Comitato Collaborazione Medica - Newsletter 6/2008

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[note a margine di interventi socio-sanitari] Comitato Collaborazione Medica 6 2008 M olto spesso le persone disabili vengono emarginate e discriminate. Escluse sistematicamente dalla vita sociale ed economica delle loro comunità. Il loro potenziale e le loro speranze per il futuro represse. Le loro vite considerate inutili o da commiserare. Ad Addis Abeba, tutto ciò è esasperato dall’estrema povertà, dal forte stigma e dalle barriere di accesso ai già limitati servizi sanitari, scolastici e sociali. Il destino per i disabili è spesso l’abbandono, l’accattonaggio e il peggioramento delle loro condizioni sanitarie e mentali. SEGUE E T I O P I A LA TESTIMONIANZA DI VALERIA PECCHIONI, COORDINATRICE DEL PROGETTO DI RIABILITAZIONE COMUNITARIA IN ETIOPIA PAG.2 SERVIZIO CIVILE CATERINA BECCHIO E STEFANO BECCARIA RACCONTANO I MESI TRASCORSI IN ETIOPIA ED IN KENYA COME VOLONTARI PAG.6 B U R U N D I INTERVISTA A FRANCA CATTOI PROJECT MANAGER IN BURUNDI PER UN ANNO PAG.4 integrazione

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Disabilità in Etiopia e progetti di salute materno-infantile in Burundi. A seguire le testimonianze dei ragazzi del Servizio civile all'Estero (Etiopia, Kenya).

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[note a margine d i intervent i socio-sani tar i ]

ComitatoCollaborazioneMedica

62008

Molto spesso le persone disabili vengono emarginate e discriminate. Escluse sistematicamente dalla vita sociale ed

economica delle loro comunità. Il loro potenziale e le loro speranze per il futuro represse. Le loro vite considerate inutili o da commiserare.

Ad Addis Abeba, tutto ciò è esasperato dall’estrema povertà, dal forte stigma e dalle barriere di accesso ai già limitati servizi sanitari, scolastici e sociali. Il destino per i disabili è spesso l’abbandono, l’accattonaggio e il peggioramento delle loro condizioni sanitarie e mentali. sEguE

E T I O P I A

LA TESTIMONIANZA DI VALERIA PECCHIONI, COORDINATRICE DEL PROgETTO DI RIAbILITAZIONE COMuNITARIA IN ETIOPIA

PAG.2

S E R V I Z I O C I V I L E

CATERINA bECCHIO E STEFANO bECCARIA RACCONTANO I MESI TRASCORSI IN ETIOPIA ED IN KENYA COME VOLONTARI

PAG.6

B U R U N D I

INTERVISTA A FRANCA CATTOI PROjECT MANAgER IN buRuNDI PER uN ANNO

PAG.4

i n t eg raz i one

Chi arriva ad Addis Abeba non può che rimanere colpito dal gran numero di disabili che chiedono l’elemosina ai semafori

della capitale, esibendo le loro menomazioni per ottenere pochi soldi. si stima che ci siano almeno sette milioni di persone disabili in Etiopia, e il 60% di queste risulta disoccupata. stime più precise sono difficili, dato che la disabilità viene spesso nascosta. Purtroppo, sono spesso le famiglie stesse ed i vicini a stigmatizzare fortemente la persona disabile, come punita da Dio o naturalmente inferiore. I genitori considerano un figlio disabile una vergogna ed un peso, anche economico, per la famiglia; per cui non è inconsueto, soprattutto nelle campagne, che i bambini vengano spesso tenuti nascosti in casa. Mentre gli adulti con problemi mentali vengono abbandonati per strada dai parenti e spogliati, in segno di riconoscimento.

La discriminazione è altissima, fin dai primi anni in casa, ma anche a scuola da parte di insegnanti e compagni. “siete stupidi? Anche una sorda sa rispondere a questa domanda”. Questo fu il commento rivolto alla classe da parte dell’insegnante, dopo che Aynalem aveva risposto correttamente. L’umiliazione fu così grande che da quel giorno Aynalem decise di non partecipare mai più attivamente alla vita della classe. La persona disabile viene spesso considerata incapace di relazionarsi, avere amici, studiare, lavorare, sposarsi, fare figli, avere insomma, una vita normale. E questo atteggiamento di emarginazione spesso opprime, alza barriere sempre più invalicabili e rende il disabile veramente incapace di interagire col resto del mondo.

Esistono per fortuna però persone di grande forza morale che in questo contesto riescono a far diventare la loro disabilità un’opportunità. Come Yetnebersh, una ragazza non vedente, nata nella campagna etiopica. Oggi è una donna di successo. Ha un master universitario, un ottimo lavoro e rappresenta le donne etiopi nei contesti internazionali. Oppure come Tesfaye che ha appena ricevuto la sua nuova protesi all’Arba Minch Rehabilitation Centre e che si allena a camminare appoggiandosi alle parallele. Ha 12 anni ed ha affrontato con sua mamma un lungo viaggio per raggiungere il centro. Adesso inizia la fase più difficile: imparare ad usare la protesi che gli permetterà di muoversi, studiare, trovare un lavoro e vivere in maniera indipendente.

Le attività di riabilitazione in Etiopia hanno avuto

inizio negli anni ’60 con Cheshire service Ethiopia che aprì, grazie a donazioni inglesi, un istituto di riabilitazione: la “Cheshire Home”. Il problema della disabilità era estremamente evidente in un paese come l’Etiopia che presentava numerosi fattori di rischio, come frequenti guerre civili e alta diffusione di mine, ripetuti episodi di siccità e carestia, bassa copertura vaccinale (il caso della polio ad esempio). La riabilitazione, come nel resto del mondo a quei tempi, era però esclusivamente istituzionalizzata. Bambini poliomielitici e mutilati entravano nell’istituto, ricevevano le cure ortopediche adeguate e l’assistenza fisioterapica, ma poi non riuscivano più a reinserirsi nella società, a studiare, a trovare un lavoro. La Riabilitazione su Base Comunitaria rappresenta un approccio alternativo a quello istituzionale. Parte dal presupposto che la comunità deve essere direttamente coinvolta nel processo riabilitativo. La strategia di riabilitazione su base comunitaria (CBR- Community Based Rehabilitation), nata dall’OMs negli anni ’80, è stata rielaborata nel 1994 da ILO, OMs e uNEsCO con un approccio multi disciplinare. Tale concetto enfatizza la partecipazione e il coinvolgimento diretto delle comunità per creare un atteggiamento positivo nei confronti delle persone disabili, fornire loro la necessaria assistenza, e indurre i cambiamenti necessari nell’ambiente e nella fornitura dei servizi riabilitativi.

I programmi di riabilitazione comunitaria impegnano giovani e volontari a lavorare con le persone disabili, le loro famiglie e le loro comunità, per un reinserimento nella vita sociale, economica e politica. Nelle baraccopoli di Addis Abeba, come nelle campagne attorno a Lalibela, nei dintorni di gondar e Jimma, uomini e donne lavorano per insegnare ai bambini non vedenti a leggere in braille, per far fare gli esercizi fisioterapici a chi ha problemi motori, per avviare ad una professione gli adulti ed accompagnare all’educazione primaria i bambini, per sensibilizzare le comunità sul tema della disabilità e mobilitarle in attività di prevenzione ed inclusione sociale. I programmi di riabilitazione comunitaria sostengono anche le associazioni di persone disabili, perché siano protagoniste del cambiamento e si diano da fare in prima persona per tutelare i propri diritti.

sebbene infatti il quadro istituzionale preveda la fornitura di servizi per le persone disabili, diversi documenti ribadiscano l’impegno del governo a venire incontro ai bisogni sociali ed economici

dei settori più vulnerabili della società, di fatto da soli tre anni esiste una laurea in fisioterapia e a molti bambini disabili viene vietato l’accesso alle scuole e molti adulti restano disoccupati a causa della loro disabilità. Nonostante le politiche nei confronti delle persone disabili in Etiopia siano chiare e all’avanguardia sulla carta, restano poi inattuate nella realtà: non esistono strutture statali dove vengano offerti servizi di riabilitazione e vengano impiegati specialisti; gli insegnanti non hanno la formazione e gli strumenti necessari per inserire nelle classi i bambini disabili e tutto l’insegnamento, le valutazioni, non tengono conto delle diversità nelle modalità di apprendimento; le amministrazioni pubbliche non sono accessibili e i servizi sociali inesistenti.

Proprio perché risolvere questi problemi non è semplice, il lavoro di riabilitazione su base comunitaria è duro, complesso e richiede tempi lunghi, ma è condotto con dedizione e passione. Mira a rendere i disabili i primi fautori del cambiamento: “Nothing about us, without us!” (Niente riguardo a noi, senza di noi). Vuole abbattere le barriere strutturali, sociali e culturali che ancora emarginano chi ha una disabilità. Vuole ridare speranza e costruire opportunità concrete per le persone portatrici di handicap e le loro famiglie. Insegna a tutti che “disabilità” non significa “inabilità”.

Valeria Pecchioni

Il CCM è impegnato a sostenere le organizzazioni etiopiche che si dedicano alla riabilitazione comunitaria ad Addis Abeba ed in Etiopia, per potenziare ed espandere il loro operato, fornendo opportunità di formazione per gli operatori e dedicandosi ad attività di lobbying nei confronti delle autorità etiopiche, perché abbattano le barriere esistenti ed includano le persone disabili nelle politiche di sviluppo. Il progetto, finanziato dal Ministero Affari Esteri, è stato sviluppato in collaborazione con CBR Network Ethiopia (un network di organizzazioni operanti nella Riabilitazione Comunitaria) e punta al potenziamento dei Programmi di Riabilitazione Comunitaria delle persone disabili nella città di Addis Abeba, in Etiopia.Con l’obiettivo generale di migliorare la qualità di vita delle persone disabili e permettere la loro piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica nelle proprie comunità, il progetto mira ad incrementare la copertura e migliorare la qualità dei servizi in favore delle persone disabili.

Burundi [giugno 2007/giugno 2008]Iintervista a Franca Cattoi

In aprile e giugno 2008 si sono conclusi i due progetti a sostegno degli ospedali di Mabayi e Cibitoke. Alcune attività sono diventate autonome, come le farmacie comunitarie, per altre continua il sostegno del CCM, in particolare per l’Ospedale di Mabayi che ha ripreso a funzionare solo nell’ottobre 2007. Le attività di chirurgia e salute materno-infantile dell’Ospedale di Mabayi e del centro trasfusionale di Cibitoke proseguono grazie al sostegno dei nostri donatori privati.

+[Farmacie Comunitarie]Esistono da sei anni ed il loro approvvigionamento è sempre stato seguito da personale del CCM. Ora l’intento è quello di dare una maggiore responsabilità alle istituzioni locali. Come proseguire nella gestione?

L’apertura delle F.C. è stata a mio modo di vedere un’ottima iniziativa che il CCM ha realizzato in favore delle comunità della Provincia di Cibitoke, soprattutto in aree dove l’istituzione Governativa difficilmente avrebbe potuto fare lo stesso. Ha permesso e garantito per tanti anni l’accesso alle cure e quindi la riduzione della morbi-mortalità della popolazione .

La presenza delle F.C. ha inoltre stimolato e indotto l’apertura di altre farmacie private, le quali non sono aggregate al sistema sanitario Nazionale e quindi difficilmente controllabili, nonostante sia di dominio pubblico che la provenienza dei farmaci non risponda alle minime misure di garanzia. La complessità della gestione delle F.C.può essere sintetizzata in due linee : gestione amministrativa e logistica di approvvigionamento.

Il comitato di gestione che gestisce ogni farmacia, supportato dallo statuto identificato ed approvato al momento dell’apertura delle F.C., non dispone di strumenti necessari per l’autogestione e, a mio modo di vedere, si impone un’aggregazione delle stesse all’Istituzione locale, in particolar modo la Direzione Provinciale della salute che potrebbe poi essere sostituita dal Distretto sanitario quando lo stesso sarà funzionale. E’ secondo me questa l’unica ipotesi di continuità.

E’ impensabile che allo stato attuale le F.C. possano sopperire al proprio approvvigionamento. Varie sono le difficoltà: l’Identificazione della persona incaricata, in capitale, della ricerca dei farmaci e dei presidi sanitari necessari, ruolo che non può ricoprire il gestore della farmacia; la copertura delle spese di vitto e alloggio dello

stesso, e soprattutto, i costi di trasporto dei farmaci.

Dopo un periodo in cui le farmacie comunitarie erano le sole esistenti ne sono apparse altre, alcune statali ed altre ancora private. Quali problemi si son verificati in seguito alla nascita di queste farmacie?

Si è registrato un calo di affluenza clientelare e la riduzione delle entrate economiche. Inoltre l’origine e la qualità dei farmaci venduti in queste farmacie non sono certificate, e questo ha conseguenze sullo stato di salute della popolazione.

un giorno, all’interno di una F.C. CCM, si è presentato un cliente munito di farmaci acquistati in una adiacente farmacia privata. I farmaci erano “confezionati” in un pezzetto di carta di quaderno, senza alcuna indicazione riguardo il farmaco stesso e la persona non aveva avuto nessuna spiegazione all’uso .I farmaci che escono dalle F.C. CCM sono custoditi in sacchetti plastici ermeticamente chiusi, con indicazione del contenuto e suo dosaggio ed i gestori spiegano ad ogni paziente come si prendono i farmaci e forniscono altre informazioni necessarie (effetti collaterali evidenti ecc. ).

*[Sistema Sanitario Nazionale]Da ottobre del 2006 è in vigore la gratuità dei servizi sanitari per bambini inferiori ai cinque anni e donne incinte. Questa scelta è considerata come uno dei fattori della crisi economica del sistema sanitario nazionale. Come si è affrontato questo problema? Qual è stato il ruolo delle donazioni internazionali?

Questa misura socialmente rilevante ha di fatto messo in crisi la gestione ospedaliera in quanto non si può negare l’assistenza ai gruppi target, ma lo stato non rimborsa tempestivamente le istituzioni per le spese di assistenza sostenute. Ovvie conseguenze, riduzione della qualità di assistenza nei servizi ospedalieri.

Il ruolo delle donazioni internazionali si è rivelato fondamentale. In particolare il progetto che il CCM ha realizzato in questi anni nella Provincia di Cibitoke ha, tra le altre cose, garantito il funzionamento del Blocco Operatorio dell’Ospedale di Cibitoke e anche quello dell’ospedale di Mabayi da quando è stato riabilitato e reso funzionale.

In questo tipo di ospedali, classificati come di Secondo Livello e non dotati del servizio di terapia intensiva o cardiologia, il Blocco Operatorio rappresenta il servizio più costoso dell’Istituzione Ospedaliera. Rimanendo sempre in Provincia di Cibitoke è da sottolineare che la cooperazione inglese con la donazione di

Ospedale di Mabaiy

farmaci generici è stata di grande supporto, limitando ulteriormente le spese di gestione degli ospedali. *[Mabayi]L’ospedale, la cui costruzione ad opera dei cinesi è terminata nel 1992, è in funzione dal dicembre 2007. Prima era solo utilizzato come dispensario. Dopo una serie di ristrutturazioni ora ha corrente elettrica, sala operatoria, sala maternità e laboratorio. Sono finalmente garantite le emergenze ostetriche al 100% ed il numero dei parti mensili è aumentato da 30 a 70. Inoltre da poco sono anche stati attivati i corsi di formazione per il personale locale. Ci può spiegare come funzionano questi corsi?

I corsi di formazione sui temi più generali di igiene e prevenzione, svolti dal direttore dell’ospedale, sono rivolti a tutto il personale. Per il personale della maternità ogni lezione è stata preceduta da una preparazione di pre-test preparati dal medico ginecologo [equipe CCM] dr. Barnabè e dalla sottoscritta. Il corso ha seguito un calendario specifico da gennaio a fine maggio, con una sezione teorica settimanale di 4 ore.

Assieme al dr. Barnabè è stato realizzato un manuale di rapida consultazione sui temi trattati durante la formazione (gravidanza e parto), e diverse copie sono state state prodotte e date in dotazione ai servizi di maternità di Mabayi e Cibitoke.In questo corso, si è voluto favorire anche il personale in forza all’Ospedale di Cibitoke, selezionando un gruppo di 5 persone e il capo del personale, che ogni giovedì si spostavano con mezzi CCM a Mabayi, sede di realizzazione delle lezioni.

L’aumento dei parti ospedalieri conferma l’attenzione della popolazione verso la nuova struttura. Come le sembra che sia stato percepito l’avvio delle attività a Mabayi?

In maniera estremamente positiva. L’aumentato afflusso di pazienti, non solo donne incinte, conferma che l’appoggio dato era necessario ed è stato apprezzato.Non bisogna dimenticare che il CCM, oltre alla riabilitazione fisica resa possibile dal finanziamento del MAE attraverso la linea emergenza, supporta l’ospedale stipendiando il Dr. Barnabè.

Ospedale di Mabayi

*[Cibitoke]L’appoggio del CCM all’ospedale è stato costante in questi anni. Durante l’ultimo periodo, quello in cui hai svolto il ruolo di Project Coordinator, hai effettuato delle modifiche o delle variazioni per rendere il servizio più efficiente?

Questo era nelle mie intenzioni, purtroppo poco si è realizzato. Credo che la cosa importante fatta all’interno della struttura ospedaliera sia stata la riorganizzazione del blocco operatorio, attraverso la riabilitazione del circuito che prevede la preparazione del chirurgo e degli strumentisti ed il recupero dello stoccaggio di farmaci e presidi sanitari all’interno del blocco.

L’ospedale è stato dotato di un nuovo inceneritore e della fossa per rifiuti solidi.Era inoltre necessario intervenire sull’organizzazione dal punto di vista infermieristico dei vari servizi ma su questo non mi è stata possibile nessuna azione.Per quanto riguarda invece le attività di raccolta del sangue tutto prosegue regolarmente.

+[Cooperazione]Sono oltre quindici anni che lavori nei paesi a basso reddito. Hai lavorato per differenti organizzazioni in Bolivia, Burundi, Somalia, Angola, Gabon e Tailandia. Agli estremi di un’ipotetica linea rappresentativa della cooperazione internazionale, stanno da una parte le grandi agenzie internazionali e dall’altra le piccole ong. Tu hai lavorato prevalentemente nell’ambito delle ong. Quali considerazioni ti senti di fare rispetto a questi due mondi?

Le grandi agenzie internazionali, vedi l’ONu, sono a mio avviso istituzioni costosissime e poco efficaci per gli alti costi della loro struttura. Certo sul piano programmatico sono complete, ma poi quasi tutto si ferma al programma, purtroppo.

Le piccole Ong sono più facilmente gestibili, hanno programmi di realizzazione meno ambiziosi, ma, se nelle grandi agenzie è richiesta una professionalità, le piccole Ong possono cadere nella trappola del dilettantismo.

*[Italia]Ecografia a colori, individuazione del sesso ai tre mesi del feto, attenzione alla maternità ed al bimbo oltre ogni misura. Come ostetrica hai affermato “Non tornerei mai a lavorare in un ospedale italiano”. Perché?

Perché mi starebbero strette le quattro mura e il cartellino ma soprattutto perché vedo troppi sprechi, donne troppo viziate di fronte ad una gravidanza che purtroppo non è più vissuta come un evento straordinariamente bello e naturale.

Il ruolo del medico in Italia e nei Paesi a basso reddito. La medicina specialistica e quella primaria. La relazione fra paziente e medico. Questioni separate o discorso comune?

La medicina specialistica ha un ruolo troppo importante nella nostra società per essere messa in discussione. Tutt’altra cosa nei Paesi Terzi, dove ancora non è un diritto di tutti avere a disposizione un antimalarico o un’aspirina.

La relazione tra paziente e medico ormai in Italia si risolve nelle aule del tribunale, nei paesi terzi invece il potere del medico sul paziente è assoluto.

Certo, l’ottimo sarebbe che il medico non si dimenticasse di essere comune persona e si accostasse con più naturalezza al paziente.

Sei mesi in Bale, Etiopia. Caterina Becchio 25 anni, infermiera di Bra, Cuneo.

Per quali ragioni hai deciso di partire?

Ho sempre pensato che chi lavora nell’ambito sanitario deve

provare a lavorare anche in paesi in via di sviluppo, perchè

le risorse sono inferiori per cui mettersi a disposizione non

può che arricchire gli altri e te stesso. Avevo già avuto delle

esperienze nel campo del volontariato internazionale ma mai

in ambito sanitario così ho deciso di lasciare il lavoro e ho

iniziato l’anno di servizio civile per il CCM.

Avevo voglia di vedere, di toccare con mano cosa significa

essere nati e vivere in un’altra parte del mondo. Condivisione,

scambio, solidarietà intesa non come compassione o vaga

vicinanza ad un popolo diverso, ma determinazione e

impegno comune per il bene di tutti. giovanni Paolo II diceva

che siamo “tutti responsabili di tutti”…Ho sempre creduto

profondamente a questa affermazione.

Ci sono altre mille ragioni per cui sono partita: voglia di

mettermi in gioco, voglia di conoscere…non sono scappata

da nulla o in fondo, chissà, anche io sono scappata da

qualcosa…Noia lavorativa, routine…

Sei mesi come volontaria in Etiopia per coordinare progetti

sanitari. Quale e’ stata l’evoluzione del tuo rapporto con

il luogo (e le persone) in cui hai vissuto? Se la metti a

confronto con la tua precedente breve esperienza ivoriana

quali riflessioni faresti sul tempo? Hai parlato di paesaggio

paradisiaco. Penso alla montagna, al verde ma penso anche

alla mancanza di contatti verbali o mediatici, alla proliferazione

di immagini gesti parole da contemplare e riconoscere..ad

uno stare al mondo profondamente diverso da quello nostro,

mediato da tantissimi linguaggi…

goba si trova ai piedi di un altopiano di 4000 metri ricco di

svariate speci animali (in particolari uccelli, di ogni colore

e dimensione). I ruscelli o gli infiniti campi incolti mi hanno

ricordato l’Eden come viene rappresentato nei libri o descritto

nei racconti biblici. L’enorme diversità con la città all’inizio è

quasi scioccante e l’isolamento si fa subito sentire. Piano

piano ho scoperto che c’era vita anche se non si trovavano

grandi ristoranti o hotel. Ho scoperto la ricchezza di una

giornata libera dai piaceri del mondano. Questo l’ho scoperto

dopo qualche tempo, dopo l’entusiasmo iniziale e le prime

difficoltà, quando mi sono resa conto che una vita dignitosa

e’ possibile anche in un luogo così remoto. Bisogna fare i

conti con molte difficoltà a Goba, l’acqua che scarseggia,

l’elettricità spesso assente.

D’altro canto non ho mai apprezzato tanto la natura, nonostante

viva da sempre in “campagna”. Nei 7 mesi passati laggiù ho

iniziato a scorgerne i tratti più profondi, la maestosità. Nei

vari spostamenti quotidiani, tra un health centre e l’altro, mi

perdevo in quei campi infiniti. La Natura è diventata veramente

mia compagna di viaggio. Anche il mio rapporto con la terra

si è trasformato: il camminare continuo della gente rivela il

loro profondo legame con la terra, fonte e ricchezza di ogni

individuo. se fossi rimasta poco tempo lassù non avrei fatto

mio il paesaggio, i volti e le difficoltà. Sarebbero stati solo

frammenti di vita… invece ho interiorizzato quella terra e quei

volti così come quelli con cui sono cresciuta qui.

In contesti di scarso sviluppo e carenza di infrastrutture quale

quello in cui hai lavorato il servizio sanitario e’ concepito come

una struttura diffusa sul territorio che affianca ad un ospedale

centrale HC Health Centres (Centri Sanitari) dislocati nei vari

villaggi, a cui si aggiungono ancora dei piccoli dispensari

(Health Post e Clinic) che fungono da punto di riferimento

nelle localita’ piu’ remote. Puoi descrivere meglio l’ambiente

in cui hai operato?

L’ospedale di goba è una struttura composta da vari padiglioni

all’interno di una ampio cortile. Carenze igienico-sanitarie

e strutturali rendono questo ospedale poco accogliente.

Insieme a quello di ginir, è il centro sanitario principale nella

regione del Bale. Poi vengono gli Health Centres, anch’essi

nella maggior parte dei casi bisognosi di una migliore

gestione: in questi luoghi vengono trattati i pazienti dei vari

villaggi e i casi più difficili vengono riferiti al livello superiore

(parti complicati, chirurgia ostetrica e addominale). gli Health

Posts e le Clinics sono le strutture di base presenti a livello

più periferico, dotati di kit di base per medicazioni o semplici

pratiche mediche (visite pre e post natali, identificazione di

casi a rischio da riferire). In molte di queste strutture non e’

rispettata la privacy, motivo per il quale forse molte donne

preferiscono non recarsi nelle strutture statali. L’accesso

effettivo alle cure è possibile per pochi (distanza) e tra di

loro sono rari i pazienti che comprendono veramente le cure

che ricevono. Molti subiscono passivamente i trattamenti per

la barriera linguistica (non tutti gli operatori sanitari parlano

oromo) e l’ospedale rimane per molti una terra straniera in cui

ci si abbandona totalmente a mani sconosciute.

Durante il tuo servizio ad una fase di affiancamento della

capo progetto e’ seguita una fase in cui hai assunto maggiori

responsabilita’ nel coordinamento di alcune attivita’. Quali

sono state queste attivita’ e quali difficolta’ e soddisfazioni hai

avuto nel rivestire un ruolo piu’ importante ? Come hai gestito

questo passaggio ?

Non avrei mai pensato di dover rimanere sola a gestire il

progetto e quando è successo ammetto di aver avuto dei

timori. Ho vissuto le difficoltà lavorative e personali di Daniela,

capo progetto, pensando che non avrei mai potuto rivestire

il suo ruolo, così ho richiesto un supporto al personale di

Addis che mi ha affiancato in questa esperienza in loco e

garantendomi assistenza dalla capitale. Importante è stato

anche l’aiuto di due chirurghi italiani che hanno vissuto con

me 15 giorni.

grazie a questi aiuti ho portato avanti le attività del progetto

organizzando monitorandole, gestendo il personale,

organizzando gli acquisti e la distribuzione dei medicinali.

Insieme allo staff locale composto da 18 persone abbiamo

organizzato nuove attività. Il mio timore era di non riuscire a

coordinare il gruppo ma posso affermare che è stato molto

collaborativo e insieme siamo riusciti a portare avanti il

progetto.

Mi sono sentita investita di grandi responsabilità e alla fine,

sempre grazie al supporto dello staff di Addis e a quello di

Marilena Bertini da Torino, ho saputo gestire il progetto.

La difficoltà maggiore è stata quella di stare sola. Mi sono

ritrovata unica bianca della zona. Agli occhi dei locali non sei

uguale a loro, il colore è discriminante. Ho provato spesso un

po’ di fastidio nell’avere gli occhi puntati addosso.

In questo periodo il tradizionale ruolo delle TBA (levatrici

tradizionali) si sta affievolendo per dare maggior peso a

figure istituzionalmente piu’ riconosciute e formate (HEW).

Quale importanza puo’ avere questo passaggio su un piano

piu’ generale ?

Il nuovo programma di estensione dei servizi sanitari prevede

un maggiore utilizzo delle HEW -Health Extension Workers-

rispetto alle TBA –Traditional Birth Attendants-. Le prime

sono ragazze giovani che hanno seguito per un anno il corso

organizzato dallo stato e godono dunque di una riconoscibilita’

istituzionale, le seconde invece rappresentano il tradizionale

punto di riferimento sanitario nei villaggi e godono di una

grande credibilita’ presso le comunita’ pur non avendo

mai sostenuto corsi di formazione. La struttura prevede la

presenza di due HEW per kebele (il più piccolo distretto

governativo), che dovrebbero operare facendo base presso

l’HP. Le HEW nella struttura ideata dal governo dovrebbero

fungere anche da punto di riferimento per l’attività delle TBA

in ogni kebele. A queste ultime spetta fornire informazioni

e segnalare la presenza di donne in gravidanza alle HEW,

richiedere la loro presenza durante il parto a domicilio e

monitorare lo stato di salute della madre e del neonato nei

giorni successivi al parto.

In Oromia un fattore chiave che contribuisce agli alti livelli di

mortalità materna e neonatale è il basso tasso di gravidanze

e parti assistiti da personale adeguatamente formato. Così

si sta cercando di promuovere figure sanitarie più preparate

e disincentivare l’assistenza “non ufficiale”. Questa nuova

politica sanitaria sconvolge l’attuale regime che vede le TBA

protagoniste dell’assistenza mamma-bambino. E’ difficile

pensare che le donne inizino a rivolgersi a delle strutture

sanitarie se oggi solo circa il 4.3 % dei parti avviene in una

struttura sanitaria. Il ruolo delle TBA è ancora molto forte e

prevalente rispetto a quelle delle HEW e sarà molto difficile

convincere le donne a rivolgersi a queste ultime. Le TBA

da secoli sono viste come depositarie di un sapere medico

ineguagliabile e conservano spesso pratiche purtroppo

dannose per mamma e bambino.

Gran parte del tuo lavoro e’ stato di monitoraggio delle

attivita’ di formazione di infermieri e TBA. Come hai condotto

questo lavoro e quali sono stati i maggiori problemi che hai

incontrato?

una delle attività che ho svolto è stata quella di preparare e

monitorare le attività di formazione del personale sanitario.

sono principalmente quattro le categorie formate dal

personale del CCM: ostetriche, infermieri, assistenti sanitari

e levatrici tradizionali. In ogni sessione di training viene

preparato un programma, un calendario delle lezioni e un

test finale per valutare l’apprendimento. Per le prime due

categorie vengono anche fornite dispense e altro materiale

didattico.

Ogni corso si compone di due parti: una settimana teorica e

una pratica in cui gli studenti possono assistere il personale

dei centri sanitari.

Bale, Etiopia

A causa della mancanza di personale il training non viene

monitorato in modo adeguato per cui è difficile valutare

l’impatto di questi corsi. sarebbe molto utile monitorare le

attività del personale e intensificare i momenti di verifica del

sapere appreso.

Il lavoro del CCM in questa zona e’ legata al miglioramento

della salute materno/infantile. Potresti descrivere le

informazioni che la mamma apprende dal contatto con le

TBA o con le altre persone coinvolte nel progetto?

si’, il progetto mira a rafforzare i servizi sanitari offerti alla

mamma e al bambino. Vista l’altissima percentuale di donne

illetterate di fondamentale importanza è l’informazione

trasmessa oralmente durante gli incontri di educazione

sanitaria nei villaggi. In queste sessioni vengono date

informazioni generali sullo stile di vita da condurre in gravidanza:

riduzione del carico di lavoro, corretta alimentazione, riposo e

abbandono delle pratiche tradizionali. Molto spesso a questi

incontri partecipano anche gli uomini che vengono invitati ad

accompagnare le mogli nei centri sanitari per controlli e visite

prenatali.

Nel centro vengono trasmesse ulteriori informazioni

riguardanti le cure post-natali per mamma e bambino. si parla

allora di allattamento (insistendo sull’allattamento al seno),

vaccinazioni, supporto emotivo e pianificazione famigliare.

Alle mamme vengono descritti i segni di rischio durante la

gravidanza (perdite emorragiche, febbre…), l’importanza

della pianificazione famigliare e vengono date informazioni

per la salute del bambino: suzione, stato del cordone,

immunizzazione, svezzamento, controllo del respiro e del

peso.

Anche le TBA vengono formate e da un’indagine condotta

durante la mia permanenza si è constatata la loro importanza

nel trasmettere molte informazioni, in particolare per il post

parto. Ecco quindi l’importanza dell’aggiornamento fornito dal

CCM a queste figure.

Hai parlato del carattere chiuso dell’etiope ma anche della

buona relazione che hai avuto con il personale coinvolto nel

progetto, dalla cuoca al ginecologo all’ingegnere. Come hai

gestito queste relazioni professionali ? Come ti sembra che

percepissero –beneficiari e/o colleghi etiopi- il tuo lavoro e la

tua condizione di europea che ha fatto la scelta di lavorare in

tali condizioni ?

Ad una prima impressione ho trovato gli etiopi molto chiusi e

diffidenti. Dopo aver rotto il ghiaccio ho scoperto persone fidate

e gentili. Durante la mia permanenza ho convissuto con 2

membri dello staff (prima con la contabile poi con il ginecologo)

con cui non ho avuto alcun problema di convivenza. Ho

così approfondito la cultura etiope scoprendone la fierezza,

l’orgoglio e il forte senso di appartenenza.

Tutti conoscevano il mio ruolo di infermiera volontaria curiosa

di imparare il più possibile: un po’ per curiosità e un po’

per necessità mi sono anche cimentata nella meccanica,

nell’idraulica cercando di acquisire più conoscenze possibili

del luogo. Non mi sono mai scordata però di essere “fuori

casa” e da ospite quale ero ho sempre cercato di rispettare

usanze, costumi e cultura locale, anche quando questo poteva

infastidirmi. A volte le usanze religiose mi sconvolgevano

o irritavano ma sapevo che la mia opinione negativa, in

particolare riguardo certe pratiche, poteva pregiudicare

dei rapporti. Il mio impegno e il pormi alla pari mi ha così

concesso di instaurare un bel rapporto con tutti, anche con il

responsabile sanitario dell’ospedale.

Fra la sensazione di collaborare ad uno sforzo fondamentale

e quello di impotenza nei confronti di una situazione che

vorresti rivoluzionata quale e’ predominante ?

Per quanto riguarda l’impatto della mia esperienza, del tempo

trascorso in Etiopia devo dire che ho provato sentimenti

contrastanti. Mi sono subito resa conto che quello che si

faceva ogni giorno era quella famosa goccia nell’oceano.

sentivo conferma di questa cosa ogni volta che entravo

nell’ospedale o in qualche centro sanitario. Mi sembrava che

parte dell’operato fosse vano: fondi, ore di lavoro, energie

dissipate. Così venivo investita da un’angoscia fatta di scelte

maturate e assunte nel tempo, di sforzi che vedevo infruttuosi.

Ho dovuto fare i conti con un’ingiustizia che per me non è

più un termine da dizionario, ma ha volti e nomi. Pensavo

spesso al mondo degli “ultimi” in cui mi trovavo e alla loro

fatica di far sentire la propria voce. A volte però avvertivo

speranza nel lavoro degli uomini o nei sorrisi dei bambini,

in attività ben riuscite o nel semplice grazie di una donna.

E allora la speranza rinasceva e il mio impegno si colorava

di fiducia in ciò che facevo e in grande considerazione per il

progetto in cui stavo lavorando.

Non ho dubbi sul fatto che l’esperienza che ho fatto ha

arricchito me in primis perché il contributo che penso di

aver dato è stato minimo, mentre quello che ho ricevuto ha

valorizzato di molto il mio bagaglio.

“Chiunque sia stato nel deserto per un po’ non è più lo stesso

di quando vi è entrato”

Bowles

Bale, Etiopia

Nairobi [ottobre 2007/settembre 2008]di Stefano Beccaria. Perché ho scelto di fare il servizio civile all’estero? Dopo aver terminato gli studi in ambito umanistico, con focus sulle relazioni internazionali, e non avendo ancora un lavoro stabile ho deciso di partire per il sCV all’estero per amore del viaggio. Ho preso la decisione di intraprendere questa esperienza che mi ha portato per la mia prima volta nella vita in Africa. L’ho fatto per me e per capire come e se mi sarei adattato a vivere in un ambiente diverso dal solito, venire a stretto contatto con popoli e culture totalmente diversi da me e dove (finalmente) ero io il “diverso”, lo “straniero”.

FORMAZIONE Il servizio civile è cominciato con 2 mesi di formazione in Italia, in riunioni organizzate e fissate dall’Ufficio del servizio civile di Torino e dal CCM. All’interno del CCM sono stato immediatamente coinvolto nelle attività che avrei fatto per i restanti mesi (amministrazione), mentre gli incontri fatti dall’Ufficio del servizio civile erano di carattere più generale e, dal mio punto di vista, un po’ lontani dagli interessi e obiettivi da raggiungere. Da precisare tuttavia che io e Caterina eravamo gli unici due volontari con destinazione all’estero e chiaramente era difficile poter organizzare un corso di formazione specifico per noi; ho ritenuto positivo tuttavia l’incontro e lo scambio di idee, opinioni e considerazioni con gli altri giovani volontari.

sERVIZIO VOLONTARIO Si è svolto tra Italia e Africa. Nei mesi iniziali e finali di servizio la mia attività si è concentrata prevalentemente sulla rendicontazione di due progetti promossi dal Ministero degli Affari Esteri. La preparazione della documentazione relativa a tali progetti può essere vista e compresa in modo esauriente solo in Italia; in loco si possono cogliere gli aspetti inerenti al progetto e al suo concreto svolgimento, ma non è sufficiente per poter terminare la rendicontazione.In Kenya, precisamente nella sede di Nairobi, le attività svolte erano varie e non comprendevano esclusivamente la rendicontazione di progetto, ma il ruolo amministrativo aveva un raggio più ampio: dalla presentazione dei rapporti finanziari con scadenza trimestrale, alla gestione del personale locale espatriato e non, alla gestione dell’archivio ed all’organizzazione di riunioni con l’uTL (unità tecnica locale: ufficio dell’ambasciata che si occupa specificamente di progetti di cooperazione e aiuti allo sviluppo) o altri donors a seconda del progetto in questione.

RAPPORTO con lo sTAFF CCM I rapporti con lo staff del CCM è stato più che accogliente e buono. A Torino sono stato seguito con regolarità dalla responsabile del servizio civile nonché dall’amministratrice durante lo svolgimento delle varie mansioni da assolvere. Il rapporto è stato subito molto cordiale e mi son integrato senza troppe difficoltà nell’ufficio del CCM venendo a conoscenza delle varie procedure interne.A Nairobi il legame è stato più intenso visto che vi ho trascorso 7 dei 12 mesi totali del servizio civile. Il rapporto con lo staff espatriato è stato di ottima accoglienza e di grande collaborazione in caso di bisogno. Data la natura del lavoro da svolgere, ho potuto instaurare da subito un buon rapporto lavorativo e d’amicizia con l’amministratrice regionale, mia compagna d’ufficio. Buoni rapporti ho avuto anche con il logista e la capo progetto in sudan a seguito della breve missione effettuata a dicembre a Rumbek. Con lo staff locale invece qualche difficoltà iniziale c’è stata: era la mia prima esperienza lavorativa presso una nazione non europea. Credo che la differenza sia dovuta a due fattori: il primo è il fatto di essere “bianco” e il colore della pelle comporta un modo di relazionarsi da parte del locale in modo diverso, pur essendo un semplice volontario e non un responsabile. Il secondo fattore e’ la mia forte espansività, talvolta fraintesa. Tuttavia, col passare dei mesi, anche lo staff

locale mi ha accettato pian piano, riuscendo a stabilire buone relazioni lavorative. Al di fuori dell’orario di lavoro invece non vi è stata occasione per condividere dei momenti insieme. una nota stonata è stata la non perfetta organizzazione del lavoro sia in Italia, sia in Kenya. Forse però questa nota negativa è dovuta anche alle mie eccessive aspettative ed alla mia inesperienza in ambito di cooperazione internazionale. Tale giudizio è venuto a sfumare col tempo, sia perché, immerso nella realtà lavorativa, ho compreso le cause di alcuni problemi, sia perché ho avuto modo di confrontare la realtà del CCM con altre ONg.

CONsIDERAZIONI e VALuTAZIONI L’anno trascorso con il CCM in qualità di volontario del servizio civile è stato utile sotto molti punti di vista. Indubbiamente mi è stata data la possibilità di partire alla volta dell’Africa pur non avendo alcuna esperienza nel mondo della cooperazione internazionale.In questo periodo mi sono interessato particolarmente alla vita politica dei paesi in cui il CCM opera, soprattutto sudan e Kenya. Quando sono arrivato in Kenya si avvertivano le tensioni del clima pre-elettorale: il 27 dicembre 2007 si sarebbero svolte le elezioni presidenziali. Mi sono informato su quotidiani e riviste sulla politica keniota per cercare di capire al meglio la situazione. Considerato che le precedenti elezioni del 2002 si erano svolte senza problemi, tutti i quotidiani locali e stranieri e gli osservatori internazionali si dimostravano piuttosto fiduciosi sull’andamento del voto. Gli spogli iniziarono il 28 dicembre, e a smentire la fiducia generale, già verso sera giunsero voci di scontri in diverse aree del Paese. Le violenze si verificarono nelle città più popolate del Kenya: Nairobi, Mombasa, Eldoret, Kisumu, Naivasha e alcune altre. La situazione di insicurezza era reale, ma le violenze riguardavano esclusivamente la popolazione locale, gli espatriati non erano coinvolti poiché non partecipanti all’elezione. Durante quei giorni ero ospite presso un collega del CCM in attesa di informazioni circa la possibilità di recarsi al lavoro. La città di Nairobi era interessata da scontri in centro città e nelle baraccopoli. In questi giorni l’ufficio di Torino del CCM, in particolare la responsabile del servizio civile, si sono interessati alla mia situazione, ma ho insistito affinché non venisse richiesta una mia evacuazione, ritenendo la cosa eccessiva.

CONCLusIONI Valuto l’esperienza nel suo complesso in modo più che positivo. Il lavoro nella cooperazione internazionale - così come ho avuto modo di conoscerlo io - è essenzialmente un lavoro fatto di viaggi e di vita all’estero in contatto con le realtà locali. per questo nutro qualche riserva sulla possibilità di trovare impiego nella cooperazione internazionale in Italia.Dopo 12 mesi ho avuto modo di conoscere la realtà del CCM e le persone che ci ruotano attorno. un’esperienza che consiglio anche se non si vuole fare la vita del cooperante poiché consente di vivere e viaggiare per l’Africa non come in una semplice vacanza.

Nakuru, Rift Valley

Roma, 18 ottobre 2008

Prot. 62/2008

A tutti i Parlamentari della XVII legislatura

soggetto: Finanziaria 2009 – tagli alla cooperazione internazionale

Egregio senatore,

Egregio Onorevole,

Come lei ben sa, la scorsa settimana il governo ha avanzato la proposta di procedere, con la legge Finanziaria per il prossimo

anno, ad un taglio degli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo e gli Aiuti ai Paesi poveri di oltre la metà delle risorse

allocate lo scorso anno. Qualora confermata, una simile riduzione, senza precedenti, porterebbe la percentuale del PIL

destinata alla lotta alla povertà allo scandaloso livello dello 0,1% quando, come noto, il nostro Paese ha formalmente assunto

impegni vincolanti con la comunità internazionale per stanziare entro il 2010 lo 0,51% quale tappa intermedia per raggiungere

lo 0,7% previsto per il 2015.

Una notizia che è sopraggiunta in contemporanea al Forum di Alto Livello sulla efficacia dell’utilizzo degli aiuti allo sviluppo,

tenutosi ad Accra dal 2 al 4 settembre, e alla vigilia della sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite che, il

prossimo 25 settembre, dovrà valutare i progressi compiuti nel raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio.

già solo da un punto di vista della credibilità del nostro Paese, nei confronti degli altri Paesi donatori e dei Paesi poveri dei

Sud del mondo, l’eventuale conferma di un simile disimpegno pregiudicherebbe definitivamente il ruolo che l’Italia, in quanto

membro del g8 e Paese che si appresta a rilevarne la presidenza di turno, in vista del prossimo Vertice del 2009, potrà

giocare in futuro nelle decisioni di politica internazionale.

Ancor di più, una decisione di questa gravità, qualora confermata, sancirebbe una visione miope non solo di come garantire le

condizioni di una convivenza pacifica mondiale, ma anche in definitiva rispetto al diritto di sicurezza dei nostri concittadini.

Pace, sicurezza e prosperità vanno di pari passo con i diritti fondamentali garantiti ad ogni essere umano tra i quali,

innanzitutto, quello di godere di condizioni di vita dignitose.

Nei prossimi giorni, il Parlamento sarà chiamato a discutere e poi approvare la legge Finanziaria.

E’ per questo che ci rivolgiamo ad ognuno di voi, indipendentemente dalla vostra appartenenza di partito, e forti

dell’esperienza comprovata negli anni circa la sensibilità trovata in Parlamentari di tutti gli schieramenti e le culture politiche,

affinché si ponga rimedio a questa vergognosa proposta di drastico taglio dei fondi per gli Aiuti ai Paesi poveri rimettendo

l’Italia nella giusta direzione di un impegno crescente nel sostenere la cooperazione internazionale e gli Obiettivi di sviluppo

del Millennio.

Coscienti della non facile situazione economica in cui verte il nostro Paese, crediamo fermamente nella possibilità di reperire

le risorse necessarie per una priorità etica nei confronti delle popolazioni povere, passo fondamentale per garantire un futuro

sostenibile alle generazioni future, anche del nostro Paese.

Quello che è in gioco è l’assicurare alla comunità internazionale di poter ancora contare sull’Italia come partner affidabile nella

lotta alla povertà e nella costruzione della pace e della sicurezza, che non può che essere perseguita attraverso la promozione

di un mondo fondato sui diritti umani, sulla giustizia sociale e sulla dignità di ogni persona.

Certi che Ella vorrà adoperarsi con ogni mezzo per porre rimedio a questa incresciosa situazione, resto a sua completa

disposizione per ogni eventuale necessità.

Distinti saluti

Il Presidente

sergio Marelli

Pubblichiamo qui di seguito il testo della lettera inviata dal presidente dell’Associazione Ong Italiane Sergio Marelli al parlamento, unendoci alla contestazione della scelta presa dal governo di tagliare pesantemente i finanziamenti destinati alla Cooperazione.

A P P U N T A M E N T IA P P U N T A M E N T I

*In occasione della manifestazione Terra Madre il CCM partner di Slow Food in Etiopia organizza due cene a base di piatti etiopici con ingredienti tradizionali. Bogal Esaye Mamo e Geletu Biftu Luchia, cuoche etiopi, fanno parte di una delegazione in arrivo in Italia ospite della manifestazione Terra Madre. Con loro vi saranno alcune comunità di produttori locali (i produttori del caffè di foresta, i produttori di kollo, la cooperativa di produttori di grano duro di Ejerre, i produttori di miele del Tigrai, una cooperativa di produttori di teff, i pastori seminomadi e raccoglitori di incenso e i produttori di miele del vulcano Wonchi). Le cene si terranno: −mercoledì29ottobreore20alRistoranteTosa,StradaGenova200Moncalieri(To). Offerta minima 45 € −sabato8novembreore20alSalonedell’Oratorio,PiazzaCastello11Caramagna(Cn). Offerta minima 15 € Prenotazioneobbligatoriaallo0116602793L’incasso totale delle serate verrà devoluto a favore di progetti di sostegno alla salute in Etiopia

*Giovedì27Novembre:giornatasu“AIDSedaccessoglobale;prevenzioneestigmaalNordedalSuddelmondo”dalle9,30alle17-Sermig,salaUniversitàdeldialogo.

*Sabato29edomenica30novembre,dalle9alle18,ilCCMsaràpresenteaIDEASOLIDALEinCorsoNovara64(Torino) per la tradizionale mostra di artigianato piemontese ed etiope.

*Il30novembre inoltre,dalle10.30alle17.30,nellasedediViaCiriè32/E, ilCCMfesteggia i40annidallasuanascita.

*Lunedì1Dicembre:incontroseminarialeperlescuole:“PerunfuturosenzaAIDS”dalle9,30alle13sededadefinireincollaborazioneconCOPeFOCSIV

Comitato Col laborazione MedicaVia Cir iè 32/E10152 Tor inowww.ccm-ital ia .org

Levatrici tradizionali [Traditional birth attendants]

CALENDARIO 2009

*È d i spon ib i l e i n sede i l nuovo ca lendar io CCM 2009 !