Commercio equo e solidale, per un commercio più giusto

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Commercio equo e solidale Monica Di Sisto, vicepresidente [Fairwatch] …per un commercio più giusto

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La mia presentazione al seminario del Ministero dello Sviluppo, "L'Economia del ben-essere" 23 ottobre 2013

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Commercio equo e solidale

Monica Di Sisto, vicepresidente [Fairwatch]

…per un commercio più giusto

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La mano invisibile… (1750 e oggi)

Sono quasi 850 milioni le persone - vale a dire una su otto - che nel triennio 2011-2013 hanno sofferto di malnutrizione cronica, denuncia il nuovo rapporto ONU sulla fame nel mondo

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Una bella storia: l’International Trade Organization

La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sono stati istituiti in un incontro tra i 43 “vincitori” a Bretton Woods, ridente località balneare del New Hampshire (USA) nel 1944.

A fianco ad essi venne prevista la creazione di un’International Trade Organisation (ITO).

Fu ratificata nel 1948 durante la Conferenza delle Nazioni Unite di L’Avana.

Il commercio secondo l’Ito: un sistema di REGOLE

Il Congresso USA ne esaminò più volte il documento istitutivo, ma non lo approvò mai

John Maynard Keynes e Harry Dexter White alla Conferenza di Bretton Woods

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Il sogno delle Nazioni Unite Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea

Generale delle Nazioni Unite ha approvato e proclamato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Tutti gli esseri umani nascono con uguali e inalienabili diritti e libertà fondamentali.

Le Nazioni Unite si impegnano a sostenere, promuovere e proteggere i diritti umani di ciascun individuo. Questo impegno deriva dallo Statuto delle Nazioni Unite, che riafferma la fede dei popoli del mondo nei diritti umani fondamentali e nella dignità e nel valore della persona umana.

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Trade not aid! 1964 L’appello traid not aid (commercio non aiuti) viene lanciato per la prima volta a Ginevra nella prima Conferenza Unctad, la Commissione delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo. 1968 I Paesi produttori del Sud tornarono all’attacco in occasione della seconda Conferenza Unctad, senza molto successo.

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1969: 1° world shop is open! Viene inaugurata la prima Bottega

del Mondo nei Paesi Bassi. L’iniziativa prende piede

rapidamente e, due anni più tardi, in Olanda le Botteghe sono già centoventi. Si diffondono anche in Germania, Svizzera, Austria, Francia, Svezia, Gran Bretagna e Belgio. Mentre in Italia:

1974-la cooperativa Sir JHON LTD importa manufatti da una cooperativa di donne bengalesi

1988-prime centrali di importazione: CTM, RAM

2003-AGICES(Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale)

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Come funziona il ComES?

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E poi la World Trade Organisation

Cade il muro di Berlino (1989) Il negoziato doveva chiudersi a fine 1990 ma Stati

Uniti e Europa non si misero d’accordo. Nel 1991 scoppia la Guerra del Golfo Nel 1992 con il "the Blair House accord“ firmato

nel 1994, in Marrakesh (Marocco) i think thanks di Clinton spingono alla creazione della World Trade Organization, che diventa operativa il 1 gennaio del 1995

Il sistema in vigore ha sei aree: - l’accordo ombrello istitutivo della WTO - L’accordo su beni e investimenti (GATT 1994 e

TRIMS), - L’accordo sui servizi (GATS), - Quello sulla proprietà intellettuale and

intellectual property (TRIPS); - Il dispute settlement body (DSB); - L’organismo di revisione delle politiche commerciali

dei Governi (TPRM).

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Paesi poveri al centro? Il clima culturale e politico era cambiato:

(Neoliberismo, ma soprattutto la Recessione economica degli anni 80…)

La WTO la missione di portare, attraverso il multilateralismo commerciale, maggiore prosperità, accrescere i livelli d’impiego, ridurre l’ineguaglianza e promuovere lo sviluppo sostenibile a livello globale attraverso un tasso crescente di libero mercato

“La maggioranza dei Paesi membri del WTO sono Paesi in via di sviluppo. Poniamo le loro necessità e i loro interessi al centro del programma di lavoro adottato in questa Dichiarazione”.

Paragrafo 2 della Dichiarazione Ministeriale di Doha, 14 novembre 2001

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Le bon élève: a quale prezzo? FMI e BM hanno imposto dopo gli anni

Ottanta ai Paesi più poveri la cura: meno Stato, più mercato

i costi sostenuti a seguito della riduzione o dello smantellamento degli strumenti pubblici a sostegno del mercato interno dei Paesi dell'Africa Sub-Sahariana nel ventennio 1980-2000 sono stati di 272 miliardi di dollari

una cifra di circa 70 miliardi di dollari, superiore all'ammontare complessivo del debito estero stimato verso creditori pubblici per i Paesi del continente.

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Le Nazioni Unite nel 2005 identificano vincitori e perdenti nella scena globale

L’UNEP (UN Environment program) in un rapporto con alcuni casi-studio su prodotti agricoli “sensibili” e AoA spiega che “è difficile che [l’agenda di Doha della Wto in ambito agricolo) faccia fiorire nuovi mercati, in particolare agricoli, per le nazioni più povere senza che questo avvenga a spese dell’ambiente naturale”.

L’UNEP denuncia che i principali “vincitori” della liberalizzazione dei mercati sono gli importatori, I produttori medi e di grande scala, mentre i “perdenti” sono per lo più i produttori locali e I piccoli agricoltori, il cui reddito è sceso in picchiata. L’UNEP chiarisce anche che i consumatori possono risultare perdenti anch’essi in molti casi, perché la riduzione dei prezzi ai produttori progressiva e drastica non ha alcun riflesso sui costi finali di alcuni prodotti, oppure è la qualità a risentirne.

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La trappola del “trade in task” Ci sono due grandi domande aperte nel commercio globale

oggi. La prima è sul “dove si accumula il valore aggiunto”, e l’altra, che ci riguarda di più oggi è “chi produce che cosa per chi”. Sono al centro di una profonda revisione in corso dei modelli e della contabilità del commercio internazionale.

Il modello teorico del commercio internazionale (leggi globalizzazione) vuole che viaggino i beni come sostituto degli spostamenti dei mezzi di produzione.

In realtà quando importi beni da un Paese partner è come se importassi i suoi capitali e lavoratori, in competizione diretta con imprese e lavoratori nazionali.

Con la frammentazione della produzione, però, la parte di valore aggiunto dai fattori di produzione dei Paesi di origine dei componenti è estremamente ridotta.

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Nella rete della fabbrica globale, al centro le funzioni: e le persone?

Con il «trade in task» il lavoro è assolutamente sparito dai diagrammi. Non è nemmeno considerato un fattore di produzione. Banalmente non c’è perché è una variabile dipendente dai task.

Con il lavoro, sparisce il “chi” lavoratore. Il soggetto è, a seconda delle prospettive, il prodotto, il supplier, l’investitore/azienda.

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Il gioco dell’Ipod Usando l’iPod come esercizio sulla

fabbrica globale, Linden, Dedrick and Kraemer (2009) hann stimato che questo prodotto e le sue componenti abbiano creato nel solo 2006 circa 41,000 posti di lavoro in tutto il mondo.

circa 27,000 sono stati creati fuori dagli Usa, essenzialmente nella manifattura a basso reddito.

14,000 sono stati generati all’interno degli Usa (incluse le vendite) di cui circa 6,000 tra ingegneri e manager d’alto livello, e circa 8,000 di lavoratori della distribuzione e non professionali, molti dei quali non dipendenti dalla filiera transnazionale

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Chi controlla, chi decide

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LDCs: Paesi meno sviluppati Nel 2012, il cuore del futuro,

le popolazioni di ben 48 Paesi della Terra, 33 in Africa, 14 in Asia e nel Pacifico e uno in America Latina e Caraibi, Haiti, che rappresentano ben il 13% della popolazione mondiale, ancora sopravvivono con meno di 1 dollaro al giorno.

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Trade not aid: davvero? Trade: il commercio globale cresce nel 2011 del

5.0%, nel 2010 era il 13.8%, ed è cresciuto del 2,5% nel 2012.

Le esportazioni delle economie sviluppate sono cresciute del 4,7% e quelle in via di sviluppo del 5,4%.

In Africa le importazioni sono cresciute del 5.0% Si prevede per il mondo in via di sviluppo nel suo

complesso che le importazioni crescano del 6.2%

Gli aiuti, bontà nostra, calano: l’Ocse/Dac registra un crollo globale del 3,3% negli aiuti ai Paesi piu' poveri da parte dei Paesi donatori. Taglio che per i Paesi dell'area euro arriva al 6,4% rispetto al 2010.

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2013: l’Unctad ci dice che… Nei giorni scorsi, nell’ambito

della sessantesima sessione del suo ufficio esecutivo, l’UNCTAD, ha presentato il Rapporto 2013 su Commercio e Sviluppo.

Il rapporto, dal titolo “Correggere le dinamiche in cambiamento dell’economia mondiale”, sostiene che sono necessari cambiamenti fondamentali nelle politiche economiche prevalenti per riaggiustare quella che ora appare evidentemente come una crisi strutturale.

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2013: l’Unctad ci dice che…/2 I paesi in via di sviluppo hanno avuto una

crescita economica più veloce di quelli sviluppati, hanno visto un aumento significativo del loro peso nell’economia globale – la loro quota nella produzione mondiale è cresciuta dal 22% del 2000 al 36% del 2012, mentre la loro partecipazione alle esportazioni mondiali è salita, nello stesso arco di tempo, dal 32% al 45%.

Ci sono però pochi cambiamenti nelle due principali caratteristiche del commercio Sud – Sud, ovvero la forte concentrazione in Asia, in relazione al coinvolgimento di questi paesi nella catena globale di produzione, con i paesi sviluppati come destinazione finale; e il ruolo principale delle materie prime nell’espansione degli scambi Sud-Sud nei due passati decenni.

Questo dimostra, secondo l’UNCTAD, che il commercio Sud – Sud non è diventato un motore autonomo di crescita per i paesi in via di sviluppo.

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2013: l’Unctad ci dice che…/3 Recenti proiezioni sulla crescita e la composizione di una “classe media

globale” suggeriscono che alcune delle più popolose economie in via di sviluppo e in transizione possono ora avere la crescita nei consumi delle famiglie necessaria per compensare la maggior parte del declino della domanda di esportazione dai paesi sviluppati.

Il Rapporto sottolinea, comunque, che per realizzare questo potenziale dei consumi, i decisori politici devono rafforzare i mercati interni, il potere d’acquisto interno e raggiungere un appropriato equilibrio tra la crescita dei consumi delle famiglie, gli investimenti privati e la spesa pubblica

Il Rapporto ricorda che le strategie trainate dall’esportazione enfatizzano l’aspetto del costo del lavoro. Infatti, i salari sono rimasti ben indietro rispetto alla crescita della produttività nella maggior parte dei paesi negli scorsi decenni.

Al contrario, una strategia che assegni un ruolo maggiore alla domanda interna enfatizzerebbe l’aspetto del reddito da salari, dato che si basa sulla spesa delle famiglie come più grande componente della domanda interna.

La creazione di occupazione combinata alla crescita dei salari in relazione alla produttività creerebbe una domanda interna sufficiente ad avvantaggiarsi pienamente della capacità produttiva, senza dover dipendere dalla continuità della crescita delle esportazioni.

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Il commercio equo offre un modello di politica…

"Scherzosamente il Commercio equo si aggiudica il premio Adam Smith perché

- Aiuta a ridurre gli squilibri di filiera

- Sostiene l’accesso al credito - Stabilizza i prezzi - Stabilisce relazioni di lungo

periodo - Investe parte dei profitti in beni e

servizi di rilevanza sociale - Offre canali paralleli di

distribuzione alternativi - Costruisce partnership tra Nord e

Sud e tra i Sud, anche quelli nel Nord" Leonardo Becchetti

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E di commercio Our 2012-13 annual report, released

today, is based on our work on “Unlocking the Power” of producers and is highlighted by 16 percent growth in the total number of producer organizations compared to 2011

Over 1.3 million farmers and workers in 70 countries are part of 1,149 Fairtrade producer organizations. In addition to sales income, these producer groups benefitted from around 80 million euros in Fairtrade Premium money in 2012.

Consumer sales increased significantly in key markets, including: Germany (33 percent), the Netherlands (26 percent), Sweden (28 percent), Switzerland (15 percent), and the UK (16 percent)..

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Dove siamo? «Ce lo eravamo immaginato

davvero come un mercato diverso quello equosolidale.

Uno spazio a misura dei piccoli, che fosse efficace, ecologicamente sostenibile, e costruisse una relazione più diretta tra produttori e consumatori per cambiare davvero le regole del gioco.

Non è successo, ed è chiaro che è nostra responsabilità far sì che qualcosa si modifichi, e il più presto possibile”. Franz van der Hoff

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Luca Gioelli Lo stato di salute del Commercio

Equo non si misura certo tenendo in considerazione solo il fatturato delle singole realtà. Il dato economico deve essere tenuto in debito conto, quale conseguenza delle attività svolte, quale strumento per la creazione di lavoro e di inclusione sociale, ma non deve divenire il fine.

Non si tratta di stilare classifiche per misurare i propri e gli altrui muscoli, ma di valutare la vivacità di un movimento, la ricchezza di punti di vista e contributi che animano il confronto e che consentono di sperimentare nuove strategie, di aprire nuove piste.

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Renzo Garrone Mi domando se abbia senso

continuare a sostenere progetti che di sociale non hanno più niente, oppure realtà che sono ormai dei piccoli e medi giganti nei loro contesti locali, solo perché ci assicurano prodotti belli, buoni, di buona qualità, cui i nostri acquirenti sono ormai abituati. Chiaro che non si può rischiare su tutti i fronti, ma spesso così si perde di vista l’essenziale.

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Donata Frigerio Ci stiamo attrezzando per

mantenere intatto il messaggio globale del Commercio Equo, perché non si riduca alla compravendita e mantenga la proposta originaria di una giustizia sociale per tutti.

Ma questo deve portare ad un progressivo aumento della nostra capacità di ragionare politicamente, di intervenire e incidere a quel livello, né localmente, né in Europa, né a livello globale, nonostante i numerosi attestati di stima anche istituzionali.

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Alberto Zoratti il Commercio Equo non debba rinunciare ad

essere scomodo, ma anche a “stare scomodo”. È chiaro che se vuoi criticare il sistema devi essere innanzitutto coerente al tuo interno, con le tue pratiche. Più sei visibile e più è tuo dovere politico e morale farlo.

Al G8 di Genova aveva senso essere presenti come realtà equosolidali perché testimoniavamo che era possibile costruire un’alternativa concreta al sistema dominante che non fosse soltanto idealistica, ma portasse un miglioramento concreto nella vita delle persone.

Oggi non possiamo sederci sui risultati che abbiamo raggiunto ma dobbiamo continuare a verificarci alla luce delle campagne di mobilitazione dei movimenti sociali. Due temi guida? Clima e sovranità alimentare.

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Pensiamoci su…

L’individuo biologico più le sue estensioni ed interconnessioni (…)

Non sono l’uomo vitruviano, racchiuso in un singolo cerchio perfetto, che guarda il mondo dalle coordinate della mia personale prospettiva (…).

Io costruisco e sono costruito, in un processo mutuamente ricorsivo, che coinvolge continuamente i miei confini fluidi e permeabili e i miei network che si diramano all’infinito (Mitchell 2003: 39)

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L’economia solidale, per noi Il processo verso la realizzazione della

Rete Italiana di Economia Solidale (RES) è stato inizialmente promosso dalla Rete di Lilliput (2001) e si è sviluppato successivamente con il sostegno delle Botteghe del Mondo, della Rete dei Gruppi di Acquisto Solidali, delle organizzazioni della finanza etica e di microcredito, del turismo responsabile e reti di cooperative sociali.

Tale progetto è aperto a tutte le realtà che già operano, che si sentono parte, o che comunque intendono agire ispirandosi ai valori e ai princìpi dell'economia solidale.

SOGNO GLOCALE

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“C” factors per una nuova economia

Comunità Cooperazione Conoscenza Comunicazione

permettono di generare entrate, di intensificare i rapporti sociali e, soprattutto, di rispondere ad obbiettivi che sono al contempo economici, sociali e culturali

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Questo mondo non è in vendita

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Fairwatch (ieri e oggi)

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Trade game (il commercio non è un gioco)

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Verso Bali… AoA: stock/sussidi Trade facilitation ITA: espansione? TISA: ma l’Italia

non era contraria? LDC/development Policy space!

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Distretto di Economia Solidale (DES): definizione

DES come attivazione di relazioni (rete) e di flussi economici di prodotti e servizi all’interno della rete (Saroldi)

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Contro la crisi…

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Tre principi e un metodo Valorizzazione della dimensione locale I distretti

intendono valorizzare le caratteristiche peculiari dei luoghi (conoscenze, saperi tradizionali, peculiarità ambientali, ricchezze sociali e relazionali). Tali peculiarità sono viste come ricchezze (stock) da accrescere e valorizzare e non come risorse (flussi) da sfruttare a fini di profitto, nella convinzione che, nel lungo periodo, tale strategia si mostrerà conveniente anche sotto il profilo economico.

Economia di giustizia (sostenibilità sociale) I soggetti appartenenti ai DES si impegnano a mantenere e a favorire condizioni di equità nella distribuzione dei proventi delle attività economiche, sia tra i membri dell'organizzazione produttiva, sia fra le diverse aree del sistema economico (tanto al Nord quanto al Sud del Mondo).

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Tre principi e un metodo/2 • Sostenibilità ecologica I soggetti aderenti ai DES si

impegnano a svolgere le propria attività economica secondo modalità tali da consentire una riduzione dell'impronta ecologica del distretto e comunque tali da non compromettere, anche nel lungo periodo, l'organizzazione vitale (resilienza) degli ecosistemi. Si ritiene strategico, a tale fine, favorire la chiusura locale dei cicli bioeconomici.

• La realizzazione pratica dei tre principi fondamentali enunciati viene perseguita attraverso il metodo della partecipazione attiva dei soggetti, nell'ambito dei distretti, alla definizione delle modalità concrete di gestione dei processi economici propri del distretto stesso. Tale modalità partecipativa presuppone da parte dei soggetti la disponibilità a confrontarsi e a condividere con altri idee e proposte su progetti definiti di volta in volta dai diversi soggetti, comunque nel rispetto di quei "criteri di appartenenza" che la RES si riserva di definire in seguito, in armonia ai principi generali della Carta.

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Il «quinto elemento» da solo non basterà

A partire dai movimenti sociali come “quinto elemento” a tutela dei quattro elementi naturali a rischio mercificazione, pensare che possano essere i mercati, ed il privato, anche se Green, a rimettere a posto le cose è pura ideologia.

La transizione, quella vera, parla di una partecipazione diretta delle comunità e di una responsabilità diffusa, a cominciare dagli stili di vita di ognuno.

E della consapevolezza che tutto questo non sarà una passeggiata, che i conflitti con l’attuale modello di sviluppo sono dietro l’angolo e che non basterà sensibilizzare ed informare, ma bisognerà mettersi in gioco, a cominciare dai propri territori.

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Un diverso quadro legislativo

Elinor Ostrom recentemente scomparsa, ha vinto il premio Nobel per l’economia, con il suo lavoro “Governing the commons. The evolutions of institutions for collective actions”, pubblicato nel 1988, dopo diversi anni di studi e ricerche.

In esso la Ostrom si pone il problema fondamentale di come un gruppo di soggetti, nel testo definiti “principals”, interdipendenti tra di loro, possano auto-organizzarsi e autogovernarsi al fine di ottenere benefici collettivi di lungo periodo, superando la tentazione di comportamenti free-riding e, più in generale, di tipo opportunistico.

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Le fabbriche recuperate Esperienze come le fabbriche autogestite in

Argentina hanno creato un cambiamento anche legale nella relazione tra «padroni» e «lavoratori», provocando un corto circuito intorno al lavoro.

Pochi ricordano la legge sui «provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli di occupazione», approvata in Italia nell’85, la legge «Marcora».

Si comincia a studiare e immaginare nuovi percorsi che possono riguardare il nord come il sud del mondo, le fabbriche come gli ospedali, le cave oppure gli alberghi, ma soprattutto movimenti e singoli lavoratori, se non altro nutre di speranza l’idea di cambiamento sociale.

Ma tutto questo è anche un modo, come suggerisce lo scrittore e giornalista Raúl Zibechi, per «reinventare la vita dal lavoro».

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Alternative trade mandate in EU

“Over the past years, the Alternative Trade Mandate Alliance, an alliance of currently almost 50 organisations from across Europe, has been discussing an alternative vision for European trade policy - one that puts people and the planet before big business.

Our belief is that Europe’s trade has to be

fundamentally changed. Our alternative respects human rights, and is democratically controlled by parliamentarians and the public. It’s ecological, respects gender equality and creates justice between countries, social classes and ethnicities. We propose a trade policy that increases economic, social and environmental well-being globally.

On 26 and 27 November, shortly before the next ministerial of the World Trade Organisation in Bali, we want to present this alternative to the world”.

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In Ecuador e Bolivia… I beni pubblici e i diritti della

madre terra sono entrati nei testi costituzionali

In Italia la Commissione Rodotà ha lavorato per la riforma della tutela della proprietà privata nel Codice civile

Nel 2007 fu istituita una commissione parlamentare, presieduta dal Prof. Stefano Rodotà per studiare e proporre una riforma del Libro III della Proprietà del Codice Civile. Il disegno di legge, presentato in Senato, non è mai stato discusso.

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La Costituente dei beni comuni Il 13 aprile 2013 a Roma al teatro Valle si è costituita un’inedita alleanza

tra pratiche di lotta e mondo degli studiosi: a partire dagli spazi, dalle lotte, dalle soggettività che costruiscono conflitto, intelligenza politica e partecipazione

Si sono riaperti così i lavori di una commissione di studio sulla base dei risultati della Commissione ministeriale per la Riforma del Libro III “Della Proprietà” del Codice Civile (Commissione Rodotà).

Il lavoro collettivo si svolge su due piani: a partire dalle innovazioni sperimentate nelle lotte - usi civici, sentenze,

Statuti, .. - indagare quali strumenti giuridici siano da potenziare o da creare: una produzione giuridico-normativa sui beni comuni che la Commissione – composta da giuristi e studiosi di alto profilo - possa ascoltare e tradurre in articolati e proposte legislative.

* la produzione collettiva di una scrittura politica – multitestuale, partecipata, emendabile e aperta – per potenziare lo spazio pubblico di discorso e di azione nell'orizzonte condiviso dei beni comuni. Un processo generativo capace di generalizzare lotte diverse e costruire immaginario.

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Una nuova vision politica!

«Chi cerca di sfuggire alla terra non trova Dio, trova solo un altro mondo, il suo mondo, più buono, più bello, più tranquillo, un mondo ai margini, ma non il Regno di Dio, che comincia in questo mondo» Dietrich Bonhoeffer