- il CNAF, il centro nazionale dedicato allo sviluppo delle tec-nologie informatiche e delle reti di calcolatori, a Bologna.

Metodologie, apparati e tecniche della fisica nucleare e sub-nucleare costituiscono potenti mezzi d’indagine anche per va-ri altri settori di ricerca, dalla biologia agli studi ambientali,dalla medicina allo studio della struttura dei materiali; con leistituzioni interessate a questi campi l’INFN cura e promuovecollaborazioni scientifiche.La ricerca avanzata di base produce e richiede tecnologie diavanguardia. L’INFN ha avuto sempre cura di cogliere le occa-sioni per trasmettere all’industria italiana il patrimonio di com-petenze acquisite nelle sue attività e di collaborare per nuovisviluppi nei campi più avanzati.

RETI DI CALCOLATORI, SUPPORTO INDISPENSABILE

PER LA RICERCA

Un carattere distintivo dell’attuale fase della ricerca fisica so-no le vaste collaborazioni internazionali e l’uso comune di la-boratori e risorse tecniche distribuiti in tutto il mondo. Un ta-le contesto ha forzato lo sviluppo negli ultimi venti anni di tec-nologie avanzate di comunicazione e di collegamento deicomputer impiegati per raccolta e gestione dei dati, calcolinumerici, e comunicazione scientifica.Si è andata cosi creando e potenziando una famiglia di reti in-formatiche interconnesse dalle prestazioni sempre più evolu-te, che attualmente avviluppa tutto il mondo.Tramite la rete, un ricercatore dalla sua scrivania può colle-garsi, ad esempio, ad un calcolatore del Fermilab di Chicagoe lavorare come se fosse fisicamente seduto davanti a quellamacchina per controllare un apparato sperimentale; oppure,la rete gli permette di trasferire nel suo calcolatore dati pre-

la rete garr, i l p rogetto g r id e leret i d i r i cerca infn

A. Pascolini

INFN. I laboratori nazionali.a sinistra: Frascati.sopra: Catania

INFN.I laboratorinazionali diLegnaro.

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senti nei calcolatori del CERN di Ginevra; per elaborare unapubblicazione con un collega russo può scambiare messaggitramite la posta elettronica ed entrambi possono intervenirecontemporaneamente sul testo.Le reti di calcolatori sono diventate un indispensabile stru-mento di lavoro quotidiano ed hanno ulteriormente rafforza-to i vincoli della comunità scientifica internazionale. Tramite lereti scientifiche ogni ricercatore può raggiungere ogni labora-torio mondiale per mantenere i contatti con la comunitàscientifica.

INFNet, LA RETE INFORMATICA DELL’INFN

INFNet è la rete di calcolatori dell’lNFN, nata nel 1980 per fa-vorire le comunicazioni tra le varie sedi dell’lNFN, i laboratoried i centri di calcolo nazionali ed internazionali. INFNet è sta-ta la prima rete italiana ed è andata espandendosi e poten-ziandosi, arricchita via via di tutti i nuovi strumenti resi dispo-nibili per i servizi in rete. Dal 1989 è integrata nella rete GARR(Gruppo Armonizzazione Reti per la Ricerca), che unisce tuttele sedi universitarie italiane, i principali centri di calcolo e le se-di degli enti di ricerca. Negli ultimi anni si è assistito ad unenorme sviluppo delle reti di calcolatori: grazie all’esperienzaed alla competenza maturate in 20 anni, I’INFN partecipa at-tivamente a numerosi progetti internazionali, attuando im-portanti sperimentazioni di nuove tecnologie di rete. L’evolu-zione della rete INFNet è, quindi, una conseguenza di questeiniziative.

LA RETE GARR.B A SUPPORTO DELLA RICERCA ITALIANA

La rete GARR (Gruppo Armonizzazione Reti per la Ricerca) uni-sce dal 1989 tutte le sedi universitarie italiane, i principali centridi calcolo e le sedi degli enti di ricerca, per un totale di oltre 200siti, ed è connessa alla rete europea a larga banda “Ten-155”.GARR-B rappresenta la presente fase potenziata della rete: ècostituita da una dorsale di collegamenti a larga banda ope-rante alla velocità di 155 Mbps (milioni di bit al secondo) sucui viaggiano più protocolli di rete per garantire la connessio-ne ad ogni tipo di calcolatore. La realizzazione e la gestione diGARR-B è stata affidata dal Ministro per l’Università e la Ri-cerca Scientifica e Tecnologica all’lNFN, che ha costituito unNetwork Operation Centre con sede presso il suo centroCNAF di Bologna. GARR-B favorisce il coordinamento e la col-laborazione tra le attività di ricerca, a livello nazionale ed in-ternazionale, tramite i servizi telematici, compresi anche la ri-cerca e lo sviluppo nei servizi telematici stessi. GARR-B sta oraevolvendo in GARR-G, a velocità dell’ordine dei Gbps (miliar-di di bit al secondo), che confluirà nel progetto GEANT (Con-sorzio europeo per la nuova generazione delle reti della ricer-ca accademica e universitaria) sottoposto alla Comunità Euro-pea per potenziare la rete internazionale della ricerca europeaa una banda dei Gigabit.Si veda nelle immagini lo schema dei collegamenti della reteGARR-B: in rosso la dorsale a 155Mbps, in viola i collegamentiintemazionali (155 Mbps o 45 Mbps), in arancione i collega-menti con i nodi di accesso locali (155 Mbps o 34 Mbps).

Schema dei collegamenti della rete GARR-B: in rosso la dorsale a 155Mbps, in viola i collegamenti internazionali (155 Mbps o 45 Mbps),in arancione i collegamenti con i nodi di accesso locali (155 Mbps o34 Mbps).

Immagined’ingresso del sitoWWW dell’INFNper la divulgazionescientifica.

Statistica dell’impiego dei calcolatorinel sistema Condor dell’INFN. Rosso:utilizzazione locale; verde: utilizzazioneremota; blu: calcolatori non utilizzati.

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INTERNET ED IL WORLD WIDE WEB

Internet è la più estesa interconnessio-ne mondiale di reti differenti, ognunaadibita a funzioni diverse: ciascuno deimolteplici calcolatori di ogni rete puòcolloquiare in modo trasparente contutti gli altri indipendentemente dallaloro collocazione geografica, grazie adun protocollo comune di comunicazio-ne chiamato TCP/IP (Transmission Con-trol Protocol/lnternet Protocol), chepermette di connettere tra di loro mac-chine di costruttori diversi e con sistemioperativi e di rete differenti. Il WorldWide Web attivo su Internet è un siste-ma ipertestuale distribuito di ricerca edi raccolta di informazioni. Il progettowww ha avuto origine nel 1989 nel la-boratorio europeo CERN di Ginevra al-lo scopo di favorire il lavoro dei fisicidelle particelle impegnati in vaste colla-borazioni internazionali. L’evoluzionedel www ha caratteristiche esplosive ela fase di rapida espansione non mostrasegni di rallentamento.Il principio di funzionamento è fondatosu una struttura di sistema distribuito:determinate applicazioni vengono ese-guite in molteplici nodi della rete, in cuisono attivi programmi che eseguono

specifici servizi, senza che l’utente se ne renda conto. La po-tenza del www sta nella sua particolare architettura, costrui-ta su protocolli comuni e su un linguaggio base per la defini-zione dei documenti ipertestuali. Il testo è illustrato dalla se-guente iconografia: immagine d’ingresso del sito www del-l’lNFN per la divulgazione scientifica (v. p. 79).

DAL WEB ALLA GRID. TRASFORMARE INTERNET IN UN

SOLO ENORME CALCOLATORE PER VINCERE LE NUOVE

SFIDE DELLA FISICA

Gli esperimenti al nuovo acceleratore LHC (Large Hadron Col-lider) in costruzione al CERN di Ginevra saranno condotti damigliaia di scienziati di tutto il mondo e richiedono una po-tenza di calcolo, di raccolta e gestione di dati, e di collega-menti in rete mai affrontata prima d’ora in nessun altro set-

tore scientifico, industriale o commerciale. Per affrontare que-sti problemi si sta elaborando una nuova strategia, chiamataGRID (dal termine anglosassone grid per reti elettriche) inanalogia con le reti di distribuzione dell’energia elettrica. LaGRID computazionale si presenta come una risorsa mondialeglobale, in cui supercomputer, grandi batterie di PC, dischi ealtri sistemi di memorie di massa, enormi archivi di dati e diinformazioni sono uniti tra loro da una rete di trasmissionedati ad alta velocità, diventando strumenti per il lavoro colla-borativo a distanza.Tutte queste risorse sono rese disponibili agli utenti, sparsi intutto il mondo, in modo trasparente, attraverso un softwaredi nuovissima concezione che facilita il lavoro distribuito. Lepotenzialità del Web vengono enormemente aumentate perdar modo agli utenti non solo di reperire informazioni, ma an-che di eseguire calcoli complessi e accedere a grandi archivi didati con semplici click. Il testo è arricchito dalla seguente im-magine: simulazione di un possibile evento previsto dagliesperimenti al nuovo acceleratore LHC del CERN (v. a fianco).

CONDOR. PER OTTIMIZZARE LE RISORSE DI CALCOLO

DISTRIBUITE

Gli esperimenti di fisica nucleare e delle particelle richiedonoenormi capacità di calcolo, e per tale esigenza storicamente siè fatto ricorso a grandi centri di calcolo. La tendenza evoluti-va dei calcolatori in questi ultimi anni è caratterizzata da unacrescita continua della potenza di calcolo dei singoli PC eworkstation e da diminuzione dei costi. Questi due fattori fa-voriscono la distribuzione capillare dei PC per ogni singoloutente e una configurazione di cluster di PC o workstation persingoli esperimenti e progetti di ricerca, tutto ciò comportauna crescita molto consistente della capacità di calcolo com-plessiva dell’lNFN ma con utilizzo limitato alle esigenze indivi-duali. Per ottimizzare l’uso delle risorse di calcolo distribuite,all’università del Wisconsin a Madison (USA) è stato sviluppa-to un sistema di calcolo distribuito, chiamato Condor; il CNAFe la sezione di Bologna dell’lNFN lo hanno quindi adattato al-le esigenze dell’lNFN, configurato su rete geografica ed arric-chito di nuove funzionalità.Condor è un sistema di calcolo distribuito basato sull’utilizzoda parte di utenti remoti di workstation in rete quando nonsono utilizzate localmente. Così si possono soddisfare le sem-pre crescenti esigenze di calcolo attraverso un uso più effi-ciente delle risorse esistenti, pur consentendo un accessoprioritario all’utilizzo locale da parte degli utenti dei singoligruppi o laboratori. Le risorse dell’lNFN a disposizione del cal-

Apparatisperimentaliutilizzatiattualmente alCNAF (Bologna)per i test ditrasmissione datie per l’accessoalla rete GARR-B.

Simulazione di un possibileevento previsto dagliesperimenti al nuovoacceleratore LHC del CERN.

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nicolo remoto mediante il sistema Condor comprendono centi-

naia di calcolatori in tutt’ltalia.Alcune immagini a documentazione di queste tecnologie: sta-tistica dell’impiego dei calcolatori nel sistema Condor del-l’lNFN: rosso: utilizzazione locale, verde: utilizzazione remota,blu: calcolatori non utilizzati (v. p. 79, in alto a destra).

IL CNAF. CENTRO NAZIONALE PER LE TECNOLOGIE

INFORMATICHE E TELEMATICHE DELL’INFN

Il CNAF è un Centro Nazionale dell’lNFN dedicato alla ricercaed allo sviluppo nel campo delle discipline informatiche a sup-porto dell’attività di ricerca. La sua sede è a Bologna.Il CNAF ha curato la progettazione, realizzazione e gestionedella rete della ricerca italiana, prima INFNet ed ora GARR; dal1998 sta privilegiando iniziative a più ampio spettro, che spa-ziano dalla sperimentazione di nuove tecnologie trasmissiveallo sviluppo di servizi ed applicazioni avanzate per gli esperi-menti, oltre al coinvolgimento in progetti italiani ed europeicome DATAGRID.La sperimentazione delle nuove applicazioni avanzate su retegeografica viene effettuata dal CNAF in collaborazioni nazio-nali ed anche con altre reti della ricerca europee ed interna-zionali quali ESnet, la rete della ricerca americana.Rimane comunque rilevante l’attività di servizio che il CNAFsvolge a favore di tutta la comunità dei ricercatori INFN, per ilsupporto e la gestione di strumenti informatici di uso comu-ne quali mailing list, who is, usenet news, web server, video-conferenza… Apparati sperimentali utilizzati attualmente alCNAF per i test di trasmissione dati e per l’accesso alla reteGARR-B documentano quanto sostenuto sopra.

IL CNAF E LE NUOVE ESIGENZE DELLA RICERCA

La ricerca in fisica nucleare e delle particelle richiede un usodella rete che va oltre il servizio tradizionale di Internet defini-to best effort. Applicazioni cruciali di un esperimento, quali ilcontrollo remoto - su scala continentale ed intercontinentale -dei rivelatori di un apparato, hanno bisogno di garanzie di fun-zionamento e di tempi di risposta adeguati da parte della rete.A queste esigenze cercano di rispondere i nuovi servizi di retecosiddetti di QoS (Quality of service) o “a qualità garantita”che gestiscono il trafffico in modo selettivo. A questi servizivengono associati nuovi strumenti di monitoraggio utilizzatidalle stesse applicazioni per controllare il funzionamento dellarete e gestire gli eventuali malfunzionamenti. Altri aspetti di unesperimento, quale il sistema di acquisizione e filtraggio dei

dati, richiedono infrastrutture trasmissive ad altissima velocità(10 Gbps) e con un elevato numero di nodi (circa 3000). Que-ste esigenze richiedono uno studio di simulazione e sperimen-tazione di nuove topologie con tecnologie trasmissive basatesu fibra ottica e con l’uso di più lunghezze d’onda (WDM, Wa-ve Division Multiplexing). A ciò si aggiungono le problematichedi calcolo dei futuri esperimenti al laboratorio europeo CERN,le cui caratteristiche principali sono costituite dall’elevato nu-mero di dati sperimentali (dell’ordine di decine di petabyte, mi-lioni di miliardi di byte, all’anno) e dal rilevante numero di fisi-ci coinvolti. Tali problemi vengono affrontati con modelli ge-rarchici e distribuiti sulla rete a livello geografico. Il CNAF de-dica la parte preponderante della sua attività a queste proble-matiche con progetti nazionali ed europei.Il testo è arricchito dalle seguenti immagini: rivelatore dell’e-sperimento CDF, Collider Detector Facility, a Fermilab, pressoChicago, per cui si sta sviluppando un sistema di controllo re-moto operativo dall’ltalia (v. sotto); schema dell’esperimentoATLAS in costruzione al CERN, che prevede la produzione diimmense quantità di dati, dell’ordine del petabyte all’anno (v.sopra).

Tutte le immagini di questo articolo sono dovute all’INFN(Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) che si ringrazia.

Rivelatore dell’esperimento CDF a Fermilab, presso Chicago, per cui sista sviluppando un sistema di controllo remoto operativo dall’Italia(foto Fermilab).

Rivelatore dell’esperimento ATLAS incostruzione al CERN, che prevede laproduzione di immense quantità di dati,dell’ordine del petabyte all’anno.

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Molte delle attività svolte presso il CITAM (Centro Interfacol-tà per le Tecnologie didattico-educative teleaudiovisive “Gu-glielmo Marconi”) riguardano il settore delle comunicazioni.Tra queste è possibile ricordare la produzione televisiva effet-tuata per conto del Consorzio Nettuno e trasmessa sui cana-li di RAISAT.Il CITAM ha poi promosso il servizio AlmaNews che, dall’A.A.1997/98, cura le riprese degli avvenimenti più significativi del-l’Ateneo e l’inserzione su Internet di tali servizi.Nel settore della applicazione delle ICT (Information and

Communication Technologies) nella teledidattica il CITAM stasperimentando dall’A.A. 1998/99, presso le università di Bo-logna e di Ferrara, il corso Dynamic System Identification, pri-vo di lezioni frontali e basato su un tutorato remoto, l’uso diipertesti tecnologicamente avanzati e l’accesso a laboratorivirtuali platform-independent.Il CITAM sta anche effettuando sperimentazioni sull’impattodelle ICT nell’ambito della didattica tradizionale attraverso l’u-so di funzionalità avanzate dei server Web e di tecniche di sin-cronizzazione di flussi multimediali navigabili.

dynamic system ident i f icat ion, c i tam

R. Guidorzi

Alcune immagini tratteda AlmaNews, dal corsoin rete Dynamic SystemIdentification e dalserver del corso di Teoriadei Sistemi.

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RICERCA E INNOVAZIONE PER LO SVILUPPO

SOSTENIBILE DEL PAESE

L’ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente)è un ente di diritto pubblico operante nei campi della ricercae dell’innovazione per lo sviluppo sostenibile, finalizzata apromuovere insieme gli obiettivi di sviluppo, competitività eoccupazione e quello della salvaguardia ambientale. L’ENEA svolge altresì funzioni di agenzia per le pubbliche am-ministrazioni mediante la prestazione di servizi avanzati neisettori dell’energia, dell’ambiente e dell’innovazione tecnolo-gica. In particolare l’Ente:• svolge, sviluppa, valorizza e promuove la ricerca e l’innova-

zione, anche tramite la realizzazione di impianti dimostrati-vi e di progetti pilota, per le finalità e gli obiettivi dello svi-luppo sostenibile, nel quadro del programma nazionaledella ricerca ed in linea con gli impegni scaturenti dalla par-tecipazione italiana all’Unione Europea e alle altre organiz-zazioni internazionali in tema di energia, ambiente e inno-vazione tecnologica;

• sostiene i processi di innovazione del sistema produttivo, inparticolare delle piccole e medie imprese, anche promuo-vendo la domanda di ricerca e di tecnologia in conformitàai principi dello sviluppo sostenibile;

• favorisce il processo di trasferimento tecnologico e delleesperienze positive in campo energetico ed ambientale alleimprese, in particolare di piccola e media dimensione e al-le pubbliche amministrazioni nell’ambito degli indirizzi na-zionali e dell’Unione Europea;

• fornisce, a richiesta, nei settori di sua competenza e nel-l’ambito di accordi di programma con i Ministeri dell’Indu-stria, del Commercio e dell’Artigianato, dell’Università edella Ricerca Scientifica e Tecnologica e dell’Ambiente,nonché con altre amministrazioni pubbliche, supporto tec-nico specialistico ed organizzativo alle amministrazionicompetenti per le azioni pubbliche, in ambito nazionale edinternazionale, alle regioni e agli enti locali.

L’ ENEA basa la sua attività sullo sviluppo e sull’applicazione ditecnologie di punta e innovative, nelle quali ha raggiunto unlivello di eccellenza. Lo sviluppo di queste tecnologie viene ef-fettuato prevalentemente nell’ambito di programmi indirizza-ti a obiettivi strategici. Ad esempio, nell’ambito della fusionenucleare vengono sviluppate tecnologie avanzate di interessegenerale quali la superconduttività e la robotica. Le tecnolo-

gie sviluppate all’ENEA rientrano tra quelle che anche in altripaesi vengono considerate critiche, cioè la cui padronanza èessenziale per mantenere nel medio e lungo periodo l’effi-cienza e la competitività del sistema produttivo. Il patrimoniotecnologico accumulato e la lunga esperienza di collaborazio-ne con imprese grandi e piccole sono essenziali per il trasferi-mento, l’adattamento e l’applicazione delle tecnologie inno-vative in funzione delle necessità dell’utilizzatore finale. L’E-NEA non si rivolge soltanto alle industrie ad alta tecnologia,ma anche a quelle dei settori tradizionali, dove l’iniezione ditecnologie avanzate nel processo produttivo può aiutare amantenere o a sviluppare la competitività sul mercato inter-nazionale.Le tecnologie sviluppate all’ENEA hanno numerose applica-zioni in comparti produttivi e servizi molto diversificati. Adesempio, le tecnologie laser vengono applicate dall’ENEA, incollaborazione con diversi partner, per diagnostiche ambien-tali (misura dell’inquinamento dell’atmosfera o delle acquecostiere, rilevazione di inquinanti metallici in campioni solidi,attività fotosintetica di piante e alghe), per applicazioni indu-striali (metrologia, fotosintesi di polveri, deposizione di pelli-cole di semiconduttori, realizzazione di sensori per gas tossici,taglio di lastre di metalli e di materiali plastici, saldature) e me-diche (misure di concentrazione di metano nell’espirato), nelcampo dei beni culturali (indagini sull’integrità strutturale deimonumenti e diagnostica per le opere d’arte), nell’ambitodella fusione nucleare (diagnostiche di plasmi, studi sulla fu-sione a confinamento inerziale).

TECNOLOGIE SVILUPPATE DALL’ENEA

Numerose sono le tecnologie sviluppate dall’Enea: Laser, Ro-botica, Criogenia, Telerilevamento, Superconduttività, Agro-biotecnologie, Materiali fotovoltaici, Tecnologie impiantisti-che, Materiali ceramici avanzati, Fisica e ingegneria della com-

la r i cercapressol ’enea

S. Gruppuso

Centro dilavorazione laser diMilano della RivaTechint: processodi saldaturaeffettuatomediante il sistemadi comando econtrollosviluppato da Eneae Oberon.Foto per cortesiadi: Enea.

Sistema Lidarfluorosensore conlaser compattoNd-YAG sviluppatodall’Enea,installabile sucontainer mobileo imbarcazioniper campagne dimonitoraggiodell’inquinamentodelle acque e dellostato di salute dellavegetazioneterrestre e marina.Foto per cortesiadi: Enea.

bustione, Modelli matematici e calcolo a elevate prestazioni,Intelligenza artificiale e sistemi esperti, Tecnologie di irraggia-mento, Trattamento delle immagini, Diagnostica avanzata,Tecnologie marine, Membrane, Film sottili, Biosensori, Plasmi.Clima, Metrologia, Processi chimici, Radioprotezione, Fusionenucleare, Depurazione delle acque, Uso razionale dell’ener-gia, Industria manifatturiera, Protezione e miglioramento col-ture agricole, Utilizzo energetico delle biomasse, Trattamentoe recupero dei rifiuti, Caratterizzazione del territorio, Bonificaaree a rischio, Energie rinnovabili, Ausili per disabili, Mobilitàurbana, Beni culturali, Biomedicina.

ALCUNI CAMPI DI APPLICAZIONE DELLE TECNOLOGIE

SVILUPPATE DALL’ENEA

Un altro esempio di applicazione di tecnologie sviluppate dal-l’Enea è quello dei calcolatori paralleli: l’ENEA sviluppa unodei sistemi di calcolo più potenti in ambito mondiale (di con-cezione e fabbricazione italiana) e sta mettendo a punto l’ap-plicazione di questo sistema ad una serie di problemi che van-no dalla modellizzazione meteorologica e climatica sull’areadel Mediterraneo alla simulazione della fabbricazione di ele-menti in materiale plastico con un processo innovativo; dallaprogettazione e protezione di centrali di telecomunicazionealla classificazione di difetti in laminati metallici.Nell’ambito dell’Esposizione Communication, l’Ente era presen-te con due suoi progetti: Antartide (v. oltre) e Giano (v. D. Bia-gi Maino e G. Maino in questo stesso volume) nei quali si con-centra in maniera significativa la funzione “comunicazione”.

ITALIA IN ANTARTIDE

Il 1 dicembre 1959, a Washington, venne stipulato tra i 12Paesi partecipanti all’Anno Geofisico Internazionale (1957-1958) il Trattato Antartico che, entrato in vigore nel 1961, so-spende qualsiasi rivendicazione territoriale, lo sfruttamentodelle risorse esistenti e favorisce gli usi pacifici del continente.Il Governo italiano ha sottoscritto il Trattato Antartico il 18

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Una delle stazionimeteorologichepresso la base BaiaTerra Novaprogettate,installate e gestitedall’ENEA edinserite nella retedel WorldMeteorologicOffice.Foto per cortesiadi: Enea

Analisi del dipinto “Amor sacro e amor profano” di Tiziano mediante fluorescenza a raggi X.L’adattamento e l’applicazione della tecnica, effettuati dall’ENEA, permettono l’acquisizione diinformazioni per lo studio della composizione elementale della zona in esame.I dati sinora acquisiti (circa 7000 misure eseguite su oltre 200 manufatti) per vari organi delMinistero dei Beni Culturali, per organismi internazionali e privati, sono stati archiviati susupporto informatico. Foto per cortesia di: Enea.

Stazione Baia Terra Nova, base italiana permanente in Antartide.La legge 284 del 1985, estesa con la legge 380 del 1991, ha istituitoil Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, affidando all’ENEAil compito di attuarlo, d’intesa con il CNR per i contenuti scientifici,e di integrarlo con gli obiettivi tecnologici. Il programma è svoltosotto l’egida del MURST (ora MIUR) e include discipline quali Scienzedella Terra, Fisica dell’Atmosfera, Cosmologia, Biologia, Medicina,Oceanografia e Scienze Ambientali. Al programma prendono partenumerose università, altri istituti di ricerca e alcuni ministeri, primofra tutti il Ministero della Difesa. Foto per cortesia di: Enea.

Particolare fotografico scattato in unasezione dell’Area Antartide Enea, allestitapresso la Mostra Communication. Foto di:G. Artusi.

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marzo 1981 e il 10 giugno 1985 il Parlamento ha approvatola legge n. 284 istitutiva del Programma Nazionale di Ricerchein Antartide (P.N.R.A.).Il programma, svolto sotto l’egida del Ministero dell’Universi-tà e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST, ora MIUR),prevedeva attività di ricerca per il quinquennio 1985-1991.L’approvazione successiva di altre leggi di finanziamento delPNRA ha portato a svolgere finora 15 spedizioni in Antartidee a ottobre del 2000 è partita la sedicesima. L’ENEA è l’entedeputato all’attuazione del Programma e ne cura gli aspettitecnologici. Per fare questo, all’interno dell’ENEA, è statacreata una unità di progetto dedicata al programma antarticoitaliano, unità che prende il nome di Progetto Antartide.

COMUNICARE DA UN CONTINENTE NON CABLATO

Operare in area antartica o sub-antartica comporta inevitabil-mente di dover fronteggiare e risolvere un problema strategi-co fondamentale: le telecomunicazioni. Ci si muove infatti inun’area vasta circa 1.5 volte l’Europa , in cui molti sistemi con-venzionali di telecomunicazioni sono inesistenti, irraggiungi-bili o utilizzabili con fortissimi condizionamenti operativi.Il continente non è cablato; non ha a disposizione quindi tut-te quelle facilities a cui siamo normalmente abituati e che fan-no sì che il resto del pianeta possa essere definito, con un luo-go comune oramai abusato, un grande villaggio globale.L’ENEA, attraverso il Progetto Antartide, ha messo in campotutte le sue competenze per la progettazione, la realizzazionee la gestione di un sistema integrato di telecomunicazioni chefosse in grado di soddisfare qualsiasi esigenza di collegamen-to: dalle comunicazioni locali ad Internet. Tutto ciò ha com-portato l’impiego di risorse umane ed economiche rilevanti econsente oggi al nostro Paese di poter vantare, anche nel set-tore delle telecomunicazioni, la realizzazione, in Antartide, diuno dei sistemi più avanzati dal punto di vista tecnologico.

IL PROGETTO GIANO

Il progetto Giano (Grafica Innovativa per il patrimonio Artisti-co Nazionale e per l’Occupazione giovanile) è un progetto fi-nanziato dall’Unione Europea e dal Ministero dell’Università edella Ricerca Scientifica e Tecnologica, con il coordinamentodella Divisione Fisica dell’Enea di Bologna. Obiettivo di questoprogetto è lo sviluppo di metodologie diagnostiche ed infor-matiche multimediali per lo studio, la conoscenza e la conser-vazione di opere d’arte. In particolare, il progetto comporta larealizzazione di un sistema informativo in rete (Internet) per ladocumentazione di archivi, fonti storiche, biblioteche, musei

ed interventi di restauro, anche virtuali. Si viene così a creareuna rete della cultura che coinvolge già molti paesi europei eche potrà allargarsi ad ulteriori partecipazioni.

Immagine realizzata con la stazione informatica DEA(Decorazione E Ambientazione piastrelle). Il Progetto DEA, coordinatodall’Enea, è sviluppato da Danimarca, Spagna, Francia e Italia nell’ambitodel Programma Comunitario SPRINT (Strategic PRogramme for INnovationand Technology transfer). Il sistema costituisce un apprezzato studio perla progettazione di piastrelle, per la loro vendita favorita dalla simulazionefotorealistica dell’ambiente a cui sono destinate e, infine, per laproduzione e gestione di archivi aziendali e cataloghi elettronici.Foto per cortesia di: Enea.

La tenuta presidenziale di Castelporziano ripresa da satelliti (immagini a destra) e in unmosaico georeferenziato di rilevamenti aerei (a sinistra) ottenuta mediante una metodologiadi elaborazione ad alte prestazioni sviluppata dall’Enea. Le immagini sono state elaborateper conto del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica Italiana, nell’ambitodel Programma di studi ambientali nell’area della tenuta. Foto per cortesia di: Enea.

Analizzatore di energia degli atomi neutri per la misura dellatemperatura degli ioni in macchine sperimentali per ricerche sullafusione termonucleare controllata, costruito dall’Enea, per il LargeHelical Device giapponese, su contratto del National Institute forFusion Studies di Nagoya. Foto per cortesia di: Enea.

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IL SETTECENTO: LE ACCADEMIE NELL’ETÀ DEI LUMI

LA CORRISPONDENZA SCIENTIFICA, LA PRODUZIONE LIBRARIA

E L’ILLUSTRAZIONE COME MEZZO DI COMUNICAZIONE FRA

SCIENZIATI. L’ENCICLOPEDISMO IN EUROPA

Nella seconda metà del Seicento, la vita scientifica trova le for-me di organizzazione che le sono mancate fino a quel mo-mento per assicurare l’informazione e l’emulazione dei dotti. Il

fenomeno, europeo, discende dai modelli italiani,così come accade in campo artistico. A Roma, adesempio, l’antica Accademia di San Luca acquistavitalità ed importanza grazie all’opera di grandi,eruditi, antiquari, scrittori, artisti soprattutto; dispicco, per la storia della conservazione e del re-stauro, l’opera di Giovan Pietro Bellori che scrissein difesa del pittore Carlo Maratti, cui si debbonosignificativi – quanto discussi appunto già all’epo-ca – interventi sulle pitture murali di Annibale Car-racci (Galleria Farnese), Michelangelo (Cappella Si-stina), Raffaello (Stanze Vaticane: Disputa del Sa-cramento, Scuola di Atene; Loggia della Farnesi-na), per le quali ottenne provvedimenti di tutelaed eseguì restauri improntati al principio di rever-sibilità ma giudicati, dai contemporanei e nel di-

battito settecentesco, troppo invasivi. Per le più urgenti opera-zioni di fissaggio volle accanto a sé un tecnico di provata espe-rienza, prefigurando così la divisione di competenze che è allabase dalla moderna operatività nel campo del restauro, chechiamerà a sé, di necessità, lo scienziato.Dalla rivalutazione del ruolo delle arti meccaniche che vienesancito, a metà del Settecento, nelle pagine di quello straor-dinario monumento del sapere che è l’Encyclopédie di Dide-rot e D’Alembert discende anche, in Francia come in Italia,una prima distinzione professionale fra artista e restauratore;sarà comunque all’epoca della piena diffusione delle idee deilumi, nella seconda metà del Settecento, l’epoca in cui il fe-

nomeno “accademia” vide la massima espansione, che sigiungerà alla collaborazione non più occasionale fra restaura-tori e scienziati e ad un nuovo modo di avvicinarsi alle tecni-che artistiche, attraverso la definizione fisica e chimica dei ma-teriali. Il desiderio di studiare, analizzare la natura formale co-me quella materiale di un’opera d’arte per arrivare alla pienaconoscenza di questa era già degli enciclopedisti francesi; l’at-tenzione di Denis Diderot per le arti del disegno, della qualesono frutto i commenti delle opere esposte alle mostre orga-nizzate a Parigi tra gli anni 1759 – 1767, i celebri Salons, locondusse all’adozione di un linguaggio chiaro e conciso, ana-logo a quelle che utilizzava per redigere le voci dell’Encyclo-pédie, con accurate osservazioni tecniche. È dunque in ragione dei presupposti di questo nuovo climaculturale che, quasi allo scadere del Settecento, viene ufficial-mente ospitato nel Palazzo del Louvre uno scienziato che ten-ta di sfruttare le nuove tecniche fornite dalla scienza per met-terle al servizio di una migliore conservazione e anche di unapiù approfondita conoscenza delle opere d’arte nelle collezio-ni reali: il fisico Jacques Alexander César Charles. Charles in-ventò nel 1780 il megascopio, uno strumento rudimentalecomposto da una lente convergente che, se esposta ai raggidel sole, proiettava su uno schermo o su un muro l’immagineingrandita di un oggetto o, nel nostro caso specifico, di un’o-pera d’arte. Una sorta di proiettore, quindi, capace di ingran-dire un’immagine in modo tale da poterla studiare nei minimiparticolari. Da notare come l’ambizione di inventare una mac-china o uno strumento per la “perfetta” imitazione della na-tura sia stata fin dall’epoca rinascimentale motivo di interessee studio - teorico, ma soprattutto pratico - da parte di scien-ziati ed artisti. Si ricordi, in sintesi, che fu degli anni subitoprecedenti all’invenzione di Charles l’entusiasmo dei pittoriper le scoperte sull’ottica, testimoniato dall’utilizzo, ad esem-pio, da parte di Canaletto della celeberrima camera oscura (oottica), e del Crespi a Bologna, per non citare i moltissimi di-pinti che attestano, in tutta Europa, tale concreto interessenella pratica artistica. Charles proseguì la tradizione di studi diottica e di fabbricazione di strumenti per la visione, esercitatanel secolo precedente da Galilei e proseguita da Newton eHuygens; in definitiva è a Charles ed alle sue ricerche condot-te al Louvre che siamo indirettamente debitori dell’invenzionedella macrofotografia. Ancora, la grande occasione offerta, a fine secolo, dalla cam-pagna d’Egitto (1798-1801), permise ad alcuni eruditi ed ar-cheologi francesi che vi parteciparono di collaborare per laprima volta “sul campo” con esperti di scienze naturali, di fi-sica e di chimica. Da questa collaborazione, che per quei tem-pi costituiva una sorprendente novità, nacque l’opera pubbli-cata nel 1805 sui Comptes Rendues dell’Accademia delleScienze di Parigi dal chimico e accademico francese JeanChaptal: La chimie peut-elle servir aux arts?, nella quale lo

gli strumenti della memoria:informatica e diagnostica fisica per i beni culturali

D. Biagi MainoG. Maino

Frontespizio, dedica e tavole (n.4 immagini digitali) del Dizionariodelle arti e de’ mestieri di Francesco Griselini, stampato a Venezianella seconda metà del Settecento. F. Griselini, Dizionario delle Artie de’ Mestieri, Modesto Fenzo, Venezia 1768 e 1770, tomo I e VIII(già collezione Domenico Levera). Bologna, Biblioteca dei Frati Minoridell’Osservanza.

Il logo del progettoGIANO(Grafica Innovativaper il patrimonioArtistico Nazionalee l’Occupazionegiovanile).

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studioso esponeva i vantaggi che la scienza poteva offrire al-l’arte, a partire dalle rivoluzionarie scoperte del Lavoisier, cheaveva posto le basi della moderna chimica. Negli stessi anni incui Charles avviava le sue ricerche in Francia, al di là della Ma-nica e in Germania alcuni scienziati si erano dedicati per la pri-ma volta all’analisi chimica di importanti reperti archeologici:le antichità cominciavano ad attrarre l’attenzione di grandi in-gegni tra i quali l’Alchorn, che nel 1774 a Londra - su ordinedi re Giorgio III - analizzò chimicamente due spade dell’Età delBronzo provenienti dall’Irlanda; ancora, Martin Heinrich Kla-proth, padre della chimica analitica, colpito dallo splendore edalla lucentezza dei bronzi classici, iniziò a studiarne la com-posizione chimica. Sul finire del XVIII secolo, Klaproth, a quel-l’epoca primo professore di chimica dell’Università di Berlino,esaminò antichi reperti in bronzo - soprattutto monete - ri-correndo ai metodi della chimica analitica.

L’OTTOCENTO: LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

L’APPLICAZIONE SISTEMATICA DELLE DISCIPLINE SCIENTIFICHE

ALL’INDAGINE DEI MANUFATTI DI INTERESSE ARCHEOLOGICO,

STORICO ED ARTISTICO. LA NASCITA DELLA FOTOGRAFIA

E LA DOCUMENTAZIONE DELLE OPERE D’ARTE

L’Inghilterra del XIX secolo fu testimone di una svolta nel rap-porto fra la ricerca scientifica e l’indagine storico-artistica. Giàad apertura di secolo - nel colto ambiente scientifico e lette-rario del paese - domina la figura dello scienziato, inventore,nonché poeta dilettante Humphry Davy, che nel 1815 pubbli-cò un dettagliatissimo studio tecnico sulla natura e sulla ma-nifattura dei colori antichi, sia naturali che sintetici. L’indaginescientifica proseguì per tutto il secolo, sui manufatti archeo-logici ad esempio: Percy, Gowland ed altri importanti studiosianalizzarono antichi materiali trovati durante gli scavi archeo-logici delle colonie romane poste sulla costa britannica (Sil-chester, Wroxeter, Caerwent). Nel contempo, in Italia, Giovanni Fraboni pubblicò uno studio,Il bronzo ed altre leghe conosciute in antico (1810), sullacomposizione dei metalli trovati nelle tombe etrusche. Trabreve, sarà consacrata nei fatti la professionalità del restau-

ratore, come attestano gli eccellenti risultati ottenuti dal bo-lognese Giuseppe Guizzardi che, formatosi alla scuola di Gae-tano Gandolfi, scelse di trascurare la pittura per il campo nuo-vo e lucroso del restauro. Il Guizzardi fu uno dei consulenti difiducia del conte Giovanni Secco Suardo, grazie al contributodel quale l’attività del restauratore assunse nell’Ottocento ca-ratteri autonomi. Il conte bergamasco rispose all’esigenza didotare quest’attività di una propria sistematicità di metodo,sottolineando nei suoi scritti l’importanza della formazione ditipo interdisciplinare per chi volesse applicarsi al restauro, nel-la consapevolezza dell’utilità di approfondimenti conoscitivioltre il campo delle pratiche artigianali, per l’acquisizione del-le informazioni fisico-chimiche necessarie alla conoscenza delcomportamento dei materiali, sia costitutivi che di restauro,per poterne attuare in ciascun caso la migliore conservazioneo applicazione. In Francia, negli anni in cui il piemontese Giovanni Bedotti edi-tava il suo De la restauration des tableaux (1837), vennero ul-timate le ricerche che condussero all’invenzione della fotogra-fia, strumento scientifico utilizzato sin da subito anche per stu-di storico-artistici. I primi tentativi importanti di fissare peren-nemente le immagini della camera oscura furono intrapresi daJoseph Nicéphore Niepce verso il 1816. Lo studioso sperimen-tò l’uso di varie sostanze fotosensibili e nel 1822 riuscì a inci-dere un’immagine fotografica su una lastra di rame preceden-temente ricoperta con un sottile strato di asfalto ed espostapoi alla luce. L’intento di Niepce era quello di ottenere un mez-zo riproduttivo delle opere d’arte più fedele e più economicorispetto all’incisione. Niepce giunse solo a compiere i primi ten-tativi in questa direzione; fu poco dopo la sua morte che il suocollaboratore Jacques Daguerre ideò la tecnica fotografica fon-data sull’insolubilizzazione di alcuni composti chimici sottopo-sti ad una radiazione. I risultati furono sorprendentemente bril-lanti. Dopo un fallito tentativo di ottenere un sostegno com-merciale, l’invenzione della fotografia fu infine spettacolar-mente annunciata con trionfale successo a Parigi nel 1839. Laprima macchina fotografica fu chiamata dagherrotipo così co-me le prime immagini - dal nome di Daguerre - e il suo primoimpiego fu la riproduzione di opere d’arte su lastre metalliche.

Immagini digitali di opere del fondo settecentescodella Biblioteca del Convento dei Frati Minoridell’Osservanza a Bologna, dal catalogomultimediale realizzato nell’ambito del progettoGIANO.

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Nove anni prima, nel 1830, l’ancora rudimentale invenzionedi Niepce e di Daguerre era stata presentata all’Accademiadelle Scienze con una comunicazione del grande fisico Jean-Francois Arago, introdotta dalla lapidaria formula : Messieurs,la photographie peut-elle oui ou non servir aux Arts? Da que-sto fervore di studi e sperimentazioni conseguì nel 1860 lafondazione, patrocinata da Napoleone III, della prima sedeconsacrata a studi di chimica e fisica applicata alle arti pressol’Ecole des Beaux-Arts. Fu chiamato a dirigerla il biologo LouisPasteur, che divenne titolare della cattedra di Scienze e Arti. Ilcelebre scienziato ebbe come primo compito quello di illu-strare agli artisti il contributo della scienza per una migliorecomprensione dei fenomeni legati alla luce ed ai colori, equindi affrontare i problemi dell’invecchiamento e della con-servazione della pittura ad olio. Pasteur consacrò molti annidella sua vita allo studio delle opere d’arte mediante metodidi indagine fisici e chimici; amico del professor Haro, a queltempo restauratore al Musée du Louvre, e grande appassio-nato egli stesso di pittura, trascorreva molte ore nel museo.Per due anni, dal 1860 al 1862, all’Ecole des Beaux-Arts si ap-plicò con i mezzi messigli a disposizione dalla fisica e dalla chi-mica a comprendere approfonditamente le tecniche dei mae-stri del passato. In Germania, nel 1869, il chimico Von Bibra registrò tutte lericerche effettuate fino ad allora sulle opere in bronzo, vi ag-giunse le proprie e tracciò un bilancio delle conoscenze. Videcosì la luce a Berlino il primo saggio di paleometallurgia.

IL NOVECENTO E OLTRE: LA TELEMATICA

DAL CINEMATOGRAFO AD INTERNET, LE MODERNE

TECNOLOGIE PER LA DIFFUSIONE DELLE CONOSCENZE.

DAL SUPPORTO MATERIALE A QUELLO IMMATERIALE

(INFORMATICO) PER LA DOCUMENTAZIONE DELLE OPERE D’ARTE.

LE ANALISI DIAGNOSTICHE NON DISTRUTTIVE

Nel 1895, Konrad Roentgen scoprì ad Augusta i raggi X. Perverificare sperimentalmente questa sua scoperta, scelse direalizzare la radiografia di un quadro, prima indagine non di-

struttiva per le opere d’arte. La fine del XIX secolo e l’inizio delXX sono caratterizzate dall’attenzione in tutta Europa per imetodi di analisi e di restauro di opere d’arte, che condusse-ro anche alla creazione di laboratori scientifici per la conser-vazione e lo studio delle opere d’arte. Il primo istituito all’in-terno di un museo fu quello del Koenigliche Museum di Ber-lino, voluto da Friedrich Rathgen nel 1888. Le analisi chimi-che, gli esami a raggi X, le indagini basate sull’utilizzo dei rag-gi ultravioletti e infrarossi cominciarono ad essere condottecon regolarità all’interno dei laboratori di restauro dei musei. La proprietà dei raggi X di attraversare in misura diversa i ma-teriali costituenti l’opera, sia in funzione della loro natura chi-mica che del loro spessore, consente di ottenere un’immagineper trasparenza dell’oggetto indagato e in particolare di ciòche si trova al suo interno, impressionando quindi una pellico-la di opportuna sensibilità in funzione della radio-opacità deimateriali, cioè della loro capacità di assorbire le radiazioni. Lalettura e l’interpretazione dei segni di un’immagine radiografi-ca costituiscono un’operazione piuttosto complessa che ne-cessita di continui riferimenti con l’opera originale. La radio-grafia può essere paragonata ad una sovrapposizione di im-magini, le cui trasparenza, traslucidità e opacità variano a se-conda della densità e lo spessore dei materiali radiografati. Inradiografia, l’originale è sempre in scala uno a uno; per dipin-ti di grandi dimensioni si ricorre il più delle volte ad opportunimontaggi di più radiografie, convenzionalmente denominatimosaici radiografici. I colori a base di piombo sono quelli piùradio-opachi (la biacca ad esempio); le terre, l’oltremare e i pig-menti organici, invece, lo sono poco e non compaiono nei ra-diogrammi. I tessuti non sono radio-opachi; la tela si vede inradiografia solamente per il gesso o la biacca che ne riempio-no la tessitura. I disegni preparatori non sono evidenziati dallaradiografia, che può dare invece buoni risultati con i tratti inci-si e riempiti da pigmenti o materiali dell’imprimitura. In Fran-cia, dove nel 1931 fu creato il laboratorio scientifico del Louvre,le prime radiografie di opere d’arte vennero effettuate durantela Prima Guerra Mondiale da Ledaux Lebart, un medico appas-sionato di pittura. Nel 1920 Cheron, un altro medico, realizzò,in presenza dei conservatori del museo, la prima radiografia diun dipinto delle collezioni. È in questi stessi anni che i raggi ul-travioletti e quelli infrarossi vengono utilizzati per la prima vol-ta nei laboratori di restauro.

Fotografie digitali ad alta risoluzione divetrate medioevali, studiate dall’Eneanell’ambito delle attività di ricerca delProgetto GIANO.

Il Crocifisso di San Damiano ad Assisi:riproduzione digitale di un dettagliodell’opera ed immagini digitali di esamidiagnostici (particolari dell’opera) conradiazione infrarossa (IR) ed ultravioletta(UV), riflessa e di fluorescenza (nellapagina successiva).

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Attualmente queste tecniche di indagine, associate all’uso delcomputer, consentono l’acquisizione in tempo reale di immaginiutili alla diagnostica, in formato digitale, permettendo la visua-lizzazione delle informazioni durante l’esame dell’opera stessa.

METODOLOGIE INFORMATICHE PER I BENI CULTURALI

Le applicazioni informatiche e telematiche innovative ai beniculturali rappresentano un campo del tutto nuovo, dove soloda pochissimi anni ci si è cominciati a muovere a livello inter-nazionale: il nostro Paese, privilegiato dal poter disporre dellapiù significativa quota del patrimonio storico ed artistico mon-diale, può divenire riferimento d’avanguardia. In questo sen-so, un progetto di ricerca nazionale volto alla realizzazione diuna rete scientifica informatica per i beni culturali svolge unruolo di importanza non solo nell’introduzione di tecnologieinnovative, ma anche nella definizione dei relativi standard indifesa di imprescindibili principi-guida, garantendo un indi-scutibile vantaggio alle aziende italiane del settore. Si sottolinea il significato della realizzazione in atto di struttu-re e lo sviluppo di metodologie matematiche ed informatichein ragione di: • applicazioni alla diagnostica e alla datazione di opere d’arte

e manufatti storici e artistici;• archiviazione multimediale;• sperimentazione di metodologie innovative nel campo del-

l’elaborazione di immagini; • definizione di standard in collaborazione con le industrie del

settore;• formazione professionale e didattica, nel settore della con-

servazione e tutela dei beni culturali. Questi obiettivi possono essere conseguiti solo grazie alla col-laborazione fra Enti nazionali di ricerca, Università e Istituti del

Ministero dei Beni Culturali, Enti locali e operatori del settoresia pubblici sia privati. Un esempio di rilievo è rappresentatodal progetto internazionale di ricerca GIANO, coordinato dal-l’ENEA di Bologna.

STRUMENTI INFORMATICI PER LA CATALOGAZIONE

E LA DOCUMENTAZIONE. IL PROGETTO GIANO

Il progetto GIANO (Grafica Innovativa per il patrimonio Arti-stico Nazionale e per l’Occupazione giovanile) si propone direalizzare un sistema informatico prototipale, accessibile in re-te, per l’archiviazione multimediale ed ipertestuale di opered’arte (dipinti, disegni, stampe, sculture, epigrafi, mosaici, te-sti manoscritti e a stampa, ecc.) e di interventi di restauro(comprensivi delle immagini diagnostiche e delle varie fasi del-l’intervento stesso), mediante l’utilizzo di tecniche matemati-che ed informatiche innovative, nonché di metodologie di ela-borazione di immagini e di simulazioni di realtà virtuale. Le metodologie informatiche e grafiche innovative (dallacomputer graphics alle simulazioni di realtà virtuale) cui si in-tende fare ricorso, insieme alle tecniche di realizzazione e ge-stione di data base multimediali con strutture ad ipertesto, ele applicazioni telematiche su WEB, rappresentano lo statodell’arte per le odierne tecnologie informatiche; il loro utiliz-zo in un campo strategico per il nostro Paese, quale quellodei beni culturali, rappresenta una opportunità e una sfidaimprescindibile. GIANO ha come principali obiettivi la progettazione, realizza-zione e validazione di software applicativo (grafica innovativa,simulazioni di realtà virtuale, banche dati relazionali) per l’ar-chiviazione e la documentazione dei beni culturali di partico-lare rilevanza storica e artistica con metodologie ipertestuali emultimediali. Nell’ambito del progetto sono state individuate– a scopo dimostrativo - tre applicazioni principali, ciascunadelle quali ha caratteristiche tipiche di una vasta classe di be-ni culturali:• biblioteche ed archivi storici, in particolare nelle Regioni Ca-

labria e Sicilia, di significato per la presenza di documentiinediti relativi alla presenza di Bisanzio in Italia Meridionaleed Insulare;

• imaging diagnostico e relazioni di restauro - incluse docu-mentazioni scritte e fotografiche - relative a beni storici edartistici dislocati principalmente nel Meridione;

• mosaici parietali dell’area mediterranea dal IV al XIV secolo.Il progetto internazionale GIANO è finanziato dall’Unione Eu-ropea e dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifi-ca e Tecnologica (ora MIUR); è coordinato dalla Divisione Fi-sica dell’ENEA di Bologna, con la partecipazione di numerosi

v. pagina precedente.

Particolare del Crocifisso di San Damianocon sovrapposta un’immagine radiograficadigitale.

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istituti universitari, enti di ricerca ed imprese industriali in Ita-lia, fra cui:• Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di

Bologna (sede di Ravenna)• Dipartimento di Fisica dell’Università di Ferrara• Dipartimento di Fisica dell’Università di Messina• Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico della

Facoltà di Architettura dell’Università di Reggio Calabria• Istituto di Tecniche Spettroscopiche del CNR (ITS) di Messina• Consorzio Ferrara Ricerche• Franco Maria Ricci Editore, Parma - Milano• Società di restauro COO.BE.C. e TECNIRECO di Spoleto

Collaborano al progetto GIANO:per l’ENEAGiuseppe Maino (responsabile del progetto; coordinatore)Massimo Berico, Stefania Bruni, Roberta Chiarini, FrancescoCichetti, Stefano Cini, Riccardo D’Orazi, Stefano Ferriani,Marcello Galli, Roberto Giampieri, Lorenzo Moretti, Alfio Mu-sumeci, Carlo Petrella, Carlo Maria Porceddu Cilione, Elio Sa-bia, Daniele Visparelli, Alberto Zucchiniper la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturalidell’Università di BolognaDonatella Biagi Maino (coordinatore)Silvia Berardi, Luca Ciancabilla, Luigi Colaiacomo, Ilaria Fran-cia, Giulia Gandolfi, Roberta Gollini, Emanuela Grimaldi, SilviaGuidi, Elena Manservigi, Simona Mazzotti, Barbara MenghiSartorio, Marta Mineo, Giuseppina Radicchi, Lorenza Rover-si, Manuela Savioli

Laboratorio SIGMA per la ricerca sui manufattistorici ed artistici nella sede ENEA di Bologna –Progetto GIANO∑ = Sistema Integrato di Grafica, Microscopia ed Analisi;Gs (GAMMAS) Grafica Avanzata Modellistica, MatematicaApplicata e Simulazione numerica;D (DELTA) Datazioni ed Elaborazioni informatiche per Lavora-zioni e Tecnologie Antiche;L (LAMBDA) Laboratorio per le Applicazioni della Microscopiaalle Biotecnologie e alla Diagnostica Artistica.

Una banca dati rappresenta sostanzialmente un modo effi-ciente di organizzare dati strutturati sulla memoria di massa

di un elaboratore elettronico e di sfruttare quindi le poten-zialità di questo strumento per effettuare operazioni di indi-cizzazione, ricerca e recupero di informazioni, aggiornamen-to dei dati bibliografici, trasferimento delle informazioni supropri files, modificabili ad esempio grazie ad opportuni pro-grammi applicativi di elaborazione di testi. È stato sviluppatoun sistema informatico per la creazione e gestione di unabanca dati bibliografica, riferita alla catalogazione del libroantico. Questo software è stato sperimentato su una parti-colare, significativa applicazione rappresentata dal fondo set-tecentesco della biblioteca dei Minori Osservanti di Bologna.Si è scelto il sistema operativo WINDOWS, poiché disponibi-le su qualsiasi personal computer e quindi tale da consentirel’elaborazione dei dati anche locale. Il programma prevede lapossibilità di continui aggiornamenti in maniera estrema-mente semplice, mediante la compilazione di schede prefor-mate (workforms). È anche possibile aggiungere nuove vocia quelle originariamente previste che, nella versione attualemostrata in figura, rappresentano un conveniente sottoinsie-me di quello definito dalla normativa Isbd(a). Il programma siarticola in campi e sottocampi, anche ripetibili e, a differen-za di altri software per la creazione di database disponibili incommercio, dà la possibilità di stabilire un legame (link) consiti web sia locali sia in rete, oltre che con archivi fotografici,bibliografici e diagnostici.

DIAGNOSTICA NON DISTRUTTIVA PER LE OPERE D’ARTE:

ALCUNI RISULTATI DEL PROGETTO GIANO

Indispensabile complemento della ripresa fotografica nel visi-bile alla conoscenza di opere d’arte, utile anche alla conser-vazione, è l’acquisizione di immagini nelle bande dell’infra-rosso e dell’ultravioletto, che consentono di ricavare informa-zioni sugli strati nascosti del dipinto senza comportare prelie-vi di campioni della materia pittorica. Fra i mezzi di indaginenon-distruttiva di superficie più comunemente usati si hannola lampada di Wood e la fotografia all’ultravioletto che ne de-riva. La fluorescenza ultravioletta permette di evidenziare co-

Alcuni esempi della parte testuale con icollegamenti alle immagini della base di datidel fondo settecentesco della Biblioteca deiFrati Minori Osservanti.

Le principalicollaborazioniinternazionali delprogetto GIANO.

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me macchie scure le ridipinture. Molti dei materiali pittorici,antichi e moderni, hanno la proprietà di essere fluorescenti,cioè emettono luce visibile, quando sono stimolati da radia-zione ultravioletta. La fluorescenza inoltre cambia, di solitoaumenta, con l’invecchiamento; di conseguenza, sostanze si-mili anche dal punto di vista fisico-chimico ma utilizzate intempi successivi possono presentare sotto la luce di Wood in-tensità e tonalità di fluorescenze molto diverse, consentendo-ne una migliore individuazione e, in alcuni casi, l’identifica-zione, in fase preventiva al restauro. I raggi infrarossi comin-ciarono ad essere usati nel campo del restauro solamente apartire dal 1930, con lo scopo di evidenziare, grazie alla lorocapacità di penetrare attraverso la pellicola pittorica, eventua-li disegni preparatori sottostanti alla pittura. Negli anni ‘60 fusperimentata la tecnica della riflettografia, che individua ap-punto, ed in maniera molto chiara, eventuali disegni sotto-stanti la pittura. Queste tecniche, sia pure imperfette, sono daconsiderare indispensabili per la documentazione dello statodi conservazione dell’opera d’arte presa in esame preventiva-mente ad ogni intervento di restauro e quindi degli interventicui è sottoposta durante le varie fasi d’intervento. Con la tec-nologia informatica è finalmente possibile sopperire ai difettiinevitabili all’attrezzatura, ottenendo la documentazione diimmagini il più fedele possibile all’originale: soprattutto, con-frontabile in tempo reale con esso.

Le indagini sulla tavola di Giorgio Vasari Gesù in casa di Mar-ta, insieme con quelle effettuate sul Crocifisso di San Damia-no, sono state eseguite con una speciale apparecchiatura por-tatile tipo MuSIS 2007, corredata di un sistema di imaging dia-gnostico non invasivo, che opera in tempo reale sulle bandedel visibile, del vicino infrarosso e dell’ultravioletto, riflesso e difluorescenza, consentendo di verificare direttamente sulloschermo del computer collegato la qualità delle riprese e valu-tare i risultati dell’indagine mentre viene effettuata. Un’otticamolto sofisticata, combinata all’uso di efficienti sensori e ad al-goritmi di elaborazione delle immagini digitali che ne miglio-rano la qualità e la leggibilità, permette di effettuare le misurecon sorgenti luminose fredde e di bassa intensità, non dan-neggiando minimamente l’opera. L’intera superficie di questain ciascuna banda spettrale può quindi essere ricostruita attra-

verso una procedura informatica di ricomposizione a mosaicodelle singole riprese, garantendo immagini globali finali di ec-cellente qualità ed elevatissima risoluzione e precisione. Detta-gli difficilmente visibili, anche con lenti di ingrandimento, in lu-ce visibile, appaiono evidenti dopo l’elaborazione digitale, con-sentendo di ottenere informazioni sulla tecnica esecutiva e sul-lo stato di conservazione del dipinto. La tavola del Vasari, in fase di restauro a cura del laboratorioMarco Sarti di Bologna, si presentava in buone condizioni inciò che attiene il supporto ligneo. Sullo strato pittorico, inve-ce, erano presenti delle microfratture e delle piccole cadute dicolore; di particolare rilievo era l’ossidazione degli incarnatidelle figure, dovuta probabilmente a cause intrinseche al di-pinto stesso, e la presenza di tracce di ritocchi nelle zone cheavevano subito cadute di colore. Si è scelto di procedere an-che al prelievo dalla tavola di alcuni campioni che, dopo esse-re stati preparati adottando le procedure di preparazione de-finite presso i laboratori della National Gallery di Londra, nel-l’ambito della collaborazione esistente con i laboratori dell’E-NEA di Bologna, sono stati destinati a due tipi di indagini: • analisi qualitative (microscopia ottica): stabilire quale sia la

struttura stratigrafica del dipinto;• analisi chimiche semiquantitative (microanalisi chimiche col

microscopio elettronico a scansione, SEM): determinare qua-le sia la composizione specifica dei materiali usati dal pittore.

L’immagine ingrandita ottenuta con il SEM può essere regi-strata fotograficamente in maniera digitale, consentendo suc-cessive elaborazioni. Le analisi qualitative, microanalitiche emediante test istochimico-colorimetrico, condotte su di unframmento prelevato dalla tavola del Vasari hanno evidenzia-to sia il fatto che nella preparazione il Vasari abbia usato col-la di coniglio, sia la presenza di tre distinti strati di gesso so-vrapposti all’interno della preparazione pittorica stessa. Se-condo la metodica standardizzata presso i laboratori scientifi-

Sezioni stratigrafiche al microscopio otticoed elettronico di campioni prelevati dallatavola del Vasari.

Alcuni dettagli della tavola in luce visibile e, a confronto,nella banda IR, che evidenziano differenze rispetto allastesura finale.

Ricostruzione‘a mosaico’ delleriprese digitali in lucevisibile sulla tavoladel Vasari.

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ci dell’ENEA di Bologna e Faenza, le stesse sezioni che eranostate precedentemente osservate al microscopio ottico sonostate analizzate al SEM, ottenendo risultati che illustrano l’a-nalisi elementale del vermiglione; appare evidente la compo-sizione di solfuro di mercurio (HgS), che consente anche unadeterminazione semi-quantitativa delle sostanze presenti, equindi una possibile caratterizzazione di provenienza dei pig-menti. In ultimo, tramite la strumentazione digitale tipo MU-SIS 2007, è stato eseguito un rilevamento completo dell’ope-ra, tale da garantire una documentazione inalterabile e per-manente dello stato della tavola alla data di conclusione del-l’intervento di restauro. Tale operazione consentirà, in futuro,un monitoraggio efficace e preciso, il più oggettivo possibile,dello stato di conservazione dell’opera. I risultati ottenuti dal-l’elaborazione delle immagini digitali, soprattutto nelle trebande del vicino infrarosso, hanno permesso di evidenziare ildisegno preparatorio sottostante il dipinto e, in alcuni casi,pentimenti e modifiche effettuate dal Vasari.

ACQUISIZIONE ED ELABORAZIONE DI IMMAGINI DIGITALI.

IL RESTAURO VIRTUALE

METODI DI ELABORAZIONE DI IMMAGINI PER L’ANALISI

DI INTERVENTI DI RESTAURO SU DIPINTI

Oggetto dei primi studi sperimentali svolti nell’ambito del pro-getto GIANO in collaborazione con i laboratori scientifici del-la National Gallery di Londra è stata la piccola tavola con laVergine e il Bambino di Jan Gossaert, grande artista fiammin-

go del Cinquecento. Fino al 1996 si riteneva che questo di-pinto, acquisito dalle raccolte inglesi nel gennaio del 1860,fosse una copia, risalente forse all'inizio del XVII secolo, di unatavola, andata perduta, del Gossaert, nota attraverso stampe.In particolare, due varianti sostanziali nella resa della manodel Bambino e del velo della Vergine lo distinguevano da altreversioni note e soprattutto dall’incisione del 1589 di Crispijnde Passe il Vecchio, così da rendere impossibile l'identificazio-ne con l’originale del Gossaert. In fase di restauro, presso i la-boratori della National Gallery, è stato invece possibile ricono-scere la tavoletta quale prototipo delle successive versioni deltema gossaertiano. Dalle indagini radiografiche condotte suldipinto si è evinta la perfetta corrispondenza con l'incisionedel 1589, mascherata da interventi successivi alla stesura del-l’opera che ne avevano in parte mutato l’assetto. Anche l'a-nalisi dendrocronologica del supporto ligneo ha confermatola datazione anticipata proposta per via stilistica. Gli studi sperimentali, compiuti nell’ambito di GIANO presso ilaboratori scientifici della galleria inglese, hanno avuto comescopo di rendere visibili distintamente in un'unica immaginein digitale, grazie al confronto delle immagini digitali prima edopo la pulitura del dipinto, le ridipinture ottocentesche e laversione originale del dipinto fiammingo. Il laboratorio VASA-RI della National Gallery - dedicato all’elaborazione delle im-magini - conserva in archivio informatico le immagini digitalidelle opere ospitate nel museo, documentazione dello statoprima, durante e dopo interventi di restauro. La disponibilitàdelle immagini digitali ha permesso di sviluppare un metodomatematico per evidenziare le differenze prima e dopo la pu-litura del dipinto. È stato quindi predisposto con i colleghi del-la National Gallery un software, opportunamente adattatopresso il laboratorio GAMMAS del Centro ENEA di Bologna,per l'elaborazione delle immagini, a partire dalla libreria VIPS(Vasari Image Processing Software), sviluppata dai ricercatoriinglesi a partire dall'inizio degli anni ‘90. Le immagini ripreseprima e dopo la pulitura sono state sovrapposte osservandouna evidente differenza di tipo cromatico: il restauro ha ri-mosso la patina di vernice ingiallita, restituendo ai colori bril-lantezza e luminosità. Poiché questa differenza macroscopicarende impossibile confrontare le due immagini, per rilevarnele variazioni morfologiche dovute ai rimaneggiamenti, è statonecessario elaborarle con opportuni algoritmi matematici. Èstato così possibile distinguere due tipi di differenze:• “positive” (di colore celeste): mettono in rilievo le parti del

dipinto assenti nella versione antecedente al restauro e ri-portate alla luce dalla pulitura;

• “negative” (di colore giallo): mostrano i rifacimenti arbitra-riamente introdotti dal restauro ottocentesco.

Questo metodo ha confermato in maniera quantitativa, leanalisi condotte in precedenza. La procedura matematica co-sì definita costituisce un primo passo per la messa a punto diuna più sofisticata metodologia di confronto, che può rap-presentare un valido strumento diagnostico per la verifica,dunque la più obiettiva, degli interventi di restauro.

La tavola di Jan Gossaert (National Gallery diLondra) durante la pulitura, con evidenziatele zone di interesse in falsi colori.

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“PINACOTHECA BASSIANA” DELL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

Nella seconda metà del Settecento, il custode dell’Orto Bota-nico di Bologna, Ferdinando Bassi, fece eseguire, dai pittoridell’Accademia Clementina dell’Istituto delle Scienze, una se-rie di ritratti a tema, scelta raccolta che ancor oggi si imponeper eccezionalità nel novero pur ricco delle iconoteche sette-centesche. Il botanico volle celebrare la disciplina da lui tantoamata creando un percorso ideale dei progressi di questa at-traverso la memoria delle effigi di quanti, prima di lui e al suotempo, di essa scrissero, e creò una collezione che da lui pre-se il nome di Pinacotheca Bassiana, che per cronologia si col-loca nel settimo decennio del secolo. Gli acquerelli, sebbenemolto apprezzati nel Settecento, furono obliati col mutare delgusto nell’Ottocento e recuperati agli studi in tempi recentis-simi ad opera di Donatella Biagi Maino, nel corso di ricercherelative all’estetica perseguita nell’ambito dell’Istituto delleScienze e sui pittori Gandolfi, tra gli autori dei ritratti, conconseguente giusta collocazione nel processo di riqualifica-zione della cultura artistica accademica del secolo dei lumi. Dasegnalare, che le opere sono di proprietà dell’Università degliStudi di Bologna. La campagna di acquisizione delle immagini ha avuto un du-plice scopo: la realizzazione di una versione digitale ad alta ri-soluzione dell’intera collezione (75 CD-rom), che concede didisporre di un archivio permanente, di facile consultazione,che restituisce lo stato delle opere al giugno 1999, utile quin-di alla verifica della conservazione delle stesse nel tempo, e la

elaborazione delle immagini digitali acquisite, al fine di speri-mentare un restauro virtuale dei disegni stessi, utile al ricono-scimento di uno stato presumibilmente vicino al primitivo. Adifferenza del restauro manuale, che agisce direttamente sul-l’opera d’arte, il restauro virtuale è connesso alla manipola-zione dell’immagine digitale dell’opera avendo come fine ul-timo la conservazione materiale di tutte le parti fisiche costi-tuenti l’opera d’arte quindi che viene affiancata in digitale, se-condo un’interpretazione attualizzata delle proposte diG.B.Cavalcaselle, da una copia che restituisce al pubblico l’as-setto ottimale. Gli interventi di restauro virtuale condotti sulle immagini deibotanici possono essere classificati in due categorie principali:• interventi globali: riguardano gli aspetti colorimetrici delle

immagini, ovvero le correzioni che si applicano all’intera im-magine al fine di diminuire l’ingiallimento delle carte;

• interventi puntuali: riferiti a zone circoscritte delle singoleimmagini, hanno lo scopo di eliminare le imperfezioni loca-li, quali ad esempio macchie, piccole lacune ecc.

Le due diverse tipologie di intervento, locale e globale, sonocompendiate nell’illustrazione, in cui le diverse operazioni dielaborazione di immagine concorrono a ripristinarne, nei limi-ti del possibile consentito dalle conoscenze sullo stato del de-grado della materia cartacea e del pigmento, e soprattuttodal raffronto stilistico con opere coerenti e dall’analisi filologi-ca, il presumibile aspetto in antico e, in ogni caso, una mi-gliore leggibilità dell’opera stessa.

Restauro virtualedi uno dei ritrattiad acquerellodella PinacothecaBassiana.

Dettagli dell’analisi informatica condottasulla tavola del Gossaert alla NationalGallery di Londra.

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LE TELECOMUNICAZIONI MULTIMEDIALI E LA RICERCA

SCIENTIFICA SUI SISTEMI WIRELESS

Gli anni recenti sono stati caratterizzati da un vertiginoso svi-luppo delle Telecomunicazioni che, attraverso l’evoluzione deisistemi e la loro integrazione, mettono a disposizione dell’u-tente servizi sempre più sofisticati, secondo una tendenza chepone l’enfasi sull’aspetto del put technology to work.Va sottolineata, a questo riguardo, la convergenza che si stadelineando tra il mondo delle comunicazioni mobili e inter-net, secondo la quale l’utente mobile, supportato da una tec-nologia sempre più efficiente e veloce, potrà usufruire di ser-vizi multimediali avanzati, indipendentemente dalla propriaposizione su aree sempre più estese.Con il termine “telecomunicazioni multimediali” ci si riferisceal processo di generazione, elaborazione e trasferimento diimmagini fisse e in movimento, di suoni, di grafica e di dati in

generale, processo che si pone l’obiettivo primario di un’effi-ciente interattività delle comunicazioni tra le sorgenti di infor-mazione e i destinatari.Il settore delle telecomunicazioni multimediali, attraverso losviluppo delle tecnologie, siano esse fotoniche o wireless (ter-restri e satellitari), tenderà a moltiplicare i servizi per quantoattiene a svariati campi di attività, dalle applicazioni commer-ciali e di assistenza al cittadino, all’intrattenimento, al telela-voro, alla teledidattica, alla telemedicina, al trasporto intelli-gente, basato cioè su sistemi di gestione e comunicazionemultimediali, ed altro.I sistemi multimediali interattivi pongono l’utente, fisso o mo-bile, in condizioni di gestire a distanza il proprio rapporto conun fornitore di servizi o prodotti, consentono di svolgere ilproprio lavoro da casa o in viaggio, permettono allo studentedi beneficiare a distanza dell’azione didattica di un docentenel modo più completo o di accedere ad un banco di misuraper la verifica delle prestazioni di sistemi e circuiti da pro-grammare opportunamente. Tutto ciò con un livello crescen-te di rapidità e di efficienza.Come già accennato, un’enfasi particolare va attribuita ai si-stemi radiomobili in tutti i paesi europei, nell’evoluzione ver-so i sistemi di terza generazione, che potranno offrire appli-cazioni di velocità e qualità diversificata, secondo gli standardche si stanno affermando a livello internazionale: UMTS (Uni-versal Mobile Telecommunication System), e più in generaleIMT 2000 (International Mobile Telecommunications). Particolare attenzione merita poi un settore, quello del tra-sporto intelligente (ITS), ancora in fase emergente nelle appli-cazioni, anche a fronte di un’intensa attività di ricerca svilup-pata a livello internazionale sin dalla fine degli anni ’80. I ser-vizi ITS basati sulle Telecomunicazioni trarranno sicuramentegrande beneficio dalla realizzazione dei sistemi radiomobili diterza generazione, con riferimento a varie classi di servizio,quali, ad esempio: pagamento del pedaggio automatico, sup-porto alla guida (consistono nel fornire al guidatore informa-

le ricerche presso il centro di studioper l’informatica e i sistemi di telecomunicazioni del cnr

O. Andrisano

Le telecomunicazionimultimediali e laricerca scientifica suisistemi radio dallereti radiomobiliterrestri alle missionispaziali.

(in basso)L’evoluzione deisistemi radiomobilicellulari.

• Gestione dell’utilizzo delle risorseradio, Radio resource Management

• Protocolli di Accesso multiplo,Multiple Access Protocols

• Handover

• Controllo di potenza, Power Control

• Caratterizzazione degli effetti nonlineari, Nonlinear effectscharacterization

• Trasmissione digitale, DigitalTransmission

• Stima del canale di trasmissione

Temi di ricerca affrontati presso CSITE-CNR, Research field at CSITE-CNR

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zioni meteo, legate al traffico, ecc.), controllo del traffico (mi-rano a minimizzare i problemi dovuti alla congestione del traf-fico), sicurezza alla guida (devono fornire al guidatore infor-mazioni in tempo reale su possibili situazioni di emergenza,dovute a nebbia, incidenti, ed altro). Il percorso organizzato a suo tempo nella Mostra sulle comu-nicazioni radio multimediali (wireless multimedia communica-tions), offriva una visione sintetica, e non certamente com-pleta, delle ricerche che si stanno svolgendo presso l’Universi-tà di Bologna (Centro di studio per l’Informatica e i Sistemi diTelecomunicazioni, del Consiglio Nazionale delle Ricerche,CSITE-CNR, ed Unità di Ricerca del Consorzio Nazionale Inte-runiversitario per le Telecomunicazioni, CNIT) anche in colla-borazione con aziende ed altri enti del settore. Nei limiti delpossibile si è cercato anche di fornire una visione didattica delmondo delle Telecomunicazioni, facendo intravvedere ancheal visitatore inesperto, cosa ci sia “dietro al terminale”.Si è voluto dunque fornire un’idea delle potenzialità delle te-lecomunicazioni attraverso le seguenti applicazioni:• Sistemi di telecomunicazioni per il trasporto intelligente (ITS)• Sistemi di telemisura• Reti wireless multimediali• Sistemi di trasmissioni digitali ad alta velocità• Sistemi radiomobili di terza generazione (UMTS)• Rete di laboratori• Sistemi via satellite• Sistemi GPRS• Antenne intelligenti• Teledidattica • Sistemi informativi multimedialiLo scenario descrive le ricerche che sono in corso di svolgi-mento, con risultati pubblicati a livello internazionale, moltedelle quali sono condotte nell’ambito del progetto 5% Multi-

Attività di ricercasviluppata pressoCSITE e CNIT incollaborazionecon diversi Entie Industrie.

Progetto 5% multimedialità MURST-CNR:convergenza fra reti mobili e internet.

Telemisure di sistemi ditelecomunicazioni.

Laboratorio Nazionale di comunicazionimultimediali: laboratorio di telemisura.

Progetto 5% multimedialità MURST-CNR: GPRS (General Packet Radio Service). Sistema di trasmissione datie commutazione di pacchetto su rete cellulare GSM.

❮❮ (v. pag. precedente)Progetto 5% multimedialità MURST-CNR: sistemi radiomobilimultimediali nell’evoluzione verso UMTS.

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Radio BaseROMA

Server WAPTerminal

GPRS

Siemens Information and Communication Networks S.p.A.

NODO GPRSField Trial

WAP LABSiemens

GPRS – General Packet Radio ServiceOggi testiamo il futuro – Aprile 2000: TrialProject a Roma • Sistema completo: parteradio + rete a pacchetto • Laboratorio WAPdedicato • Copertura radio di un edificio edi un centro espositivo • Prove di laborato-rio • Prove in campo con utenza amica.

Antenne Adattative – La funzione di direttivitàdell’antenna si adattaautomaticamente allaposizione geograficadei mobili attivi.Tale funzione èmassimizzata nelladirezione dell’utenteservito (linee rosse)e minimizzata nelledirezioni degli utentiinterferenti (linee blu),che utilizzano le stesserisorse in areeadiacenti.

Stazione Base BBase Station B

Stazione Base CBase Station C

Utente AUser A

Utente BUser B

Utente CUser C

Stazione Base ABase Station A

Siemens Information and Communication Networks S.p.A.

Progetto pluriennalefinanziato dall’Ateneodi Bologna: Reti radiomultimediali.

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medialità, finanziato da MURST e CNR, e del progetto plu-riennale finanziato dall’Ateneo di Bologna nel settore delle re-ti radio multimediali. Per un maggior approfondimento si rin-via al sito CSITE, ai seguenti indirizzi: http://www-csite.deis.unibo.it, http://www-csite.deis.unibo.it/ht5pc/.La presentazione è infine completata dai contributi propostida Agilent Technologies, Agenzia Spaziale Italiana, ComSat,Eutelsat, Laboratorio di Comunicazioni Multimediali del CNIT(Napoli), Siemens ICN, Sinform.Le telecomunicazioni multimediali costituiscono, in conclusio-ne, una delle aree di rilevante interesse, sia scientifico, sia in-dustriale nello scenario attuale della ricerca del settore. Èquindi auspicabile un maggior impegno del Governo nel fi-nanziamento della ricerca nelle aree strategiche dei sistemi ditelecomunicazioni a larga banda, fissi e mobili, per l’incre-mento della conoscenza, quindi della tecnologia e dei servizidisponibili, e per un indubbio impulso allo sviluppo e all’eco-nomia del Paese.

Ricerca basatasul contenutonelle basi di datimultimediali.

Missioniscientifichedell’AgenziaSpaziale Italiana(ASI): ProgettoDavid.

Laboratorio Nazionale dicomunicazionimultimediali: LABNET,rete di laboratori pertelemisura del CNIT.

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RADIOASTRONOMIA

L'astronomia tradizionale è essenzialmente la storia delle stel-le in quanto esse producono quasi tutta la luce visibile che ciraggiunge dallo spazio. La radioastronomia ci dà una pro-spettiva radicalmente diversa. Le stelle normali praticamentenon producono onde radio; il cielo radio invece è dominatodall'emissione della nostra Galassia ed è punteggiato da nubibrillanti: le radiosorgenti. Alcune delle più grandi e brillantisono nebulose galattiche, ma la maggioranza si trova moltopiù lontano della nostra Galassia. Queste radiosorgenti extra-galattiche sono associate a galassie distanti e a quasar.La radioastronomia studia l'universo alle lunghezze d'onda ra-dio, nella banda dello spettro elettromagnetico che va dalladecina di metri ai millimetri di lunghezza d'onda. Il primo stru-mento che ha rivelato onde radio provenienti dalla nostra Ga-lassia fu costruito da Karl Jansky intorno al 1930. Le prime os-

servazioni radioastronomiche si propo-nevano di disegnare una mappa delcielo radio e i radioastronomi hannoclassificato le radiosorgenti assegnandoad ognuna di esse nome, posizione edintensità di emissione nella banda ra-dio. I cataloghi prodotti contengonodecine di migliaia di oggetti.La costruzione di radiotelescopi semprepiù sensibili ha permesso di scoprire estudiare in dettaglio la struttura di ungran numero di radiosorgenti. Le radio-sorgenti più numerose nello spazio so-no sorgenti come la nostra Galassia,nelle quali le onde radio provengono

dalle braccia a spirale e da altre regioni contenenti stelle gio-vani e massicce. Le onde radio sono prodotte nel gas inter-stellare quando è violentemente perturbato dalle esplosioni disupernova. La figura in alto a sinistra mostra l'immagine radioottenuta con il “Very Large Array” della galassia M81, lonta-na circa 11 milioni di anni luce dalla Terra. L'immagine mostral'intensità dell'emissione di idrogeno neutro; il rosso indica l'e-missione radio più forte e il blu quella più debole. Il 99% del-le radiosorgenti più potenti del cielo è costituito dalle "radio-sorgenti classiche". Qui l'emissione è dovuta a elettroni rela-tivistici intrappolati in campi magnetici. Queste radiosorgentisono costituite da una componente compatta chiamata nu-cleo e coincidente con la galassia o quasar e da due getti chevanno ad alimentare due regioni molto lontane situate benfuori della galassia visibile otticamente. L'energia che alimen-ta l’intera radiosorgente viene prodotta nel nucleo, in una re-gione di dimensione di qualche anno luce e viene trasportataattraverso i getti a distanze di centinaia di migliaia di anni lu-ce. La figura qui a sinistra mostra la radiosorgente associata

alla galassia ellittica NGC326. Per saperne di più:http://www.ira.bo.cnr.itIl radiotelescopio è lo strumento usato dai radioastronomi perricevere la debolissima emissione di onde radio da parte disorgenti celesti. La ricezione è resa possibile per via dell’uso digrandi antenne, di ricevitori particolarmente sensibili ma so-prattutto perché alcune porzioni dello spettro elettromagneti-co, dalle VHF alle micro-onde, sono state riservate alla radioa-stronomia: tali bande debbono essere mantenute prive diemissioni terrestri che, se presenti, “accecherebbero” il radio-telescopio.I radiotelescopi dell’Istituto di Radioastronomia del CNR di Bo-logna attualmente operano su diverse bande di frequenzacomprese tra 300MHz e 48GHz. I problemi legati alla presen-za di interferenze-radio si riscontrano maggiormente nellebande UHF ed SHF, non lontano dalle fortissime emissioni ra-diofoniche FM, televisive, radar, telefoniche/cellulari, ponti-ra-dio ecc. che usano apparati di trasmissione con potenze mol-to elevate e non sempre prive di componenti armoniche ospurie che ricadono nelle bande radioastronomiche, compro-mettendone gravemente l’uso. Si consideri il confronto tra unsegnale radio FM ed uno celeste. Il rapporto fra le loro inten-sità vale 1015 (un milione di miliardi)!Presso la Stazione Radioastronomica di Medicina (Bologna) èoperativo un centro per il controllo delle interferenze, dovequotidianamente viene verificata la pulizia delle bande ra-dioastronomiche comprese tra 300MHz e 2500MHz. Il siste-ma ricevente è costituito da un insieme di antenne direttive,fissate su un supporto rotante, posto sulla sommità di unatorre alta 22 m. Il segnale interferente ricevuto, dopo una am-plificazione ed un filtraggio, viene trasferito nel sottostantecentro di ascolto, dotato di strumentazione di misura, chepermette di rilevarne la direzione di provenienza e quindi laidentificazione. Le emissioni indebite vengono poi segnalateall’Ispettorato Regionale del Ministero delle Comunicazioniche provvede a termini di legge. Quando l’identificazione delsegnale non è possibile da una singola postazione fissa, si ren-de necessario l’impiego dello speciale furgone attrezzato perrilievi radio-elettrici, col quale il gruppo tecnico si sposta neiluoghi più idonei per completare l’accertamento. Tale veicolodispone di un sistema di alimentazione elettrica completa-mente autonomo che permette di avere la strumentazione at-tiva anche in condizioni di marcia. Esso è inoltre dotato di unpalo estensibile fino all’altezza di 12 m., orientabile manual-mente, sul quale si installa il sistema ricevente. L’indicazionedella direzione del puntamento dell’antenna è resa possibileutilizzando sia un sistema di lettura digitale (AD encoder), sia

i l radiote lescopio d i medic ina

R. AmbrosiniS. Montebugnoli

M. Nanni

Immagine radioottenuta con ilVery Large Array.

Emissione radiodella Galassiaellittica NGC 326.

Radiotelescopio Croce del Nord. Vista sulramo est-ovest e parte del ramo nord-sud.Grafico sottostante:Spettro elettromagnetico: a sin. sonoindicate le radiazioni a bassa frequenza(onde radio), procedendo verso dx,all’aumento della frequenza, si hanno leradiazioni infrarosse, visibili, ultraviolette,X e Gamma (γ).

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un sistema visivo, tramite una bussola di precisione. L’esattalocalizzazione del segnale interferente può richiedere diversirilevamenti radiogoniometrici.

ASTROFISICA E GEODESIA CON IL VLBI

L'interferometria radio a lunghissima base (VLBI, Very LongBase Interferometer) è una sofisticata tecnica di osservazionegrazie alla quale è possibile simulare un radiotelescopio gran-de come tutta la Terra. Utilizzando il principio fisico dell'inter-ferometria e la rotazione terrestre, con un insieme di radiote-lescopi distribuiti su tutta la Terra è possibile "vedere" le re-gioni nucleari di galassie e quasar lontanissimi da noi e deter-minarne la posizione con una accuratezza migliore del mille-simo di secondo d'arco. A questo proposito si veda la mappadel mondo con indicati i radiotelescopi. In questa immagine(in alto a sinistra) del planisfero sono stati indicati i siti dove sitrovano le antenne radioastronomiche che fanno parte dellarete mondiale di VLBI e i principali centri di elaborazione dati.Durante una osservazione VLBI un certo numero di radiotele-scopi (di solito da 10 a 20) osservano simultaneamente lostesso oggetto extragalattico. In ciascun osservatorio, il se-gnale radioastronomico viene registrato su nastri magnetici esuccessivamente viene correlato in appositi centri.Per fornire un esempio si veda l’immagine radio di 3C 216.Questa immagine (in alto al centro), un quasar che dista danoi circa dieci miliardi di anni luce è un tipico esempio del ri-sultato di una osservazione VLBI: riusciamo a vedere dettaglidi una regione vicinissima a quella in cui viene prodotta granparte dell'energia in tutta la banda dello spettro elettroma-gnetico. Da questa immagine siamo in grado di dire che l'e-missione radio viene prodotta in una zona nucleare e che sipropaga nello spazio circostante con velocità assai prossima aquella della luce sotto forma di "getto". Vediamo inoltre chequesto getto piega bruscamente a circa 150 anni luce dallaregione in cui è stato prodotto, e questo, unitamente ad altregrandezze derivabili dalle osservazioni radioastronomiche, haportato ad ipotizzare una interazione tra gli elettroni radioe-mittenti ed il gas e campo magnetico interni al quasar.Altra importante applicazione è quella che consente di rileva-re i moti delle placche terrestri. Infatti attraverso la tecnicaVLBI è stato determinato un insieme di quasar lontani da uti-lizzare come sistema di riferimento inerziale. Diventa possibi-le allora misurare i moti relativi tra diversi punti sulla superfi-cie terrestre. Questo è estremamente importante per seguirei movimenti delle placche terrestri (tettonica). Con questa tec-nica è possibile ottenere risultati, espressi vettorialmente, do-po una serie di campagne osservative. La lunghezza di ognivettore è proporzionale alla velocità di spostamento, e la di-rezione del vettore indica la direzione dello spostamento stes-so. Per saperne di più: http://www.ira.bo.cnr.it

SISTEMI DI ANALISI DATI PER RADIOASTRONOMIA

L’evoluzione della radioastronomia è legata allo sviluppo di nuo-ve tecnologie in vari campi della fisica. In questi anni l’Istituto diRadioastronomia di Bologna ha realizzato, in collaborazionecon i maggiori enti radioastronomici mondiali, il più potentecorrelatore VLBI esistente, cioè un nuovo super-calcolatore de-dicato alla elaborazione contemporanea dei dati registrati sunastro in 16 radiotelescopi distribuiti sulla superficie terrestre.Nell’immagine (v. sotto a sinistra) si può vedere la sala di con-trollo del correlatore europeo EVN (European VLBI Network) aDwingeloo-Olanda: si possono notare le 16 unità nastro perla lettura dei dati registrati presso i vari radiotelescopi. I datiletti vengono poi, previa sincronizzazione, inviati alla unità dicorrelazione (situata in un apposito locale opportunamenterefrigerato) che effettua l’elaborazione matematica che per-mette di estrarre le mappe radio della zona di cielo osservata.Nell’eseguire la correlazione questo super-computer ha unapotenza di calcolo comparabile ad un migliaio di computer ditipo Pentium III.A dimostrazione dell’attività di ricerca a Bologna si veda lascheda SUIM (Station Unit Interface Module): È una delle di-verse schede elettroniche del correlatore, progettate e realiz-zate dall’Istituto di Radioastronomia. I dati letti da ciascunaunità nastro (1536 Megabits al secondo), vengono elaboratida una SUIM che, dopo avere effettuato un primo controllosulla qualità dei dati, li invia all’unità di correlazione vera epropria. La necessità di integrare numerose funzioni all’inter-no della scheda, la grossa mole dei dati da gestire e l’alta ve-locità di elaborazione, hanno richiesto l’uso delle più moder-ne tecnologie ed in particolare di circuiti programmabili, tec-nologie a montaggio superficiale e schede a circuito stampa-to a 8 strati. Oltre alle 16 schede usate nel correlatore EVN,ne sono state prodotte altre 32 che verranno usate in 2 cor-relatori attualmente in costruzione negli USA.Come primo risultato scientifico ottenuto con il “CorrelatoreEVN MKIV” (foto in alto a destra) si può citare il seguente. Èstata rivelata per la prima volta la presenza di atomi di idro-

Primo risultatoscientifico ottenutocon il “CorrelatoreEVN MKIV”

Sala di controllodel correlatoreeuropeo EVN(European VLBINetwork)Dwingeloo, Olanda

Scheda SUIM (Station UnitInterface Module)

Mappa dei sitidei principaliRadiotelescopinel mondo.

Immagine radio del Quasar 3C 216.

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geno a 20 anni luce dal buco nero presente all’interno del nu-cleo della galassia NGC 4261, distante dalla terra 100 milionidi anni luce. L’immagine mostra la sovrapposizione della fotoripresa con il telescopio spaziale (Hubble), con l’immagine ra-dio del nucleo, ed il grafico che evidenzia la riga di assorbi-mento alla frequenza dell’idrogeno, ottenute con la tecnica“VLBI” della zona adiacente al nucleo. Le osservazioni sonostate effettuate con i radiotelescopi di Medicina-Bo e Noto-SR(Italia), Westerbork (Olanda), Effelsberg (Germania), Torun(Polonia) e Jodrell Bank (Gran Bretagna). I dati registrati su na-stro nei suddetti radiotelescopi sono quindi stati correlati edanalizzati con il nuovo correlatore europeo. Per saperne di più:• http://www.ira.bo.cnr.it CNR Istituto di Radioastronomia -

Stazione VLBI di Medicina-Bo• http://www-radiotelescopio.bo.cnr.it CNR Istituto di

Radioastronomia - Radiotelescopio di Medicina-Bo• http://www.jive.nl The Joint Institute for VLBI in Europe

(JIVE) Dwingeloo-Olanda.

SRT - SARDINIA RADIO TELESCOPE

Il più grande radiotelescopio italiano verrà installato in Sarde-gna, 35Km a Nord di Cagliari. Il diametro di 64 metri, le tec-niche avanzate di progettazione e la capacità di ricevere se-gnali radio compresi fra 300MHz e 100GHz ne faranno unodegli strumenti europei più sensibili, efficienti e versatili.Oltre alle ricerche di Radioastronomia, SRT contribuirà all’e-splorazione del nostro sistema solare ed a misure di RadioScienza, tramite l’inseguimento di sonde interplanetarie ESA(EU) e NASA(USA).

Per saperne di più:•http://www.ira.bo.cnr.it/srt/index.html

•http://www.nrao.edu•http://www.jpl.nasa.gov/cassini/

•http://www.jpl.nasa.gov/cassini/Scien-ce/MAPS/RSSt.html

MODELLO AGLI ELEMENTI FINITI (FEA) DELLA STRUTTURA

MECCANICA DELL’ANTENNA

Il modello matematico permette anche di calcolare le flessio-ni (elastiche) della struttura, dovute al suo stesso peso, quan-do l’antenna ruota in elevazione, per inseguire il moto nel cie-lo delle sorgenti radio. Per compensare questo effetto, ven-gono aggiustati in tempo reale i 1116 attuatori elettromecca-nici, a cui sono fissati i pannelli di alluminio che costituisconola superficie dello specchio primario.Il modello teorico non è tuttavia sufficientemente accuratoper operare fino a 100GHz (λ=3mm). Si prevede di utilizzareun sistema di metrologia Laser e di altri sensori per conosce-re, in tempo reale, la posizione relativa dei singoli pannelli en-tro 50µ e rispetto a dei riferimenti fissi a terra, per avere lamassima efficienza di riflessione dello specchio e conoscere lareale direzione di puntamento dell’antenna.

COME LE SUPERFICI RADIO-RIFLETTENTI

CONCENTRANO IN TRE ZONE FOCALI L’ENERGIA

DELLA RADIAZIONE INCIDENTE

A questo riguardo si veda lo schema in basso, a destra.I raggi della sorgente (paralleli, perchè provenienti da distan-za praticamente infinita) sono riflessi dal primario in un unicopunto (F1). Da qui, se non intercettati da un ricevitore per lebande di frequenza più basse, proseguono verso il subriflet-tore, che li ridirige verso (F2), il fuoco Gregoriano, dove unatorretta rotante può inserire uno dei ricevitori a frequenze piùelevate. Infine un sistema di rifocalizzazione con due specchipiù piccoli viene utilizzato dai ricevitori a bande intermedie edal sistema di trasmissione per le sonde interplanetarie. Il gra-fico in bianco e nero mostra come una semplice rotazione del-lo specchio centrale (inclinato) permette di “puntare” uno deiquattro ricevitori della terza zona focale.

RIFERIMENTI ATOMICI LOCALI PER TEMPO E FREQUENZA

Programmi di ricerca con risoluzioni di misura estremamenteelevate come il VLBI radioastronomico e geodinamico oppure,nel campo spaziale, la ricerca di una evidenza sperimentale diOnde Gravitazionali, test di relatività generale o lo studio del-la struttura degli anelli di Saturno, richiedono l’utilizzo di uncampione di frequenza e di tempo con caratteristiche assolu-tamente eccezionali.SRT utilizzerà due campioni Maser ad Idrogeno a cui si deveasservire un Oscillatore Criogenico a Zaffiro, per migliorarne la

Ampolla di unorologio atomico.Radiotelescopio diMedicina(Bologna).

Schema difunzionamentodi un riflettoreparabolico.

Modello agli elementi finiti (FEA)della struttura meccanica dell’antenna.

Tutte le immagini di questo articolosono dovute alla cortesia dell’Istituto diRadioastronomia del CNR di Bologna.

Amplificatorecriogenico.

Schema di funzionamentodelle superfici radio-riflettentidi un radiotelescopio.

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stabilità a corto termine. La duplicazione dei campioni atomi-ci mira a garantire la continuità della scala di tempo locale an-che in occasione di eventi unici, come gli esperimenti spazia-li, o di particolari fenomeni cosmologici. Inoltre il confrontodiretto fra loro è anche l’unico metodo per verificare, in tem-po reale, il loro corretto funzionamento. Questa strumenta-zione è già stata sviluppata presso i laboratori bolognesi, e siaffiancherà a quella dei principali istituti di metrologia europeied internazionali. La scala di tempo locale sarà mantenuta sin-cronizzata con quella del Tempo Coordinato Universale (UTC)con tecniche GPS e distribuita a tutti i possessori di un calco-latore (anche da casa) via Internet.

ANALISI DEL SITO COME TRASPARENZA ATMOSFERICA

A MICROONDE

Un sito radioastronomico deve essere caratterizzato da unbasso livello di interferenze da emittenti locali e da una buo-na trasparenza dell’atmosfera nelle bande delle frequenze uti-lizzate dal radiotelescopio. Per tutto il 1999 un radiometro “avapor d’acqua” (WVR water vapor radiometer) ha effettuatocontinue scansioni del cielo dall’Osservatorio di Cagliari (vediFoto), non lontano quindi dal sito scelto per SRT. Il grafico mo-stra come per periodi di tempo considerevoli, in mesi quasi in-vernali, l’attenuazione sul segnale radioastronomico puòmantenersi al disotto di qualche percento, anche a 31GHz.Il progetto della misura, raccolta e analisi dei dati è una colla-borazione fra IRA-Bologna, FUB-Roma, e SAC-Cagliari.Per saperne di più:• http://www.accessone.com/~thinkman/dimension4

Programma di sincronizzazione automatica per PC• Utclock.bo.infn.it Riferimento di Tempo UTC primario

disponibile anche ora• M. Sandri, R. Ambrosini, "Probabilità cumulative e serie

temporali di opacità con radiometro WVR da Cagliari perl'anno 1999", Rapporto Int. IRA 296/00, Gennaio 2000.

“SIAMO SOLI NELL’ UNIVERSO?”: IL PROGRAMMA SETI

La scoperta di nuovi pianeti extrasolari e di molecole prebioti-che negli spazi interstellari, induce a pensare che la vita, comenoi la intendiamo, possa essere un fenomeno non unico.Il SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) è un programmainternazionale che si propone di indagare, con l’ uso di gran-di radiotelescopi, la banda delle microonde alla ricerca di se-gnali radio provenienti da eventuali civiltà extraterrestri. Natoalla NASA negli anni 60 e sospeso nell’ Ottobre 93, è ora ge-stito dal SETI Institute che opera in base a donazioni private.Attraverso quale finestra dello spettro elettromagnetico è più

vantaggioso osservare? Per osservazioni basate a terra la ban-da dello spettro elettromagnetico più adatta è quella radio. Inparticolare le frequenze comprese tra 1 e 10 GHz sono le me-no “disturbate“ dal rumore di origine cosmica. Le onde radio,inoltre, sono caratterizzate dal fatto di potere attraversare re-gioni dello spazio opache ad emissioni presenti in altre bandedello spettro elettromagnetico. Per questo tipo di ricerca ven-gono impiegate le grandi antenne dei radiotelescopi perchéun eventuale segnale, emesso da una ipotetica civiltà extra-terrestre, arriverebbe sulla nostra terra con una intensità in-credibilmente bassa.Fino a che distanza l’attuale tecnologia permette di indagare?Una ipotetica civiltà extraterrestre ad appena 100 anni luceche decidesse di inviare un segnale radio in tutte le direzioniper farsi sentire, dovrebbe trasmettere con una potenza di66.000.000.000 watt per rendere possibile, sulla Terra, la ri-cezione con una antenna di 300 m di diametro collegata adun sensibilissimo ricevitore/analizzatore di spettro. Se la stessaciviltà fosse a conoscenza della nostra presenza (cosa estre-mamente improbabile), le basterebbe puntare verso la Terraun’antenna parabolica di 300 m di diametro ed inviare un se-gnale di appena 3.300 watt per essere rivelato con le stesseapparecchiature del caso precedente. Noi, da terra, non sa-premmo comunque a che frequenza sintonizzarci, dove pun-tare le antenne, in che modo ed in quale momento osservare.In base alle considerazioni precedenti, non sarebbe plausibilechiedere costoso “tempo antenna” per una osservazione dicui non se ne conoscono le modalità operative. L’approcciomigliore (a basso costo) al programma è quello basato sulla“filosofia” dell’ osservazione SETI, effettuata in parallelo allenormali attività in corso alla antenna parabolica VLBI della Sta-zione Radioastronomica di Medicina-Bo. Una parte del se-gnale radioastronomico viene “convogliata” verso il sistemaSerendip IV (15 MHz BW @ 24.000.000 di canali) che cerca,in quelle condizioni osservative, la presenza di un segnale mo-nocromatico che, per considerazioni di varia natura, sembraessere il più adatto ad essere impiegato per questo scopo. Lostesso sistema, inoltre, fornisce preziose informazioni sulla si-tuazione delle interferenze radio che gettano ombre sul futu-ro della radioastronomia.Per saperne di più:• http://medvlbi.ira.bo.cnr.it CNR Istituto di Radioastronomia

- Stazione Radioastronomica di Medicina-Bo• http://www.seti.org• http://www.seti-inst.edu/game/Welcome.html• “Seti in Italia”, “Le Scienze”- Aprile 97.• “Siamo Soli nell’Universo?”, “Newton” - Giugno 98

Interno dellacamera focaledell’AntennaParabolica diMedicina(Bologna).

Ricevitore 43 GHz,dispositivo checonverte la deboleenergiaelettromagnetica insegnale elettrico, elo amplifica.

a sinistra:Radiometro avapor d’acqua.

a destra:Grafico ottenutocon un Radiometroa vapor d’acqua aCagliari.

Schema a blocchi(semplificato) perosservazioni SETI, Search forExtra Terrestrial Intelligence.

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LE TRE DIMENSIONI DELLO SPAZIO E QUELLA DEL TEMPO

Oggi le nuove tecnologie informatiche e telematiche permet-tono di trasferire i risultati delle ricerche non solo per mezzodella stampa, ma anche con veicoli diversi dai libri (CD-rom,pagine web). Inoltre permettono di raggiungere risultati chenon si sarebbe mai pensato di raggiungere fino a pochi annifa. Mi riferisco non solo alle applicazioni di base di dati e allaloro elaborazione mediante programmi di gestione ormai ca-pillarmente diffusi, cui si è accennato in precedenza, ma aquella che ritengo essere la nuova frontiera della ricerca sullastoria della città, che è data dalla ricostruzione elettronica tri-dimensionale dell’habitat urbano e delle sue trasformazionistoriche. Il risultato sarà una città in quattro dimensioni, dove,alle tre dimensioni dello spazio, si aggiunge quella del tempo.Prima di tutto è necessario dare qualche esempio di quelloche si intende per “ricostruzione elettronica tridimensionale”e quello che se ne può fare dal punto di vista storico.Il primo elemento da illustrare è la necessità di invertire lamarcia cronologica della ricerca: non più dai tempi più lonta-ni a quelli più vicini, ma è necessario procedere a ritroso neltempo. Infatti, trattandosi di un sistema visuale che non con-sente lacune, che non permette di abbandonare nell’oblioqualche parte e che non può lasciare spazio all’immaginazio-ne, è opportuno partire dalla realtà attuale, che possiamo co-gliere nel suo complesso e nella sua interezza, grazie alla pos-sibilità di “girare” attorno agli edifici e magari di penetrareanche all’interno, se ci sono le fonti e le risorse per farlo. Co-sì, ottenuta la base geometrica che costituisce lo scheletro delmodello tridimensionale vettoriale, è possibile mantenere co-me riferimento spaziale e strutturale la realtà nota e a passoa passo modificare gli oggetti urbani testimoniati dalle fonti,sempre tenendo come base fissa e inalterabile il principio chesi ricostruisce solo quello che le fonti permettono di ricostrui-re e se lo storico vuole proporre qualche ipotesi, lo può ov-viamente fare, ma solo a condizione che sia in grado di se-

gnalare nella maniera più inequivocabile possibile che si trat-ta di ipotesi e non di elementi documentati.La costruzione di un modello tridimensionale vettoriale quin-di richiede di per se stessa una ricerca estremamente appro-fondita, pena l’insuccesso dell’operazione: la necessità dichiudere ogni tassello, di fornire un’immagine complessiva,ma con tutti i dettagli al loro posto, anche quelli ambientali,costringe lo studioso ad indagare in tutti i settori, a mettere incampo tutte le metodologie e le risorse umane e culturalidisponibili, dai rilievi architettonici ai componenti edili, dalleinformazioni sugli andamenti meteorologici ai disastri sismici,dalle condizioni dell’illuminazione alle strutture dei materiali ealla loro reazione all’umidità e all’irraggiamento solare, pernon parlare delle ricerche storiche vere e proprie che ovvia-mente sono alla base di tutto.Queste nuove metodologie consentono anche di raggiungereun risultato che di solito la ricerca storica non riesce a conse-guire: la verifica delle ipotesi di lavoro. Valga questo esempio.Uno dei momenti più significativi della storia della città è rap-presentato dagli sviluppi realizzati nel Medioevo e dalla siste-mazione che ogni città ha saputo dare ai servizi. Uno dei temidelle ricerche su Bologna, che ha richiamato l’attenzione deglistudiosi, è quello relativo al sistema idrologico. Nel Duecentoera stato messo a punto un sistema di pulizia delle strade ur-bane che, come dicono gli statuti del 1250 e del 1288, con-sentiva di dare l’acqua ad ogni strada per il lavaggio una voltaogni 15 giorni. Si trattava ovviamente di un sistema moltocomplesso che era condizionato non solo dalle risorse idriche,ma anche dalla giacitura del terreno urbano, quindi dalle quo-te altimetriche delle singole strade, nonché dalla qualità dellapavimentazione. A progetto ultimato forse si potrà simulare ilfunzionamento, cosa che consentirà di dare validità alle ipote-si che lo storico avrà proposto nella ricostruzione del modello.Se però l’esperimento darà esito negativo, si dovranno percor-rere nuove strade, fare nuovi tentativi, fintanto che i risultatinon saranno soddisfacenti. A quel punto si sarà ottenuto unprodotto che la comunità scientifica osserverà considerandoche ha superato un test che è tipico delle scienze esatte.La validità di queste ricerche inoltre non si misurerà solo sulpiano della conoscenza, ma potrà avere anche interessanti ri-cadute su quello didattico. Continuando l’esempio preceden-te, se il prodotto realizzato sarà opportunamente trattato, l’e-ventuale “visitatore” della città virtuale potrà intervenire di-rettamente per simulare la destinazione delle acque in unquartiere della città o in un altro, con conseguente valutazio-ne delle linee di massima pendenza, delle necessità di far sca-valcare con sistemi idraulici corsi d’acqua da altri corsi d’ac-qua, tenendo conto dei periodi di siccità e del regime dellepiogge. Si tratta di forme “laboratoriali” di attività didatticache possono avere molto successo, facendo accettare, insie-me agli aspetti “ludici” di questo lavoro anche i contenuti

i l progetto 2D,3D,4D, progetto Nu.M.E.consorz io univers i tà-c i t ta , bologna 2000, c ineca

F. Bocchi

Immagini dalle Demo Mu.V.I.,Museo Virtuale della vita quotidianaa Bologna nel XX secolo.

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complessi della Storia. Sempre per l’età medievale, ma ancheper l’età moderna e contemporanea, i settori che virtualmen-te possono essere indagati potrebbero essere molti (sistemadelle zonizzazioni industriali per garantire la qualità delle ac-que e dell’aria; sistema di smaltimento dei rifiuti urbani e in-dustriali; servizi pubblici messi in atto dai governi locali o da-gli enti ecclesiastici: mulini, scuole, ospedali, illuminazione,bandi, fogne, selciati). È però evidente che tutti questi temi lostorico non li può affrontare da solo, ma ha bisogno di esse-re affiancato da specialisti di altre discipline, anche molto lon-tane dalla storia, come per esempio l’idraulica, la geologia, lapetrografia.

Nu.M.E.: IL MUSEO VIRTUALE DELLA CITTÀ DI BOLOGNA

Un esempio applicativo delle metodologie di ricostruzione tri-dimensionale di una città, a cui sono aggiunte le trasforma-zioni avvenute nel tempo, è quello che si sta realizzando a Bo-logna. Infatti è in via di approntamento il museo virtuale dellacittà, noto con l’acronimo Nu.M.E., Nuovo Museo Elettronico.Tutte le città, grandi o piccole, soprattutto all’estero, hannoorganizzato un “museo della città”, nel quale vengono rac-colti gli oggetti che si ritiene possano illustrare la storia dellacomunità e le trasformazioni che la struttura urbana ha subi-to. Mettere in un museo una città è però molto difficile: di so-lito si espongono documenti cartacei e mappe, insieme conmodellini di edifici e quegli oggetti urbani o quegli arredi ar-chitettonici che possono essere contenuti in un ambientechiuso. Si tratta di oggetti e di strumenti che servono a far av-vicinare solo idealmente il visitatore alla città, ma la città nelsuo complesso resta fuori dal museo. Il museo elettronico halo scopo di mettere a disposizione del visitatore l’intera cittàattuale, ricostruendola nelle tre dimensioni dello spazio. Se neottiene un ambiente in cui, utilizzando la cloche di manovra,è possibile passeggiare a terra o volare a mezz’aria o sui tetti,per cogliere l’insieme o un particolare. Questa è già una città"virtuale", perché ne sono state cancellate le superfetazioni(insegne, cartelli stradali, cassonetti, auto in sosta e in movi-mento, ecc.), in modo da restituire al visitatore la vera essen-za urbana. Diventa un museo nel momento in cui alle tre di-mensioni dello spazio si aggiunge la quarta dimensione, quel-la del tempo. La modellazione che ha permesso la ricostru-zione degli edifici non più esistenti e il sistema di navigazioneconsentono di far emergere in un ambiente storicizzato quan-to del passato è stato distrutto o di far scomparire quanto an-cora non c’era nella fase storica che viene visualizzata.Una “macchina del tempo”, presente nella barra degli stru-menti, permette al visitatore di scegliere il momento storico incui desidera fare la sua passeggiata elettronica nella città: so-no già disponibili Piazza di Porta Ravegnana con le torri Asi-nelli e Garisenda e le vie circostanti, dove possono essere evo-cate dalla storia la Cappella della Croce (IV-XVIII secolo) e tretorri medievali abbattute all’inizio di questo secolo, nonché lemura di selenite che circondavano Bologna a partire dal V se-colo d.C.

Quello che si vedrà è solo la parte emergente di un grande la-voro scientifico e di applicazioni informatiche sofisticatissimeche non sono percepite dal "visitatore", ma che sono la basedei risultati conseguiti: ogni sia pur minimo segno, disegno emovimento deriva da ricerche storiche molto approfondite,perché è proprio la qualità della ricerca storica, prima ancoradelle elaborazioni informatiche, che fa la differenza fra unprodotto multimediale a larga diffusione, come tanti ce ne so-no attualmente in commercio, e il progetto Nu.M.E.Anche la ricerca storica, nel senso più strettamente scientificodi "attività per addetti ai lavori", riceve un impulso formida-bile da questo tipo di applicazioni. Infatti la necessità di rico-struire graficamente un edificio o un comparto urbano nonpiù esistenti porta di conseguenza lo storico ad approfondiresempre più le sue ricerche, se vuole evitare lacune nelle rico-struzioni. Così, mentre se si scrive o si dice: "in piazza di Por-ta Ravegnana alla fine del Duecento c’erano le case con il por-tico di legno", può essere sufficiente, invece quando si dise-gna bisogna avere notizia anche delle altezze degli edifici, delnumero delle colonne, delle aperture nei muri, del tipo di ma-teriali. Se poi si ricostruisce tridimensionalmente bisogna an-che conoscere la forma dei tetti, le parti interne e quelle cor-tilive, le altezze dei portici e la forma degli intradossi. Tuttequeste esigenze contribuiscono in maniera determinante adacuire la ricerca, perché costringono lo storico ad individuarenuove fonti, a cercare confronti. Ma se alla fine non sarà sta-to possibile ottenere le notizie che si vorrebbero avere, one-stamente sarà lasciata una traccia inequivocabile che indichichiaramente quello che è testimoniato dalle fonti e quello cheè frutto di ricostruzione ipotetica.Nella parte di ricostruzione eseguita fino ad ora è presente an-che lo stato di piazza di Porta Ravegnana al 1294, data in cuifu redatto uno dei Libri terminorum conservati presso l’Archi-vio di Stato di Bologna, cioè la misurazione di tutti i frontistradali e delle parti aeree che sporgevano oltre i paletti (ter-mini) che indicavano la linea di confine fra lo spazio pubblicodella piazza e quello privato delle case. Sono pervenute diver-se redazioni dei Libri terminorum effettuate durante il XIII se-colo, rese necessarie dalle periodiche ricognizioni che veniva-no effettuate per verificare che i termini non fossero stati abu-sivamente spostati. Tali ricognizioni riguardavano gli spazipubblici delle piazze del mercato e delle mura della città. Pernecessità di cose il documento riporta misure e indicazionistrutturali degli edifici, segnalando con precisione se il termi-ne era collocato presso il gesso su cui era impostata la colon-na del portico, di quanto sporgeva il "lignamine grosso", cioèla trave portante il solaio del primo piano, e di quanto spor-geva la gronda, se c’erano panche addossate alle pareti obanchi di attività commerciali.Si tratta di un documento di grande rilevanza storica, perchéda un punto di vista politico segna il grande impegno chel’amministrazione pubblica metteva nel difendere gli spazipubblici dagli abusi, tanto che non si è lontani dal vero ipo-tizzando che si tratti di un vero e proprio condono edilizio,

nella pagina:Immagini dalleDemo del RealityCenter del Cineca,Bologna

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perché, registrando la situazione di fatto, che in quel mo-mento era già considerata “storica”, si chiudeva la partita conil passato, ma erano stati messi in atto gli strumenti per nonconsentire più nel futuro incongrue invasioni di spazi pubbli-ci. Dal punto di vista delle trasformazioni storiche di quellaparte della città il Liber consente di individuare sufficienti ele-menti per realizzare una ricostruzione per ora solo schemati-ca, ma che permette, nel confronto con la situazione dei tem-pi successivi già disponibile, di valutare la misura e la dimen-sione dell’edilizia medievale. Però, per ora, le case della piaz-za di Porta Ravegnana della fine del Duecento non hanno néporte, né finestre, né comignoli, perché nessuna fonte è sta-ta reperita che consenta di fare una ricostruzione certa deiparticolari, mentre è certissimo il posizionamento degli edificie la loro struttura complessiva. La ricostruzione degli edifici ègeoreferenziata (coordinate spaziali: latitudine, longitudine,altitudine) e si avvale dei controlli incrociati con l’applicazionedelle metodologie GIS.Proprio per garantire il fruitore di questo prodotto sul rigorescientifico che c’è alla base di tutto, ogni edificio, ogni com-parto urbano, ogni singolo elemento è accompagnato dalcomplesso delle fonti su cui è costruito il modello vettorialeche consente la navigazione tridimensionale, e che può esse-re richiamato in ogni momento del percorso. Tutto il com-plesso delle fonti storiche accompagna la ricostruzione siasotto forma di struttura ipertestuale, sia sotto forma di richia-mo diretto che può essere effettuato da ogni singolo edificio,collegato con database relazionali, nell’ambito delle metodo-logie GIS. Però il pregio di questo museo virtuale - o per lomeno questo è l’obbiettivo di tutti coloro che ci lavorano e diquanti ne permettono la realizzazione - è quello di essere ac-cessibile a tutti i livelli di competenza e di preparazione, per-ché tutti vi possano svolgere la propria personale chiave di let-tura. Infatti oltre ad essere un nuovo strumento di ricerca, èanche un utile e nuovo mezzo al passo con i tempi, per divul-gare la cultura scientifica (nella fattispecie quella storica e deibeni culturali) e al contempo per stimolare, attraverso i risul-tati delle elaborazioni informatiche, sempre più l'interesse ver-so l’applicazione di tecnologie che rappresentano e rappre-senteranno sempre di più un ambito di lavoro in pieno svilup-po, come dimostrano tutte le ricerche nell’ambito economico

sullo “sviluppo sostenibile”. Inoltre, essendo ogni edificiogeoreferenziato ed essendo ricostruito con quel rigore nei ri-lievi architettonici e nell’analisi delle fonti storiche di cui si èdetto, può consentire anche elaborazioni di tipo diverso daquelle della fruizione “culturale”. Sul modello vettoriale delleDue Torri - cioè lo scheletro geometrico su cui sono state ap-plicate le foto degli edifici o è stata ricostruita la superficie -possono essere effettuati i calcoli della staticità, si possono si-mulare le condizioni di tensione e di tenuta dei materiali in ca-so di terremoto o di passaggio di mezzi pesanti nelle imme-diate vicinanze, si può valutare l’impatto del traffico o defini-re i percorsi delle reti tecnologiche. Tutti questi elementi nonpotranno che essere validi strumenti per gli amministratoripubblici quando sono chiamati a fare delle scelte che riguar-dano gli interventi sul centro storico della città.Il mondo del terzo millennio sarà collegato con reti a largabanda che permetteranno ad un “visitatore virtuale”, sedutodavanti al suo video non importa dove, di percorrere, grazie aNu.M.E., le strade medievali di Bologna, di ammirare di sottoin su, come fece Dante, la torre Garisenda e di restare impres-sionato dalle nubi incombenti, potrà salire sull’Asinelli, ammi-rare Piazza Maggiore com’è oggi e come era nel Duecento,potrà vedere il contesto in cui ha preso vita l’Università più an-tica del mondo, potrà passeggiare sotto i portici di oggi o sot-to quelli del passato; sceglierà la propria strada e la propriaepoca a suo piacimento, sperando di vedere, prima o poi, lacittà reale.Il museo virtuale non è ancora disponibile attraverso Internet,poiché nessuna rete per ora è in grado di veicolare i ‘pesanti’contenuti informatici del progetto. Nu.M.E. è sviluppato perla parte dell’hardware e del software di navigazione virtualepresso il Cineca (Centro di Calcolo Interuniversitario). Gli stu-di preparatori sono condotti nel quadro delle ricerche pro-mosse dal CNR, Progetto Finalizzato Beni Culturali e dall’Uni-versità di Bologna. La modellazione degli edifici non più esi-stenti è effettuata dal Centro Ricerche di Carpi (Modena). Tut-te le attività sono sostenute dal Consorzio Università-Città,dalla Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna e da Bo-logna 2000. La metodologia del progetto e i riferimenti bi-bliografici sono reperibili alla pagina di Nu.M.E. del portalewww.storiaeinformatica.it.

Immagini dalle Demo di Nu.M.E.,Nuovo Museo Elettronico dellacittà di Bologna.La Piazza di Porta Ravegnana neltempo: 1) oggi; 2) nel XIX secolo;3) nell’età moderna, fino alla fine delSettecento; 4) alla fine del Duecento.

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PROGETTARE LA FRUIZIONE VIRTUALE:

LA CITTÀ IN 4D COME SPAZIO DI SIMULAZIONE

Le immagini sono un’interfaccia percettiva. Le tecniche direaltà virtuale permettono la rappresentazione di scenari arti-ficiali, scenari reali e di una loro eventuale integrazione. A ta-le scopo la ricostruzione tridimensionale della città attuale edelle sue trasformazioni storiche deve essere accompagnatada strumenti, come la console della macchina del tempo rea-lizzata per il dimostratore di Nu.M.E. (Nuovo Museo Elettroni-co) della Città di Bologna, per renderne intuiva ed efficace lanavigazione e l’orientazione.La fruizione multimediale del museo della città di Bologna av-viene nello spazio e nel tempo, attraverso le quattro dimen-sioni. Il mondo virtuale della città diviene così un vero e pro-prio spazio di simulazione. Il visitatore può essere, se lo desi-dera, liberato dal vincolo della gravità, raggiungere punti di vi-sta impossibili nella realtà, godere di viste da edifici inaccessi-bili ed essere immerso, durante il viaggio nel tempo, nelle at-mosfere musicali di epoche diverse od ascoltare i versi di Dan-te ai piedi della torre Garisenda. In futuro lo stesso navigato-re virtuale della città, sempre attraverso questo spazio, potràavere accesso a dati di tipo territoriale, cosa già in parte pos-sibile nel dimostratore attuale, lanciare simulazioni per valuta-zioni di impatto ambientale,visualizzare previsioni meteorolo-giche e flussi di traffico, valutare il comportamento di flussi difolla attraverso la rappresentazione dei risultati di simulazioniremote all’interno dell’ambiente ricostruito, il “mondo”.Nu.M.E., il Nuovo Museo Elettronico della Città di Bologna, èstato infatti pensato per essere anche un “cancello”, se sivuole, un’interfaccia cognitiva che apre l’accesso ad altri dati

sulla città che ne arricchiscono la comprensione: è così possi-bile costruire una città virtuale capace di raggiungere e visua-lizzare i diversi spazi informativi (dimensioni del “mondo”) diinteresse per l’esploratore stesso.La costruzione di questa complessa città, per ora quadridi-mensionale, deve perciò compiersi in modo modulare e a di-versi livelli di dettaglio per consentire diversi tipi di fruizione: lo-cale (al mondo virtuale) o remota, utilizzando le reti telemati-che. Tale fruizione deve poi soddisfare diversi profili di utenti:il ricercatore, l’insegnante, il turista culturale… È per questomotivo che gli elementi che compongono Nu.M.E., modelligeometrici, immagini, suoni sono memorizzati a risoluzioni di-verse. Si tratta quindi, in ultima analisi, di modelli simili fra lo-ro della città in 4 dimensioni; modelli che propongono, in fun-zione della capacità di fruizione dell’utente, livelli di approfon-dimento diversi, ma pur sempre validati dalla ricerca storica.La città quadridimensionale può essere visitata sia in modo semiimmersivo (desktop virtual reality) via Internet (come nel model-lo leggero visibile www.cineca.it/v/nume), oppure attraverso unamodalità completamente immersiva all’interno di un teatro vir-tuale. L’alta risoluzione infatti, sia nella modellazione geometri-ca sia nella preparazione delle texture dei modelli, cioè delle im-magini digitali che ricoprono lo scheletro del modello tridimen-sionale, consentirebbe la fruizione del museo della Città anchein un vero e proprio spazio teatrale virtuale, che avvolge com-pletamente il visitatore. Tale opportunità, oggi possibile attra-verso tecnologie tipo Virtual Theatre, consente di proporre unvero e proprio spazio fisico in cui un gruppo persone (visitatori,cittadini, ricercatori, amministratori, tecnici…) possono navigarefisicamente nel tempo e nello spazio della città in 4 dimensioni.

navigazione in 4D del nuovomuseo e lettronico del la c i ttà dibologna

A. Guidazzoli

Ampia vedutaaerea della città diBologna.

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Il laboratorio Vis.I.T. del CINECA di Bologna, in collaborazio-ne con il Consorzio Università-Città e l’Università degli Studidi Bologna, ha realizzato la prima installazione di un TeatroVirtuale al di fuori della propria struttura nel corso della mo-stra “Communication”, tenutasi ad ottobre 2000 a PalazzoRe Enzo, in pieno centro a Bologna.La presenza di un Baby Reality Center - così come è stato de-nominato il piccolo Teatro Virtuale allestito nell’ambito dellamostra - è stata pensata non tanto per offrire una dimostra-zione sensazionalistica sulla computer grafica, quanto per por-tare alcuni esempi di possibili applicazioni di visualizzazionecomputerizzata immersiva in campo scientifico ed umanistico.Non sono stati presentati, infatti, videogiochi o filmati ad ef-fetto, ma dimostrazioni di applicazioni (demo) impiegate abi-tualmente presso i laboratori del CINECA per lo sviluppo diprogetti che utilizzano la grafica immersiva come mezzo di stu-dio. Questi progetti spaziano in diversi campi dello scibile uma-no: dalla bioingegneria ai Beni Culturali, passando per l’astro-fisica, la meteorologia, la chimica, la fisica e l’oceanografia. Inparticolare, sono state presentate demo sui progetti Nu.M.E.(Nuovo Museo Elettronico della città di Bologna), Mu.Vi. (Mu-seo Virtuale della vita quotidiana a Bologna nel ventesimo se-colo), Progetto Mummia (ricostruzione virtuale della testa diuna mummia partendo da dati Tac della stessa), AstroMD (vi-sualizzazione Multi Dimensionale e processi analitici applicatiall’Astrofisica), HipOp (Sistema virtuale di pianificazione di in-tervento di sostituzione Hip) ed altre applicazioni, come la ri-costruzione e visualizzazione del suolo sottomarino della parte

sud-est del mar Tirreno, la simulazione di un tornado, la simu-lazione della dinamica di una molecola di un farmaco e la si-mulazione dei legami fisici degli elettroni nel cristallo di ghiac-cio in situazioni fisiche particolari (ICE10). Le demo, rispetto aquanto presentato fino a quel momento nel Teatro Virtuale delCINECA, sono state elaborate in modo che fossero risponden-ti alle caratteristiche di un pubblico non specialistico ed etero-geneo, aggiungendo dell’audio di spiegazione e della musicadi sottofondo diversa per ciascuna demo. Le modalità di visualizzazione sono state due: esecuzione inautomatico o navigazione in tempo reale. Ciascuna di questemodalità presenta propri limiti e pregi. L’esecuzione automa-tica evita errori tecnici imputabili all’operatore e consente unamigliore gestione ed un totale controllo della demo - con lapossibilità di realizzare percorsi, sequenze e punti di vista pre-definiti - e la gestione ottimale e sincronizzata dell’audio, siadi sottofondo sia di commento. Tuttavia la demo, presentatain questo modo, rischia di sembrare un semplice filmato, ca-ratterizzato per di più da una qualità e da un livello di coin-volgimento non paragonabili a quelli a cui è abituato il pub-blico dei documentari televisivi. La navigazione manuale, purcon i suoi limiti rispetto alla versione automatica, mostra me-glio la potenza di calcolo e la mole di lavoro che stanno allabase di queste realizzazioni, permettendo di interagire in tem-po reale con l’applicazione. In questo modo, la demo è anchepiù flessibile rispetto alle curiosità e agli interessi specifici delpubblico, adattandosi con maggiore facilità al backgroundculturale e all’età degli spettatori.

p r ima insta l laz ione de l baby rea l i tycenter de l c ineca

F. Serafini

Immagini dalleDemo HipOp.

Immagini dalleDemo Mummia.

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Il Baby Reality Center realizzato era costituito principalmenteda un super computer grafico Onyx 2 Infinite Reality della Si-licon Graphics dotato di quattro processori e da 1GB di RAMe schede grafiche ad alta accelerazione, basato su sistemaoperativo IRIX. Un sistema informatico ad alte prestazioni èfondamentale per calcolare e visualizzare, in tempo reale, adogni cambio di scena, la nuova disposizione.Il sistema di visualizzazione 3D della Barco (3D Digital VideoPackage) è formato da due proiettori LCD BarcoReality SIM 6e uno schermo passivo non depolarizzante. Ognuno di questidue proiettori, appositamente allineati, riproduce la stessascena sfasata di un angolo di convergenza prestabilito dall’e-laboratore. Questo sfasamento, grazie anche ad un sistema difiltri polarizzati è in grado di ricreare la profondità della terzadimensione. Infatti, ogni proiettore visualizza l’immagine perun singolo occhio e monta nel sistema di lenti un filtro pola-rizzatore lineare. Inserendo in un proiettore un filtro con pia-no di polarizzazione verticale e nell’altro un filtro con piano dipolarizzazione orizzontale, e dotando gli spettatori di specialiocchiali con lenti polarizzate linearmente, una con piano dipolarizzazione orizzontale ed una verticale, il cervello dellospettatore riceve due immagini distinte e sfasate di un ango-lo di convergenza prestabilito, che gli permettono di ricostrui-re la profondità per la terza dimensione. Le immagini proiet-tate hanno una risoluzione di 1280 x 1024 pixels.Il Baby Reality Center era costituito anche da un PC collegatoin remoto per il controllo in caso di blocco sistema e da un im-pianto audio stereo con mixer, amplificatore e casse. All’im-

pianto audio sono collegati l’elaboratore che consente la ge-stione dell’audio nella scena ed altri apparati esterni come unradiomicrofono e un lettore CD e MC. L’esperienza accumulata in occasione della mostra viene oggiimpiegata nella realizzazione di nuovi progetti sull’applicazio-ni della realtà virtuale, sviluppati al CINECA. Si sta cercando,infatti, di integrare i due tipi di navigazione e di rendere il tut-to più coinvolgente, con una prima parte eseguita in auto-matico, con un percorso predefinito, ed una seconda partecon navigazione manuale per consentire una spiegazione adhoc da parte dell’operatore. Si sta studiando anche la possi-bilità di usufruire in tempo reale dei database specifici che sa-ranno realizzati per i diversi progetti.

Immagini dalleDemo AstroMD.

Immagini dalleDemo Integrina.

Schema di costruzione dell’immagine 3D.

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ni L’Istituto di Geologia Marina del CNR, che da oltre trent’anni

si occupa dei mari italiani e delle aree oceaniche, ha come at-tività primaria lo studio dell’ambiente marino al fine di com-prendere come funziona il “sistema Terra” e gli equilibri delsuo ecosistema.In occasione del Trentennio della sua fondazione, la storia del-l’Istituto è stata illustrata attraverso un esperimento multivisi-vo dando un esempio di comunicazione intensa ed emozio-nale, mediante un prodotto integrato tra la storia della ricer-ca scientifica e tecnologica, la fotografia, l’informatica, la mu-sica e la poesia, amalgamati da una regia unica intesa a for-nire un prodotto di divulgazione e informazione rivolto al-l’ambiente scientifico e di massa. La multivisione si inserisce tra le ultime frontiere della multi-medialità. Le potenzialità di questi spettacoli è enorme, giàmolti musei stanno sviluppando “aree multivisionali”, chepermettono di immergere un visitatore in diversi ambienti,consentendo suggestivi “viaggi virtuali”. L’Istituto di Geologia Marina, che ha sede a Bologna, è statofondato nel 1968 dal Prof. R. Selli ed attualmente è diretto dalProf. Enrico Bonatti e dalla Dr.ssa Mariangela Ravaioli. L’Istitu-to si avvale di numerosi laboratori e una Base Operativa in

Area portuale presso la Darsena S. Vitale a Marina di Raven-na, ma la grossa parte dell’attività viene svolta in mare a bor-do di Navi Oceanografiche.L’esplorazione della geologia degli oceani negli ultimi 30 anniha costituto una grande avventura intellettuale che ha porta-to ad una rivoluzione scientifica culminata con una teoria chespiega processi quali la deriva dei continenti, la distribuzionedella sismicità e del vulcanesimo, il sollevamento di catenemontuose (Alpi, Himalaia, Ande) ecc.Le ricerche di geologia marina non solo aumentano le nostreconoscenze di base, ma hanno un’importante valenza appli-cativa. Ad esempio, gli studi sulla geologia, sul vulcanesimo esulla sismicità del Tirreno hanno importanti ricadute per capi-re la geologia delle terre emerse, la distribuzione dei terremo-ti, l’origine dei tsunami, il cambiamento climatico e l’inquina-mento marino.L’Istituto di geologia marina sta tentando di formare una nuo-va generazione di studiosi che possano continuare lo sviluppodi questa disciplina in Italia e mantenerla al livello di quella deimaggiori paesi europei. Le linee di ricerca storicamente con-dotte dall’Istituto sono la geologia oceanica, la geologia dellearee mediterranee, la stratigrafia ed il paleoclima del quaterna-

la storia e la r icerca del l ’ ist ituto digeologia marina del cnr in multivisione

M. RavaioliF. Giglio

G. MarozziN. Bianchi

F. BentivoglioD. Martignani

Istituto di GeologiaMarina, CNR,Bologna.Foto di: IGM.

Tutte le immaginiin questo articolosono dovute allacortesia di IGM.

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rio, la geologia ambientale e costiera e lo sviluppo tecnologico.La conoscenza dei processi fisici, chimici e biologici che rego-lano l’evoluzione del nostro Pianeta sarà fondamentale nel fu-turo per assicurare lo sviluppo e la continuazione della vitasulla Terra. Questa conoscenza dovrà quindi sempre più con-dizionare ed ispirare, tra le diverse nazioni, politiche ambien-tali comuni. Poiché le aree emerse rappresentano soltanto unterzo dell’intera superficie terrestre, è ovvio come lo studiodell’ambiente marino sia essenziale per capire come funzionail pianeta Terra. Negli ultimi anni è apparso chiaro che la ri-cerca nel campo delle scienze della Terra avrà un senso prati-co, e un futuro, se saprà offrire un approccio olistico agli sfor-zi che la società dovrà fare sempre più seriamente per rag-giungere un uso sostenibile delle risorse, una definizione deirischi ambientali e delle loro condizioni evolutive.Per illustrare tale attività si è creato un percorso fotograficoche si sviluppa documentando la vita e l’attività all’internodell’Istituto e delle navi oceanografiche, riferendo dei risultatidella ricerca e documentando gli ambienti marini fino ad arri-vare al lontano Antartide. La preparazione di una multivisione in ambito scientifico ècomplessa e richiede un approccio interdisciplinare e l’incon-tro di varie competenze: lo scienziato, il fotografo, l’informa-tico, l’esperto di musica e l’artista.In questo modo si possono raccontare e documentare i con-tenuti scientifici e la storia percorsa con sequenze di immagi-ni in diapositive sincronizzate su diversi proiettori accompa-gnate da brani musicali che permettono di penetrare il conte-nuto della rappresentazione con intense emozioni. Il raccordotra immagine, musica e colori richiede una sincronia perfettache è ottenuta mediante un supporto informatico che collegae temporizza cadenze musicali, immagini e testo.

Carotiere a gravità per la campionaturadei fondali marini (N/O Urania, CNR).

Campionatura di sedimenti superficiali conbox-corer in Antartide (N/O Italica/P.MRA).

Sperimentazione con sismica multicanale.Sorgenti sismiche Air-gun.

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LA VISUALIZZAZIONE DEI FONDALI MARINI IN AMBIENTI

DI REALTA’ VIRTUALE

Se immaginassimo di eliminare completamente l’acqua daglioceani avremmo una visione di un paesaggio fatto di monta-gne, valli, canali, estese piattaforme, in generale più dolce diquello delle terre emerse, ma anche, in certe zone, più corru-gato e con salti topografici ancora più ampi. Ciò è vero spe-cialmente nelle zone di frattura oceaniche, dove si incontranopareti e montagne che si elevano anche di 8000 m dal fondo. Solo la fantasia e l’immaginazione, oppure misure precise del-la topografia dei fondali marini e sistemi raffinati di simula-zione e visualizzazione, ci permettono di effettuare tale ope-razione, e di “navigare” in un mondo di realtà virtuale.La misura accurata della topografia dei fondali comporta lun-ghe campagne di ricerca con navi adeguatamente attrezzateper la prospezione con onde sonore e ultrasonore, che sonole uniche in grado di penetrare la colonna d’acqua ed essereriflesse dal fondo. La registrazione dei tempi impiegati daqueste onde, in relazione anche ad accurati studi oceano-grafici che ne determinano la velocità di trasmissione, forni-sce una misura dell’altezza del fondo dal livello medio del

mare. Strumenti più sofisticati ed accurati (multibeam) sonoin grado di fornire misure contemporanee su ampie fasce difondale, permettendo ad un tempo una migliore coperturaspaziale e una riduzione dei tempi di lavoro.L’Istituto per la Geologia Marina del CNR di Bologna haesperienza ormai pluriennale di acquisizione ed elaborazio-ne di dati multibeam, in Oceano Atlantico ed in Mediterra-neo. In particolare, esso ha effettuato un rilievo del Mar Tir-reno, condiderato un piccolo oceano in apertura, ed estre-mamente interessante per le sue fenomenologie vulcaniche.La fase di acquisizione è durata circa 4 mesi di operazioni innave, mentre la fase di elaborazione ha comportato circa 6mesi, e, per alcune zone, non è ancora terminata.Uno dei prodotti di tale elaborazione, effettuata dai colleghidell’IGM D. Penitenti, G. Carrara e P. Fabretti, è stata la crea-zione di un Modello Digitale del Terreno (DTM) del mar Tir-reno. Con una procedura di visualizzazione di DTM svilup-pata all’IGM, sfruttando strumenti hardware e softwaremolto potenti (fra cui le workstations grafiche e i ‘Teatri Vir-tuali’ del CINECA) è possibile effettuare un ‘volo sul Tirreno’,in cui si possono ammirare grandi vulcani sottomarini, im-

la v isual izzazione dei fondali mariniin realtà v i rtuale

G. BortoluzziT. Diamanti

G. StanghelliniL. Calori

A. Guidazzoli

Il fondo del Mar Tirreno.

Tutte le immagini in questo articolosono dovute alla cortesia di IGM.

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mense pareti franate, lunghissimi can-yons che da terra portano nelle zonepiù profonde materiale di origine con-tinentale, che viene sepolto o rielabo-rato. Le figure di seguito riportate so-no tratte da uno di questi voli. In par-ticolare, si può ammirare il grande ap-parato geologico del vulcano Marsili,fra la Sicilia e Napoli.Un paesaggio così rivelato non puòche rendere ancora più evidente la na-tura in continua modificazione dellaTerra e contribuire alla conoscenza diprocessi geologici fondamentali chemodellano la superficie del pianeta.Oltre alla presentazione grafica, il soft-ware e le attrezzature di visualizzazionesaranno utilizzate per altre applicazioni,fra cui la simulazione e la guida di vei-coli sottomarini in tempo reale.

Il vulcano Marsili, Mar Tirreno.

Il vulcano Vavilov, Mar Tirreno.

Carta batimetrica del Mar Tirreno da rilievimultibeam. SNG/GNV/Progetto strategico CNR “Dorsali e bacini diretroarco”.

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DATALOGIC: CAPTURE COMPUTE COMMUNICATE

Le tecnologie su cui Datalogic ha basato il suo sviluppo sonoquelle della Identificazione Automatica e della Raccolta Dati(AIDC, Automatic Identification and Data Capture): il codice abarre è sicuramente la forma più nota e popolare al grandepubblico per il suo uso sui prodotti di largo consumo. Datalo-gic però non si occupa più solo di capture (la cattura, la rac-colta dei dati), ma anche di computing (elaborazione dei da-ti) e communication (trasmissione dei dati): lo sviluppo delletecnologie dell’hand-held computing (elaborazione dati tra-mite dispositivi palmari) e della comunicazione dati wireless(senza filo, tipicamente a radiofrequenza) sono oggi centralinella strategia di Datalogic.

SHOPEVOLUTION™

LA SPESA VELOCE, PIACEVOLE E SENZA CODE

Quanto tempo si perde in coda al supermercato? Quantotempo si perde poi a svuotare il carrello alla cassa? Troppo!Il sistema di Self-Scanning Shopevolution™, al contrario, ri-chiede semplicemente di:• Prelevare il pratico terminale.• Leggere il codice a barre di ogni articolo che si desidera ac-

quistare prima di riporlo nel carrello.• Consegnare il terminale alla cassiera che emetterà imme-

diatamente lo scontrino sulla base dei dati memorizzati du-rante la spesa.

Nient’altro!In più il terminale permette di ricevere promozioni personaliz-zate, di leggere informazioni di vario genere su quel determi-nato prodotto e di tenere costantemente sotto controlloquanto si sta spendendo. Shopevolution™ significa quindianche più qualità della vita.La fidelizzazione del consumatore assume oggi, ancor più che

in passato, un valore decisivo nell’ambitodella vendita al dettaglio (Retail) dei pro-dotti di largo consumo (FMCG – Fast Mo-ving Consumer Goods), vista la pluralità dialternative d’acquisto offerte dall’espan-sione della grande distribuzione e dall’e-mergere dello shopping on-line.In questo senso per gli operatori dellagrande distribuzione, è strategica l’attua-zione di politiche volte alla creazione divalore per il consumatore, di politiche dimarketing personalizzate per il singolo in-dividuo (Customer Specific Marketing) edin generale di una logica che ponga ilcliente al centro del business. Ciò al fine dicostruire e mantenere un distinto vantag-gio competitivo.Il Customer Relationship Management(CRM) interpreta appieno questa filosofiacentrata sul consumatore, concretizzan-

dosi nell’utilizzo di svariate soluzioni applicative.Attuare il One-to-One marketing con strumenti efficaci risul-ta fondamentale: nell’ambito del CRM esso svolge un ruolochiave in quanto trasforma le informazioni raccolte sulle abi-tudini d’acquisto di un singolo cliente, in un efficace piano dimarketing con azioni dirette e personalizzate. Consente diveicolare informazioni utili, proporre promozioni su misura,comunicare eventuali miglioramenti nel servizio sollecitati dalcliente stesso e così via, spostando il fattore discriminante dal-la mera valutazione di prezzo ai benefici legati alla fruizionedi servizi tempestivi, efficaci e, soprattutto, plasmati in basealle proprie esigenze ed abitudini.Shopevolution™, grazie alla sofisticata gestione delle infor-mazioni legate alla Customer Category, dà ora la possibilitàad ogni cliente di vivere una esperienza di shopping unica epersonalizzata sin dal momento in cui entra al supermercato.

i l codice a barre

R. Amato

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Nel momento in cui il cliente si avvicina al sistema di Self-scan-ning Shopevolution™ per prelevare il proprio terminale da uti-lizzare per lo shopping, sul monitor multimediale gli vienepresentata una videata personalizzata e un messaggio di ben-venuto con il suo nome, un banner gli propone le offerte pro-mozionali del giorno a lui più indicate ed inoltre gli vienestampato un coupon personalizzato che può essere, ad esem-pio, un biglietto per la lotteria di Capodanno, la promozionedi un prodotto private label, un buono sconto, etc.Shopevolution™ raggiunge il cliente anche quando si trova tragli scaffali e sta facendo la spesa. Offre infatti la possibilità diproporre in diretta, sul display dell’ergonomico terminale diSelf-scanning, azioni di marketing One-to-One come promo-zioni e consigli per gli acquisti basati sul comportamento d’ac-quisto del cliente, che Shopevolution™ conosce perfettamen-te in quanto memorizzato nel proprio database.Alla fine dello shopping, il cliente non desidera altro che eli-minare il passaggio che tutti vorrebbero saltare quando sonoal supermercato: la coda alla cassa. Shopevolution™ annullainfatti i tempi di attesa al check-out consentendo al cliente dipagare senza dover togliere la spesa dal carrello e senza do-ver riutilizzare la propria loyalty card in cassa.

@NYWHERE™: I TUOI ACQUISTI COME VUOI, QUANDO

VUOI E DA DOVE VUOI

Utilizzando un telefonino WAP o un PDA, è possibile collegar-si al sistema Shopevolution™ presente nel supermercato ed ef-fettuare gli acquisti on-line, in qualsiasi momento della gior-nata, senza stress, senza affollamento, senza fretta, senza co-de. Analogamente, restando comodamente a casa, si può in-viare la propria lista della spesa utilizzando un lettore di codicea barre collegato a PC. Inoltre, con questa modalità, è possibi-le richiamare qualsiasi documento Internet senza digitare al-cun indirizzo bensì leggendo semplicemente uno speciale barcode presente su quotidiani o pubblicazioni specializzate.

SMARTACCESS™: LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DEL

CITTADINO

Niente più code! Pagamenti automatizzati! Possibilità di ac-cedere con lo stesso sistema identificativo a città, parcheggi,manifestazioni, eventi!Tutto questo oggi è possibile grazie alla tecnologia Datalogicbasata sulla comunicazione a Radio Frequenza. Non è più ne-cessario introdurre la tessera in appositi lettori: con un siste-ma di comunicazione dati a onde radio, il sistema di control-lo accessi è in grado di rilevare persone, oggetti, automezzi inmaniera automatica, senza errori e istantaneamente.Questa tecnologia permette anche di realizzare sistemi di si-curezza per persone e oggetti. Le stazioni di rilevamento pos-

sono identificare ad esempio autovetture che escono da par-cheggi senza autorizzazioni o bambini che si allontanano daigenitori. In ambito produttivo inoltre questi sistemi consento-no di inserire in oggetti quali Personal Computer, telefoni cel-lulari ecc. tutte le informazioni sul prodotto (data di fabbrica-zione, manutenzione effettuata ecc.) e sul proprietario (nome,indirizzo ecc.) garantendo la massima qualità di servizio emaggiore sicurezza.

Tutte leimmaginidi questoarticolosonodovute allacortesia diDatalogic,Bologna.

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B. Cappa,Sintesi delleComunicazionitelegrafiche etelefoniche,Palazzo dellePoste,Palermo.Per cortesiadi: FMR.

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comunicazione e r icerca nellescienze della v ita

116 Il Progetto Genoma — G. Della Valle, V. Politi, R. Bernardoni, G. Perini,

D. Grifoni

119 Comunicazione e orientamento nelle api — G. Celli

124 Parlarsi con le molecole disciolte negli oceani — P. Cortesi, O. Cattani,

G. Isani, G. Vitali, S. Sintoni

130 Il linguaggio degli ultrasuoni dei delfini — R. Lenzi, L. Bartoletti,

S. Sintoni, P. Cortesi

134 Impatto ambientale dei sistemi di comunicazione — P. Bernardi, M. Cavagnaro, S. Pisa, E. Piuzzi

136 Internet e net-culture — F. Berardi

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i l p rogetto genoma

G. Della ValleV. Politi

R. BernardoniG. Perini

D. Grifoni

Il Progetto Genoma è probabilmente il progetto più ambi-zioso intrapreso dall’uomo: lo scopo è quello di conoscere lasequenza completa di tutto il genoma umano. Il genoma èorganizzato, all’interno del nucleo di ogni cellula, in struttu-re denominate cromosomi, che nell’uomo sono 23 coppie.Nei cromosomi risiedono i geni, che a loro volta sono costi-tuiti da DNA (acido desossiribonucleico). Il DNA è una mole-cola composta di sole quattro basi nucleotidiche (Adenina,Guanina, Timina e Citosina) organizzate in sequenze diffe-renti, così formando i diversi geni. Se pensiamo che la lun-ghezza totale del DNA contenuto nei 23 cromosomi è di cir-ca 3 miliardi di paia di basi, possiamo immaginare come que-

sta sfida sia stata difficile e, allo stesso tempo, molto stimo-lante. È parso chiaro fin dall’inizio che un progetto di cosìgrandi dimensioni poteva essere portato a termine solamen-te attraverso sforzi coordinati tra i vari enti di ricerca del pia-neta. Infatti, è con un adeguato grado di sinergia tra i ricer-catori che si è potuta elaborare la grande massa di dati chegiorno dopo giorno aumentava costantemente. Alla parten-za del Progetto Genoma Umano (lanciato dagli Stati Uniti nel1988) si pensava che la decifrazione integrale del genomaumano non potesse terminare prima del 2005; tuttavia, gra-zie alle continue innovazioni biotecnologiche e informatiche,la data è stata anticipata al 2001. Quello che ci si aspetta dai

PROGETTO GENOMA

Determinazione dell’intera sequenza di nucleotidicontenuti nei 46 cromosomi umani.La sequenza è letta e organizzata dal computer.

Le sequenze del DNA di un individuo sano e uno malatosono immesse nel computer e confrontateal fine di identificare il gene responsabile della malattia.

Individuazione

del gene

responsabile

della malattia.

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risultati del Progetto Genoma è di scoprire l’origine di tantemalattie genetiche ereditarie, di poter fare progressi nel cam-po della diagnostica molecolare e della terapia genica. Co-noscere la sequenza e la localizzazione dei geni permetteràinoltre di agire in maniera selettiva e mirata anche contromalattie come il cancro e l’Aids.L’ultimo livello di questa indagine biomolecolare è l’analisi del-le sequenze ottenute; si cercherà cioè di capire se il fram-mento che è stato analizzato fa parte di particolari regioni re-golatrici del gene oppure se rappresenta una parte codifican-te del prodotto proteico finale. A complicare questo tipo di in-terpretazioni intervengono alcune peculiarità del genoma de-

gli organismi superiori; una di queste è sicuramente la dis-continuità dei geni; con tale termine si evidenzia che le por-zioni codificanti per le proteine, chiamate esoni, sono inter-rotte da sequenze non codificanti, gli introni. Tali sequenzevengono “tagliate” via nel processo della trascrizione e quin-di, di fatto, ancora non si conoscono tutte le funzioni della lo-ro presenza nel nostro patrimonio genetico.Oltre agli introni, nel genoma esiste un’elevata quantità diDNA, spesso costituito da sequenze ripetute, che non vieneutilizzato né per la sintesi proteica né per la regolazione del-l’espressione genica. Il significato di queste regioni non è sta-to ancora chiarito: secondo alcune ipotesi accreditabili, le se-

Struttura di una cellula animale

Cambiamenti nella struttura della beta-globinadiminuiscono la sua capacità di legarel’ossigeno e portano alla comparsa di eritrocitianomali con la tipica forma a falce

Mutazioni di un singolonucleotide nella sequenza della beta-globina possonoalterarne la struttura e causare l’Anemia Falciforme

Codice che converte triplette di basi in aminoacidi, i mattonidelle proteine

Struttura di un frammentodi DNA contenuto nel nucleo cellulare

Meccanismo di trasferimento dellainformazione genetica dal DNA ad unaltro acido nucleico -RNA- (Trascrizione)e da quest’ultimo alla proteina (Traduzione)

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quenze ripetute potrebbero avere un ruolo, o averlo avuto,nel corso dell’evoluzione. Quindi, oltre alle linee di studio con-cernenti la terapia genica, la lotta contro le malattie genetichee tumorali e il perfezionamento di test diagnostici molecolari,un’ulteriore e affascinante branca della biologia che trarrà im-portanti informazioni dai risultati ottenuti sarà lo studio evo-lutivo dei genomi di differenti organismi. Se pensiamo che ledifferenze nucleotidiche tra il genoma umano e quello di al-cune scimmie antropomorfe sono dell’ordine dell’1-2%, saràdi estremo interesse capire in che cosa consistano e a caricodi quali geni siano.Il grande progresso tecnologico nel campo dell’informatica hainfine permesso un’ottimale rielaborazione dei dati ottenuti e

un più efficace interscambio tra i vari ricercatori e scienziatiimpegnati nel progetto; le banche dati ora disponibili in retepermettono l’identificazione di sequenze fra loro correlate epossono offrire così un indizio per determinare la funzione deigeni. In estrema sintesi, il sequenziamento del genoma uma-no consiste nel punto di partenza fondamentale per lo studioe l’interpretazione di un codice antico e non più segreto; po-chi elementi di base in grado di dare una varietà quasi infini-ta di combinazioni che ora conosciamo e di cui possiamo fi-nalmente iniziare a comprendere il significato.

Un essere umano ècostituito circa da10.000 mld di cellule

Ogni cellula contiene 46 cromosomi per un totale di100.000 geni distribuiti in 2 m circa di informazionegenetica (Acido Desossiribonucleico -DNA-).

Ogni cromosoma, lungo circa 2 mille-simi di millimetro, contiene in media150 milioni di coppie di nucleotidi(A=Adenina, C=Citosina, T=Timina,G=Guanina)

Tutte le immagini di questo articolo sonodovute alla cortesia degli Autori del testo.

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Il 9 maggio del 1963, il professor Karl von Frisch, vincitore,nello stesso anno, del premio Balzan per la biologia generale,e che dieci anni dopo riceverà il Nobel insieme a Konrad Lo-renz e a Niko Tinbergen, tenne una conferenza a Roma pres-so l’Accademia Nazionale dei Lincei. L’argomento era “Il lin-guaggio delle api”, ai confini, secondo alcuni, che separanola scienza dalla fantascienza, e che ha costituito per von Frischla scoperta più importante, anche se non la sola, dalla sualunga vita di ricercatore.Da sempre si era autorizzati a pensare che gli animali, faccioun po’ di semiologia selvaggia, si scambiassero soltanto dei se-gnali, dotati di una intensa valenza emotiva. In un gruppo diuccelli alla pastura, quello che ha intravisto nel cielo il volo cir-colare di un falco, lancia un grido. Quel grido non significa fal-co, ma piuttosto comunica la paura che il falco evoca in chi loha visto, e la trasmissione di questa emozione mette in allarmei compagni della improvvisata sentinella, che volano via. Se alcontrario, un uomo grida leopardo, sicuramente la parola avràuna sua aura emozionale, ma nel contempo informerà più pre-cisamente i compagni, che sanno, per convenzione, come aquel suono corrisponda un leopardo, e non, mettiamo, un’a-quila, e che il pericolo ha quattro zampe e non le ali. L’uomo,aveva scritto Cassirer, è un animale simbolico; von Frisch si pe-ritava di aggiungere: anche l’ape, in una certa misura, lo è. Inche senso? Vengo subito al nocciolo della questione: fin daitempi di Aristotele, che ne fa per l’appunto menzione nelle sueopere, si sapeva che le api di ritorno all’alveare, dopo avereraccolto sui fiori del nettare e del polline, mettono in atto del-le curiose giravolte, che sembrano interessare molto le com-pagne. Che funzione assolvevano? Chissà!Qualche millennio dopo, nel 1788, Ernst Spitzner, che avevapensato di studiare l’alveare impiegando un’arnia “a fine-stra”, e cioè con le pareti di vetro, nota la curiosa danza, epensa che serva all’ape per meglio diffondere in giro l’odoredei fiori visitati, sollecitando così le compagne a seguirla sulluogo del bottino. Nel 1901, guarda guarda, entra in scena unpoeta drammaturgo belga, Maurice Maeterlinck, dilettante diapicoltura, che decide di scrivere un libro sulle api e i loro co-stumi, “La vie des abeilles”. Diventerà un best-seller mondia-le, e contribuirà non poco al prestigio di Maeterlinck, che vin-cerà il Nobel per la letteratura dieci anni dopo. Le api porta-no fortuna, insomma! Lo scrittore, pensate un po’, sfiora lagrande scoperta. Ha osservato a sua volta le danze, e ha sub-odorato che costituiscano una sorta di linguaggio gestuale.Capisce al volo come affrontare il problema: mette una cop-pella di miele sul davanzale della finestra del suo studio, easpetta che un’ape dell’alveare posto negli immediati dintor-ni, venga a far bottino. Mentre sugge il miele, Maeterlinck lamarca con una macchiolina di colore, e lascia che ritorni a ca-

sa. Qui, attraverso il vetro a parete della sua arnia, la osservamentre danza a suo piacimento, seguita dalle compagne, e lacattura quando sta per involarsi di nuovo. Se le altre api giun-geranno numerose a bottinare la coppella di miele, senza es-sere state guidate dalla danzatrice sul posto, significa chequest’ultima ha comunicato loro la direzione e la distanza deltesoro zuccherino. N’est pas? Ahimé, solo un’ape si fa viva, eMaeterlinck non sa se attribuire la sua presenza al caso. Percui, i poeti sono volubili, abbandona la ricerca sul campo, epreferisce speculare sui misteri, e su quello “spirito dell’alvea-re” che darebbe ragione di ogni cosa.La persona che entra in scena a questo punto, Karl von Frisch,è di ben altra tempra. Il suo motto potrebbe essere non soloprovando e riprovando... ma riprovando ancora! Giovane as-sistente presso l’Università di Vienna, comincia la sua carrierascontrandosi frontalmente con un “barone” della facoltà diMedicina, il professor Karl von Hess, illustre oftalmologo.Questo scienziato aveva decretato che le api non vedono af-fatto il colore dei fiori, che pure frequentano così attivamen-te. Il nostro von Hess si era convinto di questo in forza di unasua esperienza, che ora vi racconto. Gli oftalmologi sanno be-ne che quando si scompone la luce bianca nello spettro cro-matico, la banda gialla, per un uomo normale, risulta la piùluminosa. Invece, per un daltonico, appare tale quella che vadal giallo-verde al verde. Bene, mettendo delle api in ambien-te confinato, von Hess aveva constatato che era proprio ver-so questa banda cromatica che si dirigevano di preferenza.Era lecito concludere, così, che fossero anche loro cieche aicolori. Ma se per un uomo di laboratorio, come von Hess, lacosa pareva plausibile, per un naturalista era difficile da man-dar giù. Difatti, i colori dei fiori sarebbero, dunque, non delleesche percettive per attirare le api, ma un semplice lusus na-turae? Incurante dei rischi di contraddire un “barone”, il gio-vane von Frisch si mette all’opera. Pone, tra cartoncini di di-versi colori, un cartoncino, per esempio blu, con sopra unaciotolina di acqua zuccherata. Le api, per caso, scoprono lamanna, e a poco a poco, associano il colore blu all’offerta dicibo. Si sposti, allora, la posizione del cartoncino colorato sul-la scacchiera: l’ape non esita, e punta dritta sul blu. Dunque,lo vede, se no come farebbe? Vede i colori, ma è cieca al ros-so - finisce per mettere in luce von Frisch - e percepisce l’ul-travioletto, al quale noi siamo del tutto ciechi. A ogni modo,Davide ha battuto Golia, dimostrando che se tutto il reale nonè razionale, come voleva Hegel, tende, se perdura nel tempo,a diventarlo. Possibile che i colori dei fiori, così vari e splen-denti, non servissero a nulla?E quelle danze, allora? Mediante l’impiego di un arnia a vetri,e ideando una tecnica di addestramento progressivo delle api,il nostro von Frisch scopre ben presto che esistono due diver-

comunicaz ione e o r ientamentone l le api

G. Celli

si modi di danzare. Difatti, l’ape che rientra con il suo caricodi nettare o di polline, si mette a danzare “in tondo”, oppu-re compie un percorso a forma di otto rovesciato sul fianco,costituito, in parole povere, da due semicerchi collegati da untratto rettilineo. Mentre la bottinatrice percorre questo seg-mento muove l’addome pendolarmente a destra e a sinistra,per cui la danza viene detta dell’addome, o scodinzolante,oppure “a otto”, come si preferisce. Mentre percorre il trattorettilineo, l’ape, contraendo i muscoli alari, emette delle se-quenze sonore. In principio, von Frisch si sbaglia, pensa che ladanza “in tondo” venga messa in atto dalle api che raccolgo-no il nettare, mentre quella scodinzolante dalle api che rac-colgono il polline. Ci sono voluti due decenni di prove e con-troprove perché la faccenda venisse chiarita definitivamente.Il nettare e il polline non c’entrano per niente! Vedremo piùavanti come le api danzino “in tondo” quando il cibo è più vi-cino all’alveare, e scodinzolino quando è più lontano, e vonFrisch, che le allettava con delle soluzioni zuccherine, equiva-lenti del nettare, sistemava sempre le coppelle in prossimitàdell’alveare, per cui tutte le api che le bottinavano, al rientrodanzavano “in tondo” e non “a otto”.Nel 1946, von Frisch comunica al perplesso mondo scientificodi aver del tutto decifrato “il linguaggio delle api”. Quandol’ape danza “in tondo” sul favo, il messaggio per la compa-gna potrebbe suonare così: “c’è del cibo qui attorno: cerca-telo!”. Per la danza dell’addome le cose si complicano, per-

chè l’ape che ha trovato dei fiori ricchi di nettare o di pollinecomunica alle compagne la direzione, e la distanza del botti-no. Dobbiamo premettere che il nostro insetto si orienta neisuoi spostamenti sul territorio impiegando il sole, di cui sacompensare gli spostamenti giornalieri, come una bussolaastronomica. In poche parole, quando l’ape che ha fatto bot-tino rientra, danza sul favo secondo diverse modalità:- se i fiori si trovano su di una linea retta immaginaria che col-lega l’alveare al punto a terra corrispondente alla posizionedel sole, il coreogramma avrà il tratto rettilineo sul favo per-pendicolare al suolo, e cioè nella direzione della gravità, e l’a-pe danzerà sempre con la testa “verso l’alto”;- se è l’alveare a trovarsi tra i fiori e il punto a terra del sole, ilcoreogramma sarà lo stesso, ma l’ape danzerà con la testa“verso il basso”; - se i fiori si trovano spostati a destra, o a sinistra dell’alveare,il tratto rettilineo della danza dell’addome risulterà inclinatosulla perpendicolare di un angolo uguale a quello formatodalle due rette immaginarie che collegano l’alveare ai fiori el’alveare al punto a terra del sole (Fig. 1).Questo per la direzione. E per la distanza? Beh, l’ape danzatanto più rapidamente quanto più è vicina la sorgente zuc-cherina, e viceversa. Per cui, in una unità di tempo conven-zionale, per esempio quindici secondi, il numero di rivoluzio-ni totali della danza a otto presenterà una buona correlazio-ne con la distanza dei fiori, e del pari il numero di scodinzola-menti, o quello dei percorsi rettilinei. Possiamo considerare le-gittimamente queste danze come un linguaggio? Si direbbeproprio di sì, perché la comunicazione avviene attraverso uninsieme di gesti convenzionali. La comprensione del loro si-gnificato deve essere condivisa dall’ape che danza e dallecompagne che la seguono sul favo, una condizione essenzia-le per ogni comunicazione segnica. Hockett e Altmann hannostilato alcuni anni fa una sorta di decalogo dei caratteri pecu-liari del linguaggio umano, consentendo un paragone conquello delle api. Su sedici caratteri nostri, almeno sei sono at-tribuibili anche all’insetto: l’intercambiabilità, la specializzazio-ne, la semanticità, l’arbitrarietà, la traslatività, il feed-backcompleto. Altri caratteri sono da considerare con il beneficiodel dubbio. Per esempio, sembra che le bottinatrici giovani, ri-spetto alle anziane, danzino peggio, per cui non sarebbeescluso un certo apprendimento. Inoltre, gli scodinzolamentinon potrebbero venir considerati come degli elementi discre-ti del messaggio? Infine, le api possono contraddirsi, e perfi-no mentire? In senso latissimo, forse sì, e lo vedremo in se-guito. Il passaggio dalla danza “in tondo” a quella dell’addo-me, come si è accennato, si verifica quando la distanza dellasorgente di cibo supera una certa soglia metrica. In tal senso,le razze delle api presentano delle differenze, paragonabili adei dialetti. Se poi tali differenze sono riferibili alle diverse spe-cie del genere, è forse legittimo affermare che si tratti non piùsolo di dialetti, ma di lingue vere e proprie. Evidentementeparliamo per analogie, se non per metafore, ma si consulti ariguardo la figura 2 (Fig. 2).Il fatto che l’ape sia il solo essere che, in natura, abbia elabo-rato un linguaggio segnico, non era cosa da venir accettatadai biologi facilmente. Increduli, molti ricercatori, Wells e

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Fig. 1- La spiegazione è nel testo

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Wenner in testa, si sono messi, dagli anni Sessanta in poi, asparare a zero su von Frisch. Nessuno poteva negare che le apidanzassero, ma quelle loro giravolte non potevano essere del-le manifestazioni di esultanza, senza alcuna funzione comu-nicativa? Rifaceva capolino, come nel caso dei colori, l’idea diun lusus naturae, e anche questa volta von Frisch era destina-to, come vedremo, a vincere la partita. Però, era pur vero chele api trovavano abbastanza facilmente le coppette sperimen-tali, e se non era una indicazione “via danza”, che cosa le fa-ceva giungere sul luogo del bottino così puntualmente? In-somma, qualcosa doveva pure guidarle! Bisogna sapere, allo-ra, che le api sono dotate di una grossa ghiandola a eroga-zione di profumo, la cosiddetta ghiandola di Nassonov, percui, spesso, quando frequentano delle sorgenti di cibo, lascia-no dei marchi olfattivi. Non sarà, allora, cominciarono a insi-nuare i detrattori di von Frisch, che siano stati semplicementedegli odori, e non delle danze, a orientare le api in cerca di ci-bo sul territorio? Talune esperienze di von Frisch sembravanonon aver tenuto conto di questa eventualità e mostravano ilfianco al dubbio.Non è qui la sede, vista la brevità del mio intervento, per de-scrivere le esperienze “a botta e risposta” che per più di duedecenni hanno contrassegnato il dibattito tra von Frisch e isuoi avversari scientifici. Alla fine, Gould, un etologo america-no, ha ideato l’esperienza cruciale, che ora vi descrivo. Di re-cente, Richard Dawkins, in un suo libro sull’evoluzione, pur-troppo mal tradotto in italiano, ne ha sottolineato la genialità.Le api, dobbiamo premettere, sono provviste di due occhicomposti, formati da tanti elementi singoli, detti ommatidi,che consentono loro di percepire, oltre a certi colori, le formeun po’ grossolane dei fiori, e delle cose del mondo in genere.Inoltre, sulla testa mostrano, disposti a triangolo, tre occhi

semplici, detti ocelli, sensibili alla luce e basta, per cui se ven-gono verniciati le api rientrano in anticipo nell’alveare la seraed escono più tardi al mattino. Aggiungiamo che le bottinatri-ci in presenza del sole o di una lampadina orientano il trattorettilineo della danza direttamente verso la luce. Che cosa hapensato di fare Gould? Di verniciare gli ocelli di alcune botti-natrici, e di porre all’interno dell’alveare un “punto-luce”, d’in-tensità così debole da essere percepito dalle api con gli occhinormali, ma non da quelle con gli ocelli resi sperimentalmenteopachi. Che cosa è successo? Dato che il cibo si trovava sullalinea che collega l’alveare al punto a terra del sole, le danza-trici cieche alla luce delle lampadine hanno danzato sulla ver-ticale, mentre le altre, che erano in grado di percepirla, hannopensato, in senso latissimo: che la compagna mentisse, e han-no interpretato il tratto rettilineo del coreogramma non comeposto sulla direzione della gravità, ma inclinato di un angolopari a quello formato tra la verticale e la linea che puntava al-la sorgente luminosa. E si sono recate, per l’appunto, dove c’e-ra la coppella vuota e dove le aspettava lo sperimentatore.Dunque, non possono più esistere dei dubbi che la danza del-l’ape assolva una funzione di comunicazione, e proprio secon-do la semantica messa in luce da von Frisch! (Fig. 3).Ma non possiamo fare a meno, ora che ci siamo convinti chele api, per dir così, “parlino danzando”, di chiederci quando, ecome abbia avuto origine questa gestualità prodigiosa. Evi-dentemente, per i comportamenti, non possono esistere deireperti paleontologici, per cui si deve congetturare sul presen-te, ricorrendo all’osservazione di specie vicine, preferibilmentepiù primitive, oppure sconfinando perigliosamente per coglie-re qualche analogia etologica in insetti anche sistematicamen-te lontani. Per esempio, alcuni anni fa, Dethier e i suoi colla-boratori hanno osservato in un dittero calliforide, si trattava di

Fig. 2- Dialetti e lingue nelle diversespecie del genere Apis, e nelle razze diA. mellifera. La spiegazione è nel testo.

una Phormia, un comportamento davvero strano. Offrite adun adulto di questa mosca una gocciolina di miele, aspettateche l’assaggi a piacimento, e fatela sparire. L’insetto comince-rà a girare in tondo, tanto più velocemente quanto più di suogusto era il cibo. Si tratta delle manifestazioni di entusiasmoper quel premio or ora scomparso? Non vi fa venire in mentela “danza in tondo” delle api? Tra l’altro, se un’altra mosca siavvicina, e tocca con la sua la proboscide della danzatrice, leinon esita a rigurgitarle un po’ del suo miele.Le Phormia non sono di certo sociali, eppure questi scambi dicibo non potrebbero essere i primordi di una tendenza alla vi-ta di gruppo? E non si può congetturare che, all’inizio, certespecie abbiano imboccato la via della socialità cominciando aspartire tra di loro un po’ dell’alimento rinvenuto? Altro fattosingolare: quando la mosca succitata, danzando in circolo,viene investita da un fascio luminoso, il suo percorso si fa el-littico, dimostrando una reattività alla luce, che entra, comeabbiamo visto, nel repertorio comportamentale della nostreapi. Ma per esplorare le origini della danza dell’addome scom-poniamo i coreogrammi nei loro morfemi, anche se non è pernulla legittimo, ma di comodo, considerarli tali. Prendiamo inesame, subito, la trasposizione della danza da orizzontale aperpendicolare, e, in seguito, il tratto rettilineo tra i due emi-cicli. Come si sa, il genere Apis è formato da quattro specie,Apis florea, la cosiddetta ape nana, A. dorsata, o ape gigan-te, A.cerana, o ape indiana, e per questo indicata un tempocome indica, e l’A. mellifera, che ci riguarda più da vicino. L’a-pe nana sarebbe comparsa, probabilmente, più di dieci milio-ni di anni fa, e risulterebbe la più antica. L’ape gigante sareb-be invece più recente, risalendo a cinque milioni di anni, e lealtre due specie la cerana e la mellifera avrebbero visto la lu-ce circa centomila anni fa, o giù di lì, e dunque risulterebbe-ro, per dir così, giovanissime. Secondo un punto di vista evo-lutivo, non si sa se del tutto legittimo, le specie più antichepresenterebbero dei comportamenti più primitivi, e ci consen-tirebbero di risalire alle origini di quelli più complessi. Sarà ve-ro? Beh, diamo per buona questa ipotesi e vediamo dove ciporta. L’ape nana costruisce un nido composto da un solo fa-vo appeso al ramo di un albero, en plain air, con un’ampiapiattaforma superiore. La sua danza dell’addome viene ese-guita su questa piattaforma, e dunque in orizzontale, e il trat-

to rettilineo indicherebbe direttamente la sorgente di cibo.L’ape gigante edificherebbe, a sua volta, un grosso favo ap-peso a un robusto ramo, o a uno spuntone di roccia, senza al-cuna pista di danza superiore, ed eseguirebbe le sue evolu-zioni “a otto” trasponendole, come fanno A.cerana e A. mel-lifera, sulla verticale del favo. Come si sa anche quest’apedanza nella piena luce del sole.A proposito di questa conversione del tratto rettilineo delladanza dall’orizzontale alla verticale, possiamo, come per la “danza in tondo “ ricorrere a una analogia, e cioè a un com-portamento osservato non più nei ditteri calliforidi, ma questavolta nei coleotteri coccinellidi. Prendiamo, per esempio, Hip-podamia convergens: questa coccinella, se viene fatta deam-bulare su di una superficie orizzontale, il suo percorso si svol-ge secondo un certo angolo rispetto al sole, o a un’ altra sor-gente di luce. Se l’illuminazione cessa, e la superficie su cui simuove viene posta verticalmente, la coccinella continua acamminare mantenendo lo stesso angolo, indifferentementea destra e a sinistra. Perchè lo fa? Non si sa proprio; però que-sta sua performance mostra una curiosa predisposizione ditrasporre il proprio percorso mantenendo costante l’angolo,un fatto che nell’ape assume, come si è già visto, una parti-colare pregnanza semantica. Le quattro specie di api, tra l’al-tro, impiegano o no un rinforzo sonoro della gestualità delladanza. Le api che danzano all’aperto, come la nana o la gi-gante, restano, durante il percorso rettilineo, pressoché silen-ziose. Le altre due specie, l’ape cerana e la mellifera, che dan-zano nel buio del nido, quando percorrono il tratto tra i dueemicicli emettono delle scariche di suoni, come se nelle tene-bre non fosse sufficiente il movimento, ma servisse anche ilrumore, per attirare l’attenzione delle compagne.A dire il vero, anche A. florea si vale di una, per dir così, pun-teggiatura sonora, ma non paragonabile a quella delle duespecie succitate, perchè quasi impercettibile. L’origine dell’al-tro morfema, il tratto rettilineo, è apparentabile, forse, al con-solidamento specifico di un movimento di intenzione. Si sache gli animali esibiscono spesso delle posture ritualizzate, perusare la terminologia di Julian Huxley. Un ragno, durante ilcorteggiamento, compie attorno alla femmina un percorsocircolare, che fa parte ormai del repertorio della sua specie. Alprincipio, si può supporre che gli antenati di quel ragno fos-sero posseduti da due pulsioni contrastanti, il desiderio di av-vicinarsi alla femmina e la paura di venire divorati. Per cui, lacomponente cinematica era un movimento di avanti-indietro,che, sottoposto al vaglio della selezione naturale, ha finito perentrare a far parte dei modelli motori ereditari della specie, di-ventando un elemento caratteristico del suo etogramma. Iltratto rettilineo della danza in A. florea sarebbe stato, all’ini-zio, la corsa per decollare, diretta verso la sorgente di cibo, ediventata, nel succedersi delle generazioni, il percorso tra idue emicicli dell’intera evoluzione della danza. Sembra intui-tivo supporre che i due emicicli stessi siano il relitto di unadoppia “corsa in tondo” e così via. Sicuramente, porre tuttoquesto puzzle di movimenti come la base per il manifestarsi diun linguaggio gestuale così raffinato come quello che abbia-mo descritto, sfiora il ridicolo, e va considerato, come una in-dagine poliziesca, alla stregua di un insieme di indizi ancora

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Fig.3- Esperienzadi Gould:la spiegazioneè nel testo.

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ben lontani dalla soluzione del problema. A ogni modo, degliindizi sono sempre meglio di niente: perlomeno ci suggeri-scono la pista da seguire.Volevo parlarvi, non solo dei sistemi di comunicazione delleapi, ma anche di come si orientano sul territorio, e temo dipoter trattare questa seconda parte solo sommariamente. Leapi si orientano con il sole quando il cielo è sereno, e se è par-zialmente coperto, mediante la luce polarizzata visibile attra-verso qualche squarcio di nuvola. Si sa, infatti, che la polariz-zazione del cielo varia secondo la distanza dal sole, e anchese la controversia sul come è ancora in corso, sembra accer-tato che le api siano in grado di valutare tale diversità e di te-nerne conto nell’orientarsi. Quando il cielo è totalmente co-perto, i punti di riferimento nel paesaggio, alberi, campanili,così via, diventano prioritari.Ma per concludere vorrei trattare con qualche dettaglio unaipotesi che io e la mia équipe abbiamo di recente sottopostoa esperienza. L’ipotesi si colloca nell’ambito di quella nuovaetologia, l’etologia cognitiva, di ascendenza piagetiana, mache ha trovato in Griffin un illustre capofila. Questa etologia,che sta, a poco a poco, spiazzando quella classica, si ripro-mette di verificare sperimentalmente se gli animali abbiano, ono, uno “spazio mentale”, se in qualche misura siano abilita-ti a pensare, e perfino se siano in possesso di un barlume dicoscienza. Si tratta di una questione suscettibile di venire sot-toposta a esperimento? Ma sì, perché se tra la percezione el’azione si può mettere in luce una elaborazione, significa chel’animale ha compiuto delle operazioni mentali. Ma quando sipensa, si rappresenta, e la rappresentazione, per gli etologicognitivi, è la chiave di volta per entrare nella stanza di Bar-bablù del pensiero animale. Nel caso delle api, ci si è chiestose siano dotate di una mappa cognitiva del territorio che fre-quentano. Come accertarlo? Semplice, per lo meno a dirsi: sesono capaci di elaborare delle scorciatoie significa che hannola possibilità di progettare un percorso nuovo, e di progettar-

lo, in senso lato, mentalmente. In parole povere, la ricettasperimentale è questa: si colloca un alveare in un certo terri-torio, e si lascia che per qualche giorno, le bottinatrici lo per-corrano in lungo e in largo (Fig. 4).Dopo si addestrano alcune, debitamente marcate con colori enumeri, a bottinare una coppetta di soluzione di miele postasu di una piattaforma a diversa distanza dall’alveare. In segui-to, catturate all’uscita dall’arnia o direttamente, prima che sialimentino, sulla piattaforma suddetta, le api marcate vengo-no poste in un tubo oscurato, e celermente trasferite in unpunto del territorio da cui, per la presenza di alti alberi, nonsia possibile vedere direttamente nè l’alveare, nè il luogo do-ve si trova le soluzione di miele. L’aspettativa sperimentale èquesta: se le api, orientandosi con il sole, rientrano all’alveareper poi ripartire verso la piattaforma, significa che non sonoprovviste di alcuna mappa cognitiva. Al contrario, se si dirigo-no direttamente verso l’offerta di miele significa che sono sta-te capaci di progettare una vera e propria scorciatoia, e di per-correrla fino alla meta. Attualmente, la faccenda sta più o me-no così: Gould, secondo le sue esperienze, afferma che le apisono in possesso di una mappa cognitiva, e Wehner in forzadelle sue, lo nega. I nostri risultati sono ancora in corso di ela-borazione, e tuttavia propendiamo per convalidare Gould eper dare torto a Wehner. E’ pur vero che abbiamo notato unacerta variabilità nel comportamento; alcune api, insomma, sa-rebbero più sollecite di altre a elaborare e a imboccare dellescorciatoie. Ma il dibattito attuale tra gli sperimentatori sem-bra sia su che cosa si debba intendere per mappa cognitiva.Per qualche verso la controversia appare più teorica che em-pirica, più filosofica che sperimentale, e noi siamo un pocosgomenti.

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Fig. 4- Mappa cognitiva:la spiegazione è nel testo.

Tutte le immagini di questo articolo sonodovute alla cortesia dell’Autore.

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INTRODUZIONE

La capacità di percepire segnali da biomolecole rilasciate nel-l’ambiente viene chiamata chemorecezione. I sistemi chemo-sensoriali, gustativi ed olfattori, nei pesci sono molto bene svi-luppati e servono a provocare molti comportamenti di impor-tanza fondamentale come la ricerca del cibo, la ricognizionee localizzazione di habitat familiari e/o preferiti, la fuga dapredatori, e la comunicazione intraspecifica (esempio di ri-unione in sciame, fig. 1).L’evoluzione ha favorito nei pesci lo sviluppo di questi sistemiper due principali ragioni:

1. Processi biologici negli animali acquatici: rilascio di moleco-le “segnale” negli oceani- osmoregolazione - metabolismo- ferite, morte e degragazione

2. Recettori di biomolecole “segnale”

Evoluzione Lenta e tardiva Molto precoce

Recettori Poco complessi Molto complessi

Biomolecole “segnale” Uniformi Miscele molto complesse

Contenuto di informazione Scarso Elevato

Nei pesci predominaquesta linea evolutiva

I recettori di natura proteica sembrano di una struttura similetra loro, pur essendo specifici per ciascuna sostanza odorosa;attualmente sono stati identificati nei Pesci circa un centinaiodi recettori ma, essendo questi studi solamente allo stadio ini-ziale, si pensa che potrebbero ammontare fino a una decinadi migliaia (fig. 2). Un analogo sistema ancora più complessosembra funzionare per la produzione di anticorpi.Come tutti i Vertebrati, i pesci hanno due sistemi che capta-no segnali chimici ben definiti: gusto ed olfatto. Il sistema del

gusto è costituito da gemme del gusto (fig. 3), da nervi con leloro proiezioni medullari e da cellule chemosensoriali solitariesparse nell’epidermide (queste ultime cellule risultano assentinegli altri Vertebrati). Il sistema dell’olfatto è costituito da unorgano olfattorio, da un epitelio olfattorio, da un bulbo olfat-torio e dal prosencefalo. Infine, pare che abbiano capacitàchemorecettive anche i sistemi del trigemino e della linea la-terale. Alcune notevoli differenze sono state evidenziate trapesci e tetrapodi nei sistemi gustativi e olfattori (v. tabella).

Importanti modelli delle funzioni chemosensoriali sono statifinora il pesce gatto, il pesce rosso ed il salmone. Poco anco-ra si sa sulle capacità chemosensoriali delle oltre 24.000 spe-cie di pesci che potrebbero presentare differenti capacità especificità chimiche a causa della diversa natura del loro habi-tat e della tassonomia.

par lars i con le moleco le d i sc io l tenegl i oceani

P. CortesiO. Cattani

G. IsaniG. Vitali

S. Sintoni

Fig. 1 - Sepo(Severo Pozzati)“Migrazione dipesci”, tempera,1929 (riproduzione).Un felice esempiodi complementarietàtra scienza e arte.

PESCI

- sistema gustativo estesoanche alla superficiecorporea esterna

- un unico sistemaolfattorio che riunisce ledue componenti deiTetrapodi

- il sistema olfattoriodistingue circa uncentinaio di biomolecole“segnale"

- questo minor numero dibiomolecole “segnale” e larelativa facilità dellasperimentazione fannoprediligere i pesci comemodelli nello studio dellachemorecezione.

TETRAPODI

- sistema gustativo ristrettounicamente alla cavitàbuccale

- due distinti sistemiolfattori (principale edaccessorio)

- il sistema olfattoriodistingue un numeromolto più elevato dibiomolecole “segnale”

Fig. 2 - Il recettore del “segnale” è una proteina inserita nellamembrana cellulare e contiene sette avvolgimenti ad α-elica.Le eliche transmembrana sono rappresentate dai “grappoli”di cerchietti (da Stryer, Biochimica, Zanichelli, 1996).

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BIOMOLECOLE STIMOLANTI L’OLFATTO E IL GUSTO

I composti che funzionano da stimolanti dell’olfatto e del gu-sto dei pesci sono tendenzialmente piccole molecole tipichedei processi metabolici che vengono disperse negli oceani, so-lubili in acqua. Sono state descritte per molte specie di pesciquattro principali classi di molecole “segnali”:1) amminoacidi2) acidi biliari3) ormoni sessuali steroidei e derivati4) prostaglandineInoltre possono avere attività olfattiva e/o gustativa anche va-ri alcooli, ammine, acidi carbossilici, piccoli peptidi, nucleotidie idrocarburi aromatici.

AMMINOACIDI

I pesci ricevono stimoli olfattivi e gustativi dagli L-amminoaci-di (es. L-serina, fig. 4), i componenti delle proteine, per il re-perimento del cibo e per relazioni sociali. Ad eccezione dellalampreda, Petromyzon marinus, che capta segnali solo dallaL-arginina, tutti gli altri pesci esaminati sono in grado di per-cepire, disciolta nel mare, la maggior parte degli L-amminoa-cidi naturali. Gli L-isomeri risultano molto più potenti dei D-isomeri e sia ilgruppo α-amminico sia il gruppo α-carbossilico sono impor-tanti per potenziare la suddetta attività (Fig. 5). Tali composti

agiscono in concentrazioni nanomolari sul-l’olfatto e in concentrazioni millimolari-mi-cromolari sul gusto in dipendenza delle sin-gole specie. Il gusto dei Pesci è generalmen-te insensibile a moderate concentrazioni de-gli stimolanti classici del gusto di altri Verte-brati (sali, zuccheri e acidi).Recentemente sono stati caratterizzati almenoquattro siti recettori indipendenti per altret-tanti quattro tipi di amminoacidi (v. tabella).Studi recenti hanno evidenziato che esistonoaltri recettori addizionali in grado di discrimi-nare miscele di amminoacidi. Nel pesce gat-to è stata messa in evidenza una differentesensibilità delle fibre del gusto ai vari ammi-noacidi:Analizzando il sistema del gusto in 27 speciedi pesci sono stati identificati due differentigruppi:• nel primo gruppo, comprendente dieci spe-

cie, tale sistema risponde a molti differentiamminoacidi (“ampia gamma di risposta”),es. il pesce gatto;

• nel secondo gruppo, comprendente 17 spe-cie molto più selettive, lo stesso sistema vie-ne stimolato solo da pochi amminoacidi (“li-mitata gamma di risposta”), es. i salmonidi.

ACIDI BILIARI

Questi composti steroidei che intervengono nei processi dige-stivi solubilizzando i grassi ingeriti con il cibo, possono essereriassorbiti o rilasciati nell’ambiente funzionando così da bio-molecole attive nella chemorecezione (Fig. 6). A tal riguardo isalmonidi allo stadio giovanile nel tratto di fiume nativo più vi-cino alla fonte possono svolgere la funzione di attraenti mi-gratori per il ritorno dall’oceano degli adulti nella risalita delfiume di origine (Fig. 7). Con una soglia di 10-11 M tali com-

ACIDI BASICI NON POLARI NON POLARIA CORTA CATENA A LUNGA CATENA

R–COO- R–NH3+ R–CH3 R–(CH2)n–CH3

Struttura generale di un L-amminoacido:

COOH

NH2 – Cα – H

R

Fig. 3 - Particolare di un apparato del sistema del gusto: gemme trale scaglie di Poecilia reticulata; si vedono due cavità rotonde cheinterrompono la continuità delle scaglie, ciascuna cavità rappresentail poro di una gemma del gusto. Le piccole strutture simili a unbulbo, visibili dentro la cavità, corrispondono all’estremità delmicrovillo che caratterizza la porzione libera di una cellula del gusto(ingrandimento di 9600 volte; da P. Graziadei in “Chemoreceptionof fishes”, ed. Grant e Mackie, Academic Press, 1974).

Fig. 5 - Configurazioniassolute deglistereisomeri L- e D-degli amminoacidi.R indica la catenalaterale.

Fig. 7 - Risalita disalmoni nel fiumedi origine.

Fig. 4

Fig. 6

Fig. 8

Fig. 4, 6, 8 -Le spiegazionisono contenutenel testo.

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posti stimolano l’olfatto di molte specie (pesce rosso, suckers,pesce gatto, salmone, zebrafish). Nella lampreda di mare agiscono quattro classi di acidi biliaricon specificità e sensibilità estreme. Questi composti possonorivestire molte funzioni nella chemorecezione perché possonoessere prodotti da specie più o meno affini tra loro.

ORMONI STEROIDEI

Tali composti agiscono come feromoni a concentrazioni infe-riori alla nanomolare. Tutte le classi di questi ormoni (A) (C18,C19, C21) ed i loro coniugati (B) (solfati e glucuronidati) risul-tano attive (Fig. 8).Lo studio di tali composti nella chemorecezione è appena al-le fasi iniziali, tuttavia emerge che differenze nel numero enella natura dei composti identificati siano frequenti tra i taxadi ordine più elevato (es. sottofamiglie) e più rari tra i generi.I feromoni steroidei potrebbero essere specie-specifici so-prattutto sotto forma di specifiche miscele come avviene ne-gli insetti.

PROSTAGLANDINE

Tali composti, derivati dagli acidi grassi, sono “tradizional-mente” associati ad una varietà di funzioni autocrine e para-crine nel corpo dei Vertebrati. In molti pesci, tuttavia, la pro-staglandina F agisce anche come ormone che stimola il com-portamento sessuale delle femmine. È stato inoltre chiaritoche questi composti “ormonali” funzionano anche come po-tenti stimolanti olfattori con attività feromonale per moltespecie di pesci. Ad esempio nel pesce rosso il maschio è sen-sibile in modo acuto e specifico sia alla prostaglandina F2α(PGF2α) sia ad un suo metabolita (Fig. 9), mentre la femminarisulta meno sensibile ad entrambi i composti. Molti membridi Gimnotiformi, Siluriformi, Cipriniformi, Caraciformi e Sal-moniformi si sono anch’essi mostrati in grado di captare il se-gnale della PGF2α e del suo metabolita. Non è attualmenteancora bene chiarita la produzione e il metabolismo dellaPGF2α nei Pesci tanto che potrebbero essere in futuro messe

in evidenza differenze tra le varie specie in questo tipo di se-gnale feromonale.In tutte le figure delle strutture precedentemente indicate i va-ri atomi sono rappresentati con i seguenti simboli: Atomidi carbonio, Atomi di ossigeno, Atomi di zolfo, Ato-mi di idrogeno. A conclusione della suddivisione in quattrogruppi principali delle biomolecole “segnale” è sorprendentecitare che due molecole così estremamente differenti comecomplessità strutturale, anidride carbonica (CO2) e tetrodo-tossina (Fig.11), risultano entrambe potenti stimolanti del gu-sto nella trota.

TRASDUZIONE DI SEGNALE NELLE CELLULE RECETTRICI

OLFATTORIE E GUSTATIVE

La capacità delle cellule di captare un segnale chimico (primomessaggero) esterno all’animale e di scatenare una successio-ne di processi biochimici, con la formazione di secondi mes-saggeri all’interno della cellula, in grado di suscitare una rispo-sta della cellula o dell’intero animale, viene chiamata trasdu-zione del “segnale”. La successione concatenata dei processibiochimici è la seguente: molecola “segnale” (primo messag-gero) - recettore di membrana - proteine G - enzima di mem-brana - secondo messaggero - risposta cellulare. Come negli al-tri Vertebrati, per la trasduzione del segnale anche nei Pesci esi-stono almeno due sistemi indipendenti di secondi messaggeri:• il sistema adenilato ciclasi (AC) (Fig. 10)• il sistema fosfolipasi C (PLC) (Fig. 12)

Fig. 9 -Riferimentinel testo.

Fig. 11 - La tetrodotossina è prodotta dal pesce palla, che inGiappone è una apprezzata specialità alimentare, chiamata fugu.

Fig. 10 - La sostanza odorosa segnale disciolta nell’oceano (primo messaggero) si lega alrecettore olfattivo di membrana dei pesci che agisce sulle proteine G (α, β, γ), la subunità asi lega al GTP e va ad attivare l’enzima di membrana adenilato ciclasi (AC) che scinde l’ATPin AMPc (secondo messaggero) che determina l’apertura del canale ionico(da Rawn, Biochimica, McGraw-Hill, 1990).

Tossine che bloccano il canale per il Na+ in uno stato di chiusura.

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L’inositolo trifosfato apre i canali del calcio, il diacilglicerolo(DG), l’altro secondo messaggero, andrà ad attivare la pro-teina cinasi C, enzima di membrana, che fosforila i recettoridell’olfatto, dando il segnale di terminazione del segnale. Èstato definito che, per i neuroni recettori olfattori del pescegatto, il sistema PLC sembra importante nel generare la ri-sposta fasica iniziale mentre il sistema AC provoca rispostepiù lente (toniche o adattate). Il rapporto tra questi sisteminon è ancora chiarito. Inoltre anche lo ione calcio può fun-zionare come 3° segnale. È anche possibile che il complessoche si forma tra sostanza odorosa e recettore possa provo-care direttamente l’apertura di un canale ionico per un ef-fetto allosterico (variazione strutturale della conformazionedella proteina recettrice).In entrambi i sistemi di trasduzione di segnale qui descritti,un ruolo importante viene svolto dalle proteine G costituiteda tre differenti subunità (α, β, γ; la subunità α diventa atti-va quando si lega al GTP). L’importanza delle proteine G nel-lo scatenare processi fisiologici è messa ancor più in eviden-za dalla Tab.1 in cui sono descritte sei differenti proteine G,inclusa la Gs/Golf che svolge appunto la sua funzione a li-vello del sistema olfattorio dei Pesci.A partire dalle molecole “segnale” disciolte negli oceani ilmeccanismo biochimico della trasduzione del segnale per isistemi dell’olfatto e del gusto dei Pesci è analogo a quellodei segnali ormonali circolanti nei fluidi corporei per le cel-lule di organi “bersaglio” o a quello delle cellule vegetali fo-torecettrici. L’efficacia delle biomolecole “segnale” nel su-scitare risposte nei Pesci a livello dei recettori del gusto edell’olfatto può essere fortemente diminuita e in alcuni casidel tutto annullata in presenza di elevate concentrazioni diinquinanti o di imponenti fenomeni naturali quali i processidi eutrofizzazione (eccessiva esplosione algale) e la presenzamassiva di mucillaggini. Pertanto in molte zone di mare, pe-santemente soggette a questi fattori, potrebbero essere at-tualmente messe in pericolo importanti attività fisiologichedei pesci, collegate alla chemorecezione come ad esempio leattività sociali e riproduttive, la capacità di orientamento. Laperdita di quest’ultima capacità potrebbe essere una dellecause del disorientamento e del conseguente spiaggiamen-to di Cetacei.

RUOLI DI GUSTO E OLFATTO NELLA CHEMORECEZIONE

COMPORTAMENTI PER IL CIBO E PER ATTIVITÀ SOCIALI

Per la limitata utilità della vista anche nelle acque più chiaretropicali vengono utilizzati dai pesci principalmente due orga-ni di senso:

ORGANI DI SENSO IMPLICATI FUNZIONI STIMOLATE

Gusto Ricerca di ciboIl gusto è l’unico organo di sensonegli anosmatici. Nel pesce gattoagisce da stimolante un’ampiagamma di amminoacidi mentre neiSalmonidi risulta sufficiente un nu-mero molto più ristretto di questicomposti.

Olfatto Ricerca di cibo

Pericolo in vistaInterazione sociale

non sessualeOrientamentoSincronia riproduttiva

Sull’olfatto agiscono generalmen-te da stimolanti miscele di ammi-noacidi; in alcune specie di pesci ri-sultano attivi anche nucleotidi ebetaina.Il tonno Thunnus albacores se alle-nato può cambiare le preferenze dicibo in poche settimane, ricono-scendo la miscela di amminoacidiche caratterizza la nuova preda.L’identificazione delle biomolecole“attive” presenta utili applicazioninelle attività umane per l’acqua-cultura e per l’individuazione dellezone di mare in quel momento piùpescose.

Tab.1

Fig. 12 - La sostanzaodorosa discioltanell’oceano agisce daprimo messaggero,legandosi al recettore dimembrana dei Pesci,attivando la proteina Gche a sua volta attiva lafosfolipasi C (PLC) chescinde il lipide polare dimembrana,fosfatidilinositolodifosfato (PIP2),portando allaformazione dei secondimessaggeri, inositolotrifosfato (IP3) che apre icanali del calcio ediacilglicerolo (DG)(da Rawn, Biochimica,McGraw-Hill, 1990).

PROCESSI FISIOLOGICI MEDIATI DA PROTEINE G

Stimolo Recettore Proteina G Effettore Risposta fisiologica

Adrenalina Recettore β adrenergico Gs Adenilato ciclasi Scissione del glicogeno

Serotonina Recettore della serotonina Gs Adenilato ciclasi Sensibilizzazione e

apprendimento in Aplysia

Luce Rodopsina Translucina Fosfodiesterasi cGMP Eccitazione visiva

Odorifero Recettori olfattori Golf Adenilato ciclasi Olfattiva

Peptide fMet Recettore chemiotattico Gq Fosfolipasi C Cemiotassi

Acetilcolina Recettore muscarinico Gi Canale del potassio Diminuzione di attività dipacemaker

Da L. Stryer e H.R. Bourne, Ann. Rev. Cell Biol. 2(1986):393.

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CAPTAZIONE DI STIMOLI ASSOCIATI AL PERICOLO

Molte specie di pesci, se feriti, rilasciano composti dalla loropelle che servono come feromoni di allarme, causando neiconspecifici fuga o ricerca di un nascondiglio.L’asportazione dell’olfatto fa perdere la capacità di captazio-ne. Questa capacità si pensava fosse esclusiva degli Ostariofi-si mentre attualmente è stata estesa a molti gruppi di pescicome i Percidi.Differenti tipi di cellule e di biomolecole sono implicati nei di-versi gruppi di pesci. Le risposte all’odore del pesce ferito pos-sono essere apprese anche da specie di pesci che non sonotassonomicamente collegate ad esso. Alcune specie di pesci riconoscono i potenziali predatori dalloro odore, reagendo o con la ricerca di un nascondiglio (a) ocon la fuga (b):a - Ricerca di un nascondiglioDopo aver captato l’odore di un pesce estraneo predatore, idue pesci gatto più piccoli si riparano terrorizzati nel tubo, sulfondo di un acquario, solitamente occupato solo dal pescepiù grande(da J.H. Todd, “Le Scienze”, pag. 90, 1970).b - FugaL-serina disciolta nell’acqua.Il salmone migratore del Pacifico (Oncorhyncus) evita la L-se-rina in conseguenza della sua associazione con l’odore dellapelle dei mammiferi predatori (Fig.13).

INTERAZIONI SOCIALI NON SESSUALI

Alcuni di questi ruoli sono certamente dovuti all’azione di fe-romoni ed altri sono probabilmente appresi attraverso la me-morizzazione di segnali (imprinting). Tra i ruoli non riprodutti-vi associati alla funzione olfattiva c’è la ricognizione di indivi-dui della stessa specie:a) in una gerarchia di dominanza (Fig. 14)b) con lo scopo di aggregazione (Fig. 15)Il riconoscimento della famiglia è importante in molte specie dipesci durante l’apprendimento; quando salmonidi strettamen-te imparentati sono “radunati” insieme, essi hanno la capaci-tà di riconoscere la propria specie sulla base del solo odore.L’individuazione di molecole “segnale” per l’aggregazione insciami di pesci della stessa specie può presentare, inoltre, no-tevoli interessi applicativi e commerciali per quanto riguarda la

pesca. A tal riguardo vengonoqui illustrati due esempi di pesco-sità collegati alla chemorecezio-ne: il primo relativo al MareAdriatico (Fig. 16), il secondo al-l’Oceano Atlantico. È noto chetra i mari italiani quello Adriaticopresenta di gran lunga la quanti-tà più elevata di pescato perquanto riguarda i Clupeiformi(“pesce azzurro”, sardina, alice oacciuga, spratto o “saraghina”)Per quanto riguarda la pesca nel-l’Oceano Atlantico nel 1970 sonostate raccolte da Paolo Cortesicuriose testimonianze di pescato-

ri di navi oceaniche di San Benedetto del Tronto che, seguen-do analoghe flotte giapponesi, effettuavano abbondanti pe-scate in una data zona di mare ed improvvisamente vedevanoallontanarsi velocemente le navi giapponesi chiedendosi ilperché di questo abbandono. I pescatori italiani scoprivanoamaramente a loro spese che in quella zona di mare diminui-va nelle ore immediatamente successive la pescosità mentre lenavi giapponesi con sofisticate analisi di molecole “segnale”nei campioni di acqua di mare avevano già identificato nuovezone pescosissime.

MIGRAZIONE ED ORIENTAMENTO

Sono stati messi in evidenza due tipi di orientamento dei pe-sci, dipendenti dalla chemorecezione:1) Ritorno ad un luogo geografico specifico, generalmente ilposto dove sono nati (homing).Nei Salmonidi avviene l’imprinting (memorizzazione) del lorocorso d’acqua natale durante l’età giovanile. Tale processo sa-rebbe dovuto ad una complessa miscela di composti che in-clude sia composti organici di origine vegetale sia odorantidella stessa specie. La vita del salmone si può riassumere in trefasi (Tab.2):

Tab.2

2) Ritrovamento di un luogo con particolari caratteristiche (adesempio, un buon habitat per la sopravvivenza delle larve).La lampreda di mare, Petromyzon marinus, seleziona un cor-so d’acqua con un ampio numero di larve della stessa specieper la deposizione di gameti (riproduzione). Si pensa che ciòsia dovuto ad acidi biliari rilasciati esclusivamente da esem-plari di questa specie allo stato larvale. Il ruolo di acidi biliari,come molecole “segnale”, deve essere ancora dimostrato neipesci Teleostei. C’è inoltre la possibilità che odori “terrestri”(composti originati da microrganismi terrestri o di acqua dol-ce) possano avere un ruolo nel riconoscimento istintivo di ac-qua dolce da parte di anguille e di altre specie catadrome.

SINCRONIA RIPRODUTTIVA

Tutte le specie di pesci esaminate, quando sono sessualmen-te mature, producono biomolecole (feromoni) che segnalanola loro condizione agli esemplari della stessa specie. La pro-duzione di feromoni è associata generalmente alle femmine,

PRIMA FASEGiovane

Nel fiume dioriginememorizza il suocorso d’acqua.

SECONDA FASEAdulto

Si riversanell’oceano(sorprendenteadattamentofisiologico nelpassaggio daacqua dolce adacqua di mare).

TERZA FASEAdulto più maturo

Riconosce lemolecole del suofiume di originee lo risale ascoporiproduttivo.Per il forteduplice stressl’adulto strematomorirà pocodopo.

Fig. 14 - Esempio di chemorecezione relativa al riconoscimento di biomolecole rilasciatenell’acqua tra individui della stessa specie. Nell’acquario sperimentale, la madre si orientaunicamente verso l’imbuto collegato con la vaschetta contenente giovani esemplari di Ciclidi(cure parentali) (da Kuhme, 1963 in “Chemoreception of fishes”, ed. Grant e Mackie,Academic Press, 1974).

Fig. 13 -Mammiferopredatore.

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ma esistono anche casi in cui maschi, che fanno la guardia al“nido”, rilasciano biomolecole che attraggono le femmine. Iferomoni sessuali sono recepiti dal sistema olfattorio, sonorappresentati da ormoni e dai loro metaboliti anche se alcunespecie possono usare composti non ormonali o miscele di en-trambi. Ad esempio, la molva amara (Rhodeus ocellatus), chedepone gameti per la riproduzione in molluschi bivalvi, utiliz-za un amminoacido rilasciato dal bivalve stesso che provoca ilrilascio di sperma del pesce. Lo spettro olfattorio di singolespecie è ristretto da 1 fino a 5 composti stimolanti. Le diffe-renze nella composizione delle biomolecole “segnale” sonorilevabili, in senso tassonomico, a livello delle subfamiglie o disuddivisioni più elevate. Tali biomolecole possono essere clas-sificate in due gruppi:• primers che evocano principalmente risposte

endocrinologiche• releasers che stimolano variazioni comportamentaliA tal riguardo un esempio efficace della perfetta sincronia tramaschi e femmine, necessaria per il momento riproduttivo, èfornito dal pesce rosso che ovula in primavera in risposta all’“ondata” di gonadotropina (GtH) stimolata dall’aumento ditemperatura, dalla vegetazione acquatica e dai feromoni. Poi-ché le femmine depongono i gameti in acque torbide alla fi-ne del giorno, la fisiologia riproduttiva e il comportamento trail maschio e la femmina devono essere rigidamente sincroniz-zati. Questa sincronia è mediata da almeno due segnali deri-vati da ormoni con azioni ed identità distintamente differenti.Queste biomolecole sono captate da differenti meccanismi re-cettori dell’olfatto e la sensibilità ad esse è sessualmente di-morfica (Tab. 3).

Tab. 3 - Fasi di rilascio nell’acqua ed effetti di due feromonidel pesce rosso.

PROBLEMATICHE FUTURE DELLA CHEMORECEZIONE DEI PESCI

Pur essendoci stati in anni recentissimi enormi e rapidi pro-gressi nello studio dell’attività di molecole “segnale” sullafunzione gustativa ed olfattoria di molte specie di pesci, unagrande quantità di problemi rimane ancora da risolvere. Ad

esempio, deve essere ancora determinata la complessità dellemiscele di biomolecole “segnale” e come esse vengono dis-criminate. È ancora largamente inesplorata l’interazione tra ilgusto, l’olfatto e forse altri sensi chimici (singole cellule che-mosensoriali e il trigemino). Il ruolo di sensi chimici deve es-sere ancora definito per molte specie di pesci. Le risposte aqueste domande non solo promettono di essere stupefacen-ti, ma serviranno alla ricerca per ottimizzare la gestione deipesci in mare aperto e in acquacultura, ed offriranno impor-tanti contributi per la comprensione delle basi neurali dellachemorecezione per quanto riguarda i Vertebrati in generale.

BIBLIOGRAFIA

“Chemoreception of fishes”, ed. Grant e Mackie, AcademicPress, 1974.D.W. Sorensen, J. Caprio-Chemoreception-“Physiology of fis-hes”,1998, CRC Press.

FEROMONE

FASERIPRODUTTIVA DIRILASCIO

EFFETTO

Primo feromone

Rilasciato dafemmine primadelladeposizione.

Stimola inmaschi laproduzione disperma e lacompetitività traloro.

Secondoferomone

Rilasciato dafemmine dopol’ovulazione.

Provoca nellefemmine unaumento nelsangue dellaprostaglandinaPGF2a,influenzando ilcomportamentosessuale.

Fig. 15 - Esemplari di pesci “vetro” riuniti in sciame per effettodi biomolecole rilasciate da individui della stessa specie e captatecome segnale di attività sociale. Il gruppo si dispone in maniera daassumere la forma di un unico, grosso pesce. Serve per spaventaregli eventuali predatori. La perfetta sincronia dei movimenti garantisceal superpesce composito un aspetto molto compatto (da “Focus”,1998).

Fig. 16 - Enormi banchi di sardineevidenziati su un registratore conl’ecoscandaglio nel mare Adriaticoa 40 Km al largo della costa di Cesenatico(profondità del mare: 45 m; i tre banchidi sardine, Sardina pilchardus, occupanoglobalmente un’area di 33 m x 24 m).La registrazione è stata effettuata duranteuna notte di estate degli ultimi anni ’60a bordo del peschereccio “Ad Novas”(Capitano Augusto Pompei, detto“baffietta”) durante la pesca a “lampara”.Tale figura vuole essere un affettuosoricordo del Prof. Romano Viviani,recentemente scomparso, direttore dellaSezione Veterinaria del Dipartimento diBiochimica dell’Università di Bologna, efondatore del Centro Ricerche Marine diCesenatico. Il Prof. Viviani, assieme all’allorasuo giovane assistente Paolo Cortesi, hapartecipato attivamente a queste primeuscite notturne con pescherecci, all’inizio diuna ricerca triennale svolta sui ClupeiformiAdriatici (pesce azzurro) con fondi del CNR.

Tutte le immaginidi questo articolosono dovutealla cortesia degliAutori.

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ORIGINE DEL NOME E SUDDIVISIONE DEI CETACEI

Il nome cetaceo deriva dal latino “cetus” e dal greco “ketos”che significa “mostro marino”, “balena”. Questi Mammiferiacquatici hanno, come i terrestri, respirazione polmonare, so-no omeotermi e allattano la prole con le ghiandole mamma-rie. Le dimensioni sono abbastanza varie e vanno dalla Bale-nottera azzurra (Balenoptera musculus di 30 m di lunghezza)alla piccola Pontoporia (P. blainville di circa 1,5 m). Nella mi-tologia greca i Cetacei erano immaginati come eroi marini. Sidividono in due grandi gruppi: Misticeti (es. balene) che si nu-trono di plancton filtrando grandi masse d’acqua con i fano-ni che hanno sostituito i denti, e gli Odontoceti (es. delfini, fo-cene, ecc.) che, al contrario, sono carnivori e provvisti di den-tatura. La famiglia dei Delfinidi è costituita da circa 30 specie.

SONORITÀ DEI DELFINI

I suoni emessi dai delfini sono divisi in fischi, suoni impulsivi e“clicks”, impulsi sonori costituiti prevalentemente da ultra-suoni e implicati nell’uso del biosonar per la ecolocalizzazionedi prede, di ostacoli, ecc. I primi due suoni sono utilizzati perla comunicazione sociale. Verranno qui considerati solo i“clicks” che sono suoni brevi, a banda larga e prodotti conuna velocità di ripetizione variabile. La loro frequenza presen-ta una banda che va da 30 KHz fino a 200 KHz, con duratasingola di impulso da 10 a 100 microsecondi (µs).

ECOLOCALIZZAZIONE

PRODUZIONE DEGLI ULTRASUONI

Questi suoni, come anche i fischi, sono prodotti a livello deitappi nasali e del loro complesso sistema di sacche e l’interosistema è imperniato su meccanismi pneumatici: l’aria com-pressa passa dalla sacca premascellare a quella dorsale attra-verso i tappi nasali che ne regolano il passaggio (Fig. 1).La propagazione dei suoni avviene successivamente attraver-so le strutture contenute nel melone e nel rostro. Nella parte

centrale del melone si trova un tessuto adiposo a bassa den-sità che sembra implicato nei meccanismi di emissione degliultrasuoni. Infine, si può ricordare che l’emissione di ultrasuo-ni da parte dei delfini può rappresentare per essi anche un pe-ricolo perché possono essere captati da Cetacei più grandipredatori dei delfini stessi.

DIREZIONALITÀ DEGLI ULTRASUONI

Una caratteristica molto evidente nelle emissioni sonore deidelfini è la spiccata direzionalità. Il campo di emissione acusti-ca viene designato col nome di “cono di emissione”. Il “conodi emissione” che può assumere forme diverse nelle varie spe-cie (Fig. 2) è in correlazione col tipo di preda di cui si nutre l’a-nimale. Per esempio, Delfinidi che si nutrono di crostacei e pe-sci bentonici avranno il cono di emissione più inclinato versoil basso. L’animale mostra numerosi movimenti della testa du-rante le emissioni dei “clicks”; egli infatti sembra voler colpi-re il bersaglio da diverse angolazioni, in modo da ottenere ilmaggior numero possibile di informazioni. Una volta ottenu-to dall’eco le informazioni acustiche, egli rielabora e modificalo spettro delle frequenze dei “clicks” successivi, in modo daottenere ulteriori e più dettagliate informazioni riguardanti: ladistanza dal bersaglio, la velocità di spostamento, la sua dire-zione, le sue dimensioni, la composizione, ed il numero deibersagli presenti.

CAPTAZIONE DEGLI ULTRASUONI

L’area deputata per questa funzione sembra essere la regionecircostante l’orifizio del meato uditivo esterno (Fig. 3). Suc-cessivamente gli ultrasuoni attraverserebbero una strutturacava della mandibola ripiena di sostanze lipidiche, entrando inquesto canale attraverso una zona in cui l’osso è molto sotti-le, chiamata pan bone, anch’essa ricca di particolari lipidi abassa densità che favoriscono la diffusione (Fig. 4). L’impor-tanza della mandibola nella ricezione sonora è stata confer-

i l l inguaggio degl i u l t rasuoni de ide l f in i

R. LenziL. Bartoletti

S. SintoniP. Cortesi

A) Lipotes vexillifer (delfino comune cinese);B) Inia geoffrensis (delfino del Rio delle Amazzoni);C) Tursiops truncatus (tursiope); D) Cephalorhyncus commersonii;E) Neophocaena phocaenoides; F) Monodon monoceros (narvalo); G) Delphinapterus leucas (beluga); H) Pontoporia blainvillei;I) Platanista indi (delfino di fiume indiano).

Fig. 2 -Rappresentazioneschematica deicampi di emissionedel sonar di alcuniOdontoceti.

Fig. 1 - Sezionedella testa diun delfino chemostra le variestrutture associatecon la produzionee la ricezione delsuono.

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mata da esperimenti condotti da Bril nel 1988 su un tursiopeal quale era stata applicata una museruola che copriva com-pletamente la mandibola fino alla base delle pinne pettorali;in questo caso era stata osservata una drastica riduzione nel-la capacità di captare gli ultrasuoni e di riconoscere un bersa-glio (Fig. 5).

RICERCA E CATTURA DEL CIBO

Nelle attività di ricerca e cattura del cibo, i delfini utilizzano ilbiosonar in maniera diversa a seconda delle specie di appar-tenenza, in base al tipo di socializzazione ed alle caratteristi-che delle prede. Nel filmato proposto dal National Geographicvengono descritte le principali strategie adottate da questianimali nel procacciarsi il cibo.Alcune specie di delfini riescono con il loro biosonar ad indi-viduare grossi banchi di pesci, che saranno le loro prede, finoad 1 km di distanza. L’utilizzo del biosonar risulta particolar-mente utile ai delfini durante la “caccia” in sostituzione dellavista limitata dalla diminuzione della luce con l’aumento del-la profondità e durante la notte.I delfini sarebbero in grado di scegliere la loro specie preferitaelaborando il suono risultante dall’integrazione degli impulsiemessi con l’eco di ritorno. Sembra che l’informazione piùdettagliata sulle dimensioni e sulla natura della preda (bersa-glio) sia la struttura spettrale dell’eco (target signature), cioèuna sorta di firma acustica esclusiva per ogni preda (bersa-glio), che viene confrontata con quelle memorizzate in prece-denza nel cervello dei delfini (Fig. 6).

PARTE SPERIMENTALE

DELFINI UTILIZZATI

Di seguito si riporta la ricerca sperimentale condotta sullo stu-dio degli ultrasuoni emessi da una comunità di delfini (padre,madre, piccola) ospitati dall’Acquatic World di Cattolica (oraNursery del Delfinario di Riccione) dentro una vasca di formaellissoidale di 19x15m con una capacità complessiva di 1000m3 di acqua di mare.I delfini, oggetto di studio, fanno parte della specie Tursiopstruncatus e in particolare si tratta della femmina Bonnie, dicirca 20 anni, proveniente dall’Oceano Atlantico, e del ma-schio Clyde, di circa 24 anni, proveniente dal Mare Adriatico,e della piccola Daphne, nata durante il periodo della speri-mentazione. Il nome di questa specie deriva dal latino “tur-sio” che significa delfino, e dal greco “ops” che significa fac-cia, a cui si aggiunge il termine truncatus per indicare il musoappunto troncato e cioè corto e tozzo. Analogamente in in-glese questa specie viene chiamata bottlenose dolphin cioèdelfino “a naso di bottiglia”.

APPARECCHIATURE UTILIZZATE

La parte sperimentale è stata condotta da Renato Lenzi (nellafoto di Fig. 7) e da Luca Bartoletti.Per simulare situazioni vissute dai delfini in mare aperto nel-l’utilizzo del biosonar, è stato introdotto nella vasca un bersa-glio/target artificiale appeso ad un idrofono in grado di cap-tare i “clicks” emessi dal delfino. Attraverso l’utilizzo di unaserie di apparecchiature (amplificatore, convertitore, ecc., fig.

Fig. 4

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Delfinario diCattolica.

Fig. 5 - Esemplaredi Tursiopstruncatus isolatoacusticamenteattraverso l’usodi un’appositamuseruola checoprecompletamentela mandibola.

Fig. 3 - L’area punteggiatarappresenta la regione dellatesta che si è dimostrata piùsensibile alle stimolazionisonore.

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a “biosonar”, da parte della piccola Daphne. Bonnie mostra al-la piccola come interrogare con gli ultrasuoni ed analizzarecon l’eco di ritorno gli oggetti presenti in vasca. La piccola Daphne presenta dei parametri molto variabili; du-rante il primo mese le sue emissioni hanno una lunga duratacon frequenze generalmente basse, intorno ai 50 kHz. La piccola emette anche impulsi brevi con alte frequenze, mala banda passante è molto stretta ed il segnale poco intenso. Le sue emissioni sonore si vanno gradatamente regolariz-zando, fino ad arrivare al sesto mese dove si evidenzia unaevoluzione per quanto riguarda le frequenze, la durata e labanda passante, avvicinandosi alle caratteristiche sonore diBonnie (Fig.11).Lo sviluppo della piccola, sia fisiologico che educativo, nonè ancora completo all’età di sei mesi e risulta, quindi, diffi-cile affermare con precisione quali possano essere le carat-teristiche delle emissioni sonore una volta raggiunta l’etàdello svezzamento e adulta. Occorre sottolineare, inoltre,che i primi impulsi sonori di Daphne non possono conside-rarsi veri e propri “clicks”, ma piuttosto dei tentativi di emis-sione ad intensità molto elevate (come la “lallazione” neineonati). La piccola ha acquisito, infatti, solo parzialmente ilcontrollo e l’uso dello strumento “sonar” in suo possesso. Bonnie assume un ruolo decisamente attivo nello sviluppodelle capacità di utilizzo del biosonar da parte di Daphne. Lamadre ha cominciato a stimolare la piccola subito dopo la na-scita, continuando poi a seguirla insegnandole i modelli dicomportamento tipici dell’ecolocalizzazione.

BIBLIOGRAFIA

Tesi di Laurea in Scienze Biologiche di Renato Lenzi (Relatore:Prof. Paolo Cortesi, Correlatore: Ing. Massimo Azzali), Marzo2000, Bologna: “Modificazioni del comportamento e della

Fig. 7 - RenatoLenzi mentreesegueun’ecografiasu Bonnie.

Fig. 8 - Schemadel sistemaaudio-videoutilizzato perle registrazioni.

8) le immagini video e gli impulsi sonori sono stati registrati eportati in laboratorio per analizzare il comportamento sociale(tramite immagini video) ed acustico (tramite registrazioni so-nore) della comunità di delfini.

RISULTATI

L’osservazione della comunità dei delfini (padre, madre, pic-cola) è cominciata a partire dagli ultimi mesi di gravidanza diBonnie e si è conclusa quando la piccola nata Daphne avevasei mesi. La nascita di un piccolo di delfino in cattività, in Ita-lia è un evento ancora abbastanza singolare. Scopo della ricerca è stato analizzare il rapporto madre-picco-la sia dal punto di vista comportamentale che acustico.Per quanto riguarda l’aspetto etologico, i principali compor-tamenti evidenziati sono schematizzati nella figura 9. Perquanto riguarda il comportamento acustico all’interno delrapporto madre-piccola si è evidenziata un’intensa comuni-cazione sonora tra loro ed un apprendimento della piccolanell’emettere e captare ultrasuoni (“messa a punto del pro-prio biosonar”). I “clicks” dei delfini sono stati analizzati nel laboratorio delCNR di Ancona, sotto la guida dell’Ing. Massimo Azzali, uti-lizzando il software MATLAB che ha permesso di gestire edelaborare una grandissima quantità di dati.L’analisi dei suoni nel dominio del tempo, ha permesso diidentificare i sonogrammi caratteristici di ogni delfino (Fig.10). Dai sonogrammi sono state calcolate le caratteristiche princi-pali dei suoni dei delfini: pressione di emissione sonora(espressa in decibel), durata dell’impulso (espressa in micro-sec.), frequenze medie utilizzate (espressa in kHz) e l’interval-lo di frequenze più usate (banda passante, espressa in kHz). Ciò ha permesso di affermare che la madre, Bonnie, ha unruolo determinante nell’apprendimento e nell’utilizzo del

Fig. 6 - Il delfino emette un segnale (SL)che si propaga nell’acqua e raggiungeil bersaglio, qui parte del segnale vieneassorbito e parte viene riflesso (EL) perpoi tornare al delfino.

vocalizzazione tra madre e figlio nel delfino Tursiops trunca-tus (Montagu, 1821) nei primi mesi dopo il parto”.Tesi di Laurea in Scienze Naturali di Luca Bartoletti (Relatore:Prof. Alessandro Poli, Correlatore: Ing. Massimo Azzali e Prof.Sergio Frugis) Dicembre 1996, Bologna: “Studio dell’evolu-zione del comportamento sociale ed acustico in una comuni-tà di Tursiopi (padre, madre, piccola), in cattività, utilizzandoun analizzatore di impulsi”.

Fig. 10

La madre Bonnie con la piccola Daphne

Fig. 9

Fig. 11

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Tutte le immagini di questo articolo sono dovutealla cortesia degli Autori.

Nei sistemi di telefonia mobile, il territorio da servire vienesuddiviso in celle elementari non sovrapponentesi, ognunacoperta da una propria stazione radio base che lavora a fre-quenze diverse da quelle delle stazioni adiacenti al fine di evi-tare interferenze (copertura cellulare). L'aumento degli utentirichiede l'aumento dei canali a disposizione e questa esigen-za può essere soddisfatta solo aumentando il numero dellecelle, riducendone le dimensioni. Conseguentemente, la po-tenza emessa dai trasmettitori di una stazione radio base si ri-duce a valori dell'ordine delle decine di Watt per singolo tra-smettitore, come nei sistemi di classe 5 adottati in Italia. L'e-sigenza di operare con celle di dimensioni ridotte rende ne-cessaria la presenza di stazioni radio base anche in zone ur-bane ad alta concentrazione abitativa. In questi casi, volendolimitare i livelli di esposizione della popolazione, è necessarioindividuare intorno alle antenne una opportuna zona di ri-spetto le cui dimensioni dipendono dalle caratteristiche radia-tive delle antenne stesse e dai limiti di esposizione fissati dal-le normative di protezione. Tale zona di rispetto non deve es-sere accessibile alla popolazione; questo può essere ottenutoinstallando le antenne su tralicci elevati ovvero ponendo unrecinto di guardia attorno alle antenne. Diversa è la problematica derivante dall'utilizzo dei terminalimobili. I telefoni cellulari, infatti, irradiano potenze medie de-cisamente più basse (comprese tra 125 e 600 mW a secondadel sistema utilizzato) rispetto a quelle delle antenne delle sta-zioni radio base ma, durante una conversazione, il telefono èposto a diretto contatto con la testa dell'utilizzatore. Si pone

Già a cominciare dalla fine del secolo scorso erano stati indi-viduati i possibili effetti benefici dei campi elettromagnetici suisistemi biologici, effetti utilizzati principalmente in medicina.E' stato pertanto naturale chiedersi se, accanto ad effetti po-sitivi per l'organismo, non si potessero avere anche effetti ne-gativi, associati ad esposizioni involontarie ai campi elettro-magnetici.I primi studi relativi a possibili effetti non voluti dei campi elet-tromagnetici sui sistemi biologici sono stati effettuati nel pe-riodo delle due guerre mondiali e riguardavano lo studio del-l'esposizione ai campi elettromagnetici delle persone addetteai radar. A partire da una tale "esposizione localizzata", conriferimento al numero di persone coinvolte, si è passati al co-involgimento di gruppi di persone molto più numerosi con l'e-sposizione a campi a bassa frequenza (50, 60 Hz) associati al-le linee di distribuzione dell'energia elettrica, ai campi a ra-diofrequenza dovuti ai ripetitori radiotelevisivi e, in modo piùcapillare, ai campi a radiofrequenza emessi dai sistemi di tele-fonia mobile. Inoltre, gli sviluppi futuri relativi alle reti localisenza fili prospettano ulteriori situazioni di esposizione.I sistemi che più di recente hanno contribuito alla crescita deilivelli di campo elettromagnetico a radiofrequenza nell'am-biente, e che forse più di ogni altro sono stati oggetto dipreoccupazione da parte della popolazione, sono i nuovi si-stemi di telecomunicazione come la telefonia cellulare mobi-le. In questi ultimi sistemi, il collegamento avviene tra una sta-zione radio base fissa ed un terminale mobile d'utente chepuò sia ricevere che trasmettere informazioni.

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impatto ambienta le de i s i s temi d icomunicaz ione

P. BernardiM. Cavagnaro

S. PisaE. Piuzzi

Uomo posto suun balcone di unpalazzo a 30 mda una stazioneradio-base(frequenza 947.5MHz; potenzaradiata: 30 W;guadagno: 14.7dBi): distribuzionedi campo elettricoin assenza (a) edin presenza (b)dell’uomo;c) distribuzionedi SAR. A lato inbasso è illustratala geometria delproblema.

quindi il problema di valutare l'assorbimento e la distribuzio-ne di potenza a radiofrequenza all'interno della testa, per ve-rificare se questo assorbimento può dar luogo a rischi per lasalute degli utilizzatori. Una notevole mole di studi è statasvolta a livello internazionale per stabilire i livelli di campo aiquali un soggetto può essere esposto senza che insorgano ef-fetti biologici significativi per la salute. Sulla base di questi stu-di sono state proposte da diverse organizzazioni internazio-nali delle norme di sicurezza. Tuttavia, l'esposizione al campoirradiato da un telefono cellulare presenta delle caratteristicheparticolari a causa dell'estrema vicinanza della sorgente alcorpo esposto. Nuovi e più accurati studi si sono quindi resinecessari per valutare la distribuzione della potenza assorbita(dosimetria) all'interno della testa di un utilizzatore. Nel casodei telefoni cellulari, infatti, è la potenza assorbita per unità dimassa (SAR) il parametro su cui basare la valutazione del ri-schio per la salute umana. Infine, poiché gli effetti biologici,derivanti dall'esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza, scientificamente documentati ed universalmentericonosciuti sono di natura termica, è importante condurre,accanto all'analisi dosimetrica, anche un'analisi termica al fi-ne di valutare gli aumenti di temperatura indotti dall'esposi-zione.In figura sono riportate, a titolo di esempio, la distribuzione diSAR e la corrispondente distribuzione degli incrementi di tem-peratura valutate, attraverso un codice numerico, nella testadi un utilizzatore di telefono cellulare.Tra le numerose iniziative di ricerca nel settore si citano due

particolari progetti: il CEPHOS, progetto di ricerca europeo, eil progetto Salvaguardia dell'uomo e dell'ambiente dalle emis-sioni elettromagnetiche. Il progetto CEPHOS (CEllular PHOnesStandard) ha avuto inizio nell'Ottobre del 1997 nell'ambitodel IV Programma Quadro, ed è stato completato nel Dicem-bre del 1999. Scopo del progetto, al quale hanno partecipato15 unità di ricerca tra università e enti di ricerca pubblici e pri-vati provenienti da 6 Paesi Europei, è stata la definizione diuna procedura unificata per verificare la conformità dei nuovitelefoni cellulari alle normative di protezione. Invece il pro-getto Salvaguardia dell'uomo e dell'ambiente dalle emissionielettromagnetiche è un progetto interamente italiano finan-ziato dal MURST (ora MIUR) e coordinato congiuntamente daENEA e CNR, a cui partecipano 59 unità operative tra univer-sità, enti pubblici ed industrie.

BIBLIOGRAFIA

P. Bernardi, M. Cavagnaro, S. Pisa, and E. Piuzzi, "Specific Ab-sorption Rate and Temperature Increases in the Head of aCellular Phone User", IEEE Trans. Microwave Theory Tech.,vol.48, n°7, pp.1118-1126, July 2000.

P. Bernardi, M. Cavagnaro, S. Pisa, E. Piuzzi, "Esposizione del-l'uomo ai campi elettromagnetici prodotti dai sistemi di te-lefonia cellulare", in Alta Frequenza, vol. 11, n° 3, pp.4-8,1999.

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Telefonoequipaggiatocon antenna whip(frequenza 900MHz; potenzaradiata: 600 mW):a) distribuzione diSAR,b) distribuzionedell’incrementodi temperaturanella testa di unutilizzatore ditelefono cellulare.

(a) (b)

Immagini dovute alla cortesia degli autori.

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Che Internet costituisca un fattore di trasformazione decisivodella comunicazione sociale, dell’economia e della stessa vitaquotidiana, è cosa nota.In generale però si crede che Internet costituisca semplice-mente un nuovo strumento di comunicazione, mentre occor-re forse considerarlo qualcosa di differente, una vera e propriasfera pubblica.Nata alla fine degli anni Sessanta all’interno del sistema mili-tare (con il nome di ARPANET) la rete telematica si è poi svi-luppata, nel corso dei decenni settanta e ottanta, nell’am-biente accademico, come strumento per la collaborazione adistanza tra ricercatori. Solo all’inizio degli anni Novanta, pe-rò, la rete è diventata uno strumento accessibile al grandepubblico, e ha cominciato a rendersi disponibile e utilizzabileper finalità diverse da quelle di ricerca scientifica o di archi-viazione distribuita dell’informazione.Il passaggio decisivo per la diffusione della rete al di là deiconfini di una utenza specialistica è stata la ideazione e la co-struzione del world wide web, e dei motori di ricerca, stru-menti utili all’orientamento, alla ricerca, e, come suol dirsi nelmetaforico linguaggio della rete, alla navigazione.La crescita di Internet nel corso degli anni novanta è stata ra-pidissima e differenziata. Tanto differenziata, potremmo dire,quanto è differenziato il mondo dello scambio economico,dell’organizzazione politica e civile, della produzione e delconsumo culturale. Il commercio elettronico, le reti civiche o gli spazi di discussio-ne tematica online, il fiorire dei musei virtuali o delle librerievirtuali, sono forme attraverso le quali si manifesta questa plu-ralità di applicazioni dello strumento telematico. Ma la Retenon è solo uno strumento. La Rete non costituisce soltanto ilmezzo attraverso cui è possibile veicolare qualcosa che già esi-ste nel mondo fisico, territoriale (le merci scambiate grazie al-

l’e-commerce, o i quadri di Velasquez che possiamo andare avisitare in qualche museo virtuale).La Rete è anche una Sfera pubblica, cioè un luogo infinita-mente espandibile nel quale si creano nuove merci, che nonesistevano prima, nel mondo fisico, e nel quale si produconoimmaginari e costruzioni teoriche che fanno della rete stessail loro oggetto, il loro ambiente e la loro finalità.Quando parliamo di net-culture (o cultura di rete) possiamo -come spesso accade, anzi come generalmente accade - cre-dere che si tratti di un trasferimento degli oggetti culturali sulsupporto elettronico: informazione culturale, informazionesulla cultura, sull’arte, sulla musica o sul pensiero che sonoprodotti nella tradizionale sfera dell’accademia, o del museo.Questa convinzione è legittimata dal fiorire di musei online, odi librerie e biblioteche virtuali, ed è una convinzione che, na-turalmente, corrisponde in parte alla realtà. Ma l’essenzialenon è questo. La rete non è un luogo di informazione, o nonè soltanto questo. È soprattutto un luogo di creazione: quan-do parliamo di net-culture non parliamo soltanto della possi-bilità di usare la rete per raccontare quel che la cultura pro-duce nei suoi luoghi tradizionali, bensì anche e soprattuttodella creazione artistica, filosofica, politica che nasce all’inter-no dela rete, e che là dentro trova la sua sfera pubblica, il suomercato, il suo campo di verifica.Il discorso corrente su Internet non coglie a pieno quello cheè il nucleo più profondo e innovativo che si manifesta in que-sta sfera. I giornali e le televisioni presentano Internet comestrumento di informazione, oppure come strumento di arric-chimento economico. Le aziende, le banche, e i consumato-ri sono attenti alle possibilità dell’e-commerce. Ed è giustoche sia così, dal momento che è inevitabile. Ma alcuni ambi-ti della rete, minoritari ma non marginali, svolgono un’attivi-tà che non ha niente a che vedere con l’informazione, nien-

internet e net-cu l ture

F. Berardi

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te a che vedere con il commercio, niente a che vedere conl’intrattenimento. Svolgono ad esempio un’attività di crea-zione artistica che utilizza le potenzialità di programmi grafi-ci e di tecnologie interattive che talvolta sono complesse ecostose, ma talvolta sono invece low-tech e low-budget, esono finalizzate a far emergere (spesso criticamente) la for-mazione di una sensibilità virtualizzata, fredda, mediata. Op-pure svolgono una attività di critica filosofica della comuni-cazione, in un ambito che possiamo caratterizzare come me-ta-comunicativo. Oppure svolgono un’attività di agitazione edi organizzazione politica di tipo nuovo, che nulla ha a chefare con il goffo tentativo della politica tradizionale di utiliz-zare Internet, e molto ha a che fare con la creazione di unasfera pubblica deterritorializzata, non gerarchica, di demo-crazia non rappresentativa ma diretta.Per avere un’idea di questa dimensione in cui la Rete si sot-trae allo spettacolo e alla commercializzazione, occorre en-trare in quegli ambienti che sono meno pubblicizzati, chemeno hanno a che fare con la navigazione protetta e pre-cotta dei portali usuali.

SITOGRAFIA

http://www.nettime.orghttp://www.ccru.demon.co.uk/syzygy.htmhttp://www.kode.demon.co.uk/map.htmhttp://adbusters.org/ www.etoy.com, www.rtmark.org/www.indymedia.org/ www.Ctheory.org/ www.wired.com/www.HRC.westminster.eduPer quanto riguarda la cultura di rete italiana:net institute http://net-i.zkm.de/list rekombinanthttp://net-i.zkm.de/rekombinant www.deriveapprodi.org/www.decoder.org/

BIBLIOGRAFIA

Kevin Kelly: Out of controlClifford Stoll: Sylicon Snake oil, San Francisco, 1994Arthur Kroker: Data trash, The theory of the virtual class, NewYork, 1994Pierre Levy: Le tecnologie dell’intelligenza, Bologna, 1992Pierre Levy: Ciberculture, Milano, 1999Janet Murray: Hamlet on the Holodek Cambridge, Ma, 1998Sherry Turkle: La vita nello schermo, Milano, 1997

Per le immagini si veda la Sitografia.Per cortesia dell’Autore.